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FORMAZIONE LITURGICA Culmine e Fonte 2-2005 1 N ella Scrittura la famiglia ha un ruolo di primissimo piano nello svolgimento della Storia della Salvezza. Il nucleo fondamentale della struttura sociale e antropologica della Bibbia è la famiglia, i suoi ruoli, le sue immagini. I rapporti familiari divengo- no simboli per esprimere il rapporto dell’uomo con Dio e le difficoltà, i conflitti, le vicende dolorose e gioiose delle famiglie bibliche sono il tessuto su cui si innesta l’opera di Dio. Le vicende patriarcali sono la nar- razione di una storia familiare, una lunga saga in cui si alternano vicende virtuose e altre peccaminose, momen- ti esaltanti e altri che mettono in evi- denza le miserie e le manchevolezze degli uomini e delle donne che ne so- no i protagonisti. Le storie di Genesi, da quella di Adamo ed Eva a quella di Giuseppe, raccontano l’evolversi della rivelazio- ne di Dio attraverso le vicende quoti- diane o avventurose di diversi nuclei familiari. I due fratelli Caino e Abele La famiglia di Adamo ed Eva ci pre- senta la situazione della prima fami- glia sotto il regime del peccato origi- nale. Una sorta di quadro impietoso e realistico di una famiglia entro la qua- le si agitano gli spettri dell’invidia, della gelosia, della violenza. La storia dei due fratelli, Caino e Abele, eviden- zia l’influenza negativa del peccato e della sua forza seduttiva sul cuore del- l’uomo (Gen 4). La potremmo definire come la descrizione del conflitto della differenza, della diversità non accetta- ta, del desiderio imperioso di essere apprezzati e di non sopportare che al- tri abbiano maggiore consenso di noi. In realtà Caino non sopporta il bene di Abele e implicitamente vuole affer- mare la sua superiorità su di lui, cre- dendo di essere stato ingiustamente discriminato o disprezzato in favore di un fratello da lui considerato esagera- tamente stimato. La descrizione del- l’invidia, vizio capitale purtroppo sem- pre vivo nella storia del mondo, si mo- stra a noi con tutta la sua drammati- cità e violenza. Caino arriverà a ucci- dere Abele, suo fratello. L’idea che la fraternità possa degenerare in fratrici- dio ci fa inorridire, ma nella sua con- creta attualità ci dice come ogni odio tra gli uomini è fraterno e distrugge quella comunione umana che la fami- glia rappresenta (1Gv 3,11-12). L’invi- dia, l’odio, l’ira, la violenza divengono le prime conseguenze durissime del peccato. La morte di Abele è l’archetipo della morte stessa di Gesù ucciso dai suoi fratelli e quella delle altre storie bibliche di fraternità violenta, come quella di Giuseppe e dei suoi fratelli. Set, che sostituisce idealmente Abele, rappresenta la continuità positiva del piano di Dio che non si ferma a causa A immagine della Trinità di mons. Marco Frisina

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FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 2-2005 1

Nella Scrittura la famiglia ha unruolo di primissimo piano nellosvolgimento della Storia della

Salvezza. Il nucleo fondamentale dellastruttura sociale e antropologica dellaBibbia è la famiglia, i suoi ruoli, le sueimmagini. I rapporti familiari divengo-no simboli per esprimere il rapportodell’uomo con Dio e le difficoltà, iconflitti, le vicende dolorose e gioiosedelle famiglie bibliche sono il tessutosu cui si innesta l’opera di Dio.

Le vicende patriarcali sono la nar-razione di una storia familiare, unalunga saga in cui si alternano vicendevirtuose e altre peccaminose, momen-ti esaltanti e altri che mettono in evi-denza le miserie e le manchevolezzedegli uomini e delle donne che ne so-no i protagonisti.

Le storie di Genesi, da quella diAdamo ed Eva a quella di Giuseppe,raccontano l’evolversi della rivelazio-ne di Dio attraverso le vicende quoti-diane o avventurose di diversi nucleifamiliari.

I due fratelli Caino e Abele

La famiglia di Adamo ed Eva ci pre-senta la situazione della prima fami-glia sotto il regime del peccato origi-nale. Una sorta di quadro impietoso erealistico di una famiglia entro la qua-le si agitano gli spettri dell’invidia,della gelosia, della violenza. La storiadei due fratelli, Caino e Abele, eviden-

zia l’influenza negativa del peccato edella sua forza seduttiva sul cuore del-l’uomo (Gen 4). La potremmo definirecome la descrizione del conflitto delladifferenza, della diversità non accetta-ta, del desiderio imperioso di essereapprezzati e di non sopportare che al-tri abbiano maggiore consenso di noi.In realtà Caino non sopporta il benedi Abele e implicitamente vuole affer-mare la sua superiorità su di lui, cre-dendo di essere stato ingiustamentediscriminato o disprezzato in favore diun fratello da lui considerato esagera-tamente stimato. La descrizione del-l’invidia, vizio capitale purtroppo sem-pre vivo nella storia del mondo, si mo-stra a noi con tutta la sua drammati-cità e violenza. Caino arriverà a ucci-dere Abele, suo fratello. L’idea che lafraternità possa degenerare in fratrici-dio ci fa inorridire, ma nella sua con-creta attualità ci dice come ogni odiotra gli uomini è fraterno e distruggequella comunione umana che la fami-glia rappresenta (1Gv 3,11-12). L’invi-dia, l’odio, l’ira, la violenza divengonole prime conseguenze durissime delpeccato.

La morte di Abele è l’archetipodella morte stessa di Gesù ucciso daisuoi fratelli e quella delle altre storiebibliche di fraternità violenta, comequella di Giuseppe e dei suoi fratelli.Set, che sostituisce idealmente Abele,rappresenta la continuità positiva delpiano di Dio che non si ferma a causa

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del peccato. Inoltre Caino viene se-gnato con un segno di protezione edi custodia da parte della misericor-dia di Dio che “non vuole la mortedel peccatore ma che si converta e vi-va” come ci ricorda il profeta Ezechie-le (Ez 18,30-32).

Le “discendenze”

Nel libro della Genesi spesso ap-paiono delle tavole riassuntive impor-tantissime, anche se noiose alla lettu-ra: sono le “tholedot”, ovvero gli al-beri genealogici dei patriarchi cherappresentano la visione d’insiemesull’evolversi della storia salvifica masono anche la descrizione delle radicifamiliari, l’apoteosi dell’”appartenen-za familiare” (Gen 4,17-22; 4,25-5,32;9,18-28 etc.). Ognuna di queste tavo-le, attraverso le discendenze degli uo-mini, ci presenta lo svolgimento dellastoria di Dio con loro. L’intreccio trabene e male, tra peccato e virtù cisorprende. Noi gradiremmo avere nelnostro albero genealogico tutti santied eroi e non certo assassini e delin-quenti. Nelle genealogie bibliche in-vece gli uomini e le donne che vi sonopresentati sono elencati nella lororealtà, anche infamante. A questoscopo ricordiamo la genealogia di Ge-sù, che è riportata in due diversecompilazioni sia in Matteo, sia in Luca(Mt 1 e Lc 3). Matteo ricorda esplicita-mente la discutibilità di alcune nasci-te per altri versi importanti per la sto-ria della salvezza, come quella di Pin-chas da Tamar, che si travestì da pro-stituta per farsi mettere incinta dalsuocero Giuda, che non voleva conce-dergli il suo figlio minore al posto de-

gli altri maggiori, tutti morti dopoaverla sposata. Senza questo sotterfu-gio la discendenza sarebbe stata in-terrotta e la linea delle genealogieavrebbe preso un altro corso. Così perRut, la straniera, ava di Davide, o perBetsabea, l’adultera poi divenuta spo-sa di Davide, madre di Salomone. Laprovvidenza passa attraverso le viedelle generazioni donando agli uomi-ni la possibilità di partecipare alla re-denzione: pur nei suoi peccati l’uma-nità è via attraverso cui passa la gra-zia della salvezza.

Ancora una volta il valore del co-mando antico che il Creatore ha datoai progenitori si illumina facendociscoprire il significato profondo dellagenerazione umana. La vita stessa del-le creature, la loro vitalità e capacitàgenerativa afferma la potenza delCreatore, è come un inno di gloria alSignore della vita.

Tale valore diviene talmente fonda-mentale nel cuore di Israele che perassicurare la generazione di una di-scendenza Tamar non esita a farsi fe-condare dal suocero Giuda (Gen 38).Tamar, essendo vedova del primo fi-glio di Giuda, aveva diritto, per la leg-ge del levirato (Dt 25,5ss), di sposare ilfiglio minore del patriarca. Essendo ri-masta vedova anche di questo dovevasposare l’altro figlio minore, ma aquesto punto, per paura o per super-stizione, Giuda si rifiuta di concederlequesta possibilità. La donna allora sitraveste da prostituta e adesca Giudarimanendo incinta e assicurando cosìla discendenza della sua famiglia. Unracconto per noi di difficile compren-sione e per molti versi imbarazzantema che dimostra l’assoluto valore dei

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figli e della famiglia nel mondo pa-triarcale.

In un mondo come quello descrittoda Genesi la famiglia era insieme pro-tezione per i deboli, come le vedove ei figli, e nello stesso tempo sostegnoper il gruppo, la tribù: quella famigliaallargata che noi chiameremmo so-cietà.

Il padre e la madre

I Patriarchi sono nella Scrittura ilpunto di riferimento della famiglia esoprattutto i depositari dell’alleanza,della benedizione che da Abramo pas-sa a tutti i primogeniti e da lui a tuttala discendenza. Abramo, scelto comeprimizia di una umanità nuova, è coluiche attraverso la sua fede offre la suavita e la sua famiglia mettendoli a di-sposizione della grazia della salvezza.L’Alleanza che stringe con Dio segnala stipula di quel legame indissolubiletra Dio e l’uomo che era iniziato findalle origini quando l’uomo, creato aimmagine di Dio, aveva ricevuto da luiil soffio vitale. Abramo riceve la pro-messa di una discendenza infinita, lapossibilità di donare a tutti gli uomini,attraverso la sua fede, il riscatto dalpeccato antico e trasmettere, proprioattraverso la discendenza, la benedi-zione di questa fede. La paternità diAbramo trasforma la paternità di tuttigli uomini in un dono di grazia. Dopodi lui ogni padre sa di trasmettere aipropri figli non solo la vita naturalema anche la benedizione di Dio, unaeredità che, al di là dei beni materiali,dona l’inestimabile dono dell’amiciziadi Dio che nell’Alleanza è stata cele-brata.

Il Patriarca diviene così il deposita-rio delle cose di Dio e nello stessotempo colui che deve, attraverso lasua fede, rinnovare l’alleanza di suopadre.

Accanto a lui però la madre ha unruolo ugualmente fondamentale. Alei spetta la custodia e l’autorità sullagenerazione stessa. La madre è inrealtà colei che esercita il potere sui fi-gli, anche in contrasto con quella delpadre, che in tanti racconti biblicisembra doversi sottomettere alla su-periorità dell’influsso materno.

La storia di Rebecca e dei suoi ge-melli Giacobbe ed Esaù ne è la dimo-strazione (Gen 27). Rebecca vuole farpassare la primogenitura e la sua be-nedizione a Giacobbe che, secondo leidee del tempo, essendo uscito nelparto dopo il fratello era da conside-rarsi il minore. Per raggiungere il suoscopo la donna inganna il marito Isac-co che, ormai cieco, confonde i duefratelli e benedice Giacobbe al postodi Esaù. La gestione di questo ingannoè tutta nelle mani di Rebecca che, cosìfacendo, esercita il suo potere sullagenerazione ma anche sul passaggiodella benedizione alla generazionesuccessiva.

Già in antecedenza Sara aveva cer-cato di spingere la provvidenza in unacerta direzione, quando aveva propo-sto ad Abramo di fare un figlio dallasua schiava Aghar e così realizzare lapromessa divina della discendenza,poiché lei era sterile. Proprio la fecon-dità della donna la rende potente, co-me succede con Aghar che, una voltamadre, si rivolta contro la sua padro-na Sara. Ma questo potere viene eser-citato sempre dalle matriarche che,

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così facendo, affermano il primatodella vita e della famiglia su tutti glialtri valori sociali.

I figli

La discendenza, i figli, sono unabenedizione divina, ne sono la dimo-strazione pratica e tangibile. Nella lo-ro esistenza viene proclamata la po-tenza del Creatore e della capacità ge-nerativa delle creature. Avere un fi-glio è rendere completa la propriaumana e spirituale realizzazione.Abramo e Sara senza figli sono creatu-re incomplete, incapaci di realizzarepienamente la volontà di Dio e social-mente emarginati. Tanto è vero cheAbramo si crea dei figli di adozionecome lo schiavo Eliezer (Gen 15,2) epoi Ismaele. Ma Dio vuole donargli unvero figlio nato da lui e da sua moglieperché possa essere affermata senzaombra la potenza dell’Alleanza e del-la sua grazia.

Così per Giacobbe i figli avuti dalledue mogli Lia e Rachele e dalle loroschiave rappresentano il segno tangi-bile dell’efficacia della benedizione diDio. Il peccato di Giacobbe è quello dinon saper riconoscere fino in fondoquesta realtà quando preferirà i figlidi Rachele, da lui profondamenteamata, ai figli di Lia. Questa sua predi-lezione per Giuseppe e Beniamino loporterà ad affrontare una gravissimacrisi familiare che culminerà con il ri-fiuto di Giuseppe da parte dei suoifratelli e della sua vendita come schia-vo in Egitto.

La storia di Giacobbe mette in luceproprio il rischio che si può correrequando si considerano i figli semplice-

mente nel loro rapporto con noi, peril nostro affetto, imprigionandoli nelnostro mondo senza “lanciarli lonta-no” come ci ricorda il Sal 127 che par-la dei figli come di frecce in mano adun eroe, frecce che il prode sa scaglia-re lontano.

I fratelli

Proprio i dodici figli di Giacobbevivono una delle esperienze più dolo-rose che una famiglia può attraversa-re: la discordia familiare. I figli di Liasono contro il primogenito di Rache-le, il prediletto del padre. Questocontrasto culmina con il desiderio dimorte da parte dei fratelli che si tra-sforma poi in un abbandono aglistranieri: la vendita di Giuseppe co-me schiavo è lo scandaloso gesto deifratelli che rinnegano la loro stessacarne. Tutta la storia di Giuseppe edei suoi fratelli diviene così il raccon-to di un fratello prima perduto e poiritrovato, del cammino di una fami-glia che, attraverso sofferenze e pro-ve, ritrova la sua unità e il suo signifi-cato nella comunione del ricongiun-gimento e nel saper riconoscere intutto questo cammino l’opera dellaprovvidenza (Gen 45).

Le benedizioni di Giacobbe al ter-mine del libro della Genesi conferma-no il senso della famiglia come luogoin cui la benedizione passa trasfor-mando, vivificando, guidando la vitadei figli e dei fratelli verso la meta cheil Signore ha indicato. La vita delle do-dici famiglie-tribù di Giacobbe sonoun’immagine eloquente della potenzadella grazia nella vita concreta degliuomini.

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P ossiamo subito dire che non èpossibile affermare l’esistenzadi un rito della benedizione

degli sposi prima del IV sec. d.C., pe-riodo che vedrà nascere i testi di unamessa per gli sposi e quelli della be-nedizione della sposa e dello sposo.

I testi che si possiedono, infatti,non documentano esplicitamente ilmodo in cui i cristiani celebravano illoro matrimonio; riportano solo il lo-ro modo di considerarlo.

Due esempi li abbiamo: il primonella Lettera a Diogneto dove si leg-ge che “i cristiani non si distinguonodagli altri uomini né per il paese, néper il linguaggio, né per i costumi:essi si sposano come tutti gli altri”; ilsecondo, nella Supplica di Atenagora(verso il 170 d.C) indirizzata all’impe-ratore Adriano, dove egli spiega che“il cristiano riconosce come sua spo-sa colei che ha condotto nella sua ca-sa secondo le leggi stabilite”.

Osserveremo, pertanto, gli usi ce-lebrativi presso i greci e i romani e,successivamente, considereremo l’in-flusso della religione cristiana su taliriti pagani.

La Celebrazione del MatrimonioPagano

Sia presso le culture orientali, siapresso quella greca e romana, il ma-trimonio avveniva in due momentidistinti celebrativamente e cronolo-gicamente: gli sponsali e le nozze.

I primi consistevano in un incon-tro tra il futuro marito e il padre del-la sposa per accordarsi sul matrimo-nio e, in modo speciale, sulla dote. Sitrattava, in sostanza, di un impegnoreciproco del pretendente verso lasua sposa e di questa verso il suo fu-turo marito.

Presso i Romani, gli sponsali pos-sedevano una forma giuridica moltorigida: i due capi famiglia conclude-vano tra loro una stipulatio, un veroe proprio contratto di fidanzamentocon caparra. La dote, infatti, era unelemento importante nella celebra-zione degli sponsali. Più tardi neltempo (I sec. a.C) avverrà anche ladexterarum coniunctio e l’invio di unanello alla sposa da parte del futuromarito.

Dopo un intervallo di tempo, sicelebravano le nozze. Queste com-portavano, dapprima, un sacrificioofferto, presso la casa del padre del-la sposa, alle divinità tutelari dellenozze (Zeus, Apollo, Era, Artemide,Afrodite); dopo di che aveva luogo ilbanchetto nuziale e, nella tarda se-rata, si formava il corteo che, conmusiche, danze e luci, conduceva glisposi alla casa del marito, dove lasposa era accolta dai suoceri e inco-ronata con frutti simbolo di fecon-dità e di prosperità (fichi, datteri,noci).

Dopo aver fatto il giro del focola-

Il matrimonio nel mondo romanoe l’impatto dei cristiani di don Riccardo Aperti

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re tenendosi per mano, i due sposierano condotti dai presenti e dagliamici nella camera nuziale dove losposo slegava la cintura della sposa.Gli invitati, allora, si ritiravano emet-tendo delle grida per allontanare glispiriti maligni.

La cultura romana accentua, nellamedesima distinzione tra sponsali enozze, una spiccata attenzione giuri-dica.

Due sono le principali modalitàconosciute nel mondo romano persposarsi: la confarreatio e la coemp-tio.

La prima, celebrata in modo so-lenne e soprattutto dalle famiglienobili, consisteva nel consacrare aGiove una focaccia di farro che glisposi, poi, mangiavano in segno dicomunione. Il sacrificio, che com-prendeva preghiere e altri riti com-plicati, era offerto da un sacerdotedi Giove in un tempio dedicato aquesta divinità. A tale celebrazionedovevano partecipare dieci testimo-ni.

La confarreatio non veniva prati-cata nelle zone rurali ed era sostitui-ta dalla coemptio, celebrazione piùsemplice che si rifaceva all’antico co-stume di donare alla famiglia dellasposa da parte del pretendente unasomma di denaro. Per questo gestosi richiedeva la presenza di cinquetestimoni.

Pur nelle loro diversità, queste ce-lebrazioni erano a tutti gli effetti ritidi aggregazione familiare che sup-ponevano la presenza e l’azione del

paterfamilias (= celebrazione del ma-trimonio sub manu).

Sempre presso i Romani era cele-brato durante gli sponsali il rito del-la dexterarum coniunctio. Gesto noncosì arcaico come altri, ma via via piùimportante fino a diventare iconedegli ‘sposi novelli’ nelle rappresen-tazioni pittoriche dell’epoca.

Che la dexterarum coniunctio av-venisse anche nelle nozze o solo inesse, non è facile documentarlo. Tut-tavia, si tratta di un elemento che,sia a livello gestuale, sia giuridico, èrimasto presente ancor oggi nella ce-lebrazione delle nozze cristiane. Ciòdice della sua importanza e rappre-sentatività.

La cultura romana ci ricorda un al-tro rito che avveniva dopo aver con-sumato il banchetto presso la casadella sposa: la cosiddetta domumde-ductio. La sposa era condotta dalmarito in casa di quest’ultimo. Si un-gevano gli stipiti delle porte con delgrasso e li si ornava con fettucce dilana. La sposa veniva sollevata e por-tata all’interno della casa.

La Celebrazione del MatrimonioCristiano

La testimonianza della Lettera aDiogneto deve essere compresa inquesto contesto. I cristiani hanno co-nosciuto e praticato i riti che abbia-mo appena descritto. Ma il problemache si pone è un altro: i cristiani han-no avuto abbastanza presto, oltre alrituale comune del matrimonio come

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si praticava da tutti nel loro tempo,alcuni riti o preghiere particolari?

Purtroppo le memorie storiche so-no rarefatte, e i testi che si possiedo-no poco aiutano a far luce su talequestione permettendo una rispostasicura. Certo, si può immaginare chei cristiani non si siano accontentatisolamente dei riti pagani che già sipraticavano.

Quattro secoli sono certamenteun lungo periodo di tempo, per noncredere che in esso non ci siano stati,comunque, adattamenti e/o variantiai riti matrimoniali pagani, con l’ag-giunta di qualche preghiera o diqualche gesto simbolico.

Se si vuole, il problema del ritocristiano del matrimonio è molto si-mile a quello della fissazione dell’an-niversario della risurrezione di Cri-sto, della sua Pasqua.

Nessuno afferma l’esistenza di unrito liturgico del matrimonio pro-priamente detto nella Chiesa occi-dentale, con l’intervento necessariodel clero, prima dell’XI secolo, tutta-via, ciò non esclude l’esistenza dipreghiere e riti particolari dopo il IVsecolo. Il nodo gordiano, tuttavia, ri-guarda il periodo anteriore al IV se-colo.

Si tratta di un fase che, anche do-po la pace costantiniana, è e restapagana nella sua struttura e nellasua mentalità. Verosimilmente, per-ciò, i cristiani seguivano i riti paganisecondo i costumi dell’epoca evitan-do, nondimeno, quanto era incom-patibile con la fede e le esigenzemorali del loro credo.

Pur dando tutto questo per scon-tato, la questione si sposta su un al-tro aspetto non certo trascurabile: seè pur vero che i cristiani cercavano dievitare quanto incompatibile con laloro fede aggiungendo anche pro-prie preghiere o gesti durante glisponsali e le nozze, ciò avveniva cono senza la presenza e l’interventopreciso dell’autorità ecclesiastica (ve-scovo o presbitero)?

I testi antichi che si hanno a di-sposizione trattano di tale presenzaufficiale ma in relazione ad aspettidel tutto particolari all’interno delrapporto nuziale e non facilitanouna risposta al nostro interrogativo.Sottolineano, però, quanto le comu-nità locali considerassero normale ecomune ottenere l’assenso dal re-sponsabile della comunità per con-durre una vita coniugale secondo iprincipi cristiani.

Resta chiaro che tutto ciò non puòancora deporre a favore della pre-senza di una preghiera liturgica du-rante la celebrazione del matrimonionel primi secoli della Chiesa in Roma.

Consapevole della propria iden-tità, la prima comunità cristiana, in-serita in un contesto ancora del tuttopagano per stile di vita e mentalità,inizia un dialogo (di appropriazione-opposizione) con quanto la circondaassumendone gli aspetti positivi e re-spingendone gli elementi inaccetta-bili. È una delle prime forme di adat-tamento e di convivenza pagano-cri-stiana.

Per quanto riguarda il matrimo-nio, un aspetto di tale convivenza fu

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certamente il problema dei matrimo-ni misti e della libera volontà dei nu-bendi, non certo secondo a quelloassai più importante, per la culturaromana, della sua forma giuridica.

L’accentuazione iussoria di cui il ri-to cristiano del matrimonio si appro-prierà, tra l’altro estremamente neces-saria, è, tra tutte le eredità del mondoromano pervenute fino a noi, quellache più ha influito e influisce ancoroggi nella comprensione e nella lettu-ra della sponsalità cristiana. Pregi e li-miti di tale lettura sono a tutti noti.

Di pari passo ad una coscienza cri-stiana che va sempre più facendosichiara e delineata, la prima comunitàcristiana sviluppa, poco per volta, glielementi che caratterizzeranno la sti-pula matrimoniale sia dal punto di vi-sta sociale, sia da quello religioso.

Non omettendo gli elementi civiliritenuti giuridicamente fondanti ilcontratto matrimoniale, i cristiani po-co per volta porranno le basi per gliaspetti più propri della celebrazioneliturgica: la presenza di un ministroordinato, voce e presenza del Signoree della comunità intera, garante dellapubblicità dell’atto e della volontà li-bera dei nubendi; l’invocazione dellapresenza e azione dello Spirito di Cri-sto, loro Maestro; la celebrazione delgesto nuziale come icone dell’amoredel Cristo sposo per la Chiesa sua spo-sa; l’utilizzo dello scambio degli anellisimbolo di fedeltà e di amore; la ri-chiesta della benedizione divina sullepersone degli sposi e sulle loro futurevicende (es: ‘benedictio in thalamo’); el’utilizzo di gesti significanti la presen-za benigna e avvolgente dello Spirito

santo sulla loro storia d’amore (es: ‘ve-latio nuptialis’).

Quest’ultimi due elementi sarannopropri di una evoluzione posterioredell’esperienza del matrimonio cristia-no (dal IV al X sec.). Il primo riguar-derà soprattutto l’Italia con Roma eMilano. Il secondo, la Gallia, la Spagnae i paesi celtici.

Un ultimo elemento degno di notaè la genesi e il successivo sviluppo del-la celebrazione del matrimonio cristia-no all’interno della celebrazione euca-ristica e la determinazione del luogodella sua liturgia.

Ma anche per questo aspetto dob-biamo riferirci a notizie successive alIV sec. Sono di riferimento in questaricerca i testi eucologici presenti neiSacramentari romani (raccolte di pre-ghiere e/o di formulari liturgici com-posti per una determinata celebrazio-ne e, successivamente, riuniti insiemein varie selezioni).

Tali libri liturgici raccolgono orazio-ni certamente già sedimentate nellapratica ecclesiale, ma prive di una pre-cisa datazione e locazione genetica.Risulta, pertanto, difficile risalire allaloro origine.

La loro esistenza testimonia, tutta-via, del genio cristiano che per secoliha percorso la ricerca di una forma li-turgica per il sacramento del matrimo-nio; di questo avvenimento profanoinformato alla luce della fede in Cristoa motivo dell’urgenza della novità chei primi credenti portavano nella storia,consapevoli delle leggi straordinarie everamente paradossali della loro so-cietà spirituale.

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Il n. 35 delle Premesse al rito del Ma-trimonio, tra “i principali elementidella celebrazione” elenca, al primo

posto “la liturgia della Parola, nellaquale si esprime l’importanza del matri-monio cristiano nella storia della salvez-za e i suoi compiti e doveri nel promuo-vere la santificazione dei coniugi e deifigli” (p. 25).

Già nella prima edizione era presen-te un’abbondante scelta di letture; ora,in questa seconda edizione, il numerodelle pericopi è stato aumentato, finoad un totale di 82 letture (dispiace il fat-to che non sono state numerate), cosìdistribuite:

a) Prima lettura: 16 dell’Antico Testa-mento, 6 del Nuovo (nel Tempo Pa-squale)

b) Seconda lettura: 19 dalle Lettere de-gli Apostoli

c) Vangelo: 23 branid) Salmo responsoriale: 18 Salmi (alcuni

di essi si ripetono)

Al n. 29 delle Premesse si raccoman-da: “secondo l’opportunità, si scelganoinsieme con gli stessi fidanzati le letturedella Sacra Scrittura che saranno com-mentate nell’omelia…”. Ora è chiaroche, per scegliere, i fidanzati dovrebbe-ro averle lette tutte. Non potrebbe que-sta lettura, specialmente se fatta insie-me col sacerdote celebrante, essere unaricca e fruttuosa catechesi sul sacramen-to del matrimonio? Si potrebbe cosìpassare in rassegna tutta la teologia bi-blica del sacramento, dalla Genesi (uo-

mo e donna) all’Apocalisse (lo Spirito ela Sposa).

Grande aiuto per questa preparazio-ne potrebbe essere la Presentazione alLezionario del Matrimonio, che la Con-ferenza Episcopale Italiana offre all’ini-zio del Capitolo IV del Rito. Sono 8 nu-meri abbastanza lunghi, che vanno lettie studiati. Si tratta di criteri di letturadei brani biblici:

“Nelle pagine della Bibbia, il matri-monio - mysterium magnum - è unarealtà costante e molteplice”. Se ne par-la - come dicevo - “dalla creazione dellaprima coppia, fatta ad immagine diDio”, fino all’Apocalisse, dove si ha ilcompimento della storia della salvezza“nell’incontro finale dell’Agnello con laGerusalemme celeste, contemplato co-me un incontro sponsale”. Bisogna per-ciò inserire ogni brano che si legge inquesta visione d’insieme, perché “ognisingolo brano in se stesso è insufficientea dire tutta la ricchezza del matrimo-nio”. È necessario altresì ricordare che laBibbia ci presenta una progressiva evo-luzione, nella linea della pedagogia di-vina, che vuole purificazione le devia-zioni che l’uomo ha introdotto (la poli-gamia, il ripudio, la mortificante conce-zione della donna, vista talvolta come“proprietà” dell’uomo) riportando ilmatrimonio alla “santità della sua pri-ma origine”, anzi a esprimere già nel se-gno quell’unione tra Cristo e la Chiesache si compirà nel mondo futuro (senzabisogno del segno).

Se i brani della Genesi, dalla creazio-ne della coppia, benedetta da Dio, ai

Il lezionario del matrimonio di p. Ildebrando Scicolone, osb

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matrimoni con la benedizione di Isaccocon Rebecca e di Giacobbe con Rachele(a cui si aggiunga quello di Tobia conSara), manifestano che il matrimoniounico e indissolubile sono voluti dalCreatore, i testi profetici di Isaia, Gere-mia, Ezechiele, Osea, come pure il testodel Cantico dei Cantici, mostrano che“nella Scrittura è chiara la coscienza cheMatrimonio e Alleanza sono realtà mi-steriosamente collegate” (n. 4).

Al n. 7 della Presentazione del Lezio-nario si mette in luce che le varie perico-pi “illuminano le dimensioni del vivereda credenti la realtà del matrimonio”:

la dimensione ecclesiologica, per nonchiudere la celebrazione del matrimo-nio in un limitato orizzonte di semplicerapporto personale e di puro avveni-mento familiare;

la dimensione pneumatologica, … inquanto lo Spirito Santo è fonte dell’a-more (vedi Ezechiele 36 e Rm 5,5; Gv 14,16-17);

l’aspetto di vocazione-missione cheha la nascita di una famiglia cristiana, eil ruolo che ne consegue di essere segnodel mistero divino e della vita trinitaria;

il tema di Cristo-sposo proposto co-me mistero in cui immergere tutta la vi-ta di coppia… (vedi i testi paolini di Efe-sini 5, Gv 2; Gv 3,29; Ap19).

Il n. 8 presenta le varie aree temati-che del Lezionario, che qui riassumo:

Amore sponsale e carità del Padre: lavita trinitaria come fonte e modello del-l’amore sponsale cristiano (cfr Rm 5,5; 1Gv 4,7-12; Gv 17,20-26)

Il matrimonio nel mistero di Cristo edella Chiesa (cfr Ef 5; Gv 3,28-29)

Spirito Santo e matrimonio (cfr Ef5, Gv 14, 12-17)

Matrimonio e alleanza (cfr Osea,Geremia 31, Ezechiele 16)

Famiglia, Chiesa domestica (cfr Efe-sini, Colossesi, 1 Pietro, Matteo 5)

Valore della persona nel matrimo-nio (vedi i testi di Matteo 5 e 19)

Matrimonio e fedeltà; amore gra-tuito e capace di perdono (cfr Osea,Ezechiele, Matteo 18,19-22)

Matrimonio e preghiera (cfr Tobia8, 4b-8; Colossesi)

Il valore del corpo (cfr 1 Corinzi 6,13-15. 17-20).

Oltre a tutte queste letture, se nepotrebbero utilizzare altre? A miomodesto giudizio, sì. Il rapporto spon-sale, per esempio, tra Cristo e la Chie-sa si potrebbe vedere già nel Prologodel Vangelo di Giovanni. La divinità siè unita “indissolubilmente” all’uma-nità, quando “il Verbo si è fatto car-ne” (in qualche rito orientale, si leggeil Prologo nella Messa di fidanzamen-to). Tale unione sponsale poi si è con-sumata sulla Croce, quando la Sposa(la Chiesa) è stata tratta “dal costatodi Cristo che dorme sulla Croce” (cfrGv 19,34). Stranamente, a mio avviso,questi brani non sono presenti nel Le-zionario.

La Parola di Dio che illumina il si-gnificato cristiano del matrimonio ètanto importante che anche quando sicelebra in una solennità o domenicadei tempo forti, pur dovendosi usare illezionario domenicale e festivo, “unadelle letture può essere scelta traquelle previste per la celebrazione delmatrimonio” (Premesse, n. 34).

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Culmine e Fonte 2-2005 11

IL MATRIMONIO NELLA CELEBRAZIONE EU-CARISTICA

Le norme generali prevedono chesi celebri la messa rituale “per glisposi” con il suo lezionario e la

possibilità di proclamare tre letture.Tuttavia, nelle solennità, nelle domeni-che di Avvento, Quaresima e Pasqua sicelebra la messa del giorno con le lettu-re proprie. Parimenti, se il matrimonioè celebrato di domenica, nella messa acui partecipa la comunità parrocchiale,si mantiene il lezionario del giorno, maviene data facoltà di sostituire una let-tura con una pericope scelta tra quellepreviste per la celebrazione del matri-monio (cf. Rito del Matrimonio. Pre-messe generali, n. 34). Vediamo tre ele-menti che richiedono attenzione nellapreparazione della celebrazione.

I lettori. La proclamazione richiedeil servizio di lettori preparati. Qualchevolta si vedono gli sposi stessi assumerequesto servizio: una scelta che sembrarispondere al desiderio di un loro mag-giore coinvolgimento nella celebrazio-ne, ma che in realtà non va nel senso diuna ministerialità correttamente intesa.Gli sposi quel giorno hanno un altrocompito e, proprio per questo, sono iprimi destinatari dell’annuncio. Neppu-re si può sostenere che essi annunzinoalla comunità la Parola che è a fonda-

mento della loro nascente famiglia: laParola viene dalla libera, amorevole esalvifica azione di Dio, e non va ridottaalla comunicazione interpersonale diun messaggio toccante o significativoper il singolo o per la coppia. Sarebbeopportuno affidare questo servizio acoloro che davvero hanno annunziatola Parola agli sposi nel corso della lorovita. In primo luogo i genitori, se glisposi provengono da contesti di fedevissuta e… se l’emozione non minacciabrutti scherzi. Quindi i parenti e gliamici, non esclusi gli stessi testimoni. Enon dimentichiamo i catechisti della co-munità, coloro che hanno accompagna-to i fidanzati al matrimonio, qualora lapreparazione abbia creato rapporti diamicizia che si suppone possano conti-nuare anche dopo il matrimonio.

La venerazione al libro dei Van-geli. Con questo gesto la Chiesa italia-na estende agli sposi il gesto di venera-zione solitamente computo dal diaconoo dal sacerdote al termine della procla-mazione dell’evangelo. Lo svolgimentoè semplice: il ministro ordinato che haproclamato l’evangelo bacia l’evange-liario, quindi lo reca agli sposi e lo offrealla loro venerazione (cf. Rito del Matri-monio, n. 63). L’assemblea attende inpiedi il compimento del gesto e, conquesto segno di presenza vigile, si asso-cia a esso. Nel rito armeno, da cui pro-

Lo svolgimento rituale della liturgia dellaparola nella celebrazione del matrimonio

di Adelindo Giuliani

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viene, questo gesto non è esclusivo del-la celebrazione nuziale ma è la prassi li-turgica normale e non segue, ma prece-de la proclamazione del Vangelo. Perevitare segnalibri svolazzanti e straneacrobazie con un libro di grande for-mato aperto, sarà bene che il ministrochiuda il libro, lo porti chiuso, con evi-denza ma senza ostentazione davantiagli sposi, lo riapra dinanzi a loro por-gendo al bacio il testo, non la copertinao il frontespizio. Il gesto suppone lapresenza e l’uso dell’evangeliario. Èdavvero auspicabile che non ci sia sol-tanto una copia del rituale che passa dimano in mano e da luogo in luogo: pri-ma la sede, poi l’ambone, infine l’alta-re. Né si deve temere che l’eventualerossetto della sposa sporchi il libro.

Il dono della Scrittura. In idealecontinuità con il momento dell’annun-cio, al termine della celebrazione è pos-sibile che il ministro doni agli sposi il li-bro della Sacra Scrittura. Il rito collocaquesto momento fuori della celebrazio-ne, dopo il congedo, la lettura dell’attoe le firme. Non si tratta quindi di un ge-sto liturgico in senso stretto, quantopiuttosto del momento di passaggiocon cui la comunità accompagna glisposi alla nuova vita di famiglia. A ogninuova coppia i parenti e gli amici dona-no ciò che servirà per la vita quotidiana:è un segno di vicinanza festosa e al con-tempo concreta. Perché la comunità cri-stiana, o il sacerdote amico che ha pre-sieduto l’eucaristia, dovrebbero restarnefuori? E perché la Bibbia non dovrebbeentrare a pieno titolo tra i doni che ser-vono alla vita quotidiana della nuovafamiglia? Anche se gli sposi avessero co-nosciuto la comunità solo di recente,

nell’occasione specifica della prepara-zione al matrimonio, il dono potrebbeessere gradito proprio perché inatteso.

IL MATRIMONIO NELLA CELEBRAZIONE DEL-LA PAROLA

In questo caso la proclamazione del-la Parola si rivolge in modo particolarea persone che chiedono il matrimoniocristiano ma che, pur essendo stati bat-tezzati, non hanno avuto modo di com-piere il cammino della mistagogia, nonhanno di fatto scoperto il valore del do-no ricevuto, non conoscono adeguata-mente l’annunzio di salvezza. Il mini-stro può introdurre la proclamazionecon una monizione che esprime, contre verbi di rivelazione, l’auspicio che laParola “illumini il cammino dei coniugi,apra alla ricchezza della vita ecclesiale,riveli l’amore di Cristo sposo per laChiesa sua sposa”. Il rituale suggeriscepoi cinque schemi di letture particolar-mente indicati alla situazione. Si man-tiene la venerazione del vangelo dopola proclamazione. A differenza del ma-trimonio nella celebrazione eucaristica,la consegna della Bibbia si configuracome una vera e propria traditio, noncollocata dopo il congedo, ma all’inter-no del rito, prima della benedizioneconclusiva. La consegna è accompagna-ta da una formula eloquente: “Ricevetela parola di Dio. Risuoni nella vostra ca-sa, riscaldi il vostro cuore, sia luce ai vo-stri passi. La sua forza custodisca il vo-stro amore nella fedeltà e vi accompa-gni nel cammino incontro al Signore”.

È appena il caso di notare che l’au-tenticità della consegna esige che ci siaun vero dono, e che non si compia unaconsegna fittizia usando il lezionariodella chiesa.

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Q uale annuncio di fede vienedato ai giovani che chiedono ilmatrimonio cristiano?

Quali le loro attese e quale propo-sta ricevono dalla comunità cristiana?

La redazione di “Culmine e fonte”ne ha parlato con mons. Romano Ros-si, da 15 anni parroco di Nostra Signo-ra di Coromoto al quartiere Monte-verde, in Roma.

Don Romano, chi sono i giova-ni che si presentano a chiedere ilmatrimonio cristiano e che cosala comunità cristiana ha da offrireloro?

Sono ragazzi di oggi, pochissimidei quali hanno una storia di fedecoltivata alle spalle. Attrattiin maniera talvolta piut-tosto vaga a celebra-re il matrimonioreligioso, po-tremmo dire dalcuore, dall’e-motività, dallat r a d i z i o n e ,ma potrem-mo anche di-re attratti dal-lo Spirito San-to che operanel caratterebattesimale.

Ordinariamentenon si può dire che il

corso matrimoniale sia in testa ai lorodesideri, in genere viene subìto. Concortesia certo, con educazione, ini-zialmente almeno senza entusiasmo.

La comunità cristiana può offriretutto loro, dato che questi ragazzinon mancano di disponibilità: sono li-bri aperti. L’offerta della comunitànaturalmente deve fare i conti con ilnumero piuttosto limitato di incontriche vengono fatti; nella nostra par-rocchia sono dieci e quindi il grossorischio è l’effetto di acqua che piovenel deserto: gocce o acquazzoni chenon riescono a permeare in profon-dità una terra troppo arida.

La comunità cristiana può offrireun’occasione significativa, rivolta so-prattutto a chi viene da più lontano,

per far loro scoprire “che co-sa si sono persi”, per far

nascere il desiderio diciò che eventual-

mente potrebbe-ro trovare. L’o-biettivo non èquello di pun-tare semplice-mente a unabella celebra-zione del ma-trimonio, nep-

pure si puòpretendere di

mettere in primis-simo piano la pre-

sentazione o l’ap-

La catechesi in preparazioneal matrimonio

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profondimento di una elaborata teo-logia del matrimonio, perché manca-no gli elementi di base, ma può esse-re realistico pensare a un’interessan-te, positiva occasione, in un momentomolto bello della loro esistenza, dimostrare che la fede, l’esperienza cri-stiana, l’inserimento nella Chiesa puòentrare nella lista di nozze e può oc-cupare il primo posto tra i desideratada porre a fondamento della nuovafamiglia.

Qualche volta i fidanzati rac-contano che, accostandosi allaparrocchia, si aspettavano di subi-re un predicozzo moralistico. In-vece sentono parlare per la primavolta di un Dio che è amore. Qual-che volta dicono: ma queste cosenon ce le aveva mai dette nessu-no! Accade davvero?

È un bellissimo complimento per leparrocchie questo. Succede, e nonfrequentemente, ma sempre. Certo,sarebbe importante anche discuterecerti temi di vita morale, comporta-menti, fatti, ma la priorità è cercaredi ricucire il discorso lì dove era statotagliato, dove era stato interrottonell’adolescenza, come purtroppo ac-cade per la maggior parte delle per-sone (almeno nelle nostre comunitàdi una grande città).

Va detto anche che, se nessunoha mai parlato loro di Dio, quasisempre questo è accaduto perchénon è stato permesso farlo: nelleparrocchie si innescano fraintesi, gio-chi delle parti per cui l’interlocutorenon ha modo di spiegarsi, o magari irapporti sono stati rotti prima che

l’adolescente arrivasse a un’età (e auna maturità) che potesse consentiredi recepire e valorizzare un discorsocon un minimo di spessore di signifi-cato. E così, alle soglie del matrimo-nio, scoprono come sorpresa piace-vole ciò che poteva essere disponibi-le da molto tempo, se solo lo si fossevoluto.

Che ne è di questo rinnovatointeresse dopo il matrimonio? So-no molti quelli che vanno a viverein un’altra zona, tagliando perforza di cose i ponti con la comu-nità che li aveva accolti?

Nel mio quartiere il problema delcambio di domicilio riguarda addirit-tura il 95% delle persone. Questocomplica molto le cose, perché se legiovani coppie rimanessero in zonasarebbe possibile una qualche formadi contatto. Del resto non possiamoignorare la realtà di fatto: l’inizio del-la vita matrimoniale è un periodo dif-ficile, anche dal punto di vista pura-mente organizzativo: devi prenderein mano una casa, entrambi lavoranofuori casa e spesso lontano, rientranotardi, abitano in un quartiere nuovo,la settimana è terribile e nel fine set-timana confluisce tutto quello chenon si è fatto nei giorni precedenti,dalla spesa alle faccende domestiche.E poi bisogna mantenere i rapporticon le famiglie di origine, con gli ami-ci… Inserirsi organicamente nella vitadella parrocchia diventa veramentemolto difficile.

Questi sono i dati di fatto. Se la co-munità cristiana semina bene, comun-que viene lanciato un segnale: ver-

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ranno momenti più propizi nei qualiil discorso potrà essere ripreso. D’altraparte va detto che nel mondo di oggiè molto difficile riuscire a conservaree a coltivare la fede se ci si limita al“minimo sindacale” della messa do-menicale: è fondamentale una qual-che forma di contatto, di partecipa-zione e, soprattutto, di formazionepermanente, ricca di stimoli e di con-tenuti.

Qual è l’idea forte, il messag-gio centrale che si cerca di farpassare nella catechesi per il ma-trimonio?

Credo che sia fondamentale inqua-drare molto bene la tematica: il ma-trimonio va presentato all’interno delmistero cristiano, che è essenzialmen-te un mistero di comunione nuziale,di vita nuova che nasce dalla comu-nione con il Signore. Questa idea cen-trale offre spunti e addentellati for-midabili che consentono distrutturare una cateche-si in diverse seratevolta a presentareil mistero cristia-no. È evidenteche il tempo èmolto poco:facciamo dieciincontri, ognidue incontridi annuncioce n’è uno diverifica ingruppi più pic-coli, con la guidadi alcune coppie. Inquesto modo è possi-

bile verificare in qualche modo l’assi-milazione dei contenuti proposti eanche lasciare che, in un colloquiofranco tra laici, emerga un linguaggiocomune, fondato proprio sull’espe-rienza della vita cristiana laicale.

Sicuramente poi bisogna esseremolto attenti a salvaguardare lo spe-cifico dell’annuncio cristiano. Viviamoin un ambiente pluralistico, dove cisono persone che fanno scelte diver-se: matrimoni civili, convivenze… E cisono coppie che comunque sono feli-ci. Non si può assolutizzare la propo-sta dicendo che il matrimonio cristia-no è l’unica, imprescindibile ricettaper la felicità: sarebbe un discorsofuori del mondo.

Il problema è quello di dire: “se seicristiano, se sperimenti l’incontro conil Signore, hai una vita diversa da chinon è cristiano. Scopri l’amore, scoprila comunione con il Signore, scopri ildono della speranza”. Lo stesso si diràall’interno del matrimonio: “Nel sa-

cramento hai la grazia di vi-vere in Cristo ciò che si

può vivere anche daun punto di vista

umano”. Tuttoquesto vienedetto, ma èe v i d e n t equanto sareb-be importan-te poter ap-profondire ilrapporto con i

giovani aiutan-doli a trasforma-

re l’annuncio rice-vuto in esperienza

vissuta.

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16 Culmine e Fonte 2-2005

La possibilità di contestualizza-re il matrimonio o nella celebra-zione eucaristica o nella celebra-zione della Parola, a seconda del-la verità esistenziale degli sposi,può aiutarli ad acquisire consape-volezza del sacramento o rischiadi diventare nella percezione co-mune - per quanti sforzi si faccia-no in direzione contraria - un ma-trimonio di serie B?

L’intenzione del legislatore sicura-mente è interessante ma temo che lacapacità di ricezione da parte dei piùvi vedrà facilmente una scelta puniti-va. Del resto in questi casi il sacerdotecerca sempre di far leva sulla serietàdel momento per riscoprire i sacra-menti della Penitenza e dell’Eucari-stia. C’è un altro problema: difficil-mente la gente comprenderà un riav-vicinamento progressivo all’Eucaristiase non vede altrove, nel nostro mododi porci e di essere Chiesa, una gra-dualità nell’iniziazione. Per loro lamessa è tutto e senza messa non c’èniente. A ciò si aggiungono il rispettoumano e la convenzione sociale: “Mai parenti che diranno, la gente chepenserà”?

Dopo il matrimonio la giovanecoppia va incontro a tutte le diffi-coltà del cambiamento: nuovi rit-mi, ricerca di nuovi equilibri… Icatechisti che li hanno preparatial matrimonio restano punti di ri-ferimento per gli inizi della vitaconiugale?

Le persone significative rimangonotali, almeno per quei pochissimi che si

stabiliscono in zona. Fondamental-mente però il problema è un altro:noi diamo un annuncio, ma quando ifidanzati arrivano alla parrocchia or-mai la scelta è fatta.

Ora: il matrimonio è fatto di graziae di natura, è fatto di teologia, di fe-de, di preghiera, di formazione cri-stiana ma si fonda soprattutto sull’aver individuato la persona giusta:“gratia supponit naturam; non substi-tuit, perficit”. Se è sbagliata la perso-na, se non c’è incontro, è molto fati-coso ogni ricupero di carattere volon-taristico e si rischia di andare incontroa nevrosi o a situazioni variamentepatologiche che fanno saltare il ma-trimonio.

Si tocca il grande tema dellepersone che hanno sperimentatoil fallimento della vita coniugale.Molti però sentano il bisogno diDio, e forse lo scoprono proprioin questi momenti di crisi. Unastatistica recente segnalava cheper molti il secondo matrimonioè quello buono perché il primofallimento arriva anche a fare lu-ce sugli sbagli commessi. A que-ste persone cosa ha da dire la co-munità parrocchiale?

La comunità parrocchiale condivi-de la sofferenza che essi portano den-tro di sé, si unisce a loro nella pre-ghiera, li invita a non staccarsi dall’a-scolto della Parola e dal cammino del-la Chiesa.

Di certo restano situazioni di estre-ma difficoltà che richiedono tutta lasollecitudine fraterna di cui la comu-nità è capace.

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Il terzo capitolo dell’Istruzione Re-demptionis Sacramentum è dedicatoalla “Retta celebrazione della Santa

Messa”. Innanzitutto si definisce la ma-teria della Santissima Eucaristia: “il pa-ne utilizzato nella celebrazione del san-to Sacrificio eucaristico deve essere az-zimo, esclusivamente di frumento epreparato di recente, in modo che nonci sia alcun rischio di decomposizione”.Si sottolinea che costituisce grave abusointrodurre nella confezione del paneper l’Eucaristia altre sostanze, comefrutta, zucchero o miele. “In ragionedel segno espresso, conviene che qual-che parte del pane eucaristico ottenutodalla frazione sia distribuito almeno aqualche fedele al momento della Co-munione”, senza comunque escluderele particole quando il numero dei co-municandi o altre ragioni pastorali loesigono. Il vino utilizzato nella celebra-zione “deve essere naturale, del fruttodella vite, genuino, non alterato, nécommisto a sostanze estranee… Con lamassima cura si badi che il vino destina-to all’Eucaristia sia conservato in perfet-to stato e non diventi aceto.”

La recita della preghiera eucaristica,che è “come il culmine dell’intera cele-brazione”, è propria del Sacerdote, inforza della sua ordinazione e quindi“deve essere interamente recitata dalsolo Sacerdote”, senza affidarne alcu-ne parti ad altri. “Mentre il Sacerdotecelebrante recita la Preghiera eucaristi-ca, non si sovrappongano altre orazio-ni o canti, e l’organo o altri strumenti

musicali tacciano, salvo che per le ac-clamazioni del popolo”. L’assembleapartecipa alla preghiera eucaristica invario modo: con fede e in silenzio, conle risposte nel dialogo del Prefazio, conil Santo, l’acclamazione dopo la consa-crazione e l’Amen dopo la dossologiafinale, e altre acclamazioni approvate.Viene inoltre definito un abuso controla tradizione della Chiesa il fat-to che il sacerdote spezzi l’o-stia al momento della consa-crazione. Le preghiere eucari-stiche ammesse sono soltantoquelle “che si trovano nelMessale Romano o legittimamente ap-provate dalla Sede Apostolica secondoi modi e i termini da essa definiti”. I sa-cerdoti non possono arrogarsi “il dirit-to di comporre preghiere eucaristicheo modificare il testo di quelle approva-te dalla Chiesa, né adottarne altrecomposte da privati”.

Passando in rassegna le altre partidella messa, l’Istruzione ricorda comesia diritto della comunità dei fedeli“che ci siano regolarmente, soprattut-to nella celebrazione domenicale, unaadeguata e idonea musica sacra e,sempre, un altare, dei paramenti e sa-cri lini che splendano, secondo le nor-me, per dignità, decoro e pulizia”. Lacelebrazione dell’Eucaristia deve poiessere “diligentemente preparata intutte le sue parti”, e non è lecito néper i sacerdoti né per i fedeli mutare ealterare “a proprio arbitrio qua e là itesti della sacra Liturgia da essi pro-

Testi edocumenti

Redemptionis sacramentum (3) di Stefano Lodigiani

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nunciati”. In questo modo infatti “ren-dono instabile la celebrazione della sa-cra Liturgia e non di rado ne alterano ilsenso autentico”.

Dal momento che la Liturgia dellaParola e la Liturgia Eucaristica “sonostrettamente congiunte tra loro e for-mano un solo atto di culto”, non è con-sentito separare una parte dall’altra,celebrandole in tempi e luoghi diffe-renti, o addirittura celebrare singole se-zioni della santa messa in vari momenti

dello stesso giorno. Le letturebibliche da proclamare devo-no essere scelte secondo lenorme dei libri liturgici, senzaometterle o sostituirle di pro-pria iniziativa con altri testi

non biblici. La lettura del Vangelo nellasacra liturgia è poi riservata, secondo latradizione della Chiesa, al ministro ordi-nato. Non è pertanto consentito a unlaico, o anche a un religioso, proclama-re il Vangelo durante la celebrazionedella santa messa, e neppure negli altricasi in cui le norme non lo permettanoesplicitamente. L’omelia della santamessa di solito è tenuta dallo stesso sa-cerdote celebrante o da lui affidata aun concelebrante, o talvolta, secondol’opportunità, anche al diacono, maiperò a un laico. L’omelia deve essere in-centrata strettamente sul mistero dellasalvezza, “esponendo nel corso dell’an-no liturgico, sulla base delle letture bi-bliche e dei testi liturgici, i misteri dellafede e le regole della vita cristiana e of-frendo un commento ai testi dell’Ordi-nario o del Proprio della Messa o diqualche altro rito della Chiesa.” Non èlecito inserire altre forme di professio-ne di fede nella messa che non siano

desunte dai libri liturgici debitamenteapprovati per l’uso liturgico.

Le offerte che i fedeli sono solitipresentare per la liturgia eucaristicapossono comprendere anche altri doni,oltre al pane e al vino che vengonoportati dai fedeli sotto forma di dena-ro o altri beni per la carità verso i pove-ri. “I doni esteriori devono, tuttavia, es-sere sempre espressione visibile di quelvero dono che il Signore aspetta danoi: un cuore contrito e l’amore di Dioe del prossimo, per mezzo del qualesiamo conformati al sacrificio di Cristoche offrì se stesso per noi”. Le offerteesteriori siano presentate in modo ade-guato, quindi il denaro, come altre of-ferte per i poveri, “siano collocati in unluogo adatto, ma fuori della mensa eu-caristica”.

Secondo la tradizione del Rito ro-mano, l’uso di scambiare la pace primadella comunione, “non ha connotazio-ne né di riconciliazione né di remissio-ne dei peccati, ma piuttosto la funzio-ne di manifestare pace, comunione ecarità prima di ricevere la SantissimaEucaristia”. È infatti l’atto penitenzialeall’inizio della messa che ha caratteredi riconciliazione tra i fratelli. Convieneche ciascuno dia la pace soltanto a co-loro che gli stanno più vicino, in modosobrio. Il sacerdote può dare la pace aiministri, rimanendo tuttavia semprenel presbiterio, per non disturbare lacelebrazione.

La frazione del pane eucaristico,che va fatta soltanto a opera del sa-cerdote celebrante, con l’aiuto, se è ilcaso, di un diacono o del concelebran-

Testi edocumenti

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te, ma non di un laico, inizia dopo loscambio della pace, mentre si recital’«Agnello di Dio». Il rito deve essereeseguito con grande rispetto ma intempi brevi, per non attribuirgli un’e-sagerata importanza.

Se vi fosse l’esigenza di fornireinformazioni o testimonianze di vita

cristiana ai fedeli radunati in chiesa, ègeneralmente preferibile che ciò av-venga al di fuori della messa. Tuttaviasi possono offrire tali informazioniquando il sacerdote abbia pronunciatola preghiera dopo la comunione. Que-sto uso, tuttavia, non diventi consueto,né tali informazioni e testimonianzeassumano un senso tale da poter esse-re confuse con l’omelia.

Questo terzo capitolo dell’Istruzionesi chiude con alcune indicazioni riguar-danti la celebrazione della san-ta messa unitamente a un al-tro rito, specialmente dei sa-cramenti. In particolare si sot-tolinea che non è lecito unireil sacramento della Penitenzacon la santa messa in modo tale che di-venti un’unica azione liturgica. Riguar-do al luogo della celebrazione, “in nes-sun modo si combini la celebrazionedella santa Messa con il contesto di unacomune cena, né la si metta in rappor-to con analogo tipo di convivio. Salvoche in casi di grave necessità, non si ce-lebri la Messa su di un tavolo da pranzoo in un refettorio o luogo utilizzato pertale finalità conviviale, né in qualunqueaula in cui sia presente del cibo, né co-loro che partecipano alla Messa sieda-no a mensa nel corso stesso della cele-brazione”. Non è lecito poi collegare lacelebrazione della messa con eventi po-litici o mondani o con circostanze chenon rispondano pienamente al magi-stero della Chiesa cattolica. Infine, vaconsiderato nel modo più severo l’abu-so di introdurre nella celebrazione ele-menti contrastanti con le prescrizionidei libri liturgici, desumendoli dai riti dialtre religioni. (continua)

Testi edocumenti

Frangos Katelanos di Tebe, Cristo Pantocratore,icona, Meteore, monastero di Barlaam,

Chiesa di Ognissanti, sec. XVI

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FORMAZIONE LITURGICA

20 Culmine e Fonte 2-2005

L a vita del cristiano, piena dellagrazia di Dio comincia con ilbattesimo. Questa grazia vie-

ne persa nel tempo, in più o grandeparte, perché non si va radicando

nella vita. Viene a mancarela forza di resistere alle ten-tazioni che si affacciano allanostra mente. Il Padre ci of-fre il mistero del pentimen-to proprio per questo moti-vo: “Figlioli miei, vi scrivo

queste cose perché non pec-chiate; ma se qualcuno ha peccato,abbiamo un avvocato presso il Padre:Gesù Cristo giusto. Egli è vittima diespiazione per i nostri peccati; nonsolo per i nostri, ma anche per quellidi tutto il mondo” (1 Gv 2,1-2). Inquesto consiste il pentimento: se haipeccato, riconosci il peccato e penti-ti, così da ricevere il dono che Diovuol farti: “Vi darò un cuore nuovo,metterò dentro di voi uno spiritonuovo, toglierò da voi un cuore dipietra e vi darò un cuore di carne.Porrò il mio spirito dentro di voi e vifarò vivere secondo i miei statuti e vifarò osservare e mettere in pratica lemie leggi” (Ez 36,26-27). Se conside-riamo il fatto che tutti cadiamo e ciallontaniamo dalla grazia del batte-simo, possiamo dire che il pentimen-to costituisce la fonte unica di veravita cristiana.

La persona che vive nel peccatopossiede alcune speciali caratteristi-che. Quando ci si allontana da Dio, lapersona si concentra su se stessa e fadi sé lo scopo principale della sua vita.

La grazia di Dio agisce svegliandoil peccatore dal sonno del peccato.Chi viene svegliato vede la sua de-bolezza, riconosce il pericolo di que-sta situazione, incomincia ad averetimore per se stesso e ad avere acuore la salvezza dalla sua situazio-ne. È come se prima era cieco, insen-sibile e non preoccupato per la sal-vezza, mentre ora vede e acquistasensibilità.

Molto spesso i Padri hanno medi-tato con attenzione questo tema delpentimento, così come questi esempiseguenti ci dimostrano.

San Gregorio NazianzenoFai che ciascuno porti a Dio i frutti

che egli può, in ogni momento, inogni passaggio della vita e in ognioccasione, secondo la misura dellesue capacità in relazione ai doni cheha ricevuto. Fai che l’uno porti i suoibeni, un altro il fatto di non averenulla; l’uno porti la sua elemosina,l’altro l’elemosina ricevuta; l’uno lasua vita ascetica piena di virtù, l’altroil suo spirito contemplativo purifica-to; l’uno una parola nel tempo favo-revole, un altro un silenzio carico di

La vita cristiana cominciacon il mistero del pentimento

di don Giovanni Biallo

InDialogo

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FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 2-2005 21

lode; l’uno un insegnamento impec-cabile, un’ altro l’incapacità ad impa-rare; l’uno una verginità senza mac-chia che lo separa dal mondo, un al-tro un matrimonio giusto che non losepara interamente da Dio; l’uno undigiuno senza vanagloria, un’altrouna dieta senza intemperanza; l’unol’assenza di distrazione nella pre-ghiera e l’altro l’attenzione verso lenecessità degli altri. Fai che ciascunoabbia lacrime, purificazione, che cia-scuno porti progressi e una spintacostante verso il miglioramento.

San BasilioPerché, mi domandarono, qualche

volta, senza ragione, l’anima è spon-taneamente addolorata ed entra inuno stato di pentimento? Perché in-vece altre volte non prova dolore, èincapace di pentimento anche facen-do violenza su se stessa? Così repli-cai: “Il pentimento di questo tipo èun dono di Dio, sia nel risvegliarsidel desiderio, così che l’anima laquale ha una volta assaggiato la dol-cezza di questa tristezza lotterà permantenerla, sia nel fatto che l’animacon più grande forza può restare instato di pentimento in ogni momen-to ed in ogni luogo, così che diventa-no non scusabili tutti coloro che laperdono attraverso l’indolenza.

Nicodemo AgioritaIl motivo per cui il pentimento

deve essere perpetuo è perché ognipeccato è come una ferita. Per quan-to possa guarire bene una ferita, lacicatrice, l’impronta del peccato ri-mane nell’anima. È impossibile eli-minarla completamente. Coloro che

hanno rubato, fornicato, ucciso, nonpossono ritornare così innocenti epuri come se non avessero commes-so nulla. Proprio per questo, ognivolta che il peccatore pensa ai pec-cati che ha commesso e osserva la ci-catrice, il marchio della sua ferita,non può non rattristarsi, piangere epentirsi, anche se questa ferita è or-mai guarita.

San BasilioSe non riusciamo a realizzare il

pentimento, anche usandomezzi forti, trovando la mi-sericordia di Dio, semprepronto ad appoggiare glisforzi di un sincero penti-mento, questo dimostra lanon curanza che abbiamoavuto in altri momenti. Nonsi può infatti ottenere ciò occasional-mente, ma solo attraverso una conti-nua applicazione, con molti ed assi-dui esercizi. Questo mostra inoltreche l’anima è dominata da altre pas-sioni, che non la lasciano libera di se-guire i suoi desideri, come dice l’apo-stolo, “io sono di carne, venduto co-me schiavo del peccato… perciò nonfaccio ciò che voglio, ma faccio ciòche detesto”. E ancora, “Non sonoperciò più io a farlo, ma il peccatoche abita in me”. Dio permette checiò avvenga in noi, così da dare all’a-nima un senso per la comprensionedella sua schiavitù attraverso ciò chesoffre contro la sua volontà. Cosìcomprende la sua debolezza nell’es-sere lo schiavo involontario del pec-cato, e può arrivare a risvegliare sestesso per fuggire alla trappola delmaligno.

InDialogo

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La parola di Dio celebratadi don Nazzareno Marconi

II DOMENICA DI PASQUA A3 aprile 2005Il dono di Gesù Risorto

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (2,42-47)

La prima lettura di questa domenica, pre-sentando il bellissimo quadro della primitivacomunità cristiana che vive in concordia espirito di fede non ci vuol dare una lezionemorale, ma solo mostrarci quanto è potentela resurrezione di Cristo. Guardando al grup-po degli apostoli e discepoli da cui questacomunità ha avuto inizio, con le loro vigliac-cherie ed egoismi, con le loro grettezze e li-miti umani che trasparivano così bene duran-te la vita di Gesù, c’è da stentare a credereche siano diventati una comunità che ha “uncuore solo ed un’anima sola”. Questo è ilgrande miracolo della resurrezione. Gesù ri-sorto è vivo e attivo entro la sua comunità,entro la Chiesa, e la sua azione si dimostranei fatti, nei cuori cambiati, nella capacitàche dona all’umanità di vivere da fratelli.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Pietro apostolo(1,3-9)

Nel quadro di una grande catechesi batte-simale, Pietro spiega ai cristiani la naturadella loro nuova esistenza. Essi vivono già inanticipo qualcosa della condizione dei risor-ti, perché sono stati strappati a un mondocorrotto che incancreniva il loro cuore. È an-cora lungo il cammino da fare per superaregli ostacoli che si frappongono al raggiungi-mento della salvezza, segnata dal ritorno delSignore nella gloria. Ma i credenti sono già

sollevati dalla speranza e dalla gioia. La sal-vezza è presente.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (20,19-31)

Quando una persona viene colpita da unaimprovvisa e intensa gioia, come anche daun improvviso e intenso dolore, lo accogliecon tutta se stessa e ne fa una esperienza in-tensa, totalizzante. Ma, a esser sinceri, nonha capito molto di quanto le è avvenuto. Sarànecessario un po’ di tempo, una paziente eun po’ distaccata rilettura dei fatti, perché al-la comprensione del cuore faccia seguito an-che la comprensione della mente. È questoche storicamente avvenne ai discepoli con larisurrezione di Gesù. Questo la Chiesa ci fa

Francesco Sarakenopoulos, Incredulità di Tommaso,icona, sec. XVI

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La parola di Dio celebrata

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vivere durante queste domeniche di pasqua.È tempo di riflessione, di confronto serenocon il mistero che abbiamo incontrato nellanotte e nel giorno di pasqua.

Il Signore risorto, che appare ai suoi disce-poli ancora isolati dentro un mondo ostile, oalmeno indifferente, li saluta augurando “pa-ce”. Non è un semplice augurio che resta sen-za effetto. A esso Gesù aggiunge subito un do-no: lo Spirito Santo. Con la forza di questo do-no e in risposta all’augurio ricevuto essi saran-no inviati a farsi portatori di questa pace finoai confini del mondo. Gli apostoli, annunciato-ri della Buona Novella, non saranno più glistessi. Animati dalla forza che viene da Dio, loSpirito Santo, diventeranno fondatori di comu-nità dove sarà finalmente possibile vivere inpienezza, sperimentando la vita dei risorti.

Tommaso, tutto preso dalla sua ricerca divedere e di toccare la concretezza di questapromessa, incontrerà il Signore risorto e cre-derà. Noi siamo chiamati a fare lo stesso in-contro, per poter credere anche senza vedere.Infatti si può credere senza aver visto Gesùrisorto con gli occhi fisici, ma non senzaaverlo incontrato vivo e vero, senza averlovisto con gli occhi della fede che nasce pro-prio quando si aprono per noi quegli occhiche sanno vedere il mistero.

ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE4 aprileMaria è salutata come la piena di grazia

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaia (7,1-14)

Durante le ore buie del regno di Giuda,mentre l’invasione assira si fa minacciosa, il

profeta Isaia annuncia al re di GerusalemmeAcaz che nonostante la sua infedeltà Diotuttavia rimarrà fedele al suo popolo. Questafedeltà divina sarà indicata da un segno: lanascita di un erede del re, che consoliderà lesperanze del futuro per la sua dinastia. Ma aldi là di questa nascita, il profeta intravede ilfuturo: un giorno Dio invierà il Salvatoredefinitivo.

Traducendo con la parola “vergine” il ter-mine ebraico usato da Isaia, che significasemplicemente “giovane donna”, l’antico te-sto greco della Bibbia aveva voluto sottoli-neare il carattere miracoloso del futuro di-scendente di Davide. Gli evangelisti per pri-mi, e poi tutta la tradizione, vi riconosceran-no un annuncio profetico della concezioneverginale di Gesù.

SECONDA LETTURADalla lettera agli Ebrei (10,4-10)

Fin dal suo primo istante tutta la vita diGesù si è indirizzata in una obbedienza senzariserve alla volontà del Padre celeste. In que-sto si è compiuto il sacrificio di Gesù: nelrendere la sua vita una totale offerta d’amoreal Padre. Questo dono di sé si compirà inpienezza sulla croce, diventando così un mo-dello per i credenti. Sul suo esempio siamochiamati anche noi a offrire le nostre vite insacrificio di generosa obbedienza alla vo-lontà del Padre.

VANGELODal Vangelo secondo Luca (1,26-38)

Offrendo un sì incondizionato a un paro-la che all’inizio le appariva certo incom-prensibile, Maria si offre in totale disponibi-

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La parola di Dio celebrata

dre di Dio”. Il mistero della salvezza si com-pie per noi, molto più generosamente diquanto noi potremmo anche solo immagina-re, ma non senza una nostra infinitesimale,ma comunque preziosa collaborazione.

Dio vuol avere bisogno dell’uomo persalvarlo perché l’umanità possa fregiarsi del-la gloria di aver collaborato con Dio alla pro-pria salvezza. Sono queste le finezze di unamore che può essere solo divino.

III DOMENICA DI PASQUA A10 aprileIl destino di gloria ancora nascosto

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (2,14.22-33)

Pietro durante la vita di Gesù, e soprattut-to durante la passione, aveva sfuggito la sof-ferenza del Messia e la croce come inaccetta-bili; ora è invece proprio lui che cerca di illu-minare i suoi contemporanei sul mistero dellavolontà divina di salvezza che si è compiutoattraverso la passione. Lo Spirito santo ha fat-to anche in lui grandi cose. Parlando ai suoicompatrioti, ancora chiusi nella visione uma-nissima del Regno di Dio come atto di poten-za e di forza, li conduce a comprendere cheGesù, il condannato, vive per sempre. QuestoGesù ha realizzato tutto ciò che annunciavanole sacre scritture, alla loro luce il suo misterodiventa meno fitto, più comprensibile.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Pietro apostolo(1,17-21)

Pietro invita i suoi ascoltatori a conside-

lità per compiere in pienezza la volontà diDio. La grazia divina che per l’azione delloSpirito Santo l’ha ricolmata, permette che sirealizzi in lei ciò che avverrà in manieraeminente nella vita di suo figlio: una vitadonata a Dio con un amore assoluto e senzariserve. È proprio grazie a questa generosadisponibilità di Maria che la Parola potràportare in lei un frutto straordinariamenteabbondante e prezioso.

Siamo al centro del mistero dell’azionedivina: Dio, pur essendo Onnipotente, chiedela collaborazione umana per portare a compi-mento il suo piano di salvezza. Dio vuol ave-re bisogno dell’aiuto dell’uomo per salvarloperché la salvezza non cancelli la dignità dicolui che viene salvato. Maria, con la suacollaborazione generosa all’azione divinameriterà di essere giustamente definita: “Ma-

Pittore cretese, Annunciazione, icona, sec. XVII

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La parola di Dio celebrata

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rare attentamente la loro vita. I cristianidebbono trarre le conclusioni pratiche chederivano dal modo in cui Dio li ha liberati.Infatti non li ha salvati a prezzo d’oro, maper un grande dono d’amore: l’Agnello diDio immolato per la salvezza di tutti. Attra-verso Gesù hanno scoperto il vero volto diDio: la misericordia infinita! Vivono ora difronte a Lui, conquistati da questa visioneliberatrice, che si è manifestata alla fine diuna lunga storia.

VANGELODal Vangelo secondo Luca (24,13-35)

Di tutte le strade del Vangelo la via diEmmaus è quella che più di tutte mostra i ca-ratteri della modernità. Come non sentire vi-cina alla nostra epoca questa strada percorsada due discepoli tristi e disillusi, spesso ca-paci solo di rimproverarsi a vicenda, tantodistratti dalle loro preoccupazioni da non ac-corgersi che Gesù stesso si è avvicinato ecammina con loro? Come non sentire un toc-co quasi autobiografico? Ognuno di noi hasperimentato la fatica di credere, la facilitàcon cui, anche di fronte a prove chiare del-l’azione di Dio, si affacciano alla mente dub-bi e difficoltà. I due discepoli sanno che latomba è vuota, eppure non credono; sannoche le donne hanno incontrato gli angeli, ep-pure non credono; sanno che dagli angeli èstato annunciato che Gesù è vivo, eppure noncredono. Qualcuno avrà spostato il corpo?Le donne avranno avuto un’allucinazione?Gli angeli avranno inteso dire qualcos’altro?Per ogni segno che chiama alla fede è sem-pre possibile una risposta, una risposta sem-plice e chiara, una risposta immediata che,negando Dio, lascia libero l’uomo di chiude-

re gli occhi di fronte a Gesù. Poveri discepoliincreduli, come potevano riconoscerlo aven-do nel cuore tenebre tanto fitte? Eppure il Si-gnore non si scoraggia e, cominciando daMosé e dai Profeti, annuncia in tutte le Scrit-ture ciò che si riferiva a lui.

La pedagogia di Gesù è graduale e gene-rosa. Pur denunciando la loro incredulità:“stolti e tardi di cuore a credere alle paroledei profeti!”, non si arrende di fronte al lorolimite, non li lascia soli sulla strada della lo-ro triste presunzione. La scelta fatta da Gesùcon l’incarnazione non è stata smentita dallasua morte e resurrezione. Gesù continua econtinuerà ad accostarsi e a camminare conamore paziente a fianco dell’umanità, di ogniuomo, per condurlo alla fede e al Regno.

E il primo passo che compie, e che sulsuo esempio siamo chiamati a fare, è quellodi accorgerci della sofferenza e della tristez-za degli altri: “si fermarono col volto triste”.Il mondo incredulo, il mondo che non vuolarrendersi all’amore di Dio, non provoca inGesù risentimento o disprezzo, ma soltantola compassione di chi vede sprecata una pre-ziosa opportunità, di chi sa che la medicinaper la malattia mortale della nostra epoca sa-rebbe così vicina eppure noi vogliamo chiu-dere gli occhi sulla presenza di Gesù accan-to a noi.

È necessario ogni volta ricominciare ascoprire il messaggio evangelico alla luce ditutta la parola di Dio. Ricominciare a viverela celebrazione eucaristica come un incon-tro sereno e gioioso con il Risorto. Rico-minciare a scoprire la missione come ungioioso tornare per condividere con i fratelliil tesoro prezioso che abbiamo scoperto.Solo così sarà possibile ri-evengelizzare lanostra epoca. Infatti il racconto dei discepo-

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La parola di Dio celebrata

li di Emmaus merita tutta la nostra attenzio-ne perché Gesù questa volta non ha di fron-te persone che non hanno mai ascoltato lasua Parola. Davanti a Gesù ci sono due di-scepoli, quindi due cristiani, ma demotivati,dubbiosi, convinti che la fede sia solo unatradizione, una cosa del passato. In questovangelo Gesù ci dà un esempio chiaro dellagrande opera di ri-evangelizzazione delmondo cristiano che ci attende, e ce ne offreanche la ricetta. Attenzione alle sofferenzeinteriori ed esteriori dell’umanità. Riscoper-ta dell’importanza della Parola di Dio comeluce per comprendere il mistero di Cristo.Celebrazione viva e partecipata dell’Euca-restia come incontro con il Risorto presentenella nostra vita.

IV DOMENICA DI PASQUA A17 aprileGesù è il pastore dell’umanità

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (2,14.36-41)

Pietro vede con i suoi occhi l’opera delloSpirito: al suo appello molti Giudei si con-vertono e si fanno battezzare nel nome diGesù. Il centro del vangelo: la morte e resur-rezione di Gesù, è presentato da Pietro comeuna notizia certa, fondata, di decisiva impor-tanza per tutti. Alla nostra malvagità Gesùha contrapposto il suo amore e ne è uscitovincitore. Il popolo di Dio, destinato a rac-cogliere coloro che sono lontani come quelliche sono vicini, sta prendendo vita sottol’impulso dello Spirito Santo. Tutti quelliche sono aperti alla verità si affrettano sullavia della salvezza.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Pietro apostolo(2,20-25)

Per presentare ai suoi ascoltatori il miste-ro della salvezza in Gesù, Pietro cita un testodi Isaia nel quale si paragona il Messia all’a-gnello condotto per essere ucciso. In questomodo appare chiaramente il centro di quelparadosso della fede cristiana che per moltotempo aveva messo in difficoltà lo stessoPietro: il padrone del gregge si è fatto vitti-ma. Dalla morte subita per amore è sgorgatala vita. Attorno al vero pastore può così fi-nalmente riunirsi il popolo dei salvati comeun unico gregge.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (10,1-10)

Il cap. 10 del vangelo di Giovanni si aprecon una similitudine complessa: quella delrecinto, del pastore e delle pecore, la cuispiegazione offerta da Gesù appare piuttostouna complicazione. È bene procedere con or-dine, leggendo la prima parte del brano evan-gelico e solo in un secondo momento la spie-gazione che Gesù ne offre. Il testo pone inchiaro contrasto il ladro e il pastore. Solo ilpastore può entrare per la porta, perché chia-ramente solo a lui apre il guardiano, solo ilpastore può guidare le sue pecore, perché so-lo lui ascoltano e conoscono solo la sua vo-ce. Quello che il testo mette in evidenza è lavicinanza, la comunione di vita tra pastore epecore, un legame profondo che nessuno puòcercare di usurpare. Anche se il ladro riesce aentrare nel recinto, anche se si pone a guidadel gregge, è e resta sempre un estraneo, lepecore non lo seguiranno.

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Il Signore rivela con chiarezza la co-scienza della sua missione, un tema che tor-nerà più volte nel vangelo di Giovanni: Ge-sù è venuto nel mondo per compiere unamissione affidatagli dal Padre, una missioneche gli è propria e che nessuno può svolgereal suo posto. Una missione che è fonte disalvezza e di vita per l’umanità, rappresenta-ta dalle sue pecore. Ma nel mondo ci sonovari ladri e briganti che cercano di sostituirsia lui, in aperto contrasto col Padre e con fi-nalità ben diverse da quelle di Gesù.

Una prima riflessione si pone proprio suquesta unicità della missione di Gesù: sololui è il Pastore, e qualsiasi vero ruolo pa-storale può svilupparsi solo in collabora-zione con lui, in continuazione della suamissione, in chiara dipendenza da lui. Altri-menti anche chi ha la veste e l’incarico delpastore è piuttosto un ladro e un brigante.Chiunque nella Chiesa vuol svolgere unruolo positivo per la salvezza dei fratelli ela venuta del Regno di Dio, può farlo soloin umile unione a Cristo, in stretta collabo-razione con lui.

A questo punto possiamo continuare aleggere il nostro testo e scoprire, senzasconvolgerci, che Giovanni fa un cambio diimmagine simbolica per ripresentare conforza questo messaggio, in modo più diret-to e chiaro, perchè l’accusa portata da Gesùai suoi avversari venga ora chiaramentecompresa.

Allora Gesù disse loro di nuovo: «In ve-rità, in verità vi dico: io sono la porta dellepecore…» Gesù diventa a questo punto laporta, l’unica porta dell’ovile, la sola cheapre verso l’esterno, verso la vita e la sal-vezza. Questo cambiamento nella parabolapuò avere varie spiegazioni: abbastanza

spesso le parabole originarie di Gesù venne-ro ampliate e rilette, in alcune parti, dallacomunità primitiva che vi lesse indicazioniper la sua vita concreta. Se accettiamo que-sta ipotesi, il momentaneo cambio di imma-gine, mostra la situazione della Chiesa dopopasqua. Ora Gesù è la porta, la via della sal-vezza, con la sua venuta cessa la situazionein cui solo ladri e briganti entrano nell’ovi-le, perché ora c’è la possibilità di entrare at-traverso di lui e chi entra così nell’ovile,entra, esce e trova pascolo, cioè vive e favivere il gregge. Gesù è il buon pastore ve-nuto per dare la vita al suo popolo e lo fadirettamente come pastore, ma lo fa anchecome porta, come via attraverso la quale siva alla salvezza e si conduce alla salvezza.

Il primo che ha trovato e attraversato laporta dell’ovile di Dio è Gesù. La porta delparadiso era chiusa ed era necessario chequalcuno l’aprisse. Una porta non soltantochiusa, ma anche stretta, difficile, faticosae dolorosa. Inoltre una porta bassa, che nonpuò essere superata se non abbassandosi,umiliandosi sino alla morte e alla morte dicroce. Solamente Gesù, entrando dalla par-te di Dio, poteva forzare i catenacci e fareil suo ingresso vittoriosamente nell’oviledel Padre.

Gesù ha aperto la porta e, più ancora,avendo fatto ciò, è diventato egli stessoporta: «Io sono la porta»... Gesù è diventa-to la chiave di volta dell’esistenza di ogniuomo, e del pastore in specie. Ha impressoil suo sigillo su ogni esistenza umana, chenon può compiersi se non seguendo il suostesso itinerario.

Non si diventa pecore del suo ovile senon passando attraverso questa porta che èla sequela del crocefisso e tanto meno si di-

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La parola di Dio celebrata

venta come lui pastori, collaboratori dellasua missione pastorale. Qualsiasi altrocammino per entrare nell’ovile di Dio, checerca di evitare il confronto con la passionee la pasqua, è falso, perchè si cerca di salta-re la staccionata, ma le pecore non ricono-sceranno la nostra voce.

V DOMENICA DI PASQUA A24 aprileCristo è il mediatore dell’incontroe della comunione con il Padre

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (6,1-7)

Luca descrive la primitiva comunità cri-stiana in continua crescita sotto l’autorevo-lezza del ministero degli apostoli. Se c’èuna fondamentale unità di questa comunitàdi vita e di preghiera, si conservano peròanche alcune differenziazioni e peculiarità.La bella unanimità che si attuò dopo laPentecoste sembra disgregarsi. Gruppi dicristiani di diversa estrazione sociale e cul-turale si distinguono e a volte si contrap-pongono. Ne nasce un conflitto che potreb-be generare una spaccatura nella Chiesa.Ma lo Spirito si afferma ancora come il piùforte e ispira gli Apostoli a ben giudicaresulla situazione. La distinzione tra ellenistied ebrei, quando non diventa discrimina-zione, è sentita come ricchezza, come con-servazione della specificità di ogni tradi-zione e cultura. A partire da una comunedisponibilità a seguire la Parola e farsi ser-vi gli uni degli altri si edifica così la Chie-sa: una e multiforme nei carismi e nei mi-nisteri.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Pietro apostolo(2,4-9)

Gesù aveva più volte predetto nelle suapredicazione la scomparsa del Tempio,simbolo della presenza di Dio in mezzo alsuo popolo. Superato il simbolo si sarebbeaffermata la realtà: Gesù stesso è il veroTempio, la dimora di Dio al centro dell’u-manità. Questo tempio spirituale continuanel popolo cristiano, la comunità fondata suGesù, pietra angolare del nuovo edificioche Dio si è costruito tra gli uomini. I cri-stiani così portano a compimento la missio-ne di Israele che il giudaismo non era riu-scito a realizzare: essere il vero sacrificioche permette agli uomini di incontrare Diosorgente di vita e di luce.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (14,1-12)

In questo periodo post-pasquale conti-nua la rivelazione del mistero di Gesù. Sul-la strada della salvezza Gesù è il pastoreche ci guida, è la porta dell’ovile attraversocui necessariamente dobbiamo passare, è lastessa via che dobbiamo percorrere pergiungere alla meta: l’incontro col Padre. Iltesto di questa domenica vive e si muovetra simboli spaziali che interagiscono e siilluminano a vicenda. «Nella CASA del Pa-dre mio ci sono molte DIMORE», dice Ge-sù. La casa di Gesù è la stessa casa del Pa-dre celeste; quella casa costituisce il LUO-GO DA CUI egli viene e quello DOVE egliva. È a quella casa che egli torna attraversola sua morte-glorificazione, per preparareun posto ai suoi discepoli, e poi tornare a

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prenderseli perché anch’essi siano NELLUOGO DOVE Egli è. La Parola di Diofatta carne in Gesù Cristo ha piantato lasua tenda tra di noi, questo è il senso lette-rale di Gv 1,14 normalmente tradotto “ven-ne ad abitare in mezzo a noi”. Ciò significache la casa di Gesù non è sulla terra, quag-giù in basso. Quaggiù egli ha posto la ten-da, dimora momentanea e frettolosa del-l’inviato del Padre. Quaggiù ha percorso lastrada, LA VIA degli uomini, per solida-rietà con noi, per indicarci la direzione e lameta del nostro camminare. Siamo tutti incammino, lo siamo sempre nel corso dellanostra vita sulla terra, ma non siamo soliperché l’umanità di Dio ha camminato co-me noi e con noi. E ci ha indicato che seper lui il dimorare sulla terra era segnatodalla provvisorietà di una tenda, non puòcerto per noi essere contraddistinto da unattaccamento più forte, da un radicamentoche non ci lasci muovere verso la nostraVERA CASA.

Questo vangelo ci ricorda che essere uo-mo, e ancor più credente, significa cammi-nare, avanzare, crescere: siamo stati creatiper la libertà, di cui “la strada” è il grandesimbolo. Ma il messaggio di questo vange-lo vuol andare ben oltre: Gesù ha detto: Iosono la strada!. Ciò significa che la verastrada da percorrere non è da progettare, datracciare, da costruire. L’uomo non è il pro-gettista indipendente e padrone assolutodella sua strada qui sulla terra, né tanto me-no della strada dei fratelli.

LA VIA esiste già prima di noi ed è Essache ci viene incontro, ci conquista e ci invi-ta a percorrerla. Questa è la VERITÀ chedobbiamo accettare come dono di Dio. Laverità che spesso abbiamo sperimentato

ogni volta che abbiamo cercato di deviare eimboccare altri sentieri, allora siamo dive-nuti tristi e soli. È dunque indispensabileannunciare a tutti che la VERA VIA checonduce a Dio Padre e alla casa comune, equindi alla pienezza della VITA, è Gesù, elui soltanto. Ciò significa che Gesù non so-lamente ci fa strada camminando davanti anoi, ma egli, nella sua stessa persona, è lastrada su cui noi siamo chiamati a cammi-nare. Gesù è la via, perché egli è la verità(= la rivelazione di Dio) e la vita (= la vitaeterna di Dio). Fin da subito Egli è la via,già ora possiamo sperimentare che è la ve-rità e possiamo cominciare a ricevere da luila pienezza della vita. Giovanni Paolo II haaffermato nella Redemptor hominis (14)che «l’uomo è la prima e fondamentale viadella Chiesa». Ma questo uomo da illumi-nare e da salvare viene incontrato, vieneconosciuto pienamente e compiutamentesanato soltanto in colui che è «la via», inGesù Cristo che è insieme il pellegrino delmondo umano e il pellegrino di Dio.

VI DOMENICA DI PASQUA A1 maggio Siamo chiamati ad amare Cristo e quindiad essere amati da Lui e dal Padre

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (8,5-8.14-17)

L’effusione dello Spirito, che era statanarrata agli inizi degli Atti degli Apostoli,aveva portato alla nascita di una comunitàche Luca descriveva già come universale,prodotta dall’accoglienza della fede da partedi uomini di ogni tribù, popolo e nazione. Lo

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Spirito non solo apre le porte della comunitàprimitiva a quanti si avvicinano, ma spinge icredenti ad andare nel mondo alla ricerca ap-passionata di altri fratelli. Filippo va addirit-tura a predicare in Samaria, terra dei nemicistorici dei Giudei, ex-fratelli nella fede orasentiti come i peggiori degli avversari. Lasua predicazione viene accolta e così, a unprimo parziale annuncio del vangelo, la co-munità di Gerusalemme fa seguire una evan-gelizzazione più ricca e articolata. Lo Spiritosuggella questa scelta pastorale scendendoanche sui samaritani convertiti come era ori-ginariamente sceso sugli apostoli.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Pietro apostolo(3,15-18)

Gli avversari del vangelo si scagliavanocontro i primi cristiani con l’arma della de-risione e della calunnia, bollando la loro fe-de come insipiente e come falsa. Pietro in-vita a controbatterli con argomentazioni se-rie e sostanziose: debbono esser in grado direndere ragione a chiunque delle motiva-zioni della loro fede e della loro speranza.Non devono perciò mai rinunciare alla te-stimonianza della loro fede, reagendo peròcon dolcezza e rispettando anche i nemici.Facendo così risulteranno certamente vinci-tori, perché così Gesù ha combattuto la suabattaglia contro l’incredulità e il peccatodel mondo nella sua Passione.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (14,15-21)

Parlare di amore è riferirsi a una realtàmultiforme. Quando Gesù chiede di amar-

lo, a quale aspetto dell’esperienza dell’a-more umano fa riferimento? Il vangelo diGiovanni non lascia spazio a sentimentali-smi da romanzetti rosa: Se mi amate osser-verete i miei comandamenti! L’amore è in-fatti la forma più radicale di affidamento,di consegna senza riserve di sé alla volontàdell’altro, che si possa sperimentare sullaterra. Quando ci si ama le volontà si me-scolano e il desiderio porta liberamente adagire secondo ciò che l’altro desidera. Lapotenza dell’amore è proprio quella di tra-sformare lo sforzo dell’obbedienza ingioioso dono di sé. Questo è possibile an-che nei confronti di Dio e della sua legge,ci dice Gesù, è anzi il segno inequivocabiledel nostro reale progresso nella vita spiri-tuale. Obbedire a Dio nella gioia è il segnodella verità dell’amore che abbiamo per lui.Un passaggio che non si compie però solocome frutto di un impegno umano, comeprodotto della nostra volontà. Questo amo-re di Dio che porta all’obbedienza è anchee soprattutto un dono.

L’inizio della salvezza che Gesù è venu-to a portare è costituito proprio dalla comu-nicazione di questo amore che ci rende ca-paci di obbedire a lui. I profeti lo avevanoannunziato fin da Geremia, con la promes-sa del dono di un cuore nuovo, che avreb-be soppiantato il cuore di pietra incapace diobbedire alla legge di Dio. Lo Spirito ciavrebbe donato un cuore di carne, capacedi fare volentieri e con gioia la volontà delPadre.

Questo miracolo del cambiamento delcuore è l’opera principale dello Spirito innoi, che traspare dal titolo con cui Gesù lodesigna: Consolatore (in greco: Paraclito).

Gesù presenta questo particolare titolo

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dello Spirito Santo a partire dall’esperienzache i discepoli hanno fatto con lui stesso:“Egli vi manderà UN ALTRO paraclito”.Ora che Gesù se ne va, ciò che i discepoli ri-cevevano direttamente da lui verrà donato, aloro ed a quanti verranno poi, dallo Spirito.La sua azione è mostrata dal vangelo comeuno stare presso di loro: “Egli dimora pressodi voi” e soprattutto un essere misteriosa-mente presente come forza viva entro il lorostesso essere: “e sarà in voi”. Nel contesto diGiovanni Gesù aveva presentato la sua azio-ne nei confronti degli apostoli con due im-magini particolarmente significative: egliera il Pastore. Era cioè colui che guidava illoro cammino, che proteggeva la loro sere-nità, che nutriva il loro cuore indicando lastrada da percorrere. Ma Gesù era anche lavite e i discepoli erano i tralci che da lui ri-cevevano la linfa vitale, egli era infine il pa-ne che essi mangeranno e il vino che berran-no. La sua azione nei loro confronti, anchequando agiva sulla terra, era stata una azioneinteriore, di comunicazione di sostegno e diforza. Egli aveva dato loro la vita non sol-tanto perché era morto per loro, ma perché liaveva spinti e condotti a vivere. Questa, nelconcreto, era stata la sua opera di “Paracli-to”, che d’ora in poi sarà continuata dalloSpirito Santo.

Il termine greco “Paraclito” infatti indi-ca letteralmente: “colui che è chiamato vi-cino” e caratterizza la situazione in cui unapersona di fronte a difficoltà, tentazioni,debolezze, invoca la vicinanza di un amicoche lo sostenga, che lo guidi, che comuni-chi una forza interiore capace di superarel’ostacolo. Per questo in maniera abbastan-za tecnica questo termine indica poi l’avvo-cato difensore, che si schiera al fianco del

cliente nel momento difficile del dibatti-mento e dell’accusa. Ma l’origine del ter-mine è piuttosto quella dell’esperienza del-l’amicizia profonda. Proprio così Giovannici invita a guardare allo Spirito Santo, cheil tempo pasquale ci prepara a ricevere aPentecoste. Egli è l’amico che, come Gesùper i suoi apostoli, sta al nostro fianco e cisostiene nel cammino della vita.

ASCENSIONE DEL SIGNORE A8 maggio Asceso al cielo, Gesù ci svela la nostradignità e comprendiamo il nostrovero destino

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (1,1-11)

Gesù scompare definitivamente agli oc-chi dei suoi discepoli. Apparentemente è ladesolazione e la fine della speranza chel’incarnazione aveva suscitato: una nuovae più intensa vicinanza di Dio agli uomini.Invece Gesù è partito, e una volta di più ilRegno tanto atteso sembra allontanarsi. Inrealtà il Regno è già presente nel mondo, ècome un seme che attende solo di germo-gliare e crescere. Ben presto la nuova pre-senza di Gesù, attivo e operante insiemecon i suoi apostoli, manifesterà questa ve-rità ancora poco visibile. Questa luce cre-scerà poi fino al suo culmine, che si at-tuerà nel ritorno glorioso di Cristo. L’a-scensione caratterizza la nostra storia noncome un tempo dell’assenza di Dio, ma co-me una crescente scoperta della sua pre-senza nella Chiesa e attraverso di essa nelmondo intero.

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SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo agliEfesini (1,17-23)

La lettera agli Efesini si apre con unaintensa meditazione sul “mistero”, cioè sulprogetto che Dio da sempre ha concepitonel suo cuore e che attua nella storia dellasalvezza. Tutta la creazione è destinata asalire con Cristo fino alla destra di Dio,cioè a ricevere una condizione nuova dipiena comunione con Dio. Per primi noicredenti siamo presi in questo vorticeascendente che ha in Cristo il suo “motore”principale. È il suo amore che ci riconciliacon il Padre e ci porterà alla comunionepiena della salvezza.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (28,16-20)

La celebrazione dell’ascensione di Gesùal cielo dovrebbe apparentemente esseresegnata dalla tristezza e non dall’esultanza:quando una persona amata scompare, lascianella desolazione. L’esistenza sembra per-dere senso. Ma a volte capita che uno stra-no sentimento, incomprensibile per la puraragione, ma chiarissimo per chi ama, si ri-svegli in chi sembra condannato alla solitu-dine: la certezza di una nuova presenza del-la persona assente. Questa esperienza, ulti-ma del sentimento umano e prima della fe-de, venne vissuta dagli apostoli dopo l’a-scensione di Gesù al cielo. È su questo sen-timento profondo che si radica il tema fe-stoso della giornata di oggi. Se la risurre-zione era stata testimonianza della possibi-lità, per Gesù, di sfuggire alla morte, l’a-scensione è l’annuncio che il cielo è riaper-to, che c’è una vita eterna oltre la barrieradella morte e della dissoluzione fisica. Cisono un “luogo” e un “tempo” della presen-za di Dio e della nostra vita futura, piena-mente concreti. Dall’ascensione di Gesù larisposta alla domanda cruciale del dove an-dremo? Quale futuro ci aspetta? è certo piùchiara: andremo con Gesù, dove lui ciaspetta. Il vangelo di Matteo si chiude co-me si era aperto. Al suo inizio l’annuncio aGiuseppe portava una promessa luminosa:«Egli sarà chiamato ‘Dio con noi’». La pre-senza di Dio con l’incarnazione assumevaun valore e una pienezza nuova, ora questapienezza, con il compimento del misteropasquale, può attuarsi al massimo. Dio cheera “con” il suo popolo nell’Antico Testa-mento, che era in maniera più intensa

Michele Damasceno, Ascensione di Cristo, icona,sec. XVI

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“con” i discepoli durante la vita pubblica diGesù, inizia a essere “con noi”, cioè contutti gli uomini di ogni tempo e di ogni luo-go, senza limitazioni di tempo e spazio.Gesù risorto comunica la presenza di Dio aogni uomo in una maniera nuova, unica, in-tensa: come non mai. Ecco allora che l’an-nuncio di questa festa deve giustamentegiungere fino ai confini del mondo. “Anda-te” comanda Gesù ai discepoli. E non sitratta di un annuncio solo intellettuale, diun semplice contenuto dottrinale da comu-nicare, ma dell’invito a vivere un’esperien-za. I missionari che dal monte della GalileaGesù invia fino ai confini del mondo sonomandati a portare l’annuncio che è possibi-le sperimentare una presenza forte e attivadi Dio nella nostra vita. Si tratta di una pre-senza che chiama a un sostanziale rinnova-mento di vita, ma che comunica anche laforza di attuare questo cambiamento e lacomunica dall’interno di ogni coscienza.Ed è anche significativo, nella geografiateologica del Vangelo di Matteo, che ilnuovo monte sul quale i discepoli incontra-no questa nuova presenza di Dio, non siapiù il Sinai della rivelazione dell’AT, ma unmonte della Galilea. È un monte posto inquella terra che per gli Ebrei del tempo eraterra di contaminazione e di confine versoil mondo pagano. Una terra dalla quale nonsi aspettava “nulla di buono!”. Un ambientedal quale, secondo al logica del perbenismoreligioso del tempo, Dio avrebbe dovuto te-nersi lontano. Dio, invece, non solo è “con”l’uomo, ma viene a incontrarlo sul terrenodell’apparente lontananza da Dio, nei luo-ghi e nei tempi che non vengono considera-ti sacri. Nessuna parte del mondo ora è pro-fana o lontana da Dio. Anche questo annun-

cio di universale chiamata alla salvezza faparte integrante del messaggio cristianodell’ascensione.

PENTECOSTE A15 maggioLo spirito vita della chiesa

MESSA VESPERTINA ALLA VIGILIA– MATERIALI PER UNA VEGLIA

Sei letture per una Veglia

Il lezionario festivo propone per questamessa quattro letture a scelta tratte dall’AT.Insieme con l’Epistola e il Vangelo costitui-scono un itinerario biblico e simbolico, chepotrebbe benissimo articolare una veglia inpreparazione alla festa di Pentecoste.

Le presentiamo tutte molto brevemente,evidenziando questo percorso tematico, so-prattutto in vista di una celebrazione diquesto tipo.

PRIME QUATTRO LETTUREDal libro della Genesi (11,1-9)

Il racconto, come altri nella Genesi èun’eziologia, cioè una narrazione che cercadi dare una spiegazione della situazioneumana presente, in particolare della diver-sità dei popoli e delle lingue. “L’avere unasola lingua e le stesse parole” descriveun’umanità unita, senza alcuna divisione,corrispondente al desiderio creativo diDio. Invece una società che rigetta Dio èdestinata alla rovina, cioè alla confusione edivisione.

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Questo brano della Genesi è perciò qua-si una seconda versione del racconto delpeccato originale. Schiavo di se stesso econdotto dal desiderio di autosufficienza,l’uomo va verso il fallimento. La divisionedell’umanità in gruppi linguistici che non sicomprendono fra loro è il corrispettivo del-la frattura tra Adamo ed Eva che s’incolpa-no a vicenda. È l’antitesi dell’opera divina:lo Spirito ricomporrà l’unità degli uominidispersi.

Dal libro dell’Esodo (19,3-8.16-20)

Per gli Ebrei la festa della Pentecosteera la celebrazione del dono della Legge,concesso sul monte Sinai. Mediante questalegge, il Dio liberatore ridava solidità a unpopolo schiavo. Ne fece l’avanguardia diun’umanità chiamata all’unità e alla santità.Cioè un popolo al servizio di Dio e testi-mone della stessa santità di Dio tra i popolidella terra. La rivelazione divina al monteSinai, il cui carattere sconvolgente è de-scritto attraverso prodigi cosmici, ha il suocorrispondente nella rivelazione fatta agliapostoli di Gesù nel Cenacolo.

Dal libro del profeta Ezechiele (37,1-14)

Come avveniva normalmente, anche ilpopolo di Israele, deportato in esilio a Ba-bilonia, era destinato ben presto a scompa-rire. Ma in una grandiosa visione, il profetaEzechiele vede Dio infondergli “un nuovosoffio”. È l’immagine dello Spirito che favivere gli esseri e le persone. La potenzadello Spirito di Dio da un mucchio di ossafa sorgere un popolo forte e compatto. Ol-tre ad annunciare in maniera simbolica la

sopravvivenza di Israele, il profeta lanciauno sguardo verso il lontano futuro e intra-vede una umanità finalmente riabilitata, ilnuovo Israele ricreato da Dio.

Dal libro del profeta Gioele (3,1-5)

Nell’immagine di una catastrofe natura-le, forse una invasione di cavallette, il pro-feta Gioele intravede i l Giorno delSignore, nel quale Dio verrà a sconvolgerel’universo per trasformarlo in un mondoperfetto. Questo sconvolgimento, sempresecondo Gioele, sarà segnato dal dono del-lo Spirito, concesso anche a coloro ai qualila società non riconosceva neppure il dirit-to di parlare nelle assemblee: i giovani, ledonne, gli schiavi. Dio si dimostra ancorauna volta come il difensore degli umili edegli ultimi.

EPISTOLADalla lettera di san Paolo apostolo ai Ro-mani (8,22-27)

La scoperta dell’amore gratuito di Dio neinostri confronti porta al totale rinnovamentodell’esistenza umana. Questo rinnovamentosi attua attraverso il dono dello Spirito datocinel battesimo. Questa rigenerazione dellepersone comporta una conseguenza ben piùampia: attraverso di loro Dio infonde nuovosenso alla creazione intera.

La preghiera dell’uomo posseduto dalloSpirito è infatti così potente che è in gradodi riordinare a Dio ogni realtà. Tutto pren-de il suo giusto posto, perché tutto tendedi nuovo a Dio come sua fonte e suo fineultimo.

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VANGELODal vangelo secondo Giovanni (7,37-39)

La festa delle capanne ricordava ai Giu-dei la marcia nel deserto e il dono dell’ac-qua, che permise ai loro antenati di soprav-vivere. Per Gesù quest’acqua diventa ilsimbolo dello Spirito, che sgorga dallostesso Signore come da una sorgente. Maquesta nuova sorgente di acqua viva siaprirà soltanto dopo la sua morte, la sua re-surrezione e il suo glorioso ritorno al Pa-dre. Solo comprendendo il senso di tuttoquesto percorso l’uomo abbandona le sueillusioni e riconosce la vera natura dellasua vita: un dono da restituire a Dio nell’a-more a lui e agli altri, fino all’ultima goc-cia. Questo farà in ognuno di noi lo Spiritodi Dio!

MESSA DEL GIORNO

PRIMA LETTURADagli Atti degli Apostoli (2,1-11)

Contrariamente a Giovanni, che conden-sa in un solo episodio l’apparizione di Cri-sto ai suoi discepoli e il dono dello SpiritoSanto, Luca presenta questi avvenimentidistesi nel tempo. Le immagini con le qualievoca l’evento della Pentecoste acquistanoil loro senso dall’ascolto dell’Antico Testa-mento.

Esse infatti richiamano la teofania delSinai, punto di partenza del popolo di Dio,e il ritrovamento della comunicazione tragli uomini, dopo la dispersione rappresen-tata dalla Torre di Babele. L’umanità ormairicomposta può cantare la lode di Dio. La

Pentecoste, tuttavia, è soltanto un punto dipartenza. Il seguito degli Atti degli Aposto-li ha lo scopo di mostrare la diffusione del-lo Spirito Santo nel mondo. Ci viene an-nunciata così l’opera di riunificazione del-l’umanità, che procede lungo la storia, gra-zie ai credenti che si lasciano penetrare dal-l’amore di Dio.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostoloai Corinzi (12,3-7.12-13)

I Corinzi erano tentati di lasciarsi traspor-tare dall’entusiasmo e dall’attenzione soloall’apparenza, attribuendo perciò una impor-tanza eccessiva a doni straordinari propridella vita spirituale di alcuni credenti. Unamalattia della vita spirituale che ancora oggicontagia molti! Paolo ricorda loro che questidoni, o carismi, hanno un senso solo nellamisura in cui aiutano a edificare nell’amorel’intera comunità. Se al contrario produconoinvidie, gelosie, superbia e divisione, sonoda sfuggire piuttosto che da ricercare. Allostesso modo la diversità dei ruoli e dei servi-zi nella Chiesa non autorizza nessuno a sen-tirsi superiore agli altri. Ciascuno ha il suoposto insostituibile in un insieme organicoordinato dallo Spirito. È lo stesso Spirito in-fatti che si manifesta in maniera particolarein ciascuno e tende a riunire tutti gli uomininell’amore.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (20,19-23)

La celebrazione di Pentecoste costituisceil coronamento dell’anno liturgico e in parti-colare del memoriale della Pasqua del Signo-

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re, che la Chiesa ci ha fatto celebrare. Il donodello Spirito Santo non è infatti un episodiostaccato nella storia della salvezza, ma ilcompimento di una promessa di Gesù e ilperfezionamento della sua opera. Il dono del-lo Spirito, che si compie a Pentecoste, iniziaper Giovanni già sulla croce. Innanzi tuttoperché è il Crocifisso-risorto che dona lo Spi-rito. Gesù mostra le mani e il costato. Mo-strando le sue piaghe vuol stabilire un legamesolido e chiaro tra le sue sofferenze e la suavita di risorto. È tra l’altro significativo chesolo Giovanni parli - e lo fa tre volte, qui enei vv. 25.27 - della ferita del costato. Daquesta ferita erano usciti sangue e acqua, sim-boli trasparenti nell’immaginario giovanneodei sacramenti con cui la Chiesa, nella poten-za dello Spirito, comunicherà al mondo l’effi-cacia sanante e salvante della morte di Gesù.

Questa rievocazione del supplizio di Gesù,le precauzioni di cui si circondano i discepoli,

la loro paura davanti alle autorità ebraiche, laloro passività fin dal mattino, dimostrano chenon erano portati a credere a un evento cosìstraordinario come la risurrezione, e neppuredisposti a portarne la notizia al mondo. Tuttociò rivela la potenza dello Spirito che, ricevu-to da Gesù fin da questo momento, e poi inpienezza nella Pentecoste, cambierà radical-mente le loro menti e i loro cuori.

Questo cambiamento appare fin da subitoe fonda la missione, a cui Gesù dà immediatoinizio. Mando voi. Gesù appare ai suoi disce-poli e dona loro lo Spirito, non per rinchiu-derli nel suo ricordo, ma per mandarli. I quat-tro evangelisti concordano in maniera inequi-vocabile su questo punto (Matteo 28,19;Marco 16,15; Luca 24,47 e anche Atti 1,8).

Questa missione, che era stata uno deglioggetti primari della preghiera di Gesù per isuoi discepoli prima di morire, appare ora ilpieno compimento della sua missione di in-viato del Padre. È infatti il prolungamentodella missione che ha ricevuto dal Padre. Ge-sù ripete: «Pace a voi». Ed essi, andando peril mondo, porteranno con sé la pace di Dio.

A suggello di tutto compare il gesto deldono dello Spirito, inizio leggero di quelvento di Pentecoste che con la sua forzasimboleggerà la pienezza dello Spirito chegiunge nei loro cuori. “Allora alitò su di loroe disse:…” Questo gesto è segno di unarealtà profonda. Il soffio che Gesù, moren-do, ha reso sulla croce (19,30) è il soffio diDio, lo Spirito Santo. Questo dono delloSpirito è strettamente legato alla sua morte erisurrezione. Luca, che racconta la venutadello Spirito solo cinquanta giorni più tardi,nella Pentecoste, stabilisce tuttavia la stessarelazione. Lo fa parlando di una promessafatta da Gesù ai discepoli la sera stessa di

Pittore cretese, Pentecoste, icona, sec. XVII

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Pasqua (Lc 24,49). Il dono dello Spirito èdunque una esperienza sconvolgente e forteche sembra immediata, ma è anche un pro-cesso graduale, come di un soffio, un alitoche cresce di giorno in giorno nella vita de-gli apostoli fino a diventare un vento ga-gliardo.

Con la risurrezione di Gesù la storia dellasalvezza giunge alla sua ultima tappa. All’ini-zio del mondo Dio aveva «alitato» (stessoverbo greco in Genesi 2,7 e qui) un soffio divita nell’uomo. Gesù risorto rimane al centrodi un mondo nuovo, che egli anima comuni-candogli il soffio stesso di Dio, perché abbiala vita. Questo è il giorno del compimentopresente e della promessa del compimento as-soluto alla fine dei tempi. Questo celebriamoa Pentecoste.

SANTISSIMA TRINITÀ A22 maggioLa Trinità beata ed eterna dell’unico Dio

PRIMA LETTURADal libro dell’Esodo (34,4-6.8-9)

Il popolo eletto, liberato dall’Egitto e im-pegnato nell’alleanza del Sinai, tradisceugualmente le promesse di obbedire allaLegge di Dio. Mosè intercede allora per ilpopolo colpevole. Il Dio liberatore si rivelacosì sotto un aspetto che fino a quel momen-to era rimasto in ombra: Egli è misericordio-so e pietoso, ricco di grazia e di fedeltà. Sia-mo davanti al primo apparire di una rivela-zione che solo in Gesù troverà la sua pienez-za. Solo sulla via della misericordia e delperdono il popolo credente potrà scoprire lagrandezza e la bellezza del mistero di Dio.

SECONDA LETTURADalla seconda lettera di san Paolo aposto-lo ai Corinzi (13,11-13)

Paolo, rivolgendosi ai cristiani di Corinto,li invita all’amore perfetto: la carità. La fra-ternità cristiana che sgorga dalla pienezzadella carità è sorgente di pace e di gioia. Essariflette in maniera visibile e sensibile la realtàdi un Dio che si è fatto conoscere come il Si-gnore della pace e dell’amore. Paolo presen-ta allora la salvezza come opera congiunta diGesù Signore, di Dio Padre e dello SpiritoSanto. La Chiesa riconoscerà nella formulache l’apostolo conia una delle più anticheespressioni della fede trinitaria cristiana.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (3,16-18)

Chi è Dio? È appassionante scorrere la sto-ria del pensiero umano e vedere quante volte ein quanti modi ci si è posti questa domanda. Ilmotivo è chiaro: un bisogno profondo, scrittonel cuore di ogni uomo di conoscere Colui dalquale sentiamo di dipendere, per ciò che siamostati, che siamo nel presente e soprattutto chesaremo. Dio si pone di fronte all’uomo di ognitempo come la domanda basilare sul passato, ilpresente e il futuro. Non è dunque un caso cheil nome che Dio si è scelto nell’Antico Testa-mento: YHWH, oltre che impronunciabile siaanche indefinibile nel tempo. Può infatti signi-ficare sia “colui che è”, sia “colui che c’è per-ché c’era già da tempo”, sia “colui che ci sarà”.E forse questa è la più giusta risposta alla do-manda da cui nasce il desiderio di conoscereDio. Chi è Dio? È colui che risponderà nel pre-sente e nel futuro al tuo desiderio più vero eprofondo, e si lascerà gradualmente e mai defi-

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nitivamente conoscere. Forse solo Blaise Pa-scal ha saputo spiegare questo paradosso dellaconoscenza del mistero divino che oggi è cen-trale nelle celebrazione eucaristica: Dio comemistero che si può conoscere, scrutare, contem-plare, sperimentare, eppure che resta semprepiù ricco di ogni possibile comprensione. Egliresta vicinissimo e chiarissimo per l’esperienzadella sua presenza e al tempo stesso lontano eimpenetrabile per la comprensione finale delsuo mistero: “Quanta differenza c’è - dice il fi-losofo - tra conoscere Dio e amare Dio!”.

Che dunque i filosofi e i teologi taccianoin questo giorno, dopo avere dimostrato e te-stimoniato il desiderio umano di conoscereDio e si inchinino davanti alla semplicità dellafede, che accetta Dio per quello che è. Dietroil nostro desiderio di incasellare la conoscenzadi Dio, c’è infatti anche la sottile tentazione dipossedere Dio, di adattarlo ai nostri desideri;o peggio di scoprire territori della nostra vitain cui possiamo sfuggirgli. Conoscere Dio perpoter dire: qui Dio non arriva e io posso svi-lupparmi indipendentemente da lui. Questanon è la conoscenza che oggi celebriamo edesaltiamo! Contro questa prima tentazione lafesta di oggi proclama il mistero, e ci ricordauna seconda basilare tentazione: quella diproiettare su di lui i nostri desideri, di vederlosecondo quanto ci fa comodo. Nascono così leimmagini “umanissime” di un Dio lontano,indifferente alla nostra sorte; oppure di un Diogendarme, che ci spaventa, ma garantisce l’or-dine e la sicurezza; o di un Dio nonno bonac-cione, che non va preso molto sul serio, mache serve a rassicurare la nostra coscienzapiuttosto “elastica”; infine un Dio nostro al-leato, ma dove l’alleanza è intesa soprattuttocome stare al nostro fianco e ai nostri ordini,contro veri o presunti nemici.

Il vero Dio resta invece un mistero chesconfessa tutte queste false certezze. Gesù ri-velandoci il Padre non ci ha tolto dalla faticadella ricerca e non ha illuminato il misteroesaurendolo. La Chiesa, che ha cercato di di-re con parole diverse ed elaborate quanto lemille immagini del Vangelo cercavano di ri-velare, si è dovuta arrendere all’uso di affer-mazioni che dicono e negano, che superanola logica quotidiana: Dio è trino e uno altempo stesso, è un solo Dio e insieme trepersone, è Tutto eppure è Padre, Figlio e Spi-rito. Davanti al mistero di oggi sta solo lospazio per la preghiera più semplice dellanostra fede: “Amen”. Che vuol dire “accet-to”. Accetto questo mistero che mi viene in-contro, non cerco di possederlo con la menteper dominarlo, ma di accoglierlo con la men-te e con il cuore per obbedirgli, per vivere inalleanza con lui come nel passato, così ora eper sempre nei secoli dei secoli.

SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO A29 maggioIl memoriale della Pasqua

PRIMA LETTURADal libro del Deuteronomio (8,2-3.14-16)

Gli autori del Deuteronomio scrivendo unlungo e articolato “testamento spirituale diMosè”, in realtà descrivono di nuovo l’even-to dell’Esodo, almeno nel suo significato spi-rituale. Leggendo questo evento dal punto divista dell’esilio riconoscono in ogni fattodell’Esodo un invito a quella conversione delcuore che, se attuata, poteva scongiurare lacatastrofe della distruzione di Gerusalemme,con la deportazione e l’esilio che seguirono.

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La parola di Dio celebrata

Culmine e Fonte 2-2005 39

In questo sfondo la manna, il cibo del deser-to, che salvò il popolo in fuga dalla fame edalla morte, diventa un pane meravigliosoche fa pensare alla parola divina, vera sor-gente di vita. Ma Israele si è mostrato inca-pace di accogliere la ricchezza che gli eraproposta. Soccombe alla tentazione dei beniesclusivamente materiali.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostoloai Corinzi (10,16-17)

Paolo rimprovera i fedeli cristiani di Co-rinto per il loro atteggiamento egoista. Que-sto giunge perfino a creare divisioni durantela celebrazione eucaristica, quella che egli

chiama la Cena del Signore. Per questo ricor-da a loro e a noi il vero senso dell’istituzioneeucaristica che con ogni evidenza i Corinzinon avevano ancora compreso. Li invita per-ciò all’unità, vero criterio della qualità dellanostra comunione con il Signore Gesù. Solose siamo un corpo solo tra noi diventa vero esignificativo che celebriamo l’unione anchecon il corpo fisico di Cristo risorto, cibando-ci del pane eucaristico.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (6,51-58)

Guardare a ciò che desideriamo è un otti-mo sistema per analizzare con verità il nostrocuore. “Dove è il tuo tesoro, là sarà anche il

Pittore cretese, Ultima cena, icona, sec. XVII

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40 Culmine e Fonte 2-2005

tuo cuore” ha detto Gesù. La celebrazionedel Corpus Domini ci interroga sul livellodel nostro desiderio di vivere in comunionepiena con il Signore. Lo propone la primalettura: “Ricordati… che il Signore tuo Dionel deserto ti ha nutrito di manna, sconosciu-ta ai tuoi padri”. Il ricordo, il deserto, lamanna, sono tre realtà indispensabili percomprendere la festa di oggi. È necessario ri-cordarsi sempre di tutto quello che Dio hafatto per il suo popolo e per noi personal-mente per poterlo lodare e ringraziare. Alcentro di questo ricordo si pone il tempo deldeserto: il tempo della sofferenza, della pro-va, dello scoraggiamento, della solitudine,del pericolo, ma anche il tempo di Dio checammina con l’uomo, che lo aiuta a vincerela tentazione e a camminare secondo i co-mandamenti. Infine appare il segno più bellodell’amore e della vicinanza di Dio al suopopolo nel tempo del deserto: la manna, ilnutrimento in tempo di fame, il pane del de-serto, il segno della fedeltà di Dio che nonabbandona mai i suoi figli.

Questo ricordo, che è meditazione dellaParola di Dio, ci educa a comprendere che ti-po di vicinanza il Signore propone a tutti noi.Il Signore non ci è vicino per coccolarci, perun cuore a cuore intimo e romantico che cilasci come siamo. Dio si avvicina per farcicamminare, per farci attraversare il deserto,per condurci nella terra della vita fraterna eospitale. Per portarci a un’obbedienza piùpiena e vera della sua legge. Quanto deside-riamo questa comunione così esigente?Quanto siamo disposti a viverla con tutte lesue conseguenze?

Anche nel Vangelo Gesù usa l’immaginedel pane del cielo: “Io sono il pane vivo… ilpane disceso dal cielo…”. Il simbolo della

manna, del pane sembra essere il segno pri-vilegiato di Dio fino al punto che Gesù si de-finisce ‘pane vivo’. Il pane è legato alla fa-me. L’uomo di oggi ha fame di tante cose, sisazia con tante cose, fa di tutto per possedereil più possibile; qualcuno sembra non averepiù bisogno di nulla eppure corre ancora die-tro a una nuova fame. Si buttano via cosenuove ma, superate da altre più nuove, sicorre dietro all’ultima voce che promette co-se belle e buone. In questo continuo correre,Dio nel silenzio, nel nascondimento, conti-nua a dichiararsi nutrimento, sostegno, vita;all’uomo sazio di tutto eppure ancora affa-mato Gesù dice di essere il pane per la suafame. Il mondo, le cose del mondo saziano eanche bene, ma solo il corpo. Il nostro intimoè sempre più affamato ... magari lo ascoltas-simo gridare: “Ho fame” di vita, di senso, divalori, di amore vero, di libertà, di verità ...Gesù è il PANE VIVO per questa fame. Ge-sù è colui che può donare l’eternità. Gesù ècolui che ci permette di vivere in lui, di abi-tare nel cuore di Dio, di essere liberati dalmale, dal peccato, dalla morte dello spirito.

Questo è il desiderio che sta al centro del-la celebrazione di oggi e che la Parola ci in-vita a coltivare in noi, come un vero deside-rio del cuore, che ci porterà al vero tesorodella comunione con Dio. I Giudei si miseroa discutere chiedendosi come fosse possibileche Gesù desse agli uomini se stesso da man-giare. Noi oggi sappiamo, sperimentiamo,tocchiamo con mano come questo è possibileperché ogni giorno si ripete, sotto i nostri oc-chi, il miracolo dell’Eucaristia. Solo la fedepuò però farci credere che le parole del Van-gelo di oggi sono vere e non alludono a nien-te di diverso da quello che dicono: GESÙ è ilPANE VIVO disceso dal cielo per noi.

La parola di Dio celebrata

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ANIMAZIONE LITURGICA

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Dedichiamo questo tempo di preghiera per le vocazioni al sacerdozio e alla vitaconsacrata, in sintonia con la celebrazione della Giornata Mondiale di Preghiera(IV domenica di Pasqua). Il tema di quest’anno è “Chiamati a prendere il largo”.

Si disponga nella chiesa un’icona di Cristo o un’immagine della chiamata deiprimi discepoli. Se si avesse a disposizione, si potrebbe mettere sotto l’amboneuna rete da pesca, segno di ciò che si è chiamati a lasciare.

Canto iniziale

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.Amen.Il Signore, che apre il nostro cuore al mistero della sua chiamata, sia con tutti voi.E con il tuo spirito.

Guida: Prendi il largo! Quante volte abbiamo sentito nella nostra vita questeparole di Gesù. “Prendi il largo” o, meglio, va’ dov’è più profondo, tendi in al-to! Questa parola oggi risuona in noi perché possiamo rinnovare la nostra fidu-cia in Dio, nel suo amore di Padre, nella sua chiamata d’amore.

Pietro sa di essere un peccatore. Anche noi lo siamo, anche noi ci ritroviamospesso a mani vuote. Vogliamo chiedere perdono a Dio e riconoscere la sua infi-nita misericordia.

Signore, che continui a chiamarci a prendere il largo, pur conoscendo le no-stre fragilità, abbi pietà di noi.

Signore, pietà.Cristo, che ci doni la gioia della tua presenza tra noi, abbi pietà di noi.Cristo, pietà.Signore, che ci chiami a essere testimonianza del tuo infinito amore, abbi

pietà di noi.Signore, pietà.Dio onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci con-

duca alla vita eterna.Amen.

Insieme: O Signore, donaci la gioia del tuo perdono. Fa’ che possiamo esserepronti a dirti il nostro Sì, prendendo il largo come Pietro, pronti sempre a ri-spondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in noi.

Preghiamo

“Chiamati a prendere il largo”Veglia di Preghiera di don Paolo Ricciardi

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Guida: Dio non smette mai di chiamare. Spesso è l’uomo incapace di rispon-dere. Un giorno Dio chiamò Abramo per renderlo padre dei credenti. Abramoaveva già 75 anni e non aveva figli. La sua vita è stravolta da Dio, egli partesenza sapere dove va. Si fida di Dio.

Lettore: Dal libro della Genesi (Gn 12,1-4)

Il Signore disse ad Abram: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla ca-sa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popoloe ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Bene-dirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si

diranno benedette tutte le famiglie della terra”. Allora Abram partì,come gli aveva ordinato il Signore

Canto

Guida: Ora ci mettiamo in ascolto del racconto della vocazione diPietro. È un vangelo che abbiamo ascoltato tante volte. Ora vogliamosentirlo di nuovo, rivolto a ciascuno di noi.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 5,1-11)

Un giorno, mentre, levato in piedi, stava presso il lago di Genesaret e la follagli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, vide due barche ormeg-giate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti.

Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra.Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca.

Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e calate le retiper la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e nonabbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti».

E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompeva-no. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli.Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondava-no. Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Si-gnore, allontanati da me che sono un peccatore». Grande stupore infatti avevapreso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto;così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesùdisse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini» . Tirate lebarche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono”.

Breve riflessione del sacerdote.

Guida: Ci disponiamo ora ad accogliere il Signore presente nell’Eucaristia. In

Preghiamo

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Culmine e Fonte 2-2005 43

questo anno dedicato alla riflessione sul centro della nostra vita cristiana, vo-gliamo metterci davanti all’Eucaristia chiedendo a Dio il dono delle vocazioni.Questo mistero di Luce e di Vita illumini le nostri notti di reti vuote e ci aiuti afidarci della Parola di Dio.

Canto di esposizione…

Letture per il momento di adorazione

Ad alta voce:Signore, da quando sei entrato nella mia vita, la mia vita è cambiata, perché

sei tu la mia vita.Prima non conoscevo che il ritmo del quotidiano, fatto più di fatica

che di gioie.I miei piedi bagnati dal lago, la mia barca, i compagni, la rete, i pe-

sci, le notti e i giorni di lavoro.Quando tu sei passato, inizialmente non ci ho fatto nemmeno tan-

to caso.Quando tu sei salito sulla mia barca, ho forse anche creduto che di-

sturbassi…Quando poi mi hai detto di prendere di nuovo il largo, inizialmente ti ho

giudicato…Come può un semplice falegname di Nazareth insegnare a me a pescare?Poi – fu forse lo sguardo di Giovanni, o di mio fratello Andrea – a suggerirmi

di fidarmi. E mi sono fidato…Ed ecco: il largo, le reti in mare, i pesci, il mio stupore, il tuo sorriso… il mio

peccato.E poi il tuo perdono, la tua chiamata.

Pietro non poteva immaginare cosa volesse dire rispondere di sì a Gesù.Abituato ai confini di quel lago, non poteva pensare che avrebbe superato i

confini della Galilea per aprirsi al mondo. Cosa voleva dire: sarai pescatore diuomini?

Insieme: O Signore, voglio fidarmi di te, voglio affidarmi a te. So che non mideluderai.

Se tu mi chiami a prendere il largo è perché vuoi riempire di gioia la rete delmio cuore.

Canto

In silenzio…

Preghiamo

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1. Dal messaggio del Papa per la Giornata Mondiale di preghiera perle vocazioni 2005:

Chi apre il cuore a Cristo non soltanto comprende il mistero della propria esi-stenza, ma anche quello della propria vocazione, e matura splendidi frutti digrazia. Di questi il primo è la crescita nella santità in un cammino spirituale che,iniziato con il dono del Battesimo, prosegue sino al pieno raggiungimento dellaperfetta carità (cfr. ivi, 30). Vivendo il Vangelo sine glossa, il cristiano diventasempre più capace di amare al modo stesso di Cristo, di cui accoglie l’esortazio-ne: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 48). Egli si im-pegna a perseverare nell’unità con i fratelli entro la comunione della Chiesa, e

si pone al servizio della nuova evangelizzazione per proclamare e te-stimoniare la stupenda verità dell’amore salvifico di Dio.

Cari adolescenti e giovani, è a voi che, in modo particolare, rinnovol’invito di Cristo a “prendere il largo”. Voi vi trovate a dover assumeredecisioni importanti per il vostro futuro. Conservo nel cuore il ricordodelle numerose occasioni d’incontro che negli anni passati ho avutocon i giovani, oggi diventati adulti e forse genitori di alcuni di voi, osacerdoti, religiosi e religiose, vostri educatori nella fede. Li ho visti al-legri come devono essere i ragazzi, ma anche pensosi, perché presi dal

desiderio di dare ‘senso’ pieno alla loro esistenza. Ho capito sempre più che èforte nell’animo delle nuove generazioni l’attrazione verso i valori dello spirito,è sincero il loro desiderio di santità. I giovani hanno bisogno di Cristo, ma san-no anche che Cristo ha voluto aver bisogno di loro.

Carissimi ragazzi e ragazze! Fidatevi di lui, mettetevi in ascolto dei suoi inse-gnamenti, fissate lo sguardo sul suo volto, perseverate nell’ascolto della sua Pa-rola. Lasciate che sia lui a orientare ogni vostra ricerca e aspirazione, ogni vo-stro ideale e desiderio del cuore.

2. Dall’Imitazione di Cristo

Quando è presente Gesù, tutto è per il bene, e nulla pare difficile. Invece,quando Gesù non è presente, tutto è difficile. Quando Gesù non parla nell’inti-mo, ogni consolazione vale assai poco. Invece, se Gesù dice anche soltanto unaparola, sentiamo una grande consolazione. Forse che Maria Maddalena nonbalzò subitamente dal luogo in cui stava in pianto, quando Marta le disse: “C’èqui il maestro, ti chiama?” (Gv 11,28). Momento felice, quello in cui Gesù ci in-vita dal pianto al gaudio spirituale. Come sei arido e aspro, lontano da Gesù;come sei sciocco e vuoto se vai dietro a qualcosa d’altro, che non sia Gesù. Nonè, questo, per te, un danno più grande che perdere il mondo intero? Che cosati può mai dare il mondo se non possiedi Gesù? Essere senza Gesù è un duroinferno; essere con Gesù è un dolce paradiso. Non ci sarà nemico che possa far-ti del male, se avrai Gesù presso di te. Chi trova Gesù trova un grande tesoro

Preghiamo

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prezioso; anzi, trova un bene più grande di ogni altro bene. Chi perde Gesùperde più che non si possa dire; perde più che se perdesse tutto quanto il mon-do. Colui che vive senza Gesù è privo di tutto; colui che vive saldamente con luiè ricco di tutto.

3. Dagli scritti di Charles de Foucauld

Lavorare: come? Supplicando, sacrificandomi, morendo, santificandomi,amandolo! Avendo un gran bisogno di preghiere, ne cerco e ne chiedo nellamia famiglia, l’intima famiglia di Gesù. Vi scrivo dunque, sentendo la neces-sità e il dovere di riunire tutto ciò che può darmi forza per l’opera di Gesù. In-dirizzandomi a voi, chiedo non soltanto il vostro aiuto personale, mavi domando di riunire a vostra volta tutto ciò che può darvi forzaper l’opera di Gesù, che io vedo così necessaria, e intorno alla qualecredo fermamente di dover lavorare. Vi prego quindi di chiedere perl’opera di Gesù, alla quale attendo, aiuto, suppliche, sacrificio per ifratelli e le sorelle che Gesù invierà... Fra qualche giorno ritorno nel-la mia cella accanto al Tabernacolo solitario, e sentirò profondamen-te più che mai che Gesù vuole ch’io lavori all’istituzione di questadoppia famiglia. Lavorare come? Supplicando, sacrificandomi, mo-rendo, santificandomi, amandolo! Per questo appunto io, peccatore indegnodi far parte della famiglia intima, vi prego e vi supplico di aiutarmi. Nostro Si-gnore ha fretta. La sua vita nascosta di Nazareth, così povera, meschina e rac-colta, non é imitata. Lo scopo di ogni vita umana, dovrebbe essere l’adorazio-ne della Santa Ostia. Il Sahara, otto o dieci volte più esteso della Francia, è piùpopolato di quel che si creda, e possiede tredici sacerdoti. Nell’interno delMarocco, grande come la Francia è popolato da circa otto o dieci milioni diuomini, non c’è nemmeno un sacerdote, non c’è un solo Tabernacolo né unaltare. Nostro Signore ha fretta. I giorni assegnatici per amarlo, imitarlo, sal-vare con lui le anime, scorrono e nessuno lo ama, nessuno lo imita, nessunosalva le anime. Voglia lo sposo, il Fratello Gesù ispirarvi, dirigervi... Vi insegniad aiutarmi secondo la sua volontà!...

Canto

Guida: Il Signore continua a fissare lo sguardo su di noi. L’Eucaristia ci atti-ra a sé perché possiamo essere noi pronti a portare Dio agli altri. Vogliamoora, in questo momento di preghiera, venire uno alla volta davanti al Santissi-mo e inginocchiarci in segno di adorazione, sentendoci di nuovo chiamati dalsuo amore.

(si vive questo momento in silenzio, con musiche di sottofondo o con sempli-ci canoni cantati sottovoce. Si può predisporre sotto l’altare un cestino conte-

Preghiamo

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nente alcuni bigliettini con testi vocazionali della Sacra Scrittura. Ognuno puòprenderne uno tornando al proprio posto)

Canto

Due lettori proclamano la preghiera (dal Messaggio per la Giornata per leVocazioni):

Gesù, Figlio di Dio, in cui dimora la pienezza della divinità, Tu chiami tutti ibattezzati “a prendere il largo”, percorrendo la via della santità. Suscita nelcuore dei giovani il desiderio di essere nel mondo di oggi testimoni della po-

tenza del tuo amore. Riempili con il tuo Spirito di fortezza e di pru-denza perché siano capaci di scoprire la piena verità di sé e della pro-pria vocazione. Salvatore nostro, mandato dal Padre per rivelarne l’a-more misericordioso, fa’ alla tua Chiesa il dono di giovani pronti aprendere il largo, per essere tra i fratelli manifestazione della tuapresenza che rinnova e salva.

Vergine Santa, Madre del Redentore, guida sicura nel cammino ver-so Dio e il prossimo, tu che hai conservato le sue parole nell’intimo delcuore, sostieni con la tua materna intercessione le famiglie e le comu-

nità ecclesiali, affinché aiutino gli adolescenti e i giovani a rispondere genero-samente alla chiamata del Signore. Amen.

C. E ora, sentendoci un’unica famiglia, ci rivolgiamo al Signore con le paroledi Gesù: Padre nostro…

A conclusione un lettore proclama la preghiera di Charles de Foucauld:

Padre, mi abbandono a te, fa’ di me ciò che ti piace. Qualsiasi cosa tu facciadi me, ti ringrazio.

Sono pronto a tutto, accetto tutto, purché la tua volontà si compia in me, ein tutte le tue creature: non desidero nient’altro, mio Dio.

Rimetto l’anima mia nelle tua mani, te la dono, mio Dio, con tutto l’amoredel mio cuore, perché ti amo. È per me un’esigenza di amore, il donarmi a te,l’affidarmi alle tue mani, senza misura, con infinita fiducia: perché tu sei mioPadre.

Il ministro può concludere con la benedizione eucaristica, seguita da uncanto.

Preghiamo

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Culmine e Fonte 2-2005 47

L ’innodia del tempo di Pasqua èricca di perle preziose. Di certo,meriterebbe uno sguardo at-

tento l’inno delle Lodi Aurora lucis ru-tilat: la liturgia delle ore vi celebra inmodo speciale la risurrezione del Si-gnore, ricordando le donne che vannoin cerca del Maestro “di buon matti-no” (Mc 16,2). Ma forse ancora più ric-co di spunti di meditazione è l’innovespertino, che riassume in poche e

misurate strofe gli elementi essenzialidel mistero pasquale.

L’inno Ad cenam Agni providi vienefatto risalire al V secolo, attribuendo-lo (sia pur con qualche incertezza) aNiceta di Remesiana

1. Il testo si appog-

gia a una melodia semplice enobile, in ottavo modo, cheesprime la gioia pasquale at-traverso un canto sereno epacato.

Ad cenam Agni provididi don Filippo Morlacchi

Ad cenam Agni providistolis salutis candidi,post transitum maris RubriChristo canamus principi.

Cuius corpus sanctissimumin ara crucis torridum,sed et cruorem roseumgustando Deo vivimus.

Protecti Paschae vesperoa devastante angelo,de Pharaonis asperosumus erepti imperio.

Iam Pascha nostrum Christus est,agnus occisus innocens;sinceritatis azymaqui carnem suam obtulit.

O vera, digna hostia,per quem franguntur tartara,captiva plebs redimitur,redduntur vitae premia.

Alla cena del provvidenzialeAgnello bianchi per le vestidella salvezza, dopo il passaggio delMar Rosso cantiamo a Cristo Signore.

Il cui corpo santissimoardente sull'altare della croce,ma anche il sangue purpureogustando, viviamo per Dio.

Protetti nella sera di Pasquadall'angelo devastatore,siamo strappati dall'amarodominio del Faraone.

Ormai Cristo è nostra Pasqua,agnello innocente immolato;egli offrì la sua carnecome azzimi di sincerità.

O vera, degna vittimaper la quale l'inferno è distrutto,il popolo prigioniero è riscattato,sono restituiti i doni della vita.

Innodialiturgica

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Nel vespro della Pasqua laChiesa è invitata a cantare lelodi di Cristo, “Agnello prov-

videnziale”, il vero agnello pasqualeche salva l’uomo dalla morte eterna. Èdetto “provvido” perché il progetto disalvezza del Padre faceva di lui dall’e-ternità lo strumento della redenzione.Per comprendere la tipologia

2dell’a-

gnello, ossia in che modo la novità diCristo-agnello non distrugge, ma por-ta a compimento l’economia della Pri-ma Alleanza, occorre tener presente ilrapporto fra i tre elementi che carat-terizzano la celebrazione del misteropasquale, sia nell’Antico, sia nel Nuo-vo Testamento: anticipazione rituale,evento salvifico e ripresentazione li-turgica. Nell’Antico Testamento, il po-polo di Israele esiliato in Egitto ottie-ne la salvezza grazie al sangue di unagnello per ogni famiglia: gli animalivengono immolati al tramonto del 14del mese di nisan, arrostiti e poi con-sumati in una cena rituale, celebratasecondo le prescrizioni di Dio a Mosè

(Es 12,2-14); aspergendo del loro san-gue gli stipiti delle porte prima delpassaggio dell’angelo sterminatore, iprimogeniti di Israele sono risparmia-ti. Questa celebrazione costituisce laprefigurazione rituale della pasqua, acui segue il vero e proprio evento sal-vifico, cioè il duplice passaggio, primadell’angelo che, a mezzanotte, uccideogni primogenito nel paese d’Egitto(Es 12,29s) e poi del popolo eletto at-traverso il Mar Rosso (Es 14,15-31). Daallora in poi, ogni anno gli Israeliti rin-novano la celebrazione della cena pa-squale, come memoriale della salvez-za ricevuta, in ossequio al precetto diJHWH (cfr Es 12,14): è la riproposizioneliturgica dell’evento, che attualizzanel presente l’opera divina realizzatanel passato. Parallelamente, lo stessomodello si riproduce anche nella Nuo-va Alleanza: c’è una anticipazione ri-tuale (l’ultima cena di Gesù, celebrataprima della sua immolazione effetti-va), un evento salvifico che si compieuna volta per tutte (la sua morte in

Consurgit Christus tumulo,victor redit de barathro,tyrannum trudens vinculoet paradisum reserans.

Esto perenne mentibuspaschale, Iesu, gaudiumet nos renatos gratiaetuis triumphis aggrega.

Iesu, tibi sit gloria,qui morte victa praenites,cum Patre et almo Spirituin sempiterna saecula. Amen.

Risorge Cristo dalla tomba,torna vittorioso dall'abisso,trascinando in catene il tirannoe riaprendoci il paradiso.

Sia nei nostri cuori, o Cristo,la perenne gioia di pasqua;congiungi anche noi, rinati per grazia, ai tuoi trionfi.

O Gesù, sia gloria a te,che, sconfitta la morte, risplendicon il Padre e il Santo Spirito nei secoli dei secoli. Amen.

Innodialiturgica

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ANIMAZIONE LITURGICA

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croce e il passaggio dell’umanità daldominio del male alla vita nuova) euna celebrazione liturgica (l’eucaristiadella Chiesa) che rende presente edefficace il mistero salvifico della Pa-squa. Risulta ora senza dubbio piùagevole comprendere in che senso Ge-sù è l’agnus providus cantato dall’in-no: egli è il vero agnello, prefiguratodal rito della pasqua ebraica; è coluiche, nella sera della pasqua, si offre incibo ai credenti, avvolti nelle vestibianche dei salvati (coloro che “hannolavato le loro vesti rendendole candi-de col sangue dell’Agnello”: Ap 7,14);è colui che da sempre la provvidenzadel Padre aveva scelto come strumen-to di salvezza; è colui che, ancora og-gi, fa traversare illeso a ogni uomoche crede in lui il Mar Rosso dellamorte, il “vero Mar Rosso” di cui quel-lo raccontato nel libro dell’Esodo eraancora semplice prefigurazione.

Come dunque il pio israelita è tenu-to a cibarsi dell’agnello pasquale, cosìanche il cristiano è invitato al banchet-to eucaristico per gustare il corpo delSignore: il suo corpo santissimo è bru-ciato (torridum) d’amore ardente sul-l’altare della croce, così come l’agnellodeve essere “arrostito al fuoco” (Es12,9) per essere servito nella cena pa-squale. Accanto al corpo del Signore,la mensa eucaristica offre anche il suosangue purpureo: un accenno all’ama-to del Cantico dei Cantici, che agli oc-chi dell’amata è “bianco e vermiglio,riconoscibile tra mille e mille” (5,1). Lacroce è chiamata altare (ara) perché sudi essa l’agnello viene immolato e ilsuo “sacrificio di soave odore” (Ef 5,2)viene consumato. Frutto della comu-nione eucaristica con il corpo e il san-

gue del Signore è il “vivere per Dio”,cioè la vita nuova del cristiano.

La terza strofa ripropone ancora latipologia della decima piaga dell’Egit-to: anche noi, oggi, mentre cantiamoquesto inno nel vespro di pasqua, sia-mo protetti dall’angelo devastatore estrappati al feroce dominio del diavo-lo, rappresentato nella figura del Fa-raone. La celebrazione liturgica delmistero rende “contemporanei” aglieventi di cui si fa memoria:la salvezza che raggiunge icredenti è la stessa che è sta-ta offerta nella storia del po-polo eletto. La quarta strofa,invece, torna ad arricchirel’immagine dell’agnello pa-squale attraverso una fittatessitura di riferimenti scrit-turistici, soprattutto – ma non soltan-to – paolini. Cristo è la nostra pasqua(1Cor 5,7); lui è l’agnello innocente(1Pt 1,19) e immolato (Ap 5,6ss); egliha offerto il suo corpo (Eb 10,10) inazzimi di sincerità e di verità (1Cor5,8). L’immagine degli azzimi è moltoimportante nel rito ebraico della pa-squa: ancora oggi la legge prescriveche tutto ciò che di fermentato o lievi-tato si trovi in casa deve essere espul-so (cfr. Es 13,7), a significare la totaleinterruzione del processo chimico del-la lievitazione (di norma, si conservauna parte di pasta lievitata – come an-che di latte acidificato – per potercontinuare a produrre pane lievitato olatte cagliato); allo stesso modo, il sa-crificio di Cristo interrompe definitiva-mente la soggezione dell’uomo alpeccato e inaugura una relazione ra-dicalmente nuova tra il Padre e gli uo-mini.

Innodialiturgica

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L’immagine seguente, che descriveCristo come offerta degna, capace dispezzare la porte degli inferi, riscatta-re il popolo prigioniero e distribuireagli uomini i doni della vita (cfr. Ef4,8) è esattamente quella descrittanell’icona orientale della Discesa agliinferi. Il Signore risorto, prima di salireal cielo alla destra del Padre, scendeagli inferi e ne infrange le porte. Gliinferi stessi non sono più il regno del-

la morte, se il Vivente (Ap1,18) – anzi la Vita, la “vitafatta visibile” (1Gv 1,2) – viabita. Il popolo prigionierodelle tenebre e dell’ombra dimorte (cfr. Lc 1,79) vienedunque liberato e rinnovatodall’incontro con lui.

Se questa quinta strofaesprime un concetto teologico caroalla tradizione orientale

3, la sesta ci

rimanda invece a una sensibilità squi-sitamente occidentale, con immaginidi trionfo clamoroso: Cristo sorge vit-torioso dal sepolcro, e allo stesso mo-do riemerge dall’abisso infernale. Ildiavolo viene incatenato ed esposto

allo scherno del popolo (come eranosoliti fare i generali dell’antichità,quando umiliavano gli avversari scon-fitti facendoli sfilare, legati da ceppi ecatene, insieme al corteo trionfale deisoldati vincitori); le porte del paradi-so, custodite – dopo il peccato deiprogenitori – dalla “fiamma dellaspada folgorante” (Gen 3,24), vengo-no riaperte affinché l’uomo possa ac-cedervi e nutrirsi liberamente dell’al-bero della Vita.

Le ultime due strofe diventano pre-ghiera e dossologia; si rivolgono al Si-gnore Risorto in seconda persona,chiedendo la grazia della gioia pa-squale (paschale gaudium) nella me-moria del battesimo (renatos gratiae)e in attesa della gloria eterna che at-tende i figli di Dio (tuis triumphis). Laconsueta dossologia trinitaria conclu-siva ricorda, ancora una volta, il fulgo-re di Cristo vittorioso, “luce vera cheillumina ogni uomo” (Gv 1,9), sole chenon tramonta mai (cfr. Lc 24,29) e cherischiara la Chiesa nel vespro della pa-squa, in attesa del giorno senza tra-monto (cfr. Ap 22,5).

Innodialiturgica

1 Cfr. Liber Hymnarius, Solesmis 1983, p. 6082 Sul concetto di tipologia, cioè il fatto che persone o eventi

dell’Antico Testamento possono essere considerati prefigu-razioni di persone ed eventi del Nuovo (ad es.: il diluvio è

typos del battesimo), mi permetto di rimandare a quantoho scritto sul numero 1/2004 della presente rivista.

3 Sebbene non assente anche in Occidente, come ricordal’articolo del Simbolo apostolico: “discese agli inferi”.

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25. Quando il popolo è riunito, men-tre il sacerdote fa il suo ingresso con iministri, si inizia il canto d’ingresso. Lafunzione propria di questo canto è quel-la di dare inizio alla celebrazione, favori-re l’unione dei fedeli riuniti, introdurre illoro spirito nel mistero del tempo litur-gico o della festività, e accompagnare laprocessione del sacerdote e dei ministri.

Cerchiamo di prendere spunto dallepuntuali indicazioni contenute nel Mes-sale Romano. Sono il primissimo puntodi riferimento, l’asse normativo, per chivoglia andar dritto al nocciolo della que-stione. La prima obiezione potrebbesuonare (!) così: se si tratta di semplicisuggerimenti per la scelta di un canto, ache serve riferirsi alle indicazioni conte-nute nel messale? Non basta la premura,la coscienziosità, lo stare attenti al testo,alla musica, alla qualità? Cosa possonoaggiungere alla perizia di un musicista,ammessa la sua preparazione, le pocherighe di un messale che paiono pergiunta pedanti e irrilevanti proprio lì do-ve dovrebbero dire qualcosa in più, ecioè sul canto d’ingresso? O ancora: ilmessale, in fondo, non potrebbe fornireuna lista di canti degni di una celebra-zione?

Sta di fatto che il canto nella celebra-zione non è una esclusiva del musicista,esattamente perché il canto stesso è ce-lebrazione. La musica nella liturgia nonassolve alla funzione di semplice acces-sorio (tale da giustificare e la pura dele-ga del canto al solo musicista e il disinte-ressamento di tutti gli altri attori del

dramma liturgico), ma essa stessa è par-te integrante della celebrazione. Se que-sto è vero, la norma normans del cantodeve essere essa stessa di natura liturgi-ca e non solo scientifico-musicale o poe-tico-letterale. Ecco perché non basta cheun canto sia composto bene (aspettodella sola perizia compositiva)per essere automaticamenteliturgico

1; come non basta che

un testo soddisfi i sacri (!) ca-noni della lingua per poter es-sere ammesso in una celebra-zione. L’arte compositiva, ilgusto e la sapiente danza rit-mica espressi da un canto inunione col suo testo sono certamentecondizioni necessarie, ma nonsufficienti. Devono ultimamente con-venire, nel senso biblico del termine (chereca in sé l’idea del massimo splendorepossibile) al loro ambiente naturale, cheè la liturgia, lode cosmica al Creatore.

“QUANDO IL POPOLO È RIUNITO…”, MENTRE

IL SACERDOTE FA IL SUO INGRESSO… SI INIZIA…”È utile sottolineare la premura di

questa prima indicazione. Non siamo difronte, certamente, alla situazione di co-ri che iniziano a cantare nell’assenza del-l’assemblea; e d’altro canto, se dovessi-mo stare alla mens dell’indicazione, inmolte celebrazioni non si potrebbenemmeno iniziare a cantare dal mo-mento che manca, almeno all’inizio del-la messa, il concorso di popolo sottinte-so dall’indicazione.

I tempi cambiano, evidentemente:l’immagine della folla che forse poteva

Pregarcantando

Il canto d’ingresso (1) di don Daniele Albanese

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accompagnare la vita della Chiesa fino apochi decenni fa oggi ha lasciato il po-sto a quella, per certi versi più genuina-mente evangelica, del pusillus grex. Edunque tra il non iniziare la celebrazio-ne, attendendo il popolo riunito e ini-ziarla con una certa rappresentanza, sisceglie sempre, si sa, il male minore!

A parte la parentesi del buon umoreliturgico, l’attenzione è verso un’altrapratica. Spesso l’attesa remota

2della ce-

lebrazione è riempita da undolcissimo sottofondo musica-le che raggiunge ogni intersti-zio dell’aula attraverso l’im-pianto di amplificazione. Alcu-ne volte si tratta di un’antifo-na gregoriana, altre di qual-che raccolta di canti meno riu-sciti: tra questo momento di

meditazione accompagnata (per quellepoche persone che ci sono) e l’inizio del-l’Eucaristia, il momento di vero e pro-prio silenzio è ridotto a pochissimi istan-ti, caratterizzati, come spesso succede,dal rumore visivo (e non solo…) degli ul-timi preparativi, qualche volta affannosi,dell’organista che monta la tastiera, pre-para il microfono, e comunica al volo ilcanto d’ingresso tra il frenetico e rumo-roso svolazzare dei raccoglitori dei cori-sti che intanto cantano a memoria fin-ché ricordano…

Che fine ha fatto il silenzio prima del-la celebrazione e prima dell’inizio dellostesso canto d’ingresso? Il numero 25 delMessale fa coincidere l’inizio del suono edella parola con l’inizio della celebrazio-ne eucaristica. Già nell’appuntamentoprecedente facevamo notare come ilcanto d’ingresso non poteva essere asso-lutamente pensato come riempimentodella processione introitale. Qui andia-

mo oltre specificando che non può esse-re ancor di più pensato come antidotoall’horror vacui di cui soffre in manieraevidente l’homo oeconomicus, al vuotopre-celebrazione. Il suono non può esse-re ridotto a una sorta di custodia caute-lare o nobile bavaglio con il quale evita-re il chiacchiericcio con cui le persone siinformano delle ultimissime del quartie-re o del paese. La grande antifona diuna celebrazione dovrebbe essere il si-lenzio, che tutto è tranne che vuoto;quel silenzio gravido di promesse, fecon-do di ciò che sarà, quel silenzio biblico,quel divino silenzio dal qualeesplodono, come dice Ignazio di Antio-chia, il misteri clamorosi di Dio. E il cla-more di Dio nasce dal grembo del silen-zio…

Almeno una volta per quel che ricor-di, (e mi si perdoni ogni eventuale di-menticanza) la liturgia cattolica fa sual’imprescindibile assolutezza del silenziodivino facendo quasi coincidere mirabil-mente suono (antifona d’ingresso) e si-lenzio

3. Così recita l’antifona d’ingresso

della seconda domenica dopo natale: Dum medium silentium tenerent om-

nia;et nox in suo cursu medium iter pera-

geret:omnipotens sermo tuus Dominea regalibus sedibus venit, alleluia

4.

La traduzione per cui opta il Messalenon dà ragione della profondità enormedell’incipit latino. Non nel quieto silen-zio che avvolgeva ogni cosa (manca ilcoinvolgimento dell’intera creazione,come se il silenzio s’imponesse dall’ester-no a una creazione impartecipe del suomistero più profondo), ma è proprio ilcaso di dire che qui la lettera (la tradu-

Pregarcantando

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zione secca) non uccide, ma vivifica eapre uno scenario di straordinaria porta-ta: mentre tutte le cose tenevano il si-lenzio di mezzo (…).

5

Proprio tutta la varietà dell’esistenza(anche quella inerme della materia

6) os-

serva il silenzio, tiene il silenzio. Tutto fasilenzio, intrinsecamente, attendendo lacorsa veloce della Parola regale. È quelsilenzio gravido al quale accennavamosopra. Qui il silenzio non è malgrado lacreazione (come può suggerire l’infelicee libera traduzione italiana), ma a parti-re, a causa della creazione. Tutta la ra-gione intima dell’esistente sembra esse-re quella dell’attesa silenziosa con cui sicova l’arrivo del Verbo, sermo suus. E sela processione introitale, secondo certeinterpretazioni, sta a significare la venu-ta, l’incarnazione, l’ingresso, appunto, diDio nel mondo, i nostri modi di dire, lanostra mentalità deve cambiare: ognidomenica la celebrazione viene dal si-lenzio e ritorna nel silenzio di Dio, percui il tempo dell’apparente inattivitàdell’aula liturgica non deve essere perce-pito come interrotto dal succedersi dellecelebrazioni; il silenzio si apre mistica-mente all’azione liturgica che a sua vol-ta si compie e ritorna nel silenzio di Dio.Ecco perché l’attesa remota di cui para-vamo sopra non ha bisogno di essereriempita da niente, perché già porta insé l’esplosione del rinnovamento dellavita. Non esiste solo la sacralità del silen-

zio all’interno della celebrazione dei di-vini misteri; esiste certamente una parti-colare valenza anche di quel silenzio dacui gli stessi misteri divini hanno origine.Non si capirà mai il perché dell’obbligodel silenzio durante (e anche dopo) lacelebrazione se non si intuisce il misterodella sua provenienza, il prima assoluta-mente silenzioso di Dio. Se capisco chetutto viene dal silenzio, non avrò diffi-coltà a capire che tutto continua nel si-lenzio e seguirà nel silenzio;non correrò il rischio di ridur-re, cioè, il silenzio stesso a unasemplice questione di oppor-tunità e utilità liturgica chedura quanto la stessa celebra-zione (prima e dopo, infatti,succede di tutto…).

Il canto d’ingresso, prima diogni indicazione sulle proposte oggi piùconvincenti (oggetto del prossimo nu-mero) deve essere partorito, deve succe-dere da questo silenzio. L’opera di edu-cazione, infatti, non è - come si crede -imporre dall’esterno qualcosa, ma faruscir fuori ciò che già c’è di più profon-do dentro l’uomo. Non abbiamo paura,allora, di ricordare alla nostra gente, ainostri ragazzi, a chi si prende cura dimostrare col canto la bellezza di Dio,che tutto, e soprattutto il suono e il can-to, viene dalle viscere di Dio, viscere ge-menti e silenziose…

(continua)

Pregarcantando

1Con questo principio potremmo far entrare moltissimecomposizioni…

2circa 20 minuti prima della celebrazione.

3Questo miracolo d’ordine spirituale non è sconosciuto al-la mistica: musica cessata era l’immagine con la qualeGiovanni della Croce definiva il passaggio di Dio.

4Mentre tutte le cose tenevano il silenzio di mezzo,mentre la notte giungeva a metà del suo corso, il tuoVerbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo, dal tro-no regale.

5Se tutte le cose tengono il silenzio, allora in un certo sen-so, sono tenute dal silenzio. L’ordine, l’armonia dellacreazione, i rapporti di forza, le distanze, gli equilibri so-no determinati dal mistero del silenzio profondo.

6Se la materia non ha il dono della parola, ha però la cari-ca teologica di questo silenzio spasimante di attesa. In es-sa il silenzio è il paolino gemito della doglia del parto(cfr. Rm 8, 22). Il silenzio della creazione geme, il silenziodell’uomo parla. La parola è la forma più evoluta e per-fetta del gemito dell’essere verso il suo Dio.

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Questa icona, checompleta il tritticoda me

realizzato perdecorare il ca-tino absidaledi una cappel-la a Trabzon,sul mar Nero,ci introducenel cuore del

mistero pasquale, forterichiamo per ognuno dinoi a compiere il pas-saggio dalla morte delpeccato alla vita dellagrazia.

La croce, che cam-peggia al centro dellacomposizione, conside-rata a quei tempi mas-simo strumento di con-danna, in Cristo diventavia di salvezza eterna edi redenzione. Risor-gendo, Gesù verrà esal-tato con il “nome” diSignore: tutta la crea-zione si inginocchieràriconoscente davanti acolui che ha crocifisso evinto la morte con i lsuo sangue versato pernoi.

Cristo, come vuole la tradizioneiconografica bizantina, non viene rap-

La croce di Cristo è la nostra salvezza,vita e resurrezioneL’icona della Crocifissione

di Roberta Boesso

Epifania dellabellezza

Crocifissione, icona scritta per mano di Roberta Boesso, anno 2004

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presentato con un corpo che mostra ladrammaticità e crudeltà di una mortecosì cruenta, ma si presenta in tutta lasua regale e divina nobiltà: il Cristodella croce è il Salvatore, il Signoredella vita.

Il simbolo più evidente di questogrande mistero d’amore è la grottadel Golgota che si apre ai piedi dellacroce, all’interno della quale è visibileil teschio di Adamo. Secondo la tradi-zione, infatti, Cristo fu crocifisso nel“luogo del Cranio” dove era sepoltoAdamo e ne bagnò il teschio con ilsuo sangue, riscattando così la colpadel progenitore.

La croce, confitta nel profondo delmale e della morte, diventa l’alberodella vita, di resurrezione; è piantatanella terra allo scopo di riunire le cose

terrene a quelle celesti. Adamo è l’uo-mo vecchio da cui nasce l’uomo nuo-vo, Cristo.

Gli angeli che volano piangentiverso la croce e i simboli del sole edella luna sottolineano il dolore delcreato.

Accanto alla croce, sulla sinistra, èMaria, avvolta nel suo manto quasi asottolineare il suo immenso dolore, eGiovanni, il discepolo che Gesù ama-va. Entrambe sono figuredolenti ma, come quella diCristo in croce, sono colmedi una solenne dignità: l’ico-na offre la contemplazionedel significato ultimo e mi-sterioso della morte, com-prensibile solo alla luce dellarisurrezione.

Epifania dellabellezza

Particolare della Sepoltura.

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Le due montagne, nella parte in-feriore del dipinto, che sembrano ab-bracciare la composizione centrale,evidenziano simbolicamente l’uma-nità e la divinità di Cristo con gli epi-sodi della sepoltura da parte di Giu-seppe d’Arimatea a sinistra, e dellaresurrezione a destra.

Quest’ultima è raffigurata con l’e-pisodio dell’apparizione dell’angeloalle pie donne, Maria di Magdala e

l’altra Maria, le stesse cheerano state testimoni dellamorte del maestro e che loavevano seguito dall’iniziodella sua missione in Gali-lea. Un angelo in bianchevesti, seduto sulla pietra delsepolcro, annuncia loro la

risurrezione. La vegetazione che cir-conda il sepolcro allude a tutto ilcreato, opera dell’amore di Dio, resoancora più bello nella pienezza deitempi da Cristo che, risorgendo, loha rivestito di luce nuova.

La Chiesa, che la tradizione vedenelle figure di Maria (vergine, sposae madre) e del discepolo (uditoredella Parola e simbolo dell’umanitàaffidata da Gesù a sua madre), èchiamata a vivere costantemente aipiedi della croce, per ricevere dal suoSignore il sangue della nuova allean-za e l’acqua dello Spirito. Attraversoil mistero della croce comprendiamoche il regno di Gesù appartiene almondo nuovo della resurrezione edona vita eterna.

Epifania dellabellezza

Particolare della Resurrezione.

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In questo numero desideriamo avvi-cinare un santo forse a molti sco-nosciuto: Benedetto Labre, defini-

to da alcuni biografi il girovago diDio. Leggendo quello che alcuni auto-ri hanno scritto di lui viene da consi-derarlo protettore di tutti i mendican-ti della storia, patrono degli indigentie di tutti gli uomini e le donne che so-

stano miseri agli angoli delle strade,rannicchiati ai portoni delle chiese.

La nostra società ne conosce moltie tanti restano anonimi con le lorostorie travagliate di abban-dono e di malattia. Benedet-to Labre è un giovane men-dicante, uno dei tanti che

popolavano Ro-ma nel Settecen-to; resta celebreper la sua miseriae per i suoi pidoc-chi…, segno di una peni-tenza vissuta all’estremo,che gli ha procurato emar-ginazione e disgusto daparte dei suoi contempora-nei. Andiamo indietro neltempo cercando di capirechi è questo vagabondo diDio. Benedetto nasce adAmettes in Francia il 26marzo 1748, maggiore diquindici fratelli. Fin dall’a-dolescenza rimane colpitodal libro l’Imitazione di Cri-sto che legge e rilegge, cosìcome impara a memoria ilVangelo e gli scritti del suomaestro spirituale, padreLejeune. A sedici anni ma-nifesta il desiderio di di-ventare trappista ma la fa-miglia si oppone. Tuttavianel 1766, consigliato dallo

I nostriamici

San Benedetto Labredi suor Clara Caforio, ef

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zio materno, curato, si reca alla certo-sa di Santa Aldegonda, per entrare inquella comunità, ma i monaci non loammisero al noviziato. Allora comin-cia per lui un periodo di grande incer-tezza, angosce e tentazioni.

Affascinato dalla spiritualità deldeserto, cerca invano un monasteroche lo accolga. Nel 1769 su consigliodel vescovo di Boulogne, torna alla

certosa di Neuville, cono-sciuta precedentemente, ri-manendovi solo tre mesi perpassare poi alla trappa diSette Fonti. Accolto tra i no-vizi, prende l’abito con il no-me di frate Urbano, ma an-cora una volta una sorta dimalinconia lo invade venen-

do a rompere quell’apparente stabi-lità che aveva cercato. Il giovane Be-nedetto viene trasferito in infermeriae qui, dinanzi all’aggravarsi della suamalattia, i suoi superiori debbono ar-rendersi all’evidenza, affermando:“La Provvidenza non vi chiama allanostra Istituzione, seguite l’ispirazio-ne e la grazia… Dio vi vuole altrove”.Il 2 luglio del 1770 Benedetto s’allon-tana da Sette Fondi e si avvia a cerca-re altrove la sua vocazione, in direzio-ne di Roma.

Da questo momento comincia lavera vocazione di Benedetto: sarà gi-rovago, pellegrino, viandante sullestrade tracciate da Dio per lui. La suaunica ricchezza consisterà in una bi-saccia ove sono racchiusi i suoi prezio-si libri: i sermoni di Padre Lejeune, l’I-mitazione di Cristo, il Breviario. Avvol-to in vecchi stracci, il giovane si avvia

per le strade d’Italia assetato dell’a-more di Dio. La solitudine diventa lasua compagna privilegiata: è un’ere-mita in cammino! La strada diventa ilsuo eremo, la sua cella di preghiera edi contemplazione. È un’asceta origi-nale, uno tra i tanti in quella fine delXVIII secolo. Un folle di Dio come nesono esistiti ovunque, che non soltan-to rifiuta di guadagnarsi il pane, maneppure mendica. Non solo si fa in-giuriare, trattare da fannullone e davagabondo, ma ne gioisce convinto,come dice la Scrittura che Dio sollevadalle immondizie il povero per farlosedere tra i principi. Il suo vestito eracomposto da una tunica e da uno sca-polare da novizio; aveva sul petto uncrocifisso, al collo una corona, nellemani un rosario. Un morso di pane equalche erba bastavano al suo nutri-mento giornaliero, e tutto ciò che ri-ceveva per carità e riteneva superfluolo distribuiva da altri poveri.

Viene spontaneo domandarsi per-ché tanto annientamento. Non è sem-plice rispondere, poiché nell’Amorenon c’è logica; conosciamo dalla spiri-tualità orientale e occidentale che nelpassato ci sono stati uomini e donneche si sono resi folli per Dio; personeche cercavano nella solitudine del de-serto o delle affollate città l’Amore diCristo fino alle conseguenze più inim-maginabili. Esistono particolari voca-zioni che solo Dio può spiegare nel lo-ro incomprensibile mistero.

Benedetto è viandante dell’Amorelungo le strade affollate dalla genteche corre, si affanna, vive, lavora, sof-fre e gioisce. La strada è il luogo dove

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il giovane sa d’incontrare Gesù. Delresto Gesù stesso è stato un cammina-tore eccezionale, Lui stesso si è fattopellegrino e tutta la sua vita pubblicaè stata caratterizzata dal cammino,un cammino incontro all’uomo; unpercorso segnato dall’adesione allavolontà del Padre. Lungo le strade harivolto il suo sguardo a tantissimagente e molti, attratti dalla sua forza,hanno risposto alla sua sequela. Cosìè stato per Benedetto che percorretutta l’Europa per arrivare finalmentea Roma nel 1777, affascinato cometanti altri dalla Roma pontificia. Quirimane con una certa stabilità. Sem-pre attratto da posti strani: un foronella muraglia a lato del Quirinale incui riposa; le rovine del Colosseo doveva a nascondersi sotto una volta crol-lata, un angolo assolutamente mortoal centro di Roma.

Nell’arena del Colosseo, a partiredal 1750, promossa dal francescanoLeonardo di Porto Maurizio, il venerdìe la domenica aveva luogo l’eserciziopubblico della Via Crucis. Spesso da so-lo il giovane asceta rifaceva il percorsodella via dolorosa recitando il Rosario.Ricominciava poi in un altro posto: laScala Santa, percorrendola molte voltein ginocchio. Nel 1778 si reca spesso aipiedi dell’Esquilino dove aveva trovatouna notevole quantità di Chiese acces-sibili alle sue deboli forze: Santa Mariadei Monti, che custodisce il suo corpo;ma anche San Martino, Santa Prasse-de, Santa Pudenziana.

Il 16 aprile 1783, il povero mendi-cante crolla esamine sulla scalinatadella Chiesa della Madonna dei Mon-

ti, nella quale si era recato come d’a-bitudine a pregare. Alle sei di quelmercoledì santo le campane di tuttaRoma si mettono a suonare per invi-tare i fedeli alla recita di tre Salve Re-gina, come stabilito da Pio VI. Al suo-no delle campane si unisce improvvisae spontanea la voce dei bambini delquartiere che, correndo in tutte le di-rezioni, gridano il loro sconforto: “Ilsanto è morto, il Santo è morto!” Machi era questo mendicanteche moriva annunciato daibambini? Molti testimonihanno attestato che la mol-titudine provava come unosmarrimento per la bellezzamorale che irraggiava dalsuo viso e faceva risplenderei suoi cenci. Riconoscevano ilpovero, il penitente, l’amico di Cristo.Per molti quello splendore fu una lu-ce di Dio, la sua lordura parlava con-tro una diversa lordura che maceravail mondo.

Un povero viandante, un parassitadella società, diremmo. Eppure il suosguardo lasciava trasparire il cielo, ilsuo volto macerato dalle privazioniparlava di preghiera e di eternità. Unapreghiera così intensa che evocavaun’altra immagine, anch’essa difficileda sopportare dai benpensanti: “Nonha apparenza né bellezza per attirarei nostri sguardi… disprezzato e reiettodagli uomini, uomo dei dolori” (Is52,2-3). Di questa somiglianza tra il gi-rovago straccione e il servo sofferentedi Isaia si dovette accorgere il pittoreAndré Bley di Lione, che volle a tutti icosti Benedetto Labre come modelloper un volto di Cristo sofferente.

I nostriamici

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Somigliantissimo a Cristo nel suoabbassamento, Benedetto lo era di-ventato al termine di un lungo itine-rario non solo interiore, ma ancheattraverso le strade di tutta l’Euro-pa. Sceso dall’estremo Nord dellaFrancia a Roma, da lì intraprese, nelbreve volgere di soli sette anni, unininterrotto pellegrinaggio orante:oltre trentamila chilometri percorsi apiedi toccando tutti i principali cen-

tri della religiosità dell’Eu-ropa occidentale: Loreto,Assisi, Bari, Einsiedeln, Co-blenza, Paray-le Monial,Montsserat, fino a Santiagode Compostela. Benedettoha incontrato la pace di Diolungo le strade, su tratturiimpervi e pianeggianti, per-

corsi affollati e solitari.

Cammina cammina diventa pelle-grino orante, asceta e - perché no -custode di tutte quelle persone chespesso emarginiamo, allontaniamo odisprezziamo. Tutti i disprezzati dellastoria hanno un santo protettore inBenedetto Labre.

Segno di contraddizione per i suoicontemporanei, del “secolo dell’e-brezza”, era detto che Benedetto losarebbe stato allo stesso modo per ilXIX secolo, “secolo del denaro”. Il suoconfessore, professore del CollegioRomano, pubblicò la sua vita nel 1783,dove riferisce più di cento guarigionimiracolose operate in quattro mesiper sua intercessione. Fu beatificatoda Pio IX nel 1861 e canonizzato daLeone XII l’8 dicembre 1881. la sua fe-sta si celebra il 16 aprile.

I nostriamici

Bibliografia:E. Bianchi; Benedetto Labre. Il girovago di Dio nella Roma delSettecento, in AAVV, Grandi viaggiatori della fede, S. Paolo,Cinisello Balsamo, 1997.P. Bargellini, Mille Santi del giorno, Vallecchi editore, 1997.I santi canonizzati del giorno, vol. 4, ed Segni, Udine, 1991.

1 [N. d. r.] Nel numero precedente di “Culmine e fonte”,per un errore tipografico l’articolo è stato attribuito alleMonache Clarisse Cappuccine di Mercatello sul Metauro.Nell’indice figurava invece l’attribuzione esatta, che è asuor Clara Caforio, ef. Ce ne scusiamo.

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P uò essere utile riproporre al let-tore di oggi un testo che, a oltresettant’anni di distanza e nono-

stante tutti i cambiamenti non solo li-turgici, ma anche sociali e culturali,mantiene aspetti di sorprendente at-tualità. Certo, si noterà che la termino-logia risente del tempo, ma ciò con-sentirà forse di apprezzare ancor piùla teologia liturgica che proprio neglistessi anni muoveva decisi passi inavanti e che sarebbe stata pienamenterecepita nei documenti del ConcilioVaticano II. Colpiscono però l’attenzio-ne alla verità dei segni (divieto di usa-re fiori finti), al decoro della domus ec-clesiae, ad allontanare ogni sospetto,o solo parvenza di mercimonio (la ven-dita della cera in chiesa), l’insistenzasulla centralità del mistero eucaristicoe su una partecipazione fruttuosa, cul-minante nella comunione eucaristica enon dispersa nei rivoli delle private de-vozioni e delle pie pratiche. I sofisticatiapparecchi di ripresa odierni sono piùdiscreti dei flash “a luce magnesiaca”,ma la loro diffusione moltiplica l’andi-rivieni di persone distratte dalla parte-cipazione alla celebrazione, mante-nendo intatto, o forse peggiorando, ildisturbo. I lumini elettrici che simulanole “candele votive” non sono certo mi-gliori di quelle (che già negli anniTrenta, a giudicare dal testo, erano inparaffina anziché in cera d’api) e inqualche luogo i candelabri mostranoancor oggi le “forme più diverse e biz-

zarre”. Non sfugga, tra le righe, l’ac-cenno alla necessità di rimuovere alcu-ne statue: si trattava di immagini di di-scutibile pregio artistico, di incerta cor-rettezza iconografica, o semplicemen-te poste in luoghi inopportuni. Oggi laproliferazione disordinata è ampia-mente superata, ma capita ancora ditrovare chiese in cui ci sono tre o quat-tro immagini mariane, tre o quattrostatue e dipinti di questo o quel santopiù venerato…

La notificazione rispondeva situa-zioni riscontrate direttamente in dio-cesi durante la visita apostolica. Ab-biamo chiesto al dott. Domenico Roc-ciolo, direttore dell’Archivio Storicodel Vicariato, di inquadrare il branonel suo contesto, illustrando breve-mente la storia e il metodo di tali visi-te. Un ringraziamento particolare va adon Luigi Parrone, che ci ha segnalatol’esistenza del testo.

NOTIFICAZIONEPER IL CULTO SACRO NELLE CHIESE

ED ORATORI DI ROMA

Francesco del Titolo di S. Maria Nuovadella S. R. C. Prete CardinaleMARCHETTI SELVAGGIANI

Arciprete della Patriarcale ArcibasilicaLateranense

della Santità di Nostro Signore Pio XIVicario Generale

della Romana Curia e suo DistrettoGiudice Ordinario, ecc.

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Dagli archivi della Diocesi di RomaIl decoro liturgico, ieri come oggi

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La dignità del culto e il decoro deisacri templi, uno dei principali scopidella Visita Apostolica indetta per ladiocesi di Roma, richiedono che sen-za indugio si ponga fine ad alcuniabusi, che si sono venuti man manointroducendo, e si ritorni alla perfet-ta osservanza delle leggi canoniche eliturgiche.

E pertanto, a tale scopo diamo leseguenti disposizioni:

1. Si curi la perfetta osservanza delcan. 1268 e segg. del Codice di dirittocanonico, circa la custodia e il cultodella Ss.ma Eucaristia. Sia l’altare incui è riposto il Ss.mo Sacramento l’al-tare maggiore o uno dei principalidella chiesa: detto altare sia in modospecialissimo curato e per la pulizia,decoro primo dei sacri templi, e per lasuppellettile, che deve essere la mi-gliore che ciascuna chiesa possiede. Siabbia specialmente attenzione perchéinnanzi al tabernacolo arda ininterrot-tamente, giorno e notte, almeno unalampada ad olio o candela di ceri diapi. Si collochino innanzi allo stessoaltare banchi o sedie in numero suffi-ciente, affinché i fedeli siano attratti apregare innanzi al Santissimo, e nonvengano disturbati dal soverchio an-dare e venire e da inutili rumori.

2. L’uso prevalso in molte chiese dimettere a disposizione dei fedeli can-delette di cera, dette votive, da far ar-dere davanti a statue e sacre immagi-ni (di cui peraltro molte in seguito allaVisita sono state o dovranno esser ri-mosse), su candelabri o sostegni dalleforme più diverse e bizzarre, dietrocorrisposta di offerte da parte dei fe-deli, è causa di vari e seri inconvenien-ti. Esso infatti facilmente può divenire

o avere l’apparenza di superstizione,favorisce l’impressione che avvenga afine di lucro, non contribuisce allanettezza e al raccoglimento dei sacritempli, in cui il consumarsi contempo-raneo di molte candele, spesso non dicera d’api, imbratta il pavimento, af-fumica le pareti, ne rarefà l’aria.

Tale uso quindi deve cessare.Siano pertanto rimossi da tutte le

chiese, oratori pubblici e semipubblici,come pure da locali contigui od an-nessi, i suddetti candelabri o sostegni,anche se di qualche valore materiale oartistico. Parimenti è strettamente vie-tato vendere la cera nelle chiese eoratori, nelle sacrestie, all’ingressodelle chiese e oratori, come pure inluoghi adiacenti o comunque alla di-pendenza del clero o dei religiosi chehanno cura della chiesa.

Il clero e i religiosi faranno com-prendere ai fedeli i motivi di tale di-vieto da parte dell’Autorità ecclesiasti-ca, e stimoleranno i fedeli stressi adaccorrere più numerosi ed il più spes-so possibile ad ascoltare la santa Mes-sa e ad accostarsi alla santa Comunio-ne, ricordando loro che una Messa be-ne ascoltata, una Comunione ricevutacon le dovute disposizioni valgono adottenere grazie e favori celesti più chemigliaia di candele accese anche perlunghissima serie di giorni. I fedeliinoltre, seguendo antichissime e lode-voli tradizioni, siano esortati a dareelemosine per far celebrare santeMesse e offrire candele di cera d’api(secondo le prescrizioni liturgiche),candele che essi stessi acquisterannoaltrove e che, lasciate in sacrestia, sa-ranno fatte ardere sugli altari nellefunzioni liturgiche.

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3. I fiori artificiali (di qualsiasi ma-teria: stoffa, bronzo, ottone, cerami-ca, ecc.) sono interdetti. Essi debbo-no essere senz’altro rimossi dallechiese ed oratori e dagli altari, népossono per qualsiasi ragione ivi es-sere collocati. Ad ornamento dellechiese o degli altari si possono usare,sobriamente, piante e fiori freschi,che tra noi abbondano tutto l’annoe che i fedeli possono essere esortatiad offrire alla chiesa.

4. Durante le sacre funzioni, comepure in occasione di matrimoni, primeComunioni, ecc., è assolutamente vie-tato di prendere tanto nelle chiese,come in oratori, fotografie sia con lu-ce magnesiaca, sia con apparecchi ci-nematografici, sia a posa.

***

Ingiungiamo ai Rettori e Superioridelle chiese, oratori pubblici e semi-pubblici di curare la stretta osservanza

delle summenzionate disposizioni, lequali tutte, e in modo speciale quelledistinte dai numeri 2,3,4 andranno invigore col 1° luglio prossimo.

Siamo certi che i suddetti Rettori eSuperiori coopereranno volentieri conNoi nell’interesse del decoro della ca-sa di Dio e della integrità della Fede,dando anche in ciò chiaro esempio diossequio agli ordini dell’Autorità ec-clesiastica.

Se sfortunatamente qualcuno nonottemperasse alle summenzionateprescrizioni, si procederà con tutto ilrigore della legge, non escluse, oltrele canoniche sanzioni, adeguate penepecuniarie.

Dalla Nostra residenza, 22 giugno1933.

F. Card. VICARIO

Sac. Giovanni Rovella, Segretario

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L e tradizionali visite pastoralidei vescovi nelle loro diocesi, aRoma, dopo il Concilio di Tren-

to, si chiamano visite apostoliche per-ché effettuate dal Papa con la colla-borazione del Cardinale Vicario, delVicegerente e di commissari nomina-ti a questo scopo. La visita apostolicaè, dunque, la ricognizione del vesco-vo di Roma nella sua diocesi per pro-muovere il culto cristiano, controllarel’amministrazione del patrimonio ec-clesiastico e il buon andamento dellavita pastorale.

La prima grande visita apostolicapostridentina risale al 1564, è indettada Pio IV ed effettuata dal cardinalevicario Giacomo Savelli. Si concludenel 1566 con la visita di quasi tutte le132 parrocchie dell’epoca, delle ret-torie e degli oratori confraternali, delCollegio Romano e di altri istituti diformazione del clero.

Nel 1624 Urbano VIII apre unanuova visita. Egli intende rinnovarela coscienza religiosa della città, cheè punto di riferimento e centro delcattolicesimo universale. Si è alla vigi-lia dell’Anno santo del 1625 e dun-que la diocesi deve offrire ai pellegri-ni un’immagine luminosa della vitacristiana che vi si conduce. La visitadura sino al 1632.

Alcuni anni dopo Alessandro VIIindice la sua visita. È il 1656 e di lì apoco scoppierà una grave epidemiadi peste. È evidente la crisi del tessu-

to sociale ed economico della città. Ilpapa vuole che le celebrazioni litur-giche, le devozioni e i comportamen-ti siano corretti. Splende la Roma ba-rocca, ma la Chiesa particolare deveessere modello di vita e di pratica cri-stiana.

Segue una lunga pausa, durante laquale vi saranno visite occasionali diqualche chiesa o convento. SoltantoLeone XII apre una nuova visita peraccertare lo stato della diocesi. Siamonel 1824-1828. Sono trascorsi pochianni dalla doppia invasione francese(quella rivoluzionaria del 1798-1799 equella napoleonica del 1808-1814). Lacittà ha assorbito gli ideali delle nuo-ve filosofie e della modernità propostidalla Francia. La visita consente a pa-pa Della Genga, che prima di salire alsoglio pontificio era stato CardinaleVicario sotto Pio VII, di avere il polsodella situazione, di verificare la soli-dità degli schemi tridentini.

Nel Novecento Pio X indice la visi-ta nel 1904, Pio XI nel 1932, Paolo VInel 1967 e l’attuale Sommo PonteficeGiovanni Paolo II nel 1979. Tra gli attipreparatori sono compresi questiona-ri da inviare alle sedi diocesane persondare la città religiosa, per capireche cosa succede di fronte a una cul-tura e a una società di tipo industria-le. Queste visite indurranno la Chiesadiocesana ad assumere un impegnocrescente di testimonianza di vita edi pietà religiosa.

Le Visite Apostoliche a Romadi Domenico Rocciolo