LA PIETRA FILOSOFALE LA PIEDRA FILOSOFAL · mismo significado que la ... lo quale è suggerito...

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1 LA PIETRA FILOSOFALE Ebbene… No. La Pietra filosofale non è quella che può convertire in oro qualunque sostanza o metallo di bassa qualità. Neanche ha niente a vedere con le mani del Re Mino che, per la sua sfortuna, convertivano in oro tutto quanto toccava, benché forse… La Pietra filosofale non era né questo né quello poiché, in realtà era oro già da se, puro oro crogiolato al fuoco del migliore crogiolo. Ed è che la Pietra filosofale era pura pietra solare, pietra venuta dal Sole, e… che cosa è il Sole se non L’Oro per antonomasia? Per questo “lo chiamano Lorenzo”. Perché lui è l’originale Isola del Tesoroche affascina tutto il mondo e dalla quale –anche senza saperlo- tanti hanno cercato un’immagine nel mare. Buono la Pietra filosofale anche potrebbe venire da qualcun’altra stella, se non dalla Luna. E qualche pezzo di Sole, o Pietra filosofale c’era nella città di Petra prima che gliel’ingoiasse il deserto, che né a proposito il nome che le imposero. Anche c’era Pietra filosofale nell’Arca dell’Alleanza del Tempio di Gerusalemme, dal quale non rimase “pietra su pietra”, e ugualmente in qualche arca o baule da Troia, che quella fu la causa della consaputa guerra che incendiasse la città. Anche c’è Pietra filosofale alla Mecca che, come non è distrutta, incendiata, né gliela ha inghiottito il deserto, ancora è meta > mecca del pellegrinaggio dei musulmani; ugualmente c’è, salvo che l’abbiano scambiato per sa Dio che cosa, nel Arca Marmorea a Santiago de Compostela che, per la stessa ragione, accoglie pellegrini, in questo caso, cristiani. Il luogo però più insospettato, e alla volta dove meno manca “Pietra filosofale”, è a Roma che, addirittura di centro di pellegrinaggio, là c’è il Papa, un Pietro o “Pietra filosofale” che… né le mani del Re Mino. Bene, al Re Mino per il momento, lo lasciamo in pace. LA PIEDRA FILOSOFAL Pues no. La Piedra filosofal no es aquella que puede convertir en oro cualquier sustancia o metal de baja calidad. Tampoco tiene nada que ver con las manos del Rey Minos que, para su desgracia, convertían en oro cuanto tocaban, aunque tal vez… La Piedra filosofal no era ni esto ni aquello porque, en realidad era oro ya de por sí, puro oro acrisolado al fuego del mejor crisol. Y es que la Piedra filosofal era pura piedra solar, piedra venida del Sol, y… ¿Qué es el Sol sino L’Oro o El Oro por antonomasia? Por eso “le llaman Lorenzo”. Porque él es la original Isla del Tesoroque fascina a todo el mundo y de la que -aun sin saberlo- tantos han buscado una imagen perdida en el mar. Bueno, la Piedra filosofal también podía venir de alguna otra estrella, si no de la Luna. Y algún trozo de Sol, o Piedra filosofal había en la ciudad nabatea de Petra antes de ser tragada por el desierto, que ni pintado el nombre que le dieron. También había Piedra filosofal en el Arca la Alianza del Templo de Jerusalén, del que no quedó “piedra sobre piedra”, e igualmente en algún arca o baúl de Troya, que ella fue la causa de la consabida guerra que incendiaría la ciudad. También hay Piedra filosofal en La Meca que, como no está destruida, incendiada, ni se la ha tragado el desierto, aún es meta > meca de peregrinación para los musulmanes; igualmente la hay, salvo que la hayan cambiado por “sabe Dios qué”, en el Arca Marmórea de Santiago de Compostela que, por la misma razón, acoge peregrinos, en este caso, cristianos. Pero el lugar más insospechado, y a la vez donde menos falta “Piedra filosofal”, es Roma que, amén de centro de peregrinación, allí está el Papa, un Pedro o “Piedra filosofal” que… ni las manos del Rey Minos. Bueno, al Rey Minos, de momento, le dejamos en paz.

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LA PIETRA FILOSOFALE

Ebbene… No. La Pietra filosofale non è

quella che può convertire in oro qualunque

sostanza o metallo di bassa qualità.

Neanche ha niente a vedere

con le mani del Re Mino che, per la

sua sfortuna, convertivano in oro

tutto quanto toccava, benché

forse…

La Pietra filosofale non era né

questo né quello poiché, in realtà era oro già da

se, puro oro crogiolato al fuoco del migliore

crogiolo.

Ed è che la Pietra filosofale era pura

pietra solare, pietra venuta dal Sole, e… che

cosa è il Sole se non L’Oro per antonomasia?

Per questo “lo chiamano Lorenzo”.

Perché lui è l’originale “Isola del Tesoro”

che affascina tutto il mondo e dalla quale

–anche senza saperlo- tanti hanno

cercato un’immagine nel mare. Buono la

Pietra filosofale anche potrebbe venire da

qualcun’altra stella, se non dalla Luna.

E qualche pezzo di Sole, o Pietra filosofale

c’era nella città di Petra prima che

gliel’ingoiasse il deserto, che né a proposito il

nome che le imposero. Anche c’era Pietra

filosofale nell’Arca dell’Alleanza del Tempio di

Gerusalemme, dal quale non rimase “pietra su

pietra”, e ugualmente in qualche arca o baule

da Troia, che quella fu la causa della consaputa

guerra che incendiasse la città. Anche c’è Pietra

filosofale alla Mecca che, come non è distrutta,

incendiata, né gliela ha inghiottito il deserto,

ancora è meta > mecca del pellegrinaggio dei

musulmani; ugualmente c’è, salvo che l’abbiano

scambiato per sa Dio che cosa, nel Arca

Marmorea a Santiago de Compostela che, per la

stessa ragione, accoglie pellegrini, in questo

caso, cristiani. Il luogo però più insospettato, e

alla volta dove meno manca

“Pietra filosofale”, è a Roma che,

addirittura di centro di

pellegrinaggio, là c’è il Papa, un

Pietro o “Pietra filosofale” che…

né le mani del Re Mino. Bene, al

Re Mino per il momento, lo lasciamo in pace.

LA PIEDRA FILOSOFAL

Pues no. La Piedra filosofal no es aquella

que puede convertir en oro cualquier sustancia

o metal de baja calidad.

Tampoco tiene nada que ver

con las manos del Rey Minos que,

para su desgracia, convertían en oro

cuanto tocaban, aunque tal vez…

La Piedra filosofal no era ni

esto ni aquello porque, en realidad

era oro ya de por sí, puro oro acrisolado al

fuego del mejor crisol.

Y es que la Piedra filosofal era pura

piedra solar, piedra venida del Sol, y… ¿Qué es

el Sol sino L’Oro o El Oro por antonomasia? Por

eso “le llaman Lorenzo”. Porque él es la

original “Isla del Tesoro” que

fascina a todo el mundo y de la

que -aun sin saberlo- tantos han

buscado una imagen perdida en el

mar. Bueno, la Piedra filosofal

también podía venir de alguna

otra estrella, si no de la Luna.

Y algún trozo de Sol, o Piedra filosofal

había en la ciudad nabatea de Petra antes de

ser tragada por el desierto, que ni pintado el

nombre que le dieron. También había Piedra

filosofal en el Arca la Alianza del Templo de

Jerusalén, del que no quedó “piedra sobre

piedra”, e igualmente en algún arca o baúl de

Troya, que ella fue la causa de la consabida

guerra que incendiaría la ciudad. También hay

Piedra filosofal en La Meca que, como no está

destruida, incendiada, ni se la ha tragado el

desierto, aún es meta > meca de peregrinación

para los musulmanes; igualmente la hay, salvo

que la hayan cambiado por “sabe Dios qué”, en

el Arca Marmórea de Santiago de Compostela

que, por la misma razón, acoge peregrinos, en

este caso, cristianos. Pero el lugar más

insospechado, y a la vez donde

menos falta “Piedra filosofal”, es

Roma que, amén de centro de

peregrinación, allí está el Papa, un

Pedro o “Piedra filosofal” que… ni

las manos del Rey Minos. Bueno, al

Rey Minos, de momento, le dejamos en paz.

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Perché si capisca per dove ci moviamo,

presento due “frontoni partiti” appartenenti a

due templi della nominata città di Petra: Quel

del “Tesoro” e quel del “Monastero”.

In qualche racconto da prima ho già

spiegato che il “frontone partito” è una

bellissima allegoria delle “Colonne di Ercole”,

separate per dare passo alla vita. Ebbene, negli

spazzi aperti in questi frontoni ci sono due

singolari tempietti, uno dei quali ha scolpita

l’immagine di una donna che non è se non la

“Madre della Vita”.

A questo punto, tutti

conosciamo bene che “La

Flora” da Burgos o la

Maribianca da Madrid sono

due immagini della stessa

Madre della Vita. Così, per

analogia, intuiamo che le

anfore dei due allusi tempietti

hanno lo stesso significato del

piccolo bottame che sappia-

mo porta la Maribianca da

Madrid, cioè, che in ambedue

casi si tratta del Santo Graal, il “calice” con il

“seme divino” generatore della vita sulla Terra.

È però proprio per meravigliarsi che,

addirittura del simbolo, anche si conservano

vere riserve di quel “seme divino” generatore

della vita sulla Terra.

Para que se vaya entendiendo por dónde

nos movemos, presento dos “frontones parti-

dos” de sendos templos de la citada ciudad de

Petra: El del “Tesoro” y el del “Monasterio”.

En algún relato anterior tengo explicado

que el “frontón partido” es una bellísima

alegoría de las “Columnas de Hércules”,

separadas para dar paso a la vida. Pues bien,

en los espacios abiertos en estos frontones hay

dos singulares templetes, uno de los cuales

tiene esculpida la imagen de una mujer que no

es sino la “Madre de la Vida”.

A estas alturas, todos

sabemos que “La Flora” de

Burgos o la Mariblanca de

Madrid son dos imágenes de

la misma Madre de la Vida.

Así, por analogía, intuimos que

las ánforas sobre los dos

aludidos templetes tienen el

mismo significado que la

pequeña vasija que sabemos

lleva la Mariblanca de Madrid,

o sea que, en ambos casos se

trata del Santo Grial, el “cáliz” con el “semen

divino” generador de la vida sobre la Tierra.

Pero lo chocante del caso es que, además

del símbolo, también se conservan reales

reservas de aquel “semen divino” generador de

la vida sobre la Tierra.

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Da pazzi, dirà qualcuno.

Certo, ma non da legare. Perché ci sono

delle cose che, per molto strane che sembrino,

là ci sono, ed io non posso rimediarlo:

“L’archeologia linguistica” ci ha portato

alla conclusione che i nostri antenati più lontani

credettero che la vita era nata nell’intorno di

San Bizente de Labarzera. Perché già sappiamo

che la stessa parola, Bizente, è un’allusione alla

Vita e, d’altra

parte, “Labarzera”

segnala alla

“Barza” come la

patrona del paese,

che non è se non

la stessa Flora o

Mariblanca, la

Madre della Vita.

Ricordiamo,

a proposito di questo, che in Spagna i bambini

nascono nelle “berzas” (cavoli), a dispetto gli

illustrati della torre Eiffel. Ma com’è stupido il

mondo e arroganti tutti gli ombelichi!

Anche in tanti paesi della Spagna, come

ad esempio il mio, Torresandino (Burgos), si

cantano le “Barzas > Marzas” -a marzo, il primo

mese dell’anno-, che è un canto alla rinascita

della vita.

Ricordiamo anche l’identificata “Laguna

Tritona”, così vicina a San Bizente de

Labarzera, dove c’è la “Madonna della Cama”

(letto) alla quale abbiamo identificato come una

Barza, Flora, Mariblanca proprio nel momento di

partorire la Vita.

E se attendiamo un po’, vediamo una si-

militudine fonetica tra la “Madonna della Cama”

e quella del “Carmen”, con lo quale scopriamo

non soltanto l’identità di ambedue Madonne,

ma il modo come i nostri antenati credettero

che era arrivata la vita sulla Terra. In effetti:

Nessuno dubita che le parole metalo e

meteorito siano della stessa famiglia di

mineralo, mena, mina, (“menoki”, in basco), a

dispetto che abbiano perso la “n”.

Dopo quest’osservazione, meglio possia-

mo relazionare i meteoriti con le comete, che

questo sono i meteoriti: delle comete che cado-

no sulla Terra. E attenzione a quello che segue:

¡De locos!, dirán algunos.

Sí, pero no de atar. Porque hay cosas

que, por muy extrañas que parezcan, ahí están

y yo no lo puedo remediar:

La “arqueología lingüística” nos ha llevado

a la conclusión de que nuestros ancestros más

lejanos creyeron que la vida había nacido en el

entorno de San Bizente de Labarzera. Porque

ya sabemos que la misma palabra, Bizente, es

una alusión a la

Vida y, por otra

parte, “Labarzera”

señala a “La Bar-

za” como la patro-

na del pueblo, que

no es sino la

misma Flora o

Mariblanca, la

Madre de la Vida.

Recordemos, al respecto, que en España,

los niños nacen en las berzas, pese los

ilustrados de la torre Eiffel. ¡Pero cómo es

sandio el mundo y engreídos todos los

ombligos!

También en muchos pueblos de España,

como el mío, Torresandino (Burgos), se cantan

“las Barzas > Marzas” -en marzo, el primer mes

del año- que es un canto al renacer de la vida.

Recordemos también la identificada

“Laguna Tritona”, tan cerquita de San Bizente

de Labarzera, donde está la “Virgen de la

Cama”, a la que ya hemos identificado como

una Barza, Flora, Mariblanca justo en el

momento de dar a luz a la Vida.

Y si damos un paso más, vemos una

similitud fonética entre la “Virgen de la Cama”,

y la del Carmen, con lo que vamos a descubrir

no ya la identidad de ambas Vírgenes, sino el

modo como nuestros ancestros creyeron que

había llegado la vida a la Tierra. En efecto:

Nadie duda que las palabras metal y

meteorito son de la familia de mineral, mena,

mina, (“menoki”, en vasco), pese a que hayan

perdido la “n”.

Tras esta observación, mejor podemos

relacionar los meteoritos con los cometas, que

esto son los meteoritos: cometas que caen en

la Tierra. Y atención a lo que sigue:

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Mantali > mentali > metali Manteori > menteori > meteoriti

Karmanta > karmenta > comenta > cometa.

Allora, ecco qui l’originale “Virgen del

Carmen” venuta dal cielo in forma di Karmanta

> comenta > cometa. E già sta scoperto

l’origine solare, o stellare, della vita, arrivata

sulla Terra in forma di metalli, comete o

meteoriti, ai quali i nostri antenati

riconoscevano come procedenti dello spazio

esteriore, come anche dicono i seguenti termini

greci a chi riconosce la sua

fonetica: “Meteko”, che significa

straniero, e “metha”, che significa

“al di là”, come s’intuisce se per

esempio diciamo “meta galattico”.

Dopo ecco “la Madonna” che

da rimbalzo gli è caduta al mio

paese, Torresandino. E i miei

compaesani, come me fino adesso,

che non sanno per niente chi

venerano, a dispetto le omelie che

anno dopo anno inghiottano.

Curiosamente, i predicatori suolino abbon-

dare in dichiarazioni sull’amore sbordante del

popolo cristiano alla Madonna, e neanche loro

hanno nessuna idea su chi parlano né il perché

da così viscerale e atavica devozione; tutti,

fedeli a Roma, la Grande Prostituta che non

soltanto ha adulterato la fede cristiana ma si ha

fatto con il monopolio della predicazione.

Ma non cerchiamo il pelo e attendiamo

che, dietro la nominata “Laguna “Tritona”,

sospetto possa nascondersi qualche Madre o

Nonna di tre specie di tonni o qualcosa simile,

lo quale è suggerito dallo stesso nome:

Per il momento, se avvertiamo che dalla

Laguna “Tritona” cantabrica si fa eco la

sivigliana Laguna de “Triana”, già possiamo

scoprire al Luna con tre faccette, faccie,

personalità o persone. Perché “Triana” è chiaro

che significa “tre Anne”, Illanne,

Diane o lune. Questo senza scartare

la sua “triplice maternità”, che la ci

sono le tre razze -semite camite y

jafetite- che la Bibbia attribuisce ai

tre figli di Noè, il primo Baco o

Dionisio da Nysa (Esperia)

documentato. Andiamo però al tema:

Mantales > mentales > metales Manteoros > menteoros > meteoritos

Karmanta > karmenta > comenta > cometa.

Pues he ahí a la original “Virgen del

Carmen” venida del cielo en forma de Karmanta

> comenta > cometa. Y ya está descubierto el

origen solar, o estelar, de la vida, llegada a la

Tierra en forma de metales, cometas o

meteoritos, a los que nuestros antepasados

reconocían como procedentes del espacio

exterior, lo mismo que dicen los siguientes

términos griegos a quien reconoce su

fonética: “Meteko”, que significa

extranjero, y “metha”, que significa

“de más allá”, como se intuye si por

ejemplo decimos “meta galáctico”.

Luego ahí está “la Virgen” que,

de rebote, le cayó a mi pueblo,

Torresandino. Y mis paisanos, como

yo hasta ahora, que no tienen ni idea

de a quien están venerando pese a los

sermones que año tras año, se tragan.

Curiosamente, los predicadores

suelen abundar en declaraciones sobre el amor

desbordante del pueblo cristiano a la Virgen, y

tampoco ellos tienen ni idea sobre quién hablan

ni el porqué de tan visceral y atávica devoción;

todos, fieles a Roma, la Gran Prostituta que no

sólo ha adulterado la fe cristiana sino que se ha

hecho con el monopolio de su predicación.

Pero dejemos pelillos y atendamos que,

tras la nombrada “Laguna “Tritona”, sospecho

pueda esconderse alguna Madre o Abuela de

tres especies de atunes o algo parecido, cosa

que sugiere el mismo nombre:

Por de pronto, si advertimos que de la

Laguna “Tritona” cantábrica se hace eco la sevi-

llana Laguna de “Triana”, ya podemos descubrir

a la Luna con tres facetas, faces, persona-

lidades o personas. Porque “Triana” está claro

que significa “tres Anas”, Illanas, Dianas o

lunas. Esto sin descartar su

posible “triple maternidad”, que

ahí están las tres razas -semitas

camitas y jafetitas- que la Biblia

atribuye a los tres hijos de Noé,

el primer Baco o Dionisio de

Nysa (Hesperia) documentado.

Pero a lo que vamos:

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Il caso è che un pezzo che Jorge ha finito

di trovare nelle “SPIAGGE DEL CIELO”, a San

Bizente de Labarzera, viene a confermare

questa conclusione della nostra “archeologia

linguistica”. Ecco qui il pezzo in questione:

Come si vede nell’illustrazione, il pezzo già

è identificato come una “Pallade Atena”, lo

quale conferisce a questa divinità il rango, non

di “Madre della Vita”, ma di “Nonna della Vita” -

che nel fondo è lo stesso-, lo quale deduciamo

dopo avere riconosciuto Sant’Anna in uno dei

delfini della Mariblanca.

E diciamo che è lo stesso perché se Maria

significa Mare, sempre in relazione con la Luna,

che là ci sono le maree, Anna significa acqua.

Là ci sono l’anitra e le anaconda, che sono dei

animali di acqua; le anacoreti, perché vivevano

nelle caverne sugli scogliere; gli anabatiste,

perseguitati un tempo da Giustiniano, e più

tardi da cattolici e protestanti; là ci sono l’agge-

ttivo llano (piano), come la superficie dell’ac-

qua, il verbo llenar, (riempire), si suppone che

di acqua, come le ballene, e i paesi di Llanes,

Santullano e Santillana del Mar, che portano la

sua Patrona nel nome. Dopo se abbiamo detto

che Ana = Illana = Diana è la Luna,

la “prova della galletta” dimostra

qualcosa indiscutibile: Che quella

rotonda come la Luna è una Maria,

la galletta per eccellenza e

antonomasia, un gallo, un Sole in

piccolo e in femminile. Per questo la

Luna, l’Illana, è la fonte di tutte le

acque che riempiono i mari, incluse

quelle del Nilo africano che, come non può

essere meno nasce nei “Monti Luna”.

El caso es que, una pieza que Jorge

termina de encontrar en las “PLAYAS DEL

CIELO”, de San Bizente de Labarzera, viene a

refrendar esta conclusión de nuestra “arqueolo-

gía lingüística”. He aquí la pieza en cuestión:

Como se ve en la ilustración, la pieza ya

está identificada como una “Palas Atenea”, lo

que confiere a esta divinidad el rango, no de

“Madre de la Vida”, sino de “Abuela de la Vida”

-que en el fondo es lo mismo-, lo cual

deducimos tras haber reconocido a Santa Ana

en uno de los delfines de la Mariblanca.

Y decimos que es lo mismo porque si

María significa Mar, siempre en relación con la

Luna, que ahí están las mareas, Ana significa

agua. Ahí están los ánades y las anacondas,

que son animales de agua; los anacoretas,

porque vivían en las grutas de los acantilados;

los anabaptistas, perseguidos otrora por

Justiniano, y más tarde por católicos y

protestantes; ahí están el adjetivo llano, como

la superficie del agua, y el verbo llenar, se

supone que de agua, como las ballenas, y los

pueblos de Llanes, Santullano y Santillana del

Mar, que llevan a su patrona en el nombre.

Luego, si tenemos dicho que Ana =

Illana = Diana es la Luna, la “prueba

de la galleta” demuestra algo

impepinable: Que la redonda como la

Luna es una María, la galleta por

excelencia y antonomasia, un gallo, un

Sol en pequeño y en femenino. Por

eso la Luna, la Illana, es el manantial

de las aguas que llenan los mares,

incluidas las del Nilo africano que, como no

puede ser menos, nace en los “Montes Luna”.

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Descrivo il pezzo nella sua originale

presentazione:

Si tratta, se si avvengono gli aggettivi con

il sostantivo, di un “canto ruotato ferruginoso”

(ciottolo). Perché un canto non è di ferro e,

quello di ruotato… Bene,

in questo caso è “super

ruotato”, perché sa Dio i

mili di milioni, di bilioni, di

trilioni e perfino di “silloni”

di km. che può avere

percorso da che uscì

slanciato dalla stella dove

si originasse. Ed è che il

detto “canto ruotato” è un

meteorite. E avverto che io

non ho lasciato allo

scultore il mio coltellino a serramanico “made in

Albacete” per che grattasse in simile durezza e

plasmasse quella signora di tre facce, una

Santissima Trinità in femminile. In effetti, e

guardando l’illustrazione:

- Spianato, come se fosse una moneta,

per la “testa” di questo “canto ruotato”, appare

quel bel rostro con degli occhi, sopraccigli e

parte del naso, scolpiti in durissimo ferro, che il

resto rimane all’intuizione del virtuoso

contemplatore.

- Per la “croce”, la ci sono quei due occhi

distanti e quella fessura obliqua a guisa di

bocca che le da quella espressione severa,

zeñuda (accigliata), lo quale identifica la nostra

Tritona = Triana (Trinità) proprio come una

Palas Atenea, Azenai, Azeña o Zeñuda, che così

presenta Jorge certa derivazione linguistica:

Azenai o Azania > “saña”…, “ensañarse”

(accanimento…, accanirsi).

Da nostra parte, bene ricordiamo il

toponimo Zezeña, proprio accanto San Vicente

de la Barquera, e la località di Ceceñas, vicina

Santander, il cui Patrono è “San Vicente

Morcillero”, così come il burgalés Monasterio

della Cardeña, con il suo “Alvero della Vita” dal

quale germoglia nientedimeno che Castiglia,

assimilabile a Asturia e a Spagna, come già è

detto. E sarebbe peccato non ricordare il monte

“Sinai”, dedicato alla nostra Tritona, Triana,

Atenea. Benché dobbiamo avvertire che né il

Describo la pieza en su original

presentación:

Se trata, si se avinieran los adjetivos con

el sustantivo, de un “canto rodado ferruginoso”.

Porque un canto no suele ser de hierro y, lo de

rodado… Bueno, en este

caso es “súper rodado”,

porque sabe Dios los

miles de millones, de

billones, de trillones y

hasta de “sillones” de

km. que puede haber

recorrido desde que

salió despedido de la

estrella donde se

originó. Y es que dicho

“canto rodado” es un

meteorito. Y advierto que yo no dejé al escultor

mi navajilla albaceteña para que rascara en

semejante dureza y plasmara a esa señora de

tres caras o faces, una Santísima Trinidad

femenino. En efecto, y mirando la ilustración:

- Aplanado, como si fuera una moneda,

por la “cara” de ese “canto rodado”, aparece

ese bello rostro con ojos, cejas y parte de la

nariz, esculpidos en el durísimo hierro, que el

resto queda a la intuición del virtuoso

contemplador.

- Por la “cruz”, ahí están esos dos ojos

distantes y esa grieta oblicua a guisa de boca

que le da una expresión severa, zeñuda, lo cual

identifica a nuestra Tritona = Triana (Trinidad)

justo como una Palas Atenea, Azenai, Azeña o

Zeñuda, que así presenta Jorge cierta

derivación lingüística:

Azenai o Azania > saña…, ensañarse.

Por nuestra parte, bien recordamos el

topónimo Zezeña, justo al lado de San Vicente

de la Barquera, y la localidad de Ceceñas,

cercana a Santander, cuyo Patrón es “San

Vicente Morcillero”, así como el burgalés

Monasterio de La Cardeña, con su “Árbol de la

Vida” del que brota nada menos que Castilla,

asimilable a Asturias y a España, como ya

tenemos dicho. Y sería pecado no recordar el

monte “Sinaí”, dedicado a nuestra Tritona,

Triana, Atenea. Aunque hay que advertir que ni

el nombre, Sinaí, ni su actual ubicación son los

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nome, “Sinai”, né la sua attuale ubicazione

sono gli originali. L’originale nome del Sinai era

Azenai > Azinai, e la sua ubicazione era e

continua a essere nel paese di Azinas (Burgos,

“Prima voce et fide”), il cui più

antico tempio era dedicato –

casualità- a San Vincenzo. Si

tratta della Peña Kara-Azena,

attuale Peña Karazo, sulla

quale presto ti dirò qualcosa

interessane, lettore curioso.

- Finalmente, nel fianco o

profilo della “moneta”, va scolpita la terza face

della nostra Tritona che, se soltanto sono

lavorati gli occhi (non proprio con il mio

coltellino a serramanico), il resto è insinuato

dallo stesso pezzo.

Tutto questo si trova in un meteorite

caduto in Terra tra uno e tre milioni di anni fa;

una Santissima Trinità dalla quale non conviene

parlare per non scandalizzare, non gli

adolescenti, ma i dogmatici idioti o idiotizzati,

tanti con tocco o zucchetto, dai quali conosco

alcuni per nome e cognome –o “cognomi”- e, a

dispetto qualcuno gliele da del contrario, Dio

mio quanto antipatici sono!

In ogni modo, vedano i buoni credenti

che qualche Santissima Trinità, da mente e

mano superiori, sembrano guidare le mani e la

mente di Jorge -il nostro Maestro in questi

affari-, perché a San Bizente de Labarzera fosse

incontrare una vidimazione di più alla sua

“archeologia linguistica” e alle sue intuizioni sul

detto luogo come origine della vita, che dal

modo come i nostri antenati credettero che era

apparse, già abbiamo parlato. Ti racconto,

lettore, quello promesso sulla Peña Karazo:

L’acropoli di

Atena non fu se non

una copia a miniatura

dell’impressionante

fortificazione che

50.000 anni fa si alzava

sulla duplice Peña

Kara-Azena o Azinas,

attuale Peña Karazo.

Perché vengano dirci che Grecia e Roma

ci civilizzarono!

originales. El original nombre del Sinaí era

Azenai > Azinai, y su ubicación estaba y sigue

estando en el pueblo de Azinas (Burgos, “Prima

voce et fide”), cuyo más antiguo templo estaba

dedicado -casualidad- a San

Bizente. Se trata de la Peña

Kara-Azena, actual Peña Karazo,

sobre la que pronto te diré algo

muy interesante, lector curioso.

- Finalmente, en el canto o

perfil de “la moneda”, va

esculpida la tercera faz de

nuestra Tritona que, si sólo están trabajados los

ojos (no con mi cortaplumas albaceteño), lo

demás ya lo insinúa la misma pieza.

Pues todo esto se halla en un meteorito

caído a la Tierra hace entre uno y tres millones

de años; una Santísima Trinidad de la que no

conviene hablar para no escandalizar, no a los

adolescentes, sino a dogmáticos idiotas o

idiotizados, muchos con birrete, de los que a

algunos conozco por su nombre y “apellido” -o

apellidos- y, pese a que alguno se las dé de lo

contrario, ¡Dios mío, qué antipáticos son!

De cualquier modo, vean los buenos

creyentes que alguna Santísima Trinidad, de

mente y mano superiores, parece guiar las

manos y la mente de Jorge -nuestro Maestro en

estas lides-, para que en San Bizente de

Labarzera fuera a encontrar un refrendo más a

su “arqueología lingüística” y a sus intuiciones

sobre dicho lugar como origen de la vida, que

del modo como nuestros ancestros creyeron

que ésta había nacido, ya hemos hablado. Te

cuento, lector, lo prometido sobre la Peña

Karazo:

La acrópolis de Atenas no fue sino una

copia en miniatura

de la impresionante

fortificación que

hace 50.000 años

se alzaba en la

dúplice Peña Kara-

Azena o Azinas,

actual Peña Karazo.

¡Para que

vengan a decirnos que Grecia y Roma nos

civilizaron!

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Vicino alla “Peña” si alza il

Monastero di Silos, quel “semine di

Dio”, chiamato prima di San Sebastiano.

Il caso è che nel suo museo c’è una

testa in bronzo che dicono sia una

“matrona romana”, ma in realtà è una

Pallade Atena incontrata nella riferita

Peña Kara-Azena.

Nello stesso monastero c’è un

curioso testo dal francese rifondatore di

Silos, fra Ildefonso Guepin, che dice

quello che segue:

Dimenticavo dire che nel tesoro del nostro

monastero rimane una testa in bronzo che

chiamano l’idolo di Carazo. La tradizione dice

che fu oggetto di culto nel detto paese o nel

monte che si alza dietro, fino il tempo nel quale

Santo Domingo di Silos, il quale distrusse i resti

dell’idolatria e approfittò la testa per ornare la

corona che è in torno alle riserve della Sacra

Eucarestia.

Addirittura della rassegnata febbre

distruttiva di Santo Domingo di Silos -e gli

fanno santo, come al San Buonaventura

incendiario-, il caso è che fra Ildefonso Guepin

mente e nemmeno si accorge. Addirittura

crede di prestare un servizio a

Dio. Peggio di Pinocchio:

- Dice che Santo Domingo

(1.000-1.073) distrusse l’idolatria,

ma c’è un documento del 1604 che

dice testualmente: Molte donne

usano pettinature con delle punte

davanti, a immagine di un idolo

che anticamente si dice di stare

nelle Torri di Carazo e così si ha per

tradizione. Per rimedio di questo sbaglio e

abuso così grande, ordino a tutte le donne che

di qua in avanti si sposino in questa viglia di

non portare né esporre simili pettinature. E se

le portassero ordino ai preti di non sposarle né

velarle, e se dopo di velarle gliele misero, che i

preti e gli altri chierici e beneficiari non le

ammetato nella Chiesa e le vietino gli uffici fino

che compiano con quello che gliele ordina. E

cosò lo facciano e compiano de dette donne,

preti e chierici della detta viglia, so pena di

scomunica maggiore e di cento ducati per le

spese che il Re fa contro gli infedeli.

Cerca de la Peña se alza el

Monasterio de Silos, el del “Semen de

Dios”, llamado anteriormente de San

Sebastián. El caso es que en su

museo hay una cabeza de bronce que

dicen sea de una “matrona romana”,

pero que en realidad es una Palas

Atenea encontrada en la referida Peña

Kara-Azena.

En el mismo monasterio hay un

curioso texto del francés refundador

de Silos, fray Ildefonso Guepin, que

dice lo siguiente:

Olvidáseme decir que en el tesoro de

nuestro monasterio queda una cabeza de

bronce que llaman el ídolo de Carazo. La

tradición dice que fue objeto de culto en el

susodicho pueblo o en el cerro que lo domina,

hasta el tiempo de Santo Domingo de Silos, que

destruyó esos restos de idolatría y aprovechó la

cabeza para adorno de la corona que rodeaba

las reservas de la Sagrada Eucaristía.

Además de la reseñada fiebre destructiva

de Santo Domingo de Silos -y le hacen santo,

como al San Buenaventura incendiario-, resulta

que fr. Ildefonso Guepin miente y ni se

entera. Además cree prestar un servicio a

Dios. Peor que Pinocho:

- Dice que Santo Domingo (1.000-

1.073) destruyó la idolatría, pero hay un

documento de 1604 que dice textualmente:

Muchas mujeres usan tocados con unas

puntas adelante, a imagen de un ídolo que

antiguamente se dice que estaba en las

Torres de Carazo y así se tiene por

tradición. Para remedio de un yerro y

abuso tan grande, mando a todas las mujeres

que de aquí en adelante se casen en dicha villa,

no lleven ni expongan semejantes tocados. Y si

los llevaren mando a los curas que no las

desposen ni velen, y si después de veladas se

los pusieren, que los curas y demás clérigos y

beneficiarios no las admitan en la Iglesia y las

eviten en los oficios hasta que cumplan con lo

que se les manda. Y así lo hagan y cumplan las

dichas mujeres, curas y clérigos de la dicha

villa, so pena de excomunión mayor y de ciento

diez ducados para gastos de la guerra que el

Rey hace contra los infieles.

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- Dice anche che si approfittò

la testa per ornato della corona…

(voglio capire che sia della

custodia), quando quello che si

approfittò furono le pietre pregiose

che ornavano la testa.

Dopo però leggere queste

sostanziose rassegne, io

domanderei fra Ildefonso perché

non è idolatria prostrarsi davanti

alla “corona con le riserve della

Sacra Eucarestia”, tema che già ho

trattato e nel quale non reinciderò.

Anche gli domanderei se, nel supposto che

Cristo ci avesse lasciato “il suo Corpo e il suo

Sangue”, si sarebbe appuntato al dogmatismo

come “sua Sposa” la Chiesa, che impone il

modo come vuole supporre lo lasciò.

Quanti non saranno, come fra Ildefonso

Guepin, convinti di prestare un servizio a Dio

imponendo le sue catechesi provinciale, che tali

sono quelle della Chiesa Romana che, per

colmo si definisce e presenta come cattolica!

Torniamo al nostro “idolo”, la Pallade Atena

della Peña Karazo:

Come sai, molto prima di Atena, la dea

Pallade Azenai o Atena, fu la titolare della Peña

Carazo, (Burgos), la più grande acropoli che

videro i secoli, il cui nome ci rimanda ancora più

al nord della Spagna, poiché ci ricorda la

“Fuente del Cajo o del Cazo”, a Cantabria,

addirittura del utensile di cucina simile al casco

di Atena, nel quale, con il tuo permesso,

lettore, cucinerò le parole corazzo > cuore,

cuoio, cara… E

queste altre

Fermes > Her-

mes > Zernes,

cerneja, cerni-

calo, che impa-

rentano Atena e

il suo gufo con

il dio Erme, il

Mesaggero degli

dei, dal quale presto parleremo.

E non dimenticare “l’arnero”,

rotondo come la Luna e che

serve per “cerner” (setacciare),

lo stesso che fa l’Aquila… e il Sole.

- Dice también que se

“aprovechó la cabeza para adorno

de la corona”… (quiero entender

de la custodia), cuando lo que se

aprovechó fueron las piedras

preciosas que adornaban la

cabeza.

Pero tras leer estas

sustanciosas reseñas, yo

preguntaría a fr. Ildefonso por

qué no es idolatría postrarse ante

la “corona con las reservas de la

Sagrada Eucaristía”, tema que ya

tengo tratado y en lo que no reincidiré.

También le preguntaría si, en el supuesto de

que Cristo nos hubiera dejado su “Cuerpo y su

Sangre”, se habría apuntado al dogmatismo

como “su Esposa” la Iglesia, que impone el

modo cómo quiere suponer que nos lo dejó.

¡Cuántos no estarán, como fr. Ildefonso

Guepin, convencidos de prestar un servicio a

Dios imponiendo sus catequesis provincianas,

que tales son las de la Iglesia Romana que,

para colmo se define y presenta como católica!

Volvamos a nuestro “ídolo”, la Palas Atenea de

la Peña Karazo:

Como ya sabes, mucho antes que de

Atenas, la diosa Palas Azenai o Atenea, fue la

titular de Peña Carazo, (Burgos), la más grande

acrópolis que vieron los siglos, cuyo nombre

nos remite aún más al norte de España, al

recordarnos la “Fuente del Cajo o del Cazo”, en

Cantabria, amén del útil de cocina parecido al

casco de Atenea, en el que, con tu permiso,

lector, cocinaré las

palabras coraza >

corazón (“cuore”, in

italiano), cuero,

cara… Y estas

otras: Fermes >

Hermes > Zernes,

cerneja, cernícalo,

que emparentan a

Atenea y su lechuza

con el Dios Hermes, el Mensajero de

los dioses, del que pronto hablaremos.

Y no olvidemos el arnero, redondo

como la Luna y que sirve para cerner,

lo mismo que hace el Águila… y el Sol.

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Mi dice Patricio che a Pamplona ci sono

due bari di nome francese: Cernì e Cerna. Io

credo che in qualunque dei due

possono servire una buona cena

proprio quando “Azena” rimpiazza

il Sole nel cielo, ma i suoi nomi,

senza dubbio sono più spagnoli

della stessa Pamplona, figlia della

Pampliega burgalesa, e del Patrono

di ambedue Hermes > Fermín, o

della corneja (cornacchia), che

come il gufo di Atena, bene poté

essere il simbolo di Erme, che non

per niente i romani impararono

guardarla come messaggera dei

buoni o cattivi auguri.

Tutto questo rinforza quanto esponiamo

tanto sulla Madre, se non Nonna dell’umanità,

sul luogo dove, dalla più remota antichità, si

supponeva era nata la Vita -“l’Oceano”-, così

come sul culto immemoriale alla nostra

originale “Immacolata”. Andiamo avanti:

Nel racconto da prima abbiamo

contemplato le foto di alcune “herramientas

metálicas” che, tra altri pezzi, Jorge continua a

raccogliere nel già celebre giacimento di San

Bizente de Labarzera. La ragione per la quale là

ci sono tanti oggetti già la conosciamo: Perché

era la meta > meca del “Cammino del Jaco”,

oggi abbastanza spostato. Guarda però che

proprio in queste “herramientas metálicas”

d’origine stellare, ci troviamo

con lo stesso concetto vitale al

quale allude il nome del paese:

Bizente > Vincenzo. Ed è che i

meteoriti furono identificati per

i nostri antenati come il semine

del Sole che cade e feconda la

Terra. Il Santo Graal! Che

portò la Vita.

La ragione dell’enclave è che era

tradizione che là era nata la vita, ed io

immagino che per là doveva essere caduto

qualche speciale meteorite o forse fosse

portato. In ogni modo, San Bizente si convertì

nella meta> meca del primigenio e principale

pellegrinaggio dell’umanità, l’originale Roma

dove tutti i cammini conducevano, dimentica,

lettore l’italiana che è un usurpatore.

Me dice Patricio que en Pamplona hay dos

bares con nombre francés: Cerní y Cerna. Yo

creo que en cualquiera de ellos

pueden servir una buena cena

justo cuando “Azena” remplaza al

Sol en el cielo, pero me temo que

sus nombres son más españoles

que la misma Pamplona, hija de la

Pampliega burgalesa, y del Patrón

de ambas, Hermes > Fermín, o

que la corneja que, como la

lechuza de Atenea, bien pudo ser

símbolo de Hermes, que por algo

los romanos aprendieron a fijarse

en ella como mensajera de

buenos o malos augurios.

Todo esto refuerza cuando venimos

exponiendo tanto sobre la Madre, si no Abuela

de la humanidad, sobre el lugar donde, desde

la más remota antigüedad, se suponía que

había nacido la Vida -el “Océano”-, así como

sobre el culto inmemorial a nuestra original

“Inmaculada”. Vamos adelante:

En el relato anterior contemplamos las

fotos de algunas herramientas metálicas que,

entre otras piezas, Jorge va recogiendo en el ya

reputado yacimiento de San Bizente de

Labarzera. La razón por la que allí hay tantos

objetos ya la sabemos: Porque era la meta >

meca del “Camino del Jaco”, hoy día un tanto

desplazado. Pero mira por dónde justo en esas

herramientas metálicas, de origen

estelar, vamos a ver el mismo

concepto vital al que alude el

nombre del pueblo: Bizente >

Vicente. Y es que los meteoritos

fueron identificados por nuestros

ancestros como el semen del Sol

que cae y fecunda la Tierra. ¡El

Santo Grial! Que trajo la Vida.

La razón del enclave está en que era

tradición que allí había nacido la vida, y yo

imagino que por allí debió caer algún especial

meteorito o tal vez fuera llevado. De cualquier

modo, San Bizente se convirtió en la meta>

meca de la primigenia y principal peregrinación

de la humanidad, la original Roma, a donde

todos los caminos conducían, olvida, lector la

italiana, que es una usurpadora.

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Proprio la parola meta, contro

tutt’apparenza concettuale, ha la sua origine nei

meteoriti: Metallo, “metralla” (mitraglia), meta.

Cioè che San Bizente de Labarcera, con il suo

accoppio di Santo Graal,

sarebbe stato la prima

enclave riconosciuta come

Meta > Meca tanto dei

meteoriti come dei pellegrini.

Addirittura, là vicino è

documentata la nascita della

Maribianca, tema sul quale già ho parlato e sul

quale tornerò subito.

Apprezzata la relazione tra i meteoriti e la

vita, si può capire che non è un’idea così matta

quello sposto sulle Maribianche e le sue anfore

o bottami, che non sono se non idealizzazioni

del reale effetto che i meteoriti fecero sulla

Terra.

Non è però questa un’altra idea da pazzi?

Allora, lasciamo parlare i scientifici, quei

signori che scoprono delle cose che nessuno

capisce, ma che sono verità, non come gli

“archeologhi linguistici” che dicono cose

lapalissiane alle quale nessuno attende.

Ad esempio: Il tedesco Shawn Bishop ci

raccontò alcuni giorni fa, il 15 agosto 2016, che

tra 1,7 e 2,8 milioni de anni fa, la Terra soffrì

una “pioggia di meteoriti”. Prova di questo

fenomeno è l’accoppio di “Fe 60” –isotopo

siderale del ferro- trovato nelle cappe della

terra corrispondenti a quelle età. Secondo lo

stesso scientifico, il caso avrebbe avuto un

effetto tanto per l’estinzione di alcune specie

come per l’evoluzione di altre.

Guarda però che un altro scientifico

spagnolo, da nome e cognomi più digeribili per

il “volgare cristiano”, già aveva pubblicato,

proprio il giorno prima, il ritrovamento di alcuni

meteoriti con un’età, che lui stesso aveva

predetto, tra uno e tre milioni

di anni, i quali provavano una

sostanziale evoluzione nella

specie umana.

Avranno qualcosa a

vedere questi ritrovamenti

con il “semine del Sole” e le

“urne seminifere?

Precisamente la palabra meta, contra

toda apariencia conceptual, tiene su origen en

los meteoritos: Metal, metralla, meta. O sea,

que San Bizente de Labarcera, con su acopio de

Santo Grial, habría sido el

primer enclave reconocido

como Meta > Meca tanto de los

meteoritos como de los

peregrinos. Además, allí

cerquita está documentado el

nacimiento de la Mariblanca,

tema sobre el que ya he hablado y sobre el que

voy a volver enseguida.

Apreciada la relación entre los meteoritos

y la vida, se puede entender que no es una

idea tan loca lo expuesto sobre las Mariblancas

y sus ánforas o vasijas, que no son sino

idealizaciones del real efecto que los meteoritos

hicieron en la Tierra.

¿Pero no es ésta una idea loca más?

Pues vamos a dejar hablar a los

científicos, esos señores que descubren cosas

que nadie entiende, pero que son verdad, no

como los “arqueólogos lingüísticos” que dicen

cosas de Perogrullo a las que nadie atiende.

Por ejemplo: El alemán Shawn Bishop nos

contó hace unos días, el 15 de agosto del

presente 2016, que hace entre 1,7 y 2,8

millones de años, la Tierra sufrió una “lluvia de

meteoritos”. Prueba de este fenómeno es el

acopio de “Fe 60” -isótopo sideral del hierro-

hallado en capas de la tierra correspondientes a

esas edades. Según el mismo científico, el caso

habría tenido un efecto tanto en la extinción de

algunas especies como en la evolución de otras.

Pero, mira por donde, otro científico

español, de nombre y apellidos más digeribles

para el “vulgar cristiano”, ya tenía publicado,

justo el día anterior, el hallazgo de algunos

meteoritos con una edad, que él mismo había

predicho, de entre uno y tres

millones de años, que proba-

ban una sustancial evolución

en la especie humana.

¿Tendrán algo que ver

estos hallazgos con el “semen

del Sol” y las urnas

seminíferas?

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Allora, qui abbiamo il premio

Nobel di chimica 1903, Svante

Arrhenius, naturale di Vic (Svezia, che

anche ci sono dei “Vic” fuori e molto

fuori da Catalogna), che associò

“semine” e “pioggia di stelle” nella

parola “panspermia”, in allusione alla

possibilità che la vita scaturisca in

qualunque parte dell’universo e che attraverso i

meteoriti, si trasmetta ad

altri corpi celesti.

Addirittura, il caso è

che queste idee non sono

così nuove, perché già il

filosofo greco Anaxágoras

(s. V a.C.) diede

testimonianza dello

stesso, e sicuro che non

fu il primo a pensarlo.

Dopo, là c’è

Giordano Bruno,

condannato al rogo nel 1.600 per concepire un

universo formato da un’infinità di astri, dove

poteva avere dei seri viventi.

Aggiungiamo che oggigiorno si sono

trovati strutture cellulari in alcuni meteoriti.

In ogni modo, per quel-

lo che a noi si riferisce, la

cosa è già stata risolta nella

sua totalità, poiché sappiamo

che la Maribianca è figlia

della Triana e il suo marito il

Jaco. Allora, se come

supponevano i nostri ante-

nati e dicono i scientifici, la

vita nacque nelle acque, ci

basta ricordare che Triana, la Luna, è la

fontana di tutti i Nili, le cui acque riempiono

l’Oceano, mentre che il Jaco, cioè, il Sole, è

quel che invia il suo mentalico semine fecon-

datore in forma di menteoriti. Ed erano stupidi

i nostri antenati! Com’è degenerata la specie!

Menomale, lettore, che tu già incominci a

profilare la nostra Immacolata con si suoi tipici

colori: bianco, azzurro celeste e turchese, se

non azzurro e rosso, come i canoni più antichi

comandano, a dispetto di avere dimenticato il

suo significato. E domando:

Pues ahí tenemos al premio

Nobel de química 1903, Svante

Arrhenius, natural de Vic (Suecia, que

también hay “Vics” fuera y muy fuera

de Cataluña), que asoció “semen” y

“lluvia de estrellas” en la palabra

“panspermia”, aludiendo a la posibilidad

de que la vida surja en cualquier parte

del universo y que a través de los meteoritos,

se transmita a otros

cuerpos celestes.

Además resulta

que estas ideas no son

tan nuevas, porque ya

el filósofo griego

Anaxágoras (s. V a.C.)

dio testimonio de lo

mismo, y seguro que no

fue él quien primero lo

pensó.

Luego, ahí

tenemos a Giordano Bruno, condenado a la

hoguera en 1.600 por concebir un universo

formado por una infinidad de astros, donde

podía haber seres vivientes.

Añadamos que hoy día se han encontrado

estructuras celulares en algunos meteoritos.

De cualquier modo, por

lo que a nosotros se refiere, la

cosa ya está resuelta en su

totalidad, pues sabemos que la

Mariblanca es hija de Triana y

de su marido el Jaco. Entonces,

si como suponían nuestros

ancestros y dicen los científicos,

la vida nació en las aguas, basta

recordar que Triana, la Luna, es

la fuente de todos los Nilos, cuyas aguas llenan

el Océano, mientras que el Jaco, o sea, el Sol,

es el que manda su mentálico semen fecun-

dador en forma de menteoritos. ¡Y eran tontos

nuestros ancestros! ¡Cómo degeneró la especie!

Menos mal, lector, que tú ya empiezas a

perfilar a nuestra Inmaculada con sus típicos

colores: blanco, azul celeste y turquesa, si no

azul y rojo, como mandan los cánones más

antiguos, pese a haber olvidado su significado.

Y pregunto:

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Non meriteranno adesso un po’

più di rispetto le “idee strampalate” dei

nostri “tartarabuelos” che videro nei

meteoriti il semine divino che aveva

generato la vita nell’Oceano? Si capisce

la ragione del suo apprezzamento per

questi corpi celesti e che corressero

dietro di essi a gara e reverenti,

sapendo addirittura che erano oggetti

d’incomparabile e “magica” utilità? Ci facciamo

carico che i meteoriti si convertissero in oggetti

di culto e in causa di evoluzione tecnica? Che

bei martelli si facevano con essi!

Ti offro, lettore, la

foto di ultima ora di uno di

quelli martelli in due

posizioni, perché tu vedi la

sua forma e quale era il lato

per battere. Ugualmente ti

presento la parola

sudamericana “metate”,

che significa “pietra di

macinare”, la quale documenta

che i meteoriti furono utilizzati

come herramientas.

E com’erano così pregiati, e

anche le manifatture o

“herramiantas” che di essi si ottenevano, i

meteoriti furono l’origine del patrimonio che si

passava in eredità o “manda” (legato) da padri

a figli, come si può dimostrare a livello

linguistico. In effetti:

La prima parte della parola “patri-monio”,

allude ai padri, ma a che cosa allude la

seconda, il “monio”?

Quindi, il “monio” è un derivato di

“mano”, come anche il “mienta” da “herra-

mienta” o da parole tali come manovella,

manico, manica, “mango”, menaje…

Se possiamo dire che una “herra-mienta”

è una manufactura di ferro per essere usato

con le mani, il patri-monio è qualcosa

manufacturata o “creata” con le mani dei nostri

padri che, in un principio, non erano se non le

stesse herramientas, passate dopo ai figli in

eredità o “manda”, due parole sinonime, una

con il suo “her” di ferro e l’altra con il suo

“man” di mani.

¿No merecerán ahora un poco más de

respeto las “ideas descabelladas” de

nuestros “tartarabuelos” que vieron en los

meteoritos el semen divino que había

generado la vida en el Océano? ¿Se

entiende la razón de su aprecio por estos

cuerpos celestes y de que corrieran tras

ellos con porfía reverente, sabiendo,

además, que eran objetos de incomparable

y “mágica” utilidad? ¿Nos hacemos cargo de

que los meteoritos se convirtieran en objetos

de culto y en causa de evolución técnica? ¡Qué

buenos martillos se hacían con ellos!

Te ofrezco, lector, la

foto de última hora de uno

de aquellos martillos en

dos posiciones, para que

veas su forma y cual era la

cara percutora. Igualmente

te presento la palabra

sudamericana “metate”,

que significa “piedra de

moler”, la cual documenta que los

meteoritos fueron utilizados como

herramientas.

Y siendo tan preciados, así

como las manufacturas o

herramientas que de ellos se

obtenían, los meteoritos fueron el origen del

patrimonio que se pasaba en herencia o manda

de padres a hijos, como puede demostrarse a

nivel lingüístico. En efecto:

La primera parte de la palabra “patri-

monio”, alude a los padres, pero ¿a qué alude

la segunda, el “monio”?

Pues “monio” es un derivado de “mano”,

lo mismo que el “mienta” de “herra-mienta” o

de palabras tales como manivela, manija,

manubrio, manilla, mango (manga), menaje…

Si podemos decir que una “herra-mienta”

es una manufactura de hierro para ser usado

con las manos, el patri-monio es algo

manufacturado o “creado” con las manos de

nuestros padres que, en un principio, no eran

sino las mismas herramientas, pasadas después

a los hijos en herencia o “manda”, dos palabras

sinónimas, una con su “her” de hierro y otra

con su “man” de manos.

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Per certo che la parola

herencia (eredità), con il suo

“her” di ferro –come anche

gerencia-, è il comune

denominatore di “Herracles”

(Eracle) e del “trinitario” Gerone,

e già possiamo dedurre da dove

derivano ambedue parole:

“Heracles” = Jerión > gerencia y herencia.

Questo dettaglio illustra sul divino

significato del patrimonio, manda o herencia,

che all’inizio non era se non quello che ci veniva

da parte del nostro Re e Creatore Gerone. I

meteoriti!

Di qua derivano altri concetti più sottili,

come ad esempio quel di “moneta” o il “money”

degli inglesi, così risparmiatori che fino lesinano

lettere alla parole, e già intuiamo come

incominciamo a scivolare verso la “pietra

filosofale” che abbagliasse il Re Mino e ad altri.

Intercalo un aneddoto:

Armata dal telefonino, per controllare con

l’aiuto dei suoi famigliari la concorrenza alle

diverse chiese di Roma, tutte le mattine trovavo

una giovane rumena che, secondo diceva,

veniva “lavorare”, seduta alla porta della nostra

Basilica dei Ss. XII Apostoli. Dico alla porta, non

entro, dove poteva incontrare una scopa a

muovere senza troppo retribuzione. Io la

salutavo e lei soleva dirmi:

- Oggi non si fa denaro.

E girando io la mano rispondevo:

- Devi darli alla macchinetta, alla

macchinetta.

Quello certo pero era che “la

macchinetta”, per la nostra giovane rumena –e

per tanti non rumeni-, era entro la chiesa,

concretamente in una sepoltura che c’è nella

cripta, dove i pellegrini credono di andare a

venerare “i corpi”

degli apostoli Filippo

e San Giacomo il

Minore, secondo

continua a

proclamare il parroco

benché, come ho già

esposto, soltanto si siano trovati due osa e tre

denti, questi di aspetto infantile.

Por cierto que la palabra

herencia, con su “her” de

hierro -lo mismo que gerencia-

, también es el común

denominador de “Herracles” y

del “trinitario” “Jerión”, y ya

podemos deducir de donde

derivan ambas palabras:

“Heracles” = Jerión > gerencia y herencia.

Este detalle ilustra sobre el divino

significado del patrimonio, manda o herencia,

que al principio no era sino lo que nos venía de

parte de nuestro Rey y Creador Jerión. Los

meteoritos.

De aquí derivarían otros conceptos más

sutiles, como por ejemplo el de “moneda” o el

“money” de los ingleses, tan ahorradores que

hasta escatiman letras a las palabras, y ya

intuimos que empezamos a deslizarnos hacia la

“piedra filosofal” que encandilaría al rey Minos

y a otros. Intercalo una anécdota:

Armada de teléfono móvil, para controlar

con ayuda de sus familiares la concurrencia a

distintas iglesias de Roma, todas las mañanas

me encontraba a una joven rumana que, según

decía, venía “a trabajar”, sentada a la puerta de

nuestra Basílica de los SS. XII Apóstoles. Digo a

la puerta, no dentro, donde podría encontrar

una escoba que mover sin demasiada

retribución. Yo la saludaba y ella solía decirme:

- Hoy no se hace dinero.

Y yo, girando la mano, respondía:

- Tienes que darle a la maquinita, a la

maquinita.

Pero lo cierto es que “la maquinita”, para

nuestra joven rumana –y para tantos no

rumanos-, estaba dentro de la iglesia,

concretamente en un “sepulcro” que hay en la

cripta, donde los peregrinos creen ir a venerar

“los cuerpos” de los

apóstoles Felipe y

Santiago el Menor,

según sigue

proclamando el

párroco aunque,

como ya tengo

dicho, sólo se hayan encontrado dos huesos y

tres dientes, éstos de aspecto infantil.

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Questa è Roma e la sua

necrofilia con metastasi per tutto

il mondo. Perché, al contrario che

a Petra, Gerusalemme, Troya o

La Meca, nemmeno ci sono dei

meteoriti, e lasciamo da parte il

Re Mino e “L’Arca Marmórea” di

Santiago de Compostela, dalla

quale parleremmo il giorno che la

aprano.

Qualcuno mi direbbe che “nessun tonto

slancia delle pietre al suo tetto”, allo quale io

risponderei che più tonto è lui se non capisce

che ne slancio pietre ne ho tetto. Più ancora, ed

entrando in altro ambito:

Arrivato a Roma da recente, feci un lavoro

sulla nostra Basilica in spagnolo –che non in

latino- per i frati ispanoamericani, ai quali mi

chiedevano di accompagnare e spiegare

qualcosa mentre la visitavano.

Già, già vedo Jorge rimproverando la mia

“ossessione ispana”. Come però non sarò

ossessionato dopo scoprire che i latinismi italo-

francesi sono il paradigma delle stratagemmi

dei Pinocchi che tutto sconvolgano a

gloria del suo ombelico, e dopo

avere esperimentato in propria

carne, per negarmi a usarli,

l’insopportabile pressione con la

quale il suo naso da Pinocchio

attanaglia il mondo intero? Seguo:

Allora, indagando trovai che

l’Ordine Conventuale non è la

proprietaria della struttura de la

Basilica; nemmeno il Vaticano. La

Basilica è dello Stato Italiano.

Quello però più sorprendente del caso è

che nemmeno il Segretario generale, né il

Vicario generale, né il Guardiano del convento

sapevano niente al rispettive. Uno spagnolo e il

Postulatore dissero di saperlo, ma per se lo

avevano guardato. Ed io glielo dissi a tutti,

incluso al Generale, e questo mi confessò che

neanche lo sapeva, e mi ringraziò per

l’informazione. Allora il Generale ancora non mi

si era manifestato come il cafro più grande che

abbiano visto i miei occhi. Ed io credevo che

era il mio amico!

Ésta es Roma y su

necrofilia con metástasis por

todo el mundo. Porque, al

contrario que en Petra,

Jerusalén, Troya o La Meca, ni

siquiera hay meteoritos, y

ladeamos al Rey Minos y el “Arca

Marmórea” de Santiago de

Compostela, de la que

hablaremos el día que la abran.

Alguno me diría que “ningún tonto tira

piedras a su tejado”, a lo que yo respondería

que más tonto es él si no entiende que ni tiro

piedras ni tengo tejado. Más aún, y entrando

en otros ámbitos:

Recién llegado a Roma hice un trabajo

sobre nuestra Basílica en español -que no en

latín- para los frailes hispanoamericanos, a

quienes me pedían acompañara y explicara algo

mientras la visitaban.

Ya, ya. Ya me veo a Jorge recriminando

mi “obsesión hispana”. ¿Pero cómo no voy a

estar obsesionado tras descubrir que los

latinismos ítalo-franceses son el paradigma de

las estratagemas de los Pinochos

que todo lo trastocan a gloria de

su ombligo, y tras haber

experimentado en carne propia,

por negarme a usarlos, la

insoportable presión con que su

nariz atenaza el mundo entero?

Sigo:

Pues indagando me encontré

con que la Orden Conventual no es

la propietaria del inmueble; ni

siquiera lo es el Vaticano. La

Basílica es del Estado Italiano.

Pero lo más sorprendente del caso es que

ni el Secretario General, ni el Vicario General, ni

el Guardián del convento sabían nada al

respecto. Un español y el Postulador dijeron

saberlo, pero bien guardado se lo tenían. Y yo

se lo dije a todos, incluido el General, y éste me

confesó que tampoco lo sabía, y me agradeció

la información. Por entonces el General aún no

se me había manifiesto como el cafre más

grande que hayan visto mis ojos. ¡Y creía yo

que era mi amigo!

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Questo detto, capisca il buon intenditore

quello che può supporre la “pietra filosofale”,

dalla quale tante varietà ci sono per il mondo e

che, come direbbe mio padre, permette a

ognuno vivere del suo conto, e questo a

dispetto che, se bene Dio fa crescere il

frumento, qualcuno deve faticarsi in seminarlo.

Se per caso però ci siamo lasciato

abbagliare dalla macchinetta, andiamo al

deserto che dicono trattenne i giudei durante

40 anni, per darli il “mana”, alimento a piacere

di ognuno…, proprio come quel che qualunque

di noi incontra nel mercato, sempre e quando

porti denaro abbastanza per comprarlo.

Peccato che ci sia una parola vasca che

definisce l’ancestrale e genuina maniera per

riferirsi al “mana”. È la parola “manatu”, che

significa colpire. Cioè, che il così

“celestiale alimento” era

necessario di guadagnarlo. Le

divinità, come dice il proverbio,

non diedero il “pesce”, ma la

canna con cui pescare il “pesce”

di ogni giorno.

Così, nella parola “manatu”, scopriamo il

patrimonio, manda o eredità di Yahvè.

Che belle lezioni d’ermeneutica biblica si

possono estrarre della “archeologia linguistica”,

a dispetto non manchino quelli a chi piacerebbe

inviare al rogo al suo scopritore!

Ebbene, ecco la pioggia di meteoriti che,

come “rugiada dall’alto” (parlerò un giorno della

“Virgen del Rocío”), prima di Yahvè agli israeliti,

il Jaco, Yago, Jove, “Herrakles” o Gerone, aveva

regalato ai nostri “tartarabuelos”, e che questi,

dopo trattarli sapientemente o “forgiarli”,

lasciavano in patrimonio, herencia, “manda” o

mana alla sua prole perché potesse mangiare

tutti i giorni, e difendersi di alcuni pericoli di

morte nel senso più letterale della parola.

Peccato che la Bibbia manipolasse, a

convenienza del plagiario, la prima storia e

mitologia dell’umanità. Ed ecco, in questo

preciso istante, un’altra lezione di “archeologia

linguistica”, che viene a complementare altre di

racconti anteriori, per provare che quello

plagiato è originale della Spagna, dove è stato

la prima Palestina e la prima Atena:

Dicho esto, entienda el buen entendedor

lo que puede dar de sí la “piedra filosofal”, de la

que tantas variedades hay por el mundo y que,

como diría mi padre, permite a cada cual vivir

de su cuento, y eso pese a que, si bien Dios

hace crecer el trigo, alguien debe molestarse al

menos en arar el campo y sembrarlo.

Pero por si nos hemos dejado encandilar

por la maquinita, vayamos al desierto que dicen

retuvo a los judíos durante 40 años, para darles

el “maná”, alimento a gusto de cada uno…,

justo como el que cualquiera de nosotros

encuentra en el mercado, siempre y cuando

lleve dinero para comprarlo.

Lástima que haya una palabra vasca que

defina la ancestral y genuina manera de

referirse al “maná”. Es la palabra “manatu”,

que significa golpear. O sea,

que tan “celestial alimento”

había que ganárselo. Los

dioses, como dice el proverbio,

no dieron el “pez”, sino la

“caña” don la que pescar el

“pez” de cada día.

Así, en la palabra “maná” descubrimos el

patrimonio, manda o herencia de Yahvé.

¡Qué hermosas lecciones de hermenéutica

bíblica pueden extraerse de la “arqueología

lingüística”, pese a que no falten, quienes

gustarían llevar a su descubridor a la hoguera!

Pues he ahí la lluvia de meteoritos que,

cual “rocío de lo alto” (hablaré un día de la Vir-

gen del Rocío), antes que Yahvé a los israelitas,

el Jaco, Yago, Jove, “Herrakles” o Jerión, había

regalado a nuestros “tartarabuelos”, y que

éstos, tras tratarlos sabiamente o “forjarlos”,

dejaban en patrimonio, herencia, “manda” o

maná a su prole para que pudiera comer todos

los días, y defenderse de algunos peligros de

muerte en el sentido más literal de la palabra.

Qué pena que la Biblia manipulara, a

conveniencia del plagiario, la primigenia historia

y mitología de la humanidad. Y vaya, en este

preciso instante, otra lección de “arqueología

lingüística”, que vienen a complementar otras

de relatos anteriores, para probar que lo

plagiado es original de España, donde estuvo la

primera Palestina y la primera Atenas:

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Se guardiamo Pallade Atena, “arme e

scienza” –come Palencia- vediamo che da

Pallade deriva palestra, luogo dove si pelea (si

lotta). Dalla stessa Pallade

deriva Palestrins, toponimo

catalano (esempio: “Otero

de Palestrins” e “Collado de

Palestrins”) e Palestrina,

paese del musico italiano

Giovanni da Palestrina. E,

benché non abbia la “r” di

palestra, da Pallade deriva

Palestina, paese tanto più

scentrato quanto più ha

voluto essere “ombelico”.

Ugualmente, da Azenai deriva Atena, città

“ombelico” e scentrata.

Adesso mi

ricordo, e non

voglio lasciare

passare l’occasione,

che parlando di

Haza, paese vicino

a Roa, diceva mio

padre: “Haza, chi ti

ha visto è chi ti vede, con milioni (?)di abitanti e

adesso non hai nemmeno tre”. Non sarebbe

un’allusione alla dimenticata Peña Karazo?

E anche mi sono reso

conto che Ezquaba o

Cristobal, per riferirsi al monte

di Pamplona al cui piede abita

la mia nipote Lara, è lo stesso.

Perché “ezqua” è lo stesso

che il castigliano “ascua”

(esca, brace), cioè che è un

riferimento al Sole, “l’ascua”

per eccellenza, che anche è

chiamato Cristo. E indovino

che “bal” significa monte, per quanto facciamo

ridondanza ogni volta che parliamo del Monte

Ezquaba o Monte San Cristóbal.

Di questo si deduce che Ezquaba, Cristó-

bal e Monasterio, sono termini sinonimi, essen-

do i primi due “genitivi sassoni” equivalenti a

“Monte del Sole”, proprio come il terzo, che

anche può essere un “Sole del Monte”. E anche

sono equivalenti a Jeronimo, che possiamo

tradurre come Gerone del Monte, o viceversa.

Mirando a Palas Atenea, “armas y ciencia”

–como Palencia-, vemos que de Palas deriva

palestra, lugar donde se pelea. De la misma

Palas, deriva Palestrins,

topónimo catalán (ej.: “Otero

de Palestrinos” y “Collado de

Palestrinos”) y Palestrina,

pueblo del músico italiano

Giovanni de Palestrina. Y,

aunque no tenga la “r” de

palestra, de Palas deriva

Palestina, país tanto más

descentrado cuanto más quiso

y quiera ser “ombligo”.

Igualmente, de Azenai deriva Atenas,

ciudad igualmente “ombligo” y descentrada.

Acabo de recordarme, y no quiero

que se me pase la ocasión, que hablando

de Haza, pueblo cercano de Roa, decía

mi padre “Haza, quien te ha visto y quién

te ve, con millones (?) de habitantes y

ahora no tienes ni tres”. ¿No sería una

alusión a la olvidada Peña Karazo?

Y acabo de darme cuenta que decir

Ezquaba o Cristobal, para referirse al monte

pamplonés a cuyo pie vive mi sobrina Lara, es

el mismo. Porque “ezqua” es lo mismo que el

castellano “ascua”, o sea que es una referencia

al Sol, ascua por

excelencia, que también

es llamado Cristo. Y

adivino que “bal”

significa monte, con lo

que caemos en la

redundancia cada vez

que hablamos del Monte

Ezquaba o Monte San

Cristóbal.

De esto se des-

prende que Ezquaba, Cristóbal y Monasterio,

son términos sinónimos, siendo los primeros

dos “genitivos sajones” equivalentes a “Monte

del Sol”, lo mismo que el tercero, que también

puede ser un “Sol del Monte”. Y también son

equivalentes a Jerónimo, que podemos traducir

como Gerión del Monte, o viceversa. Y

advertimos que la altura es el lugar apropiado

para los Monasterios, porque de lo contrario

estaríamos en el valle, no en el “mon”.

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E percepiamo che l’altezza è il luogo

appropriato per i Monasteri, perché per il

contrario saremmo nella valle, non nel “mon”.

E capiamo che un “monje” (monaco), sia

un “ser del Monte” (uomo del monte), perché

non per niente è Jiron il Creatore di quello che

in kalò si chiama xeré e manú, il “ser-humano”

(“l’essere umano”)

E anche capiamo che cosa

possa significare il nome dell’Isola del

Tesoro e il suo Montecristo, come

quel del “Santo Cristo del Monte” da

Alaraz (Salamanca), paese il cui

stemma è un “Monte del tesoro”, con

inclusione del mappa per trovarlo,

poiché si vedono identificati Cristo e la

Croce. Così si capisce che questa è un

segno del Sole -stat crux dum volvitur

orbis-; addirittura c’è la Luna e i colori dell’Im-

macolata. E anticipo che anche nella “Tierra de

Peñaranda”, alla quale appartiene il paese, c’è

un grande tesoro, quello proprio che è a

Aranda de Duero, fiume, questo, dell’oro.

Bene, allora, se facciamo un paso avanti

sarà come se traversassimo la “Porta del Sole”

e ci introducessimo niente di meno che nel

palazzo del mitico Re Mino, dove possiamo

contemplare come “maneja” o accarezza le sue

manie, monie, “mandas” o “herramientas”,

voglio dire le sue monete. Perché come Re del

Monasterio e Monarca, è lui chi ostenta il

mando, il dominio, il monopolio.

Dallo stesso carisma che il mitico re sono

partecipi i monjes (monaci) dai suoi

monasteri. Cioè, che anche ostentano il

dominio, che non parlo dei poveri frati

francescani al servizio, in definitiva, dello

stesso. E non dirò io che cosa sia buona, brutta,

migliore o peggiore, tra altro perché non lo so.,

Che cosa, quindi, potrei dire dell’umile cittadino

al servizio del regno o della repubblica? Ecco.

Sia tutto per il bene della Madre Patria,

massime se è la Spagna, che questa è

l’autentica; le altre -anche per gli italiani-… più

o meno… migliori o peggiori… matrigne.

Quello che certamente so è che il primo

Monarca degli spagnoli fu Jerión-Mani, Meni,

Mini, Lomini, su chi ritorniamo subito, a chi di-

Y entendemos que un monje sea un “ser

del Monte”, porque no por nada es Jirón el

Creador de lo que en kaló se llama xeré y

manú, el “ser-humano”.

Y también entendemos qué pueda

significar el nombre de la Isla del Tesoro y su

Montecristo, lo mismo que el de “Santo Cristo

del Monte” de Alaraz (Salamanca),

pueblo cuyo escudo es un “Monte del

tesoro”, con inclusión del mapa para

encontrarlo, pues se ven identificados

Cristo y la Cruz. Así se entiende que

ésta sea un signo del Sol -stat crux

dum volvitur orbis-; más la Luna y los

colores Inmaculada. Y anticipo que

también en la “Tierra de Peñaranda”,

a la que pertenece el pueblo, hay un

gran tesoro, el mismito que hay en

Aranda de Duero, río del oro éste.

Bueno, pues si damos un paso más, es

como si atravesáramos la “Puerta del Sol” y nos

introdujéramos nada menos que en el palacio

del mítico rey Minos, donde podemos

contemplar cómo “maneja” o acaricia sus

manias, monias, mandas o herramientas,

quiero decir sus monedas. Porque, como Rey

del Monasterio y Monarca, es él quien ostenta

el mando, el dominio, el monopolio.

Del mismo carisma que el mítico rey son

partícipes los monjes desde sus monasterios.

O sea, que también ostentan el dominio, que

no hablo de los pobres frailes franciscanos al

servicio, en definitiva, de lo mismo. Y no diré yo

qué sea bueno, malo, mejor o peor, entre otras

cosas porque no lo sé. ¿Qué podría decir del

humilde ciudadano al servicio del reino o de la

república? Pues eso. Sea todo por el bien de la

Madre Patria, máxime si es España, que ésta es

la auténtica; las demás… más o menos…,

mejores o peores… madrastras.

Lo que sí sé es que el primer Monarca de

los españoles fue Jerión-Manes, Menes, Minos,

Lominio, sobre el que vamos a volver, a quien

dicen asesinó Hércules o “Herracles”, el que

separó las columnas para que surgiera la vida e

hizo llover del cielo el maná de las

herramientas, de quien Yahvé es una caricatura

no menos que San Roque. En definitiva, el Sol

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cono assassinò Ercole o “Herra-

cles”, chi separò le colonne

perché sgorgasse la vita e fece

piovere dal cielo il mana delle

“herramientas”, dal quale Yahvé

è una caricatura non meno di

San Rocco. In definitiva, il Sole

che regna nel paese del Tra-

monto, in Occidente, in Spagna.

Così si capisce che la tradizione

castigliana consideri i cognomi Jirón e Meneses

come i più antichi, una copia del Menes o

Monarca Jirón, il Creatore del xer, manú, o

“essere-umano”, a chi la Bibbia plagerebbe e

chiamerebbe Yahvè per fare del popolo ebraico

la sua eredità. Ecco, lettore, un modo di

pensare forse più provinciale di quel di Roma.

In Spagna -non in Croazia- abbiamo

San Jerónimo (Girolamo), che si è rivelato

come un San Jerión-Menes, cioè, una

Santa JERRA-MIENTA (herramienta =

utensile) con maiuscole. E, saputo che in

kaló tanto “jere” come “manu” significa

uomo, ecco colui che “creò l’uomo alla sua

immagine e somiglianza, e da chi questo

riceve il nome e il “ser” o, come dicono gli

gitani, il xeré” = Jeré (= Gerone)… E la divinità!

Bene possiamo capire non soltanto perché

in Spagna ci sono i “geronimi”, e non a Croazia,

ma incluso da quale sono figli i musulmani.

Addirittura, in Spagna sta Álava, o Araba (in

basco), un’anteriore Arabia, e il Mare Rosso,

che documenta la sua origine spagnola,

come anche “l’Ebro” documenta da dove

sono gli ebrei, i loro fratelli. Ugualmente il

nome Menas o Menes, che gli egiziani

diedero al suo primo faraone conferma che

erano d’origine gitano e spagnolo.

Ed ecco una lista di termini simili a quelli

esposti che provano la figliazione metallico-

divina dell’uomo o la sua “geronima divinità”.

- In kalò: Manjarín (benedetto, santo)

- In basco: Manu, men = mende (potere,

autorità, energia, dominio, “mando”; ricordare il

castigliano “avere la padella per “il mango”);

min (primo seme, germe di vita).

- In indonesiano: Mani (sperma) e

manusia (umanità).

que reina en el país del Ocaso,

en Occidente, en España.

Así se entiende que la

tradición castellana considere los

apellidos Jirón y Meneses como

los más antiguos, un calco del

Menes o Monarca Jirón, el Creador

del xer, manú, o “ser-humano”, a

quien la Biblia plagiaría y llamaría

Yahvé para hacer del pueblo hebreo su

heredad. Pues ahí tienes, lector, un modo de

pensar tal vez más provinciano que el de Roma.

En España -no en Croacia- tenemos a San

Jerónimo, que se ha revelado un San Jerión-

Menes, o sea, una Santa JERRA-MIENTA

(herramienta) con mayúsculas. Y, sabiendo que

en kaló tanto “jere” como “manu” significan

hombre, ahí tenemos a

quien “creó al hombre,

a su imagen y semejan-

za”, o de quien éste

recibe el nombre y el

“ser” o, como dicen los

gitanos, el “xeré” =

Jeré (= Jerión)…. ¡Y la

divinidad!

Bien podemos entender no sólo por qué

en España están los “jerónimos”, y no en

Croacia, sino incluso de quien son hijos los

musulmanes. Además, en España está Álava, o

Araba (en vasco), una anterior Arabia, y

el Mar Rojo, que documentan su origen

español, lo mismo que el “Hebro”

documenta de dónde son los hebreos,

sus hermanos. Igualmente el nombre

Menas o Menes, que los egipcios dieron

a su primer faraón confirma que eran

de origen gitano y español.

Y vaya una lista de términos afines a los

expuestos que prueban la filiación metálico-

divina del hombre o su “jerónima divinidad”:

- En kaló: Manjarín (bendito, santo)

- En vasco: Manu, men = mende (poder,

autoridad, energía, dominio, “mando”; recordar

el castellano “tener la sartén por el mango”);

min (primera simiente, germen de vida).

- En indonesio: Mani (esperma) y manusia

(humanidad).

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Ricordiamo anche il

castigliano semen che, come

sappiamo, ci introduce nel

Monastero di Silos, conosciuto

come “Domus seminis” o

“Casa del Semen”. Questo

perché non cadiamo in

riduzionismi, perché non

dobbiamo dimenticare che

parliamo del “semine

celestiale”, della “pioggia di meteoriti”, della

primordiale “pioggia della vita”, che non arrivò

in forma di sperma, “mana”, “manjares” o

alimenti, ma in forma di minerali, o “mentali”

= metali, o “menteoriti” = meteoriti.

Questa fu la “madre dell’agnello”, che

finirebbe per dare alla luce al “ser humano”.

Ricordare che abbiamo ricuperato la “n” di

man, persa in termini come “metal”,

“meteorito” o cometa, ma che, con tutta

coerenza conservano i termini mineral, mina e

il suo equivalente basco menoki. E questa “n”

è importante perché, ricuperata, arriviamo

all’originale nome della “Madre dell’Agnello”,

cioè, della “Madre dell’essere umano”.

Certo, l’a

c’è la Madonna

del Karman o

del Carmen, la

Madre della Vita,

la Madre dell’U-

manità, addirit-

tura con la sua veste nera, se non il suo volto,

come corrisponde a tutta Madonna siderale,

inclusa quella del Monte Luna”, de la Sera o di

Montserrat. Ripassare la “n” del “Karmanta” e

della Luna: Mensuale, menstrua-zione, mensi

> mesi, settimana (lo quelle significa sette

giorni o “sette lune”).

Alcuni anni fa incomin-

ciarono a dirci che Dio an-

che è Madre. Eccola come

Luna, come Jerión-Menes e

come figlia di ambedue. E

presento un’immagine già

conosciuta che non ha bisogno di spiegazioni

perché, a questo punto, tutti abbiamo decifrato

il Misterio della Santissima Trinità… e senza

studiare alla Gregoriana.

Recordemos también el

castellano semen que, como

sabemos, nos introduce en el

Monasterio de Silos, conocido

como “Domus seminis” o “Casa

del Semen”. Esto para que no

caigamos en reduccionismos,

porque no debemos olvidar que

estamos hablando del “semen

celestial”, de la “lluvia de

meteoritos”, de la primordial “lluvia de la vida”,

que no vino en forma de esperma, “maná”,

manjares o alimentos, sino en forma de

minerales, o “mentales” = metales, o

“menteoritos” = meteoritos.

Ésta fue la “madre del cordero”, que

terminaría por dar a luz al “ser humano”.

Recuerda que hemos recuperado la “n” de

man, perdida en términos como “metal”,

“meteorito” o cometa, pero que, con toda

coherencia, conservan los términos mineral,

mina y su equivalente en vasco, menoki. Y

esta “n” es importante porque, recuperada,

vamos a llegar al original nombre de la “Madre

del Cordero”, léase de la “Madre del ser

humano”:

Sí, ahí es-

tá la Virgen del

Karman o del

Carmen, la Ma-

dre de la Vida,

la Madre de la

Humanidad, además con su traje negro, si no

su rostro, como corresponde a toda Virgen

sideral, incluida la del “Monte Luna”, de la Sera

o de Montserrat. Repasa la “n” del “Karmanta”

y de la Luna: Mensual, menstruación, menses

> meses, semana (settimana en italiano, lo

que equivale a siete días o “siete lunas”).

Hace unos años empeza-

ron a decir que Dios también es

Madre. Pues ahí la tienes como

Luna, como Jerión-Menes y

como hija de ambos. Y presento

una imagen ya conocida que no

necesita explicación porque, a

estas alturas, todos hemos descifrado el

Misterio de la Santísima Trinidad… y sin

estudiar en la Gregoriana.

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Ecco, lettore, la Madonna

del Carmen nella quale si uniscono

il Sole, la Luna e la Terra. Perché

si veda come un buon colpo sulla

testa -se venuto dal cielo, non dal

martello del vicino- può fare

svegliare la gente, che questo

fecero le comete o meteoriti

piovuti dall’alto, con i nostri “tarta-

rabuelos”. Né lo Spirito Santo il

giorno della Pentecoste! Vederli e

incominciare a relazionarli con “il

semine” del Sole, quale spirito

vivificatore che aveva portato la vita sulla Terra,

fu tutto uno. E sorse l’Afrodita nell’Oceano,

dalla quale ancora si ricordavano greci, e il

Palladium di Troya, e la Venere romana, e la

Maribianca, e la Flora, e la Astarte, che così via,

“ognuno chiamava nella propria lingua la

Madonna del Karmen, e tutti si capivano”.

E prima di continuare, torno a San Bizente

de Labarzera con un ragionamento che spiega il

perché dei suoi meteoriti, e ammeteremo che

sia è il più antico luogo riconosciuto come

l’origine della vita umana e della civiltà:

- La Maribianca riassume una credenza

ancestrale dell’umanità, cioè, che l’uomo è

uscito dal mare; ma anche il suo bottame

riassume un’altra certezza, cioè, che la vita era

venuta in forma di meteoriti, perché questi

sono gli unici corpi venuti dello spazio.

- A San Bizente de Labarzera primo luogo

di pellegrinaggio, come Campo della Stella e

Camposanto, il cui nome suona a “vita e mor-

te”, i meteoriti non ci sono proprio perché là

furono caduti -poiché caddero per tutto il

mondo-, ma perché là sono stati degli uomini

che queste cose sapevano ed erano capaci di

raccoglierli e venerarli come dei

messaggeri o angeli del Sole,

della Luna o di Dio. Cioè, e più

riassunto: San Bizente de Labar-

zera è il più antico luogo cono-

sciuto dove si fondono il fatto e la

credenza, i meteoriti e quello che

significarono. E presento accanto,

come anticipo, un’immagine sulla

quale tornerò, poiché voglio

contare un aneddoto:

Pues ahí tienes, lector, a la

Virgen del Carmen en la que se

aúnan el Sol, la Luna y la Tierra.

Para que se vea cómo un buen

golpe en la cabeza -si es venido del

cielo, no del martillo del vecino-

puede hacer espabilar a la gente,

que eso es lo que hicieron los

cometas o meteoritos llovidos de lo

alto con nuestros “tartarabuelos”.

¡Ni el Espíritu Santo en Pentecostés!

Verlos y empezar a relacionarlos con

“el semen” del Sol, cual espíritu

vivificador que había traído la vida a la Tierra,

fue todo uno. Y surgió la Afrodita en el Océano,

de la que aún se recordaban los griegos, y el

Palladium de Troya, y la Venus romana, y la

Mariblanca, y la Flora de Burgos, y la Astarté, y

así “cada uno llamaba en la propia a la “Virgen

del Carmen, y todos se entendían”.

Y antes de seguir vuelvo a San Bizente de

Labarzera, con un razonamiento que explica el

porqué de sus meteoritos y admitiremos que

sea el más antiguo lugar reconocido como

origen de la vida humana y de la civilización:

- La Mariblanca resume una creencia

ancestral de la humanidad, a saber, que el

hombre salió del mar; pero también su vasija

resume otra certeza, a saber, que la vida vino

en forma de meteoritos, pues éstos son los

únicos cuerpos venidos del espacio.

- En San Bizente de Labarzera, primer

lugar de peregrinación, como Campo de la

Estrella y Camposanto, cuyo nombre suena a

“vida y a muerte”, los meteoritos no están

porque cayeran justo allí -que cayeron por

todas partes-, sino porque allí había hombres

que sabían estas cosas y eran capaces de

recogerlos y venerarlos como

mensajeros o ángeles del Sol, de

la Luna, de Dios. Más resumido:

San Bizente de Labarzera es el

más antiguo lugar conocido

donde se funden el hecho y la

creencia, los meteoritos y lo que

significaron. Y presento al lado,

como anticipo, una imagen

sobre la que volveré, que quiero

contar una anécdota:

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Nei miei anni di “professore”, quando

toccava il tema dei poligoni

convessi e concavi, chiedevo ai

ragazzi, come compiti per il

giorno seguente, che mi

disegnassero due o tre trian-

goli concavi o che mi trova-

ssero un trifoglio di quattro. Il

giorno seguente mi portavano

un buon numero di “triangoli concavi” che,

in realtà, erano quadrati, perché non è

necessario dimostrare che disegnare un

triangolo concavo è metafisicamente

impossibile, salvo studi superiori, che io

non entro là. (“La somma degli angoli interni

di un triangolo è di 180º”, e l’angolo interiore

opposto all’angolo concavo ha, da solo, più di

180º). In ogni modo, neanche nessun alunno

mi portò mai un trifoglio di quattro.

Tu verrai però, lettore, che se è difficile

trovare uno di questi specimen, io ti garantisco

di averli trovati di due fogli, e anche di tre e

mezzo, e di quattro, come le tartare di San

Vicente de Labarzera o quella di San

Girolamo. E anche li ho trovati da cinque,

come la “penta” della quale penso parlare

in un prossimo racconto. E anche ho un

trifoglio di sei, che di quel di sette niente

voglio rivelare a giorno di oggi. E se per caso

non mi credesti, lettore che leggi, prometto

presentare di qua a poco una foto di tutti questi

trifogli. Più ancora, perché Jorge non pensi che

sia un rammendo fotografico, avrò tanto

piacere, se lui li accetta, di regalarglieli per il

suo Museo dell’Atlantide, perché tutto Santo

Tomasso possa andare vederli e “crederli”.

Torno alla Madonna del Carmen:

Dio ci liberi del fanatismo, ma là sgorga

l’ancestrale e atavica devozione alla “Madonna

del Karmen”, del Karmenta > Cometa”, del

“Meteorito”, “Mineral” o “Metal”. Una Madonna

il cui nome ha le più siderali connotazioni.

Perché dovevano essere il potere generatore

dei meteoriti e l’utilità dei loro metalli quello che

attirerebbe l’attenzione, l’apprezzamento e per-

fino la venerazione dei nostri antenati più lon-

tani; tutto questo sarebbe l’inizio e una ragione

chiave dell’evoluzione dell’essere umano tanto

tecnica, culturale, artistica… come religiosa.

E mis años de “profe”, cuando tocaba el

tema de los polígonos

convexos y cóncavos, pedía a

los chavales, como tareas

para el día siguiente, que me

dibujaran dos o tres de

triángulos cóncavos o que me

buscaran un trébol de cuatro.

Al día siguiente me traían un

montón de “triángulos cóncavos” que,

en realidad, eran cuadrados, porque

no hace falta demostrar que pintar un

triángulo cóncavo es metafísicamente

imposible, salvo estudios superiores, que

yo ahí no entro. (“La suma de los ángulos

internos de un triángulo es de 180º”, y el

ángulo interior opuesto al ángulo cóncavo tiene

él sólo más de 180º). De cualquier modo,

tampoco ningún alumno me trajo jamás un

trébol de cuatro.

Pero vas a ver, lector, que si ya es difícil

encontrar uno de estos especímenes, yo te

garantizo que les he encontrado de dos hojas, y

también de tres y madia, y de cuatro, como las

tártaras de San Vicente de Labarzera o la de

San Jerónimo. Y también los he encontrado de

cinco, como la “penta” de la que pienso hablar

en un próximo relato. Y también tengo un

trébol de seis, que del de siete nada quiero

revelar a día de hoy. Y por si no te lo crees,

lector que lees, prometo presentar bien pronto

una foto de todos estos tréboles. Más aún, para

que Jorge no piense que es un apaño fotográ-

fico tendré mucho gusto, si me los acepta, de

regalárselos para su Museo de la Atlántida, para

que todo Santo Tomás pueda ir a verlos y “a

creerlos”. Vuelvo a la Virgen del Carmen:

Dios nos libre del fanatismo, pero ahí

surge la ancestral y atávica devoción a la

“Virgen del Karmen”, del Karmenta > Cometa”,

del “Meteorito”, “Mineral” o “Metal”. Una Virgen

cuyo nombre es de la más sideral connotación.

Porque iban a ser el poder generador de los

meteoritos y la utilidad de sus metales, lo que

atraería la atención, el aprecio y hasta la

veneración de nuestros ancestros más lejanos;

todo ello sería el inicio y una razón clave de la

evolución del ser humano tanto técnica,

cultural, artística… como religiosa.

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Fronte a questo, quale è il senso del

Monte Carmelo e il profeta Elia ridicolizzando e

massacrando dei “falsi profeti”, o un Ordine

religioso incaricato da Roma di diffondere una

tale gesta? Forse sia legittimo che ognuno

creda quello che voglia, ma non lo è tanto farsi

l’ombelico del mondo. Questo è come dire che

ognuno ha la sua verità ma, come io sono più

grande di te, la mia è proprio la vera, e tu

“crede o muori”.

Siamo dove sempre, fanatismo e

provincialismo da per tutto, più consacrati in

alcuni luoghi di altri e, tra tutti distacca la Roma

che volle essere il centro del universo a forza di

distruzione, rubo, inganno… e obblio. Per

questo si convertì nella Grande Prostituta, la

Bestia capace di lasciare “senza potere di

comprare né vendere a chi non portasse la

marca del suo nome nella mano o nella fronte”,

come dice l’Apocalissi (13, 17), libro dal quale

anche si è appropriata per, con esso continuare

adulterando allo stesso modo, nel perpetuo

inganno di menti e cuori per “gloria di

Dio”, che questo è quello che dice e

che tanti hanno arrivato a credere.

Rimanga questo, “Santa Madre”,

come possibilità di autocritica prima

che finiscano per “autocriticarti”, che per inco-

minciare non puoi centrarti a Roma, salvo che

invece di “Sposa di Cristo”, tu voglia continuare

ad essere figlia dalla Roma Imperiale e dalla

Sinagoga. Per questo sei la Bestia, la Prostituta,

e non lo puoi rimediare per molti cosmetici,

affettazioni e misericordie che vuoi vendere.

Tutto è violenza. Pura ipocrisia!

E parlando del Carmelo: Allo

stesso modo che in Spagna c’è

qualche Sinai di più di quel di Peña

Karazo, come quel del mappa

accanto, dove può vedersi un

“Sinai” nel limite tra Baccellona

e Gerona -che non por niente

ha questa provincia il nome

del mitico Gerone, anteriore

a Yahvè-, senza dubbi ci

sono più Carmeli e Carmoni

di quei di Barcellona e

Canicosa (Burgos), o la

Sivigliana Carmona.

Ante esto, ¿qué sentido tiene el Monte

Carmelo y el profeta Elías ridiculizando y dego-

llando “falsos profetas”, o una Orden religiosa

encargada por Roma de difundir tal gesta?

Puede que sea legítimo que cada uno crea lo

que quiera, lo que no es de recibo es hacerse el

ombligo del mundo. Esto es como decir que

cada uno tiene su verdad pero, como yo soy el

más grande, la mía es la verdadera, y tú, “cree

o muere”.

Estamos ante lo mismo de siempre,

fanatismo y provincialismo por todas partes,

más consagrados en algunas que en otras, y

entre las que destaca la Roma que quiso ser

centro del universo a base de destrucción,

robo, engaño… y olvido. Por eso se convirtió en

la Gran Prostituta, la Bestia capaz de dejar “sin

poder para comprar ni vender a quien no lleve

la marca de su nombre en la mano o en la

frente”, como reza el Apocalipsis (13, 17), libro

del que también se ha apropiado para, con él,

seguir asimismo adulterando, con un perpetuo

engaño de mentes y corazones para “gloria

de Dios”, que eso es lo que dice y tantos ha

llegado a creerse.

Quede esto, “Santa Madre”, como

posibilidad de autocrítica antes de que

terminen por “autocriticarte”, que para empezar

no puedes centrarte en Roma, salvo que en vez

de “Esposa del Cordero”, quieras seguir siendo

hija de la Roma Imperial y de la Sinagoga. Por

eso eres la Bestia, la Prostituta, y no lo puedes

remediar por muchos afeites, empaques y

misericordias que quieras vender. Todo es

violencia. ¡Pura hipocresía!

Y hablando del Carme-

lo: Lo mismo que hay en

España algún Sinaí más que

el de Peña Karazo, como el

del mapa adjunto, donde

puede verse un “Sinaí” en

la raya entre Barcelona y

Gerona -que no por nada

tiene esta provincia el nombre

del mítico Gerión, anterior a

Yahvé-, sin duda que hay más

Carmelos y Carmonas que los de

Barcelona y Canicosa (Burgos), o

la Sevillana Carmona.

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Questo detto,

torno alla Madonna del

Carmen, che è come

un trifoglio di tre e

mezzo e, poiché

abbiamo trovato la “n”

ai “mentali” e ai

“menteoriti”, e incluso

allo “sperman” degli

umani, annunzio che

anche gliela troverem-

mo al Mensia, che

questo certamente è

come il trifoglio di

quattro, se non di

cinque… E passo a un

interludio “madrileño”

con il quale spero finire

il racconto:

Ricollocata in un

angolo della “Puerta del

Sol”, già conosciamo la

Maribianca. È il caso

però che, un po’ più

lontano del centro di

Madrid, nei terreni che

un giorno lavorasse

San Isidoro, abbiamo la

“Puerta del Ángel”,

dove c’era un eremo –

oggi una chiesa-

dedicata a Santa

Cristina. Mi domando

per la relazione tra la

“Puerta del Ángel” e la

mitica santa.

Gli italiani, fedeli

alla sua idiosincrasia, si

sono sentiti autorizzati

per prendere Santa

Cristina e portargliela

alla città di Bolsena, sul

bordo del lago dello

stesso nome e, perché

nessuno abbia dubbio

della “sua patria

d’origine”, dicono di avere le “sue reliquie” già

dal IV secolo. Avrà qualcuno dubbio dei figli

della lupa?

Dicho esto, vuelvo

a la Virgen del Carmen

que es como un trébol

de tres y medio y, ya

que hemos encontrado

la “n” a los “mentales”,

y a los “menteoritos”, e

incluso al “esperman”

de los humanos,

anuncio que también se

la encontra-remos al

Mensías, que ése sí es

como el trébol de

cuatro, sino de cinco… Y

paso a un in-terludio

madrileño con el que

seguramente terminaré:

Recolocada en un

ángulo de la “Puerta del

Sol”, ya conocemos a la

Mariblanca. Pero resulta

que, algo más alejada

del centro de Madrid, en

terrenos que labrara

otrora San Isidro,

tenemos la “Puerta del

Ángel”, donde había una

ermita -hoy día iglesia-

dedicada a Santa

Cristina. Me pregunto

por la relación entre la

“Puerta del Ángel” y la

mítica santa.

Los italianos, fieles

a su idiosincrasia, se

han sentido autorizados

para coger a Santa

Cristina y llevársela a la

ciudad de Bolsena, a

orillas del lago del

mismo nombre y, para

que nadie discuta “su

patria de origen”, dicen

tener “sus reliquias” ya

desde el s. IV. ¿Pondrá

alguno en duda la

necrofilia de los hijos de la loba?

¡Las reliquias!

L A M A R I B L A N C A

Con sus ojos mirando al cielo, su vasija en la

derecha, sus pies ante los delfines y su izquierda

acariciando al amorcillo la Mariblanca nos dice:

“De los cielos vino la semilla y en las aguas fui

concebida; yo soy la Madre de la Vida”.

Compárala, lector, con cualquier otra imagen

románica o gótica de la Virgen. Por ejemplo con esa

Inmaculada de Estella llamada “Virgen del Puy”, que

dicen sea francesa, pero que es española.

Lo que estas vírgenes llevan en sus manos, es

lo mismo que la Mariblanca lleva en las suyas. Y al

reemplazar los delfines por la Luna, más se explicita

lo que se quiere esconder: Que es hija de la Luna.

----------------------

Con i suoi occhi guardando il cielo, il suo

bottame alla destra, i suoi piedi di fronte ai delfini e

sua sinistra accarezzando il putto, la Maribianca

dice:

“Dai cieli è venuto il seme en nelle acque sono

stata concepita; io sono la Madre della Vita”.

Compararla, lettore, con qualunque altra

immagine romanica o gotica della Madonna. Ad

esempio con quell’Immacolata di Estella chiamata

“Virgen del Puy”, che dicono sia francese, ma che è

spagnola.

Quello che queste madonne portano alle mani

è lo stesso che porta la Maribianca alle sue. E al

rimpiazzare i delfini per la Luna, più si capisce quello

che si vuole nascondere: Che è figlia della Luna.

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Le reliquie!

Quale grande argomento storico!

E glielo hanno creduto.

Come se non fosse infinitamente

più antica l’autentica Santa Cristina!

Arriverà, arriverà il giorno, amico

lettore, nel quale, come al pastore,

nessuno li crederà quando dicano una

verità. A Santa Cristina:

Tra tanto tormento al quale fu

sottomessa la povera (prigione in una torre da

parte del proprio padre, flagel-

lazione fino cadere per terra la

carne a pezzi, ruota di coltelli,

amputazione delle mammel-

le…), chiama l’attenzione che

fosse lanciata al lago Bolsena

attaccata a una grande pietra

che, miracolosamente, galleg-

gia con la santa sopra -come

su un “materasso anti escare”,

voglio supporre- e, sventolata

dagli angeli, ondeggia sulle

acque fino alla riva. Una

chiarificazione:

Quello del “materasso anti escare” lo dico

perché ripasso il mio conto all’ospedale “12 de

Octubre” (18/09/2016), dove è ospedalizzato

fra Marcelo su un letto il cui materasso ha

quella qualità. Allora oso dire a una infermiere

se non potrebbero mettere un materasso simile

sul divano del accompagnante, che sembra

fatto per invitargli a partire quanto prima del

ospedale. È totalmente anti traspirabile, da

testura anti igienica e da contestura anti

anatomica, menomale che è rota la fodera e

lascia un po’ di respirazione. Così risulta che,

mentre l’ammalato si ricupera, chi rimane alcuni

giorni, con le sue notti, per accompagnarlo,

finisce pienamente atto per l’asilo. Magari serva

per qualcosa la mia denunzia, prima che la

nostra Previdenza Sociale si metta a livello

dell’italiana, che di tutto sembra abbiamo

invidia.

Mentre commento questo, il Sr. Vicente,

fratello di fra Marcelo, mi dice che suo nome

significa “vincitore”, ma quello che non sa il Sr.

Vicente è da quale cosa è vincitore.

¡Qué gran argumento histórico!

Y se lo tienen creído.

¡Como si no fuera

infinitamente más antigua la

auténtica Santa Cristina!

Llegará, llegará el día, amigo

lector, en que, como al pastor,

nadie les crea cuando digan una

verdad. A Santa Cristina:

Entre tanta tortura a la que

dicen fue sometida la pobre (prisión en la torre

por parte del propio padre,

flagelación hasta caérsele la

carne a trozos, rueda de

cuchillos, amputación de los

senos…), llama la atención que

fuera arrojada al lago Bolsena

atada a una gran piedra que,

milagrosamente, reflota con la

santa encima -como sobre un

“colchón antiescaras”, quiero

suponer- y, abaniqueada por los

ángeles, navega sobre las aguas

hasta la orilla. Una aclaración:

Lo de colchón “antiescaras”

viene a cuento de que repaso el

relato en el hospital “12 de Octubre”

(18/09/2016), donde tenemos hospitalizado a

fr. Macelo sobre un lecho cuyo colchón tiene la

referida cualidad. Entonces me atrevo a decir a

una enfermera que si no podrían poner un

colchón parecido en el diván del acompañante,

que parece hecho para invitarle a que se

marche cuanto antes del hospital. Es

totalmente anti transpirable, de textura anti

higiénica y de contextura anti anatómica,

menos mal que tiene el forro roto y deja algo

de respiración. Así resulta que, mientras el

enfermo sana, quien se queda unos días, con

sus noches, para acompañarle, queda listo para

el asilo. Ojalá sirva para algo mi denuncia,

antes de que nuestra Seguridad Social se ponga

a nivel de la italiana, que de todo parece

tengamos envidia.

Mientras comento esto, el Sr. Vicente,

hermano de fray Marcelo, me dice que su

nombre significa “vencedor”, pero lo que no

sabe el Sr. Vicente es de qué es vencedor.

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Ebbene è vincitore -gli dico- della morte.

Perché Vicente anche significa “difunto” e

“vivo”. Allora Vicente è un risuscitato.

[Annoto che fra Marcelo moriva due giorni

dopo. Aveva cancro nel pancreas e non sopportò

l’invasiva chemioterapia. E lasciati le staffe per la

denunzia, devo dire che quest’uomo era stato in

Assisi lamentandosi durante più di un anno… Così

tratta Saturno i suoi figli. Doveva venire in

Spagna per le vacanze perché gli diagnosticas-

sero. Adesso lo faranno santo. Roma, Roma! Vai

da carina per il mondo e quanti peccati ti

mancano per purgare. Aspetto, da parte mia che,

come se si fosse chiamato Vicente, dietro le porte

della morte, Marcelo sia passato a una vita

migliore. Item:

A dicembre 2013, domandai autorizzazione

al mio Generale per risiedere in Spagna e, senza

lasciare il mio lavoro, essere vicino ai miei

genitori che morivano, pero il mio General, non

soltanto non mi ascoltò, ma mi mandò guardargli

alla cara e mi disse per cinque volte: “Non

tornerai in Provincia”, e “tu non sei Vescovo né

Cardinale”. Ma quanto brutta era quella bestia. E

quando raccontai queste cose al mio Provinciale,

mi ascoltò, ma non mi costa movesse un dito

fronte al Generale. E mio padre morì senza la mia

compagnia, e mia mamma anche. Finalmente, e

tornato adesso in Spagna, continuando come

traduttore per la Curia, mi sono fatto carico di un

frate con alzheimer, e ho curato di fr. Marcelo co-

me nessuno. Rimanga questo scritto per vergogna

di coloro che così bene si portarono con me.]

Torno a Santa Cristina, che questa

certamente è una risuscitata, e io credo che sia

la prima patrona di Madrid-Matrice, che adesso

la chiamano “La Almudena”, così murena lei.

La leggenda italiana del lago, che anche

raccontano a Madrid-Matriz, è la pura immagine

dell’Oceano dove il Sole si sommerge per

risorgere il giorno dopo dall’altra riva, se non

quella della Luna, che sempre finisce

per ricuperarsi. È la storia della vita

che arriva a “San Bizente”. E osserva

che la stessa storia raccontano da San

Vicente martire –il risuscitato-, e dal

figlio di San Isidoro, caduto e risorto

sulle acque del pozzo, e dal Cristo

delle uova di Burgos, dal quale è un

eco il Cristo di Medinaceli, a Madrid…

Pues es vencedor -le digo- de la muerte.

Porque Vicente también significa “difunto” y

“vivo”. Así pues Vicente es un resucitado.

[Anoto que fray Marcelo murió dos días

después. Tenía cáncer en el páncreas y no resistió

la invasiva quimioterapia. Y puesto en el

disparadero de la denuncia, debo decir que este

hombre había estado en Asís quejándose desde

hacía más de un año… Así trata Saturno a sus

hijos. Tuvo que venir a España de vacaciones para

que le diagnosticaran. Ahora me le harán santo.

¡Ay, Roma, Roma! Vas de guapa por el mundo y

los pecados que te faltan por purgar. Espero, por

mi parte que, cual si se hubiera llamado Vicente,

tras las puertas de la muerte, Marcelo haya

pasado a mejor vida. Ítem más:

En diciembre del 2013, pedí autorización a

mi General para residir en España y, sin dejar mi

trabajo, estar cercano a mis padres, que se

morían, pero mi General, no sólo no me escuchó,

sino que me mandó mirarle a la cara para

decirme por cinco veces: “No volverás a la

Provincia”, y “tu no eres Obispo ni Cardenal”. Qué

feísima era aquella bestia. Y cuando se lo conté a

mi Provincial, sí que me escuchó, pero no me

consta che moviera un dedo y apelara por mí. Y

mi padre murió sin mi compañía, y mi madre

también. Finalmente, y vuelto ahora a España, y

siguiendo con mi trabajo como traductor para la

Curia, me he hecho cargo de un fraile con

alzheimer, y he cuidado de fr. Marcelo como

ninguno. Quede esto escrito para vergüenza de

quienes tan bien se portaron conmigo.]

Vuelvo a Santa Cristina, que ésta sí es

una resucitada, y yo creo que es la primitiva

patrona de Madrid-Matriz, que ahora llaman de

“La Almudena”, tan morenita ella.

La leyenda italiana del lago, que también

cuentan en Madrid-Matriz, es la pura imagen

del Océano donde el Sol se sumerge para

resurgir al día siguiente por la otra orilla, si no

la de la Luna, que siempre termina por

recuperarse. Es la historia de la vida que

arriba a “San Bizente”. Y mira por dónde

la misma o parecida historia cuentan de

San Vicente mártir -el resucitado-, y del

hijo de San Isidro, caído y resurgido de

las aguas del pozo, y del Cristo de los

huevos de Burgos, del que es un eco el

Cristo de Medinaceli de Madrid…

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Dopo è il caso che Cristina è una replica,

in femminile, di uno dei nomi del Sole: Cristina

= Cristo, Cresta, Creta, nome

quest’ultimo di certa isola che

“galleggia” nel Mediterraneo. Soltanto

che l’originale Creta era al Nord della

Spagna. Un’isola con due “mammelle”

che alimentano di acqua l’Oceano,

addirittura di una “Montagna altissima

e foderata” (in parole di Massimo de

Tiro morto nel 180 d.C.), e tagliata a

picco sul mare con 4.500 m. di altezza. Il

camino della fucina di Vulcano! Dimentica,

lettore, quella dell’Etna, che è pura copia.

E questa Creta è lo stesso Cristo di queste

due immagini

che invito a

guardare, o il

Cristo degli

uova di

Burgos,

apparso sulle

acque; lo

stesso Cristo a

chi il Vangelo fa camminare sulle acque del

Lago di Genesaret, attenzione a questo nome.

Per certo che dal “Cristo soriano”

dell’illustrazione dicono che è “una Creazione”.

Io direi una “Creazione di Adan”, ma non

discuterò. Soltanto domanderei che cosa fa

quell’angelo a destra dell’immagine, quando nel

racconto della Creazione non ci sono degli spiriti

alati. Salvo che sia lo Spirito Messaggero, come

l’Angelo dell’Annunciazione che agisce dall’alto.

Lascio pero queste “picciolezze” da

parte e domando:

Non s’intuisce nella leggenda

italiana su Santa Cristina -inclusa

l’amputazione delle mammelle, come

alla “siciliana” “Sant’Águeda”- la storia

dell’originale Creta = Cresta =

Atlántida, affondata nelle acque

dell’Océano, che risorge dopo alla riva?

Questa è la storia della vita che arri-

va a San Bizente come un San Giorgio vin-

citore e che, dal momento in qui l’originale

patria di quella si è affondata, si convertì

questo nel “non più di là”, incluso dopo

che Ercole aprisse le insalvabili colonne.

Luego resulta que Cristina es una réplica,

en femenino, de uno de los nombres del Sol:

Cristina = Cristo, Cresta, Creta,

nombre éste último de cierta isla que

“flota” en el Mediterráneo. Sólo que la

original Creta estaba en el norte de

España. Una isla con dos “tetas” que

alimentaban de agua al Océano, amén

de una “Montaña altísima y horadada”

(en palabras de Máximo de Tiro muerto

el año 180 d. C.), y cortada a pico sobre

el mar con 4.500 m. de altitud. ¡La

chimenea de la fragua de Vulcano! Olvida,

lector, la del Etna, que es pura copia.

Y esta Creta es el mismo Cristo de estas

dos imágenes de al

lado que invito a

mirar, o el Cristo de

los huevos de Burgos,

aparecido sobre las

aguas; el mismo Cristo

a quien el Evangelio

hace caminar sobre

las aguas del Lago de

Genesaret, ojo a este nombre.

Por cierto que del “Cristo soriano” de la

ilustración dicen que es “una Creación”. Yo diría

una “Creación de Adán”, pero no discutiré. Sólo

preguntaría qué pinta ese ángel a la derecha de

la imagen, cuando en el relato de la Creación

no hay ni rastro de espíritus alados. Salvo que

sea el Espíritu Mensajero, como el Ángel de la

Anunciación que obra desde lo alto. Pero ladeo

estas “menudencias” y pregunto:

¿No se intuye en la leyenda

italiana sobre Santa Cristina -

incluida la amputación de sus

senos, como a la “siciliana” “Santa

Águeda”- la historia de la original

Creta = Cresta = Atlántida,

hundida en las aguas del Océano,

que reflotara en la orilla?

Tal es la historia de la vida

que arriba a San Bizente como un San

Jorge vencedor y que, desde el momen-

to en que la original patria de aquélla se

anegó, se convirtió éste en el “no más

alla”, incluso después de que Hércules

abriera las insalvables columnas.

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Addirittura, come San Lorenzo e

Sant’Yago (che già sappiamo chi si nasconde

dietro di loro), Santa Cristina, si celebra in

mezzo allo stato, la stazione dell’Astro Re.

Un'altra casualità!

Ecco, quindi, addirittura della

Plaza de la Luna e la Puerta del Sol,

nel centro di Madrid, la porta del

Erme messaggero, del “Menteorito”,

la “Puerta del Ángel”, nella

periferia; Angelo o Messaggero

associato a Santa Kristina, Madre

della Vita e dei kristiani, o sapiens,

da migliaia, se no milioni, di anni fa.

Osserva: L’Angelo titolare

della Porta non è altro che la pietra

meteorica che fa sorgere la vita

nelle acque, la “rugiada dall’alto”, quello che la

Bibbia chiama Spirito. La “Puerta del Ángel”

anche si potrebbe chiamare la “Puerta de la

Piedra”. E non pensare in “passare per la

pietra”, voglio dire lo sperma, sperman o spirito

del “man”, perché è chiaro che viene dall’alto. È

la pietra precedente alla conchiglia dove fosse

concepita la mitica Venere, spagnola, che non

veneta né romana. E qui non facciamo teologia,

semplicemente giocammo con le parole, non

andare dire queste cose al mio Generale senza

essere Vescovo né Cardinale, o senza avere

studiato nella Gregoriana.

“Puerta del Ángel” e eremo –adesso

chiesa- di Santa Cristina, tutto in terreni

agricole fino alla fine del XX secolo,

irrigati dal Manzanares, il fiume del

melo, dal quale ho già dato riferimenti

come “fiume della vita”. Terreni che,

abbiamo detto, lavorasse una volta il

sacro aratro di San Isidoro, che accolse

nella sua persona –tutto “labrador” è

un Isidoro- le sacre reliquie di una

tradizione che perdeva o che si faceva

perdere.

Dettagli come questi ci fanno

percepire che Madrid-Matriz è una degna

capitale della Spagna. Oggi non saremmo stati

capaci di creare qualcosa così autentica, da

razza né spagnolo. È meglio creare “in latino”, il

paradigma di quanto è falso, apparente…

“pinochero”, e perdono per la mia “ossessione”.

Además, como San Lorenzo y Sant’Yago

(que ya sabemos quién se esconde tras ellos),

Santa Cristina, se celebra en medio del verano,

la estación del Astro Rey. ¡Otra casualidad!

Pues he ahí, amén de la

Plaza de la Luna y la Puerta del

Sol, en el centro de Madrid, la

puerta del Hermes mensajero, del

“Menteorito”, la “Puerta del

Ángel”, en la periferia; Ángel o

Mensajero asociado a Santa

Kristina, Madre de la Vida y de los

kristianos, o sapiens, desde hace

miles, si no millones, de años.

Observa: El Ángel titular de

la Puerta no es sino la piedra

meteórica que hace surgir la

vida en las aguas, el “rocío de lo alto”, eso que

la Biblia llama Espíritu. La “Puerta del Ángel”

también podría llamarse la “Puerta de la

Piedra”. Y no pienses en “pasar por la piedra”,

quiero decir en el esperma, esperman o espíritu

del “man”, porque está claro que viene de lo

alto. Es la piedra precedente de la concha

donde fuera concebida la mítica Venus,

española, que no veneciana ni romana. Y aquí

no hacemos teología, simplemente jugamos con

las palabras, no vayas a decir estas cosas a mi

General sin ser Obispo ni Cardenal, o sin haber

estudiado en la Gregoriana.

Puerta del Ángel y ermita -ahora iglesia-

de Santa Cristina, todo en terrenos agrícolas

hasta finales del s. XX, regados por

el Manzanares, el río del manzano,

del que ya tengo dadas referencias

como “río de la vida”. Terrenos que

otrora labrara el sagrado arado de

San Isidro, que acogió en su

persona -todo labrador es un

Isidro- las sagradas reliquias de una

tradición que se perdía o que se

hacía perder.

Detalles como estos nos

hacen percibir que Madrid-Matriz es una digna

capital de España. Hoy día no habríamos sido

capaces de crear algo tan auténtico, castizo ni

español. Es mejor crear “en latino”, el

paradigma de cuanto es falso, aparente…

pinochero, y perdón por “mi obsesión”.

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Ma guardiamo rifletta a Madrid, almeno tu

ed io, lettore amico, una tradizione spagnola,

così sia adulterata, eradicata e traslocata da

Roma… per essere dimenticata, cosa che già

non ci sorprende, ma che non dobbiamo

permettere.

Per certo, e parlando della “degna

Capitale”:

Addirittura dell’Orso e il corbezzolo, della

Maribianca, la Cibeles e Santa Cristina, il 20

settembre, lo steso giorno che moriva fra

Marcelo, scoprì un altro dato che certifica

questa mia convinzione:

Agustín, il cuoco, naturale da San Llorente

del Páramo (Palencia), fa un “cocido madrilño”

proprio come lo faceva mia nonna Cecilia Maté

Pascual, naturale di Villafruela e

vicina di Torresandino (Burgos),

incluso il “relleno” o “bola”,

proprio perché si prepara girando

una mano su l’altra dando alla

massa di pane, uovo, aglio e

prezzemolo la sua tipica forma

rotonda e appianata, e che non

si deve confondere con la

“tortilla”, come faceva un

giovane madrileño della mia comunità. Dove

andremo finire!

Agustín dice che fu sua mamma chi

l’insegnò. Certo che da Palencia vengono le

esenzie!

Comunque, a

dispetto il giovanotto che

non distingue “la bola”

della tortilla, auguri,

Madrid, per-ché sai

conservare, che non dimenticare, tante cose

tipicamente spagnole che in non pochi luoghi si

erano dimenticate, ad esempio “l’occhialone al

cavolo” che lo stesso Agustín ci fa ogni natale,

sul quale ho già fatto un racconto.

Due parole di più a proposito del tuo

Santo contadino, cara Madrid, benché non

sia così tuo come tu credi, ma là sta come

“stat crux dum volvitur orbis”, che direbbero i

certosini. Ecco la fontana della Fede della

“Puerta del Sol”, a dispetto i chierici, sempre

aggiornati e in “formazione” permanente.

Pero miremos reflejada en Madrid, al

menos tú y yo, lector amigo, una tradición

española, así sea adulterada, erradicada y

traspuesta por Roma… para ser olvidada, algo

que ya no nos pilla de sorpresa, pero que no

debemos permitir.

Por cierto, y hablando de la “digna

Capital”:

Además del Oso y el madroño, la

Mariblanca, la Cibeles y Santa Cristina, el 20 de

septiembre, el mismo día en que murió fr.

Marcelo, descubrí un dato más que apoya esta

mi convicción:

Agustín, nuestro cocinero, natural de San

Llorente del Páramo (Palencia), hace un cocido

madrileño justo como lo hacía mi abuela Cecilia

Maté Pascual, natural de

Villafruela y vecina de

Torresandino (Burgos),

incluido el relleno o “bola”,

porque se prepara girando

una mano sobre otra dando

a la masa de pan, huevo,

ajo y perejil su típica forma

redonda y aplanada, y que

no hay que confundir con

la tortilla, como hacía un joven madrileño de mi

comunidad. ¡A dónde iremos a parar!

Agustín dice que le enseñó su madre.

¡Anda que no vendrán de Palencia las esencias!

Bien: Pues, a pesar

del joven que no distingue

la bola de la tortilla,

felicidades, Madrid, porque

sabes conservar, que no

olvidar, muchas cosas

típicamente españolas que en no pocos lugares

se van olvidado, por ejemplo “el besugo a la

berza” que el mismo Agustín nos hace cada

navidad, sobre el que tengo hecho un relato.

Dos palabras más a propósito de

“tu santo labrador”, querida Madrid,

aunque no sea tan tuyo como te lo tienes

creído, pero que ahí está como “stat crux

dum volvitur orbis”, que dirían los

cartujos. He ahí la Fuente de la fe de la

“Puerta del Sol”, pese a los clérigos, tan

al día y en “formación” permanente.

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Perché San Isidro è l’autentico Rey Mino,

il vero Figlio del Sole che, proprio del suo oro ci

regala l’oro più essenziale per la vita:

Notare che l’aratro,

voce associata al Santo

labrador (il santo contadino),

porta incorporata una

suggerente “ara”, che non

può essere se non di ferro,

come gli ari delle ruote degli

antichi carri. Questo induce a

pensare che la desinenza gli

viene al verbo labrar

(lavorare), come all’orare del

“ora et labora”, per qualcosa

di più che per essere della prima congiurazione.

Labrar è la “laborare dell’ara”, è “lavore con

l’aratro”. Ed è che le parole ara e arado non

esprimono concetti così opposti per chi

incomincia a pensare secondo la logica dei

nostri maggiori, che parlavano “in cristiano”,

non in latino. Da ara, arare.

Aggiungo altre suggerenti parole che

lascio al tuo giudizio, lettore che leggi:

Era, dove se “raffina” l’oro più pregiato, il

Frumento; ira, l’aura del

volto di un San Isi-doro

arrabbiato; “oreja” (orec-

chio), rotonda come il Sole,

addirittura di “sessanta

minutini”. E altre due che

adeso scriviamo con “h”:

Ura, sinonimo de grotta, y

ora, quella che marca il

Sole, quasi sinonima

di “oreja”. E tornia-

mo all’origine:

L’ara, come reja

(vomere) dell’aratro,

è un regalo sacro, è

l’oro dato dalle divinità agli uomini in

patrimonio perché la vita uscisse galleggiante

fino qualunque riva, è il patrimonio che, a sua

volta, gli uomini “mandan” (legano) ai suoi figli.

Cioè che l’autentico sacerdote è il labrador (il

contadino); le autentiche mani sacerdotali sono

quelle che prendono l’aratro e ci regalano, già

consacrato, il pane di ogni giorno, che un altro

giorno dirò chi ci regala il vino.

Porque San Isidro es el auténtico Rey

Minos, el verdadero Hijo del Sol que, de su

propio oro nos regala el oro esencial para la

vida:

Nótese que el

arado, voz asociada al

Santo labrador, lleva

incorporada una

sugerente “ara”, que no

puede ser sino de hierro,

como los aros de las

ruedas de los antiguos

carros. Esto induce a

pensar que la desinencia

le viene al verbo labrar,

como al orar del “ora et labora”, algo más que

por ser de la primera conjugación. Labrar es la

“labor del ara”, es “laborar con el arado”. Y es

que las palabras ara y arado no expresan

conceptos tan opuestos para quien empieza a

pensar según la lógica de nuestros mayores,

que hablaban “en cristiano”, no en latín. De

ara, arar.

Añado otras sugerentes palabras que dejo

a tu enjuiciamiento, lector que lees:

Era, donde se “refi-

na” el oro más preciado, el

trigo; ira, el aura del ros-

tro de un San Isidoro enfa-

dado; oreja, redonda como

el Sol, amén de “sesenta

minutejos”. Y otras dos que

ahora escribimos con “h”:

Ura, sinónimo de cueva, y

ora, la que marca el

Sol, casi sinónimo de

“oreja”. Y volvemos

al origen:

El ara, como

reja del arado, es un

regalo sagrado, es el oro dado por los dioses a

los hombres en patrimonio para que la vida

saliera a flote hasta cualquier orilla, es el

patrimonio que, a su vez, los hombres

“mandan” a sus hijos. O sea que el auténtico

sacerdote es el labrador; las auténticas manos

sacerdotales son las que agarran el arado y nos

regalan, ya consagrado, el pan de cada día, que

otro día diré quién nos regala el vino.

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Per il momento, diciamo che chi ci ha

fatto perdere la prospettiva di questa sacralità

per sostituirla per qualunque altra non poteva

essere se non un usurpatore che, con nome e

in nome dello stesso San

Isidoro, dello stesso Re Mino,

con inganno si autoproclamò

“mino” di turno, concedendosi

finti poteri per convertirlo tutto

in oro indigeribile. Perché, alla

fine, quello che si mangia è il

pane -e il vino-, non l’oro di

nessuna “macchinetta”. Di

queste, forse il pane per oggi, ma

sempre la fame per il domani e,

se alcuni tutto lo considerano

“pietra filosofale”, non è lo stesso

dare pane che dare compassione.

D’altra parte, “l’ara”, il “sacro

aratro” castigliano, che non

romano, è il fondamento dell’amore alla terra,

così tipico da Castiglia…, assimilabile alla

Spagna e stensivo a l’Europa e al mondo intero,

perché in tutti luoghi ci sono delle vecchie e

nuove Spagna, e buoni castigliani. Per questo

diceva mio nonno Vicente Mínguez Maté:

“L’uomo, dove nasce, e il bue, dove pascola”. E

come mio nonno, mio padre, che aveva lo

stesso nome e cognomi. Così glielo sentì

sempre a ambedue, e mi dispiace

per gli italiani che confondono bue

e uomini e, con loro, non pochi

spagnoli “moderni” che finiscono

per contaminarsi con le stesse

libertà da Pinocchi. Un alto sulla

mia famiglia:

Per gli anni 70 del secolo

scorso, io feci degli stemmi per i

miei genitori e, in quel di mio

padre accoppiai due aratri e due

versoi. Dopo, quando mio padre

morì, incinerato al suono delle

“marzas”, il 28 febbraio 2014,

scrisse quello che segue in un

panegirico:

Era un uomo robusto e sobrio, di mani

grandi, forti, dure, callose; con esse prendeva i

figli che Dio veniva a dargli e con esse

accarezzava i germogli dei suoi nipotini.

De momento, digamos que quien nos ha

hecho perder la perspectiva de esta sacralidad

para sustituirla por cualquier otra no pudo ser

más que un usurpador que, con nombre y en

nombre del mismísimo San Isidro,

del mismísimo Hijo de Dios, del

mismísimo Rey Minos, con

engaño se autoproclamó “minos”

de turno, otorgándose ficticios

poderes divinos para convertirlo

todo en oro indigerible. Porque lo

que se come, a fin de cuentas, es

el pan -y el vino-, no el oro de

ninguna “maquinita”. De éstas,

tal vez el pan de hoy, pero

siempre el hambre para

mañana y, si algunos lo

consideran todo “piedra

filosofal”, no es lo mismo dar

pan que dar pena.

Por otra parte, el “ara”, el “sagrado

arado” castellano, que no romano, está en la

base del amor a la tierra, tan de Castilla… y tan

asimilable a España, y extensivo a Europa y al

mundo entero, porque en todas partes hay

viejas y nuevas Españas, y buenos castellanos.

Por eso decía mi abuelo Vicente Mínguez Maté:

“El hombre, donde nace, y el buey, donde

pace”. Y como mi abuelo, mi padre, que tenía

el mismo nombre y apellidos. Así se lo

oí siempre a ambos, y lo siento por

los italianos que confunden bueyes y

hombres y, con ellos, no pocos

españoles “modernos” que terminan

por contaminarse con las mismas

libertades pinocheras. Un alto más

sobre mi familia.

Por los años 70 del pasado

siglo, hice unos escudos para mis

padres y, en el de mi padre acoplé

dos arados y dos vertederas. Luego,

cuando mi padre murió, incinerado al

son de las marzas, el 28 de febrero

del 2014, escribí de él lo siguiente en

un panegírico:

Era un hombre recio y sobrio, de manos

grandes, fuertes, duras, callosas; con ellas

cogía a los hijos que Dios le iba dando y con

ellas acariciaba a los retoños de sus nietos.

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Instancabili, i suoi piedi e le sue ginocchi

alleggerivano un tempo le lunghe camminate al

monte di ghiacci e dissodamenti, o al

“Caserones” da soli, mietitura e trebbiatura;

adesso, la vecchiaia lo consegnò fino ad

obbligarlo a prendere un girello come

all’infanzia. Agricoltore per eredità e fortuna, fu

un uomo con il privilegio ogni volta più strano

della libertà e dell’autonomia senz’altra servitù

di quella della terra, per la quale esistette, della

quale visse; dalle loro viscere estrasse il

frumento che dà pane ed eucarestia, l’alimento

del mondo e della sua famiglia e, al ritmo del

suo canto nobile e franco, dalla stessa tagliò i

germogli delle pene e le gioie della vita. Oggi -

"ricorda uomo che sei polvere”-, nel seno della

terra riposano le sue ceneri.

Ecco. E lo stesso serve per

mia madre e le sue cenere.

Ambedue passarono sua vita come

due santi castigliani e nessuno si

accorgeva. E guarda pero che io ho

finito per scoprire le sue mani

sacerdotali e che, senza catechesi

che li istruisse, nella sua ultima

decisione, sui propri spogli,

pensavano proprio “in cristiano”.

Perché nessuna vada cercare tra i

morti, coloro che vivono.

No. No. In assoluto è meglio

cristiano chi fa o inventa dei santi, o chi

colleziona delle reliquie.

Preghi e vada alla messa chi voglia, balli e

si diverta Roma se le va la marcia, ma non

inganni nessuno. Perché ci hanno riempito di

tante bugie… E “mentire”

è calpestare gli uomini e

Dio, perfino predican-

dogli.

E nessuno dica

“Roma locuta causa

finita”, né “Roma città

eterna”, perché queste

cose si dissero per il Sole, non per ombelichi di

Petre o di Pietri. Tutto il resto è “bugia

assoluta” e alberi più grandi sono caduti. E ci

fermiamo per seguire un altro giorno, che il

panno di Jorge è lungo è c’è tanta stoffa a

tagliare.

Incansables, sus pies y sus rodillas

aligeraban antaño las largas caminatas al

monte de hielos y roturación, o al “Caserones”

de soles, siega y trilla; hogaño, los rindió la

vejez hasta obligarle a tomar un tacatá como a

la infancia. Agricultor por herencia y por

fortuna, fue un hombre con el cada vez más

raro fuero de libertad y autonomía sin otra

servidumbre que la de la tierra, para la que

existió y de la que vivió; de sus entrañas sacó

el trigo que da pan y eucaristía, el alimento del

mundo y de su familia y, al compás de su

cantar noble y franco, de la misma cortó los

brotes de las penas y los gozos de la vida. Hoy

-“recuerda hombre que eres polvo”-, en el seno

de la tierra reposan sus cenizas.

Pues sí. Y lo mismo vale

para mi madre y sus cenizas.

Ambos se pasaron la vida

rezando como santos castellanos

y nadie se enteraba. Pero, mira

por donde, yo voy a descubrir sus

manos sacerdotales y que, sin

catequesis que les instruyera, en

su última decisión sobre los

propios despojos, pensaban justo

“en cristiano”. Para que nadie

vaya a buscar entre los muertos a

los que viven.

No. No. En absoluto es

mejor cristiano quien hace o se inventa santos,

o quien colecciona reliquias.

Rece y vaya a misa quien quiera, baile y

se divierta Roma si le va la marcha, pero que

no engañe nadie. Porque nos han llenado de

tantas mentiras… Y mentir es pisotear a los

hombres y a Dios, aun

predicándole.

Y que nadie diga

“Roma locuta causa

finita”, ni “Roma ciudad

eterna”, porque estas

cosas fueron dichas para

el Sol, no para ombligos

de Petras ni de Pedros. Todo lo demás es

“mentira absoluta” y árboles más grandes

cayeron. Y paramos, para seguir otro día, que

el paño de Jorge es largo y hay mucha tela que

cortar.