LA PIETRA FILOSOFALE LA PIEDRA FILOSOFAL · mismo significado que la ... lo quale è suggerito...
Transcript of LA PIETRA FILOSOFALE LA PIEDRA FILOSOFAL · mismo significado que la ... lo quale è suggerito...
1
LA PIETRA FILOSOFALE
Ebbene… No. La Pietra filosofale non è
quella che può convertire in oro qualunque
sostanza o metallo di bassa qualità.
Neanche ha niente a vedere
con le mani del Re Mino che, per la
sua sfortuna, convertivano in oro
tutto quanto toccava, benché
forse…
La Pietra filosofale non era né
questo né quello poiché, in realtà era oro già da
se, puro oro crogiolato al fuoco del migliore
crogiolo.
Ed è che la Pietra filosofale era pura
pietra solare, pietra venuta dal Sole, e… che
cosa è il Sole se non L’Oro per antonomasia?
Per questo “lo chiamano Lorenzo”.
Perché lui è l’originale “Isola del Tesoro”
che affascina tutto il mondo e dalla quale
–anche senza saperlo- tanti hanno
cercato un’immagine nel mare. Buono la
Pietra filosofale anche potrebbe venire da
qualcun’altra stella, se non dalla Luna.
E qualche pezzo di Sole, o Pietra filosofale
c’era nella città di Petra prima che
gliel’ingoiasse il deserto, che né a proposito il
nome che le imposero. Anche c’era Pietra
filosofale nell’Arca dell’Alleanza del Tempio di
Gerusalemme, dal quale non rimase “pietra su
pietra”, e ugualmente in qualche arca o baule
da Troia, che quella fu la causa della consaputa
guerra che incendiasse la città. Anche c’è Pietra
filosofale alla Mecca che, come non è distrutta,
incendiata, né gliela ha inghiottito il deserto,
ancora è meta > mecca del pellegrinaggio dei
musulmani; ugualmente c’è, salvo che l’abbiano
scambiato per sa Dio che cosa, nel Arca
Marmorea a Santiago de Compostela che, per la
stessa ragione, accoglie pellegrini, in questo
caso, cristiani. Il luogo però più insospettato, e
alla volta dove meno manca
“Pietra filosofale”, è a Roma che,
addirittura di centro di
pellegrinaggio, là c’è il Papa, un
Pietro o “Pietra filosofale” che…
né le mani del Re Mino. Bene, al
Re Mino per il momento, lo lasciamo in pace.
LA PIEDRA FILOSOFAL
Pues no. La Piedra filosofal no es aquella
que puede convertir en oro cualquier sustancia
o metal de baja calidad.
Tampoco tiene nada que ver
con las manos del Rey Minos que,
para su desgracia, convertían en oro
cuanto tocaban, aunque tal vez…
La Piedra filosofal no era ni
esto ni aquello porque, en realidad
era oro ya de por sí, puro oro acrisolado al
fuego del mejor crisol.
Y es que la Piedra filosofal era pura
piedra solar, piedra venida del Sol, y… ¿Qué es
el Sol sino L’Oro o El Oro por antonomasia? Por
eso “le llaman Lorenzo”. Porque él es la
original “Isla del Tesoro” que
fascina a todo el mundo y de la
que -aun sin saberlo- tantos han
buscado una imagen perdida en el
mar. Bueno, la Piedra filosofal
también podía venir de alguna
otra estrella, si no de la Luna.
Y algún trozo de Sol, o Piedra filosofal
había en la ciudad nabatea de Petra antes de
ser tragada por el desierto, que ni pintado el
nombre que le dieron. También había Piedra
filosofal en el Arca la Alianza del Templo de
Jerusalén, del que no quedó “piedra sobre
piedra”, e igualmente en algún arca o baúl de
Troya, que ella fue la causa de la consabida
guerra que incendiaría la ciudad. También hay
Piedra filosofal en La Meca que, como no está
destruida, incendiada, ni se la ha tragado el
desierto, aún es meta > meca de peregrinación
para los musulmanes; igualmente la hay, salvo
que la hayan cambiado por “sabe Dios qué”, en
el Arca Marmórea de Santiago de Compostela
que, por la misma razón, acoge peregrinos, en
este caso, cristianos. Pero el lugar más
insospechado, y a la vez donde
menos falta “Piedra filosofal”, es
Roma que, amén de centro de
peregrinación, allí está el Papa, un
Pedro o “Piedra filosofal” que… ni
las manos del Rey Minos. Bueno, al
Rey Minos, de momento, le dejamos en paz.
2
Perché si capisca per dove ci moviamo,
presento due “frontoni partiti” appartenenti a
due templi della nominata città di Petra: Quel
del “Tesoro” e quel del “Monastero”.
In qualche racconto da prima ho già
spiegato che il “frontone partito” è una
bellissima allegoria delle “Colonne di Ercole”,
separate per dare passo alla vita. Ebbene, negli
spazzi aperti in questi frontoni ci sono due
singolari tempietti, uno dei quali ha scolpita
l’immagine di una donna che non è se non la
“Madre della Vita”.
A questo punto, tutti
conosciamo bene che “La
Flora” da Burgos o la
Maribianca da Madrid sono
due immagini della stessa
Madre della Vita. Così, per
analogia, intuiamo che le
anfore dei due allusi tempietti
hanno lo stesso significato del
piccolo bottame che sappia-
mo porta la Maribianca da
Madrid, cioè, che in ambedue
casi si tratta del Santo Graal, il “calice” con il
“seme divino” generatore della vita sulla Terra.
È però proprio per meravigliarsi che,
addirittura del simbolo, anche si conservano
vere riserve di quel “seme divino” generatore
della vita sulla Terra.
Para que se vaya entendiendo por dónde
nos movemos, presento dos “frontones parti-
dos” de sendos templos de la citada ciudad de
Petra: El del “Tesoro” y el del “Monasterio”.
En algún relato anterior tengo explicado
que el “frontón partido” es una bellísima
alegoría de las “Columnas de Hércules”,
separadas para dar paso a la vida. Pues bien,
en los espacios abiertos en estos frontones hay
dos singulares templetes, uno de los cuales
tiene esculpida la imagen de una mujer que no
es sino la “Madre de la Vida”.
A estas alturas, todos
sabemos que “La Flora” de
Burgos o la Mariblanca de
Madrid son dos imágenes de
la misma Madre de la Vida.
Así, por analogía, intuimos que
las ánforas sobre los dos
aludidos templetes tienen el
mismo significado que la
pequeña vasija que sabemos
lleva la Mariblanca de Madrid,
o sea que, en ambos casos se
trata del Santo Grial, el “cáliz” con el “semen
divino” generador de la vida sobre la Tierra.
Pero lo chocante del caso es que, además
del símbolo, también se conservan reales
reservas de aquel “semen divino” generador de
la vida sobre la Tierra.
3
Da pazzi, dirà qualcuno.
Certo, ma non da legare. Perché ci sono
delle cose che, per molto strane che sembrino,
là ci sono, ed io non posso rimediarlo:
“L’archeologia linguistica” ci ha portato
alla conclusione che i nostri antenati più lontani
credettero che la vita era nata nell’intorno di
San Bizente de Labarzera. Perché già sappiamo
che la stessa parola, Bizente, è un’allusione alla
Vita e, d’altra
parte, “Labarzera”
segnala alla
“Barza” come la
patrona del paese,
che non è se non
la stessa Flora o
Mariblanca, la
Madre della Vita.
Ricordiamo,
a proposito di questo, che in Spagna i bambini
nascono nelle “berzas” (cavoli), a dispetto gli
illustrati della torre Eiffel. Ma com’è stupido il
mondo e arroganti tutti gli ombelichi!
Anche in tanti paesi della Spagna, come
ad esempio il mio, Torresandino (Burgos), si
cantano le “Barzas > Marzas” -a marzo, il primo
mese dell’anno-, che è un canto alla rinascita
della vita.
Ricordiamo anche l’identificata “Laguna
Tritona”, così vicina a San Bizente de
Labarzera, dove c’è la “Madonna della Cama”
(letto) alla quale abbiamo identificato come una
Barza, Flora, Mariblanca proprio nel momento di
partorire la Vita.
E se attendiamo un po’, vediamo una si-
militudine fonetica tra la “Madonna della Cama”
e quella del “Carmen”, con lo quale scopriamo
non soltanto l’identità di ambedue Madonne,
ma il modo come i nostri antenati credettero
che era arrivata la vita sulla Terra. In effetti:
Nessuno dubita che le parole metalo e
meteorito siano della stessa famiglia di
mineralo, mena, mina, (“menoki”, in basco), a
dispetto che abbiano perso la “n”.
Dopo quest’osservazione, meglio possia-
mo relazionare i meteoriti con le comete, che
questo sono i meteoriti: delle comete che cado-
no sulla Terra. E attenzione a quello che segue:
¡De locos!, dirán algunos.
Sí, pero no de atar. Porque hay cosas
que, por muy extrañas que parezcan, ahí están
y yo no lo puedo remediar:
La “arqueología lingüística” nos ha llevado
a la conclusión de que nuestros ancestros más
lejanos creyeron que la vida había nacido en el
entorno de San Bizente de Labarzera. Porque
ya sabemos que la misma palabra, Bizente, es
una alusión a la
Vida y, por otra
parte, “Labarzera”
señala a “La Bar-
za” como la patro-
na del pueblo, que
no es sino la
misma Flora o
Mariblanca, la
Madre de la Vida.
Recordemos, al respecto, que en España,
los niños nacen en las berzas, pese los
ilustrados de la torre Eiffel. ¡Pero cómo es
sandio el mundo y engreídos todos los
ombligos!
También en muchos pueblos de España,
como el mío, Torresandino (Burgos), se cantan
“las Barzas > Marzas” -en marzo, el primer mes
del año- que es un canto al renacer de la vida.
Recordemos también la identificada
“Laguna Tritona”, tan cerquita de San Bizente
de Labarzera, donde está la “Virgen de la
Cama”, a la que ya hemos identificado como
una Barza, Flora, Mariblanca justo en el
momento de dar a luz a la Vida.
Y si damos un paso más, vemos una
similitud fonética entre la “Virgen de la Cama”,
y la del Carmen, con lo que vamos a descubrir
no ya la identidad de ambas Vírgenes, sino el
modo como nuestros ancestros creyeron que
había llegado la vida a la Tierra. En efecto:
Nadie duda que las palabras metal y
meteorito son de la familia de mineral, mena,
mina, (“menoki”, en vasco), pese a que hayan
perdido la “n”.
Tras esta observación, mejor podemos
relacionar los meteoritos con los cometas, que
esto son los meteoritos: cometas que caen en
la Tierra. Y atención a lo que sigue:
4
Mantali > mentali > metali Manteori > menteori > meteoriti
Karmanta > karmenta > comenta > cometa.
Allora, ecco qui l’originale “Virgen del
Carmen” venuta dal cielo in forma di Karmanta
> comenta > cometa. E già sta scoperto
l’origine solare, o stellare, della vita, arrivata
sulla Terra in forma di metalli, comete o
meteoriti, ai quali i nostri antenati
riconoscevano come procedenti dello spazio
esteriore, come anche dicono i seguenti termini
greci a chi riconosce la sua
fonetica: “Meteko”, che significa
straniero, e “metha”, che significa
“al di là”, come s’intuisce se per
esempio diciamo “meta galattico”.
Dopo ecco “la Madonna” che
da rimbalzo gli è caduta al mio
paese, Torresandino. E i miei
compaesani, come me fino adesso,
che non sanno per niente chi
venerano, a dispetto le omelie che
anno dopo anno inghiottano.
Curiosamente, i predicatori suolino abbon-
dare in dichiarazioni sull’amore sbordante del
popolo cristiano alla Madonna, e neanche loro
hanno nessuna idea su chi parlano né il perché
da così viscerale e atavica devozione; tutti,
fedeli a Roma, la Grande Prostituta che non
soltanto ha adulterato la fede cristiana ma si ha
fatto con il monopolio della predicazione.
Ma non cerchiamo il pelo e attendiamo
che, dietro la nominata “Laguna “Tritona”,
sospetto possa nascondersi qualche Madre o
Nonna di tre specie di tonni o qualcosa simile,
lo quale è suggerito dallo stesso nome:
Per il momento, se avvertiamo che dalla
Laguna “Tritona” cantabrica si fa eco la
sivigliana Laguna de “Triana”, già possiamo
scoprire al Luna con tre faccette, faccie,
personalità o persone. Perché “Triana” è chiaro
che significa “tre Anne”, Illanne,
Diane o lune. Questo senza scartare
la sua “triplice maternità”, che la ci
sono le tre razze -semite camite y
jafetite- che la Bibbia attribuisce ai
tre figli di Noè, il primo Baco o
Dionisio da Nysa (Esperia)
documentato. Andiamo però al tema:
Mantales > mentales > metales Manteoros > menteoros > meteoritos
Karmanta > karmenta > comenta > cometa.
Pues he ahí a la original “Virgen del
Carmen” venida del cielo en forma de Karmanta
> comenta > cometa. Y ya está descubierto el
origen solar, o estelar, de la vida, llegada a la
Tierra en forma de metales, cometas o
meteoritos, a los que nuestros antepasados
reconocían como procedentes del espacio
exterior, lo mismo que dicen los siguientes
términos griegos a quien reconoce su
fonética: “Meteko”, que significa
extranjero, y “metha”, que significa
“de más allá”, como se intuye si por
ejemplo decimos “meta galáctico”.
Luego ahí está “la Virgen” que,
de rebote, le cayó a mi pueblo,
Torresandino. Y mis paisanos, como
yo hasta ahora, que no tienen ni idea
de a quien están venerando pese a los
sermones que año tras año, se tragan.
Curiosamente, los predicadores
suelen abundar en declaraciones sobre el amor
desbordante del pueblo cristiano a la Virgen, y
tampoco ellos tienen ni idea sobre quién hablan
ni el porqué de tan visceral y atávica devoción;
todos, fieles a Roma, la Gran Prostituta que no
sólo ha adulterado la fe cristiana sino que se ha
hecho con el monopolio de su predicación.
Pero dejemos pelillos y atendamos que,
tras la nombrada “Laguna “Tritona”, sospecho
pueda esconderse alguna Madre o Abuela de
tres especies de atunes o algo parecido, cosa
que sugiere el mismo nombre:
Por de pronto, si advertimos que de la
Laguna “Tritona” cantábrica se hace eco la sevi-
llana Laguna de “Triana”, ya podemos descubrir
a la Luna con tres facetas, faces, persona-
lidades o personas. Porque “Triana” está claro
que significa “tres Anas”, Illanas, Dianas o
lunas. Esto sin descartar su
posible “triple maternidad”, que
ahí están las tres razas -semitas
camitas y jafetitas- que la Biblia
atribuye a los tres hijos de Noé,
el primer Baco o Dionisio de
Nysa (Hesperia) documentado.
Pero a lo que vamos:
5
Il caso è che un pezzo che Jorge ha finito
di trovare nelle “SPIAGGE DEL CIELO”, a San
Bizente de Labarzera, viene a confermare
questa conclusione della nostra “archeologia
linguistica”. Ecco qui il pezzo in questione:
Come si vede nell’illustrazione, il pezzo già
è identificato come una “Pallade Atena”, lo
quale conferisce a questa divinità il rango, non
di “Madre della Vita”, ma di “Nonna della Vita” -
che nel fondo è lo stesso-, lo quale deduciamo
dopo avere riconosciuto Sant’Anna in uno dei
delfini della Mariblanca.
E diciamo che è lo stesso perché se Maria
significa Mare, sempre in relazione con la Luna,
che là ci sono le maree, Anna significa acqua.
Là ci sono l’anitra e le anaconda, che sono dei
animali di acqua; le anacoreti, perché vivevano
nelle caverne sugli scogliere; gli anabatiste,
perseguitati un tempo da Giustiniano, e più
tardi da cattolici e protestanti; là ci sono l’agge-
ttivo llano (piano), come la superficie dell’ac-
qua, il verbo llenar, (riempire), si suppone che
di acqua, come le ballene, e i paesi di Llanes,
Santullano e Santillana del Mar, che portano la
sua Patrona nel nome. Dopo se abbiamo detto
che Ana = Illana = Diana è la Luna,
la “prova della galletta” dimostra
qualcosa indiscutibile: Che quella
rotonda come la Luna è una Maria,
la galletta per eccellenza e
antonomasia, un gallo, un Sole in
piccolo e in femminile. Per questo la
Luna, l’Illana, è la fonte di tutte le
acque che riempiono i mari, incluse
quelle del Nilo africano che, come non può
essere meno nasce nei “Monti Luna”.
El caso es que, una pieza que Jorge
termina de encontrar en las “PLAYAS DEL
CIELO”, de San Bizente de Labarzera, viene a
refrendar esta conclusión de nuestra “arqueolo-
gía lingüística”. He aquí la pieza en cuestión:
Como se ve en la ilustración, la pieza ya
está identificada como una “Palas Atenea”, lo
que confiere a esta divinidad el rango, no de
“Madre de la Vida”, sino de “Abuela de la Vida”
-que en el fondo es lo mismo-, lo cual
deducimos tras haber reconocido a Santa Ana
en uno de los delfines de la Mariblanca.
Y decimos que es lo mismo porque si
María significa Mar, siempre en relación con la
Luna, que ahí están las mareas, Ana significa
agua. Ahí están los ánades y las anacondas,
que son animales de agua; los anacoretas,
porque vivían en las grutas de los acantilados;
los anabaptistas, perseguidos otrora por
Justiniano, y más tarde por católicos y
protestantes; ahí están el adjetivo llano, como
la superficie del agua, y el verbo llenar, se
supone que de agua, como las ballenas, y los
pueblos de Llanes, Santullano y Santillana del
Mar, que llevan a su patrona en el nombre.
Luego, si tenemos dicho que Ana =
Illana = Diana es la Luna, la “prueba
de la galleta” demuestra algo
impepinable: Que la redonda como la
Luna es una María, la galleta por
excelencia y antonomasia, un gallo, un
Sol en pequeño y en femenino. Por
eso la Luna, la Illana, es el manantial
de las aguas que llenan los mares,
incluidas las del Nilo africano que, como no
puede ser menos, nace en los “Montes Luna”.
6
Descrivo il pezzo nella sua originale
presentazione:
Si tratta, se si avvengono gli aggettivi con
il sostantivo, di un “canto ruotato ferruginoso”
(ciottolo). Perché un canto non è di ferro e,
quello di ruotato… Bene,
in questo caso è “super
ruotato”, perché sa Dio i
mili di milioni, di bilioni, di
trilioni e perfino di “silloni”
di km. che può avere
percorso da che uscì
slanciato dalla stella dove
si originasse. Ed è che il
detto “canto ruotato” è un
meteorite. E avverto che io
non ho lasciato allo
scultore il mio coltellino a serramanico “made in
Albacete” per che grattasse in simile durezza e
plasmasse quella signora di tre facce, una
Santissima Trinità in femminile. In effetti, e
guardando l’illustrazione:
- Spianato, come se fosse una moneta,
per la “testa” di questo “canto ruotato”, appare
quel bel rostro con degli occhi, sopraccigli e
parte del naso, scolpiti in durissimo ferro, che il
resto rimane all’intuizione del virtuoso
contemplatore.
- Per la “croce”, la ci sono quei due occhi
distanti e quella fessura obliqua a guisa di
bocca che le da quella espressione severa,
zeñuda (accigliata), lo quale identifica la nostra
Tritona = Triana (Trinità) proprio come una
Palas Atenea, Azenai, Azeña o Zeñuda, che così
presenta Jorge certa derivazione linguistica:
Azenai o Azania > “saña”…, “ensañarse”
(accanimento…, accanirsi).
Da nostra parte, bene ricordiamo il
toponimo Zezeña, proprio accanto San Vicente
de la Barquera, e la località di Ceceñas, vicina
Santander, il cui Patrono è “San Vicente
Morcillero”, così come il burgalés Monasterio
della Cardeña, con il suo “Alvero della Vita” dal
quale germoglia nientedimeno che Castiglia,
assimilabile a Asturia e a Spagna, come già è
detto. E sarebbe peccato non ricordare il monte
“Sinai”, dedicato alla nostra Tritona, Triana,
Atenea. Benché dobbiamo avvertire che né il
Describo la pieza en su original
presentación:
Se trata, si se avinieran los adjetivos con
el sustantivo, de un “canto rodado ferruginoso”.
Porque un canto no suele ser de hierro y, lo de
rodado… Bueno, en este
caso es “súper rodado”,
porque sabe Dios los
miles de millones, de
billones, de trillones y
hasta de “sillones” de
km. que puede haber
recorrido desde que
salió despedido de la
estrella donde se
originó. Y es que dicho
“canto rodado” es un
meteorito. Y advierto que yo no dejé al escultor
mi navajilla albaceteña para que rascara en
semejante dureza y plasmara a esa señora de
tres caras o faces, una Santísima Trinidad
femenino. En efecto, y mirando la ilustración:
- Aplanado, como si fuera una moneda,
por la “cara” de ese “canto rodado”, aparece
ese bello rostro con ojos, cejas y parte de la
nariz, esculpidos en el durísimo hierro, que el
resto queda a la intuición del virtuoso
contemplador.
- Por la “cruz”, ahí están esos dos ojos
distantes y esa grieta oblicua a guisa de boca
que le da una expresión severa, zeñuda, lo cual
identifica a nuestra Tritona = Triana (Trinidad)
justo como una Palas Atenea, Azenai, Azeña o
Zeñuda, que así presenta Jorge cierta
derivación lingüística:
Azenai o Azania > saña…, ensañarse.
Por nuestra parte, bien recordamos el
topónimo Zezeña, justo al lado de San Vicente
de la Barquera, y la localidad de Ceceñas,
cercana a Santander, cuyo Patrón es “San
Vicente Morcillero”, así como el burgalés
Monasterio de La Cardeña, con su “Árbol de la
Vida” del que brota nada menos que Castilla,
asimilable a Asturias y a España, como ya
tenemos dicho. Y sería pecado no recordar el
monte “Sinaí”, dedicado a nuestra Tritona,
Triana, Atenea. Aunque hay que advertir que ni
el nombre, Sinaí, ni su actual ubicación son los
7
nome, “Sinai”, né la sua attuale ubicazione
sono gli originali. L’originale nome del Sinai era
Azenai > Azinai, e la sua ubicazione era e
continua a essere nel paese di Azinas (Burgos,
“Prima voce et fide”), il cui più
antico tempio era dedicato –
casualità- a San Vincenzo. Si
tratta della Peña Kara-Azena,
attuale Peña Karazo, sulla
quale presto ti dirò qualcosa
interessane, lettore curioso.
- Finalmente, nel fianco o
profilo della “moneta”, va scolpita la terza face
della nostra Tritona che, se soltanto sono
lavorati gli occhi (non proprio con il mio
coltellino a serramanico), il resto è insinuato
dallo stesso pezzo.
Tutto questo si trova in un meteorite
caduto in Terra tra uno e tre milioni di anni fa;
una Santissima Trinità dalla quale non conviene
parlare per non scandalizzare, non gli
adolescenti, ma i dogmatici idioti o idiotizzati,
tanti con tocco o zucchetto, dai quali conosco
alcuni per nome e cognome –o “cognomi”- e, a
dispetto qualcuno gliele da del contrario, Dio
mio quanto antipatici sono!
In ogni modo, vedano i buoni credenti
che qualche Santissima Trinità, da mente e
mano superiori, sembrano guidare le mani e la
mente di Jorge -il nostro Maestro in questi
affari-, perché a San Bizente de Labarzera fosse
incontrare una vidimazione di più alla sua
“archeologia linguistica” e alle sue intuizioni sul
detto luogo come origine della vita, che dal
modo come i nostri antenati credettero che era
apparse, già abbiamo parlato. Ti racconto,
lettore, quello promesso sulla Peña Karazo:
L’acropoli di
Atena non fu se non
una copia a miniatura
dell’impressionante
fortificazione che
50.000 anni fa si alzava
sulla duplice Peña
Kara-Azena o Azinas,
attuale Peña Karazo.
Perché vengano dirci che Grecia e Roma
ci civilizzarono!
originales. El original nombre del Sinaí era
Azenai > Azinai, y su ubicación estaba y sigue
estando en el pueblo de Azinas (Burgos, “Prima
voce et fide”), cuyo más antiguo templo estaba
dedicado -casualidad- a San
Bizente. Se trata de la Peña
Kara-Azena, actual Peña Karazo,
sobre la que pronto te diré algo
muy interesante, lector curioso.
- Finalmente, en el canto o
perfil de “la moneda”, va
esculpida la tercera faz de
nuestra Tritona que, si sólo están trabajados los
ojos (no con mi cortaplumas albaceteño), lo
demás ya lo insinúa la misma pieza.
Pues todo esto se halla en un meteorito
caído a la Tierra hace entre uno y tres millones
de años; una Santísima Trinidad de la que no
conviene hablar para no escandalizar, no a los
adolescentes, sino a dogmáticos idiotas o
idiotizados, muchos con birrete, de los que a
algunos conozco por su nombre y “apellido” -o
apellidos- y, pese a que alguno se las dé de lo
contrario, ¡Dios mío, qué antipáticos son!
De cualquier modo, vean los buenos
creyentes que alguna Santísima Trinidad, de
mente y mano superiores, parece guiar las
manos y la mente de Jorge -nuestro Maestro en
estas lides-, para que en San Bizente de
Labarzera fuera a encontrar un refrendo más a
su “arqueología lingüística” y a sus intuiciones
sobre dicho lugar como origen de la vida, que
del modo como nuestros ancestros creyeron
que ésta había nacido, ya hemos hablado. Te
cuento, lector, lo prometido sobre la Peña
Karazo:
La acrópolis de Atenas no fue sino una
copia en miniatura
de la impresionante
fortificación que
hace 50.000 años
se alzaba en la
dúplice Peña Kara-
Azena o Azinas,
actual Peña Karazo.
¡Para que
vengan a decirnos que Grecia y Roma nos
civilizaron!
8
Vicino alla “Peña” si alza il
Monastero di Silos, quel “semine di
Dio”, chiamato prima di San Sebastiano.
Il caso è che nel suo museo c’è una
testa in bronzo che dicono sia una
“matrona romana”, ma in realtà è una
Pallade Atena incontrata nella riferita
Peña Kara-Azena.
Nello stesso monastero c’è un
curioso testo dal francese rifondatore di
Silos, fra Ildefonso Guepin, che dice
quello che segue:
Dimenticavo dire che nel tesoro del nostro
monastero rimane una testa in bronzo che
chiamano l’idolo di Carazo. La tradizione dice
che fu oggetto di culto nel detto paese o nel
monte che si alza dietro, fino il tempo nel quale
Santo Domingo di Silos, il quale distrusse i resti
dell’idolatria e approfittò la testa per ornare la
corona che è in torno alle riserve della Sacra
Eucarestia.
Addirittura della rassegnata febbre
distruttiva di Santo Domingo di Silos -e gli
fanno santo, come al San Buonaventura
incendiario-, il caso è che fra Ildefonso Guepin
mente e nemmeno si accorge. Addirittura
crede di prestare un servizio a
Dio. Peggio di Pinocchio:
- Dice che Santo Domingo
(1.000-1.073) distrusse l’idolatria,
ma c’è un documento del 1604 che
dice testualmente: Molte donne
usano pettinature con delle punte
davanti, a immagine di un idolo
che anticamente si dice di stare
nelle Torri di Carazo e così si ha per
tradizione. Per rimedio di questo sbaglio e
abuso così grande, ordino a tutte le donne che
di qua in avanti si sposino in questa viglia di
non portare né esporre simili pettinature. E se
le portassero ordino ai preti di non sposarle né
velarle, e se dopo di velarle gliele misero, che i
preti e gli altri chierici e beneficiari non le
ammetato nella Chiesa e le vietino gli uffici fino
che compiano con quello che gliele ordina. E
cosò lo facciano e compiano de dette donne,
preti e chierici della detta viglia, so pena di
scomunica maggiore e di cento ducati per le
spese che il Re fa contro gli infedeli.
Cerca de la Peña se alza el
Monasterio de Silos, el del “Semen de
Dios”, llamado anteriormente de San
Sebastián. El caso es que en su
museo hay una cabeza de bronce que
dicen sea de una “matrona romana”,
pero que en realidad es una Palas
Atenea encontrada en la referida Peña
Kara-Azena.
En el mismo monasterio hay un
curioso texto del francés refundador
de Silos, fray Ildefonso Guepin, que
dice lo siguiente:
Olvidáseme decir que en el tesoro de
nuestro monasterio queda una cabeza de
bronce que llaman el ídolo de Carazo. La
tradición dice que fue objeto de culto en el
susodicho pueblo o en el cerro que lo domina,
hasta el tiempo de Santo Domingo de Silos, que
destruyó esos restos de idolatría y aprovechó la
cabeza para adorno de la corona que rodeaba
las reservas de la Sagrada Eucaristía.
Además de la reseñada fiebre destructiva
de Santo Domingo de Silos -y le hacen santo,
como al San Buenaventura incendiario-, resulta
que fr. Ildefonso Guepin miente y ni se
entera. Además cree prestar un servicio a
Dios. Peor que Pinocho:
- Dice que Santo Domingo (1.000-
1.073) destruyó la idolatría, pero hay un
documento de 1604 que dice textualmente:
Muchas mujeres usan tocados con unas
puntas adelante, a imagen de un ídolo que
antiguamente se dice que estaba en las
Torres de Carazo y así se tiene por
tradición. Para remedio de un yerro y
abuso tan grande, mando a todas las mujeres
que de aquí en adelante se casen en dicha villa,
no lleven ni expongan semejantes tocados. Y si
los llevaren mando a los curas que no las
desposen ni velen, y si después de veladas se
los pusieren, que los curas y demás clérigos y
beneficiarios no las admitan en la Iglesia y las
eviten en los oficios hasta que cumplan con lo
que se les manda. Y así lo hagan y cumplan las
dichas mujeres, curas y clérigos de la dicha
villa, so pena de excomunión mayor y de ciento
diez ducados para gastos de la guerra que el
Rey hace contra los infieles.
9
- Dice anche che si approfittò
la testa per ornato della corona…
(voglio capire che sia della
custodia), quando quello che si
approfittò furono le pietre pregiose
che ornavano la testa.
Dopo però leggere queste
sostanziose rassegne, io
domanderei fra Ildefonso perché
non è idolatria prostrarsi davanti
alla “corona con le riserve della
Sacra Eucarestia”, tema che già ho
trattato e nel quale non reinciderò.
Anche gli domanderei se, nel supposto che
Cristo ci avesse lasciato “il suo Corpo e il suo
Sangue”, si sarebbe appuntato al dogmatismo
come “sua Sposa” la Chiesa, che impone il
modo come vuole supporre lo lasciò.
Quanti non saranno, come fra Ildefonso
Guepin, convinti di prestare un servizio a Dio
imponendo le sue catechesi provinciale, che tali
sono quelle della Chiesa Romana che, per
colmo si definisce e presenta come cattolica!
Torniamo al nostro “idolo”, la Pallade Atena
della Peña Karazo:
Come sai, molto prima di Atena, la dea
Pallade Azenai o Atena, fu la titolare della Peña
Carazo, (Burgos), la più grande acropoli che
videro i secoli, il cui nome ci rimanda ancora più
al nord della Spagna, poiché ci ricorda la
“Fuente del Cajo o del Cazo”, a Cantabria,
addirittura del utensile di cucina simile al casco
di Atena, nel quale, con il tuo permesso,
lettore, cucinerò le parole corazzo > cuore,
cuoio, cara… E
queste altre
Fermes > Her-
mes > Zernes,
cerneja, cerni-
calo, che impa-
rentano Atena e
il suo gufo con
il dio Erme, il
Mesaggero degli
dei, dal quale presto parleremo.
E non dimenticare “l’arnero”,
rotondo come la Luna e che
serve per “cerner” (setacciare),
lo stesso che fa l’Aquila… e il Sole.
- Dice también que se
“aprovechó la cabeza para adorno
de la corona”… (quiero entender
de la custodia), cuando lo que se
aprovechó fueron las piedras
preciosas que adornaban la
cabeza.
Pero tras leer estas
sustanciosas reseñas, yo
preguntaría a fr. Ildefonso por
qué no es idolatría postrarse ante
la “corona con las reservas de la
Sagrada Eucaristía”, tema que ya
tengo tratado y en lo que no reincidiré.
También le preguntaría si, en el supuesto de
que Cristo nos hubiera dejado su “Cuerpo y su
Sangre”, se habría apuntado al dogmatismo
como “su Esposa” la Iglesia, que impone el
modo cómo quiere suponer que nos lo dejó.
¡Cuántos no estarán, como fr. Ildefonso
Guepin, convencidos de prestar un servicio a
Dios imponiendo sus catequesis provincianas,
que tales son las de la Iglesia Romana que,
para colmo se define y presenta como católica!
Volvamos a nuestro “ídolo”, la Palas Atenea de
la Peña Karazo:
Como ya sabes, mucho antes que de
Atenas, la diosa Palas Azenai o Atenea, fue la
titular de Peña Carazo, (Burgos), la más grande
acrópolis que vieron los siglos, cuyo nombre
nos remite aún más al norte de España, al
recordarnos la “Fuente del Cajo o del Cazo”, en
Cantabria, amén del útil de cocina parecido al
casco de Atenea, en el que, con tu permiso,
lector, cocinaré las
palabras coraza >
corazón (“cuore”, in
italiano), cuero,
cara… Y estas
otras: Fermes >
Hermes > Zernes,
cerneja, cernícalo,
que emparentan a
Atenea y su lechuza
con el Dios Hermes, el Mensajero de
los dioses, del que pronto hablaremos.
Y no olvidemos el arnero, redondo
como la Luna y que sirve para cerner,
lo mismo que hace el Águila… y el Sol.
10
Mi dice Patricio che a Pamplona ci sono
due bari di nome francese: Cernì e Cerna. Io
credo che in qualunque dei due
possono servire una buona cena
proprio quando “Azena” rimpiazza
il Sole nel cielo, ma i suoi nomi,
senza dubbio sono più spagnoli
della stessa Pamplona, figlia della
Pampliega burgalesa, e del Patrono
di ambedue Hermes > Fermín, o
della corneja (cornacchia), che
come il gufo di Atena, bene poté
essere il simbolo di Erme, che non
per niente i romani impararono
guardarla come messaggera dei
buoni o cattivi auguri.
Tutto questo rinforza quanto esponiamo
tanto sulla Madre, se non Nonna dell’umanità,
sul luogo dove, dalla più remota antichità, si
supponeva era nata la Vita -“l’Oceano”-, così
come sul culto immemoriale alla nostra
originale “Immacolata”. Andiamo avanti:
Nel racconto da prima abbiamo
contemplato le foto di alcune “herramientas
metálicas” che, tra altri pezzi, Jorge continua a
raccogliere nel già celebre giacimento di San
Bizente de Labarzera. La ragione per la quale là
ci sono tanti oggetti già la conosciamo: Perché
era la meta > meca del “Cammino del Jaco”,
oggi abbastanza spostato. Guarda però che
proprio in queste “herramientas metálicas”
d’origine stellare, ci troviamo
con lo stesso concetto vitale al
quale allude il nome del paese:
Bizente > Vincenzo. Ed è che i
meteoriti furono identificati per
i nostri antenati come il semine
del Sole che cade e feconda la
Terra. Il Santo Graal! Che
portò la Vita.
La ragione dell’enclave è che era
tradizione che là era nata la vita, ed io
immagino che per là doveva essere caduto
qualche speciale meteorite o forse fosse
portato. In ogni modo, San Bizente si convertì
nella meta> meca del primigenio e principale
pellegrinaggio dell’umanità, l’originale Roma
dove tutti i cammini conducevano, dimentica,
lettore l’italiana che è un usurpatore.
Me dice Patricio que en Pamplona hay dos
bares con nombre francés: Cerní y Cerna. Yo
creo que en cualquiera de ellos
pueden servir una buena cena
justo cuando “Azena” remplaza al
Sol en el cielo, pero me temo que
sus nombres son más españoles
que la misma Pamplona, hija de la
Pampliega burgalesa, y del Patrón
de ambas, Hermes > Fermín, o
que la corneja que, como la
lechuza de Atenea, bien pudo ser
símbolo de Hermes, que por algo
los romanos aprendieron a fijarse
en ella como mensajera de
buenos o malos augurios.
Todo esto refuerza cuando venimos
exponiendo tanto sobre la Madre, si no Abuela
de la humanidad, sobre el lugar donde, desde
la más remota antigüedad, se suponía que
había nacido la Vida -el “Océano”-, así como
sobre el culto inmemorial a nuestra original
“Inmaculada”. Vamos adelante:
En el relato anterior contemplamos las
fotos de algunas herramientas metálicas que,
entre otras piezas, Jorge va recogiendo en el ya
reputado yacimiento de San Bizente de
Labarzera. La razón por la que allí hay tantos
objetos ya la sabemos: Porque era la meta >
meca del “Camino del Jaco”, hoy día un tanto
desplazado. Pero mira por dónde justo en esas
herramientas metálicas, de origen
estelar, vamos a ver el mismo
concepto vital al que alude el
nombre del pueblo: Bizente >
Vicente. Y es que los meteoritos
fueron identificados por nuestros
ancestros como el semen del Sol
que cae y fecunda la Tierra. ¡El
Santo Grial! Que trajo la Vida.
La razón del enclave está en que era
tradición que allí había nacido la vida, y yo
imagino que por allí debió caer algún especial
meteorito o tal vez fuera llevado. De cualquier
modo, San Bizente se convirtió en la meta>
meca de la primigenia y principal peregrinación
de la humanidad, la original Roma, a donde
todos los caminos conducían, olvida, lector la
italiana, que es una usurpadora.
11
Proprio la parola meta, contro
tutt’apparenza concettuale, ha la sua origine nei
meteoriti: Metallo, “metralla” (mitraglia), meta.
Cioè che San Bizente de Labarcera, con il suo
accoppio di Santo Graal,
sarebbe stato la prima
enclave riconosciuta come
Meta > Meca tanto dei
meteoriti come dei pellegrini.
Addirittura, là vicino è
documentata la nascita della
Maribianca, tema sul quale già ho parlato e sul
quale tornerò subito.
Apprezzata la relazione tra i meteoriti e la
vita, si può capire che non è un’idea così matta
quello sposto sulle Maribianche e le sue anfore
o bottami, che non sono se non idealizzazioni
del reale effetto che i meteoriti fecero sulla
Terra.
Non è però questa un’altra idea da pazzi?
Allora, lasciamo parlare i scientifici, quei
signori che scoprono delle cose che nessuno
capisce, ma che sono verità, non come gli
“archeologhi linguistici” che dicono cose
lapalissiane alle quale nessuno attende.
Ad esempio: Il tedesco Shawn Bishop ci
raccontò alcuni giorni fa, il 15 agosto 2016, che
tra 1,7 e 2,8 milioni de anni fa, la Terra soffrì
una “pioggia di meteoriti”. Prova di questo
fenomeno è l’accoppio di “Fe 60” –isotopo
siderale del ferro- trovato nelle cappe della
terra corrispondenti a quelle età. Secondo lo
stesso scientifico, il caso avrebbe avuto un
effetto tanto per l’estinzione di alcune specie
come per l’evoluzione di altre.
Guarda però che un altro scientifico
spagnolo, da nome e cognomi più digeribili per
il “volgare cristiano”, già aveva pubblicato,
proprio il giorno prima, il ritrovamento di alcuni
meteoriti con un’età, che lui stesso aveva
predetto, tra uno e tre milioni
di anni, i quali provavano una
sostanziale evoluzione nella
specie umana.
Avranno qualcosa a
vedere questi ritrovamenti
con il “semine del Sole” e le
“urne seminifere?
Precisamente la palabra meta, contra
toda apariencia conceptual, tiene su origen en
los meteoritos: Metal, metralla, meta. O sea,
que San Bizente de Labarcera, con su acopio de
Santo Grial, habría sido el
primer enclave reconocido
como Meta > Meca tanto de los
meteoritos como de los
peregrinos. Además, allí
cerquita está documentado el
nacimiento de la Mariblanca,
tema sobre el que ya he hablado y sobre el que
voy a volver enseguida.
Apreciada la relación entre los meteoritos
y la vida, se puede entender que no es una
idea tan loca lo expuesto sobre las Mariblancas
y sus ánforas o vasijas, que no son sino
idealizaciones del real efecto que los meteoritos
hicieron en la Tierra.
¿Pero no es ésta una idea loca más?
Pues vamos a dejar hablar a los
científicos, esos señores que descubren cosas
que nadie entiende, pero que son verdad, no
como los “arqueólogos lingüísticos” que dicen
cosas de Perogrullo a las que nadie atiende.
Por ejemplo: El alemán Shawn Bishop nos
contó hace unos días, el 15 de agosto del
presente 2016, que hace entre 1,7 y 2,8
millones de años, la Tierra sufrió una “lluvia de
meteoritos”. Prueba de este fenómeno es el
acopio de “Fe 60” -isótopo sideral del hierro-
hallado en capas de la tierra correspondientes a
esas edades. Según el mismo científico, el caso
habría tenido un efecto tanto en la extinción de
algunas especies como en la evolución de otras.
Pero, mira por donde, otro científico
español, de nombre y apellidos más digeribles
para el “vulgar cristiano”, ya tenía publicado,
justo el día anterior, el hallazgo de algunos
meteoritos con una edad, que él mismo había
predicho, de entre uno y tres
millones de años, que proba-
ban una sustancial evolución
en la especie humana.
¿Tendrán algo que ver
estos hallazgos con el “semen
del Sol” y las urnas
seminíferas?
12
Allora, qui abbiamo il premio
Nobel di chimica 1903, Svante
Arrhenius, naturale di Vic (Svezia, che
anche ci sono dei “Vic” fuori e molto
fuori da Catalogna), che associò
“semine” e “pioggia di stelle” nella
parola “panspermia”, in allusione alla
possibilità che la vita scaturisca in
qualunque parte dell’universo e che attraverso i
meteoriti, si trasmetta ad
altri corpi celesti.
Addirittura, il caso è
che queste idee non sono
così nuove, perché già il
filosofo greco Anaxágoras
(s. V a.C.) diede
testimonianza dello
stesso, e sicuro che non
fu il primo a pensarlo.
Dopo, là c’è
Giordano Bruno,
condannato al rogo nel 1.600 per concepire un
universo formato da un’infinità di astri, dove
poteva avere dei seri viventi.
Aggiungiamo che oggigiorno si sono
trovati strutture cellulari in alcuni meteoriti.
In ogni modo, per quel-
lo che a noi si riferisce, la
cosa è già stata risolta nella
sua totalità, poiché sappiamo
che la Maribianca è figlia
della Triana e il suo marito il
Jaco. Allora, se come
supponevano i nostri ante-
nati e dicono i scientifici, la
vita nacque nelle acque, ci
basta ricordare che Triana, la Luna, è la
fontana di tutti i Nili, le cui acque riempiono
l’Oceano, mentre che il Jaco, cioè, il Sole, è
quel che invia il suo mentalico semine fecon-
datore in forma di menteoriti. Ed erano stupidi
i nostri antenati! Com’è degenerata la specie!
Menomale, lettore, che tu già incominci a
profilare la nostra Immacolata con si suoi tipici
colori: bianco, azzurro celeste e turchese, se
non azzurro e rosso, come i canoni più antichi
comandano, a dispetto di avere dimenticato il
suo significato. E domando:
Pues ahí tenemos al premio
Nobel de química 1903, Svante
Arrhenius, natural de Vic (Suecia, que
también hay “Vics” fuera y muy fuera
de Cataluña), que asoció “semen” y
“lluvia de estrellas” en la palabra
“panspermia”, aludiendo a la posibilidad
de que la vida surja en cualquier parte
del universo y que a través de los meteoritos,
se transmita a otros
cuerpos celestes.
Además resulta
que estas ideas no son
tan nuevas, porque ya
el filósofo griego
Anaxágoras (s. V a.C.)
dio testimonio de lo
mismo, y seguro que no
fue él quien primero lo
pensó.
Luego, ahí
tenemos a Giordano Bruno, condenado a la
hoguera en 1.600 por concebir un universo
formado por una infinidad de astros, donde
podía haber seres vivientes.
Añadamos que hoy día se han encontrado
estructuras celulares en algunos meteoritos.
De cualquier modo, por
lo que a nosotros se refiere, la
cosa ya está resuelta en su
totalidad, pues sabemos que la
Mariblanca es hija de Triana y
de su marido el Jaco. Entonces,
si como suponían nuestros
ancestros y dicen los científicos,
la vida nació en las aguas, basta
recordar que Triana, la Luna, es
la fuente de todos los Nilos, cuyas aguas llenan
el Océano, mientras que el Jaco, o sea, el Sol,
es el que manda su mentálico semen fecun-
dador en forma de menteoritos. ¡Y eran tontos
nuestros ancestros! ¡Cómo degeneró la especie!
Menos mal, lector, que tú ya empiezas a
perfilar a nuestra Inmaculada con sus típicos
colores: blanco, azul celeste y turquesa, si no
azul y rojo, como mandan los cánones más
antiguos, pese a haber olvidado su significado.
Y pregunto:
13
Non meriteranno adesso un po’
più di rispetto le “idee strampalate” dei
nostri “tartarabuelos” che videro nei
meteoriti il semine divino che aveva
generato la vita nell’Oceano? Si capisce
la ragione del suo apprezzamento per
questi corpi celesti e che corressero
dietro di essi a gara e reverenti,
sapendo addirittura che erano oggetti
d’incomparabile e “magica” utilità? Ci facciamo
carico che i meteoriti si convertissero in oggetti
di culto e in causa di evoluzione tecnica? Che
bei martelli si facevano con essi!
Ti offro, lettore, la
foto di ultima ora di uno di
quelli martelli in due
posizioni, perché tu vedi la
sua forma e quale era il lato
per battere. Ugualmente ti
presento la parola
sudamericana “metate”,
che significa “pietra di
macinare”, la quale documenta
che i meteoriti furono utilizzati
come herramientas.
E com’erano così pregiati, e
anche le manifatture o
“herramiantas” che di essi si ottenevano, i
meteoriti furono l’origine del patrimonio che si
passava in eredità o “manda” (legato) da padri
a figli, come si può dimostrare a livello
linguistico. In effetti:
La prima parte della parola “patri-monio”,
allude ai padri, ma a che cosa allude la
seconda, il “monio”?
Quindi, il “monio” è un derivato di
“mano”, come anche il “mienta” da “herra-
mienta” o da parole tali come manovella,
manico, manica, “mango”, menaje…
Se possiamo dire che una “herra-mienta”
è una manufactura di ferro per essere usato
con le mani, il patri-monio è qualcosa
manufacturata o “creata” con le mani dei nostri
padri che, in un principio, non erano se non le
stesse herramientas, passate dopo ai figli in
eredità o “manda”, due parole sinonime, una
con il suo “her” di ferro e l’altra con il suo
“man” di mani.
¿No merecerán ahora un poco más de
respeto las “ideas descabelladas” de
nuestros “tartarabuelos” que vieron en los
meteoritos el semen divino que había
generado la vida en el Océano? ¿Se
entiende la razón de su aprecio por estos
cuerpos celestes y de que corrieran tras
ellos con porfía reverente, sabiendo,
además, que eran objetos de incomparable
y “mágica” utilidad? ¿Nos hacemos cargo de
que los meteoritos se convirtieran en objetos
de culto y en causa de evolución técnica? ¡Qué
buenos martillos se hacían con ellos!
Te ofrezco, lector, la
foto de última hora de uno
de aquellos martillos en
dos posiciones, para que
veas su forma y cual era la
cara percutora. Igualmente
te presento la palabra
sudamericana “metate”,
que significa “piedra de
moler”, la cual documenta que los
meteoritos fueron utilizados como
herramientas.
Y siendo tan preciados, así
como las manufacturas o
herramientas que de ellos se
obtenían, los meteoritos fueron el origen del
patrimonio que se pasaba en herencia o manda
de padres a hijos, como puede demostrarse a
nivel lingüístico. En efecto:
La primera parte de la palabra “patri-
monio”, alude a los padres, pero ¿a qué alude
la segunda, el “monio”?
Pues “monio” es un derivado de “mano”,
lo mismo que el “mienta” de “herra-mienta” o
de palabras tales como manivela, manija,
manubrio, manilla, mango (manga), menaje…
Si podemos decir que una “herra-mienta”
es una manufactura de hierro para ser usado
con las manos, el patri-monio es algo
manufacturado o “creado” con las manos de
nuestros padres que, en un principio, no eran
sino las mismas herramientas, pasadas después
a los hijos en herencia o “manda”, dos palabras
sinónimas, una con su “her” de hierro y otra
con su “man” de manos.
14
Per certo che la parola
herencia (eredità), con il suo
“her” di ferro –come anche
gerencia-, è il comune
denominatore di “Herracles”
(Eracle) e del “trinitario” Gerone,
e già possiamo dedurre da dove
derivano ambedue parole:
“Heracles” = Jerión > gerencia y herencia.
Questo dettaglio illustra sul divino
significato del patrimonio, manda o herencia,
che all’inizio non era se non quello che ci veniva
da parte del nostro Re e Creatore Gerone. I
meteoriti!
Di qua derivano altri concetti più sottili,
come ad esempio quel di “moneta” o il “money”
degli inglesi, così risparmiatori che fino lesinano
lettere alla parole, e già intuiamo come
incominciamo a scivolare verso la “pietra
filosofale” che abbagliasse il Re Mino e ad altri.
Intercalo un aneddoto:
Armata dal telefonino, per controllare con
l’aiuto dei suoi famigliari la concorrenza alle
diverse chiese di Roma, tutte le mattine trovavo
una giovane rumena che, secondo diceva,
veniva “lavorare”, seduta alla porta della nostra
Basilica dei Ss. XII Apostoli. Dico alla porta, non
entro, dove poteva incontrare una scopa a
muovere senza troppo retribuzione. Io la
salutavo e lei soleva dirmi:
- Oggi non si fa denaro.
E girando io la mano rispondevo:
- Devi darli alla macchinetta, alla
macchinetta.
Quello certo pero era che “la
macchinetta”, per la nostra giovane rumena –e
per tanti non rumeni-, era entro la chiesa,
concretamente in una sepoltura che c’è nella
cripta, dove i pellegrini credono di andare a
venerare “i corpi”
degli apostoli Filippo
e San Giacomo il
Minore, secondo
continua a
proclamare il parroco
benché, come ho già
esposto, soltanto si siano trovati due osa e tre
denti, questi di aspetto infantile.
Por cierto que la palabra
herencia, con su “her” de
hierro -lo mismo que gerencia-
, también es el común
denominador de “Herracles” y
del “trinitario” “Jerión”, y ya
podemos deducir de donde
derivan ambas palabras:
“Heracles” = Jerión > gerencia y herencia.
Este detalle ilustra sobre el divino
significado del patrimonio, manda o herencia,
que al principio no era sino lo que nos venía de
parte de nuestro Rey y Creador Jerión. Los
meteoritos.
De aquí derivarían otros conceptos más
sutiles, como por ejemplo el de “moneda” o el
“money” de los ingleses, tan ahorradores que
hasta escatiman letras a las palabras, y ya
intuimos que empezamos a deslizarnos hacia la
“piedra filosofal” que encandilaría al rey Minos
y a otros. Intercalo una anécdota:
Armada de teléfono móvil, para controlar
con ayuda de sus familiares la concurrencia a
distintas iglesias de Roma, todas las mañanas
me encontraba a una joven rumana que, según
decía, venía “a trabajar”, sentada a la puerta de
nuestra Basílica de los SS. XII Apóstoles. Digo a
la puerta, no dentro, donde podría encontrar
una escoba que mover sin demasiada
retribución. Yo la saludaba y ella solía decirme:
- Hoy no se hace dinero.
Y yo, girando la mano, respondía:
- Tienes que darle a la maquinita, a la
maquinita.
Pero lo cierto es que “la maquinita”, para
nuestra joven rumana –y para tantos no
rumanos-, estaba dentro de la iglesia,
concretamente en un “sepulcro” que hay en la
cripta, donde los peregrinos creen ir a venerar
“los cuerpos” de los
apóstoles Felipe y
Santiago el Menor,
según sigue
proclamando el
párroco aunque,
como ya tengo
dicho, sólo se hayan encontrado dos huesos y
tres dientes, éstos de aspecto infantil.
15
Questa è Roma e la sua
necrofilia con metastasi per tutto
il mondo. Perché, al contrario che
a Petra, Gerusalemme, Troya o
La Meca, nemmeno ci sono dei
meteoriti, e lasciamo da parte il
Re Mino e “L’Arca Marmórea” di
Santiago de Compostela, dalla
quale parleremmo il giorno che la
aprano.
Qualcuno mi direbbe che “nessun tonto
slancia delle pietre al suo tetto”, allo quale io
risponderei che più tonto è lui se non capisce
che ne slancio pietre ne ho tetto. Più ancora, ed
entrando in altro ambito:
Arrivato a Roma da recente, feci un lavoro
sulla nostra Basilica in spagnolo –che non in
latino- per i frati ispanoamericani, ai quali mi
chiedevano di accompagnare e spiegare
qualcosa mentre la visitavano.
Già, già vedo Jorge rimproverando la mia
“ossessione ispana”. Come però non sarò
ossessionato dopo scoprire che i latinismi italo-
francesi sono il paradigma delle stratagemmi
dei Pinocchi che tutto sconvolgano a
gloria del suo ombelico, e dopo
avere esperimentato in propria
carne, per negarmi a usarli,
l’insopportabile pressione con la
quale il suo naso da Pinocchio
attanaglia il mondo intero? Seguo:
Allora, indagando trovai che
l’Ordine Conventuale non è la
proprietaria della struttura de la
Basilica; nemmeno il Vaticano. La
Basilica è dello Stato Italiano.
Quello però più sorprendente del caso è
che nemmeno il Segretario generale, né il
Vicario generale, né il Guardiano del convento
sapevano niente al rispettive. Uno spagnolo e il
Postulatore dissero di saperlo, ma per se lo
avevano guardato. Ed io glielo dissi a tutti,
incluso al Generale, e questo mi confessò che
neanche lo sapeva, e mi ringraziò per
l’informazione. Allora il Generale ancora non mi
si era manifestato come il cafro più grande che
abbiano visto i miei occhi. Ed io credevo che
era il mio amico!
Ésta es Roma y su
necrofilia con metástasis por
todo el mundo. Porque, al
contrario que en Petra,
Jerusalén, Troya o La Meca, ni
siquiera hay meteoritos, y
ladeamos al Rey Minos y el “Arca
Marmórea” de Santiago de
Compostela, de la que
hablaremos el día que la abran.
Alguno me diría que “ningún tonto tira
piedras a su tejado”, a lo que yo respondería
que más tonto es él si no entiende que ni tiro
piedras ni tengo tejado. Más aún, y entrando
en otros ámbitos:
Recién llegado a Roma hice un trabajo
sobre nuestra Basílica en español -que no en
latín- para los frailes hispanoamericanos, a
quienes me pedían acompañara y explicara algo
mientras la visitaban.
Ya, ya. Ya me veo a Jorge recriminando
mi “obsesión hispana”. ¿Pero cómo no voy a
estar obsesionado tras descubrir que los
latinismos ítalo-franceses son el paradigma de
las estratagemas de los Pinochos
que todo lo trastocan a gloria de
su ombligo, y tras haber
experimentado en carne propia,
por negarme a usarlos, la
insoportable presión con que su
nariz atenaza el mundo entero?
Sigo:
Pues indagando me encontré
con que la Orden Conventual no es
la propietaria del inmueble; ni
siquiera lo es el Vaticano. La
Basílica es del Estado Italiano.
Pero lo más sorprendente del caso es que
ni el Secretario General, ni el Vicario General, ni
el Guardián del convento sabían nada al
respecto. Un español y el Postulador dijeron
saberlo, pero bien guardado se lo tenían. Y yo
se lo dije a todos, incluido el General, y éste me
confesó que tampoco lo sabía, y me agradeció
la información. Por entonces el General aún no
se me había manifiesto como el cafre más
grande que hayan visto mis ojos. ¡Y creía yo
que era mi amigo!
16
Questo detto, capisca il buon intenditore
quello che può supporre la “pietra filosofale”,
dalla quale tante varietà ci sono per il mondo e
che, come direbbe mio padre, permette a
ognuno vivere del suo conto, e questo a
dispetto che, se bene Dio fa crescere il
frumento, qualcuno deve faticarsi in seminarlo.
Se per caso però ci siamo lasciato
abbagliare dalla macchinetta, andiamo al
deserto che dicono trattenne i giudei durante
40 anni, per darli il “mana”, alimento a piacere
di ognuno…, proprio come quel che qualunque
di noi incontra nel mercato, sempre e quando
porti denaro abbastanza per comprarlo.
Peccato che ci sia una parola vasca che
definisce l’ancestrale e genuina maniera per
riferirsi al “mana”. È la parola “manatu”, che
significa colpire. Cioè, che il così
“celestiale alimento” era
necessario di guadagnarlo. Le
divinità, come dice il proverbio,
non diedero il “pesce”, ma la
canna con cui pescare il “pesce”
di ogni giorno.
Così, nella parola “manatu”, scopriamo il
patrimonio, manda o eredità di Yahvè.
Che belle lezioni d’ermeneutica biblica si
possono estrarre della “archeologia linguistica”,
a dispetto non manchino quelli a chi piacerebbe
inviare al rogo al suo scopritore!
Ebbene, ecco la pioggia di meteoriti che,
come “rugiada dall’alto” (parlerò un giorno della
“Virgen del Rocío”), prima di Yahvè agli israeliti,
il Jaco, Yago, Jove, “Herrakles” o Gerone, aveva
regalato ai nostri “tartarabuelos”, e che questi,
dopo trattarli sapientemente o “forgiarli”,
lasciavano in patrimonio, herencia, “manda” o
mana alla sua prole perché potesse mangiare
tutti i giorni, e difendersi di alcuni pericoli di
morte nel senso più letterale della parola.
Peccato che la Bibbia manipolasse, a
convenienza del plagiario, la prima storia e
mitologia dell’umanità. Ed ecco, in questo
preciso istante, un’altra lezione di “archeologia
linguistica”, che viene a complementare altre di
racconti anteriori, per provare che quello
plagiato è originale della Spagna, dove è stato
la prima Palestina e la prima Atena:
Dicho esto, entienda el buen entendedor
lo que puede dar de sí la “piedra filosofal”, de la
que tantas variedades hay por el mundo y que,
como diría mi padre, permite a cada cual vivir
de su cuento, y eso pese a que, si bien Dios
hace crecer el trigo, alguien debe molestarse al
menos en arar el campo y sembrarlo.
Pero por si nos hemos dejado encandilar
por la maquinita, vayamos al desierto que dicen
retuvo a los judíos durante 40 años, para darles
el “maná”, alimento a gusto de cada uno…,
justo como el que cualquiera de nosotros
encuentra en el mercado, siempre y cuando
lleve dinero para comprarlo.
Lástima que haya una palabra vasca que
defina la ancestral y genuina manera de
referirse al “maná”. Es la palabra “manatu”,
que significa golpear. O sea,
que tan “celestial alimento”
había que ganárselo. Los
dioses, como dice el proverbio,
no dieron el “pez”, sino la
“caña” don la que pescar el
“pez” de cada día.
Así, en la palabra “maná” descubrimos el
patrimonio, manda o herencia de Yahvé.
¡Qué hermosas lecciones de hermenéutica
bíblica pueden extraerse de la “arqueología
lingüística”, pese a que no falten, quienes
gustarían llevar a su descubridor a la hoguera!
Pues he ahí la lluvia de meteoritos que,
cual “rocío de lo alto” (hablaré un día de la Vir-
gen del Rocío), antes que Yahvé a los israelitas,
el Jaco, Yago, Jove, “Herrakles” o Jerión, había
regalado a nuestros “tartarabuelos”, y que
éstos, tras tratarlos sabiamente o “forjarlos”,
dejaban en patrimonio, herencia, “manda” o
maná a su prole para que pudiera comer todos
los días, y defenderse de algunos peligros de
muerte en el sentido más literal de la palabra.
Qué pena que la Biblia manipulara, a
conveniencia del plagiario, la primigenia historia
y mitología de la humanidad. Y vaya, en este
preciso instante, otra lección de “arqueología
lingüística”, que vienen a complementar otras
de relatos anteriores, para probar que lo
plagiado es original de España, donde estuvo la
primera Palestina y la primera Atenas:
17
Se guardiamo Pallade Atena, “arme e
scienza” –come Palencia- vediamo che da
Pallade deriva palestra, luogo dove si pelea (si
lotta). Dalla stessa Pallade
deriva Palestrins, toponimo
catalano (esempio: “Otero
de Palestrins” e “Collado de
Palestrins”) e Palestrina,
paese del musico italiano
Giovanni da Palestrina. E,
benché non abbia la “r” di
palestra, da Pallade deriva
Palestina, paese tanto più
scentrato quanto più ha
voluto essere “ombelico”.
Ugualmente, da Azenai deriva Atena, città
“ombelico” e scentrata.
Adesso mi
ricordo, e non
voglio lasciare
passare l’occasione,
che parlando di
Haza, paese vicino
a Roa, diceva mio
padre: “Haza, chi ti
ha visto è chi ti vede, con milioni (?)di abitanti e
adesso non hai nemmeno tre”. Non sarebbe
un’allusione alla dimenticata Peña Karazo?
E anche mi sono reso
conto che Ezquaba o
Cristobal, per riferirsi al monte
di Pamplona al cui piede abita
la mia nipote Lara, è lo stesso.
Perché “ezqua” è lo stesso
che il castigliano “ascua”
(esca, brace), cioè che è un
riferimento al Sole, “l’ascua”
per eccellenza, che anche è
chiamato Cristo. E indovino
che “bal” significa monte, per quanto facciamo
ridondanza ogni volta che parliamo del Monte
Ezquaba o Monte San Cristóbal.
Di questo si deduce che Ezquaba, Cristó-
bal e Monasterio, sono termini sinonimi, essen-
do i primi due “genitivi sassoni” equivalenti a
“Monte del Sole”, proprio come il terzo, che
anche può essere un “Sole del Monte”. E anche
sono equivalenti a Jeronimo, che possiamo
tradurre come Gerone del Monte, o viceversa.
Mirando a Palas Atenea, “armas y ciencia”
–como Palencia-, vemos que de Palas deriva
palestra, lugar donde se pelea. De la misma
Palas, deriva Palestrins,
topónimo catalán (ej.: “Otero
de Palestrinos” y “Collado de
Palestrinos”) y Palestrina,
pueblo del músico italiano
Giovanni de Palestrina. Y,
aunque no tenga la “r” de
palestra, de Palas deriva
Palestina, país tanto más
descentrado cuanto más quiso
y quiera ser “ombligo”.
Igualmente, de Azenai deriva Atenas,
ciudad igualmente “ombligo” y descentrada.
Acabo de recordarme, y no quiero
que se me pase la ocasión, que hablando
de Haza, pueblo cercano de Roa, decía
mi padre “Haza, quien te ha visto y quién
te ve, con millones (?) de habitantes y
ahora no tienes ni tres”. ¿No sería una
alusión a la olvidada Peña Karazo?
Y acabo de darme cuenta que decir
Ezquaba o Cristobal, para referirse al monte
pamplonés a cuyo pie vive mi sobrina Lara, es
el mismo. Porque “ezqua” es lo mismo que el
castellano “ascua”, o sea que es una referencia
al Sol, ascua por
excelencia, que también
es llamado Cristo. Y
adivino que “bal”
significa monte, con lo
que caemos en la
redundancia cada vez
que hablamos del Monte
Ezquaba o Monte San
Cristóbal.
De esto se des-
prende que Ezquaba, Cristóbal y Monasterio,
son términos sinónimos, siendo los primeros
dos “genitivos sajones” equivalentes a “Monte
del Sol”, lo mismo que el tercero, que también
puede ser un “Sol del Monte”. Y también son
equivalentes a Jerónimo, que podemos traducir
como Gerión del Monte, o viceversa. Y
advertimos que la altura es el lugar apropiado
para los Monasterios, porque de lo contrario
estaríamos en el valle, no en el “mon”.
18
E percepiamo che l’altezza è il luogo
appropriato per i Monasteri, perché per il
contrario saremmo nella valle, non nel “mon”.
E capiamo che un “monje” (monaco), sia
un “ser del Monte” (uomo del monte), perché
non per niente è Jiron il Creatore di quello che
in kalò si chiama xeré e manú, il “ser-humano”
(“l’essere umano”)
E anche capiamo che cosa
possa significare il nome dell’Isola del
Tesoro e il suo Montecristo, come
quel del “Santo Cristo del Monte” da
Alaraz (Salamanca), paese il cui
stemma è un “Monte del tesoro”, con
inclusione del mappa per trovarlo,
poiché si vedono identificati Cristo e la
Croce. Così si capisce che questa è un
segno del Sole -stat crux dum volvitur
orbis-; addirittura c’è la Luna e i colori dell’Im-
macolata. E anticipo che anche nella “Tierra de
Peñaranda”, alla quale appartiene il paese, c’è
un grande tesoro, quello proprio che è a
Aranda de Duero, fiume, questo, dell’oro.
Bene, allora, se facciamo un paso avanti
sarà come se traversassimo la “Porta del Sole”
e ci introducessimo niente di meno che nel
palazzo del mitico Re Mino, dove possiamo
contemplare come “maneja” o accarezza le sue
manie, monie, “mandas” o “herramientas”,
voglio dire le sue monete. Perché come Re del
Monasterio e Monarca, è lui chi ostenta il
mando, il dominio, il monopolio.
Dallo stesso carisma che il mitico re sono
partecipi i monjes (monaci) dai suoi
monasteri. Cioè, che anche ostentano il
dominio, che non parlo dei poveri frati
francescani al servizio, in definitiva, dello
stesso. E non dirò io che cosa sia buona, brutta,
migliore o peggiore, tra altro perché non lo so.,
Che cosa, quindi, potrei dire dell’umile cittadino
al servizio del regno o della repubblica? Ecco.
Sia tutto per il bene della Madre Patria,
massime se è la Spagna, che questa è
l’autentica; le altre -anche per gli italiani-… più
o meno… migliori o peggiori… matrigne.
Quello che certamente so è che il primo
Monarca degli spagnoli fu Jerión-Mani, Meni,
Mini, Lomini, su chi ritorniamo subito, a chi di-
Y entendemos que un monje sea un “ser
del Monte”, porque no por nada es Jirón el
Creador de lo que en kaló se llama xeré y
manú, el “ser-humano”.
Y también entendemos qué pueda
significar el nombre de la Isla del Tesoro y su
Montecristo, lo mismo que el de “Santo Cristo
del Monte” de Alaraz (Salamanca),
pueblo cuyo escudo es un “Monte del
tesoro”, con inclusión del mapa para
encontrarlo, pues se ven identificados
Cristo y la Cruz. Así se entiende que
ésta sea un signo del Sol -stat crux
dum volvitur orbis-; más la Luna y los
colores Inmaculada. Y anticipo que
también en la “Tierra de Peñaranda”,
a la que pertenece el pueblo, hay un
gran tesoro, el mismito que hay en
Aranda de Duero, río del oro éste.
Bueno, pues si damos un paso más, es
como si atravesáramos la “Puerta del Sol” y nos
introdujéramos nada menos que en el palacio
del mítico rey Minos, donde podemos
contemplar cómo “maneja” o acaricia sus
manias, monias, mandas o herramientas,
quiero decir sus monedas. Porque, como Rey
del Monasterio y Monarca, es él quien ostenta
el mando, el dominio, el monopolio.
Del mismo carisma que el mítico rey son
partícipes los monjes desde sus monasterios.
O sea, que también ostentan el dominio, que
no hablo de los pobres frailes franciscanos al
servicio, en definitiva, de lo mismo. Y no diré yo
qué sea bueno, malo, mejor o peor, entre otras
cosas porque no lo sé. ¿Qué podría decir del
humilde ciudadano al servicio del reino o de la
república? Pues eso. Sea todo por el bien de la
Madre Patria, máxime si es España, que ésta es
la auténtica; las demás… más o menos…,
mejores o peores… madrastras.
Lo que sí sé es que el primer Monarca de
los españoles fue Jerión-Manes, Menes, Minos,
Lominio, sobre el que vamos a volver, a quien
dicen asesinó Hércules o “Herracles”, el que
separó las columnas para que surgiera la vida e
hizo llover del cielo el maná de las
herramientas, de quien Yahvé es una caricatura
no menos que San Roque. En definitiva, el Sol
19
cono assassinò Ercole o “Herra-
cles”, chi separò le colonne
perché sgorgasse la vita e fece
piovere dal cielo il mana delle
“herramientas”, dal quale Yahvé
è una caricatura non meno di
San Rocco. In definitiva, il Sole
che regna nel paese del Tra-
monto, in Occidente, in Spagna.
Così si capisce che la tradizione
castigliana consideri i cognomi Jirón e Meneses
come i più antichi, una copia del Menes o
Monarca Jirón, il Creatore del xer, manú, o
“essere-umano”, a chi la Bibbia plagerebbe e
chiamerebbe Yahvè per fare del popolo ebraico
la sua eredità. Ecco, lettore, un modo di
pensare forse più provinciale di quel di Roma.
In Spagna -non in Croazia- abbiamo
San Jerónimo (Girolamo), che si è rivelato
come un San Jerión-Menes, cioè, una
Santa JERRA-MIENTA (herramienta =
utensile) con maiuscole. E, saputo che in
kaló tanto “jere” come “manu” significa
uomo, ecco colui che “creò l’uomo alla sua
immagine e somiglianza, e da chi questo
riceve il nome e il “ser” o, come dicono gli
gitani, il xeré” = Jeré (= Gerone)… E la divinità!
Bene possiamo capire non soltanto perché
in Spagna ci sono i “geronimi”, e non a Croazia,
ma incluso da quale sono figli i musulmani.
Addirittura, in Spagna sta Álava, o Araba (in
basco), un’anteriore Arabia, e il Mare Rosso,
che documenta la sua origine spagnola,
come anche “l’Ebro” documenta da dove
sono gli ebrei, i loro fratelli. Ugualmente il
nome Menas o Menes, che gli egiziani
diedero al suo primo faraone conferma che
erano d’origine gitano e spagnolo.
Ed ecco una lista di termini simili a quelli
esposti che provano la figliazione metallico-
divina dell’uomo o la sua “geronima divinità”.
- In kalò: Manjarín (benedetto, santo)
- In basco: Manu, men = mende (potere,
autorità, energia, dominio, “mando”; ricordare il
castigliano “avere la padella per “il mango”);
min (primo seme, germe di vita).
- In indonesiano: Mani (sperma) e
manusia (umanità).
que reina en el país del Ocaso,
en Occidente, en España.
Así se entiende que la
tradición castellana considere los
apellidos Jirón y Meneses como
los más antiguos, un calco del
Menes o Monarca Jirón, el Creador
del xer, manú, o “ser-humano”, a
quien la Biblia plagiaría y llamaría
Yahvé para hacer del pueblo hebreo su
heredad. Pues ahí tienes, lector, un modo de
pensar tal vez más provinciano que el de Roma.
En España -no en Croacia- tenemos a San
Jerónimo, que se ha revelado un San Jerión-
Menes, o sea, una Santa JERRA-MIENTA
(herramienta) con mayúsculas. Y, sabiendo que
en kaló tanto “jere” como “manu” significan
hombre, ahí tenemos a
quien “creó al hombre,
a su imagen y semejan-
za”, o de quien éste
recibe el nombre y el
“ser” o, como dicen los
gitanos, el “xeré” =
Jeré (= Jerión)…. ¡Y la
divinidad!
Bien podemos entender no sólo por qué
en España están los “jerónimos”, y no en
Croacia, sino incluso de quien son hijos los
musulmanes. Además, en España está Álava, o
Araba (en vasco), una anterior Arabia, y
el Mar Rojo, que documentan su origen
español, lo mismo que el “Hebro”
documenta de dónde son los hebreos,
sus hermanos. Igualmente el nombre
Menas o Menes, que los egipcios dieron
a su primer faraón confirma que eran
de origen gitano y español.
Y vaya una lista de términos afines a los
expuestos que prueban la filiación metálico-
divina del hombre o su “jerónima divinidad”:
- En kaló: Manjarín (bendito, santo)
- En vasco: Manu, men = mende (poder,
autoridad, energía, dominio, “mando”; recordar
el castellano “tener la sartén por el mango”);
min (primera simiente, germen de vida).
- En indonesio: Mani (esperma) y manusia
(humanidad).
20
Ricordiamo anche il
castigliano semen che, come
sappiamo, ci introduce nel
Monastero di Silos, conosciuto
come “Domus seminis” o
“Casa del Semen”. Questo
perché non cadiamo in
riduzionismi, perché non
dobbiamo dimenticare che
parliamo del “semine
celestiale”, della “pioggia di meteoriti”, della
primordiale “pioggia della vita”, che non arrivò
in forma di sperma, “mana”, “manjares” o
alimenti, ma in forma di minerali, o “mentali”
= metali, o “menteoriti” = meteoriti.
Questa fu la “madre dell’agnello”, che
finirebbe per dare alla luce al “ser humano”.
Ricordare che abbiamo ricuperato la “n” di
man, persa in termini come “metal”,
“meteorito” o cometa, ma che, con tutta
coerenza conservano i termini mineral, mina e
il suo equivalente basco menoki. E questa “n”
è importante perché, ricuperata, arriviamo
all’originale nome della “Madre dell’Agnello”,
cioè, della “Madre dell’essere umano”.
Certo, l’a
c’è la Madonna
del Karman o
del Carmen, la
Madre della Vita,
la Madre dell’U-
manità, addirit-
tura con la sua veste nera, se non il suo volto,
come corrisponde a tutta Madonna siderale,
inclusa quella del Monte Luna”, de la Sera o di
Montserrat. Ripassare la “n” del “Karmanta” e
della Luna: Mensuale, menstrua-zione, mensi
> mesi, settimana (lo quelle significa sette
giorni o “sette lune”).
Alcuni anni fa incomin-
ciarono a dirci che Dio an-
che è Madre. Eccola come
Luna, come Jerión-Menes e
come figlia di ambedue. E
presento un’immagine già
conosciuta che non ha bisogno di spiegazioni
perché, a questo punto, tutti abbiamo decifrato
il Misterio della Santissima Trinità… e senza
studiare alla Gregoriana.
Recordemos también el
castellano semen que, como
sabemos, nos introduce en el
Monasterio de Silos, conocido
como “Domus seminis” o “Casa
del Semen”. Esto para que no
caigamos en reduccionismos,
porque no debemos olvidar que
estamos hablando del “semen
celestial”, de la “lluvia de
meteoritos”, de la primordial “lluvia de la vida”,
que no vino en forma de esperma, “maná”,
manjares o alimentos, sino en forma de
minerales, o “mentales” = metales, o
“menteoritos” = meteoritos.
Ésta fue la “madre del cordero”, que
terminaría por dar a luz al “ser humano”.
Recuerda que hemos recuperado la “n” de
man, perdida en términos como “metal”,
“meteorito” o cometa, pero que, con toda
coherencia, conservan los términos mineral,
mina y su equivalente en vasco, menoki. Y
esta “n” es importante porque, recuperada,
vamos a llegar al original nombre de la “Madre
del Cordero”, léase de la “Madre del ser
humano”:
Sí, ahí es-
tá la Virgen del
Karman o del
Carmen, la Ma-
dre de la Vida,
la Madre de la
Humanidad, además con su traje negro, si no
su rostro, como corresponde a toda Virgen
sideral, incluida la del “Monte Luna”, de la Sera
o de Montserrat. Repasa la “n” del “Karmanta”
y de la Luna: Mensual, menstruación, menses
> meses, semana (settimana en italiano, lo
que equivale a siete días o “siete lunas”).
Hace unos años empeza-
ron a decir que Dios también es
Madre. Pues ahí la tienes como
Luna, como Jerión-Menes y
como hija de ambos. Y presento
una imagen ya conocida que no
necesita explicación porque, a
estas alturas, todos hemos descifrado el
Misterio de la Santísima Trinidad… y sin
estudiar en la Gregoriana.
21
Ecco, lettore, la Madonna
del Carmen nella quale si uniscono
il Sole, la Luna e la Terra. Perché
si veda come un buon colpo sulla
testa -se venuto dal cielo, non dal
martello del vicino- può fare
svegliare la gente, che questo
fecero le comete o meteoriti
piovuti dall’alto, con i nostri “tarta-
rabuelos”. Né lo Spirito Santo il
giorno della Pentecoste! Vederli e
incominciare a relazionarli con “il
semine” del Sole, quale spirito
vivificatore che aveva portato la vita sulla Terra,
fu tutto uno. E sorse l’Afrodita nell’Oceano,
dalla quale ancora si ricordavano greci, e il
Palladium di Troya, e la Venere romana, e la
Maribianca, e la Flora, e la Astarte, che così via,
“ognuno chiamava nella propria lingua la
Madonna del Karmen, e tutti si capivano”.
E prima di continuare, torno a San Bizente
de Labarzera con un ragionamento che spiega il
perché dei suoi meteoriti, e ammeteremo che
sia è il più antico luogo riconosciuto come
l’origine della vita umana e della civiltà:
- La Maribianca riassume una credenza
ancestrale dell’umanità, cioè, che l’uomo è
uscito dal mare; ma anche il suo bottame
riassume un’altra certezza, cioè, che la vita era
venuta in forma di meteoriti, perché questi
sono gli unici corpi venuti dello spazio.
- A San Bizente de Labarzera primo luogo
di pellegrinaggio, come Campo della Stella e
Camposanto, il cui nome suona a “vita e mor-
te”, i meteoriti non ci sono proprio perché là
furono caduti -poiché caddero per tutto il
mondo-, ma perché là sono stati degli uomini
che queste cose sapevano ed erano capaci di
raccoglierli e venerarli come dei
messaggeri o angeli del Sole,
della Luna o di Dio. Cioè, e più
riassunto: San Bizente de Labar-
zera è il più antico luogo cono-
sciuto dove si fondono il fatto e la
credenza, i meteoriti e quello che
significarono. E presento accanto,
come anticipo, un’immagine sulla
quale tornerò, poiché voglio
contare un aneddoto:
Pues ahí tienes, lector, a la
Virgen del Carmen en la que se
aúnan el Sol, la Luna y la Tierra.
Para que se vea cómo un buen
golpe en la cabeza -si es venido del
cielo, no del martillo del vecino-
puede hacer espabilar a la gente,
que eso es lo que hicieron los
cometas o meteoritos llovidos de lo
alto con nuestros “tartarabuelos”.
¡Ni el Espíritu Santo en Pentecostés!
Verlos y empezar a relacionarlos con
“el semen” del Sol, cual espíritu
vivificador que había traído la vida a la Tierra,
fue todo uno. Y surgió la Afrodita en el Océano,
de la que aún se recordaban los griegos, y el
Palladium de Troya, y la Venus romana, y la
Mariblanca, y la Flora de Burgos, y la Astarté, y
así “cada uno llamaba en la propia a la “Virgen
del Carmen, y todos se entendían”.
Y antes de seguir vuelvo a San Bizente de
Labarzera, con un razonamiento que explica el
porqué de sus meteoritos y admitiremos que
sea el más antiguo lugar reconocido como
origen de la vida humana y de la civilización:
- La Mariblanca resume una creencia
ancestral de la humanidad, a saber, que el
hombre salió del mar; pero también su vasija
resume otra certeza, a saber, que la vida vino
en forma de meteoritos, pues éstos son los
únicos cuerpos venidos del espacio.
- En San Bizente de Labarzera, primer
lugar de peregrinación, como Campo de la
Estrella y Camposanto, cuyo nombre suena a
“vida y a muerte”, los meteoritos no están
porque cayeran justo allí -que cayeron por
todas partes-, sino porque allí había hombres
que sabían estas cosas y eran capaces de
recogerlos y venerarlos como
mensajeros o ángeles del Sol, de
la Luna, de Dios. Más resumido:
San Bizente de Labarzera es el
más antiguo lugar conocido
donde se funden el hecho y la
creencia, los meteoritos y lo que
significaron. Y presento al lado,
como anticipo, una imagen
sobre la que volveré, que quiero
contar una anécdota:
22
Nei miei anni di “professore”, quando
toccava il tema dei poligoni
convessi e concavi, chiedevo ai
ragazzi, come compiti per il
giorno seguente, che mi
disegnassero due o tre trian-
goli concavi o che mi trova-
ssero un trifoglio di quattro. Il
giorno seguente mi portavano
un buon numero di “triangoli concavi” che,
in realtà, erano quadrati, perché non è
necessario dimostrare che disegnare un
triangolo concavo è metafisicamente
impossibile, salvo studi superiori, che io
non entro là. (“La somma degli angoli interni
di un triangolo è di 180º”, e l’angolo interiore
opposto all’angolo concavo ha, da solo, più di
180º). In ogni modo, neanche nessun alunno
mi portò mai un trifoglio di quattro.
Tu verrai però, lettore, che se è difficile
trovare uno di questi specimen, io ti garantisco
di averli trovati di due fogli, e anche di tre e
mezzo, e di quattro, come le tartare di San
Vicente de Labarzera o quella di San
Girolamo. E anche li ho trovati da cinque,
come la “penta” della quale penso parlare
in un prossimo racconto. E anche ho un
trifoglio di sei, che di quel di sette niente
voglio rivelare a giorno di oggi. E se per caso
non mi credesti, lettore che leggi, prometto
presentare di qua a poco una foto di tutti questi
trifogli. Più ancora, perché Jorge non pensi che
sia un rammendo fotografico, avrò tanto
piacere, se lui li accetta, di regalarglieli per il
suo Museo dell’Atlantide, perché tutto Santo
Tomasso possa andare vederli e “crederli”.
Torno alla Madonna del Carmen:
Dio ci liberi del fanatismo, ma là sgorga
l’ancestrale e atavica devozione alla “Madonna
del Karmen”, del Karmenta > Cometa”, del
“Meteorito”, “Mineral” o “Metal”. Una Madonna
il cui nome ha le più siderali connotazioni.
Perché dovevano essere il potere generatore
dei meteoriti e l’utilità dei loro metalli quello che
attirerebbe l’attenzione, l’apprezzamento e per-
fino la venerazione dei nostri antenati più lon-
tani; tutto questo sarebbe l’inizio e una ragione
chiave dell’evoluzione dell’essere umano tanto
tecnica, culturale, artistica… come religiosa.
E mis años de “profe”, cuando tocaba el
tema de los polígonos
convexos y cóncavos, pedía a
los chavales, como tareas
para el día siguiente, que me
dibujaran dos o tres de
triángulos cóncavos o que me
buscaran un trébol de cuatro.
Al día siguiente me traían un
montón de “triángulos cóncavos” que,
en realidad, eran cuadrados, porque
no hace falta demostrar que pintar un
triángulo cóncavo es metafísicamente
imposible, salvo estudios superiores, que
yo ahí no entro. (“La suma de los ángulos
internos de un triángulo es de 180º”, y el
ángulo interior opuesto al ángulo cóncavo tiene
él sólo más de 180º). De cualquier modo,
tampoco ningún alumno me trajo jamás un
trébol de cuatro.
Pero vas a ver, lector, que si ya es difícil
encontrar uno de estos especímenes, yo te
garantizo que les he encontrado de dos hojas, y
también de tres y madia, y de cuatro, como las
tártaras de San Vicente de Labarzera o la de
San Jerónimo. Y también los he encontrado de
cinco, como la “penta” de la que pienso hablar
en un próximo relato. Y también tengo un
trébol de seis, que del de siete nada quiero
revelar a día de hoy. Y por si no te lo crees,
lector que lees, prometo presentar bien pronto
una foto de todos estos tréboles. Más aún, para
que Jorge no piense que es un apaño fotográ-
fico tendré mucho gusto, si me los acepta, de
regalárselos para su Museo de la Atlántida, para
que todo Santo Tomás pueda ir a verlos y “a
creerlos”. Vuelvo a la Virgen del Carmen:
Dios nos libre del fanatismo, pero ahí
surge la ancestral y atávica devoción a la
“Virgen del Karmen”, del Karmenta > Cometa”,
del “Meteorito”, “Mineral” o “Metal”. Una Virgen
cuyo nombre es de la más sideral connotación.
Porque iban a ser el poder generador de los
meteoritos y la utilidad de sus metales, lo que
atraería la atención, el aprecio y hasta la
veneración de nuestros ancestros más lejanos;
todo ello sería el inicio y una razón clave de la
evolución del ser humano tanto técnica,
cultural, artística… como religiosa.
23
Fronte a questo, quale è il senso del
Monte Carmelo e il profeta Elia ridicolizzando e
massacrando dei “falsi profeti”, o un Ordine
religioso incaricato da Roma di diffondere una
tale gesta? Forse sia legittimo che ognuno
creda quello che voglia, ma non lo è tanto farsi
l’ombelico del mondo. Questo è come dire che
ognuno ha la sua verità ma, come io sono più
grande di te, la mia è proprio la vera, e tu
“crede o muori”.
Siamo dove sempre, fanatismo e
provincialismo da per tutto, più consacrati in
alcuni luoghi di altri e, tra tutti distacca la Roma
che volle essere il centro del universo a forza di
distruzione, rubo, inganno… e obblio. Per
questo si convertì nella Grande Prostituta, la
Bestia capace di lasciare “senza potere di
comprare né vendere a chi non portasse la
marca del suo nome nella mano o nella fronte”,
come dice l’Apocalissi (13, 17), libro dal quale
anche si è appropriata per, con esso continuare
adulterando allo stesso modo, nel perpetuo
inganno di menti e cuori per “gloria di
Dio”, che questo è quello che dice e
che tanti hanno arrivato a credere.
Rimanga questo, “Santa Madre”,
come possibilità di autocritica prima
che finiscano per “autocriticarti”, che per inco-
minciare non puoi centrarti a Roma, salvo che
invece di “Sposa di Cristo”, tu voglia continuare
ad essere figlia dalla Roma Imperiale e dalla
Sinagoga. Per questo sei la Bestia, la Prostituta,
e non lo puoi rimediare per molti cosmetici,
affettazioni e misericordie che vuoi vendere.
Tutto è violenza. Pura ipocrisia!
E parlando del Carmelo: Allo
stesso modo che in Spagna c’è
qualche Sinai di più di quel di Peña
Karazo, come quel del mappa
accanto, dove può vedersi un
“Sinai” nel limite tra Baccellona
e Gerona -che non por niente
ha questa provincia il nome
del mitico Gerone, anteriore
a Yahvè-, senza dubbi ci
sono più Carmeli e Carmoni
di quei di Barcellona e
Canicosa (Burgos), o la
Sivigliana Carmona.
Ante esto, ¿qué sentido tiene el Monte
Carmelo y el profeta Elías ridiculizando y dego-
llando “falsos profetas”, o una Orden religiosa
encargada por Roma de difundir tal gesta?
Puede que sea legítimo que cada uno crea lo
que quiera, lo que no es de recibo es hacerse el
ombligo del mundo. Esto es como decir que
cada uno tiene su verdad pero, como yo soy el
más grande, la mía es la verdadera, y tú, “cree
o muere”.
Estamos ante lo mismo de siempre,
fanatismo y provincialismo por todas partes,
más consagrados en algunas que en otras, y
entre las que destaca la Roma que quiso ser
centro del universo a base de destrucción,
robo, engaño… y olvido. Por eso se convirtió en
la Gran Prostituta, la Bestia capaz de dejar “sin
poder para comprar ni vender a quien no lleve
la marca de su nombre en la mano o en la
frente”, como reza el Apocalipsis (13, 17), libro
del que también se ha apropiado para, con él,
seguir asimismo adulterando, con un perpetuo
engaño de mentes y corazones para “gloria
de Dios”, que eso es lo que dice y tantos ha
llegado a creerse.
Quede esto, “Santa Madre”, como
posibilidad de autocrítica antes de que
terminen por “autocriticarte”, que para empezar
no puedes centrarte en Roma, salvo que en vez
de “Esposa del Cordero”, quieras seguir siendo
hija de la Roma Imperial y de la Sinagoga. Por
eso eres la Bestia, la Prostituta, y no lo puedes
remediar por muchos afeites, empaques y
misericordias que quieras vender. Todo es
violencia. ¡Pura hipocresía!
Y hablando del Carme-
lo: Lo mismo que hay en
España algún Sinaí más que
el de Peña Karazo, como el
del mapa adjunto, donde
puede verse un “Sinaí” en
la raya entre Barcelona y
Gerona -que no por nada
tiene esta provincia el nombre
del mítico Gerión, anterior a
Yahvé-, sin duda que hay más
Carmelos y Carmonas que los de
Barcelona y Canicosa (Burgos), o
la Sevillana Carmona.
24
Questo detto,
torno alla Madonna del
Carmen, che è come
un trifoglio di tre e
mezzo e, poiché
abbiamo trovato la “n”
ai “mentali” e ai
“menteoriti”, e incluso
allo “sperman” degli
umani, annunzio che
anche gliela troverem-
mo al Mensia, che
questo certamente è
come il trifoglio di
quattro, se non di
cinque… E passo a un
interludio “madrileño”
con il quale spero finire
il racconto:
Ricollocata in un
angolo della “Puerta del
Sol”, già conosciamo la
Maribianca. È il caso
però che, un po’ più
lontano del centro di
Madrid, nei terreni che
un giorno lavorasse
San Isidoro, abbiamo la
“Puerta del Ángel”,
dove c’era un eremo –
oggi una chiesa-
dedicata a Santa
Cristina. Mi domando
per la relazione tra la
“Puerta del Ángel” e la
mitica santa.
Gli italiani, fedeli
alla sua idiosincrasia, si
sono sentiti autorizzati
per prendere Santa
Cristina e portargliela
alla città di Bolsena, sul
bordo del lago dello
stesso nome e, perché
nessuno abbia dubbio
della “sua patria
d’origine”, dicono di avere le “sue reliquie” già
dal IV secolo. Avrà qualcuno dubbio dei figli
della lupa?
Dicho esto, vuelvo
a la Virgen del Carmen
que es como un trébol
de tres y medio y, ya
que hemos encontrado
la “n” a los “mentales”,
y a los “menteoritos”, e
incluso al “esperman”
de los humanos,
anuncio que también se
la encontra-remos al
Mensías, que ése sí es
como el trébol de
cuatro, sino de cinco… Y
paso a un in-terludio
madrileño con el que
seguramente terminaré:
Recolocada en un
ángulo de la “Puerta del
Sol”, ya conocemos a la
Mariblanca. Pero resulta
que, algo más alejada
del centro de Madrid, en
terrenos que labrara
otrora San Isidro,
tenemos la “Puerta del
Ángel”, donde había una
ermita -hoy día iglesia-
dedicada a Santa
Cristina. Me pregunto
por la relación entre la
“Puerta del Ángel” y la
mítica santa.
Los italianos, fieles
a su idiosincrasia, se
han sentido autorizados
para coger a Santa
Cristina y llevársela a la
ciudad de Bolsena, a
orillas del lago del
mismo nombre y, para
que nadie discuta “su
patria de origen”, dicen
tener “sus reliquias” ya
desde el s. IV. ¿Pondrá
alguno en duda la
necrofilia de los hijos de la loba?
¡Las reliquias!
L A M A R I B L A N C A
Con sus ojos mirando al cielo, su vasija en la
derecha, sus pies ante los delfines y su izquierda
acariciando al amorcillo la Mariblanca nos dice:
“De los cielos vino la semilla y en las aguas fui
concebida; yo soy la Madre de la Vida”.
Compárala, lector, con cualquier otra imagen
románica o gótica de la Virgen. Por ejemplo con esa
Inmaculada de Estella llamada “Virgen del Puy”, que
dicen sea francesa, pero que es española.
Lo que estas vírgenes llevan en sus manos, es
lo mismo que la Mariblanca lleva en las suyas. Y al
reemplazar los delfines por la Luna, más se explicita
lo que se quiere esconder: Que es hija de la Luna.
----------------------
Con i suoi occhi guardando il cielo, il suo
bottame alla destra, i suoi piedi di fronte ai delfini e
sua sinistra accarezzando il putto, la Maribianca
dice:
“Dai cieli è venuto il seme en nelle acque sono
stata concepita; io sono la Madre della Vita”.
Compararla, lettore, con qualunque altra
immagine romanica o gotica della Madonna. Ad
esempio con quell’Immacolata di Estella chiamata
“Virgen del Puy”, che dicono sia francese, ma che è
spagnola.
Quello che queste madonne portano alle mani
è lo stesso che porta la Maribianca alle sue. E al
rimpiazzare i delfini per la Luna, più si capisce quello
che si vuole nascondere: Che è figlia della Luna.
25
Le reliquie!
Quale grande argomento storico!
E glielo hanno creduto.
Come se non fosse infinitamente
più antica l’autentica Santa Cristina!
Arriverà, arriverà il giorno, amico
lettore, nel quale, come al pastore,
nessuno li crederà quando dicano una
verità. A Santa Cristina:
Tra tanto tormento al quale fu
sottomessa la povera (prigione in una torre da
parte del proprio padre, flagel-
lazione fino cadere per terra la
carne a pezzi, ruota di coltelli,
amputazione delle mammel-
le…), chiama l’attenzione che
fosse lanciata al lago Bolsena
attaccata a una grande pietra
che, miracolosamente, galleg-
gia con la santa sopra -come
su un “materasso anti escare”,
voglio supporre- e, sventolata
dagli angeli, ondeggia sulle
acque fino alla riva. Una
chiarificazione:
Quello del “materasso anti escare” lo dico
perché ripasso il mio conto all’ospedale “12 de
Octubre” (18/09/2016), dove è ospedalizzato
fra Marcelo su un letto il cui materasso ha
quella qualità. Allora oso dire a una infermiere
se non potrebbero mettere un materasso simile
sul divano del accompagnante, che sembra
fatto per invitargli a partire quanto prima del
ospedale. È totalmente anti traspirabile, da
testura anti igienica e da contestura anti
anatomica, menomale che è rota la fodera e
lascia un po’ di respirazione. Così risulta che,
mentre l’ammalato si ricupera, chi rimane alcuni
giorni, con le sue notti, per accompagnarlo,
finisce pienamente atto per l’asilo. Magari serva
per qualcosa la mia denunzia, prima che la
nostra Previdenza Sociale si metta a livello
dell’italiana, che di tutto sembra abbiamo
invidia.
Mentre commento questo, il Sr. Vicente,
fratello di fra Marcelo, mi dice che suo nome
significa “vincitore”, ma quello che non sa il Sr.
Vicente è da quale cosa è vincitore.
¡Qué gran argumento histórico!
Y se lo tienen creído.
¡Como si no fuera
infinitamente más antigua la
auténtica Santa Cristina!
Llegará, llegará el día, amigo
lector, en que, como al pastor,
nadie les crea cuando digan una
verdad. A Santa Cristina:
Entre tanta tortura a la que
dicen fue sometida la pobre (prisión en la torre
por parte del propio padre,
flagelación hasta caérsele la
carne a trozos, rueda de
cuchillos, amputación de los
senos…), llama la atención que
fuera arrojada al lago Bolsena
atada a una gran piedra que,
milagrosamente, reflota con la
santa encima -como sobre un
“colchón antiescaras”, quiero
suponer- y, abaniqueada por los
ángeles, navega sobre las aguas
hasta la orilla. Una aclaración:
Lo de colchón “antiescaras”
viene a cuento de que repaso el
relato en el hospital “12 de Octubre”
(18/09/2016), donde tenemos hospitalizado a
fr. Macelo sobre un lecho cuyo colchón tiene la
referida cualidad. Entonces me atrevo a decir a
una enfermera que si no podrían poner un
colchón parecido en el diván del acompañante,
que parece hecho para invitarle a que se
marche cuanto antes del hospital. Es
totalmente anti transpirable, de textura anti
higiénica y de contextura anti anatómica,
menos mal que tiene el forro roto y deja algo
de respiración. Así resulta que, mientras el
enfermo sana, quien se queda unos días, con
sus noches, para acompañarle, queda listo para
el asilo. Ojalá sirva para algo mi denuncia,
antes de que nuestra Seguridad Social se ponga
a nivel de la italiana, que de todo parece
tengamos envidia.
Mientras comento esto, el Sr. Vicente,
hermano de fray Marcelo, me dice que su
nombre significa “vencedor”, pero lo que no
sabe el Sr. Vicente es de qué es vencedor.
26
Ebbene è vincitore -gli dico- della morte.
Perché Vicente anche significa “difunto” e
“vivo”. Allora Vicente è un risuscitato.
[Annoto che fra Marcelo moriva due giorni
dopo. Aveva cancro nel pancreas e non sopportò
l’invasiva chemioterapia. E lasciati le staffe per la
denunzia, devo dire che quest’uomo era stato in
Assisi lamentandosi durante più di un anno… Così
tratta Saturno i suoi figli. Doveva venire in
Spagna per le vacanze perché gli diagnosticas-
sero. Adesso lo faranno santo. Roma, Roma! Vai
da carina per il mondo e quanti peccati ti
mancano per purgare. Aspetto, da parte mia che,
come se si fosse chiamato Vicente, dietro le porte
della morte, Marcelo sia passato a una vita
migliore. Item:
A dicembre 2013, domandai autorizzazione
al mio Generale per risiedere in Spagna e, senza
lasciare il mio lavoro, essere vicino ai miei
genitori che morivano, pero il mio General, non
soltanto non mi ascoltò, ma mi mandò guardargli
alla cara e mi disse per cinque volte: “Non
tornerai in Provincia”, e “tu non sei Vescovo né
Cardinale”. Ma quanto brutta era quella bestia. E
quando raccontai queste cose al mio Provinciale,
mi ascoltò, ma non mi costa movesse un dito
fronte al Generale. E mio padre morì senza la mia
compagnia, e mia mamma anche. Finalmente, e
tornato adesso in Spagna, continuando come
traduttore per la Curia, mi sono fatto carico di un
frate con alzheimer, e ho curato di fr. Marcelo co-
me nessuno. Rimanga questo scritto per vergogna
di coloro che così bene si portarono con me.]
Torno a Santa Cristina, che questa
certamente è una risuscitata, e io credo che sia
la prima patrona di Madrid-Matrice, che adesso
la chiamano “La Almudena”, così murena lei.
La leggenda italiana del lago, che anche
raccontano a Madrid-Matriz, è la pura immagine
dell’Oceano dove il Sole si sommerge per
risorgere il giorno dopo dall’altra riva, se non
quella della Luna, che sempre finisce
per ricuperarsi. È la storia della vita
che arriva a “San Bizente”. E osserva
che la stessa storia raccontano da San
Vicente martire –il risuscitato-, e dal
figlio di San Isidoro, caduto e risorto
sulle acque del pozzo, e dal Cristo
delle uova di Burgos, dal quale è un
eco il Cristo di Medinaceli, a Madrid…
Pues es vencedor -le digo- de la muerte.
Porque Vicente también significa “difunto” y
“vivo”. Así pues Vicente es un resucitado.
[Anoto que fray Marcelo murió dos días
después. Tenía cáncer en el páncreas y no resistió
la invasiva quimioterapia. Y puesto en el
disparadero de la denuncia, debo decir que este
hombre había estado en Asís quejándose desde
hacía más de un año… Así trata Saturno a sus
hijos. Tuvo que venir a España de vacaciones para
que le diagnosticaran. Ahora me le harán santo.
¡Ay, Roma, Roma! Vas de guapa por el mundo y
los pecados que te faltan por purgar. Espero, por
mi parte que, cual si se hubiera llamado Vicente,
tras las puertas de la muerte, Marcelo haya
pasado a mejor vida. Ítem más:
En diciembre del 2013, pedí autorización a
mi General para residir en España y, sin dejar mi
trabajo, estar cercano a mis padres, que se
morían, pero mi General, no sólo no me escuchó,
sino que me mandó mirarle a la cara para
decirme por cinco veces: “No volverás a la
Provincia”, y “tu no eres Obispo ni Cardenal”. Qué
feísima era aquella bestia. Y cuando se lo conté a
mi Provincial, sí que me escuchó, pero no me
consta che moviera un dedo y apelara por mí. Y
mi padre murió sin mi compañía, y mi madre
también. Finalmente, y vuelto ahora a España, y
siguiendo con mi trabajo como traductor para la
Curia, me he hecho cargo de un fraile con
alzheimer, y he cuidado de fr. Marcelo como
ninguno. Quede esto escrito para vergüenza de
quienes tan bien se portaron conmigo.]
Vuelvo a Santa Cristina, que ésta sí es
una resucitada, y yo creo que es la primitiva
patrona de Madrid-Matriz, que ahora llaman de
“La Almudena”, tan morenita ella.
La leyenda italiana del lago, que también
cuentan en Madrid-Matriz, es la pura imagen
del Océano donde el Sol se sumerge para
resurgir al día siguiente por la otra orilla, si no
la de la Luna, que siempre termina por
recuperarse. Es la historia de la vida que
arriba a “San Bizente”. Y mira por dónde
la misma o parecida historia cuentan de
San Vicente mártir -el resucitado-, y del
hijo de San Isidro, caído y resurgido de
las aguas del pozo, y del Cristo de los
huevos de Burgos, del que es un eco el
Cristo de Medinaceli de Madrid…
27
Dopo è il caso che Cristina è una replica,
in femminile, di uno dei nomi del Sole: Cristina
= Cristo, Cresta, Creta, nome
quest’ultimo di certa isola che
“galleggia” nel Mediterraneo. Soltanto
che l’originale Creta era al Nord della
Spagna. Un’isola con due “mammelle”
che alimentano di acqua l’Oceano,
addirittura di una “Montagna altissima
e foderata” (in parole di Massimo de
Tiro morto nel 180 d.C.), e tagliata a
picco sul mare con 4.500 m. di altezza. Il
camino della fucina di Vulcano! Dimentica,
lettore, quella dell’Etna, che è pura copia.
E questa Creta è lo stesso Cristo di queste
due immagini
che invito a
guardare, o il
Cristo degli
uova di
Burgos,
apparso sulle
acque; lo
stesso Cristo a
chi il Vangelo fa camminare sulle acque del
Lago di Genesaret, attenzione a questo nome.
Per certo che dal “Cristo soriano”
dell’illustrazione dicono che è “una Creazione”.
Io direi una “Creazione di Adan”, ma non
discuterò. Soltanto domanderei che cosa fa
quell’angelo a destra dell’immagine, quando nel
racconto della Creazione non ci sono degli spiriti
alati. Salvo che sia lo Spirito Messaggero, come
l’Angelo dell’Annunciazione che agisce dall’alto.
Lascio pero queste “picciolezze” da
parte e domando:
Non s’intuisce nella leggenda
italiana su Santa Cristina -inclusa
l’amputazione delle mammelle, come
alla “siciliana” “Sant’Águeda”- la storia
dell’originale Creta = Cresta =
Atlántida, affondata nelle acque
dell’Océano, che risorge dopo alla riva?
Questa è la storia della vita che arri-
va a San Bizente come un San Giorgio vin-
citore e che, dal momento in qui l’originale
patria di quella si è affondata, si convertì
questo nel “non più di là”, incluso dopo
che Ercole aprisse le insalvabili colonne.
Luego resulta que Cristina es una réplica,
en femenino, de uno de los nombres del Sol:
Cristina = Cristo, Cresta, Creta,
nombre éste último de cierta isla que
“flota” en el Mediterráneo. Sólo que la
original Creta estaba en el norte de
España. Una isla con dos “tetas” que
alimentaban de agua al Océano, amén
de una “Montaña altísima y horadada”
(en palabras de Máximo de Tiro muerto
el año 180 d. C.), y cortada a pico sobre
el mar con 4.500 m. de altitud. ¡La
chimenea de la fragua de Vulcano! Olvida,
lector, la del Etna, que es pura copia.
Y esta Creta es el mismo Cristo de estas
dos imágenes de al
lado que invito a
mirar, o el Cristo de
los huevos de Burgos,
aparecido sobre las
aguas; el mismo Cristo
a quien el Evangelio
hace caminar sobre
las aguas del Lago de
Genesaret, ojo a este nombre.
Por cierto que del “Cristo soriano” de la
ilustración dicen que es “una Creación”. Yo diría
una “Creación de Adán”, pero no discutiré. Sólo
preguntaría qué pinta ese ángel a la derecha de
la imagen, cuando en el relato de la Creación
no hay ni rastro de espíritus alados. Salvo que
sea el Espíritu Mensajero, como el Ángel de la
Anunciación que obra desde lo alto. Pero ladeo
estas “menudencias” y pregunto:
¿No se intuye en la leyenda
italiana sobre Santa Cristina -
incluida la amputación de sus
senos, como a la “siciliana” “Santa
Águeda”- la historia de la original
Creta = Cresta = Atlántida,
hundida en las aguas del Océano,
que reflotara en la orilla?
Tal es la historia de la vida
que arriba a San Bizente como un San
Jorge vencedor y que, desde el momen-
to en que la original patria de aquélla se
anegó, se convirtió éste en el “no más
alla”, incluso después de que Hércules
abriera las insalvables columnas.
28
Addirittura, come San Lorenzo e
Sant’Yago (che già sappiamo chi si nasconde
dietro di loro), Santa Cristina, si celebra in
mezzo allo stato, la stazione dell’Astro Re.
Un'altra casualità!
Ecco, quindi, addirittura della
Plaza de la Luna e la Puerta del Sol,
nel centro di Madrid, la porta del
Erme messaggero, del “Menteorito”,
la “Puerta del Ángel”, nella
periferia; Angelo o Messaggero
associato a Santa Kristina, Madre
della Vita e dei kristiani, o sapiens,
da migliaia, se no milioni, di anni fa.
Osserva: L’Angelo titolare
della Porta non è altro che la pietra
meteorica che fa sorgere la vita
nelle acque, la “rugiada dall’alto”, quello che la
Bibbia chiama Spirito. La “Puerta del Ángel”
anche si potrebbe chiamare la “Puerta de la
Piedra”. E non pensare in “passare per la
pietra”, voglio dire lo sperma, sperman o spirito
del “man”, perché è chiaro che viene dall’alto. È
la pietra precedente alla conchiglia dove fosse
concepita la mitica Venere, spagnola, che non
veneta né romana. E qui non facciamo teologia,
semplicemente giocammo con le parole, non
andare dire queste cose al mio Generale senza
essere Vescovo né Cardinale, o senza avere
studiato nella Gregoriana.
“Puerta del Ángel” e eremo –adesso
chiesa- di Santa Cristina, tutto in terreni
agricole fino alla fine del XX secolo,
irrigati dal Manzanares, il fiume del
melo, dal quale ho già dato riferimenti
come “fiume della vita”. Terreni che,
abbiamo detto, lavorasse una volta il
sacro aratro di San Isidoro, che accolse
nella sua persona –tutto “labrador” è
un Isidoro- le sacre reliquie di una
tradizione che perdeva o che si faceva
perdere.
Dettagli come questi ci fanno
percepire che Madrid-Matriz è una degna
capitale della Spagna. Oggi non saremmo stati
capaci di creare qualcosa così autentica, da
razza né spagnolo. È meglio creare “in latino”, il
paradigma di quanto è falso, apparente…
“pinochero”, e perdono per la mia “ossessione”.
Además, como San Lorenzo y Sant’Yago
(que ya sabemos quién se esconde tras ellos),
Santa Cristina, se celebra en medio del verano,
la estación del Astro Rey. ¡Otra casualidad!
Pues he ahí, amén de la
Plaza de la Luna y la Puerta del
Sol, en el centro de Madrid, la
puerta del Hermes mensajero, del
“Menteorito”, la “Puerta del
Ángel”, en la periferia; Ángel o
Mensajero asociado a Santa
Kristina, Madre de la Vida y de los
kristianos, o sapiens, desde hace
miles, si no millones, de años.
Observa: El Ángel titular de
la Puerta no es sino la piedra
meteórica que hace surgir la
vida en las aguas, el “rocío de lo alto”, eso que
la Biblia llama Espíritu. La “Puerta del Ángel”
también podría llamarse la “Puerta de la
Piedra”. Y no pienses en “pasar por la piedra”,
quiero decir en el esperma, esperman o espíritu
del “man”, porque está claro que viene de lo
alto. Es la piedra precedente de la concha
donde fuera concebida la mítica Venus,
española, que no veneciana ni romana. Y aquí
no hacemos teología, simplemente jugamos con
las palabras, no vayas a decir estas cosas a mi
General sin ser Obispo ni Cardenal, o sin haber
estudiado en la Gregoriana.
Puerta del Ángel y ermita -ahora iglesia-
de Santa Cristina, todo en terrenos agrícolas
hasta finales del s. XX, regados por
el Manzanares, el río del manzano,
del que ya tengo dadas referencias
como “río de la vida”. Terrenos que
otrora labrara el sagrado arado de
San Isidro, que acogió en su
persona -todo labrador es un
Isidro- las sagradas reliquias de una
tradición que se perdía o que se
hacía perder.
Detalles como estos nos
hacen percibir que Madrid-Matriz es una digna
capital de España. Hoy día no habríamos sido
capaces de crear algo tan auténtico, castizo ni
español. Es mejor crear “en latino”, el
paradigma de cuanto es falso, aparente…
pinochero, y perdón por “mi obsesión”.
29
Ma guardiamo rifletta a Madrid, almeno tu
ed io, lettore amico, una tradizione spagnola,
così sia adulterata, eradicata e traslocata da
Roma… per essere dimenticata, cosa che già
non ci sorprende, ma che non dobbiamo
permettere.
Per certo, e parlando della “degna
Capitale”:
Addirittura dell’Orso e il corbezzolo, della
Maribianca, la Cibeles e Santa Cristina, il 20
settembre, lo steso giorno che moriva fra
Marcelo, scoprì un altro dato che certifica
questa mia convinzione:
Agustín, il cuoco, naturale da San Llorente
del Páramo (Palencia), fa un “cocido madrilño”
proprio come lo faceva mia nonna Cecilia Maté
Pascual, naturale di Villafruela e
vicina di Torresandino (Burgos),
incluso il “relleno” o “bola”,
proprio perché si prepara girando
una mano su l’altra dando alla
massa di pane, uovo, aglio e
prezzemolo la sua tipica forma
rotonda e appianata, e che non
si deve confondere con la
“tortilla”, come faceva un
giovane madrileño della mia comunità. Dove
andremo finire!
Agustín dice che fu sua mamma chi
l’insegnò. Certo che da Palencia vengono le
esenzie!
Comunque, a
dispetto il giovanotto che
non distingue “la bola”
della tortilla, auguri,
Madrid, per-ché sai
conservare, che non dimenticare, tante cose
tipicamente spagnole che in non pochi luoghi si
erano dimenticate, ad esempio “l’occhialone al
cavolo” che lo stesso Agustín ci fa ogni natale,
sul quale ho già fatto un racconto.
Due parole di più a proposito del tuo
Santo contadino, cara Madrid, benché non
sia così tuo come tu credi, ma là sta come
“stat crux dum volvitur orbis”, che direbbero i
certosini. Ecco la fontana della Fede della
“Puerta del Sol”, a dispetto i chierici, sempre
aggiornati e in “formazione” permanente.
Pero miremos reflejada en Madrid, al
menos tú y yo, lector amigo, una tradición
española, así sea adulterada, erradicada y
traspuesta por Roma… para ser olvidada, algo
que ya no nos pilla de sorpresa, pero que no
debemos permitir.
Por cierto, y hablando de la “digna
Capital”:
Además del Oso y el madroño, la
Mariblanca, la Cibeles y Santa Cristina, el 20 de
septiembre, el mismo día en que murió fr.
Marcelo, descubrí un dato más que apoya esta
mi convicción:
Agustín, nuestro cocinero, natural de San
Llorente del Páramo (Palencia), hace un cocido
madrileño justo como lo hacía mi abuela Cecilia
Maté Pascual, natural de
Villafruela y vecina de
Torresandino (Burgos),
incluido el relleno o “bola”,
porque se prepara girando
una mano sobre otra dando
a la masa de pan, huevo,
ajo y perejil su típica forma
redonda y aplanada, y que
no hay que confundir con
la tortilla, como hacía un joven madrileño de mi
comunidad. ¡A dónde iremos a parar!
Agustín dice que le enseñó su madre.
¡Anda que no vendrán de Palencia las esencias!
Bien: Pues, a pesar
del joven que no distingue
la bola de la tortilla,
felicidades, Madrid, porque
sabes conservar, que no
olvidar, muchas cosas
típicamente españolas que en no pocos lugares
se van olvidado, por ejemplo “el besugo a la
berza” que el mismo Agustín nos hace cada
navidad, sobre el que tengo hecho un relato.
Dos palabras más a propósito de
“tu santo labrador”, querida Madrid,
aunque no sea tan tuyo como te lo tienes
creído, pero que ahí está como “stat crux
dum volvitur orbis”, que dirían los
cartujos. He ahí la Fuente de la fe de la
“Puerta del Sol”, pese a los clérigos, tan
al día y en “formación” permanente.
30
Perché San Isidro è l’autentico Rey Mino,
il vero Figlio del Sole che, proprio del suo oro ci
regala l’oro più essenziale per la vita:
Notare che l’aratro,
voce associata al Santo
labrador (il santo contadino),
porta incorporata una
suggerente “ara”, che non
può essere se non di ferro,
come gli ari delle ruote degli
antichi carri. Questo induce a
pensare che la desinenza gli
viene al verbo labrar
(lavorare), come all’orare del
“ora et labora”, per qualcosa
di più che per essere della prima congiurazione.
Labrar è la “laborare dell’ara”, è “lavore con
l’aratro”. Ed è che le parole ara e arado non
esprimono concetti così opposti per chi
incomincia a pensare secondo la logica dei
nostri maggiori, che parlavano “in cristiano”,
non in latino. Da ara, arare.
Aggiungo altre suggerenti parole che
lascio al tuo giudizio, lettore che leggi:
Era, dove se “raffina” l’oro più pregiato, il
Frumento; ira, l’aura del
volto di un San Isi-doro
arrabbiato; “oreja” (orec-
chio), rotonda come il Sole,
addirittura di “sessanta
minutini”. E altre due che
adeso scriviamo con “h”:
Ura, sinonimo de grotta, y
ora, quella che marca il
Sole, quasi sinonima
di “oreja”. E tornia-
mo all’origine:
L’ara, come reja
(vomere) dell’aratro,
è un regalo sacro, è
l’oro dato dalle divinità agli uomini in
patrimonio perché la vita uscisse galleggiante
fino qualunque riva, è il patrimonio che, a sua
volta, gli uomini “mandan” (legano) ai suoi figli.
Cioè che l’autentico sacerdote è il labrador (il
contadino); le autentiche mani sacerdotali sono
quelle che prendono l’aratro e ci regalano, già
consacrato, il pane di ogni giorno, che un altro
giorno dirò chi ci regala il vino.
Porque San Isidro es el auténtico Rey
Minos, el verdadero Hijo del Sol que, de su
propio oro nos regala el oro esencial para la
vida:
Nótese que el
arado, voz asociada al
Santo labrador, lleva
incorporada una
sugerente “ara”, que no
puede ser sino de hierro,
como los aros de las
ruedas de los antiguos
carros. Esto induce a
pensar que la desinencia
le viene al verbo labrar,
como al orar del “ora et labora”, algo más que
por ser de la primera conjugación. Labrar es la
“labor del ara”, es “laborar con el arado”. Y es
que las palabras ara y arado no expresan
conceptos tan opuestos para quien empieza a
pensar según la lógica de nuestros mayores,
que hablaban “en cristiano”, no en latín. De
ara, arar.
Añado otras sugerentes palabras que dejo
a tu enjuiciamiento, lector que lees:
Era, donde se “refi-
na” el oro más preciado, el
trigo; ira, el aura del ros-
tro de un San Isidoro enfa-
dado; oreja, redonda como
el Sol, amén de “sesenta
minutejos”. Y otras dos que
ahora escribimos con “h”:
Ura, sinónimo de cueva, y
ora, la que marca el
Sol, casi sinónimo de
“oreja”. Y volvemos
al origen:
El ara, como
reja del arado, es un
regalo sagrado, es el oro dado por los dioses a
los hombres en patrimonio para que la vida
saliera a flote hasta cualquier orilla, es el
patrimonio que, a su vez, los hombres
“mandan” a sus hijos. O sea que el auténtico
sacerdote es el labrador; las auténticas manos
sacerdotales son las que agarran el arado y nos
regalan, ya consagrado, el pan de cada día, que
otro día diré quién nos regala el vino.
31
Per il momento, diciamo che chi ci ha
fatto perdere la prospettiva di questa sacralità
per sostituirla per qualunque altra non poteva
essere se non un usurpatore che, con nome e
in nome dello stesso San
Isidoro, dello stesso Re Mino,
con inganno si autoproclamò
“mino” di turno, concedendosi
finti poteri per convertirlo tutto
in oro indigeribile. Perché, alla
fine, quello che si mangia è il
pane -e il vino-, non l’oro di
nessuna “macchinetta”. Di
queste, forse il pane per oggi, ma
sempre la fame per il domani e,
se alcuni tutto lo considerano
“pietra filosofale”, non è lo stesso
dare pane che dare compassione.
D’altra parte, “l’ara”, il “sacro
aratro” castigliano, che non
romano, è il fondamento dell’amore alla terra,
così tipico da Castiglia…, assimilabile alla
Spagna e stensivo a l’Europa e al mondo intero,
perché in tutti luoghi ci sono delle vecchie e
nuove Spagna, e buoni castigliani. Per questo
diceva mio nonno Vicente Mínguez Maté:
“L’uomo, dove nasce, e il bue, dove pascola”. E
come mio nonno, mio padre, che aveva lo
stesso nome e cognomi. Così glielo sentì
sempre a ambedue, e mi dispiace
per gli italiani che confondono bue
e uomini e, con loro, non pochi
spagnoli “moderni” che finiscono
per contaminarsi con le stesse
libertà da Pinocchi. Un alto sulla
mia famiglia:
Per gli anni 70 del secolo
scorso, io feci degli stemmi per i
miei genitori e, in quel di mio
padre accoppiai due aratri e due
versoi. Dopo, quando mio padre
morì, incinerato al suono delle
“marzas”, il 28 febbraio 2014,
scrisse quello che segue in un
panegirico:
Era un uomo robusto e sobrio, di mani
grandi, forti, dure, callose; con esse prendeva i
figli che Dio veniva a dargli e con esse
accarezzava i germogli dei suoi nipotini.
De momento, digamos que quien nos ha
hecho perder la perspectiva de esta sacralidad
para sustituirla por cualquier otra no pudo ser
más que un usurpador que, con nombre y en
nombre del mismísimo San Isidro,
del mismísimo Hijo de Dios, del
mismísimo Rey Minos, con
engaño se autoproclamó “minos”
de turno, otorgándose ficticios
poderes divinos para convertirlo
todo en oro indigerible. Porque lo
que se come, a fin de cuentas, es
el pan -y el vino-, no el oro de
ninguna “maquinita”. De éstas,
tal vez el pan de hoy, pero
siempre el hambre para
mañana y, si algunos lo
consideran todo “piedra
filosofal”, no es lo mismo dar
pan que dar pena.
Por otra parte, el “ara”, el “sagrado
arado” castellano, que no romano, está en la
base del amor a la tierra, tan de Castilla… y tan
asimilable a España, y extensivo a Europa y al
mundo entero, porque en todas partes hay
viejas y nuevas Españas, y buenos castellanos.
Por eso decía mi abuelo Vicente Mínguez Maté:
“El hombre, donde nace, y el buey, donde
pace”. Y como mi abuelo, mi padre, que tenía
el mismo nombre y apellidos. Así se lo
oí siempre a ambos, y lo siento por
los italianos que confunden bueyes y
hombres y, con ellos, no pocos
españoles “modernos” que terminan
por contaminarse con las mismas
libertades pinocheras. Un alto más
sobre mi familia.
Por los años 70 del pasado
siglo, hice unos escudos para mis
padres y, en el de mi padre acoplé
dos arados y dos vertederas. Luego,
cuando mi padre murió, incinerado al
son de las marzas, el 28 de febrero
del 2014, escribí de él lo siguiente en
un panegírico:
Era un hombre recio y sobrio, de manos
grandes, fuertes, duras, callosas; con ellas
cogía a los hijos que Dios le iba dando y con
ellas acariciaba a los retoños de sus nietos.
32
Instancabili, i suoi piedi e le sue ginocchi
alleggerivano un tempo le lunghe camminate al
monte di ghiacci e dissodamenti, o al
“Caserones” da soli, mietitura e trebbiatura;
adesso, la vecchiaia lo consegnò fino ad
obbligarlo a prendere un girello come
all’infanzia. Agricoltore per eredità e fortuna, fu
un uomo con il privilegio ogni volta più strano
della libertà e dell’autonomia senz’altra servitù
di quella della terra, per la quale esistette, della
quale visse; dalle loro viscere estrasse il
frumento che dà pane ed eucarestia, l’alimento
del mondo e della sua famiglia e, al ritmo del
suo canto nobile e franco, dalla stessa tagliò i
germogli delle pene e le gioie della vita. Oggi -
"ricorda uomo che sei polvere”-, nel seno della
terra riposano le sue ceneri.
Ecco. E lo stesso serve per
mia madre e le sue cenere.
Ambedue passarono sua vita come
due santi castigliani e nessuno si
accorgeva. E guarda pero che io ho
finito per scoprire le sue mani
sacerdotali e che, senza catechesi
che li istruisse, nella sua ultima
decisione, sui propri spogli,
pensavano proprio “in cristiano”.
Perché nessuna vada cercare tra i
morti, coloro che vivono.
No. No. In assoluto è meglio
cristiano chi fa o inventa dei santi, o chi
colleziona delle reliquie.
Preghi e vada alla messa chi voglia, balli e
si diverta Roma se le va la marcia, ma non
inganni nessuno. Perché ci hanno riempito di
tante bugie… E “mentire”
è calpestare gli uomini e
Dio, perfino predican-
dogli.
E nessuno dica
“Roma locuta causa
finita”, né “Roma città
eterna”, perché queste
cose si dissero per il Sole, non per ombelichi di
Petre o di Pietri. Tutto il resto è “bugia
assoluta” e alberi più grandi sono caduti. E ci
fermiamo per seguire un altro giorno, che il
panno di Jorge è lungo è c’è tanta stoffa a
tagliare.
Incansables, sus pies y sus rodillas
aligeraban antaño las largas caminatas al
monte de hielos y roturación, o al “Caserones”
de soles, siega y trilla; hogaño, los rindió la
vejez hasta obligarle a tomar un tacatá como a
la infancia. Agricultor por herencia y por
fortuna, fue un hombre con el cada vez más
raro fuero de libertad y autonomía sin otra
servidumbre que la de la tierra, para la que
existió y de la que vivió; de sus entrañas sacó
el trigo que da pan y eucaristía, el alimento del
mundo y de su familia y, al compás de su
cantar noble y franco, de la misma cortó los
brotes de las penas y los gozos de la vida. Hoy
-“recuerda hombre que eres polvo”-, en el seno
de la tierra reposan sus cenizas.
Pues sí. Y lo mismo vale
para mi madre y sus cenizas.
Ambos se pasaron la vida
rezando como santos castellanos
y nadie se enteraba. Pero, mira
por donde, yo voy a descubrir sus
manos sacerdotales y que, sin
catequesis que les instruyera, en
su última decisión sobre los
propios despojos, pensaban justo
“en cristiano”. Para que nadie
vaya a buscar entre los muertos a
los que viven.
No. No. En absoluto es
mejor cristiano quien hace o se inventa santos,
o quien colecciona reliquias.
Rece y vaya a misa quien quiera, baile y
se divierta Roma si le va la marcha, pero que
no engañe nadie. Porque nos han llenado de
tantas mentiras… Y mentir es pisotear a los
hombres y a Dios, aun
predicándole.
Y que nadie diga
“Roma locuta causa
finita”, ni “Roma ciudad
eterna”, porque estas
cosas fueron dichas para
el Sol, no para ombligos
de Petras ni de Pedros. Todo lo demás es
“mentira absoluta” y árboles más grandes
cayeron. Y paramos, para seguir otro día, que
el paño de Jorge es largo y hay mucha tela que
cortar.