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Marcel Proust Proust e lo spazio Atti della giornata di studi, 15 ottobre 2009 a cura di MARISA VERNA eALBERTO FRIGERIO

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DIPARTIMENTO DI SCIENZE LINGUISTICHE

E LETTERATURE STRANIERE

Istituto LombardoAccademia di Scienze e Lettere di Milano

ISB

N 9

78-8

8-83

11-7

17-6

Marcel ProustProust e lo spazio

Atti della giornata di studi, 15 ottobre 2009

a cura di MARISA VERNA e ALBERTO FRIGERIO

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MARCEL PROUSTProust e lo spazio

— Atti della giornata di studi, 15 ottobre 2009 —

a cura diMARISA VERNA e ALBERTO FRIGERIO

Milano 2009

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La pubblicazione di questo volumeè stata resa possibile grazie al contributo

dell’Università Cattolica del Sacro Cuore - Sede di MilanoCon il patrocinio

del Dipartimento di Scienze Linguistichedell’Università Cattolica di Milano

L’editore è a disposizione degli eventuali aventi diritto per testi o immagini

Proprietà letteraria e artistica riservata© Copyright 2009by Cives Universi Centro Internazionale di Cultura - Alberto FrigerioViale Lombardia, 8 - 20131 Milanotel. 02.266.53.30 - 02.23.95.17.02 - fax 02.236.35.37e-mail: info@centrointernazionaledicultura.itwww.centrointernazionaledicultura.itISBN: 978-88-903143-6-0

Edizione realizzata a cura diEDUCattEnte per il Diritto allo Studio Universitario dell’Università CattolicaLargo Gemelli 1, 20123 Milano - tel. 02.72342235 - fax 02.80.53.215e-mail: [email protected] (produzione); [email protected] (distribuzione)web: www.unicatt.it/librarioISBN: 978-88-8311-717-6

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Sommario

5 Ringraziamenti e presentazioneALBERTO FRIGERIO e CIVES UNIVERSI

9 Presentazione del volumeMARISA VERNA

13 Proust e il romanzo della coscienzaGIUSEPPE BERNARDELLI

29 Nient’altro che una spaziatura della lettera...STEFANO AGOSTI

37 Finestre, serre, telescopi, acquari: lo sguardo dall’esternonella descrizione proustianaMARISA VERNA

55 Riflessioni sullo spazio della “Recherche”DANIELA DE AGOSTINI

69 Proust e lo spazio dell’opera d’arteELEONORA SPARVOLI

83 Far memoria dell’incontro: dal colore al quadro, dallo spazioal testoDAVIDE VAGO

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Ringraziamenti epresentazione

ALBERTO FRIGERIO e CIVES UNIVERSI

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Cives UniversiCentro Internazionale di Cultura

Cives Universi, Centro Internazionale di Cultura, è un’Associa-zione che si occupa di ideare, organizzare e promuovere eventi cul-turali interdisciplinari riguardanti ambiti quali la letteratura italianae straniera, il cinema, la musica e l’arte, con l’intento di favorire ladiffusione della cultura soprattutto fra i giovani, nel contesto dellavita odierna.

Cives Universi nasce il 12 febbraio 2007 su iniziativa di AlbertoFrigerio, noto ricercatore in campo scientifico e di Soci professioni-sti provenienti da varie discipline.

Essendo Cives Universi un’Associazione senza fini di lucro, vivegrazie al sostegno dei suoi soci e delle persone che amano la culturae, apprezzando il nostro operato, vogliono tener vivo questo“volontariato culturale”.

Gli incontri promossi da Cives Universi hanno finora affascinatoed unito un pubblico di diverse generazioni, riscuotendo un grandeconsenso. Questo è stato possibile anche grazie allo svolgersi deglieventi in prestigiose sedi tra cui la Sala del Grechetto (Palazzo Sor-mani), il Circolo della Stampa (Palazzo Serbelloni), la Libreria In-ternazionale Ulrico Hoepli e Palazzo Arese-Litta.

Cives Universi ha realizzato gli eventi:– D’Annunzio. Moda, modernità e società di massa (novembre

2006)– Hemingway. Talento, tormenti e passioni (aprile 2007)– Thomas e Heinrich Mann. Vita, opere e memorie di un’epoca

(novembre 2007)– Primo Atelier Creativo per piccoli artisti in erba (novembre

2007)

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ALBERTO FRIGERIO E CIVES UNIVERSI

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– Il dialetto milanese e il dialetto napoletano. Loro storia e repres-sione, realizzato in collaborazione con l’Accademia Napoletanadegli Oziosi e il Centro Mediolanense Studium

– Rainer Maria Rilke. Alla ricerca dello “spazio interiore del mon-do” tra arti figurative, musica e poesia (giugno 2008)

– Gianni Brera. Un artigiano dello scrivere (novembre 2008)– Audrey Hepburn. Icona senza tempo (marzo 2009)– Virginia Woolf. Una vita tra luci e ombre (maggio 2009)– Fabio Vacchi. Conversazione con un compositore del nostro

tempo (giugno 2009)– Grazia Deledda. Tra Isola e Mondo (settembre 2009)

Da questi incontri prende vita un’esclusiva proposta editoriale,con la creazione di appositi volumi che raccolgono gli interventi deirelatori e altri saggi di importanti studiosi, formando così esemplariunici e rari, capaci di dar ragione, in maniera completa e approfon-dita, del valore artistico e storico di ciascun autore affrontato.

In linea con la mission dell’Associazione e con la volontà dellastessa di promuovere la diffusione dei grandi autori della letteratu-ra, è stato realizzato l’incontro dedicato all’importante scrittoreMarcel Proust e, in seguito, questo prezioso volume che raccoglie itesti delle relazioni degli illustri studiosi intervenuti durante la gior-nata.

Questo evento nasce dalla collaborazione con il Dipartimento diScienze Linguistiche e Letterature Straniere dell’Università Cattolicadel Sacro Cuore di Milano e, nello specifico, con la ProfessoressaMarisa Verna, ideatrice e promotrice di questo convegno nonchéindispensabile punto di riferimento per la buona riuscita dello stes-so.

Un sentito ringraziamento va dunque alla Professoressa Verna, airelatori Giuseppe Bernardelli, Stefano Agosti, Daniela De Agostini,Eleonora Sparvoli e Davide Vago, al Dott. Aldo Pirola e allaDott.ssa Bianca Girardi per la concessione di una prestigiosa loca-tion quale la Sala del Grechetto di Palazzo Sormani.

Alberto FrigerioPresidente Cives Universi

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Presentazione del volume

MARISA VERNA

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Cenni introduttivi

L’invito rivoltomi dal Centro Internazionale di Cultura CivesUniversi ad organizzare una giornata dedicata ad un grande autoredella letteratura francese mi è giunto particolarmente gradito, persvariate ragioni.

Innanzitutto esso mi offriva la possibilità di far uscire, per cosìdire, la ricerca letteraria dalle aule universitarie, dove spesso tantariflessione sulla bellezza si confina: non tanto perché essa non siafruibile da un pubblico più vasto, ma a causa di un curioso‘cortocircuito’, che talvolta interrompe l’energia che normalmentedovrebbe scorrere fra cultura e mondo.

Questa opportunità mi era particolarmente cara, inoltre, per lascelta dell’autore, concordata con il Prof. Alberto Frigerio, presiden-te dell’Associazione. Marcel Proust è infatti uno di quegli autoriche, nell’assurgere a ‘mito culturale’, hanno finito per essere guar-dati con un misto di reverenza e di timore dal lettore medio, quasiche la messe troppo abbondante di tesori che la sua opera contienefosse riservata ad un ristretto gruppo di sacerdoti gelosi, e decisi adifenderli da ogni intrusione.

Infine, ma non da ultimo, mi si offriva l’occasione di mettere allaprova un’intuizione che da qualche tempo mi tentava: sondare cioèla dimensione dello spazio nel romanzo che per eccellenza è il ro-manzo del tempo. Certo, esiste l’opera di Georges Poulet, che giànel 1963 aveva indagato la scrittura proustiana in questa ottica – lostudio di Poulet è infatti citato praticamente da tutti gli autori deicontributi che compongono questo volume.

La materia di indagine è però ancora ricca, e mi sembra che i te-sti qui contenuti lo dimostrino: Giuseppe Bernardelli apre il volumecon una mirabile sintesi dell’intera estetica proustiana, e giunge aquel “cerchio dello Spirito” cui essa ci conduce; segue il contributodi Stefano Agosti, che in poche pagine folgoranti disegna l’audaciadel testo di Proust proprio nello spazio sintattico nel quale esso im-pasta, paradossalmente, il tempo. Chi scrive ha studiato un partico-

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MARISA VERNA

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lare tipo di sguardo, e la metamorfosi del reale che esso producenella scrittura. Daniela De Agostini ha invece analizzato il passaggiodallo spazio frammentario e frammentato che si disegna negli avan-testi – i quaderni preparatori de À la Recherche du Temps perduscoperti negli anni Sessanta e che da allora non cessano di riservaresorprese – al quadro totale nel quale gli spazi descritti sono ricom-posti nella versione definitiva. Eleonora Sparvoli definisce quellospazio poroso – permeabile al nostro sguardo e al nostro desiderio –nel quale la scrittura finisce per risolversi, spazio che si identifica indefinitiva con il dono di sé che l’artista compie nel produrreun’opera d’arte. Davide Vago, infine, ripercorre i luoghidell’incontro amoroso, mettendo in luce la loro complessa strutturasia narrativa che stilistica: da essi emerge infatti l’affinità della scrit-tura di Proust con i movimenti pittorici a lui coevi – cubismo, futu-rismo – ma anche la natura instabile dello spazio proustiano, presoin un’eterna dinamica di movimento e scambio.

Poche parole non bastano, evidentemente, per ridare vita alla vi-vace e bella giornata di studio che si è svolta nella Sala del Grechet-to il 15 ottobre scorso. Invitiamo dunque a leggere, nella solitudineche Proust considerava la condizione indispensabile alla discesa inse stessi, le pagine che seguono, nella speranza che esse contribui-ranno ad accrescere o quantomeno a migliorare la conoscenza – di-versa – che ciascun lettore ha del capolavoro proustiano.

Ringraziamo, naturalmente, tutti coloro che ci hanno permessodi giungere a questo risultato: la Cives Universi, che ci ha invitati esostenuti lungo tutto il percorso; il Comune di Milano, che ci haconcesso l’uso di una Sala di rara bellezza; tutti i relatori che hannoaccettato il nostro invito, e che hanno reso intensa e proficua la ri-flessione sul tema dell’incontro; il pubblico, attento e sempre dispo-sto a sostenere i relatori nella loro esposizione.

Marisa Verna

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Proust e il romanzo della coscienza

GIUSEPPE BERNARDELLI

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Giuseppe BernardelliProfessore Ordinario di Letteratura francese pressol’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia. Èstudioso della cultura simbolista (da Baudelaire aCorbière), nonché delle logiche e delle forme del te-sto lirico.

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Parlare di Proust significa parlare in sostanza, come ognuno sa, diun testo solo, anche se di proporzioni monumentali: egli si può consi-derare infatti, in un certo senso, autore di un’unica opera, scritta e ri-scritta nella fase matura della sua vita (grosso modo dai trenta ai cin-quant’anni) e lentamente portata alla stesura definitiva per via di suc-cessive approssimazioni. Tale opera, che l’autore ci ha consegnatosotto il titolo suggestivo e notissimo di À la recherche du temps per-du, alla ricerca del tempo perduto, si presenta in forma di grande ro-manzo autobiografico (o comunque a base autobiografica), scanditoin sette sezioni per circa tremila fittissime pagine complessive (a talisezioni corrispondono gli altrettanto celebri titoli Du côté de chezSwann, À l’ombre des jeunes filles en fleurs, Le côté de Guermantes,Sodome et Gomorrhe, ecc.). Contenuto ne è, come è ugualmente ri-saputo, la storia di una vocazione artistica lentamente scoperta e ma-turata (il romanzo si chiude sulla decisione del protagonista-narratoredi mettersi a scrivere la storia della vocazione che ha appena narrato,per cui siamo di fronte ad uno dei primissimi esempi di ‘romanzo spe-culare’, o ‘circolare’, o en abîme poi diffuso nel Novecento); insieme,e grazie a questo pretesto, viene rievocata – anche se in modo del tut-to particolare come si dirà – la cronaca della Francia contemporanea,tra il 1870 e il 1920, specie attraverso le sue élites intellettuali e mon-dane. Almeno per questo secondo aspetto il romanzo si connette aigrandi e notissimi modelli della tradizione memorialistico-narrativafrancese, specie ottocentesca (si pensi a Zola, Balzac o Chateau-briand), che in un certo senso completa e chiude. Nell’ambito di que-sta tradizione la Recherche rappresenta uno dei massimi esiti, per tut-to un complesso di ragioni: – per la straordinaria analiticità ed insie-me compattezza della scrittura, piena di cose e di dati, come in unaspecie di minutissima visione al microscopio, ma insieme sempre or-ganica, legata, tendente al quadro (tale organica analiticità è significa-ta anche dal singolare impianto grafico della pagina proustiana: non èraro incontrare capoversi di 350-400 righe, ossia anche 8-10 pagine

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senza la minima spaziatura: anche per questo il primo accostamento,come è ben noto, è tutt’altro che facile); – poi, a voler procederenell’elenco delle ragioni che fanno della Recherche un’opera di granderilievo, per la grande capacità di creare personaggi, per lo più dina-mici, in evoluzione, e quasi sempre di fortissima e complessa indivi-dualità; – ancora, per la straordinaria caratterizzazione dello stile(ognuno avrà presente, almeno, la complessità – giustamente temuta –della sintassi proustiana); – di nuovo, non ultimo tratto, per la capaci-tà di innovare sotto il profilo tecnico: con la Recherche Proust incidesulla struttura del romanzo moderno, introducendo novità che poi ca-ratterizzeranno largamente il modello novecentesco del genere (la piùrilevante – di qualche altra capiterà di far cenno – è data dalla distru-zione o comunque dall’incrinamento della sequenza cronologica comefondamento della struttura narrativa: il discorso narrativo non si or-ganizza o si organizza solo in parte scegliendo come criterio d’ordinee di progressione la successione dei fatti nel tempo, ma piuttosto se-condo un criterio ‘tematico’, che fa riferimento ad una ‘logica interio-re’, ad un ‘tempo della coscienza’ che prevale sull’attualismodell’esperienza, facendo così passare in secondo piano e spesso scon-volgendo la cronologia reale); – infine, la Recherche è anche l’operadi un grande moralista (si intenda: il termine va preso nel significatoproprio della storiografia letteraria francese – ma ormai acquisito an-che a quella italiana e più in generale all’uso comune – di ‘autore diriflessioni sui costumi, la natura e la condizione umana’). Proust è senon il più grande (cosa che per quanto ci riguarda crediamo), certouno dei più grandi moralisti (o indagatori delle ragioni profonde edelle leggi generali del comportamento umano) che la Francia abbiaconosciuto da Montaigne in poi. Ma è sul tema della coscienza chevorremmo qui soffermarci, poiché da esso discendono, crediamo,gran parte delle peculiarità del testo proustiano.

*

Crediamo convenga anzitutto fare cenno delle circostanze chepermettono di motivare l’aspetto dell’opera proustiana che abbiamoprivilegiato. Pur tenendo conto dell’alto grado di libertà – e quindidi sostanziale imprevedibilità e inesplicabilità – che sempre circondai fatti spirituali, e dentro questi le vicende artistiche, se ne possono

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PROUST E IL ROMANZO DELLA COSCIENZA

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indicare sensatamente due. La prima è d’ordine biografico, la se-conda d’ordine culturale.

La circostanza o fondazione biografica, inerente la personalitàdell’uomo Proust, è data dalla particolarissima struttura del suo carat-tere. Fin dalla fanciullezza egli è un nevrotico segnato, oltre che dastraordinaria intelligenza e sottigliezza, da una sensibilità e da una so-spettosità assolutamente al di sopra della norma, le quali danno luo-go, come è stato detto brillantemente, ad una specie di génie dusoupçon, di genio del sospetto, perennemente applicato all’analisi esa-sperata dei moventi degli atti propri ed altrui: “[...] per natura ilmondo dei possibili mi è sempre stato più aperto di quello della con-tingenza reale. Ciò aiuta a conoscere l’animo”, confesserà poinell’opera, anche se poi aggiunge subito che tale dono ha come con-tropartita l’inettitudine pratica1. Comunque sia, per questa strada – eparadossalmente – la nevrosi, ossia la malattia, contribuisce a fare dilui uno dei più grandi analisti delle passioni umane e della vita inte-riore. Il motivo della fecondità – in termini spirituali ed artistici –della malattia e del dolore sarà del resto uno dei motivi più insistentidella Recherche stessa (l’arte, per Proust, è una specie di ‘pozzo arte-siano’, in cui tanto più si sale quanto più si scende, ossia si accetta disoffrire e di scavare dentro di sé).

Più complessa è naturalmente la fondazione culturale. Il romanzodi Proust rappresenta un grande momento d’arte, certo uno dei verticidella letteratura europea moderna, ma, insieme, anche un grandemomento di sintesi culturale. Nel ricollegarlo alla tradizione narrativaottocentesca, non abbiamo infatti detto che il suo autore si forma edopera in un momento particolare, per tanti aspetti cruciale nella sto-ria del pensiero e dell’arte moderna: vale a dire, gli ultimi venti annicirca dell’Ottocento e i primissimi del Novecento. Sono gli anni, comeè noto, del progressivo franamento della cultura positivista e dellarelativa visione della realtà, franamento da cui deriva, a livello euro-peo, come una specie di ‘sblocco’ e di ‘riproblematizzazione’ della ri-flessione filosofica, scientifica, politica, artistica (vedi l’affiorare, incampo filosofico, delle varie forme di spiritualismo, neoidealismo, in-

1 Tutte le citazioni fanno riferimento al testo della Recherche (coll.“Bibliothèque de la Pléiade”, Gallimard, Paris 1987-1989), proposto in nostra tra-duzione. Stante il taglio dell’articolo, ci dispensiamo dall’indicare per ciascuna luo-go specifico e pagina.

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tuizionismo; in campo scientifico, il superamento dell’empirismo oltreche del razionalismo classico e l’imporsi delle nuove epistemologie;nell’ambito della riflessione politica, la critica del marxismo el’avvento della nuova sociologia; in campo linguistico, lo spostamentodell’accento dalla prospettiva storico-comparativa a quella sincronicae strutturale: alla rinfusa, si possono citare nomi come Bergson, Poin-caré, Durkheim, Pareto, Sorel, Croce, Freud, Saussure, ecc.). Ora, nelsuo ambito e secondo i suoi modi (ma almeno nella prima parte dellasua carriera egli coltivò non trascurabili interessi filosofici), Proust èun coprotagonista di tale sblocco e riproblematizzazione. Egli è infattiassillato dagli stessi problemi che assillano la cultura di fine Ottocen-to e primo Novecento, problemi strettamente connessi, benché diver-samente enfatizzati dai protagonisti di quella storia: – anzitutto, ilproblema della durata e del significato del tempo (ovvio il riferimentoa Bergson, ma si tratta di un tema capitale anche della riflessionescientifica coeva, del resto già entrato in arte con l’Impressionismo, ilcui contenuto è la mutevolezza del flusso temporale, ed appunto, indefinitiva, la durata); – poi, il problema della natura della conoscenzae dei suoi limiti (per uscire dal campo della pura filosofia, si pensi aldibattito sul carattere convenzionale o meno delle proposizioni ma-tematiche e più in generale scientifiche che si svolge in quegli anni inFrancia); – infine, il problema della coscienza e del ruolodell’inconscio (ovvio il riferimento a Freud: ma è già il problema te-matizzato dal titolo della prima opera del Bergson, l’Essai sur lesdonnées immédiates de la conscience, 1889). È da osservare, per inci-so, che questi problemi derivano dal diffuso sentimento della insuffi-cienza dei principi del biologismo e del meccanicismo positivista e piùin generale ottocentesco: come il tempo vissuto, il tempo vero, inte-riore, fosse qualcosa di diverso dal tempo fisico, meccanicamentescandito e delimitato; come la conoscenza autentica, in particolarestorica e sociologica, non si potesse ridurre al programma ottocente-sco di costruire una scienza mediante il paziente reperimento di dati ela loro rigorosa verifica; come la coscienza umana fosse realtà infini-tamente più complessa, torbida e profonda di quanto una visione ditipo intellettualistico lasciasse intendere: problemi che nascevano in-somma ed in definitiva dalla convinzione – o dal confuso sentimen-to – che fosse impossibile procedere con i principi ed i metodi tradi-

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PROUST E IL ROMANZO DELLA COSCIENZA

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zionali oltre la superficie della esperienza umana (donde le varie for-me di idealismo, intuizionismo, irrazionalismo ecc.).

*

Ora, questi tre problemi (‘tempo, conoscenza, coscienza’), insie-me alla riflessione sulla natura e le funzioni dell’arte, sono anche alcentro della Recherche, di cui costituiscono la struttura tematicaprofonda. Il più apertamente tematizzato, fin dai titoli, è il proble-ma del tempo: il romanzo proustiano è il ‘romanzo del tempo’, deltempo vero, interiore, perduto – ossia sprecato – nella vita e chel’arte permette di recuperare. Esso è anche, come è stato sottolinea-to, il ‘romanzo della conoscenza’ e dei suoi complessi percorsi (dallaopacità della fanciullezza alla lucidità della maturità, dalla pseudo-conoscenza degli schemi desunti dalla cultura ambiente alla loroverifica e rifondazione attraverso un lento, faticoso e doloroso lavo-ro di analisi). Ma il motivo dominante, che fonda gli altri con cui siintreccia, fondando anche la struttura tecnica e la morfologia del li-bro, è in realtà il motivo della coscienza. Benché si presenti in formadi grande affresco storico, di rievocazione di un’epoca intera, la Re-cherche è in realtà un ‘romanzo della coscienza’, vale a dire non diciò che sta fuori ma di quel che sta dentro, non degli oggetti e degliavvenimenti che sfilano davanti all’obbiettivo, ma di ciò che succedenella camera oscura: di come insomma si formino le immagini dellarealtà che poi ci fanno agire, essendo esse in definitiva la vera realtàe il vero oggetto della rappresentazione artistica. In propositoProust è esplicito, e a più riprese: “la realtà – egli dice – non esisteper noi fintantoché non è stata ricreata dal nostro pensiero” (senzadi che, egli aggiunge, tutti coloro che si sono trovati coinvolti inqualche grande combattimento si troverebbero tutti ad essere grandipoeti epici); e in un altro passo: “[...] solo la percezione grossolanaed erronea pone tutto nell’oggetto, quando invece tutto è nella men-te”; ed anche la cosiddetta ‘testimonianza dei sensi’, ribadisce in unaltro ancora, è in realtà una operazione interiore, in cui spesso laconvinzione crea l’evidenza. Con le altre punte della letteratura eu-ropea – si pensi solo a Svevo e a Pirandello – ma più lucidamente,Proust è protagonista di una specie di ‘rivoluzione copernicana’ arovescio che lo porta al superamento del realismo oggettivistico

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dell’Ottocento (ed in particolare di quello deterministico e biologicodi Zola ed epigoni) per una specie di nuovo ‘realismo interiore’ orealismo della coscienza che è il proprio della Recherche: la realtà èper lui entità opaca, complessa, sfuggente, difficilmente riconducibi-le a determinazioni univoche; paradossalmente, ciò che possiamodavvero tentare di indagare e dominare sono le ‘immagini’ che ce nefacciamo e che gli altri se ne fanno, le quali diventano così la verarealtà e il vero oggetto della rappresentazione. Insomma, se com-plessivamente si può dire che la cultura di fine Ottocento e di primoNovecento sposta l’accento dalla considerazione quasi feticistica del‘fatto’, prevalente in ambito positivista, al problema della ‘visione’ odella sua rappresentazione, lo stesso avviene in Proust: dal ‘romanzodei fatti’, magari deterministicamente individuati (non sarà inoppor-tuno ricordare che ‘romanzo naturalista’ significa, ottocentescamen-te, ‘romanzo biologico’) al ‘romanzo della coscienza dei fatti’. Daquesto mutamento di prospettiva (dall’esterno – che non è altro chel’immagine vulgata e corrente della realtà – all’interno, ossia ai pro-cessi di formazione e di modificazione dell’immagine stessa) discen-dono anche le novità tecniche e strutturali della Recherche: abbiamogià ricordato la tendenza a rinunciare al criterio della sequenza cro-nologica, o dell’ordinamento dei fatti secondo il principio della suc-cessione nel tempo (i ritmi del tempo della coscienza, interiore edorganico, non sono evidentemente quelli del tempo fisico, ed il cri-terio di associazione sarà piuttosto di tipo tematico); si può ricorda-re egualmente l’enorme rallentamento del tempo narrativo (ciò chenell’ordine della realtà ha carattere quasi istantaneo – ad esempioun bacio – nell’ordine della narrazione può occupare diverse pagine:si tratta infatti non di elencare o di evocare dei fatti, ma di ricostrui-re la loro elaborazione interiore); si può ricordare infine (ma vi sonoaltri tratti) la moltiplicazione delle prospettive e dei punti di vista (laverità non collocandosi – se in qualche punto si può collocare – cheal termine di un lavoro di paziente collimazione delle molte imma-gini correnti).

*

A questo punto, e a proposito di quanto si è appena detto, è op-portuno fare due precisazioni. La prima, già accennata, è che lo

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spostamento di prospettiva, dall’esterno all’interno, dagli oggetti edagli accadimenti al gioco di specchi delle coscienze è un fatto tipicodella nuova temperie culturale (abbiamo già ricordato Svevo e Pi-randello, si può ricordare Joyce, o Musil, ecc.). La seconda, più ge-nerale, è che l’interesse per ciò che dopo la sistemazione freudianasarà chiamato la ‘psicologia del profondo’ (una psicologia del pro-fondo nel secondo Ottocento per lo più misticamente e miticamenteinterpretata) costituisce se non il nucleo centrale, certo uno dei trattifondamentali del decadentismo nel suo complesso, specie francese.Senza insistere su questo argomento, occorrerà ricordare almenoche nel clima dello psicologismo dilagante (nella lirica, ma non solo)a fine Ottocento, la narrativa francese aveva già conosciuto dei ten-tativi di ‘romanzo della coscienza’. Si possono richiamare, a purotitolo di esempio, i primi testi narrativi di Maurice Barrès o di An-dré Gide (del primo, la cosiddetta ‘trilogia’ del Culte du Moi; del se-condo, l’opericciola del Voyage d’Urien: allegorie narrative di statimentali abbastanza confuse e di scarso valore), oppure la tecnica delcosiddetto ‘monologo interiore’ o ‘flusso di coscienza’ che nasce ap-punto in Francia nell’ultimo scorcio del secolo. Proust si colloca so-stanzialmente in questa prospettiva, ma ad un livello incomparabil-mente più alto. Le allegorie psicologiche più o meno ermeticamenteimpostate di fine secolo diventano con lui vero, grande, organico,lucidissimo romanzo della coscienza e delle ‘leggi’ che la governano.ll cambiamento di prospettiva (la vita ‘profonda’ della coscienzacome contenuto della rappresentazione) si accompagna infatti sem-pre in Proust ad un atteggiamento raziocinante, ad una fortissimavolontà d’ordine e di conoscenza che non si incontra in chi lo pre-cede in questa direzione. Certo, egli è toccato dallo scossone filoso-fico che segna la sua epoca. Vi sono infatti qua e là nella Recherchedegli accenni di vero e proprio idealismo gnoseologico (i quali sipresentano tuttavia più che altro come un estremo e solo ipoteticoprolungamento del suo esasperato problematicismo: chissà, egli dicead esempio costatando come certi sogni si impongano conl’evidenza che ha la conoscenza da svegli, chissà se la stessa cono-scenza non abbia reciprocamente la irrealtà del sogno?); vi è ancorala affermazione, continuamente ribadita, della opacità e del caratte-re irriducibilmente soggettivo della visione individuale (vediamo lecose attraverso un vetro che non è mai del tutto trasparente, egli di-

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ce, e tanti sono gli occhi e le intelligenze, tanti si possono dire sianoi mondi che si svegliano ogni mattina); vi è poi più in generale, co-me è stato osservato, una vera e propria ‘critica dell’intelligenza’,facoltà tutto sommato superficiale, non in grado di rivelarci nessunadelle verità fondamentali dell’esistenza (beninteso, quelle d’ordinemorale, che pertengono alla sfera dei sentimenti umani, non certoall’ordine della fisicità o al campo delle cosiddette scienze esatte...).Tale critica si dichiara fin dai primi abbozzi dell’opera. Uno deiprimi tentativi di stesura (un insieme di frammenti pubblicato at-tualmente sotto il titolo Contre Sainte-Beuve) si apre su questa di-chiarazione: “Ogni giorno sono portato ad attribuire meno impor-tanza all’intelligenza. Ogni giorno mi rendo meglio conto che non èche al di fuori di essa che lo scrittore può ricuperare qualche cosadelle nostre impressioni passate, vale a dire ritrovare qualche cosa dise stesso e sola materia dell’arte”. Ed anche quando l`intelligenzarivela verità fondamentali, queste restano come in superficie, almodo di acqua che scorre senza bagnare, e solo lentamente – e nonsempre – penetra negli strati profondi: poiché, come egli dice conun’altra bella massima che recupera un noto luogo proverbiale,“lunga è la strada che porta dalla mente al cuore”.

Nondimeno, ricordato ciò, bisogna anche ricordare che questaproustiana ‘critica della ragion pura’ resta lontanissima dagli sboc-chi mistici, intuizionistici o irrazionalistici di tanto decadentismo.Per Proust, i limiti della intelligenza spetta pur sempre all’intelli-genza stabilirli:

[...] se l’intelligenza non è lo strumento più sottile, più potente e piùappropriato per cogliere il vero questa non è che una ragione di piùper cominciare dall’intelligenza e non da un intuizionismodell’inconscio o da una fede precostituita nei presentimenti. È la vitache a poco a poco e caso per caso, ci permette di notare che quel cheè più importante per il nostro cuore o per la nostra mente non ci èinsegnato dal ragionamento ma da facoltà diverse da esso. E allora èl’intelligenza stessa che, rendendosi conto della loro superiorità, ab-dica, per ragionamento, davanti ad esse, e accetta di diventare la lo-ro collaboratrice e la loro serva.

E per Proust, in estrema sintesi, l’arte è appunto questo: unoscendere in profondità (le profondità dell’io) per vie (si chiamino

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istinto, intuizione, esperienza, sofferenza, memoria, ecc.) che nonsono quelle del ragionamento e della pura intelligenza, per poi,grazie all’intelligenza, risalire e portare le verità scoperte alla luce eall’ordine della ragione. Il poeta traversi pure la notte, affermavagià in un articolo giovanile in cui reagiva contro la praticadell’ermetismo (Contre l’obscurité, 1896), ma a condizione che co-me l’Angelo delle tenebre vi porti la luce. Questa volontà di chiarez-za, d’ordine, di organica e lucida conoscenza (pur nell’ambito diuna iperbolica e quasi maniacale problematicità: si vedano i mille‘se’ e i mille ‘forse’, le catene continue di ipotesi parallele per spiega-re lo stesso fenomeno) caratterizza costantemente la Recherche, laquale non ha nulla di quel fenomenologismo frantumato, fatto dipura trascrizione di dati o di emergenze psichiche staccate che carat-terizzerà poi tanta parte del romanzo novecentesco: continuamentela narrazione o la rappresentazione proustiana si interrompe e tra-passa nel saggio, continuamente la prima persona della rievocazioneautobiografica (o pseudo-autobiografica) è abbandonata per il ‘si’impersonale del trattato e del discorso generale. Proust fu del restoper qualche tempo incerto, come è noto, se dare alla sua opera for-ma saggistica o narrativa. L’arte è sì per lui scavo interiore, viaggionelle profondità (o nel tempo) dell’io, ma per capire, sottoporre alvaglio dell’intelligenza e ribaltare la verità particolare o personalenel generale. Tanto che, nella sezione conclusiva della Recherche(Le Temps retrouvé, grande riflessione sistematica sull’arte), ilgrandissimo creatore di personaggi ed acutissimo (anche in prospet-tiva esterna, mimetica) osservatore dei costumi del tempo arriverà adire che, in realtà, “non è agli esseri che noi dobbiamo fermare lanostra attenzione, non sono gli esseri che esistono realmente e sono,di conseguenza, suscettibili di espressione, ma le idee”. E la Recher-che sarà, certo, secondo i modi della finzione narrativa, un tentativo(sono espressioni di Proust) di ‘dimostrazione’ di quelle che sono le‘leggi della vita’ (intendi: morale e sociale): detto altrimenti, e que-sta volta citiamo, “un tentativo di rendere chiare, di portare al livel-lo dell’intelletto in una costruzione artistica delle verità extratempo-rali”.

In definitiva, e riassumendo: nonostante sia intriso di succhi efermenti decadentistici (egli è certo uno dei grandi esponenti del de-cadentismo europeo), Proust resta fortissimamente ancorato alla

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grande tradizione del razionalismo francese, e ciò grazie a due tra-miti storici che ci limitiamo qui per ragioni di spazio a segnalare: ilprimo, dissimulato ma sempre riconoscibile, è quello del positivismostesso, che resta pur sempre la forma mentis dominante nelle istitu-zioni in cui si era formato e dominante almeno in parte della fami-glia (dire che il padre è negli ultimi trent’anni circa del secolo medi-co, professore universitario e grande funzionario dello Stato è dirtutto); il secondo tramite – che è la vera radice della mentalità uni-versalizzante ed essenzializzante di Proust (ci scusiamo delle brutteparole ma non sappiamo dir meglio) – è la letteratura di indaginepsicologica e morale del Seicento francese (i cosiddetti ‘moralisticlassici’) cui sono da aggiungere i grandi drammaturghi del tempo(in particolare Racine): autori su cui il giovane Proust anche per ra-gioni scolastiche si è formato, che restano costante tavola di riferi-mento e che lasciano tracce abbondanti dentro l’opera (basterebbepensare alle numerosissime allusioni o citazioni – soprattutto daRacine, Saint-Simon, Mme de Sévigné, Molière – oppure al gustoper le massime e gli aforismi – sono moltissimi e spesso bellissimi –continuamente chiamati a suggellare i ragionamenti della sua pagi-na).

*

La preminenza del motivo della coscienza (o della visione rispet-to agli oggetti che essa si dà: “un osservatore che vede le cose dal difuori non vede in realtà niente”, ricorda Proust nelle pagine conclu-sive di Du côté de chez Swann); tale preminenza, dicevamo, non èpriva di conseguenze anche sull’organizzazione spaziale del grandecomplesso della Recherche. A differenza di altri tipi di discorso – adesempio quello puramente ideologico o filosofico, che ne può faretotale astrazione – la narrazione deve di necessità confrontarsi conla dimensione dello spazio, come, a maggior ragione, con quella deltempo. Poiché è evocazione di accadimenti, questi sono di necessitàcollocati in un tempo ed in un luogo più o meno precisi e circo-scritti. C’è il romanzo in una stanza, in cui quello che succede vienecontenuto in uno spazio ristrettissimo (così La metamorfosi di Kaf-ka) e quello che ha per scena interi continenti (così la grottesca efrenetica corsa attraverso il vecchio e il nuovo mondo del Candide

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voltairiano, o la nichilistica avventura del protagonista del Voyageau bout de la nuit di Céline). Tale spazio può avere carattere mitico,o fantastico-mitico (un puro luogo dell’immaginazione, si pensi adAlice nel paese delle meraviglie), oppure esso può assumere caratte-re storico, o para-storico, e riferirsi alla geografia del mondo reale,spesso evocata con precisione e dovizia di dati analitici: inquest’ultimo caso, comunque, quasi sempre riservando alla narra-zione un margine più o meno ampio di libertà finzionale. Di solito,è la macro-struttura spaziale ad avere carattere storico, mentrequella più minuta è lasciata all’invenzione del narratore, nel rispettodegli stessi criteri mimetici e ‘veristici’ che governano l’evocazionedella prima. Così, la campagna normanna dell’epoca di Luigi-Filippo è il quadro realistico e storicamente determinato diquell’affresco di vita di provincia (“mœurs de province” recita ilsottotitolo) che è Madame Bovary, ma Tostes e Yonville – i luoghiin cui si consuma per l’essenziale la vicenda della protagonista – nonhanno mai fatto parte della geografia reale della regione. Diquest’ultimo tipo è anche la geografia della Recherche, che fa spazioa luoghi d’invenzione, per quanto costruiti a partire da modelli pre-cisi e facilmente identificabili (così ad esempio Combray, il borgod’origine della famiglia del protagonista-narratore), ma perl’essenziale essa è data dalla ricostruzione analitica e veristica di al-cuni luoghi reali della Francia di fine Ottocento e primo Novecento(Parigi fondamentalmente, la Parigi dell’aristocrazia, delle élitesmondano-intellettuali e della nuova borghesia – faubourg Saint-Germain, Champs Elysées, quartiere dell’Étoile, Bois de Boulogne,ecc.), poi le spiagge della Normandia, i luoghi d’arte della coronaparigina, Venezia, ecc. Certe parti della Recherche si possono utiliz-zare come una specie di guida storica delle Francia a cavallo tra Ot-to e Novecento, ed è su queste basi, del resto, che si sviluppal’industria del turismo letterario. Proustianamente continuiamo adilluderci di ritrovare oggi nella realtà i luoghi creati o trasformatiieri in un libro dalla fantasia di un artista. Questo impianto spazialepara-storico, che accomuna la Recherche a tante altre narrazioni,coeve e non, è dovuto naturalmente alla natura (liberamente) auto-biografica e memorialistica dell’opera: storia di una vita e insieme,anche se secondo modi singolari, di un’intera epoca, la Recherche

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non poteva non essere anche storia dei luoghi che quella vita equell’epoca avevano segnato.

Ma i luoghi cui fa riferimento una narrazione non sono solo unapura sequenza – più o meno varia, dettagliata e credibile – di quadrio cornici entro cui collocare di necessità gli eventi ed il tempo dellanarrazione a mano a mano vengono evocati. Essi sono anche, e fon-damentalmente, una delle strutture del senso globale della narrazio-ne stessa, con le quali interagiscono e dalle quali insieme dipendono,intersecandovisi e diventandone l’emblema.

Questo si verifica anzitutto attraverso le valenze simboliche più omeno scoperte dei luoghi evocati (in particolare nelle narrazionid’impianto mitico-fantastico: si pensi alla fortezza del Deserto deiTartari, emblema dell’esistenza e della finitezza insieme minacciateed affascinate da un altrove – il deserto della trascendenza – che pa-re disperatamente vuoto), e poi, più sottilmente, grazie a quelli chechiameremmo gli ‘schemi dinamici’ disegnati dal narratore a manoa mano fa succedere gli spazi evocati nel corso della narrazione.Così, ad esempio, lo schema dinamico a cui si può ricondurre ilCandide voltairiano è quello della progressione senza meta, o delladispersione governata dal caso, analogo e riprova spaziale della ir-razionalità della storia; quello di Madame Bovary, il ritorno forzatoal punto di partenza, analogo e figura del grande motivo della fugaimpossibile: gli adulteri della protagonista sono sempre consumatifuori o lontano dalla località di dimora, ma il suicidio, presa d’attodi una impossibilità assoluta e definitiva di evasione, avviene entrole pareti domestiche e nel paese – ossia all’interno della realtà socia-le – di cui è prigioniera.

Ora, qualcosa di simile, ma in modo più evidente e marcato, av-viene nel caso della Recherche in relazione, crediamo, al grandemotivo della vita della coscienza. La geografia del romanzo rispon-de a determinazioni di natura pseudo-biografica e para-memoriale edovrebbe dar luogo ad un modello dinamico più o meno lineare ca-ratterizzato dall’inevitabile, relativo disordine della biograficità(così avviene normalmente in un qualsiasi libro di memorie, che te-matizza, semplicemente, i tempi e i luoghi successivi di una storia,sia pur spirituale). Nella Recherche invece, fin dalle prime pagine,tutto si organizza secondo disegni e schemi di circolarità: i luoghi, igruppi sociali, la struttura tematica stessa del libro, tutto risponde a

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quel modello. Il lettore non faticherà a verificare questo caratteredella costruzione proustiana, che parrebbe esemplata in modo quasiossessivo sulla figura della spirale. Ogni cosa ed ogni luogo si ritro-va, tutto si ripete e tutto si conchiude. Il ritorno finale al punto dipartenza, per cui la conclusione riprende l’inizio, non è che la spia el’emergenza più evidente di questa ‘logica’ circolare che governa tut-ta la Recherche.

Questa caratteristica formale, naturalmente, si può mettere inrelazione con gli orientamenti estetici di Proust, che mirava – classi-camente e un po’ maniacalmente – a qualcosa di finito, di organico,di perfettamente strutturato e chiuso: una costruzione ‘musicale’,come amava dire. Ma si può anche legittimamente mettere in rela-zione con la centralità del tema della vita della coscienza, che è con-centrazione e non dispersione, moto interno e non abbandonoall’oggettività esterna, permanenza e non frantumazione nella di-versità dell’esperienza. Inevitabilmente, la preminenza data alla vi-sione e ai suoi processi rispetto agli oggetti circostanti finiscecoll’assumere geometrie e figure di circolarità che diventano comeuna specie di disegno strutturante, o di filigrana formale costante-mente ripresa nell’organizzare lo spazio fisico – e con esso ogni altrospazio – della grande costruzione narrativa. Pur nella sua estrema ecomplessa analiticità veristica, che la rende piena di cose, di perso-naggi e di luoghi caratterizzati con straordinaria nettezza e precisio-ne, la Recherche è libro di un io che ritorna costantemente dagli og-getti del mondo al suo centro, chiudendosi – e richiudendo ideal-mente il lettore – nel cerchio della vita dello spirito.

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Nient’altro che una spaziatura dellalettera...

STEFANO AGOSTI

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Stefano AgostiProfessore Emerito di Letteratura francese pressol’Università Ca’ Foscari di Venezia, è autore di nu-merosi e celebri volumi di teoria e analisi testualesulla poesia e sulla prosa francese e italiana.

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Alla connaturata immanenza del tempo nella formazione lineare,progressiva della frase istituzionale, e in particolare della frase dilingua francese, subentra, con Proust, e proprio sul piano dellastruttura, la dimensione dello spazio, quale si produce attraversol’elaborazione della complessa costruzione ipotattica che caratteriz-za la frase della Recherche: per cui, al grande libro sul Tempo sem-bra contrapporsi, sul piano formale, un’invenzione, una istanza dispazio e, più esattamente, di spazialità.

Il modello, decisamente iperbolico, di una elaborazione ipotatticadella struttura della frase è, come è noto, il Coup de dés mallarméa-no, che appende l’immane arborescenza delle subordinate e delleincidentali a una proposizione reggente disseminata (segmentata)nel testo, quantitativamente minima e di natura tautologica: “uncoup de dés jamais n’abolira le hasard”: il che vale, dietro il presup-posto etimologico che vi presiede, “un coup de dés jamais n’aboliraun coup de dés”, o, il che è lo stesso, “le hasard jamais n’abolira lehasard”, se, etimologicamente, “hasard” viene dall’arabo az-zahr, il“dado”, il “colpo di dadi” (da cui, in Dante, il “gioco della zara”).

L’arborescenza delle subordinate e delle incidentali è dunque ret-ta, nel poema, da una proposizione tautologica che, in quanto tale,come avverte Wittgenstein, rinvia solo a se stessa, e quindi non stain nessuna relazione di rappresentazione con la realtà.

Questa è riservata all’altra dimensione del poema, quella graficao visiva (la più clamorosamente recepita dai contemporanei edall’immediata posterità), e di cui in una celebre lettera a Gide (del14 maggio 1897), in occasione della presentazione, o pre-pubblicazione, del Coup de dés sulla rivista “Cosmopolis”: “Laconstellation y affectera, d’après des lois exactes et autant qu’il estpermis à un texte imprimé, fatalement, une allure de constellation.Le vaisseau y donne de la bande, du haut d’une page au bas del’autre, etc.”.

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Due ordini, o due piani, dunque, di elaborazione della spazialità:quello strutturale della frase ipotattica, e quello, iconico, della mi-mesi grafica dell’oggetto (degli oggetti) dell’enunciato: la costella-zione, la nave che sbanda ecc. Ordini, o piani, minimizzati nella no-ta che precede la pubblicazione su “Cosmopolis”, in questo modo:“Le tout sans nouveauté qu’un espacement dans la lecture”: da cuiil titolo, appena rimanipolato, di questo nostro intervento.

Naturalmente, la spazialità, in Proust, concerne solo l’ordinestrutturale: quello di pertinenza della frase ipotattica, e che si mani-festa nella sospensione, nel differimento, nel rinvio dei singoli seg-menti proposizionali, sospesi, appunto, alle rispettive proposizionireggenti.

Che cosa comporta questa incorporazione di spazio – di spaziali-tà e di distanze – nell’organizzazione della frase e, più precisamente,nella lettera della scrittura?

Se la lettera della scrittura si effettua di norma, come abbiamodetto, secondo la linea progressiva, temporale, evidenziata da Saus-sure, per cui essa sottende il progressivo annullamento delle unità disignificato nel significato globale della sequenza, con la spazialità,introdotta dalla struttura ipotattica nella lettera del testo, si verificail fenomeno della resistenza degli elementi costitutivi della frase alloro dissolvimento, alla loro neutralizzazione in un significato glo-bale: con la conseguenza di un incremento dei loro valori di senso aldi fuori, al di là della semanticità normativa prevista dalla strutturadel discorso.

Il che è quanto avviene nel testo poetico, ove il sistema di rela-zioni – foniche, ritmiche, semantiche – che si dirama, spazialmenteappunto, da un luogo all’altro, e da un piano all’altro del testo, èanch’esso responsabile della resistenza degli elementi al loro annul-lamento nel significato globale. Con questa differenza rispetto aProust. Che l’incremento di senso fuori dai regimi normativi che neè la conseguenza, concerne, in poesia, i singoli lessemi, a motivo deiloro investimenti nelle strutture fonico-ritmiche o delle loro sovra-determinazioni nelle trasposizioni metaforiche; mentre in Proust ri-guarderà, sostanzialmente, i segmenti delle varie proposizioni inci-dentali e subordinate, che di fatto permangono in attesa del compi-mento delle rispettive relazioni di dipendenza sintattica.

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NIENT’ALTRO CHE UNA SPAZIATURA DELLA LETTERA...

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Evidentemente, di siffatta fenomenologia è il Coup de dés mal-larméano che offre la rappresentazione più compiuta, e addirittura –come si è detto – iperbolica, ove la sovradeterminazione semanticadei singoli segmenti frastici sintatticamente sospesi, rimane, atutt’oggi, senza altri esempi in letteratura suscettibili di venirle pa-ragonati.

Ma, ancora con riguardo alla spazialità della lettera, non più pe-rò dovuta alla costruzione ipotattica della frase, sarà opportuno ri-cordare altresì Flaubert, per la sua applicazione a quella che abbia-mo definito – in vari lavori su questo autore – scrittura armonica ovolumetrica: ove le procedure di relazione tra determinati punti deidiversi piani del testo sono suscettibili di produrre gli stessi effetti disovradeterminazione qui segnalati, analoghi a quelli che si danno inpoesia e che, per ciò stesso, quanto a Flaubert, avevamo contrasse-gnato con l’etichetta di “poesia della prosa” (ove è immanente,all’origine, la medesima matrice di carattere spaziale).

A questo proposito, è istruttivo segnalare l’introduzione, in al-cuni testi di Flaubert, della figura strutturale della rapportatio checaratterizza soprattutto la poesia barocca ed è esemplificabile, almeglio, in alcuni superbi sonetti di Jodelle e di Sponde: struttura cheopera una drastica neutralizzazione del percorso orizzontale – pro-gressivo e temporale – secondo il quale si svolge normalmente lascrittura, a profitto di una sua elaborazione ostentatamente verticalee, per ciò stesso, dell’ordine della spazialità.

Basti un solo esempio, tratto dal grande capitolo di Madame Bo-vary sui “comices agricoles”, vera e propria “sinfonia” (parolad’autore) interamente orchestrata sulle relazioni degli elementi atutti i livelli del testo. Ecco il brano sulla rapportatio (ternaria), in-dice per eccellenza (per statuto) di preordinata spazialità (secondaparte, cap. VIII del romanzo):

et par le beau temps qu’il faisait, les bonnets empesés, les croix d’oret les fichus de couleurs paraissaient plus blancs que neige, miroi-taient au soleil clair, et relevaient de leur bigarrure éparpillée lasombre monotonie des redingotes et des bougerons bleus.

È evidente che la collocazione innaturale dei singoli segmenti se-condo l’asse della verticalità, è all’origine della loro parziale auto-nomia con conseguente sovradeterminazione semantica.

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E non sarà un caso se, nell’ambito del comune seppur diversoperseguimento d’una spazialità nella lettera del discorso, ancheProust si imbatterà nella figura strutturale qui notificata e descritta.

Ho sottomano un esempio minimo ma quanto significativo, an-che perché la figura della rapportatio, in questo caso binaria, è statadistrutta dagli editori dell’ultima edizione in quattro volumi dellaRecherche nella collana della Pléiade.

È nel brano su Tansonville che apre il Temps retrouvé, ove ilNarratore, dopo aver parlato della degradazione di Saint-Loupnell’omosessualità, ne presenta anche una serie mirabile di meta-morfosi: dapprima in quella del colore tipico dei Guermantes cheperò in Saint-Loup si configura come “l’ensoleillement d’une jour-née d’or devenu solide”; e successivamente in quella d’un uccello dispecie rara, per cui, quando

cette lumière changée en oiseau se mettait en mouvement, en action,quand par exemple je voyais Robert de Saint-Loup entrer dans unesoirée où j’étais, il avait des redressements de sa tête si soyeusementet fièrement huppée sous l’aigrette d’or de ses cheveux un peu dé-plumés, des mouvements de cou tellement plus souples, plus fiers etplus coquets que n’en ont les humains, que devant la curiosité etl’admiration moitié mondaine, moitié zoologique qu’il vous inspi-rait, on se demandait [qui comincia la rapportatio bimembre] sic’était dans le faubourg Saint-Germain qu’on se trouvait ou au Jar-din des Plantes, et si on regardait traverser un salon ou se promenerdans sa cage un grand seigneur ou un oiseau.

Ed ecco come la raffinata strutturazione verticale della rapporta-tio viene annullata, nella nuova edizione della Pléiade, attraverso lariduzione della frase alla linearità orizzontale canonica: “on se de-mandait si c’était dans le faubourg Saint-Germain qu’on se trouvaitou au Jardin des Plantes et si on regardait un grand seigneur traver-ser un salon ou se promener dans sa cage un oiseau”.

Per precisare ulteriormente quanto abbiamo sin qui avanzato cir-ca la spazialità della lettera nell’ambito della grande frase ipotatticadella Recherche, diremo che questa si configura, di fatto, come uninsieme di frammenti che, al pari dei tasselli di un puzzle, attendonoil loro completamento ma che, intanto, deferiscono al lettore tuttala carica della loro semanticità momentaneamente irrelata (è la for-za dal particolare insita nel tassello del puzzle).

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A questa fenomenologia della frase proustiana, si potrebbe adat-tare un’immagine che l’interessato dedica alla musica di Vinteuil, ilcompositore che, per il Narratore e protagonista della Recherche,rappresenta il modello più compiuto dell’arte, successivo a quello,insufficiente, di Bergotte (per l’arte della parola), e a quello, parzia-le, di Elstir (per l’arte visiva). Ebbene, di quella “festa sconosciuta evariegata” (“la fête inconnue et colorée”) che è la musica di Vin-teuil, le singole realizzazioni costituirebbero “i frammenti disgiunti,le schegge dai contorni scarlatti” (“les fragments disjoints, les éclatsaux cassures écarlates”): altrettanti tasselli splendenti di autonomia,e tuttavia vocati a comporre l’unità della “festa sconosciuta e varie-gata” dell’opera stessa.

In un’intervista apparsa nel 1978 su un periodico giapponese, in-titolata La scène de la philosophie, ora pubblicata nel II volume diDits et écrits, Michel Foucault elabora, in termini di grande sugge-stione intellettuale ed emotiva, l’opposizione classica spazio vs tem-po: collegando la nozione di tempo alla metafisica e all’ideologia e,in definitiva, al concetto di “storia”, mentre introduce nella nozionedi spazio l’insieme delle pratiche concernenti il sapere della moder-nità: dall’epistemologia alle varie scienze e discipline sperimentali,ecc.

Diremo allora che la modernità, a tutt’oggi inconcussa, della Re-cherche sta nell’aver sottomesso l’esperienza mentale e fisica deltempo che costituisce il motivo centrale e irradiante del libro, a unapratica, tutta sperimentale, dello spazio (della spazialità) sul pianodella scrittura, attraverso l’elaborazione inintermessa di una fraseipotattica senza esempi nella storia della prosa francese.

Di questa sottomissione – per continuare ancora con Foucault –dell’ideologia e della metafisica del tempo all’epistemologia, squisi-tamente moderna, dello spazio, si ha la stupefacente dimostrazionenel finale del grande libro: ove la parola centrale, la parola fatale,così perentoriamente enunciata all’incipit dell’opera, la parola“tempo” (“Longtemps – je me suis couché de bonne heure”), nellasua ripresa simmetrica alla fine, risulta sottoposta, prima di venirproferita, agli insistiti differimenti di una spaziatura sintattica com-plessa, e quasi intralciata nelle strutture dei propri rinvii:

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[...] il ne me semblait pas que j’aurais encore la force de maintenirlongtemps attaché à moi ce passé qui descendait déjà si loin. Dumoins, si elle m’était laissée assez longtemps pour accomplir monœuvre, ne manquerais-je pas d’abord d’y décrire les hommes (celadût-il les faire ressembler à des êtres monstrueux) comme occupantune place si considérable, à côté de celle si restreinte qui leur estréservée dans l’espace, une place au contraire prolongée sans mesure– puisqu’ils touchent simultanément, comme des géants plongésdans les années, à des époques si distantes, entre lesquelles tant dejours sont venus se placer – dans le Temps.

Così, la frase, l’ultima frase della Recherche, col suo ostinato,anche faticoso, intreccio di subordinate e di incidentali, prima diarrivare ancora alla parola “tempo”, e dopo aver ripreso per duevolte, per prepararne l’avvento, l’avverbio dell’incipit che lo contie-ne, finirà per predisporne l’occorrimento, emblematico e conclusivo,come letteralmente incorporato nella spaziatura della sintassi di su-bordinazione e del rinvio: quella stessa che ne ha imbrigliato tutto ilpercorso tra l’uno e l’altro dei due ‘pilastri terminali’.

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Finestre, serre, telescopi, acquari:lo sguardo dall’esterno nelladescrizione proustiana

MARISA VERNA

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Marisa VernaProfessore Ordinario di Letteratura francese pressol’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Siè occupata di teatro simbolista francese e di MarcelProust.

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1. Lo spazio della “Recherche”

Anche se pochi lo hanno letto per intero, il romanzo di Proust ècertamente celebre: ad oggi in Francia si contano ogni anno piùpubblicazioni su Proust che su Napoleone o De Gaulle, e la Recher-che è stata classificata – non a caso – un “lieu de mémoire”, ‘luogodella memoria’, nella gigantesca opera di Pierre Nora che raccoglietutti quei ‘monumenti’, siano essi architettonici o solo culturali, chevanno a costituire la memoria – e l’identità – della nazione france-se1. Altrettanto nota è l’importanza della struttura temporalenell’opera proustiana: qualunque antologia scolastica di buon livelloriporta infatti il brano “della madeleine”, che illustra il meccanismodella memoria involontaria, cui spesso viene ridotto, con una sined-doche – quanto mai particolarizzante – tutto il significato diun’opera immensa. Non tenteremo certo qui di riparare ai torti chela mitizzazione ha arrecato al capolavoro proustiano2. Ci limiteremoa illustrare un angolo di quell’universo, che crediamo significativo edegno si essere studiato: ci concentreremo su un particolare tipo disguardo, inaugurato nella letteratura francese da Baudelaire, e as-sunto da Proust nella propria estetica con modalità proprie ma con

1 Les lieux de mémoire, P. Nora ed., voll. I-III, Gallimard, Paris 1984. Il testorelativo a Proust si trova nel volume III, t. 2, Les France, sezione “Traditions”, afirma di Antoine Compagnon (pp. 927-967). Ricordiamo peraltro che la parola‘monument’ in francese assume anche il significato di ‘testimonianza’: “oggetto cheattesta l’esistenza, la realtà di qualcosa, e che può servire da testimonianza”. (TLF,ad vocem). L’esempio scelto dal Trésor de la langue française, tratto da Michelet,si riferisce appunto alla lingua francese, considerata il principale monumento dellanazione.

2 Rimandiamo per questo al testo sopraccitato di Antoine Compagnon, chetratta ampiamente il problema della mitizzazione e commercializzazione dell’operaproustiana.

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finalità non troppo lontane da quelle dell’illustre predecessore, cheProust definiva “vera figura di Michelangelo del nostro secolo”3.

2. Lo spazio nella “Recherche”: ottica e stile

Prima di entrare nel merito del problema sono però necessarie al-cune premesse. Non si può infatti negare che la struttura del temposia centrale nel progetto narrativo proustiano; tuttavia essa può di-spiegarsi solo grazie alla dimensione dello spazio: ovvero entro iconfini di un mondo reale che il tempo psichico dilata e trasforma,in una geografia della coscienza di cui la scrittura si fa ‘traduzione’.L’universo della Recherche si dispiega infatti in un accumulo quasifantasmagorico di posti, città, paesaggi, camere, strade, scorci e ve-dute, descrizioni spesso riproposte in più luoghi del romanzo, daangolazioni diverse e in situazioni narrative nuove, che mostranoquanto poco ci sia dato di comprendere del mondo che ci circonda,il quale pare vorticare in un succedersi incessante di cambiamenti eperdite di significato.

Nell’unica monografia critica dedicata specificamente allo spazionella Recherche, Georges Poulet afferma infatti che “à côté dutemps retrouvé, il y a l’espace retrouvé. Ou pour parler plus pré-cisément, il y a un espace enfin retrouvé, un espace qui se trouve etse découvre, en raison du mouvement déclenché par le souvenir”4.Come ricorda ancora Poulet, quel che esce dalla tazza di tè in cui èstata inzuppata la madeleine non è soltanto l’infanzia ritrovatadell’eroe, ma tutto il villaggio di Combray: chiesa, case e giardini,ricollocati nella geografia della coscienza ma ancorati infine a un

3 Lettera a Charles Du Bos del 23 luglio 1921, in Correspondance, Ph. Kolbed., Plon, Paris 1993, t. XXI. La traduzione è nostra. D’ora in poi le citazioni dallacorrispondenza faranno riferimento a questa edizione e saranno indicate conl’abbreviazione Corr., seguita dal numero romano del volume corrispondente.

4 L’espace proustien, Gallimard, Paris 1982 [1963], p. 76; [tr. it. G. Posani, Lospazio di Proust, Guida, Napoli 1972]. Traduciamo il testo citato: “Accanto altempo ritrovato, c’è lo spazio ritrovato. O per parlare più precisamente, c’è unospazio infine ritrovato, che si trova e si scopre grazie al movimento innescato dalricordo”.

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“ensemble topographique solide, qui n’erre plus”5. Del resto lo stes-so Proust usò quasi esclusivamente metafore spaziali per definire iltempo nella scrittura, e nel descrivere la propria estetica si servì piùvolte della metafora ottica del telescopio; in una lettera a AndréLang dell’ottobre 1921 egli commentava così la propria opera:

L’expression roman d’analyse ne me plaît pas beaucoup. Elle a prisle sens d’étude au microscope, mot qui lui-même est faussé dans lalangue commune, les infiniment petits n’étant pas du tout – lamédecine le montre – dénués d’importance. Pour ma part mon in-strument préféré de travail est plutôt le télescope que le microscope6.

Nel volume conclusivo della Recherche viene ripresa la medesimaimmagine, in termini quasi identici, cui però si aggiunge una preci-sazione: se i lettori, anche i meglio intenzionati, credevano di indi-viduare un’analisi al microscopio nelle sue pagine, è perché gli‘oggetti’ che egli aveva descritto erano molto grandi, ma così lon-tani da parere piccolissimi. Egli aveva voluto disegnare dei“mondi”:

je m’étais, au contraire, servi d’un télescope pour apercevoir deschoses, très petites, en effet, mais parce qu’elles étaient situées à unegrande distance, et qui étaient chacune un monde. Là où je cherchaisles grandes lois, on m’appelait fouilleur de détails7.

Ancora, nel 1913, in prossimità della prima pubblicazione delprimo tomo del romanzo, Proust aveva definito la propria conce-

5 Ibid., pp. 26-27.6 Lettera a André Lang, seconda metà di ottobre 1921, Corr, XX, pp. 496-497.

Pubblicato poi in “Les Annales Politiques et Littéraires”, 78, 26 février 1922, p.236. Questo passo ricorda evidentemente il celebre pensiero di Pascal sui due uni-versi. Proust era un lettore di Pascal, e l’accostamento è possibile, anche se il rife-rimento non è esplicito.

7 Il Tempo Ritrovato, in Alla Ricerca del Tempo Perduto, IV, tr. di G. Raboni,Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2006, “I Meridiani”, p. 752: “era invece diun telescopio che mi ero servito per scoprire cose piccolissime, è vero, ma per ilfatto di essere situate a grande distanza, e ciascuna delle quale era un mondo. Mi sichiamava collezionista di particolari, mentre erano le grandi leggi che cercavo”.D’ora in poi, salvo diversa indicazione, questa è l’edizione italiana di riferimento.L’edizione francese è invece A la Recherche du Temps Perdu, Gallimard, Paris1987-1989, voll. I-IV, J.-Y. Tadié ed., “Pléiade”. I diversi tomi saranno indicaticon il titolo specifico e il numero del volume.

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zione del tempo narrativo con la metafora spaziale di “geometrianello spazio”8. In ultimo, per definire lo stile, concetto nel quale perProust si concentrano tutti i significati dell’arte, egli parla sempre edesclusivamente di visione. La sua celebre definizione dello stile suo-na infatti così:

Le style pour l’écrivain aussi bien que la couleur pour le peintre estune question non de technique mais de vision. Il est la révélation,qui serait impossible par des moyens directs et conscients, de la dif-férence qualitative qu’il y a dans la façon dont nous apparaît lemonde, différence qui, s’il n’y avait pas l’art, resterait le secret éter-nel de chacun9.

In una lettera all’amico La Rochefoucault del 1904, infine,Proust paragonava l’artista a Nabuchodonosor, che è il solo a rice-vere da Dio una visione mentre gli altri non vedono che il nudo mu-ro10. Per creare bisogna dunque innanzitutto saper vedere.

3. Finestre, serre e acquari

Posta così, quasi sbrigativamente, la rilevanza del problema dellospazio nella Recherche, veniamo a quel particolare tipo di sguardo

8 Swann expliqué par Proust, intervista firmata Elie-Joseph Bois e pubblicatanel quotidiano “Le Temps” del 12 novembre 1913, due giorni prima della pubbli-cazione del romanzo. Le risposte attribuite a Proust corrispondono ad un articoloda lui stesso redatto a questo fine prima dell’intervista. Oggi in Essais et articles, inContre Sainte-Beuve, précédé de Pastiches et Mélanges et suivi de Essais etArticles, P. Clarac et Y. Sandre ed., Gallimard, Paris 1971, “Pléiade”, pp.557-559(cit. p. 557).

9 Le Temps retrouvé, IV, 474. Traduzione italiana in Il Tempo Ritrovato, IV,578: “Lo stile per lo scrittore, come il colore per il pittore, non è una questione ditecnica, ma di visione. È la rivelazione, che sarebbe impossibile attraverso mezzidiretti e coscienti, della differenza qualitativa esistente nel modo in cui il mondo ciappare, differenza che, se non ci fosse l’arte, resterebbe il segreto eterno di ciascu-no”.

10 “L’artiste est souvent comme Nabuchodonosor à qui le mur présentait unevision qu’il était seul à voir. Les autres ne voyaient que le mur nu” (Corr., IV, pp.332-335, cit. p. 333). [“L’artista è sovente come Nabuchodonosor cui il il muropresentava una visione ch’egli era solo a vedere. Gli altri non vedevano che il nudomuro”. La traduzione è nostra. I riferimenti biblici sono i seguenti: Libro di Danie-le, 1-7; Ezechiele, XXVII, 10 et 12].

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cui intendiamo dedicarci: le tecniche di variazione dei punti di vistain Proust sono infatti molteplici e molto sapienti, e sono state ormaipiù volte studiate dalla critica narratologica11. Non ci risulta peròche uno studio sistematico sia mai stato dedicato allo sguardodall’esterno: osservando finestre chiuse, vetrate, mondi celati e spes-so immaginati, il lettore è infatti spesso risucchiato fino ad un mi-sterioso ‘occhio del ciclone’, in cui spazio e tempo finiscono percoincidere. I passaggi relativi a questo approccio al testo proustianosono numerosi, e offrirebbero materia per uno studio molto vasto.Noi menzioneremo quelli che ci sono parsi più significativi, ma lavia ci pare aperta verso indagini probabilmente feconde12.

Come abbiamo accennato all’inizio di questa comunicazione, èBaudelaire a scegliere per primo di porsi dall’altro lato della fine-stra, e di osservare da quel punto di vista inedito un mondo soloapparentemente banale. Nel poemetto in prosa Le finestre egli af-ferma con decisione la superiorità di questo punto di vista rispetto aquello tradizionale:

Colui che guarda dal di fuori attraverso una finestra aperta, non ve-de mai tante cose come chi che guarda una finestra chiusa. Non v’èoggetto più profondo, più misterioso, più fecondo, più tenebroso epiù abbagliante di una finestra illuminata da una candela. Quel chesi può vedere al sole è sempre meno interessante di ciò che sfila die-tro un vetro. In quel buco nero o luminoso vive la vita, e sogna, esoffre. Di là dei marosi dei tetti, intravedo una donna matura, rugo-sa già, povera, sempre piegata su qualcosa, e che non esce mai. Col

11 Riportare una bibliografia in questo senso sarebbe impossibile, vistal’ampiezza della materia. Rimandiamo alla summa degli studi narratologici, ovveroa G. Genette, Figures III, Seuil, Paris 1972. IL volume di Genette applica come no-to la teoria narratologica espressamente a Proust.

12 Esistono invece numerosi studi sul tema del voyeurismo in Proust, che solo inparte concerne il nostro oggetto di studio: nei casi di voyeurismo infatti, ciò cheviene osservato è una ‘scena’, segreta e altrimenti non rivelabile da parte del Narra-tore, che deve essere necessariamente osservata dall’eroe da un punto di vista invi-sibile. Su questo tema rimandiamo a M. Lavagetto, Chambre 43. Un lapsus deProust (1991), trad. fr., Belin, 1996. Rimandiamo inoltre a A. Compagnon, LeNarrateur en procès, in Marcel Proust 2. Nouvelles directions de la rechercheproustienne, Rencontres de Cerisy-la-Salle, 2-9 juillet 1997, B. Brun ed., LettresModernes Minard, Paris-Caen 2000, pp. 309-334.

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suo viso, i suoi vestiti, i suoi movimenti, con quasi niente, ho rifattola storia di questa donna, o piuttosto la sua leggenda, e a volte me laracconto singhiozzando. Fosse stato un uomo vecchio, povero,l’avrei ricostruita con la stessa facilità. E mi corico fiero di aver vis-suto e dolorato in altri che me. Forse voi mi direte: “Sei sicuro chequesta leggenda sia la verità?” Che mi importa quale può essere larealtà che esiste fuori di me, se la mia mi ha aiutato a vivere, a senti-re che esisto, e che cosa sono?13

Se la finestra aperta disvela banalmente il reale, e rischia di di-ventare un ‘quadro di genere’, senza spessore e senza mistero, lastessa finestra vista dall’esterno, chiusa e illuminata da una candela,apre al poeta l’universo misterioso ed infinito del cuore umano.Anzi, essa gli apre il suo stesso cuore, di cui può infine avere co-scienza14. Come vedremo, Proust raccoglie l’invito di Baudelaire, fa-cendolo proprio e assimilandolo alla propria estetica: alle visionidall’esterno sarà infatti attribuito un ruolo di ‘indice dello stile’, se-gnale esplicito di artisticità cui incessantemente rimanda il flussodella scrittura nella Recherche, ma che solo alcune strutture testualipossono rappresentare15. Vediamo dapprima un passo del Côté deGuermantes, in cui l’allusione al poemetto baudelairiano pare quasiesplicita; l’eroe attende la carrozza dei duchi di Guermantes, e deci-de di spiare il loro arrivo da una stanzetta che gli sembra un buonpunto di osservazione. La posizione in realtà non è ben scelta perscorgere la carrozza dei duchi: è pertanto ‘inutile’ in un senso stret-

13 Traduzione italiana di Giovanni Raboni: Ch. Baudelaire, Opere, Mondadori,Milano 1996, “I Meridiani”, p. 449; testo francese: Les fenêtres, in Petits Poëmesen prose, in Œuvres Complètes, Laffont, Paris 1980, “Bouquins”, p. 198.

14 Su Baudelaire e la sua poetica, si veda S. Cigada, Cultura simbolista e culturanaturalista, in Simbolismo e Naturalismo: un confronto, Atti del Convegno, Uni-versità Cattolica Sacro Cuore, Milano, 8-11 marzo 2000, Vita e Pensiero, Milano2006, pp. 23-120.

15 Sulle strutture testuali nella Recherche e sulla loro organizzazione si veda S.Agosti, Realtà e Metafora, Indagini sulla “Recherche”, Feltrinelli, Milano 1997. Siveda inoltre l’articolo di E. Sparvoli, Un ‘Rembrandt’ di Proust. Analisi di un pas-so del “Côté de Guermantes”, “L’Analisi Linguistica e Letteraria”, 1-2, 2002, pp.461-480. L’autrice analizza una delle pagine su cui noi passeremo solo superfi-cialmente, e utilizza il termine di senhal per quei passaggi in cui Proust nomina di-rettamente un artista, in questo caso Rembrandt, per dare al lettore il ‘segnale’ diun brano di “stile in azione”. Non tutti i brani che ci interessano sono caratteriz-zati dal senhal, ma tutti costituiscono secondo noi indici di artisticità.

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tamente narrativo, e permette l’ingresso nella gratuità dello stile.Dalla stanzetta in cui si trova egli osserva infatti i tetti delle case checircondano il palazzo, i camini che paiono tulipani in un giardino diDelft, e soprattutto le finestre che si fronteggiano, tanto sono vicine:

D’altra parte, l’estrema vicinanza delle case fa di ognuna delle lorofinestre che si fronteggiano su uno stesso cortile, la cornice di unquadro: qui una cuoca guarda in basso immersa in fantasticherie: unpo’ più in là, una fanciulla si fa pettinare da una vecchia il cui volto,appena affiorante dall’ombra, sembra quello di una strega; e cosìogni cortile offre al vicino della casa accanto, sopprimendo qualsiasirumore con la distanza, esibendo i gesti silenziosi in un rettangolomesso sotto vetro dalle finestre chiuse, una mostra di cento quadriolandesi giustapposti16.

Lo sguardo si organizza qui secondo una prospettiva triangolare:l’eroe osserva dall’interno di una finestra altre finestre chiuse –“rettangoli messi sotto vetro” –, le quali costituiscono a loro voltapunti di osservazione per altre finestre, altri “quadri”, dentro i qualiscene di vita quotidiana si trasformano in opere d’arte: “una mostradi centro quadri olandesi”, allusione diretta ad uno specifico stileartistico, un senhal secondo Eleonora Sparvoli. Anche in quel passo,del resto, Marcel osservava dalle “finestre illuminate di qualche ca-seggiato […] scene veridiche e misteriose di esistenze per [lui] impe-netrabili”17.

Veniamo ora al brano cui dedicheremo una maggior attenzione.Esso si colloca sul finire di quello che potremmo chiamare il“romanzo di Gilberte”, nella prima parte cioè di All’ombra dellafanciulle in fiore”. Dopo la rottura con la ragazza, l’eroe continua afrequentare la sua casa, invitato da Odette nel suo salotto e ai suoi

16 La parte di Guermantes II, in Alla Ricerca del Tempo Perduto, II, pp. 687-688. I corsivi sono nostri. Il testo francese si trova in CG II, II, p. 868.

17 Riportiamo in brano in versione più estesa: “E le vie di quella città non eranoancora per me come i luoghi dove abitiamo abitualmente, semplici tramiti per spo-starci da un punto a un altro. Mi sembrava che per gli abitanti di quel mondo sco-nosciuto la vita dovesse essere meravigliosa, e spesso le finestre illuminate di qual-che caseggiato mi facevano sostare a lungo, immobile nella notte, mettendomi sot-to gli occhi scene veridiche e misteriose di esistenze per me impenetrabili” (in Laparte di Guermantes I, II, p. 111, il corsivo è nostro). Testo francese: CG I, II, p.395.

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“tè”. Come nei due passi precedentemente citati la scena si svolgeall’imbrunire, condizione necessaria perché la ‘contemplazione’ delreale si trasformi in ‘stile’. A ciò si aggiunge il dettaglio, apparente-mente inutile, della scarsa illuminazione di una “Parigi più buiadell’odierna”, dove le lampade di un salotto “sito a pianterreno o alivello di un ammezzato molto basso (com’era, fra i suoi apparta-menti, quello in cui Madame Swann riceveva)” bastavano ad attira-re l’attenzione del passante, affascinato anche dal coupé che sostasulla soglia. A questo punto si inserisce la descrizione del “giardinod’inverno”, apparentemente gratuita, e che certo potrebbe essereespunta da un computo dei “nuclei narrativi” in senso stretto18:anch’essa si segnala dunque come ‘brano di stile’. Riporto il branoper intero, che ho suddiviso attraverso una doppia barra nelle trescansioni testuali che ho identificato, e in cui per comodità ho se-gnalato in corsivo le formule correlative che introducono una simili-tudine o un paragone19.

Il “giardino d’inverno” che, in quegli anni, il passante scorgeva co-munemente, qualunque via percorresse, purché l’appartamento nonfosse troppo in alto rispetto al livello del marciapiede, oggi non lo sivede più che nelle incisioni dei libri strenna di P.-J Stahl20, dove, incontrasto con i rari ornamenti floreali degli odierni salotti Luigi XVI– una rosa o un iris del Giappone in un vaso di cristallo dal lungocollo che non potrebbe contenere un solo fiore in più – si direbbe,per la profusione delle piante d’appartamento e l’assoluta mancanzadi stilizzazione con cui erano sistemate, che le padrone di casa ob-bedissero, nel realizzarlo, a una viva e deliziosa passione per la bo-tanica piuttosto che a un freddo disegno di morta decorazione. Que-sto ricordava, ma più in grande, nelle case d’allora, le minuscole ser-re portatili deposte, il mattino del 1° gennaio, sotto la lampada acce-sa – poiché i bambini non hanno avuto la pazienza d’aspettare che

18 Per un’illustrazione del concetto di “nucleo narrativo” [semplificando: unepisodio che fa avanzare il racconto, e senza il quale la storia non può procedere]si veda A. Marchese, L’officina del racconto, Mondadori, Milano 1983.

19 Marcel Proust, “Intorno a Madame Swann”, in All’ombra delle fanciulle infiore, pp. 716-717. Si vedano le figure 1 e 2.

20 Pseudonimo di Pierre-Jules Hetzel, editore di una fortunata serie di libri perl’infanzia, la “Bibliothèque de Mademoiselle Lili”, pubblicata tra il 1865 e il 1911.Stahl firmava egli stesso queste esili storielle domestiche, illustrate da Lorenz Froe-lich.

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facesse giorno – in mezzo agli altri regali di capodanno, ma come ilpiù bello, capace di consolarci, con le piantine da coltivare, dellanudità dell’inverno; // somigliavano, quei giardini d’inverno, più an-cora che a tali serre, a un’altra che faceva mostra di sé accanto adesse, raffigurata in un bel libro, altro regalo di capodanno, e che,sebbene non fosse destinata ai bambini, ma a Mademoiselle Lili,eroina del romanzo, li affascinava a tal punto che, ormai quasi an-ziani, si domandano ancora se in quegli anni fortunati l’inverno nonfosse la più bella delle stagioni. //Infine, in fondo a quel giardinod’inverno, attraverso le arborescenze di varie specie che, dalla stra-da, facevano somigliare la finestra illuminata alle vetrine di quelleserre per bambini, disegnate o reali, il passante, alzandosi sulla pun-ta dei piedi, scorgeva perlopiù un uomo in redingote, con una gar-denia o un garofano all’occhiello, in piedi davanti a una signora se-duta, entrambi vaghi come due intagli in un topazio, sprofondatinell’atmosfera del salotto al quale il samovar, importazione allorarecente, infondeva l’ambra dei suoi vapori – vapori che, forse, conti-nua ancor oggi ad emettere ma senza che nessuno, per effettodell’abitudine, li riesca più a vedere.

L’osservatore di questa scena è l’anonimo “passante” di un tem-po ormai perduto. Il contrasto fra ciò che si poteva vedere “allora”e ciò che si vede in un vago presente della scrittura è sottolineatocostantemente, fino al termine del brano, dove viene risolto dallamagia dello stile. Guardando dalla strada si era dunque in grado, aitempi in cui il giovane Marcel si recava ai tè di Odette, di osservarequasi dovunque a Parigi, delle serre illuminate: serre che “oggi” sipossono osservare solo nelle incisioni dei libri strenna di P.-J. Strahl.L’allusione alla fortunata serie della “Bibliothèque de MademoiselleLili” ci trasporta nel magico mondo dell’infanzia. Il primo passoverso la fantasmagoria spazio-temporale è compiuto: il passante-lettore entra nell’universo del ricordo, e la prima similitudine –“questo ricordava, ma più in grande…” – lo introduce nella stanzafestosa dove sono stati allineati i doni del 1° gennaio [data nellaquale a quel tempo venivano consegnati i doni natalizi]. Sotto lalampada fa bella mostra di sé una serra portatile, simile a quella in-cisa nei libri strenna di Mademoiselle Lili, solo lievemente più gran-de. La seconda similitudine (“somigliavano, quei giardinid’inverno...”) fa avanzare il testo verso un avvitamento progressivo,in una sorta di “inscatolamento” mnemonico, e paragona i giardini

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d’inverno di allora ad un’altra serra portatile, questa volta disegnatanel libro stesso, e donata al personaggio immaginario di Mademoi-selle Lili. Lo sguardo dall’esterno del vetro procede, evidentemente,verso l’interiorità di chi scrive, e di chi legge. La dicotomia tempora-le – allora, “oggi” – è sottolineata ancora da quell’allusione aibambini che “oramai quasi anziani” rimpiangono quegli anni for-tunati in cui l’inverno era la più bella delle stagioni. A partire da“infine, in fondo a quel giardino d’inverno” il testo entra nel suovortice finale, che dovrà condurlo alla vera e propria fantasmagoria.Il passante guarda dal vetro della serra e letteralmente si incamminalungo le arborescenze di varie specie che – e incontriamo qui la ter-za similitudine – facevano somigliare i giardini d’inverno di alloraalle serre per bambini “disegnate o reali”. Le due similitudini prece-denti sono assunte in una sola, fuse in un unico movimento analogi-co e mnemonico. Giunto al termine del suo percorso lungo i ramidelle piante, il passante scorge, tuttavia, una ‘scena’ reale: un uomoin redingote – abito di foggia ottocentesca – davanti ad una signoraseduta. Ma è proprio a questa scena che Proust assegna il compitodi realizzare la metamorfosi del reale: introdotta da una quarta si-militudine – “entrambi vaghi come due intagli in un topazio” – lamagia dello stile ha luogo nell’unica vera metafora del brano.L’‘ambra’ dei vapori prodotti dal samovar, di colore dorato come iltopazio in cui sono intagliati i tratti dei due personaggi, avvolgel’immagine osservata dal vetro nell’atmosfera densa e fluttuante chemolto spesso viene attribuita nelle pagine della Recherche alla se-gnalazione dello ‘stile’. La scrittura ha infatti il compito, per Proust,di ‘fondere’ gli elementi del reale, di associarli tra loro attraverso lametafora, senza però che questa annulli le differenze fra gli oggetti:proprio come una gelatina ben riuscita – immagine utilizzata piùvolte da Proust per definire la verità dello stile21 – essa deve rendercicapaci di ‘assimilare’ la realtà, di nutrirci della sua bellezza. La sce-na che abbiamo osservato dall’esterno della vetrata esiste infatti

21 Sull’immagine della gelatina come metafora della pienezza e dello stile cipermettiamo di rimandare al nostro studio La synesthésie comme véhicule d’extasedans le “Côté de chez Swann” de Marcel Proust, in Atti del Congresso Linguisti-que et Littérature. Diachronie et Synchronie. Autour des travaux de Michèle Perret(Chambéry, 14-16 novembre 2002), CD ROM, Université de la Savoie, Chambéry2006, 233-247.

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fuori dal tempo – “vapori che, forse, continua ancor oggi ad emette-re…” –: solo l’abitudine, la peggior nemica della conoscenza e dellaverità, ci impedisce di vederla.

Il colore dorato, la luminosità ambrata, il movimento fluido e avortice della luce sono delle costanti di alcuni brani della Recherche,che similmente a questo sono destinati a mettere in atto lo stile. Essisono presenti nel brano del Guermantes studiato da Eleonora Spar-voli nell’articolo già menzionato, e lo sono anche in alcuni passaggiche scorreremo brevemente ora, in cui compare l’immaginedell’acquario22. Ne abbiamo scelti due, pregnanti per la questionedello sguardo che qui ci interessa.

Siamo nel Grand-Hôtel di Balbec, e il Narratore descrive ungruppo di amici che vivono isolati dagli altri villeggianti, ignorandoil mare e anche la sala da pranzo dell’albergo

E la sera non cenavano all’albergo, dove dalle sorgenti elettrichesgorgava a fiotti la luce nella grande sala da pranzo, la quale diven-tava come un immenso e meraviglioso acquario dinanzi alla cui pa-rete di vetro la popolazione operaia di Balbec, i pescatori e anche lefamiglie piccolo-borghesi, invisibili nell’ombra, si schiacciavano con-tro i vetri per scorgere, lentamente oscillante fra risucchi d’oro, la vi-ta lussuosa di quelle persone, straordinaria per i poveri quantoquella dei pesci e dei molluschi strani (un grande interrogativo socia-le è se la parete di cristallo proteggerà sempre il festino delle bestiemeravigliose e se la gente oscura che guarda nella notte non verrà acatturarle nel loro acquario e a mangiarle). Intanto fra la folla fermae confusa nella notte, c’era forse qualche scrittore, qualche amatored’ittiologia umana, che, guardando le mascelle di vecchi mostrifemminili richiudersi su un pezzo di cibo inghiottito, si compiacevadi classificarli per razza, per caratteri innati, ed anche per quei carat-teri acquisiti i quali fanno sì che una vecchia signora serba, la cuiappendice boccale è da grosso pesce di mare, per il fatto di esser vis-

22 I passaggi in cui viene utilizzata l’immagine dell’acquario sono almeno dieci.Pur diversi fra loro per situazione narrativa e significato, essi conservano un’unitàdi composizione che varrebbe uno studio più attento. I riferimenti a tali brani sonoi seguenti: Du côté de chez Swann, I, pp. 285-286 e p. 322; A l’ombre des jeunesfilles en fleur, I, p. 551, II, p. 41-42 e p. 170. Du côté de Guermantes I, II, p. 343 ep. 578; Sodome et Gomorrhe, III, p. 436; Albertine Disparue, IV, p. 102.

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suta fin dall’infanzia nell’acqua dolce del Faubourg Saint-Germain,mangi l’insalata come una La Rochefoucault23.

Come abbiamo accennato precedentemente, compare anche qui ildato della luce che “sgorga a fiotti” – il verbo francese utilizzato è“sourdre” – dalle “sorgenti” elettriche: dato questo un po’ sorpren-dente (esso pare più consono, per esempio, alle lampade a petrolioche producono un effetto analogo nella scena che si svolge a Don-cière), ma assolutamente necessario all’operazione di metamorfosidello spazio che deve aver luogo. La sala diventa così un acquario –un immenso e meraviglioso acquario – nel quale oscillano, fra“risucchi d’oro”, come pesci favolosi gli ospiti del Grand-Hôtel diBalbec. Fluidità, vortice, luce dorata segnalano anche qui lo ‘stile’,la pasta gelatinosa della scrittura che rifonde lo spazio e trasformalo sguardo24.

Lo sguardo assume infatti, come nel brano del Guermantes, unaprospettiva triangolare: l’eroe è all’interno della vetrata, il Narrato-re invece – “l’amatore di ittiologia umana” – all’esterno, e guarda se

23 Utilizziamo per questo passo l’edizione italiana precedente: All’ombra dellefanciulle in fiore, traduzione di F. Calamandrei e N. Neri, Mondadori, Milano1970 (Einaudi 1949), pp. 257-258. Abbiamo preferito questa traduzione, che anostro avviso lascia in questo caso più intatto il testo di partenza. Alcuni verbi(“sgorgare”), alcuni sostantivi (“risucchi d’oro”), e, nel brano che seguirà, altrescelte lessicali ci paiono indispensabili alla corretta interpretazione del testo. Iltesto originale si trova in A l’ombre des jeunes filles en fleur, II, pp. 41-42.

24 Come ha già sapientemente illustrato Giorgetto Giorgi, la scrittura di Proustha molte cose in comune con la scrittura barocca (Barocco e impressionismo inProust, “Rivista di letterature moderne e comparate”, dicembre 1965, pp. 283-298). Il passaggio sull’acquario è particolarmente adatto ad esemplificarequest’affinità: la presenza stessa dell’elemento acquatico, il ribaltamento di pro-spettiva, la trasformazione dei personaggi in pesci, degli osservatori in osservati,tutto in questo brano è consono all’estetica barocca. Ora, benché non sia a miaconoscenza mai citato da Proust, Saint-Amant nel suo Moyse sauvé descrisse unascena in cui il medesimo rovesciamento di prospettiva è presente: gli ebrei in fugaosservano se stessi negli ‘specchi’ dei muri d’acqua – “liquides rubis” nel testo delpoeta barocco – che attraversano, in cui i pesci e le creature marine appaiono comein un acquario. Si veda Saint-Amant, Marc-Antoine Girard (1594-1661; sieur de),Moyse sauvé: idile heroïque du sieur de St Amant: à la serenissime reine de Polo-gne et de Suède. Cito da Œuvres complètes de Saint-Amant, Jannet, Paris 1855, p.214. Ringrazio Monica Barsi per avermi segnalato questo passaggio.

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stesso guardare, vedendosi immerso nel medesimo spettacolo che èintento a descrivere25. Come afferma Anne Simon nel suo articolosulla descrizione nella Recherche

le narrateur […] se place imaginairement de l’autre côté du vitrage –alors que lui, héros, se situe à l’intérieur –, et des deux côtés, tran-sforme le motif de la fenêtre en objet de fascination, de malaise et debeauté. Quoi qu’il en soit des pressentiments du narrateur surl’existence probable d’un ‘kaléidoscope’ social26 dangereux e révolu-tionnaire, ce passage reste marqué par une esthétisation ironique(distanciée par une forme de comique presque caricatural), proched’un pastiche du style ‘artiste’: il se complaît à élaborer une ‘joliephrase’, à enjoliver une thématique symbolisant le cloisonnementapparent des mondes, et le désir, des deux côtés, mais surtout du cô-té extérieur – de franchir le ‘cadre de bois’27.

25 La medesima operazione, anche se in termini ovviamente diversi, è realizzatada Flaubert in Madame Bovary. Si veda su questo punto S. Cigada, Il pensieroestetico di Gustave Flaubert, in Contributi dell’Istituto di Filologia moderna. Seriefrancese, vol.11I, Milano, Vita e Pensiero, 1961, pp. 184-456, e E. Auerbach,Nell’hôtel de la Môle, Stendhal, Balzac, Flaubert, oggi in Mimesis: il realismo nellaletteratura occidentale, Einaudi, Torino 2000.

26 L’autrice rimanda a A. Henry, Le Kaléidoscope, “Cahiers Marcel Proust”, n.9, Etudes Proustiennes III, Gallimard, 1979, pp. 27-66.

27 A. Simon, Proust et la superposition descriptive, “Bulletin d’Informationsproustiennes”, 25, 1994, pp. 151-166, cit. pp. 153-154: “Il narratore si situaimmaginariamente dall’altro lato della vetrata – mentre lui, l’eroe, si situaall’interno – e dai due lati trasforma il motivo della finestra in oggetto difascinazione, di malessere e bellezza. A prescindere dai presentimenti del narratoresull’esistenza probabile di un ‘caleidoscopio’ sociale pericoloso e rivoluzionario,questo passaggio resta segnato da un’estetizzazione ironica (distanziata da unaforma di comico quasi caricaturale), prossimo al pastiche di uno stile ‘artiste’: eglisi compiace ad elaborare una ‘bella frase’, ad ornare une tematica che simboleggiala separazione dei mondi, e il desiderio, dalle due parti, ma soprattutto dal latoesterno, di varcare il ‘confine di legno’”. Il riferimento al “cadre de bois” è trattoda A l’ombre des jeunes filles en fleur, II, p. 43. Simon ricorda che il motivodell’acquario, apparentemente gratuito nelle Jeunes filles en fleur, tornerà in Al-bertine Disparue e si giustificherà anche dal punto di vista narrativo, quando l’eroesi interrogherà sulla presenza probabile di Albertine in quella folla di poveri e cu-riosi che preme sul vetro dell’acquario, presenza colpevole e angosciosa, poichécerto Albertine era là per sedurre qualche giovane operaia o contadina dei din-torni. Il risvolto tragico dell’episodio qui non ci interessa, o piuttosto non abbiamo

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L’acquario si trasferisce magicamente all’esterno delle pareti divetro durante le cene al ristorante di Rivebelle, dove l’eroe si reca incompagnia dell’amico Saint-Loup:

Qualche ora dopo [...] venivano accesi i lumi, benché fuori fosse an-cora chiaro, così che di fronte, nel giardino, accanto ai chioschi ri-scaldati dal crepuscolo e simili ai pallidi spettri della sera, si scorge-vano pergolati la cui glauca verzura era attraversata dagli ultimiraggi e che, dalla sala da pranzo immersa nella luce delle lampade,apparivano al di là dei vetri non più – come si sarebbe detto delle si-gnore sedute, nel tardo pomeriggio lungo il corridoio azzurrognolo edorato – in una rete umida e scintillante, bensì come le vegetazionidi un pallido e gigantesco acquario dalla verde luce soprannatura-le28.

Il punto d’osservazione dell’eroe è all’interno della sala da pran-zo – immersa, come ogni altra volta che il fenomeno della metamor-fosi deve verificarsi, nella luce delle lampade. Il gioco delle prospet-tive si è rovesciato: i pergolati sono infatti in posizione esterna ri-spetto a lui, che si trova pertanto ad osservarli come farebbe un pe-sce che nuota in una vasca – la similitudine precedente, che concer-ne invece le signore sedute nel corridoio e che sono assimilate a pe-sci catturati in una rete umida e scintillante, giustifica del restol’accostamento –. L’intero giardino si è dunque trasformato in ungigantesco acquario, la cui verde “luce soprannaturale” attua la me-tamorfosi: il reale, percepito dall’eroe in un tempo e un luogo dellastoria, è diventato ‘stile’.

Nuotiamo ancora in quell’acquario: ogni lettore di questa paginapuò ripetere l’esperienza. Così come possiamo scivolare lungo le ar-borescenze del giardino d’inverno, correndo a ritroso verso la serradisegnata in un libro d’infanzia, e poi uscire ancora dalla vetrata perosservare un intaglio nel topazio della luce.

il tempo di interessarcene, ma si aggiunge alle tante stratificazioni di questa de-scrizione.

28 “Nomi di paese: il paese”, in All’ombra delle fanciulle in fiore, tr. di G. Ra-boni, pp. 985-986.

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Se lo spazio si muove con noi, ciò è dovuto alla sapiente distri-buzione dei punti di vista adottati dal Narratore: duplicazione,triangolazione, sdoppiamento. Come afferma Sara Guindani nellasua monografia sulla visione nell’opera di Proust:

La visione proustiana […] assume profondità proprio attraverso ciòche nasconde: la sua binocularità consiste nel tenere un occhio aper-to su ciò che è visibile e con l’altro percepire l’alone invisibile da cuisporge quella stessa visibilità. Abbiamo visto come, per Proust, laquarta dimensione, quella altrimenti invisibile del Tempo, non possaprescindere dal rendersi visibile; in tal senso l’opera proustiana èmanifestazione di quel nodo che avvolge insieme spazio e tempo29.

Ed eccoci tornati al tempo: rovesciando l’affermazione che ab-biamo sostenuto all’inizio di questo studio, lo spazio si può esplica-re – e non solo nella Recherche, ma nella possibilità umana di pen-sarlo – solo nel tempo. Solo grazie al tempo, lo spazio si può ritro-vare: e in questo modo torniamo anche a Baudelaire, che ha com-preso per primo il fascino di una finestra chiusa, e per primo haconcepito la poesia come ‘fantasmagoria della memoria’. Ne Lepeintre de la vie moderne, Baudelaire affermava già infatti che “lafantasmagorie a été extraite de la nature. Tous les matériaux dont lamémoire s’est encombrée se classent, se rangent, s’harmonisent etsubissent cette idéalisation forcée qui est le résultat d’une perceptionenfantine, c’est-à-dire d’une perception aiguë, magique, à forced’ingénuité!”30.

Ora, Proust ha certo spostato il centro di tale percezione“infantile” – che per Baudelaire è l’imagination, magica facoltà chepermette all’artista di intuire l’armonia dell’universo – dall’ogget-tività dell’Assoluto alla soggettività dello spirito. Lo stile è ‘visione’,

29 S. Guindani, Lo stereoscopio di Proust. Fotografia, pittura e fantasmagorianella “Recherche”, Associazione culturale Mimesis, Milano 2005, p. 77.

30 Ch. Baudelaire, Le peintre de la vie moderne, à propos de Constantin Guy,Pierre Laffont, Paris 1980, «Bouquins», pp. 790-815, cit. p. 797. Tr. italiana di G.Piersanti, in Constantin Guy. Il pittore della vita moderna, Catalogo della mostratenutasi a Palazzo Braschi, 10 settembre – 5 ottobre 1980, SEMIR, Milano 1980,p. 48: “La fantasmagoria è stata estratta dalla natura. Tutti i materiali di cui lamemoria s’è ingombrata si classificano, si dispongono, si armonizzano e subisconoquell’idealizzazione forzata che è il risultato di una percezione infantile, cioè di unapercezione acuta, magica a forza di ingenuità”.

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guardare e concepire il mondo in un determinato modo e saper og-gettivare quello sguardo, in modo che altri possano entrarvi e vede-re a loro volta. L’arte resta tuttavia, anche per Proust, la sola espe-rienza capace di ingenerare ‘metamorfosi’, e, di conseguenza, verità.Il reale in quanto tale, ovvero lo spazio geometricamente e analiti-camente concepito, non esiste per Proust. Parlando della scritturaverista-naturalista in un articolo del 1913, Proust la definisce “cetteparodie de la vérité où le ‘néo-italianisme’ trouve le moyen de sup-primer toute réalité véritable et profonde”31. Dall’esterno di una fi-nestra chiusa si può invece guardare il tempo: se stessi nel tempo.

Figura 1.Modello di serra portatile

Fonte: Agence Régionale de l’Environnementde Haute-Normandie, www.arehn.asso.fr

Figura 2.Mademoiselle Lili à la campagne

Fonte: Institut Nationale de RecherchePédagogique, www.inrp.fr

31 Articolo ripubblicato in Textes retrouvés, Gallimard, Paris 1971, p. 278;l’articolo fu redatto nel 1913, pubblicato postumo ne Les Œuvres de M. ReynaldoHahn, “Conferencia”, 1er décembre 1923.

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Riflessioni sullo spazio della“Recherche”

DANIELA DE AGOSTINI

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Daniela De AgostiniProfessore Associato di Letteratura francese pressol’Università degli Studi di Urbino. Ha studiato alungo i brouillons del testo proustiano, oltre ad esse-re l’autrice di saggi su Balzac.

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Sin dall’inizio lo spazio – e non solo il tempo – connota in modoprivilegiato l’opera proustiana1. Nella ouverture della Recherche,infatti, sono subito indicati i luoghi in cui si dispiega la trama, e ildormeur éveillé non esita a ricordarli quando rivede, con la memo-ria del corpo, durante la notte insonne, la sua vita d’altri tempi “aCombray, in casa della prozia, oppure a Balbec, a Parigi, a Donciè-res, a Venezia, in altri luoghi ancora”, e non esita altresì “a ricorda-re i posti, le persone che vi avev[a] conosciute, quel che di loroavev[a] visto, quello che ne avevano raccontato”2. Se Combray, conBalbec e Doncières, sono luoghi immaginari, certo non lo sono Pa-rigi e Venezia, che rappresentano due spazi reali abitati però da per-sonaggi fittizi. In ogni caso questa pagina evoca in modo irrefutabilei luoghi in cui è tracciato il percorso esistenziale dell’eroe e, ognunodi essi, segna l’incontro con le persone che più hanno influenzato lavocazione finale del narratore, che appartengano all’universo fa-migliare, come la madre o la nonna, borghese, come Charles Swann,e aristocratico come i Guermantes, principi e duchi, o Robert deSaint-Loup o ancora il Baron de Charlus.

Tuttavia, prima di segnalare i luoghi in cui la ‘ricerca’ del tempoperduto e il suo rovesciamento in tempo ritrovato incontrano ilproprio percorso, il narratore ci offre, e proprio nell’incipit

1 «On voit donc clairement que, dès le premier moment du récit, l’œuvreproustienne s’affirme comme une recherche non seulement du temps, mais del’espace perdus». Si veda G. Poulet, L’espace proustien, Gallimard, Paris 1982 [Iedizione 1963], p. 19.

2 M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, tr. di G. Raboni, edizione direttada L. De Maria e annotata da A. Beretta Anguissola e D. Galateria, Mondadori,Milano 1983, coll. “I Meridiani”, vol. I, p. 12. (D’ora in avanti l’indicazione èRTP). Nella sua versione primitiva (cfr. Cahier 8) i luoghi rammentati erano: «[…]a Parigi, dai miei nonni, a Combray, a Querqueville»; quest’ultimo era il nomeprimitivo di Balbec (Esquisse IV della edizione francese a cura di J.-Y. Tadié, della«Bibliothèque de la Pléiade», Gallimard, Paris 1987, t. I, p. 658; d’ora in avantiindicata con ARTP). Traduzione nostra.

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dell’opera, alcune riflessioni che si collocano nell’immaginario teo-rico dello spazio. Una voce, quella del dormeur éveillé, parla, e pro-prio nel contesto del risveglio notturno, dopo aver a lungo riflettutosulle identificazioni che la lettura serale ha comportato, cerca astento di collocare il proprio corpo in un luogo preciso. Ogni sforzoè inutile e il risultato è una fantasmagoria di immagini che ricondu-cono quel personaggio – malato o viaggiatore stanco – a una serie dicamere del proprio passato il cui ricordo esita a riconoscernel’esatta ubicazione:

Quel che è certo è che quando, svegliandomi in quel modo, il miospirito cercava, senza riuscirci, di sapere dove fossi, tutto, oggetti,paesi, anni, vorticava intorno a me nel buio. Il mio corpo, troppo in-torpidito per muoversi, cercava di individuare, in base alla formadella sua stanchezza, la posizione delle sue membra per dedurnel’andamento della parete, la disposizione dei mobili, per ricostruire edare un nome alla casa in cui si trovava3.

La memoria del corpo non è sufficiente a identificare la camerain cui si era addormentato e le tenebre, che circondano il dormeur,non fanno altro che accentuare ancor più il senso di spaesamento,dovuto al turbinio delle stanze del passato, al vacillare della co-scienza e alla vertigine che coglie l’insonne nel momento del risve-glio. Quel che ne risulta è un vortice di luoghi in cui il dormeur evo-ca la camera della propria infanzia, con il letto a baldacchino,quella in campagna a casa dei nonni, e poi ancora quella a Tan-sonville da Madame de Saint-Loup:

Queste evocazioni turbinanti e confuse non duravano mai che qual-che secondo; spesso, la mia breve incertezza circa il luogo in cui mitrovavo non staccava l’una dall’altra le diverse supposizioni di cuiessa era fatta meglio di quanto, vedendo correre un cavallo, non ri-usciamo ad isolare le posizioni successive mostrateci dal cinetosco-pio4.

E il susseguirsi di camere del passato si raccoglie in un insiemeche unisce le camere d’inverno, quelle d’estate e quella Luigi XVI,infine quella piccola in forma di piramide rivestita di mogano; una

3 RTP, I, p. 8.4 RTP, I, p. 10.

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RIFLESSIONI SULLO SPAZIO DELLA “RECHERCHE”

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serie di stanze che sfocia, in termini più ordinati e dopo le lunghefantasticherie che seguono il risveglio, nella rivisitazione della vitad’un tempo nei luoghi così ricordati, a Combray e altrove.

Ora, si è consapevoli che questa ouverture è stata ampiamenteletta, e altrimenti analizzata, ma è indubbia la sua rilevanza nel con-testo che qui interessa e che caratterizza la visione dello spazioquale si evince da queste pagine. Il narratore proustiano sembraaver bisogno di ricostruire, di ritrovare un ordine dopo il caos de-terminato dalla confusione del risveglio e dalla memoria del corpointorpidito. La frammentazione, la parcellizzazione, e la giustappo-sizione sono specifiche della visione delle cose, degli esseri e deglioggetti dell’immaginario proustiano, ma il tutto sfocia poi inun’unità e in una coesione che cancella l’iniziale confusione.L’immagine restituita dalla memoria è scomposta, l’intermittenzadenota ogni essere come ogni emozione, la giustapposizione e la so-vrapposizione caratterizzano l’universo in frammenti che si offreallo sguardo, come accade con la visione dei campanili di Martinvil-le, la pluralità sottende anche la molteplicità dell’io così come ognipersonaggio è connotato dalla discontinuità. Ma questo mondoscomposto incontra tuttavia una sua continuità, e come nel movi-mento cubista, anche lo spazio, che viene colto in una vertiginosaassenza di limiti, che ne segnala la molteplicità dei punti di vista el’apparente incongruenza, si raccoglie in un’immagine unitaria. “Ilsuo ingegno analitico – scrive Marco Vallora5 – ha bisogno di rico-struire, proprio come capita al cubismo sintetico, di «rapprocher,pour rentoiler les fragments intermittents et opposés […] et en avoirune vue totale et un tableau continu»”.

Come osserva Georges Poulet:

Lorsque le roman proustien se termine, quand la conscience qui n’acessé d’en enregistrer les événements, se trouve en mesure de jetersur eux un regard final, rétrospectif et élucidateur, alors la multipli-cité discontinue des épisodes, pareille jusqu’à ce moment à une sériede tableaux isolés et juxtaposés, se trouve faire place dans l’esprit decelui qui embrasse l’ensemble, à une pluralité cohérente d’images qui

5 M. Vallora, Proust e la pelle della pittura, in La “Recherche” tra apocalisse esalvezza, D. De Agostini ed., Schena, Fasano 2005, (“Peregre”, Collana di Studi eRicerche della Facoltà di Lingue e Letterature straniere dell’Università di Urbino),p. 219.

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se réfèrent les unes aux autres, s’éclairent mutuellement, et, pourtout dire, se composent6.

Così accade nella descrizione scomposta del volto e della gota diAlbertine quando l’eroe sta per baciarla, o in quella delle diverseapparizioni della duchessa di Guermantes o del Baron de Charlusche, pur obbedendo a una logica della pluralità e della discontinui-tà, non cancella una visione primitiva che è insieme unitaria e tota-lizzante. L’opera proustiana rimane così costituita da episodi distintie separati, in cui gli intervalli non si fondono e dove regnanol’intermittenza e l’occlusione, ma grazie al rapporto che si stabiliscetra essi e che, come la metafora, restituisce una certa unità alle cose,i ‘vasi chiusi’ si mutano in vasi comunicanti, giustapposti ma alli-neati gli uni accanto agli altri.

***

Naturalmente così non era nella Recherche degli avantesti, deiCahiers e dei brouillons primitivi dove vige anzitutto la separazione,e la scomposizione è l’elemento fondamentale, e dove ogni episodioè stato scritto in vista sì di un insieme, ma un insieme che muta e simetamorfosa man mano che si scrive e che incontra in un primotempo una sua isolatezza.

Si è ormai d’accordo nell’affermare che nel 1909 i primi scritti,relativi all’opera terminata solo con la morte dell’autore, nel 1922,sono stati redatti dopo i Cahiers Sainte-Beuve, cioè quelli dedicati alsaggio critico (o narrativo) allora in gestazione, ed è quindi possibileosservare che sono i personaggi, la loro evoluzione cioè nel tempo enello spazio che si è venuta a delineare in questi quaderni, a crearela Recherche in quanto romanzo. Mariolina Bongiovanni Bertini loafferma chiaramente in uno dei suoi lavori su Proust, tenendo contoperò degli abbozzi del Temps retrouvé, scritti quasi contempora-

6 G. Poulet, L’espace proustien, p. 132. (“Quando il romanzo proustiano ter-mina, quando la coscienza che non ha smesso di registrare gli eventi, si trova ingrado di gettare su di essi uno sguardo finale, retrospettivo e illuminante, allora lamolteplicità discontinua degli episodi, simile fino a questo momento a una serie diquadri isolati e giustapposti, fa posto nello spirito di colui che abbraccia l’insieme,a una pluralità coerente di immagini che si riferiscono le une alle altre, si rischiara-no vicendevolmente, e, per così dire, si compongono”. Traduzione nostra).

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RIFLESSIONI SULLO SPAZIO DELLA “RECHERCHE”

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neamente a quelli del primo volume, il Du côté de chez Swann, edell’apparire trasformato, come in un ballo in maschera, di ogni in-vitato della principessa di Guermantes, alias Mme Verdurin:

L’apparizione nei cahiers dell’ultima scena del Tempo ritrovato se-gna un momento fondamentale nel lavoro di Proust. La visione deisuoi personaggi invecchiati, ciascuno in bilico sul proprio passatocome su una torre gelatinosa, o su un paio di smisurati trampoli, neracchiude i destini ancora in divenire come un estremo orizzonte edefinisce una volta per tutte lo spazio romanzesco della Ricerca7.

Insieme alla riflessione spazio-temporale relativa alla camera deldormiente, Proust elabora dunque quella relativa ai personaggi natiseparatamente e isolatamente, al loro evolvere nell’opera, e intrave-de già il loro cammino. Quasi contemporaneamente infatti agli ab-bozzi relativi al primo volume Proust annota la serata che contiene,trasformati, tutti i personaggi allora in divenire. La versione delCahier 51 e poi quelle del Cahier 11 e 578 tracciano il ritratto deiprincipi e dei duchi de Guermantes, di Mme de Villeparisis, di Mon-targis, di Mme e Mlle de Forcheville, del Marquis e la Marquise deTains, del Principe di Agrigente e poi di Bloch, di Mme de Chemi-sey, di Legrandin e di M. de Norpois, di Mlle de Stermaria, di Mmede Putbus e Mlle de Quimperlé, e di altri personaggi ancora dainomi diversi da quelli definitivi, su cui il tempo ha agito come unoscultore impietoso che ha trasformato i loro volti rendendoli simili apietra, e ha suggellato, una volta per tutte “l’arco teso”, per usare leparole di Contini9, tra l’incipit dell’opera e la sua conclusione, quel‘tempo ritrovato’ che solo nella scrittura fa rivivere i personaggiquali erano, al di là del lavoro corrosivo del Tempo.

Nei brouillons del 1908-1909, tuttavia, i tempi del formarsi deiluoghi sono più lunghi e accidentati; i personaggi, se pure nascanoquasi parallelamente, mutano non solo di nome (come Charlus, chesi chiamava Gurcy, o Guercy, ed era marchese, non barone) ma an-

7 M. Bongiovanni Bertini, Introduzione a Proust, Laterza, Bari 1991, p. 125.8 M. Proust, Matinée chez la Princesse de Guermantes, Cahiers du Temps

retrouvé, édition critique établie par Henri Bonnet en collaboration avec BernardBrun, Gallimard, Paris 1982.

9 Cfr. G. Contini, Introduzione alle «paperoles», in Varianti e altra linguistica,Einaudi, Torino 1970, pp. 69-110.

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che di funzione (Berget-Vington, poi Vinteuil, era scienziato e nonmusicista), oppure vengono cancellati (il fratello Robert, ad esem-pio, che compariva in un episodio dei quindici fogli sparsi e poi ri-trovati, Mlle de Quimperlé, diventata in seguito Mlle de Stermaria,o la femme de chambre della Baronessa di Putbus, il cui ruolo si di-spiegava più ampiamente) o ancora metamorfosati.

L’associazione del luogo con l’istante – assumiamo quil’accezione di ‘luogo’ con quella di spazio – era però teorizzata findall’inizio. Sin dai primi quaderni, infatti, il legame esistente tral’apparizione nello spazio dedicato al personaggio – sia esso lo spa-zio di Combray o quello di Parigi –, e il momento della sua compar-sa, tra il tempo attuale e quello passato, tra il luogo e l’attimo, èelaborato costantemente. Nel Cahier 28 (Esquisse LVII) un fram-mento è dedicato proprio a questo

Del resto i paesaggi non restano associati soltanto alle impressioniprodotte da essi stessi. Essi scortano fino a noi, con il loro voltoenigmatico, ignaro o distratto, una certa scena di cui nella nostramemoria sopravvive solo la tristezza, o la gioia, o il carattere pecu-liare che la contraddistingueva quando già, intorno a lei, i ricordiparalleli sono a poco a poco morti di vecchiaia. Ogni ricordo haportato via con sé per sempre il paesaggio in cui ebbe luogo10.

Al marchese di Guercy (nome dato a colui che più tardi sarà M.de Fleurus e poi baron de Charlus) viene dedicata un’ampia reda-zione nel Cahier 51, del 1909. Nel folio r°17, per cinque pagine, siracconta quanto di lui è cambiato dal primo all’ultimo incontro, alBois, mentre passava in una vettura scoperta. Ora la barba è bianca,nel volto rimangono le vestigia di una “majesté foudroyée de RoiLear”, e i capelli argentei ricordano “une sorte de précipitémétallique analogue à celui qu’aurait répandu à flots sur sa tête etson visage un geyser saturé d’argent qui se serait brusquementsolidifié”11. La metamorfosi che colpisce ogni personaggio invec-

10 M. Proust, L’età dei nomi. Quaderni della “Recherche”, D. De Agostini-M.Ferraris-B. Brun ed., Mondadori, Milano 1985, p. 77. (Si veda anche la lezionefrancese in ARTP, I, p. 841).

11 M. Proust, Matinée chez la Princesse de Guermantes, p. 63. (“maestà folgo-rata di Re Lear” e “una sorta di precipitato metallico analogo a quello che avrebbesparso a fiotti sulla sua testa e il suo viso un geyser saturo d’argento che si sarebbebruscamente solidificato”. Trad. nostra).

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chiato lo ha colpito anche dal punto di vista morale, ora “d’une ti-midité, d’une politesse et d’une bonne volonté d’enfant”12, che conuno snobismo rovesciato saluta con umiltà un’americana cui unavolta non avrebbe certo dedicato il suo maestoso inchino. “Le salutmajestueux du prince foudroyé descendit sur moi avec l’éloquenced’un mouvement d’oraison funèbre”13, osserva il narratore cui nonsfuggono le parole che questi bisibiglia, fiero di ricordare, mostran-do così l’eccellenza della sua memoria rimasta intatta, uno dei par-ticolari legato al primo incontro:

Sans bouger la tête, ni les yeux, ni mettre une seule inflexion dans savoix: «Voici un poteau avec une affiche pareil à celui qu’il y avaitdevant nous la 1ere fois que je vous vis avec Madame votre grand-mère à Étilly. Et en effet c’était exactement la même réclame de Lie-big!14 (sic)

Sia nella versione primitiva di un frammento del Cahier 715, doveè tracciato il primo ritratto del Marchese de Guercy, sia nel mano-scritto definitivo, il primo incontro è così delineato: uno sguardofisso, dei capelli grigi e dei baffi neri, una rosa all’occhiello, e un ba-stone col quale il marchese lacera un angolo di un manifesto; manon si tratta di quello sulla pubblicità dei prodotti Liebig (già notiall’epoca) ma dell’affiche di un concerto. Proust collega i due fram-menti con il ricordo di uno stesso dettaglio, mostrando come unpaesaggio, un’atmosfera, un luogo, rimangano collegati al perso-naggio, e resuscitino il passato più antico, come questo esempio di-mostra. Se anche il ricordo del passato viene sepolto nell’oblio, lamemoria è capace di farlo riemergere e di collegare il luogo, o lospazio, con il personaggio, e con ciò che vi è stato vissuto.

Lo spazio, nella Recherche, è allora sempre collegato con il tem-po, e la memoria, se messa in moto, è capace di restituire il luogo

12 Ibid., p. 64. (“Di una timidezza, un’educazione e una buona volontà dibambino”).

13 Ibid., p. 65. (“Il saluto maestoso del principe folgorato discese su di me conl’eloquenza di un movimento di orazione funebre”).

14 Ibid. («Senza muovere la testa, né gli occhi, e senza mettere neppure una solainflessione nella voce: “Ecco un palo con un manifesto simile a quello che c’era da-vanti a noi la prima volta che vi vidi con Madame vostra nonna a Étilly”. Ed era ineffetti esattamente la stessa réclame del Liebig!»).

15 Esquisse XVII, ARTP, II, p. 921-926.

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insieme al momento come i ricordi involontari lo dimostrano; essi,che restituiscono Venezia e Balbec in un particolare istante di luce,restituiscono anche i personaggi al loro primo apparire, visti sì nelloro esser cambiati insieme al tempo che è trascorso, quindi meta-morfosati, ma anche secondo la prima immagine che si è stretta-mente incollata ad essi e che li rende riconoscibili.

***

Una cosa è comunque certa: il primo luogo, quindi la prima cel-lula germinativa, è la camera di Combray con la piccola cittadina,che si ispira a Illiers. Subito dopo sono le passeggiate, dalla parte diVillebon-Guermantes e Meséglise-Méséglise, il loro paesaggio e illoro significato, ad avere una rilevanza privilegiata. Una prima dif-ferenza è però in atto. Nella Recherche queste passeggiate sarannoricordate, come Combray, insieme a tutto il mondo evocato,‘risorto’, dalla madeleine inzuppata nel thé, o nella tisana, comenegli avantesti; nel brouillon del Cahier 4, invece, esse si colleganodirettamente all’incipit dell’opera, a uno dei tanti risvegli che, graziealla memoria del corpo, riconducono il protagonista nei luoghidell’infanzia e dell’adolescenza. In questo contesto l’ouverture nonrisulta quindi separata dalla totalità dell’opera come sintesi di unavita da rievocare a ritroso, ma si presenta piuttosto come un incro-cio da cui si dipartono (così dalla chiesa di Saint-Hilaire le due stra-de verso Meséglise e verso Villebon), simultaneamente, le diverse di-ramazioni delle camere del passato.

Il racconto delle passeggiate scaturisce infatti dalla rievocazionedelle camere di un tempo, e in particolare di quella di Combray inquanto, essenzialmente, teatro del dramma del coucher solitario lesere in cui l’eroe si recava dalla parte di Garmantes (questo il nomeprimitivo) o in cui Swann si disponeva a far visita alla famiglia diMarcel, e in cui, di conseguenza, la madre non si recava nella stanzadel figlio. D’altro canto l’esitazione dell’autore, in questa fase dellacreazione dell’opera, nella scelta della sua struttura formale (unsaggio? Un romanzo-saggio? Un romanzo tout-court?), conduce lanarrazione verso la teorizzazione di un’estetica (con i Cahiers 51,58, 11 e 57) e conferisce al brouillon uno spessore che non appar-

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terrà più alla Recherche. Perciò si chiude su riflessioni che rinvianoalla voce del narratore:

Ed è stato così che dalla parte di Garmantes ho imparato a ricono-scere in me gli stadi diversi, quasi opposti, che si succedono nella vi-ta, in ogni giorno, quando la tristezza torna a una cert’ora con lapuntualità della febbre; stadi in cui quel che si è desiderato, temuto,compiuto negli altri, sembra quasi incomprensibile. Rientrando aGarmantes sapevo per certo che non avrei avuto più di mezz’oraprima del momento in cui bisognava dare la buonanotte alla Mam-ma16.

Fin dal suo incipit la scrittura si concentra allora su Villebon-Garmantes e Méseglise, contrariamente a quanto accadrà nella Re-cherche, è evocata solo rapidamente. La dissimetria della lunghezzadelle rispettive narrazioni si subordina a un dato reale (la lunghezzaeffettiva della loro distanza dalla casa del protagonista) a sua voltasubordinato alla più latente e fondamentale motivazione psicologi-ca. Il tempo della narrazione rispecchia quello interiore che,nell’attesa differita e revocata del bacio materno, dilata sensibilmen-te lo spazio del testo. Avviarsi verso Villebon significa infatti affron-tare una lunga passeggiata che diventa anche la causa di un grandedolore: quello dell’assenza della madre.

La dilatazione dello spazio si pone in parallelo al restringimentodel tempo a lui dedicato dalla madre: la lontananza di Villebon ri-spetto al nucleo familiare rappresentato da Combray è anche segnodi tutta la distanza che intercorre tra due mondi opposti e distinti,l’infanzia e l’adolescenza17. I due universi si dispiegano come in-conciliabili e passare dall’uno all’altro sembra altrettanto impossibi-le quanto unire l’Oriente con l’Occidente, l’età dei Nomi e quelladelle Parole con l’età delle Cose.

In questo contesto Combray è dunque soprattutto luogo intimo,spazio psicologico che con la camera e le passeggiate è sede di undramma che incontrerà la sua soluzione con l’arte e la scrittura. Ma

16 M. Proust, L’età dei nomi, p. 20 (Cahier 4, f. 44r; vedi anche Esquisse LIII,RTP, I).

17 Tempo perduto e tempo ritrovato, le due parti nella Recherche rappresenta-no anche i due mondi, quello dell’eros e in direzione sbagliata, e quello della ma-dre ideale, della sublimazione e dell’arte.

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a poco a poco, nei quaderni, dunque nella genesi della Recherche, idue spazi delle passeggiate si popolano di personaggi che hanno insé una loro stesura primitiva e che danno ai luoghi una determinatavalenza e una speciale configurazione. Ricordiamo però che giànegli abbozzi i due universi delle passeggiate si intrecciano e si in-contrano nel sentiero trasversale18 che li riunisce ed è preludio aquello che più tardi diventerà, a Tansonville con Gilberte de SaintLoup, una sorpresa e una rivelazione che daranno avvio alle scoper-te più vitali e più profonde legate alla metafora e all’arte, al ‘temporitrovato’ con la scrittura, dunque.

E, con gli spazi delle passeggiate, prendono vita anche i perso-naggi che vi si incontrano, solo abbozzati in un primo tempo e poipiù a lungo descritti fino a creare una figura la cui evoluzione vienea delinearsi nel corso della redazione dell’opera. Villlebon-Garmantes, poi Guermantes, è lo spazio di incontro dapprima con ilnome della duchessa omonima, poi quello della conoscenza effettivadi lei, Oriane de Guermantes; Meséglise è per eccellenza lo spazio incui si dispiega l’incontro con Vinteuil e la figlia, e poi con l’Amicadella figlia, l’anonima ma fondamentale trascrittrice dei taccuini daigeroglifici oscuri dell’opera postuma del musicista. È qui che haluogo anche l’incontro con la femme de chambre della baronessa dePutbus (che nelle versioni dei quaderni avrà più ampio spazio eruolo), ed è verso Guermantes che il protagonista sentirà per la pri-ma volta pronunciare il nome del Baron de Charlus.

Come per la camera in cui il dormeur éveillé si è addormentato epoi risvegliato, e che dal caos iniziale si trasforma negli spazi piùcontrollati romanzescamente dei diversi luoghi del passato, anchegli universi delle passeggiate si riuniranno con il piccolo sentiero cheli incrocia, e che fa sì che i due spazi inconciliabili e opposti trovinouna loro conciliazione: Garmantes-Guermantes non è solo lo spazioche conduce al tempo ritrovato, alla Matinée chez la Princesse deGuermantes cioè, e Meséglise-Méséglise non è solo lo spazio del

18 Nella prima ébauche delle promenades (Cahier 4, Esquisse LIII, RTP, I, p.813) i due côtés di Combray si incontrano: “Infatti seppi allora che la parte diMeséglise e la parte di Garmantes non erano così inconciliabili come credevo untempo, e che era possibile, se si era partiti alla volta di Meséglise, tagliare perGarmantes. […] Allora non sapevo che tra Garmantes e Meséglise non c’era poitanta differenza”. (M. Proust, L’età del nomi, p. 19).

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male; entrambi e l’uno nell’altro conducono all’arte così come l’eroeindica. Anche il male, cioè il sadismo della figlia di Vinteuil ha in sé,come l’Amica, i germi della creazione, in questo caso grazie alla tra-scrizione del Settimino del musicista, preludio all’opera del narrato-re. Dalla biforcazione iniziale dei due universi il futuro scrittore in-dica nei Cahiers la loro unione, anche se nell’opera questo avverràsolo nell’ultimo volume, quando egli deciderà di trasferire in luoghidiversi le diverse conoscenze che il tempo gli impartisce; quandocioè al tempo perduto si opporrà quello ritrovato, quando la Re-cherche da due tomi passerà ai tre e poi ai cinque e infine ai settequale oggi si legge.

Lo studio che tempo addietro Antoine Compagnon ha dedicatoalla Recherche si intitolava Proust entre deux siècles19, ed effettiva-mente l’opera proustiana si colloca nell’interstizio del XIX secolo edel secolo a venire: ma pur riflettendoli entrambi non si identificatotalmente né solo con l’uno né solo con l’altro. Un neutro che beneindica l’ultimo scrittore del XIX secolo e il primo del XX, che siispira alla tradizione ma che la oltrepassa, e che giustappone dueordini diversi. Da un lato il caos, e quindi il frammento, la scompo-sizione dello spazio, dall’altro la sua ricomposizione, e la totalitàdell’insieme; da un lato il tempo ritrovato nei ricordi involontari, edall’altro il tempo che incombe e che pone la parola fine alla vita,quella vissuta e quella dell’opera.

19 A. Compagnon, Proust entre deux siècles, Seuil, Paris 1989.

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Proust e lo spazio dell’opera d’arte

ELEONORA SPARVOLI

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Eleonora SparvoliRicercatrice di Letteratura Francese Contemporaneaall’Università degli Studi di Milano. È specialistadell’opera di Marcel Proust, cui ha dedicato nume-rosi e importanti lavori.

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“I luoghi che abbiamo conosciuto non appartengono solo almondo dello spazio dove li situiamo per maggior facilità. Essi nonsono che uno spicchio sottile fra le impressioni contigue che forma-vano la nostra vita d’allora; il ricordo di una certa immagine non èche il rimpianto d’un certo istante; e le case, le strade, i viali, sonofuggitivi, ahimè, come gli anni”1.

In questo splendido passaggio con cui si conclude il primo tomodella Recherche il Narratore, interrompendo per un attimo il filo delracconto della sua infanzia, spiega al lettore come, ritornando daadulti in certi luoghi che da bambini c’incantavano, non ci sia piùpossibile ritrovare la magia di allora. Anche gli spazi intorno a noisono immersi nel tempo, e scorrono irreversibilmente come le oredella nostra vita.

Tuttavia a me pare che, nella Recherche, i luoghi non fugganovia solo perché soggiacciono, come ogni cosa umana, alla legge ine-sorabile del divenire. L’impressione è che il Narratore si muova en-tro spazi sin da principio instabili, sul cui terreno la sua esistenzanon riesce mai davvero a radicarsi, poiché essi si sottraggono, retro-cedono, non lasciandosi abitare.

Uno dei casi più clamorosi di tale fenomeno è raccontato nellasezione di Du côté de chez Swann intitolata: Noms de pays: le nom,nella quale il giovane Narratore si abbandona – a partire dai loronomi e dalle illustrazioni dei libri – ad una lunga fantasticheria suFirenze e Venezia. Egli immagina la città toscana ricoperta d’unaperenne fioritura primaverile, così come gli suggeriscono l’etimodella sua denominazione (“Florence”), il suo simbolo – il giglio – edil suo Duomo (che si chiama, appunto, Santa Maria del Fiore), e siraffigura la città lagunare tempestata dalle pietre preziose che il sole

1 M. Proust, Du côté de chez Swann in A la recherche du temps perdu, J.-Y.Tadié ed., Gallimard, Paris 1987, “Bibliothèque de la Pléiade”, t. I, pp. 419-420.La traduzione, come in tutti gli altri passi della Recherche che verranno citati, ènostra.

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fa scintillare sulle acque del Canal Grande. Ebbene, il desiderio su-scitato da quei luoghi fantastici è così forte che sembra poter cancel-lare la distanza a cui sono situati. Dice il Narratore:

Spogliandomi come di un guscio senza oggetto dell’aria della stanzache mi circondava, la sostituii con parti uguali d’aria veneziana,quell’atmosfera marina, indicibile e particolare come quella dei so-gni, che la mia fantasia aveva racchiuso nel nome di Venezia, sentiioperarsi in me una miracolosa disincarnazione; subito ad essa si ag-giunse quella vaga voglia di vomitare che si prova quando si è presoun grosso mal di gola, e dovettero mettermi a letto con una febbrecosì tenace che il dottore dichiarò che occorreva non soltanto ri-nunciare a farmi partire adesso per Firenze e Venezia, ma, anchequando fossi stato pienamente ristabilito, evitarmi, da qui ad un an-no, ogni progetto di viaggio ed ogni motivo d’agitazione2.

Il Narratore, incapace di risiedere veramente nel luogo concretoin cui si trova – la sua stanza di Parigi – tenta la più vertiginosadelle imprese: percorrere l’intervallo spaziale che lo separa dal luogobramato, l’unico in cui potrebbe davvero sentirsi a casa propria. So-stiene infatti Proust: “I paesi che desideriamo prendono, in ognimomento, molto più posto nella nostra vera vita, che il paese in cuici troviamo effettivamente”3. E tuttavia quei paesi immaginari si ri-velano alfine inabitabili, costringendoci, per respirare la loro ariatutta virtuale, ad una rischiosa metamorfosi corporea. La febbre checolpisce il Narratore in seguito all’esercizio eccessivo della sua im-maginazione sanziona l’irraggiungibilità delle due città italiane.

Capita però che a indietreggiare dinanzi al suo slancio desideran-te siano anche certi luoghi che sembrerebbero invece fisicamentevicini, tangibili.

Nel primo sorgere della sensualità il protagonista della Recherchevaga da solo per i boschi di Roussainville, sognando ardentementel’apparizione di una contadina da stringere fra le braccia, che sola,con il suo bacio, potrebbe regalargli “il tesoro nascosto, la bellezzaprofonda”4 di quel luogo. Dunque il Narratore avverte che l’essenzadello spazio naturale in cui è immerso gli sfugge, che quanto è sotto

2 Ibid., p. 386.3 Ibid., p. 383.4 Ibid., p. 155.

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i suoi occhi non è abbastanza, non è tutto, che il fascino più potentedi quello spettacolo è altrove, nascosto nella carne di una fanciullainvisibile, nata dalle viscere stesse di quella terra. È lei che ora inse-gue. E quando infine esasperato dalla vana rincorsa si concede –pieno di oscuri timori – all’amore solitario, nella stanzetta in cimaalla sua casa di campagna, dalla finestra socchiusa fruga ancoral’orizzonte, arrestando lo sguardo su di un albero dal quale la fan-ciulla concupita avrebbe dovuto spuntare come una divinità dellaselva. Ma anche tale estremo tentativo è senza frutto: “L’orizzontescrutato restava deserto, la notte cadeva, era senza speranza che lamia attenzione si fissava, come per aspirare le creature che essi po-tevano celare, su quel suolo sterile, su quella terra inaridita”5. Ed ècon rabbia e frustrazione che si mette poi a colpire i tronchi – comeMichelangelo il suo Mosè! – da cui nessun respiro umano si è libe-rato. Quel che soltanto poco prima il Narratore aveva ammirato – itetti rosa delle case, il fogliame del bosco, le erbe selvatiche – è an-cora sotto i suoi occhi, eppure il paese si è fatto stranamente inospi-tale. La colpa è del desiderio, che scava un vuoto in tutti i luoghi incui si posa. Cercandovi ciò che per sua natura non può essere rag-giunto – l’oggetto che lo ricolmi pienamente – esso finisce per tra-sformarli – da presenze che si offrono – in ricettacoli di un’assenza.È così che gli incantevoli dintorni di Roussainville sono divenuti ilpaesaggio disertato dalla fanciulla cui il Narratore aspirava.

Le case, le strade e i viali sono fuggitivi, allora, anche perché inessi il Narratore insegue qualcosa che sempre fugge, che sempre sisottrae. E d’altro canto se così non fosse, se non scorgesse in queiluoghi i segni del passaggio d’una divina sconosciuta, non potrebbestrapparli all’indifferenza in cui la realtà concreta è per lui immersa.Accade per i luoghi quel che accade per gli oggetti d’amore (da cuiperaltro sono inseparabili6): ciò per cui li desideriamo – diceProust – quel che speriamo di raggiungere quando ci mettiamo arincorrerli con tutte le nostre forze, non lo troveremo mai dentro diloro. “Si ama soltanto ciò in cui s’insegue qualcosa di inaccessibi-

5 Ibid., p. 156.6 Cfr. su questo argomento il bel libro di N. Grimaldi, Proust, les horreurs de

l’amour, PUF, Paris 2008.

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le”7. E ancora: “Quel che sembra unico in una persona che si desi-dera non le appartiene”8.

E tuttavia luoghi ed esseri traggono tutto il loro fascino da questamisteriosa mancanza che albergano in sé. La loro è una bellezza lut-tuosa, in certo modo. Come quella, per esempio, che l’assenza diAlbertine – la fanciulla amata dal Narratore, prima fuggita e poimorta in un incidente di cavallo – regala ad una domenica di no-vembre trascorsa dalle parti del Bois de Boulogne:

Mentre mi avvicinavo al Bois, mi ricordavo con tristezza il ritorno diAlbertine che veniva dal Trocadero a prendermi, poiché era la stessagiornata, ma senza Albertine. Con tristezza e tuttavia, malgrado tut-to, non senza piacere, perché la ripresa in minore, su un tono desola-to, dello stesso motivo che aveva riempito la mia giornata d’un tem-po, l’assenza stessa […] di quest’arrivo di Albertine, non erano qual-cosa di negativo ma con la soppressione nella realtà di ciò che mi ri-cordavo, davano alla giornata qualcosa di doloroso e ne facevanoqualcosa di più bello d’una giornata compatta e semplice, poiché ciòche non vi era più, ciò che ne era stato strappato, vi restava impres-so come in cavo9.

Proprio come in un’acquaforte, il disegno, mirabile, si producenon grazie ad un lavoro di aggiunta, di sovrapposizione, ma attra-verso lo scavo, la corrosione di una superficie. Osserviamo ancoral’aspra bellezza – come di un’incisione in bianco e nero – che assu-me la spiaggia di Balbec, quando il Narratore vi vede camminaresua madre, che segue le tracce, i veri e propri solchi, lasciati dallanonna per sempre scomparsa: “La vidi dalla finestra avanzare tuttanera, a passi timidi, pii, sulla sabbia che piedi amati avevano calpe-stato prima di lei, e aveva l’aria di andare alla ricerca di una mortache i flutti dovevano riportarle”10.

Modello straordinario, quest’ultimo, della caccia alle ombre incui sono impegnati tutti i personaggi proustiani: Swann, che lungo ilBoulevard des Italiens all’ora in cui si spengono i lampioni, cercaOdette, così poco attraente sino a un istante fa e di colpo necessaria

7 M. Proust, La Prisonnière, in A la recherche du temps perdu, 1988, t. III, pp.885-886.

8 Le Temps retrouvé, in A la recherche du temps perdu, 1989, t. IV, p. 565.9 Albertine disparue, in A la recherche du temps perdu, t. IV, p. 139.10 Sodome et Gomorrhe, in A la recherche du temps perdu, 1988, t. III, p. 167.

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poiché indisponibile; il Narratore, che passeggiando verso il parcodi Tansonville attende, contro ogni ragionevole previsione,l’improvvisa epifania di Gilberte; Charlus, che nella camera d’unbordello, mentre nel cielo della capitale infuria una battagliad’aeroplani, chiede invano all’amante di turno d’incarnare l’Idealeche sogna da una vita. In ognuno di questi luoghi i personaggi inse-guono l’inafferrabile profilo d’una creatura che credono capace diporre fine alla loro angoscia d’amore. Certo, nel viale parigino incui il Narratore vede incisa l’assenza di Albertine, o nel mare diNormandia, cui la madre del protagonista domanda la restituzioned’un corpo venerato, ci è più facile riconoscere lo spazio svuotato incui vaga un’anima in lutto: spazio in cui dimorava un essere che nonc’è più, che ci ha lasciato. Tuttavia, anche gli altri luoghi evocati,che pure non sono stati visitati dalla morte, sono soggetti, nel ro-manzo, ad un analogo processo di svuotamento, e l’atmosfera che lidomina – se non è quella del lutto – la ricorda molto da vicino:quelli in cui si muove il desiderio degli eroi proustiani sono i terri-tori insidiosamente seducenti della melanconia (e sappiamo comesecondo Freud la melanconia si sovrapponga al lutto nell’identicasensazione d’aver subito una perdita irreparabile11). Chiunque ami,nella Recherche, rincorre in realtà un oggetto indefinibile, il fanta-sma di qualcuno che non potrà mai possedere, poiché lo ha già ab-bandonato all’origine dei tempi e per sempre. (Il fantasma materno,ci dice la psicanalisi!12). E così tutti i luoghi in cui lo cerca, finisconoper diventare, al contempo, fascinosi – perché ci s’immagina che al-berghino l’Ideale – e desolati, poiché in essi il cercatore non scopreinfine altro che mancanza, sottrazione, vacuità.

Non si possono amare che gli esseri di fuga – sostiene Proust pertutto il corso del romanzo. E noi potremmo aggiungere: non si pos-sono amare che i luoghi in cui essi fuggono. Quando gli uni comegli altri si avvicinano, dando l’impressione di appartenerci totalmen-te, o perdono il loro incanto oppure, se conservano un residuo dimistero – qualcosa anche di infinitamente piccolo che non ci hannoconcesso –, è proprio a quell’indecifrabile che ci attacchiamo conostinazione, imboccando il cunicolo vuoto e senza fondo che noi

11 Cfr. il celebre saggio del 1917 intitolato Lutto e melanconia.12 Cfr. J. Kristeva, Soleil noir. Dépression et mélancolie, Gallimard, Paris 1987.

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stessi scaviamo nell’oggetto desiderato, sospingendo ogni volta piùindietro la possibilità di toccarlo.

Non c’è modo di riempire quello spazio cavo di cui il desiderio sialimenta, alimentandolo a sua volta. C’è un episodio emblematiconella Recherche, in cui si mette in scena il doloroso scacco subitodal Narratore che aveva creduto di poter appagare i sensi con unafacile conquista. Ricorrendo alla mediazione dell’amico Saint-Loup,è infatti riuscito ad avere un appuntamento con la bella Mme deStermaria, che ha accettato di cenare con lui. Ebbene il Narratoresceglie, quale scenario dell’annunciata voluttà, un’isoletta del Boisde Boulogne che – egli sostiene – “mi era sembrata fatta per il pia-cere poiché mi ero trovato ad andarvi a gustare la tristezza di nonaverne alcuno da accogliervi”13. Si tratta dunque d’un luogo supre-mamente melanconico, che attrae per ciò che in esso è assente.L’isola del Bois è apparsa, al Narratore, il luogo ideale del piacerenon per quello che ha da offrire, ma per ciò di cui si è trovata ad es-sere priva, per la cavità che l’oggetto del desiderio – assentandosi –vi ha lasciato. Il Narratore aggiunge:

È sulle rive del lago che conducono a quest’isola e lungo le quali,nelle ultime settimane dell’estate, vanno a passeggio le Parigine chenon sono ancora partite, che, non sapendo più dove ritrovarla, eneppure s’ella ha già lasciato Parigi, vaghiamo nella speranza di ve-der passare la fanciulla di cui ci siamo innamorati all’ultimo ballodell’anno, e che non potremo più ritrovare in nessuna serata di quialla primavera prossima14.

Le sponde di questo lago sembrano fatte apposta perché vi si cer-chi qualcuno che certamente non si troverà e che d’altro canto sem-bra non possa essere incontrato da nessun’altra parte se non qui.Spazio emblematico del desiderio che fruga nel vuoto con accani-mento ossessivo, l’isola del Bois non può essere il luogodell’appagamento. Mme de Stermaria, all’ultimo momento, decline-rà l’invito, lasciando a questo paesaggio, simbolicamente avvoltonella nebbia, la sua grazia melanconica, e aggiungendo la propriaspettrale presenza a quelle che già lo popolano.

13 Le Côté des Guermantes, in A la recherche du temps perdu, 1988, t. II, p.679.

14 Ibidem.

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La logica del desiderio sembra non lasciare scampo: si desiderasolo ciò che fugge, ma ciò che fugge non potrà mai saziare il desi-derio, pacificarlo, spegnerlo. “Di fantasmi inseguiti, dimenticati,cercati di nuovo, talvolta per un solo incontro e al fine di toccareuna vita irreale che istantaneamente fuggiva via, quei sentieri diBalbec ne erano pieni”15. La maggior parte della nostra vita si svolgeentro spazi in cui rincorriamo la chimera d’una felicità assente che,se infine raggiunta – in un attimo di miracolosa coincidenza – si ri-velerà inconsistente e ancora una volta fuggitiva. Ma il Narratoreaggiunge, contemplando la natura in cui i sentieri di Balbec sonoimmersi: “Pensando che i loro alberi, peri, meli, tamerici, mi sareb-bero sopravvissuti, mi sembrava di ricevere da essi il consiglio dimettermi finalmente al lavoro finché non era ancora suonata l’oradell’eterno riposo”16. Proprio quel paesaggio naturale – che non ab-biamo saputo guardare se non per cercarvi l’introvabile – quel pae-saggio che – solo per noi sfuggente – è in realtà così stabile da dura-re ben oltre la nostra vita, ci suggerisce di costruire un’opera per po-ter arginare il lungo sperpero cui il desiderio ci ha costretto. Ma inche modo l’arte riuscirà ad interrompere la nostra caccia amorosanel nulla? Andando forse a colmare quel vuoto che ci separa da luo-ghi ed esseri, e che – desiderando – non facciamo che approfondire?Offrendosi, finalmente, come uno spazio pieno ed abitabile?

Stando a quanto Proust afferma nel Temps retrouvé, la pietraangolare della sua creazione è la memoria involontaria, fenomenograzie al quale una certa sensazione presente ne richiama una delpassato, che pareva per sempre dimenticata, regalandoci l’ebbrezzadi poter rivivere un pezzo di esistenza al di là del tempo e delle di-stanze. È interessante notare che in tali reminiscenze risorgono deiluoghi. All’inizio della Recherche la madeleine inzuppata nel tè ri-porta il Narratore a Combray, paesino in cui era solito, durantel’infanzia, trascorrere le vacanze. Verso la fine del romanzo, la mat-tonella sconnessa nel cortile di palazzo Guermantes gli riconsegna –per analogia col pavimento del battistero di San Marco – l’essenzadel suo viaggio a Venezia, aprendo la via ad una serie di eventianaloghi, in seguito ai quali rivivranno Balbec, evocata dalla ruvi-

15 Sodome et Gomorrhe, p. 401.16 Ibidem.

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dezza d’un tovagliolo e – per il rumore metallico di un cucchiaiocontro un piatto – il piccolo bosco nei dintorni di Parigi dove il tre-no su cui viaggiava il Narratore s’era fermato per un guasto a unaruota. Ebbene questa serie di oggetti magici (biscotto, mattonella,tovagliolo e cucchiaio)17 non soltanto permettono all’eroe della Re-cherche di riavere accesso a luoghi frequentati nel passato, ma lo in-troducono nell’ultimo degli spazi in cui si tratterrà: quello ove è de-stinata a prender forma l’opera d’arte. È infatti grazie a quei feno-meni che il Narratore scoprirà finalmente la sua vocazione di scrit-tore.

Cerchiamo di capire perché lo spazio della memoria involontariaprelude in modo così chiaro a quello dell’arte, costituendone, percosì dire, l’anticamera e il modello ideale.

Dinanzi all’incredibile felicità che lo invade in queste resurrezionisuccessive il Narratore osserva:

Tante volte, nel corso della mia vita, la realtà mi aveva deluso per-ché nel momento in cui la percepivo la mia immaginazione, che erail mio solo organo per godere della bellezza, non poteva applicarsiad essa, in virtù della legge inevitabile che vuole che si possa imma-ginare soltanto ciò che è assente. Ed ecco che d’improvviso l’effettodi questa dura legge si era trovato ad essere neutralizzato, sospeso,da un espediente meraviglioso della natura che aveva fatto scintillareuna sensazione […] al contempo nel passato, il che permetteva allamia immaginazione di gustarla, e nel presente in cui la vibrazione ef-fettiva dei miei sensi al rumore, al contatto con la stoffa, ecc. avevaaggiunto ai sogni dell’immaginazione ciò di cui sono abitualmentesprovvisti, l’idea d’esistenza18.

Notiamo innanzitutto la chiara formulazione dell’implacabilemeccanismo che abbiamo finora rilevato: la sola bellezza di cui siapossibile godere è quella d’un oggetto assente. Inesorabile legge chesembrerebbe tuttavia essere trasgredita nelle occorrenze della memo-ria involontaria, in cui ciò che rende felice il Narratore è qualcosa cheè allo stesso tempo concreto e immaginario. Ma a ben guardare taletrasgressione è solo apparente: il Narratore riesce infatti a gioire

17 Su questo tema ha scritto belle e celebri pagine J. Rousset, Forme et signifi-cation, Corti, Paris 1962.

18 Le Temps retrouvé, pp. 450-451.

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dell’impressione presente solo nella misura in cui essa si trasfigura, sitransustanzia, accogliendo in sé una sensazione passata, cioè qualcosache di per sé non ha materia. Il presente diventa fonte di felicità per-ché lascia che l’emblematicamente assente – il passato – lo invada,prendendo in prestito per un attimo i caratteri dell’esistenza reale.“Sempre, in quelle resurrezioni, il luogo lontano generato attorno allasensazione comune si era accoppiato un istante, come un lottatore, alluogo attuale”19. Ma il prodigioso duello è transitorio: “Queste Com-bray, Venezia, Balbec, invadenti e rimosse […] si elevavano per poiabbandonarmi”20. E ancora: “quella contemplazione, sebbene dieternità, era fuggitiva”21. Appena ricomparsi – come miraggi illusori,come “trompe-l’œil” suggerisce il Narratore22 – i luoghi del passatotornano a fuggire, col rischio di trasformare, ancora una volta, i luo-ghi presenti in spazi d’abbandono e di rimpianto. “Sempre il luogoattuale era stato vincitore; sempre il vinto mi era parso il più bello”23.La bellezza è – come al solito – dalla parte di ciò che viene a mancare,di ciò che scappa via.

E ciononostante, non possiamo negare che dai fenomeni – pur fu-gaci – di reminiscenza involontaria il Narratore si ritragga con unostato d’animo diverso da quello con cui per tutta la vita si è vistosfuggire dalle mani qualunque oggetto avesse affannosamente volutopossedere. Nel primo affievolirsi della sua pena amorosa per Alberti-ne, il cui mistero non è mai riuscito a rischiarare, il Narratore avevaconcluso: “La verità e la vita sono davvero ardue, e mi restava di esse,senza che insomma le conoscessi, un’impressione in cui il dispiacereera forse ancora superato dalla stanchezza”24. Invece, della visioneistantanea d’un frammento, risorto, di passato, ci dice: “E tuttaviasentivo che il piacere che essa m’aveva, a rari intervalli, donato nellavita, era il solo che fosse fecondo e veritiero”25. È come se stavolta ilmeccanismo di svuotamento dello spazio reale – prima penetratodalla sostanza immateriale ed imprendibile di cui sono fatti sogni e

19 Ibid., p. 453.20 Ibidem.21 Ibid., p. 454.22 Ibid., p. 452.23 Ibid., p. 453.24 Albertine disparue, p. 202.25 Le Temps retrouvé, p. 454.

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ricordi, e poi di nuovo abbandonato alla sua ordinaria concretezza –anziché generare un frustrante sentimento di mancanza avesse lascia-to qualcosa tra le mani del Narratore. Un dono destinato a portarefrutto.

Il fatto è che l’impressione passata si apre un varco nel presentegrazie a una condizione psicologica che è l’opposto del desiderio. De-siderando, attiviamo ogni nostra energia per convogliarla in un infe-condo lavoro di scavo; il ricordo involontario, invece, riemerge in se-guito all’allentarsi della tensione, alla sospensione della volontà. Nellanostra memoria inconscia non si va mai a depositare ciò che abbiamocercato a tutti i costi di ricordare, ciò di cui abbiamo preso nota, fo-tografandolo interiormente, ma al contrario tutto quello a cui nonabbiamo badato, quel che ci è sfuggito, che abbiamo rimosso, dimen-ticato. È dunque solo in uno spazio di disattenzione, di interruzioned’ogni ricerca, che questo tesoro nascosto può riaffiorare in superfi-cie. Ecco lo stato d’animo del Narratore un attimo prima che il pavi-mento sconnesso della residenza dei Guermantes gli riconsegni la vi-sione iridescente di Venezia: “Rimuginando i tristi pensieri di cuiparlavo un istante fa, ero entrato nel cortile di Palazzo Guermantes enella mia distrazione non avevo visto una vettura che avanzava; […]indietreggiai abbastanza per inciampare mio malgrado nei ciottolimal livellati dietro i quali si trovava una rimessa”26. Sconforto, man-canza di concentrazione, perdita d’equilibrio, e un momento dopoun’invadente felicità. Inattesa, immeritata. Certo, effimera, fuggitivaanch’essa, ma non perduta per sempre. Così il Narratore definisce iluoghi concreti visitati un istante e poi di nuovo disertati dalleresurrezioni memoriali: “luoghi nuovi, ma permeabili per il passa-to”27. Lo spazio che accoglie i fenomeni della memoria non è allora néuno spazio pieno e compatto che si offre, né uno spazio svuotato chesi sottrae, bensì uno spazio poroso, che non afferra ma si lascia intri-dere per poi rilasciare la sostanza assorbita, e più avanti, magari, esse-re di nuovo imbevuto delle straordinarie immagini che senza saperlocustodiamo in noi.

È allo stesso modo rarefatto e penetrabile lo spazio in cui si gene-ra e vive l’opera d’arte. “I veri libri devono essere i figli non della

26 Ibid., p. 445.27 Ibid., p. 453.

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piena luce e della conversazione, ma dell’oscurità e del silenzio”28.Lungi dall’accostarlo alle cose che nell’esistenza ha tentato di rag-giungere – esseri amati, piaceri, città sognate, eleganti riunioni ari-stocratiche – il romanzo da scrivere tiene il Narratore più che maidistante da esse. Tuttavia in questo spazio definitivamente separato,in cui il desiderio ha lasciato il posto alla costruzione dell’arte, leimpressioni della vita si riaffacciano. Ma è come se la grande di-stanza da cui provengono, ne avesse, nel cammino, mutato la natu-ra: esse paiono ora alleggerite del peso della materia, purificated’ogni contingenza, riportate all’essenza, finalmente chiare e com-prensibili. Proprio come ogni frammento di passato che la memoriainvolontaria richiama in vita: “liberato di quanto c’è d’imperfettonella percezione esteriore, puro e disincarnato”29. È avendo assuntoquesta nuova forma che un’esistenza individuale – quella dello scrit-tore – diviene universale. Certo, in tal modo essa smette di apparte-nergli, e tuttavia, pur non essendo in suo possesso, non è perduta.

Ogni libro, dice Proust, è un grande cimitero: nelle sue tombesenza nome giacciono tutte le creature realmente vissute che sonoservite, magari, a fare un solo personaggio in cui miriadi di lettorisapranno immedesimarsi. La singolare felicità dell’artista non sca-turisce – come la legge del desiderio vorrebbe – dall’appropriazione,ma dall’autentico dono di sé – dal sacrificio – che egli compie.

Io dico che la legge crudele dell’arte è che gli esseri muoiono e chenoi stessi moriamo esaurendo tutte le sofferenze perché spunti l’erbanon dell’oblio ma della vita eterna, l’erba fitta delle opere feconde,sulla quale le generazioni verranno gaiamente, senza cura di quelliche dormono sotto, a fare la loro «colazione sull’erba»30.

Se nei territori lontani dalla vita, in cui si è ritirato per creare,l’artista riesce infine ad innalzare una cattedrale, non dobbiamoimmaginare ch’essa diventi dunque la sua casa: lo spazio in cui rie-sce finalmente ad abitare, sistemandovi i suoi più cari arredi. No, lasua sublime costruzione non ha né mura, né portali, né volte, né ve-trate, e si espone – nel nudo splendore delle sue strutture – a inva-sioni ininterrotte.

28 Ibid., p. 476.29 Ibid., p. 447.30 Ibid., p. 615.

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Far memoria dell’incontro: dal coloreal quadro, dallo spazio al testo

DAVIDE VAGO

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Davide VagoAssegnista di ricerca in Letteratura francese pressol’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Sioccupa del problema della visione e della percezionecromatica nel testo della Recherche.

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Il presente studio avrà come oggetto due passi della Rechercheche narrano l’incontro tra l’eroe-narratore e due figure femminilifondamentali per il romanzo: in un caso si tratta di Gilberte Swann;nell’altro della “petite bande” di giovani fanciulle, in cui si nascon-de Albertine, la protagonista della storia d’amore narrata nella se-conda metà dell’opera.

Perché tale scelta? Studiare il funzionamento di una singola scenaimportante – come quella dell’incontro amoroso – significa in realtàrivelare alcune delle tendenze profonde della scrittura di un autore.Per la nostra analisi approfondiremo alcuni passi da vicino, con oc-chiali da miopia, per così dire, dato che “il pittore originale, l’artistaoriginale procedono con la tecnica degli oculisti”1. Per Proust, ogniscrittore propone al lettore occhiali diversi, cioè una nuova visionedel mondo. Ancor meglio, una nuova visione dello spazio del mon-do.

Due riferimenti critici, nella sterminata bibliografia proustiana,fungeranno da guida nella nostra analisi: Georges Poulet conL’espace proustien e Jean Rousset con Leurs yeux se rencontrèrent2.

La scena dell’incontro ‘amoroso’ tra un giovane e una giovane, lascène de première vue in cui scatta la scintilla della passione, è de-scritta, nei passi che ora analizzeremo, in maniera inscindibile dalluogo dell’avvenimento. Georges Poulet scrive che i “veri” spaziproustiani sono quelli legati a specifiche presenze umane. Quasi mainel testo un luogo è descritto senza che in primo piano si profili unviso più o meno determinato; viceversa, quando il volto di un qual-che personaggio si percepisce, esso trova immediatamente un qua-dro in cui inserirsi. Più precisamente: una cornice spaziale.

1 M. Proust, La parte di Guermantes, in Alla ricerca del tempo perduto, tradu-zione di G. Raboni, Mondadori, Milano 1983-1993, coll. “I Meridiani”. La cita-zione in questione si trova in t. 2, p. 394.

2 G. Poulet, L’espace proustien, Gallimard, Paris 1963; J. Rousset, Leurs yeuxse rencontrèrent. La scène de première vue dans le roman, José Corti, Paris 1984.

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Questo è ancor più evidente quando il volto che si mostra scon-certa l’eroe-narratore con i primi turbamenti d’amore. In tal caso, lospazio si modella soggettivamente in funzione del volto percepito.

Un’altra conseguenza che deriva da tale inoggettività del luogoproustiano è che, nella memoria del narratore – così come in quelladel lettore – tale personaggio riaffiori costantemente legato a quellaprecisa cornice spaziale. Anticipando quindi una delle nostre con-clusioni, possiamo dire che in tale processo è visibile la straordinariamodernità del capolavoro proustiano: nei meccanismi memoriali,infatti, lo spazio del quadro diventa anche una delle mutevoli stanzedella memoria. Essa, infatti, non è priva di errori e di ambiguità, da-to che ogni incontro, specie quello d’amore, provoca un viaggioiniziatico che si concretizza in una traversata di dimenticanze e im-precisioni.

1. L’incontro con la “petite bande”

Entriamo quindi nel merito della dimensione spazio-temporaledell’incontro amoroso proustiano. Per la nostra analisi, invertiremogli episodi di incontro amoroso, partendo dal secondo in ordinetemporale (quello con Albertine, quando il narratore è un adole-scente) per chiudere sul primo, con Gilberte Swann, avvenuto du-rante l’infanzia.

Il primo passo che analizzeremo presenta dunque il primo ap-proccio dell’eroe-narratore con la “petite bande” di fanciulle a Bal-bec, località di villeggiatura inventata da Proust e situata, nella geo-grafia del romanzo, sulle coste della Normandia.

Durante l’ora della passeggiata sulla diga, il narratore è colpitoda un gruppo di ragazzine. Sportive, senz’ombra di dubbio: una diesse spinge una bicicletta, un mezzo di locomozione relativamentenuovo per l’epoca. Altre due portano delle mazze da golf.

Si tratta di un gruppo eterogeneo in una doppia accezione: dauna parte, esso differisce dagli altri villeggianti di Balbec, a tal pun-to che le fanciulle vengono definite come una “banda” a sé stante.D’altra parte, il gruppo di ragazzine spregiudicate e indipendentipresenta al suo interno una notevole varietà nella forma del volto,nei colori della carnagione e degli occhi, nelle fattezze del corpo:

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FAR MEMORIA DELL’INCONTRO

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Benché ognuna rappresentasse un tipo completamente diverso dallealtre, tutte erano in qualche modo belle; ma, a dire il vero, le vedevoda così pochi istanti, e non osando guardarle fissamente, che non neavevo ancora ben individuata nessuna3.

Eterogenea nelle sue componenti, eppure omogenea nell’idealemoderno e sportivo di bellezza che esprime: la “petite bande” difanciulle qui descritta si trasforma nelle parole di Proust in un im-maginario, ma pur sempre possibile, quadro futurista.

A parte una, che con il suo naso dritto e la pelle bruna spiccava percontrasto come, in un quadro del Rinascimento, un Re Mago di tipoarabo, riuscivo a distinguerle soltanto, questa per un paio d’occhiduri, sfrontati e ridenti, quella per le guance il cui rosa aveva la sfu-matura ramata che evoca l’idea del geranio; e persino questi eranotratti che non potevo ancora associare in modo indissolubile a unapiuttosto che a un’altra di loro; e quando (nell’ordine secondo ilquale veniva svolgendosi quell’insieme, meraviglioso perché vi coesi-stevano gli aspetti più eterogenei e tutte le gamme di colore vi figu-ravano accostate, ma confuso come una musica nella quale nonavessi saputo isolare e riconoscere, via via che passavano, le singolefrasi, percepite ma subito dimenticate) vedevo emergere un ovalebianco, degli occhi neri, degli occhi verdi, mi chiedevo se fossero glistessi dai quali, un istante prima, ero già stato affascinato, non pote-vo attribuirli a una certa fanciulla, staccata dalle altre e identificata.E questa assenza, nella mia visione, di confini che ben presto avreistabiliti, propagava per tutto il gruppo un ondeggiamento armonio-so, la traslazione continua d’una bellezza fluida, mobile e collettiva.

Concentriamoci sulla tecnica descrittiva di Proust.Della banda di fanciulle, il narratore coglie in prima istanza le li-

nee (o meglio, il tratto del disegno) e le zone di colore (anche se nonancora definite). Otteniamo in tal modo un primo elemento diritto,quello della linea del naso; in seguito, emerge l’“ovale bianco” delvolto di una delle fanciulle.

La trasformazione della descrizione dalle parole del testo alla vi-sione di un quadro (la cosiddetta tecnica dell’ekphrasis) è amplifica-ta dalla presenza di un cromatismo particolarmente sviluppato: la“pelle bruna” (fonte della comparazione con un Re Mago arabo di

3 All’ombra delle fanciulle in fiore, in Alla ricerca del tempo perduto, t. 1, pp.957-958.

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un quadro rinascimentale); il rosa “ramato” evocatore di un gera-nio; il bianco dell’ovale; infine, gli occhi neri e verdi.

Ora, tali linee e tali zone cromatiche non sono percepite dal nar-ratore in maniera ben definita. Egli non riesce, infatti, ad individua-re i tratti di una fanciulla rispetto a quelli di un’altra. La sua è dun-que – almeno all’inizio – una percezione d’insieme: come quella diun quadro visto per la prima volta da una certa distanza. A mano amano che egli si avvicina al quadro, alcuni particolari diventano piùprecisi.

Ciononostante, tale movimento di avvicinamento e di riconosci-mento non si conclude in questa progressione; ad essa si contrappo-ne infatti una sorta di regressione, dato che la percezione di talegruppo è falsata dall’avvicinamento delle fanciulle che si spostanosulla diga. La banda si “svolge” nel tempo, e ciò confondel’attribuzione di quei tratti dopo che essi sono stati individuati. Daqui il paragone, chiuso in parentesi, di tale percezione con “unamusica nella quale non avessi saputo isolare e riconoscere, via viache passavano, le singole frasi, percepite, ma subito dimenticate”.Tale confusione genera però, congiuntamente, una sensazione diarmonia: la descrizione si chiude, infatti, con l’evocazione di “unabellezza fluida, mobile e collettiva”.

Potremmo confrontare le caratteristiche qui individuate con leraffigurazioni pittoriche di numerosi autori cubisti o futuristi. Ladescrizione proustiana si lega in modo inscindibile – quanto meno alivello di tecnica – alle istanze avanguardiste di inizio secolo.

Del resto, come leggeremo tra poco, tali fanciulle sembrano ap-partenere “alla popolazione che frequenta i velodromi” e sono de-finite come “le giovanissime amanti di corridori ciclisti”. Uno sportmoderno, il ciclismo, entra nell’immaginario della letteratura, cosìcome la velocità, la fluidità e la confusione percettiva sono i tratticomuni delle avanguardie d’inizio secolo. La tecnica descrittivadello spazio è, dunque, modernista.

2. Il “polo noir” di Albertine

All’interno del gruppo di queste fanciulle emerge però la ragazzacon il “polo” nero calcato sulla testa. Si tratta di Albertine, la don-

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na che segnerà la vita del narratore con una relazione ora idilliaca,ora cannibale, ora improntata alla gelosia, e che terminerà in ma-niera tragica.

L’individuazione di Albertine all’interno della banda avviene do-po un certo lasso di tempo. La linea di discrimine è datadall’episodio del vecchio banchiere, il quale, mentre è seduto su unseggiolino pieghevole, viene letteralmente superato dalle ragazze delgruppo con un balzo dalla pedana dei suonatori (trasformata in untrampolino di lancio per queste fanciulle sportive). Sembra che taleslancio fisico abbia come conseguenza un’accelerazione del processodi decodifica del narratore stesso, come si evince dal passo seguente:

Adesso, i loro tratti affascinanti non erano più mescolati e indistinti.Li avevo suddivisi e agglomerati (in mancanza del nome di ciascuna,che ignoravo) intorno alla più alta, ch’era saltata sopra la testa delvecchio banchiere; alla piccola, le cui guance rosee e paffute e i cuiocchi verdi si stagliavano contro l’orizzonte marino; a quella dalcolorito bruno, dal naso diritto, che contrastava con tutte le altre; aun’altra dal viso bianco come un uovo, nel quale il nasino tracciavaun arco di circonferenza simile al becco d’un pulcino, un viso comene hanno solo certe creature giovanissime; a un’altra ancora, alta,con indosso una mantellina […]; a una fanciulla dagli occhi lumi-nosi, ridenti, dalle larghe guance olivastre sotto un “polo” nero bencalcato sulla testa, che spingeva una bicicletta ancheggiando inmodo così dinoccolato e, quando le passai accanto, parlava usandotermini gergali così sguaiati (fra cui distinsi l’incresciosa espressione“vivere la propria vita”) e a voce così alta che […] giunsi piuttostoalla conclusione che quelle ragazze appartenessero tutte alla popo-lazione che frequenta i velodromi e dovessero essere le giovanissimeamanti di corridori ciclisti4.

Notiamo come i dettagli individuati dal narratore mescolino an-cora una volta linee da disegno (“l’arco di circonferenza”, la ro-tondità dell’“uovo”), ora maggiormente definite, a tracce di coloremeglio precisate. In mancanza del nome proprio5, il colore degli oc-

4 Ibid., pp. 960-961.5 “Enfin le nom: «les personnages demeurent inexistants aussi longtemps qu’ils

ne sont pas baptisés», cette remarque de Gide dans son Journal des Faux-Monnayeurs concerne le romancier au travail; une notation analogue de Proustvaut pour le personnage lui-même: «ce nom de Gilberte, donné comme un tali-

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chi funziona come un indicatore che lega in maniera inscindibile ilpersonaggio che sta emergendo allo spazio circostante: gli “occhiverdi” che si stagliano “contro l’orizzonte marino”.

Come abbiamo ribadito inizialmente, ogni personaggio proustia-no persiste nella memoria del narratore (e in quella del lettore) lega-to ad un sito spaziale preciso che funge, per così dire, da quadro.Così è per il gruppo della “petite bande” che si staglia sulla diga esulla marina di Balbec. Così è, di conseguenza, per Albertine che sa-rà più volte citata nel testo proustiano come “le rose profil sur lamer”. Dal colore della silhouette di Albertine si passa ad una visioned’insieme, dallo spazio così definito si passa poi, col trascorrere deltempo, alla memoria.

Emerge infatti il “polo noir” di una fanciulla, dallo sguardo in-telligente e dal linguaggio “gergale” e “sguaiato” (il testo francese,più precisamente, parla di “termes d’argot si voyous et criés sifort”). Il doppio riferimento sportivo, dal polo al ciclismo (il cappel-lo di tipo “polo” deriva dall’abbigliamento consono alla specificadisciplina sportiva, e indica chiaramente una certa mascolinità dichi lo indossa) la rendono una figlia della modernità novecentesca.

L’ultimo passo che analizzeremo riguardo a questo incontro pre-senta però un indizio interessante per il nostro scopo:

Tutta intenta alle parole delle compagne, quella fanciulla dal “polo”calcato così basso sulla fronte m’aveva visto nel momento in cui ilraggio nero emanato dai suoi occhi aveva incontrato la mia figura?E, se m’aveva visto, che cosa avevo potuto rappresentare per lei? Dalgrembo di quale universo mi scorgeva? Dirlo mi sarebbe stato dif-ficile così come, quando il telescopio ci rivela certe particolarità diun astro vicino, è arduo concluderne che degli esseri umani vi abiti-no, che ci vedano, e quali idee tale vista abbia potuto destare in loro.

sman… me permettrait peut-être de retrouver un jour celle dont il venait de faireune personne…», ce qui vaut également pour le lecteur…”. Traduciamo per il let-tore italiano: “Infine il nome proprio: «i personaggi restano inesistenti finché nonviene loro imposto il nome di battesimo», quest’annotazione di Gide nel suo Jour-nal des Faux-Monnayeurs riguarda lo scrittore al lavoro; un’annotazione analogadi Proust si applica allo stesso personaggio: «quel nome di Gilberte, offertomi co-me un talismano… mi avrebbe forse permesso di ritrovare un giorno colei che,grazie ad esso, era appena diventata una persona...», il che vale altrettanto per illettore…” (J. Rousset, Leurs yeux se rencontrèrent, p. 42).

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Concentriamoci sul raggio nero emanato dagli occhi della fan-ciulla: il cappello è calcato a tal punto che il colore nero scivola let-teralmente (in francese si parlerebbe di glissement) dal capo allosguardo. Questa frase è dunque la prova che il funzionamento delladescrizione proustiana procede per ‘quadri’ modernisti. L’esitazionecromatica del nero che passa dal cappello allo sguardo è indice dellaconfusione esistente tra le forme del quadro che si forma agli occhidel narratore. Il tratto cromatico deborda dai limiti del disegno, siallunga, entra negli occhi per saettare immediatamente dopo verso ilnarratore: lo sfasamento tra le forme riecheggia le plasticità cubistedei piani prospettici che si compenetrano, generando ibridità.

Questa tipica scena di première vue (gli strali degli occhi, di pe-trarchesca memoria6 che colpiscono il poeta), pur confermando untopos letterario tradizionale, ne inventa, per così dire, la versionenovecentesca: l’immagine che chiude il passo, l’ipotesi che altri es-seri umani ci osservino dagli astri vicini, conferma l’apertura diProust alla modernità.

Non solo: tale scena conferma ciò che critici importanti comeGenette e Richard7 hanno evidenziato a proposito della visione delmondo di Proust, fondata sulla contiguità degli esistenti le cui quali-tà si sommano, si confondono, si mescolano nella percezione sog-gettiva del Narratore. Tale meccanismo provoca il fenomeno delglissement (letteralmente: scivolamento) delle proprietà dall’unoall’altro degli elementi del mondo proustiano. La conseguenza ditale fenomeno non è altro che quello che Proust definisce“métaphore”: una visione qualitativamente diversa dell’universo daparte dell’artista, che fonde il suo spirito con il nuovo “montaggio”degli elementi del mondo, rifondendoli nei cerchi perfetti dello stile.Lo spazio proustiano è, inesorabilmente, una questione di forma,cioè un’écriture.

6 Cfr., a titolo di esempio, i celebri versi di Petrarca: “Era il giorno ch’al sol siscoloraro / per la pietà del suo factore i rai, / quando i’ fui preso, et non me neguardai, / ché i be’ vostr’occhi, donna, mi legaro. // […] Trovommi Amor del tuttodisarmato / et aperta la via per gli occhi al core, / che di lagrime son fatti uscio etvarco / [...]” (Rerum vulgarium fragmenta, III).

7 Cfr. G. Genette, Métonymie chez Proust, in Figures III, Seuil, Paris 1972, pp.41-63; J.-P. Richard, Proust et le monde sensible, Seuil, Paris 1974.

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Inoltre, l’immagine del quadro di Albertine possiede la caratteri-stica essenziale di trasformarsi nel tempo, così come – ad una fre-quenza naturalmente molto più accentuata – un quadro futurista diBalla vorrebbe fissare sulla tela il movimento vibratorio della manodi un violinista8. Tale trasformazione avviene, per esplicita ammis-sione di Proust, in questo modo:

È così, immobile, gli occhi sfavillanti sotto il suo polo, che ancoroggi la rivedo, profilata sullo schermo creatole dallo sfondo del ma-re, fra lei e me lo spazio trasparente e azzurrato del tempo nascostoda quei giorni, immagine prima, così esile nel mio ricordo, desidera-ta, inseguita, poi obliata, poi ritrovata, d’un viso che tante volte,dopo, ho proiettato nel passato per potermi dire, d’una fanciullach’era nella mia camera: “È lei!”9.

Lo spazio del mare diventa lo schermo del profilo di Albertine:ma tal spazio marino subisce la metamorfosi in spazio del tempo,diventando immagine memoriale impressa nello spirito del narrato-re. Come una fotografia di un volto in controluce, la cui forma scu-ra è riempita successivamente dalla sovraimpressione di strati me-moriali diversi, da esperienze amorose variegate – tutte confrontatee entrelacées con questo quadro primordiale – ecco che lo spazio diAlbertine trascorre il tempo, si modifica pur restando, paradossal-mente, sempre uguale.

3. Sul colore degli occhi di Gilberte Swann

Passiamo ora al secondo episodio oggetto della nostra indagine,quello dell’incontro tra il narratore e Gilberte Swann, la figlia di M.Swann e di Odette de Crécy.

Precisiamo anzitutto che Gilberte Swann era stata già oggetto diun pre-incontro, per così dire ‘virtuale’ nell’immaginario del narra-tore: ella è infatti amica di Bergotte, lo scrittore che all’epoca eraoggetto dell’idolatria del giovane eroe. Il narratore si immaginava

8 Ci riferiamo alla celebre tela di Giacomo Balla, intitolata “La mano del vio-lonista” (1912). Da notare che tale tela precede di pochi anni la descrizione prou-stiana della “petite bande”.

9 All’ombra delle fanciulle in fiore, p. 1005.

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infatti che il suo modello letterario e M.lle Swann visitassero assie-me le cattedrali e i castelli che sorgono nell’Île-de-France.

La visione che precede l’incontro è dunque un paesaggio mentaleper due ragioni: innanzitutto è carico di suggestioni storiche (le visi-te in Île-de-France); in secondo luogo, è posto sotto l’egida della rie-laborazione letteraria. Il narratore incontra Gilberte attraversandola letteratura (simbolizzata, all’epoca, da Bergotte).

Se queste sono le premesse, veniamo ora all’incontro reale. Lun-go la passeggiata che costeggia la proprietà di M. Swann, il giova-nissimo narratore è in compagnia del padre e del nonno, il quale fascoprire al protagonista un fiore ancor più bello dei tanto amatibiancospini: lo spino rosa. La sensualità della descrizione di queifiori, che sembrano assumere la tinta di un cibo commestibile, pre-para il lettore a quell’euforia dei sensi che caratterizza la scenadell’incontro con Gilberte. Nel romanzo proustiano tale euforia sen-soriale annuncia solitamente un momento di rivelazione, solo intui-to e (quasi) mai concluso.

Attraverso la siepe degli spini, il Narratore può spiare ciò che ac-cade all’interno del parco degli Swann:

Attraverso la siepe si poteva scorgere all’interno del parco un vialebordato di gelsomini, di viole del pensiero e di verbene, in mezzo aiquali delle violacciocche schiudevano le loro borse fresche d’un rosaodoroso e sbiadito come quello di un vecchio cuoio di Cordova,mentre sulla ghiaia un lungo tubo per innaffiare verniciato di verdesvolgeva le sue spire, lanciando in corrispondenza dei suoi fiori, al disopra dei cespugli di cui irrorava i profumi, il ventaglio verticale eprismatico delle sue minuscole gocce multicolori. Tutt’a un tratto mifermai, fui incapace di muovermi, come succede quando una visionenon si indirizza solo al nostro sguardo ma sollecita percezioni piùprofonde e s’impadronisce del nostro essere nella sua interezza. Unaragazzina d’un biondo rossiccio, che aveva l’aria di tornare da unapasseggiata e reggeva in mano una vanga da giardiniere, ci guardavaalzando il suo viso cosparso di efelidi rosa. I suoi occhi neri brilla-vano, e poiché allora non sapevo, né l’ho imparato in seguito, ridur-re ai puri elementi oggettivi una forte impressione, non avendo ab-bastanza di quel che si definisce “spirito d’osservazione” per isolarela nozione del loro colore, per molto tempo, ogni volta che ripensa-vo a lei, il ricordo del loro sfavillio mi si presentò senz’altro comequello di un vivido azzurro, dal momento che i suoi capelli erano

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biondi: al punto che, forse, se non avesse avuto degli occhi così ne-ri – ciò che colpiva tanto chi la vedeva per la prima volta – non misarei più particolarmente innamorato, come mi innamorai, di queisuoi occhi azzurri10.

Di questo passo sottolineiamo alcuni aspetti che contribuiscono,ancora una volta, alla costruzione del quadro.

Mentre il contorno floreale funge da cornice nella sua molteplici-tà, il tratto curvo che sembra disegnarsi sotto i nostri occhi è quellodel “ventaglio verticale e prismatico” delle “gocce multicolori”dell’acqua per innaffiare. Si tratta di una raffinata descrizione di unarcobaleno, che scompone la luce naturale nei fasci cromatici delprisma grazie alla presenza dell’umidità sospesa dell’acqua. Da que-sta manierata orchestrazione di tinte ecco che ben precise tracce dicolore materializzano di colpo una visione femminile: destinata,come esplicitato dal testo, a sollecitare “percezioni più profonde”della semplice vista. L’incontro con Gilberte è segnato daun’improvvisa e inaspettata violenza: “tutt’a un tratto” il narratoreè talmente irrigidito nei suoi movimenti da restare immobilizzato.

Quel che colpisce il narratore è il biondo rossastro dei capelli chechiude il cerchio del viso, il quale a sua volta è punteggiato, come sesi trattasse di un quadro pointilliste, di efelidi rosa. Lo spino rosadella siepe, la cui descrizione precede l’incontro, si presenta sottonuova specie nel volto di Gilberte. Sottolineiamo au passage la ri-proposizione di un’altra linea, ancora una volta verticale: la lineadella vanga da giardino, tenuta in mano dalla stessa ragazzina.

Infine, gli occhi. Se all’inizio vibrano di un nero lucente, così co-me appaiono alla prima impressione, si trasformano, nel ricordo, inun “vivido azzurro” (il testo francese riporta: “vif azur”). Anzi,Proust sottolinea che proprio per la loro caratteristica di nera lucen-tezza, egli si innamora sempre più del loro sfavillante azzurro.

Per riuscire a spiegare questo ‘equivoco cromatico’, a nostro av-viso molto interessante, sono state formulate varie ipotesi. Per l’eroedel romanzo proustiano, ogni impressione sensoriale è fortementemarcata dalla soggettività di chi guarda11. La prima visione del volto

10 Dalla parte di Swann, in Alla ricerca del tempo perduto, t. 1, pp. 171-172.11 “Ce réel brusquement perçu est-il plus vrai que la figure d’abord imaginée?

On sait que la question ainsi posée n’a pas beaucoup de sens chez Proust, pour qui

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amoroso non può che essere, dunque, lacunosa e alterata. Per me-glio comprenderla bisogna dunque interpretarla come un segno:decifrarla con altri mezzi12.

Il primo di questi strumenti è l’archetipo. Tale prima impressio-ne, molto forte, crea un doppione cromatico guidato dal desiderio:poiché la fanciulla è bionda, essa è l’archetipo della donna amata digran parte della letteratura occidentale. Da neri, quali essi sono inrealtà, i suoi occhi diventano azzurri, in conformità ad un archetipofacilmente riconoscibile. L’azzurro è un colore assente, ma che di-venta presente nel testo doppiando la ‘guaina’13 cromatica dell’iridedi Gilberte.

Jean Rousset, commentando la frase tipica dell’incontro amoroso(“et leurs yeux se rencontrèrent”, e i loro occhi si incontrarono) sot-tolinea giustamente che tale frase può apparire sotto la forma “etleurs yeux se troublèrent”: il verbo troubler non significa solo – co-me riporta il dizionario – “confondere, perturbare, agitare”, macome primo significato indica il cambiamento del tono cromatico edella trasparenza dell’oggetto.

Alcuni critici14 hanno azzardato altre ipotesi. Ad esempio,un’interpretazione del passo coerente con la filosofia di EmmanuelLévinas. Il filosofo francese ha scritto infatti che “la meilleure ma-nière de rencontrer autrui, c’est de ne pas même remarquer la cou-

toute perception est fortement marquée de subjectivité” (“Questa realtà percepitad’improvviso è più vera del viso dapprima immaginato? è noto che una domandacosì posta non ha molto senso per Proust, per il quale ogni percezione è fortementeintrisa di soggettività”) (J. Rousset, Leurs yeux se rencontrèrent, p. 123).

12 “L’essentiel n’est pas là, il est dans l’interprétation de ces signes divers”(“L’essenza non è qui, ma nell’interpretazione di questi segni diversi”) (Ibid., p.124).

13 Così la definizione del termine gaine nel Trésor de la langue française: “étuide protection et de rangement, étroitement adapté à la forme de l’objet qu’il estdestiné à contenir”. Con l’immagine della gaine noi vorremmo indicare chel’insistenza sulla materialità del colore degli occhi provoca in questo passo prou-stiano un improvviso renversement cromatico – come una guaina che mostra la suadoublure di un colore diverso.

14 Ci riferiamo in particolare all’esegesi di André Benhaïm, basata sulla(presunta) comune eredità ebraica, in Proust e in Lévinas, dell’impossibilità a rap-presentare il volto umano come quello di Dio. Cfr. il suo saggio Panim. Visages deProust, Presses Universitaires du Septentrion, Villeneuve d’Ascq 2006.

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leur de ses yeux!”15. Il narratore proustiano procede nello stessomodo, anche se la base di partenza è profondamente diversa: perLévinas, infatti, l’approccio dell’io all’altro non deve ridurre il visoaltrui ad una serie di elementi oggettivi (mento, occhi, naso, colore,ecc.), ma deve essere di tipo etico. Non ricordare il colore degli oc-chi significherebbe, dunque, aprirsi all’altro con l’amore più genero-so.

Tuttavia propendiamo per un’interpretazione con un mezzo piùcoerente con l’estetica proustiana. Ciò che si nasconde in tale ambi-guità cromatica è, a parer nostro, un’estetica dell’incontro amorosoche si nutre di un preciso modello letterario, imitato, fagocitato erielaborato dalla contorta scrittura di Proust. Tale modello lettera-rio è Madame Bovary di Flaubert, un modello di scrittura insupe-rabile per il nostro autore16. Gli occhi di Emma Bovary sono infatti“neri all’ombra e azzurro scuro alla luce del giorno”. In effetti, seleggiamo con attenzione il romanzo di Flaubert, il colore degli occhidi Emma è estremamente variabile: essi passano dal castano al neroal blu. La ragione diventa evidente se si tiene conto che Emma è la‘sintesi media’ della donna di provincia, illusa dall’impossibile so-gno di una passione romantica. Non casualmente, anche il coloredegli occhi di Albertine nella Recherche è estremamente variabile.Per Proust, come per Flaubert – ci ricorda Raymonde Debray-Genette, i colori non sono oggettivi. Esistono solo colori mentali eaffettivi17.

15 E. Lévinas, Ethique et infini. Dialogues avec Philippe Nemo, Fayard, Paris1982, pp. 79-80.

16 Si veda il giudizio di Proust su Flaubert: “un homme qui par l’usage entière-ment nouveau et personnel qu’il a fait du passé défini, du passé indéfini, du parti-cipe présent, de certains pronoms et de certaines prépositions, a renouvelé presqueautant notre vision des choses que Kant, avec ses Catégories, les théories de laConnaissance et de la Réalité du monde extérieur”; tr. it. “un uomo che con l’usocompletamente nuovo e personale che ha fatto del perfetto, dell’imperfetto, delparticipio presente, di certi pronomi e di certe preposizioni, ha rinnovato la nostavisione del mondo quasi quanto Kant, con le sue Categorie, le teorie della Cono-scenza e della Realtà del mondo esterno”. (À propos du style de Flaubert, in Con-tre Sainte-Beuve, précédé de Pastiches et mélanges et suivi de Essais et articles, P.Clarac-Y. Sandre ed., Gallimard, Paris 1971, coll. “Bibliothèque de la Pléiade”, p.586).

17 Recherche de Proust, G. Genette-T. Todorov ed., Seuil, Paris 1980, p. 122.

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Una conferma della bontà di quest’interpretazione è data dal ri-sultato pratico di quest’incontro: come il matrimonio di MadameBovary sarà una rovina totale, l’amara constatazione di un sognod’amore fallito, tradito, soggiogato alla cruda realtà borghese e ma-teriale della provincia18 – così sul finire della Recherche il narratoresvelerà che i due protagonisti dell’incontro hanno dato, ciascuno perla sua parte, un’interpretazione sbagliata di questa prima visione,provocando quindi un risultato nullo19. L’ennesimo scaccodell’amore che è per Proust gelosia e fraintendimento continui.

A conclusione di quest’analisi, quindi, possiamo dire che lo spa-zio dell’incontro amoroso in Proust diventa anche il terreno fertiledell’intertestualità. Testo e intertesto si scambiano frequentementenell’immense cathédrale costruita da Proust.

4. Conclusioni

Proponiamo ora alcune conclusioni sul trattamento dello spazionella Recherche.– Lo spazio è descritto nel tentativo di evocare un’affascinante as-

sociazione tra arti diverse. Nelle descrizioni che abbiamo richia-mato, assieme al volto di una o più fanciulle Proust evoca in-scindibilmente una cornice più vasta, creata dalle parole del te-sto, che sfrutta a suo vantaggio i procedimenti tipicidell’ekphrasis. Lo spazio dell’incontro proustiano mostra unampio uso di procedimenti pittorici espliciti o, più spesso, evocatida un denso lessico cromatico o del disegno. I procedimenti pit-torici si mescolano a quelli letterari, mostrando così quanto lalezione baudelairiana dell’armonia universale e dell’immagina-zione ‘sintetica’ siano fondamentali per la scrittura della Recher-

18 Cfr. il saggio di S. Cigada, Genesi e struttura tematica di Emma Bovary, inContributi del Seminario di Filologia Moderna. Serie francese, vol. I, Vita e Pensie-ro, Milano 1959, pp. 185-277.

19 “«L’altro giorno parlavate del sentiero in salita. Come vi amavo, allora!» Ri-spose: «Perché non me lo dicevate? non me n’ero accorta. Io vi amavo. E una voltavi ho anche fatto un’offerta in piena regola. – Ma quando? – La prima volta a Tan-sonville, voi passeggiavate con la vostra famiglia, io tornavo a casa, non avevo maivisto un ragazzino così bello […]»” (Albertine scomparsa, in Alla ricerca del tempoperduto, t. 4, p. 330).

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che. Allo stesso tempo, l’uso dell’ekphrasis è sintomo di una certaidolatria del narratore: la sua tendenza, cioè, a leggere la realtàattraverso precisi canoni estetici (o meglio, estetizzanti), e di uncerto manierismo di Proust rispetto ai canoni della sua epoca.Ciononostante, tale manierismo costituisce una tappa per il nar-ratore nell’apprentissage del mondo e della vocazione artistica –tappa necessaria che deve essere superata.

– Lo spazio proustiano oscilla tra sfinge (è un segno da interpreta-re) ed ermeneutica (suggerisce quindi più percorsi di interpreta-zione, spesso contrastanti). Lo spazio dell’incontro è il luogo diuna percezione impedita, di un’impressione continua tra figura esetting (lo sfondo della figura stessa), che però risulta imprecisa,fallace, o incompleta, e che necessita di una interpretazione daparte del narratore, anche a distanza di anni, o di diverse centi-naia di pagine. Dallo spazio esterno siamo dunque giunti a quellointerno dell’io percettivo. Lo spazio dell’incontro diventa, inoltre,per il lettore, il luogo di un enigma da risolvere, che colpisce, af-fascina e suggerisce piste di ricerca non risolte.

– Lo spazio descritto nell’incontro amoroso assume la forma diun’istantanea che, muovendosi nel tempo, impercettibilmentepermane, e inesorabilmente si modifica. Due tendenze opposte siintrecciano nella descrizione di questi spazi: da una partel’inafferrabilità degli esseri umani (come Albertine) che si modifi-cano e cambiano nel tempo come le facce di un prisma – mentre,contemporaneamente, il soggetto che percepisce evolve e modifi-ca il suo sguardo sull’altro; dall’altra, il permanere in questi per-sonaggi di un aspetto, o meglio, di una forma, che garantisce laloro sopravvivenza nel tempo e consente di ritrovare, anche dopoanni, anche dopo l’oblio, l’immagine del ricordo rimasta inaltera-ta.L’incontro amoroso è l’interpenetrazione di spazio e durata20: es-so è un reagente della memoria del Narratore.Proust attualizza in tal modo l’antica lezione del De Oratore nelquale Cicerone proponeva alcune lezioni di ‘mnemotecnica’ per il

20 Per ciò che concerne il ruolo di Mnemosine-tempo in campo artistico, si vedaM. Praz, Mnemosine. Parallelo tra la letteratura e le arti visive, Mondadori, Mila-no 1971.

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buon retore, associando le parti del discorso alle stanze successi-ve di un’abitazione. Ciononostante, la memoria che proponeProust non può più essere la perfetta tecnica dell’oratore antico.Come il mondo moderno, essa è frammentaria, ingannevole ep-pure veritiera, lacunosa eppure evocatrice. La memoria che sca-turisce dallo spazio proustiano è, dunque, più un processo che unprodotto finito, più un frammento che una statua integra. Taleprocesso si lega in modo inscindibile alle scelte stilistichedell’autore, al processo di elaborazione linguistica dell’opera, chesembra fondere tale continua ri-formulazione del mondo in for-ma di metafora.Da questo frammento di un’immagine interiore, o forma, nasceinfatti la forma della Recherche: l’opera scritta (e da scrivere).

– Infine, se consideriamo lo spazio del testo, sintesi metaforica didurata e visione, esso diventa il crocevia delle letture e degli au-tori amati, letti, imitati, e infine superati, da Proust. Lo spazioproustiano è il regno dell’intertestualità.Dietro il profilo marino di Albertine, in altre pagine che non ab-biamo analizzato, si insinua prepotente il ricordo delle marine diBaudelaire21; l’indeterminatezza del colore degli occhi di Gilberteevoca, coscientemente o no, il modello flaubertiano di EmmaBovary.Lo spazio di Proust è, in conclusione, lo spazio dell’incrocio let-terario: dai capolavori che lo precedono e lo nutrono, a quelloche Proust autor sta ‘montando’ (come un film), a quello che illettore sta leggendo. È lo spazio dove la virtualità della culturadiventa, almeno momentaneamente, visibile. In forma di movi-mento e di scambio continuo.

21 Le celebri descrizioni delle «marine» di Balbec, che si intrecciano con le vi-cende della banda di fanciulle, richiamano in molti casi celebri testi baudelarianicome «Le confiteor de l’artiste», nei Petits Poèmes en prose. Cfr. A. Compagnon,Proust entre deux siècles, Seuil, Paris 1989.

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Collana Cives Universi Centro Internazionale di Cultura - Alberto Frigerio

Volumi pubblicati:

D’Annunzio, moda, modernità e società di massaEdizioni GR di Besana in Brianza, novembre 2006

Hemingway, talento, tormenti e passioniEdizioni GR di Besana in Brianza, aprile 2007

Thomas e Heinrich Mann. Vita, opere e memorie di un’epocaLucini libri, Milano, novembre 2007

Rainer Maria Rilke. Alla ricerca dello spazio interiore del mondo traarti figurative, musica e poesia.Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro CuoreDiritto allo Studio, Milano, giugno 2008

Marcel Proust. Proust e lo spazioEDUCatt - Ente per il Diritto allo Studio Universitario dell’UniversitàCattolica del Sacro Cuore, Milano, novembre 2009

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finito di stamparenel mese di novembre 2009

presso la LITOGRAFIA SOLARI

Peschiera Borromeo (MI)

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DIPARTIMENTO DI SCIENZE LINGUISTICHE

E LETTERATURE STRANIERE

Istituto LombardoAccademia di Scienze e Lettere di Milano

ISB

N 9

78-8

8-83

11-7

17-6

Marcel ProustProust e lo spazio

Atti della giornata di studi, 15 ottobre 2009

a cura di MARISA VERNA e ALBERTO FRIGERIO

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