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haifaa al mansour un film di la b ic icletta verde

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haifaa al mansourun film di

la biciclet

ta

verde

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Wadjda è una ragazzina di dodici anni che vive a Riad, una

città dell'Arabia Saudita. Dopo una lite con il suo amico

Abdullah, con cui non avrebbe neanche il permesso di

giocare, Wadjda mette gli occhi su una bellissima bicicletta

verde, in vendita nel negozio vicino casa. Wadjda vuole a

tutti i costi quella bicicletta anche per poter battere il suo

amico Abdullah in una gara. Ma secondo le leggi interne al

suo paese, alle bambine non è permesso andare in bici-

cletta e quindi nessuno gliela potrà regalare. Wadjda però

non vuole arrendersi.

trama

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LA BICICLETTAVERDE

Regia: Haifaa al Mansour; sceneggiatura: Haifaa al Mansour; fotografia: Lutz Reitmeier; montaggio: Andreas Wodraschke; scenografie: Thomas Molt; costumi: Peter Pohl; musiche: Max Richter; sound designer: Max Richter; interpreti principali: Reem Abdullah (la madre), Waad Mohammed (Wadjda), Abdullrahman Al Gohani (Abdullah), Ahd (Hussa), Sultan Al Assaf (il padre); origine: Arabia Saudita, 2013; durata: 97'.

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Un film rivoluzionarioLa bicicletta verde passerà nella storia del cinema come il primo film realizzato in Arabia Saudita da una donna e per di più da una donna araba. In Arabia Saudita infatti alle donne sono vietati una serie di mestie-ri, in particolare quelli che metterebbero a stretto contatto le donne con gli uomini, e tra questi c'è il mestie-re di regista. In più, in Arabia Saudita non esistono le sale cinematografiche, i film che si vedono sono quelli che passano in TV, super controllati dalla censura nazionale. Per questo La bicicletta verde può essere con-siderato un film rivoluzionario: non solo realizzato da una donna, Haifaa Al Mansour, ma ha come protago-niste principali due donne, Wadjda e sua madre, e una storia che permette alla ragazzina di ottenere un og-getto proibito per le donne, e cioè la bicicletta. Ai nostri occhi europei, il film potrà apparire irreale o troppo semplice, ma La bicicletta verde ci porta, con leggerezza e delicatezza in una realtà a noi sconosciuta e che scopriamo essere ricca di contraddizioni. L'Arabia Saudita infatti è un regno modernissimo da un punto di vista architettonico, economico, commerciale, industriale. È la terra che ha più risorse naturali al mondo, come il petrolio, il cui commercio va a riempire notevolmente le casse dei governanti. Eppure tanta moder-nità non è servita a sviluppare una cultura più rispettosa nei confronti della donna. Considerata da sempre un essere inferiore rispetto all'uomo, la donna in Arabia Saudita è ancora molto sottomessa alla cultura ma-schile. La donna non può votare, non può frequentare le scuole superiori, non può scegliere l'uomo con cui sposarsi ma deve aspettare che sia scelta e molto spesso, come vediamo nel film, la scelta matrimoniale viene fatta quando le donne sono ancora delle bambine. In più, come ci mostra il film, quando la donna è fuori casa, deve indossare un abito lungo nero chiamato abaya che nasconde le forme del suo corpo e la bellezza del suo volto, che vanno svelati esclusivamente al marito. Non le è permesso andare in bicicletta, andare a cavallo, e guidare una macchina. In poche parole viene negato alla donna di muoversi liberamen-te e di fare delle scelte. Le ragioni di queste disparità e di queste negazioni, tradizionalmente risiedono in

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La bicicletta verde A P PUN T IDI VIAGGIO

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una troppo rigida interpretazione di alcuni versi del Corano, ma concretamente tenere un intero popolo di donne fuori dalla vita sociale e lavorativa, fa molto comodo a un modo di vedere tutto maschile che in que-sta maniera prolunga il suo potere di comando e di controllo. Si racconta che nel 1990, quaranta donne sa-lirono in auto e guidarono lungo una delle strade principali della capitale Riad per sfidare la tradizione che imponeva loro di non guidare. Furono fermate, alcune di loro persero il lavoro e la loro azione venne per an-ni stigmatizzata nei sermoni religiosi e nei circoli sociali. L'anno successivo il Gran Muftì, la massima auto-rità religiosa del paese, emise un editto contro le donne al volante, seguito da un provvedimento formale adottato dal Ministero degli Interni che vietava alle donne di guidare da sole. Nel 2011 le attiviste hanno ri-lanciato via Internet le campagne contro tale divieto invitando le donne in possesso di patente a mettersi al-la guida sulle strade. Un gran numero di donne ha aderito alla campagna e si è messa al volante, molte di lo-ro si sono filmate mentre erano alla guida e hanno pubblicato le immagini su You Tube. Alcune sono state arrestate e costrette a sottoscrivere un impegno a desistere dal guidare. In questo contesto di negazione di diritti fondamentali della persona, ci rendiamo conto che un film come La bicicletta verde è solo apparen-temente un film semplice.

Sin dall'inizio del film, avvertiamo un senso di claustrofobia: le bambine sono vestite tutte uguali con lunghi abiti grigi, l'assenza di maschietti nelle loro aule, la rigidità della direttrice, il nascondersi per potersi man-dare messaggi e poter mettere lo smalto alle unghie dei piedi che verranno subito dopo nascosti dalle cal-ze, l'apprendimento a memoria dei versi del Corano, il non poter toccare con le mani nude il Corano se si ha il ciclo, il non poter alzare la voce neanche nel cortile della scuola. “Non si ride così forte – dice all'inizio del film la direttrice – La voce della donna non deve mai superare la porta. Quante volte ve lo dobbiamo dire. La voce della donna è la sua nudità.” Un senso di claustrofobia dicevamo, che viene dopo un po' interrotto dal dettaglio di un paio di scarpe da ginnastica che scopriamo appartenere a Wadjda, che dichiara in questa maniera subito la sua diversità. Per conoscerla meglio, la regista ci fa entrare nella sua famiglia costituita da una madre bella, molto preoccupata di mantenere e accrescere la sua bellezza per paura che il marito possa decidere di scegliere un'altra donna (in molti paesi islamici vige la poligamia), e un padre per lo più assente, oppure occupato a giocare con videogiochi violenti o appartato in una stanza con i suoi amici, mentre sua moglie si impegna in cucina a preparare prelibatezze per gli uomini, senza potersi unire alla lo-

La battaglia nonviolenta delle bambine

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A P PUN T IDI VIAGGIOA P PUN T IDI VIAGGIOLa bicicletta verde

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ro compagnia. La regista ci fa entrare anche nella stanza di Wadjda, dove scopriamo una radio, quasi clan-destina, perché funziona grazie a un congegno di antenne creato dalla stessa ragazzina con le grucce dei vestiti. Una radio che le serve per essere in contatto con un mondo altro, diverso, attraverso l'ascolto di can-zoni straniere, rockeggianti, in lingua inglese, anche queste proibite. Quando Wadjda scopre che il suo più grande desiderio è avere la bicicletta, ci svela tutto il disagio a vivere in una realtà in cui alle donne non è consentito sognare, non è consentito esprimere desideri, non è consentito cambiare le regole. E allora la bi-cicletta diventa un simbolo: il simbolo del cambiamento non solo desiderato ma raggiunto con astuzia, con pazienza, con costanza, con determinazione e azione personale. Infatti Wadjda non si limita a desiderare la bicicletta, ma mette in atto una serie di comportamenti, iniziative personali come la vendita dei braccia-letti, la consegna a pagamento di informa-zioni, la gara del Corano che le permetto-no di misurarsi con la conquista quotidia-na della propria indipendenza e del pro-prio sogno. D'altronde la regista Haifaa Al Mansour è un esempio diretto, concreto, straordinario di come si possano cambia-re le cose in maniera creativa e nonviolen-ta: lei riesce, attraverso una serie di astu-zie, a realizzare il film in Arabia Saudita con donne e bambine saudite. Il successo del film, distribuito in tutto il mondo e can-didato nel 2013 agli Oscar, riesce a cam-biare la legge che proibisce alle donne di andare in bicicletta!

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Dev'essere stata dura girare un film in un paese in cui le donne non possono neanche guidare l'auto.

Lo è stato, infatti. Soprattutto le scene all'aperto: dovevo stare chiusa in un camper e comunicare con la troupe via telefono o walkie talkie ma era

complicato, come regista non puoi guardare le cose solo dal monitor. In certi quartieri non potevo fare altro, in altri invece mi sentivo sicura

e allora stavo anch'io per strada.

Gli uomini della troupe come si sono comportati?

In questo gli uomini sono uguali ovunque, non sono mai contenti di essere comandati da una donna... E a volte si comportano come dei ragazzini. Ma non li ho

mai sfidati. Un po' adulati, casomai: ho sempre mostra-to di apprezzare il loro lavoro. Volevo solo finire il mio

film!

I genitori della bambina erano contenti che la loro figlia girasse il film?

Lei ci teneva davvero molto, e loro volevano accontentarla: tra qualche anno sarebbe stato impossibile - una bambina che recita è accettabile, un'adolescente no. Lei stessa ha detto che reciterà fino a 16 anni e poi farà il medico, sa che i suoi genitori non vogliono che diventi attrice. Speriamo che cambino idea, è così brava! Quando è arrivata al provino mancava solo una settimana al primo ciak, avevamo visto tantissime bambine e non avevamo ancora trovato quella giusta – eravamo disperati. Quando è arrivata lei con il suo iphone, i suoi capelli ricci, i jeans e il giubbotto di pelle abbiamo sentito che era quella giusta. Anche se non sapeva una parola di inglese conosceva perfettamente Justin Bieber e Selena Gomez, insomma incarnava perfettamente la tensione tra modernità, tecnologia e tradizione che volevamo dare nel film.

Che rapporti ha con le tradizioni dell'Arabia Saudita?

Non sono molto tradizionalista. Ma vengo da una piccola città, sono andata alla scuola pubblica, sono l'ottava di 12 tra fratelli e sorelle: i miei genitori sono molto, molto sauditi... Ma mio padre è anche un uomo molto fedele, ha avuto solo mia madre per moglie. Ed entrambi sono molto liberal. Mi hanno sempre soste-nuto. Molte delle mie compagne di scuola non hanno mai potuto sfruttare il loro talento perché non hanno avuto le mie stesse opportunità. I genitori non gliele hanno date. La società fa pressione: mio padre ogni tanto riceveva lettere da gen-te che diceva “ma davvero permetti a tua figlia di lavo-rare nello spettacolo? Do-vresti stare attento”.

Si trova bene nel suo paese nonostante le restrizioni cui sono costrette le donne?

In questo periodo vivo in Bah-rein perché mio marito lavo-ra lì, ma torno molto spesso a trovare la mia famiglia. Per entrare nel paese bisogna mostrare il permesso scritto del coniuge.... Sì, può essere frustrante non poter entrare in un ristorante perché riser-vato agli uomini o non poter-

Intervista ALLA regista

Haifaa Al Mansour

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Dev'essere stata dura girare un film in un paese in cui le donne non possono neanche guidare l'auto.

Lo è stato, infatti. Soprattutto le scene all'aperto: dovevo stare chiusa in un camper e comunicare con la troupe via telefono o walkie talkie ma era

complicato, come regista non puoi guardare le cose solo dal monitor. In certi quartieri non potevo fare altro, in altri invece mi sentivo sicura

e allora stavo anch'io per strada.

Gli uomini della troupe come si sono comportati?

In questo gli uomini sono uguali ovunque, non sono mai contenti di essere comandati da una donna... E a volte si comportano come dei ragazzini. Ma non li ho

mai sfidati. Un po' adulati, casomai: ho sempre mostra-to di apprezzare il loro lavoro. Volevo solo finire il mio

film!

I genitori della bambina erano contenti che la loro figlia girasse il film?

Lei ci teneva davvero molto, e loro volevano accontentarla: tra qualche anno sarebbe stato impossibile - una bambina che recita è accettabile, un'adolescente no. Lei stessa ha detto che reciterà fino a 16 anni e poi farà il medico, sa che i suoi genitori non vogliono che diventi attrice. Speriamo che cambino idea, è così brava! Quando è arrivata al provino mancava solo una settimana al primo ciak, avevamo visto tantissime bambine e non avevamo ancora trovato quella giusta – eravamo disperati. Quando è arrivata lei con il suo iphone, i suoi capelli ricci, i jeans e il giubbotto di pelle abbiamo sentito che era quella giusta. Anche se non sapeva una parola di inglese conosceva perfettamente Justin Bieber e Selena Gomez, insomma incarnava perfettamente la tensione tra modernità, tecnologia e tradizione che volevamo dare nel film.

Che rapporti ha con le tradizioni dell'Arabia Saudita?

Non sono molto tradizionalista. Ma vengo da una piccola città, sono andata alla scuola pubblica, sono l'ottava di 12 tra fratelli e sorelle: i miei genitori sono molto, molto sauditi... Ma mio padre è anche un uomo molto fedele, ha avuto solo mia madre per moglie. Ed entrambi sono molto liberal. Mi hanno sempre soste-nuto. Molte delle mie compagne di scuola non hanno mai potuto sfruttare il loro talento perché non hanno avuto le mie stesse opportunità. I genitori non gliele hanno date. La società fa pressione: mio padre ogni tanto riceveva lettere da gen-te che diceva “ma davvero permetti a tua figlia di lavo-rare nello spettacolo? Do-vresti stare attento”.

Si trova bene nel suo paese nonostante le restrizioni cui sono costrette le donne?

In questo periodo vivo in Bah-rein perché mio marito lavo-ra lì, ma torno molto spesso a trovare la mia famiglia. Per entrare nel paese bisogna mostrare il permesso scritto del coniuge.... Sì, può essere frustrante non poter entrare in un ristorante perché riser-vato agli uomini o non poter-

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ti vestire come desideri o non guidare l'auto (fuori dal paese la guido, invece), tuttavia penso che la parte positiva sia preponderante. Lo stesso governo sta cercando di favorire le donne. Le hanno mandate alle Olimpiadi, per esempio, facilitano la scolarizzazione. Ma la società è ancora molto religiosa, conserva-trice, tribale. Non potrà cambiare in una notte, ci vuole tempo. La convivenza tra generi non è certo la norma. E anche quando è ammessa, come in campo medico per esempio, non è ben vista. Ci sono famiglie che impediscono alle ra-gazze di lavorare in quel settore perché un ambiente femminile è comunque più virtuoso.

Nel film sembra che anche le donne ostacolino il cambiamento.

È così ma, come le dicevo, stanno cambiando. Le porto un esempio personale: mia cognata era molto, molto tradizionalista. Ha iscritto sua figlia a scuole mol-to vecchio stile, non ha mai permesso che uscisse dal paese. Eppure alla fine l'ha mandata negli Stati Uniti con una borsa di studio, e questo è un cambia-mento enorme: loro vivono in una piccola città dove tutti chiacchierano e non si vuole che queste cose succedano. Ma adesso anche lei vuole dare più opportu-nità alla figlia.

Quali sono i film che guardava da bambina e che l'hanno fatta innamorare del cinema?

Quelli che arrivavano da Bollywood, dall'Egitto e dall'America. I film americani, per quanto prevedibili, erano quelli che più mi emozionavano e catturavano la mia attenzione.

Qualche titolo o qualche nome?

I fratelli Cohen; e il neorealismo di Ladri di biclette, naturalmente.

Lei ce l'aveva una bici, da piccola?

Sì, ma la usavo solo in cortile... E qualche volta la sera, per strada: quando in gi-ro non c'era nessuno.

(di Anna Maria Speroni – Io donna, 23 novembre 2012)

Intervista ALLA regista

HAIFAA AL MANSOUR

la registaHaifaa Al Mansour

Haifaa Al Mansour è la prima regista donna dell'Arabia Saudita ed è con-siderata una delle figure più significative del cinema del suo Paese. Il suo esordio nel lungometraggio, Wadjda (La bicicletta verde), primo film gira-to in Arabia Saudita, è stato lanciato alla Mostra di Venezia nella sezione Orizzonti con un grande consenso critico, e continua a ottenere slancio da accoglienze entusiastiche e da numerosi premi internazionali.Al Mansour ha studiato letteratura comparata all'American University del Cairo e ha poi completato la sua formazione con un Master in studi cinematografici all'Università di Sidney. Il successo dei suoi cortome-traggi, e dell'innovativo documentario Women Without Shadow (2005), ha influenzato una nuova onda di registi sauditi e ha posto la questione dell'apertura dei cinema nel suo Paese sulle prime pagine. In Arabia Sa-udita il suo lavoro è insieme lodato e vilipeso per aver incoraggiato la di-scussione su tematiche tabù e per aver penetrato il muro di silenzio che circonda la vite segregate delle donne saudite.

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FERMO IMMAGINEDescrivi il personaggio di Wadjda. In che senso il suo può essere considerato un carattere ribelle? Quali sono i particolari della sua quotidianità che la regista ci fa vedere per comunicarci la diversità di Wadjda.

In cosa il personaggio di Wadjda ti assomiglia?

Descrivi il rapporto tra Wadjda e i suoi genitori.

Da ciò che hai capito vedendo La bicicletta verde, quanto condiziona la religione i comportamenti del-le persone?

Wadjda inserisce il foglietto con il suo nome sull'albero genealogico, ma, successivamente, trova il fo-glietto strappato. Cosa sta a significare questa scena?

"La voce della donna non dovrebbe mai oltrepassare le porte. La voce della donna è la sua nudità.” Commenta tale affermazione della preside. Come viene considerata la donna in Arabia Saudita? Co-sa viene negato alle donne?

Come sono vestite le donne e gli uomini nel film? Prova a fare una piccola ricerca con i tuoi compagni e cerca di capire cosa significano, rispetto alla religione, quei determinati abiti.

Ti è mai capitato di vedere anche da noi donne vestite con l'abaya e con l'hijab (il foulard che copre la testa e il collo)? Perché in alcuni paesi europei, come in Italia, si vuole vietare per le donne islamiche l'uso del velo e dell'abaya in pubblico? Tu cosa ne pensi?

Cosa rappresenta la bicicletta per Wadjda?

Che cosa sono i diritti? E le pari opportunità?

Secondo te, nel nostro Paese, ci sono dei diritti che le donne non hanno ancora concretamente acqui-sito? Quali sono?

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FERMO IMMAGINE

a cura di Rosa Ferro

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