90419957 Furio Cerutti Filosofia Politica

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Furio Cerutti con la collaborazione di Elena Pulcini e Monica Toraldo di Francia Filosofia politica Un'introduzione DISPENSE DEL CORSO PROPEDEUTICO DEL GRUPPO DI FILOSOFIA POLITICA (FILOSOFIA POLITICA, FILOSOFIA SOCIALE, BIOETICA, TEORIE DELLO STATO) FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN FILOSOFIA DELL'UNIVERSITÀ DI FIRENZE Sesta edizione, settembre 2008

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  • Furio Cerutti

    con la collaborazione di Elena Pulcini e Monica Toraldo di Francia

    Filosofia politicaUn'introduzione

    DISPENSE DEL CORSO PROPEDEUTICO DEL GRUPPO DI FILOSOFIA POLITICA(FILOSOFIA POLITICA, FILOSOFIA SOCIALE, BIOETICA, TEORIE DELLO STATO)

    FACOLT DI LETTERE E FILOSOFIACORSO DI LAUREA IN FILOSOFIA DELL'UNIVERSIT DI FIRENZE

    Sesta edizione, settembre 2008

  • Furio Cerutti Filosofia politica. Un'introduzione

    Premessa

    Le presenti dispense si basano sulle lezioni di Filosofia politica (come singola disciplina) tenute nell'a.a. 1994-95, da me riviste ed aggiornate negli anni accademici successivi, e poi integrate con le voci pertinenti alla Filosofia sociale e alla Bioetica, scritte rispettivamente dalle titolari di questi insegnamenti, Elena Pulcini e Monica Toraldo di Francia (le voci riguardanti Teorie dello Stato rientrano evidentemente fra quelle di Filosofia politica). A loro il mio ringraziamento per questa importante integrazione che permette di adeguare le dispense alle esigenze del corso propedeutico, riguardante tutte e quattro le discipline di cui si compone attualmente il Gruppo pluridisciplinare di Filosofia politica (SPS-01 nellordinamento nazionale).

    Questultima edizione 2008 si arricchita del capitolo su violenza, morte e politica e dellexcursus sulle radicali modifiche che la politica sta vivendo nel passaggio ad unepoca post-moderna (e a quelle di cui la filosofia politica dovrebbe rendersi conto).

    Questo testo nella sua prima versione venne letto da Norberto Bobbio, che ne apprezz lassetto sistematico e mi sollecit a proseguire nel suo miglioramento in vista della definitiva pubblicazione come libro. Questa non ancora avvenuta, ma la carissima memoria dellamico e maestro rimane un ulteriore stimolo a porvi mano non appena altri progetti scientifici saranno ultimati.

    Grato rimango altres alla compianta amica e collega Lucia Cesarini Martinelli, Preside della Facolt al momento della prima edizione delle dispense, che ne favor la raccolta e pubblicazione. Nel corso di questi dieci anni diversi colleghi mi hanno aiutato, con i loro commenti e critiche, a rivedere le prime edizioni: soprattutto i colleghi dellallora Seminario interuniversitario di Filosofia politica, particolarmente Luca Baccelli e Brunella Casalini, e il prof. Mario Tel dell'Universit libre de Bruxelles; ma anche diversi studenti. Ad essi si estende la mia riconoscenza.

    Autore e co-autrici saranno grati a chiunque vorr segnalarci errori o proposte dintegrazione scrivendo a

    Furio Cerutti, settembre 2008

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  • Furio Cerutti Filosofia politica. Un'introduzione

    PER CHI PREPARA LESAME SU QUESTO TESTO: Le conoscenze ricavate dalle presenti dispense valgono solo se sorrette dalla padronanza, per sommi capi, della storia politica e sociale almeno dellOccidente (ripassarla su di un manuale qualsiasi) e della storia della filosofia politica (si consiglia C.Galli, Manuale di storia del pensiero politico, Il Mulino)

    Come traccia per la memorizzazione di questo testo si possono usare le diapositive da me utilizzate a lezione; esse verranno pubblicate sulla mia pagina del sito del Dipartimento al termine del semestre autunnale 2008.

    Informazioni sul Gruppo di Filosofia politica, sui suoi corsi e programmi di ricerca, nonch sui docenti e i loro orari di ricevimento (v. Bacheca delle ultimissime) si trovano sul sito del Dipartimento di Filosofia (http://www.philos.unifi.it/), unitamente ad un file scaricabile di queste dispense

    Furio Cerutti 2008

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  • Furio Cerutti Filosofia politica. Un'introduzione

    Indice

    A. FILOSOFIA POLITICA.

    Premessa.....................................................................................................................................6

    PARTE PRIMA. GLI ELEMENTI

    1. Le categorie della filosofia politica.........................................................................................7

    2. Definizioni di `filosofia politica'..............................................................................................8

    3. Una tipologia della filosofia politica..........................................................................................10

    4. Che cos' la politica?............................................................................................................12

    5. Potere e potere politico.........................................................................................................18

    6. Il potere politico e gli altri: peculiarit e `neutralit'............................................................20

    7. Potere, forza, violenza, consenso, comandi/norme......26

    8. Due vedute diverse: Foucault e Schmitt.................................................................................29

    PARTE SECONDA. COME SI ARTICOLA LA POLITICA

    9. I fini della politica................................................................................................................31

    10. I concetti di ordine ed istituzione.........................................................................................32

    11. Modelli di ordine politico....................................................................................................37

    12. Legittimit, identit, simbolismo e mito politico..................................................................46

    13. Legittimit e legalit............................................................................................................50

    14. L'obbligo politico................................................................................................................54

    15. Lo Stato...............................................................................................................................61

    PARTE TERZA. MONDO E FUTURO

    16. Gli Stati...............................................................................................................................64

    17. L'era nucleare.....................................................................................................................72

    18. Aspetti politici e filosofici della situazione nucleare............................................................78

    19. Pace, pacifismo e governo mondiale....................................................................................84

    20. Violenza, morte e politica.........................................................................................................92

    21. Modernizzazione, globalizzazione, sfide globali: come cambia la politica...........................95

    PARTE QUARTA. LA FILOSOFIA POLITICA NORMATIVA

    22. Etica e politica: una mappa delle etiche............................................................................101

    23. Idealismo e realismo politico.............................................................................................103

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    24. I diritti...............................................................................................................................105

    25. Libert ed eguaglianza......................................................................................................109

    26. Giustizia............................................................................................................................112

    27. Filosofie politiche normative di oggi.................................................................................115

    Un epilogo in terra ed uno sotto...................................................................................................118

    B. FILOSOFIA SOCIALE.

    28. Comunit/societ..............................................................................................................120

    29. Individuo/soggetto....128

    30. Passioni/interessi.............................133

    C. BIOETICA31.Vita/morte..138

    32.Responsabilit/cura.......145

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  • Furio Cerutti Filosofia politica. Un'introduzione

    A.

    FILOSOFIA POLITICA

    Premessa alla parte di Filosofia politicaIl presente testo non ha la pretesa, nonostante il suo procedere sistematico, di essere

    un'introduzione completa ed esaustiva alla filosofia politica. Di essa vengono qui elaborate, in chiave di terminologia filosofica, le categorie pi astratte, e viene poi particolarmente sviluppata la parte relativa ai problemi posti dalle relazioni internazionali e dai problemi globali, nonch quella concernente i rapporti fra politica ed etica.

    Per tutta una serie di nozioni si rimanda via via all'elaborazione svolta da altri autori, soprattutto da Norberto Bobbio. Anche nelle categorie qui sviluppate sono spesso evidenti e dichiarati i debiti. Ove il riconoscimento non fosse abbastanza chiaro, l'autore se ne scusa fin d'ora con i colleghi dai quali andato a prestito.

    Dev'esser chiaro agli studenti che queste dispense non sostituiscono per nulla lo studio dei testi indicati nel programma d'esame, n la frequenza alle lezioni: un obbligo, non un optional, che - al di l di qualsiasi controllo - deriva loro dall'essere fruitori di un servizio offerto a costi bassissimi dallo Stato, cio dai contribuenti di ogni classe e gruppo. Ed anche un'opportunit vantaggiosa: quella di apprendere direttamente dal docente nessi ed accentuazioni in un modo che la parola scritta non pu mai rimpiazzare.

    I testi ai quali si fa pi spesso riferimento sono:Bobbio, Norberto, Stato, governo, societ, Einaudi, Torino (originariamente voci

    dellEnciclopedia Einaudi)Idem, Teoria generale della politica , Einaudi, TorinoBobbio, Norberto - Matteucci, Nicola - Pasquino, Gianfranco, Dizionario di politica, TEA,

    Torino 1990. Assai utili sono poi:Scruton, Roger, A Dictionary of Political Thought, Macmillan, London 1996Evans, Graham and Newnham, Jeffrey, The Penguin dictionary of international relations,

    Penguin, London 1998. Come lettura introduttiva alla riflessione filosofica (ma non solo filosofica) sulle relazioni internazionali si consiglia il volume: Cerutti, Furio, a cura di, Gli occhi sul mondo. Le relazioni interdisciplinari in prospettiva

    interdisciplinare, Carocci, Roma 2000.

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    1. Le categorie della filosofia politica

    Per un approccio teoretico e non storiografico alla politica qual quello proprio della filosofia politica, il metodo pi adeguato per introdurvisi appare quello di ricostruire la trama dei suoi concetti-chiave, quelli che essa usa ai suoi massimi livelli d'astrazione ovvero non usa, ma, laddove affronti questioni pi concrete, sottintende. Cerco insomma di disegnare la mappa delle categorie di questa disciplina, ovvero di esporne la terminologia filosofica - sullo spunto fornitomi dalle lezioni di Philosophische Terminologie tenute quasi quarantanni fa da Theodor Wiesengrund-Adorno all'Universit di Frankfurt am Main, le quali io ebbi l'occasione di seguire.

    Ora, entrando nel lessico, ovvero nelle categorie della filosofia politica, per ordinarle si pu tracciare una distinzione pi didascalica che scientifica, che vuole solo fornire un filo ordinativo per l'esposizione: quella tra concetti fondativi e concetti sostantivi.

    I concetti fondativi sono quelli che indicano la trama concettuale elementare della filosofia politica e sono peraltro puri concetti, voglio dire che ad essi non corrispondono in generale entit politiche riconoscibili. Alcuni di questi concetti hanno uno status prevalentemente analitico, sono neutrali dal punto di vista del valore: per esempio potere (sebbene vi siano visioni peggiorative di esso), conflitto, istituzione (esistono le istituzioni, ma non l'istituzione), sicurezza, paura, e ancora obbligo e legittimit, nonch identit politica (sono le categorie delle parti I e II). Altri di questi concetti sono s fondativi, avendo per inoltre una caratterizzazione assiologica, cio, detto in termini latini anzich greci, valutativa. Questi concetti non indicano solo uno strumento per analizzare la materia che vogliamo comprendere, ma indicano anche un valore che noi ad essi attribuiamo o che gli attori politici ad essi attribuiscono. Per esempio libert, giustizia, eguaglianza, solidariet (parte IV).

    Sono tutti concetti di alta astrazione, concetti che in parte non appartengono esclusivamente alla filosofia politica, giacch quelli assiologici appartengono insieme alla filosofia morale. Essi sono tali che indicano le trame dei rapporti fondamentali che intercorrono tra gli uomini quando agiscono politicamente, ma non indicano anche un contenuto, una materia determinata di queste relazioni.

    Concetti sostantivi1 (parte III per lo pi) sono Stato, governo, amministrazione, guerra e pace (in quanto riferibili ad accadimenti) e poi le grandi classiche definizioni delle forme di Stato (patrimoniale, assoluto, liberale, democratico, socialista ecc.) e/o di governo (aristocrazia, monarchia, democrazia, oligarchia, repubblica, dittatura, tirannide, dispotismo ed altro). Noi 1 Occorre qui una digressione linguistica preliminare: il termine `sostantivo' usato come aggettivo comincia solo adesso a far parte del linguaggio filosofico italiano; viene invero dal latino, ma a noi arriva attraverso l'inglese `substantive'. Non vuol dire sostanziale, altrimenti non ci sarebbe nessuna buona ragione per usare la nuova parola: invece ci che riguarda il contenuto, la materia di un rapporto, in opposizione a ci che riguarda solo la sua forma, le procedure che esso richiede oppure il metodo con cui ad esso ci avviciniamo. Questa distinzione ha una cittadinanza precisa nella lingua italiana, ma fuori della filosofia, e cio nel diritto, dove esistono norme procedurali e norme sostantive: il codice penale dice quali sono i reati e con quali pene vengono puniti e quindi un codice sostantivo, mentre il codice di procedura penale non ci dice quali sono i reati e quali pene meritano, ma ci dice come si deve procedere quando si definiscono i reati e quando li si persegue o li si punisce. Sostantivo in genere si usa in filosofia in opposizione a metodologico o epistemologico.

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    non le discuteremo in questo testo, rinviando ai testi di Bobbio, ma faremo puntuali riferimenti alla categoria che pi attualmente ci interessa, quella di democrazia. Si noti che il presente testo non sempre ordinato secondo la partizione di categorie fondative e sostantive, bens alcune di quelle fondative (libert, eguaglianza, giustizia) vengono tematizzate solo nella parte finale, relativa ai nessi di etica e politica.

    Non mi dilungo qui in riflessioni epistemologiche sullo statuto della filosofia politica rispetto ad altre discipline. Supponendo che il lettore di un testo introduttivo non sappia nulla di ci di cui si parla, ed in cui vuole appunto introdursi, sarebbe come mettere il carro avanti ai buoi, o - detto pi elegantemente, alla Hegel - staccare il metodo dalla `cosa stessa' e mandare avanti quello. Differenziazioni e comparazioni emergeranno via via, alcune gi nel prossimo paragrafo. Per ora bastino due rilievi: uno il rinvio alla distinzione2 fra filosofia politica e scienza politica che Bobbio traccia nel 1 del suo articolo Stato, potere, governo (nel volume Stato, governo, societ), sebbene quella distinzione richieda oggi qualche riformulazione, essendo ormai meno compatto lo status epistemologico della scienza politica. Aggiungo poi che qui si tratter in modo ricorrente della questione dell'`ottima repubblica', ma che io non condivido l'identificazione, che per me riduttiva, della filosofia politica con una teoria tutta e solo normativa di che cosa deve stare (la giustizia, la libert, o quant'altro) alla base delle istituzioni politiche. Certamente condivido altrettanto poco quel tipo di realismo, antiquato e/o rozzo, che esclude ogni salienza normativa dallo studio della politica. Ma resta per me futile il normativismo che si accontenti di se stesso, senza cercare tematicamente di riconnettere il discorso su ci che dev'essere al discorso su ci che , che disegni costituzioni ideali, statuali o planetarie, senza fornire strumenti concettuali per esaminare i rapporti di potere e per percepire in dimensione storiche le nuove sfide poste alla politica e alla societ.

    Ferme restando queste mie posizioni, che certo influiscono sull'impostazione complessiva del testo, la presente terminologia filosofica scritta in modo il pi possibile neutrale fra, ed informativo su i diversi punti di vista.

    2. Definizioni di `filosofia politica'

    Cominciamo dal passo pi banale e definiamo la filosofia politica, in base ai suoi oggetti, come quella filosofia che si occupa della politica, cio dello Stato, delle istituzioni e della societ civile, e che partendo da questo nucleo oggettuale suo proprio si irradia a parlare di qualsiasi cosa c'entri con la politica, compresa la vita e la morte degli individui, dei gruppi e del genere umano. Questa definizione banale perch queste stesse materie sono - almeno in parte - oggetto di altre attivit scientifiche, come la scienza della politica, la sociologia politica, l'antropologia. Quindi, come spesso le definizioni oggettuali, che non per questo per vanno buttate via del tutto, non sufficientemente specifica3.2 La filosofia politica ricerca lessenza del politico, ne discute i modelli normativi, ricercando quale sia lottima repubblica, e non implica un rinvio metodico e verificabile allempiria.3 Dico oggettuali e non oggettive perch i due termini hanno una profonda differenza e non solo in politica, ma anche in filosofia in genere: mentre oggettivo si definisce in linea di massima per la sua

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    Cerchiamo di restringere la prima definizione, modificandola nel senso di dire che nella filosofia politica, se non di tutto, di molto si pu parlare; ma di qualunque cosa si parli, cio quando si parli di problemi o di fini o di valori che non sono specifici della sfera politica (il senso della vita, la verit, il bene, la felicit), questi sono sempre posti in rapporto con categorie propriamente politiche come la libert, la giustizia, la guerra e la pace, lo Stato e il potere. Questa sarebbe una definizione oggettuale pi raffinata, ma ancora non basta, pur essendo una buona base di definizione. necessario aggiungere qualcosa, necessario insomma spostare lo sguardo dall'oggetto al metodo di questa disciplina; ma pure necessario tenere assieme la definizione oggettuale modificata appena data con il riferimento al metodo della filosofia politica. Questa si definisce meglio mettendola in rapporto ad altre discipline che si occupano della politica, soprattutto la scienza della politica e la storia delle dottrine politiche. Se si prende, come nel succitato scritto di Bobbio, la definizione corrente di scienza e in parte anche di sociologia politica, si vede che queste discipline sono caratterizzate anzitutto da un'intenzione prevalentemente descrittiva ed analitica di fenomeni e processi; e il loro piglio analitico fondato su di un riferimento sistematico all'empiria, all'insieme del mondo empirico (nel caso della scienza politica esso si congiunge peraltro con l'intento di fornire interpretazioni basate su di una teoria generale, per esempio - almeno a fino poco tempo fa - a quella intitolata al sistema politico). Laddove la filosofia politica, quando analitica, lo nel senso che cerca di capire le strutture profonde, nascoste, non immediatamente visibili allo sguardo fenomenico. Il taglio analitico di scienza e sociologia politica caratterizzato da un riferimento costante, programmatico e metodologicamente regolato ai dati empirici, che possono essere di accesso pi o meno vicino alla teoria: la sociologia politica maneggia dati empirici molto pi di quanto faccia la scienza politica, ma la stessa scienza della politica tale non sarebbe se non avesse sempre dentro di s la regola di indicare le regole attraverso cui una sua proposizione pu essere empiricamente illustrata, verificata, confermata o falsificata.

    Questo riferimento costante e metodico all'empiria non c' nella filosofia della politica, la quale parla certo di cose che hanno una consistenza empirica, altrimenti parlerebbe dell'ippogrifo; ma pu parlare anche dell'ippogrifo, qualora si pensi che ci possa servire a capire certi fenomeni, certi problemi, o certi significati della vita associata. Naturalmente, ci non scusa chi parla di ippogrifi in modo cos astruso, oscuro e pretenzioso che non se ne ricava alcuna illuminazione per capire la realt o per dirigere il nostro agire

    Mentre giusto dire che la filosofia politica una disciplina concettualizzante, sarebbe sbagliato dire che l'unica disciplina concettualizzante nei confronti della politica, perch lo anche la scienza politica: solo che la formazione dei concetti in filosofia politica e in scienza politica segue- come si accennato - strade diverse.

    Ricapitolando, possiamo dire che la filosofia politica anzitutto filosofia. Una filosofia che si rivolge alle cose della polis cercando di definirle ed interpretarle tramite concetti non empirici; che, proprio in quanto filosofia, cerca sempre di problematizzare ci che o appare

    contrapposizione a soggettivo, oggettuale invece ci che riguarda l'oggetto, proviene dall'oggetto, si riferisce agli oggetti, differentemente dal riferirsi ai principi o al metodo. Non c' il senso di una realt indipendente da, od opposta a quella del soggetto che c' invece in oggettivo.

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    evidente, usuale e pragmaticamente consigliabile; e che riconnette le sue interpretazioni, valutazioni e prescrizioni a strutture, valori e scelte ultime, a processi e meccanismi non apparenti.

    3. Una tipologia della filosofia politica

    Possiamo individuare tre o quattro tipi di filosofia politica: uno quello normativo, cio si occupa dell'`ottima repubblica', di quale sia la forma migliore da dare all'associazione politica 4e quali siano dunque i principi, le norme, le prescrizioni, i valori, i fini (si tratta di cose diverse, che solamente per ora mettiamo insieme) a cui la politica e le sue forme debbano conformarsi.

    Si pu dire che tutti gli antichi siano filosofi politici normativi, che lo sia gran parte della tradizione medievale e che questa tradizione si rompa con la filosofia politica moderna, dando spazio ad altri tipi di filosofia politica. Dire che si rompe non vuol dire che muore, e nella filosofia politica moderna abbiamo il ritorno di questo, che uno dei grandi filoni della filosofia politica. Hume, uno dei filosofi meno normativi che si possano immaginare, un filosofo cui, nella filosofia pratica complessiva, interessa come si forma e si realizza quel valore che si chiama giustizia. Inoltre, una parte consistente delle filosofie politiche degli ultimi trentacinque anni sono normative, sotto il nome di filosofie politiche dei diritti o della giustizia: basta fare il nome illustre di John Rawls o quello meno illustre di Robert Nozick. In questo tipo di filosofia politica metterei anche quella che dice quale sia il pessimo Stato, cio quello da evitare, o che dice addirittura che lo Stato, l'associazione politica in s sono da evitare. Troviamo qui gli anarchici, ma per un certo senso anche Marx, il quale spiega quale forma di associazione vada bene e quale vada male, in base ad una sua esplicita filosofia della storia ed alla sua implicita teoria della giustizia, che dice di non avere, ma in realt ha. Marx sostiene che l'associazione politica come tale sia da evitare, come pessimo stato della convivenza sociale umana. La societ civile deve invece riuscire a liberarsi della macchina burocratica che lo Stato. Beninteso, la filosofia politica di Marx e di Engels non va classificata soltanto come normativa, contenendo anche altri approcci.

    Poi ci sono le filosofie politiche di tipo diverso, in cui almeno programmaticamente l'aspetto assiologico e normativo non presente. Parlerei di filosofie politiche `analitiche', ma il termine da mettere tra virgolette perch altrimenti sembra che ci possano essere filosofie politiche a base empirico-analitica, e abbiamo gi spiegato che la filosofia politica per definizione non questo. Possiamo allora usare un altro termine contemporaneo, parlando di filosofia politica ricostruttiva, il cui compito di ricostruire concettualmente le condizioni di nascita e morte delle associazioni politiche, nonch quelle di legittimit del potere politico e di contrazione dell'obbligo politico. Non si dice programmaticamente quale sia la forma politica che meglio conviene all'umanit o alla societ tale o alla nazione talaltra. Si dice semplicemente che, se si vuole amministrare la cosa pubblica, fondare e, come diceva Machiavelli, mantenere lo Stato, oppure ancora trasformarlo, bisogna soddisfare queste e quelle altre condizioni: se ne 4 O societ o comunit politica, ma io preferisco, usando il termine weberiano di associazione (Vergesellschaftung), evitare accenti comunitaristici.

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    ricostruisce insomma la logica interna. Di questo tipo analitico o ricostruttivo di filosofia politica fanno parte in primo luogo i contrattualisti discendenti da Hobbes, da Locke, da Rousseau, dal grande filone, rotto in tanti sottofiloni, della filosofia politica moderna del Sei e Settecento. In fondo gi Machiavelli e in qualche misura i trattatisti del Cinquecento possono essere considerati appartenenti a questo filone. Questo un filone che diventato prevalente nella filosofia politica moderna, proprio perch le sue caratteristiche sono tutte moderne - si pensi al suo legame iniziale con la scienza della natura e la sua moderna epistemologia. Oggi esso si divide il campo con il pi classico filone normativo rinato.

    Esiste anche un terzo possibile tipo di filosofia politica che non si occupa tematicamente n delle norme cui le associazioni politiche devono conformarsi, n delle condizioni di loro possibilit; si occupa di ci che sta intorno, sotto o sopra, avendo dunque un taglio obliquo rispetto all'approccio diretto dei due primi filoni. la filosofia politica che consiste nello svolgere riflessioni sul linguaggio politico, sulle tradizioni politiche, sulle idee politiche e via discorrendo. Non si occupa in presa diretta delle forme politiche e delle normazioni o delle condizioni di possibilit cui esse sottostanno, ma si occupa di ci che sta al di l di queste forme, di ci in cui le forme politiche messe a fuoco nei due primi filoni sono collocate dal punto di vista del contorno, dell'ambiente culturale, morale, linguistico, comunicativo. quel tipo di filosofia politica che si potrebbe quasi dire consista in un meta-discorso sulla politica. Meta - dal greco, ci che va al di l - un termine prevalentemente epistemologico, e indica quegli approcci che non si occupano direttamente di una cosa, ma se ne occupano investendo il suo contesto, i suoi aspetti di contorno. Vedremo a questo proposito, fra le principali forme di etica contemporanea, che l'etica generale si distingue in etica propriamente detta e metaetica, cio un discorso al di l dell'etica. In linguistica si parla non a caso di metalinguaggio.

    Dopo aver fatto tante distinzioni bisogna attenuarne il peso per due ragioni: una ragione fondamentale che la buona e la grande filosofia politica contiene tutti e tre questi aspetti, tuttavia non confusi, mescolati, indistinti. La buona o grande filosofia politica consiste di solito nella prevalenza di uno di questi aspetti, che d ordine e ispirazione a tutta la teoria; ma essa contiene, proprio perch si tratta di buona filosofia, punti di vista, considerazioni, ed esigenze relative anche agli altri aspetti. Allora non si pu fare una filosofia politica normativa ignorando completamente il fatto che, quali che siano le normazioni che noi cerchiamo di argomentare o di predicare, gli Stati poi devono funzionare, e quindi occorre occuparsi delle condizioni di possibilit, e che comunque questi discorsi sulle normazioni non si possono comprendere e valutare appieno senza vederne la collocazione storica, gli aspetti linguistici e culturali. Fare una filosofia politica normativa cieca agli altri aspetti di solito fare una cattiva filosofia politica, poco informata, poco attenta e poco autorevole. L'autorevolezza nella scienza sta nel sostenere una determinata cosa, ma tenendo gli occhi aperti su tutte le altre; e chi pretende di guadagnare attenzione dicendo una cosa sola e chiudendo gli occhi alla complessit sia della realt sia delle teorie, di solito fa delle opere che possono avere un buon successo temporaneo, di natura ideologica o agitatoria, ma non lasciano grandi lezioni.

    Due parole sul rapporto, visto da un filosofo politico, fra filosofia politica e sociale. Si pu basarlo sulle diversit fra i due oggetti, la politica e la societ, ma occorrerebbe svilupparne tutte le articolazioni, ci che qui impossibile. Del resto le basi soltanto oggettuali sono per lo

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    pi insufficienti ed anche ingannevoli, dunque precisiamo che la filosofia politica guarda alla vita politica stricto sensu (ma anche a quella della societ in senso lato) con lattenzione precipua a quanto di questultima si coagula in potere ed istituzioni politiche capaci di prendere ed eseguire decisioni che influiscono direttamente ed indirettamente sulla vita della gente presente e futura. La filosofia sociale guarda non solo ad un oggetto, per cos dire, pi largo, ma lo fa con lo sguardo rivolto precipuamente alle motivazioni (passioni/interessi), alle forme aggregative di base (comunit/ societ) degli attori e al configurarsi di questi come individui e soggetti. In ogni caso si tratta di due discipline teoretiche la cui trama primaria costituita da concetti o forme, non da correnti storiche, autori o testi; la storia del pensiero serve invece da materiale e sostegno al discorso concettuale, il cui focus diretto la realt contemporanea o contemporaneit. Dal punto di vista epistemologico lo stesso pu dirsi della bioetica, le cui ragioni di affiliazione al Gruppo di filosofia politica si trovano esposte nella parte relativa.

    L'altra cosa da chiarire una questione di uso linguistico. Talvolta uso in questo testo il termine di teoria politica. un termine generico e un po' confuso rispetto alla decisa distinzione tra filosofia politica e scienza politica che ho delineato sopra. In realt per un verso certe filosofie politiche si avvicinano molto - per la loro attenzione ai processi effettivi e agli strumenti empirico-analitici che aiutano a comprenderli - alla scienza politica; e certa scienza politica si allontana molto dalla sua base empirico-analitica, acquistando sensibilit agli aspetti filosofici. Allora si determina una terra di nessuno, ovvero di tutti, una zona franca tra filosofia e scienza politica intese nella loro rigida distinzione: quando si dice teoria politica si indica proprio questa zona, ovvero linsieme degli interessi teorici rivolti alla politica.

    4. Che cos' la politica?

    Che cosa la politica? Verso la fine del paragrafo ne daremo una prima definizione, ma dobbiamo aprirci la strada verso di essa ricostruendone la genesi storica5.

    Politica anticamente in Grecia e ancora nella tradizione medievale scolastica voleva dire filosofia della politica, scienza della politica, insomma studio della polis, delle sue leggi, delle sue regole, dei suoi valori. Si pu dire che abbia mantenuto quel significato fin che si usato il latino, cio fino al Sei-Settecento. Con l'et moderna acquista il significato della cosa stessa, non dello studio di essa6.

    Pi importante della storia della parola ci che avvenuto della cosa stessa, cio della

    5 Nel far questo mi appoggio fortemente sul relativo lemma di Bobbio nel Dizionario di politica, tenendo altres presente l'articolo Politica di Salvatore Veca nell'Enciclopedia Einaudi. Sullidea bobbiana di politica, oltre al fondamentale lemma Stato. scritto originariamente per lEnciclopedia Einaudi ed ora in Stato, governo e societ, si vedano anche i pertinenti capitoli in Teoria generale della politica, Einaudi, Torino 1999.

    6 Per questi problemi semasiologici il riferimento pi accreditato il Dictionary of the History of the Ideas, oppure i Geschichtliche Grundbegriffe, il grande lessico prodotto negli ultimi decenni dalla scuola tedesca della Begriffsgeschichte o storia dei concetti, un esempio tipico di metadiscorso sulla politica.

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    polis. Mi riferisco anzitutto al processo di differenziazione all'interno della polis intesa genericamente come vita associata, non come citt-Stato, come polis fisica, ma nemmeno come sfera propriamente e restrittivamente politica, bens come sfera insieme politica, sociale, economica, religiosa e culturale o ideologica. Non un processo che cominci oggi n ieri. Stiamo qui parlando di una grandiosa schematizzazione, figlia dell'immagine della polis che la prima autocritica, settecentesca e rivoluzionaria, della modernit politica (assolutistica) ha a lungo perseguito o vagheggiato, cio l'immagine della polis greca come una sfera nella quale la vita associata pienamente integrata nei suoi vari aspetti e il cittadino come decisore, come soggetto politico, insieme sacerdote, guerriero, ovvero in termini moderni soggetto e nodo di relazioni sociali. Quanto questa immagine sia deformata ed idealizzante mi difficile dirlo; gli studi sulla polis non si pu dire che abbondino, e dopo quelli dei grandi filologi tedeschi dell'et guglielmina e weimariana, soprattutto Werner Jaeger, le grandi sintesi sono state un po' messe da parte. Certamente la polis reale non corrisponde ai vagheggiamenti di cui essa stata fatta oggetto dal Sette-Ottocento, nel periodo classico della filosofia e della letteratura tedesca, ovvero in Rousseau e nella Rivoluzione francese, fino ad oggi, per esempio fino ad Hannah Arendt7.

    La prima sfera che si distacca da questa maggiore o minore unit integrata che si presume fosse la vita pubblica nella polis greca, soprattutto ad Atene, naturalmente la sfera religiosa. Ci avviene con il cristianesimo, con la creazione di una verit religiosa diversa e superiore alla vicenda mondana e alla vita politica in terra. Certo, nel cristianesimo ci sono tanti atteggiamenti diversi, dall'agostinianesimo pi radicale, teso alla separazione radicale tra vita ecclesiale e vita politica, con la assoluta sovraordinazione della vita ecclesiale, della civitas dei alla civitas hominis, fino al costantinismo, cio alla fusione reciprocamente strumentale di potere politico e vita ecclesiale che accetta dentro di s la dinamica del potere. Dovranno passare secoli perch, all'uscita dal Medioevo (dal 1100 al 1200 in Italia e a partire dal 1300 nei paesi del nord Europa) un'altra sfera si distingua dall'insieme della vita pubblica associata e si costituisca sempre di pi come un insieme di leggi, di procedure, di principi propri; sfera in cui gli attori aspirano ad autoregolarsi senza essere subordinati, come invece lo saranno ancora per secoli, alle leggi politiche o politico-religiose, del re, del signore o dell'imperatore. Si tratta ovviamente della sfera economica, che nella modernit former con quella politica una bipolarit che ancor oggi anima teorie e dibattiti: il mercato va subordinato allo Stato, venendo da esso regolato in quanto, se lasciato a se stesso produce pi squilibrio che ricchezza, oppure il mercato il primo principio di sviluppo ed autoregolazione delle relazioni sociali, restando allo Stato solo compiti residuali?

    solo con la costituzione dello Stato moderno che la segmentazione della presunta originaria unit della polis raggiunge la sua forma definitiva, cio la distinzione tra Stato e societ civile. L'espressione entra nel lessico politico europeo con l'opera dello scozzese Adam Ferguson, An Essay on the History of Civil Society (1767), e si ritrova pochi decenni pi tardi, in lingua tedesca, in uno dei concetti chiave della filosofia hegeliana del diritto e dello Stato, quello di brgerliche Gesellschaft, da cui poi il termine trapassa in Marx. Mentre in Hegel

    7 Filosofa tedesca, allieva di Heidegger, emigrata in America per la persecuzione antiebraica e morta nel 1975

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    una forma autonoma, ma non perfetta di associazione degli uomini, e quindi deve cedere il passo a quella struttura suprema che in Hegel lo Stato, in cui si esprime la sostanza etica del popolo, in Marx tutto capovolto, e una delle chiavi di lettura della filosofia politica marxiana la liberazione della societ civile o societ tout court dall imposizione su di essa esercitata dallo Stato come struttura burocratica oppressiva8.Della coppia Stato - societ civile Bobbio dice che una delle grandi dicotomie. Bobbio ha l'idea che per capire certi pezzi della realt il metodo migliore sia quello di articolare la nostra visione in maniera dicotomica, o binomica. Non tutte le dicotomie sono grandi, ma alcune lo sono, e uno dei modi di studiare la filosofia politica che Bobbio predilige quello di vedere i collegamenti tra le grandi dicotomie, ci che evidentemente un po' pi complicato che non mettere tutte le grandi dicotomie su un girello, con certi termini tutti sullo spiedo di destra e certi altri tutti quanti infilzati sullo spiedo di sinistra. Pensando alla dicotomia fra la sfera pubblica e la sfera privata non cadiamo dunque nello scolasticismo di pensare che Stato sia perfettamente corrispondente a pubblico e societ civile sia perfettamente corrispondente a privato. Talora pensare per dicotomie presenta rischi di semplificazione eccessiva, di formalismo nel senso peggiorativo di questo termine, ma nel complesso pensare per grandi dicotomie un valido ed educativo metodo di pensare le cose.

    Su questa distinzione Stato-societ civile e su quella ad essa imparentata di sociale e politico, va detto che, se occorre mantenere ferma la distinzione tra politico e sociale, occorre pure stare attenti a non confondere il politico con lo statuale. Il politico si deve ritenere per un verso che sia sfera pi ampia, e secondo alcuni di maggiore spessore, dello statuale. Per un altro verso nell'epoca moderna c' una tendenziale, ma pur sempre parziale coincidenza tra il politico e lo statuale. Si pu dire allora che tutta la politica si svolge nello Stato, o con riferimento ad esso. Ripeto che si tratta di un processo tendenziale e comunque parziale. Facciamo subito qualche esempio in cui ci non vero: lo si pu vedere nellinterpretazione di ci che avviene o avvenuto, o nella politica come progettazione del futuro.

    A livello storico esistono societ cosiddette primitive, in cui alcuni studiosi ritengono con buone ragioni che la politica, ovvero il sistema politico, sia esistito, ma nelle quali certamente non esistito lo Stato. Nel presente ci sono molti che ritengono che la sfera della politica, o del politico, coinvolga fasce della nostra personalit, del nostro agire, della nostra convivenza pi spesse che non quelle che entrano e giocano nell'istituzione Stato. Si prenda uno slogan che ha avuto grande fortuna, anzi una funzione quasi rivoluzionaria, nel movimento delle donne degli anni Sessanta/Settanta: il personale politico. Ovvero: i drammi, i problemi, le pulsioni che noi abbiamo nella nostra vita personale non affatto vero che non abbiano rilevanza politica, possono anzi essere pi rilevanti di altre funzioni quali andare a votare, osservare e fare le leggi. Viceversa la sfera personale attraversata da forze e strutture che provengono dal politico o in esso si ritrovano, sicch una vera trasformazione della sfera politica non pu andare disgiunta

    8 Si ricordi che quel termine vuol dire nella lingua tedesca tanto societ civile quanto societ borghese. Cittadino in tedesco si dice Brger, ma ci vuol dire anche borghese (i tedeschi importano per questo anche il termine francese bourgeois). L'anfibolia (termine usato da Kant: uso equivoco) fra l'aspetto neutro, societ civile, e l'aspetto classista del termine, societ borghese, crea un po' di problemi e confusioni nella filosofia politica e sociale tedesca, tanto vero che si di recente introdotta l'espressione Zivilgesellschaft.

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    da cambiamenti che devono prodursi nella sfera familiare e cosiddetta privata. Il politico a cui faceva riferimento questo slogan non era certamente coincidente con lo statuale; questo slogan, e la posizione intellettuale che in esso si esprimeva, stato un modo per affermare la non coincidenza dello statuale e del politico, o addirittura per condannare la restrizione del politico allo statuale e per rivendicare una pratica della politica pi ampia, pi coinvolgente di quella che avviene nelle forme dello Stato.

    Infine, volgendoci alla politica come progettazione del futuro, la filosofia politica e le ideologie politiche moderne abbondano di progetti di societ senza Stato, non come ritorno allo stato primitivo e prepolitico; anche se i critici di queste concezioni temono che davvero si vagheggi, inconsapevolmente, un ritorno ad una qualche condizione pristina. Queste concezioni fanno la scommessa che uno sviluppo storico fatto di lotte e di emancipazione porti a far vivere la societ solo in base alle sue proprie leggi, equilibri ed esigenze interne, senza pi la cappa oppressiva dello Stato. Quindi configurano per il futuro una prospettiva di politica senza Stato, ovvero di un'organizzazione non politica, ma puramente tecnica od interpersonale della societ. Soprattutto in certe versioni del marxismo, questa prefigurazione stata letta in termini di morte od estinzione non solo dello Stato, ma della politica.

    Compiuti questi schiarimenti sull'evoluzione di polis e politica, possiamo affrontare la questione chiave: che cos' la polis come comunit politica? Non possiamo far niente di meglio che andare a leggere le righe dell'autore che in un modo o nell'altro ha dominato nei secoli il linguaggio del pensiero politico. La definizione di politica svolta proprio all'inizio (Libro primo, 1252-53) della Politica di Aristotele9 :

    vediamo che ogni polis una comunit e che ogni comunit si costituisce proponendosi per scopo un qualche bene (perch tutti compiono ogni loro azione per raggiungere ci che ad essi sembra essere un bene). Ci posto, possiamo dire che soprattutto vi tende, e tende al pi eccellente di tutti i beni, quella comunit che regge e comprende in s tutte le altre: e questa quella che si chiama polis e comunit politica (politik koinona). Ora, un uso linguistico inappropriato quello di quanti credono che l'uomo di Stato (politiks), l'amministratore (oikonomiks), il re (basiliks), il padrone (despotiks) siano la stessa cosa, in quanto le loro differenze si baserebbero solo sul maggiore o minore numero delle persone cui sono preposti e non sulla specificazione delle loro funzioni [...] quasi non ci sia nessuna differenza tra una grande casa privata e una piccola polis [...]

    Se si studiassero come le cose si evolvono dall'origine anche qui come altrove se ne avrebbe una visione quanto mai chiara. necessario in primo luogo unire gli esseri che non sono in grado di esistere separati l'uno dall'altro, per esempio la femmina e il maschio in quanto strumenti di generazione [...] e chi per natura disposto al comando e chi naturalmente disposto ad essere comandato, in quanto la loro unione ci per cui entrambi possono sopravvivere, [...] sicch la stessa cosa vantaggiosa al padrone e allo schiavo.In questa definizione c' l'indicazione di uno scopo (il bene comune) che decisiva, perch

    quella su cui Aristotele fonda l'essenza della polis; c' la dichiarazione di qual l'origine dell'associarsi, che viene posta nella differenza e quindi nel bisogno: esiste insomma una ratio d'ordine della comunit che altro non che la stessa natura. C' l'idea, in termini moderni (ma la divisione del lavoro nella modernit andata ben oltre questi termini), che l'unicit della funzione e quindi l'assoluta specificit di questa, il fatto che un ente faccia e sappia fare una

    9 Cito, con qualche modifica, dalla traduzione di C.A. Viano, UTET, Torino 1966.

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    cosa ed una sola, sia il tipo di ordinamento che meglio prepara la perfezione dei risultati.Fin qui abbiamo visto il finalismo della filosofia politica aristotelica, che altro non se non

    la specificazione del suo pi generale teleologismo ontologico. Ora vediamone la caratteristica pi fondamentale, il naturalismo o evoluzionismo naturalistico: dalle comunit o cellule elementari uomo-donna e padrone-schiavo nasce la casa come centro insieme familiare e produttivo (oikos), e dall'intrecciarsi di pi case il villaggio (kome). La comunit perfetta di pi villaggi la polis,

    che ha raggiunto l'autosufficienza (autarkeia) e sorge per rendere possibile la vita, ma sussiste per produrre le condizioni di una buona esistenza. Perci ogni polis un'istituzione naturale, essendolo gi le comunit che la precedono, in quanto essa il loro fine, e la natura di una cosa il suo fine [...] Ora, lo scopo e il fine sono ci che vi di meglio, e l'autosufficienza un fine e quanto vi di meglio (A 1252b).Viene infine il peculiare organicismo (cui appartiene anche lidea di un reciproco vantaggio

    fra padrone e servo) della Politica aristotelica:nell'ordine naturale la polis precede l'oikos e ciascuno di noi. Infatti il tutto precede necessariamente la parte, perch tolto il tutto, non ci sar pi n piede n mano [...] dunque chiaro che la polis per natura ed anteriore all'individuo, perch, se l'individuo, preso da s, non autosufficiente, star rispetto al tutto nella relazione in cui stanno le altre parti (1253a).Si noti che l'organicismo non sta soltanto in questa priorit del tutto rispetto alle parti, ma

    pure nel legame di reciproco vantaggio fra chi sta sopra e chi sta sotto, fra il governante ed i governati (si pensi all'apologo, organicistico nel senso della fisiologia, di Menenio Agrippa), fra il padrone ed il servo, di cui sopra. Nel modello aristotelico, che ha dominato fino al Cinque-Seicento il pensiero europeo, la polis dunque un'entit di origine naturale, ordinata ad un fine e sovraordinata come tutto organico alle sue parti: sia alle aggregazioni inferiori, sia agli individui10.

    Per i moderni invece - s'intenda: per gli approcci contrattualistici e conflittualistici che pi esprimono l'innovazione creata dalla modernit - l'associarsi degli uomini non un dato, ma un problema (com' possibile la societ?); non un prodotto della natura, che per i moderni comunque costruita mentalmente dagli uomini, ma un artificio umano, che pu anche dissolversi; n risulta da un organico sviluppo di entit sovraindividuali, ma vien visto come atto pattizio `libero' e volontario degli individui, ultima radice di ogni aggregazione. Pertanto, dai caratteri e dalle regole del patto derivano i caratteri, le regole (ed i limiti) di Stato e politica. Infine, fra la sfera politica e le altre, come quella morale o teologica, la differenziazione, o perfino la separazione definitiva, e non detto che la politica continui ad essere considerata la sfera pi alta di attivit pratica; anzi essa stata da alcuni recentemente classificata come niente pi che un sub-sistema del pi generale sistema sociale, ci che poi richiama un'altra differenziazione tipicamente moderna, quella fra il politico e il sociale, sconosciuta agli antichi.

    Base individualistica e sviluppo artificiale della polis: a queste due posizioni-chiave della modernit si accompagna quella che vede labbandono del finalismo sostantivo nella concezione della politica. Con questo termine indico l'approccio che considera la politica subordinata ad un fine rappresentato da un qualche valore definito in base ad una certa concezione del mondo, della vita o della storia. Nella tradizione cristiana, e segnatamente

    10 Sul tema di individuo e modernit v. oltre la voce Individuo (e soggetto) di E. Pulcini.

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    tomistica,dell'Occidente questo fine stato a lungo visto nel `bene comune', attingibile dai singoli solo in quanto parti della comunit e definito in base ad una qualche gerarchia fra Dio, uomini e mondo. Caduta l'unit che l'ancoramento teologico dava al pensiero medioevale, e caduti i poteri universali di riferimento, l'Impero ed il Papato, la prima modernit fece esperienza sia del competere pluralistico di svariate concezioni del fine della politica ed in genere dell'umanit, sia dei troppo alti costi (guerre di religione) da pagare tutti, vinti e vincitori, quando come scopo della politica si vogliano perseguire per intero e senza rinuncia alcuna i propri fini sostantivi. Nel contempo, sul piano epistemologico, gli approcci rivolti a comprendere il mondo e le sue parti in ragione dei meccanismi che li governano o delle funzioni cui assolvono prendevano il sopravvento sugli approcci tesi ad individuare i loro fini.

    Da queste esperienze politiche ed intellettuali nasceva cos l'abbandono del finalismo sostantivo, sostituito dall'idea che l'associazione politica non possa ritenersi ordinata che a fini minimi ad essa intrinseci, e non provenienti da concezioni metafisiche, teologiche o morali, se non in quanto possa rappresentare il minimo comun denominatore di tali concezioni. Ma nasceva e si sviluppava soprattutto l'idea che una definizione di `politica' non possa farsi che in base ai mezzi o le modalit o procedure che ne sono tipiche in ogni circostanza, anzich in base ad uno o l'altro dei disparati fini che le sono stati o potranno esserle attribuiti11.

    Politica pu dunque dapprima definirsi come quell'attivit che regola la lotta (o il conflitto; questo concetto-chiave verr pienamente definito alla fine del capitolo 11) per la redistribuzione di risorse scarse e disegualmente distribuite tramite i rapporti di potere; potere che a sua volta - in quanto potere specificamente politico - definito dall'essere in ultima istanza garantito dal possesso esclusivo (monopolistico) della forza o violenza organizzata.

    Questa definizione richiede una serie di approfondimenti e commenti. Anzitutto, essa lega la politica alla pi complessiva attivit sociale degli uomini e delle donne, mirando insieme a determinarne una peculiarit (cosicch politico e sociale non possono considerarsi equivalenti). Si basa poi su due condizioni indipendenti: la scarsit delle risorse contese (che non vanno intese solo come risorse materiali, ma pure sociali o relazionali, per es. il prestigio) e la loro distribuzione ineguale. Se le risorse fossero illimitate, o se, pur scarse, fossero distribuite egualitariamente, non vi sarebbe politica (infatti le utopie sociali dell'Ottocento che mirano ad uno di questi due obiettivi prevedono l'eliminazione della politica). La definizione riconosce poi non gi, come pure alcuni fanno, l'identit di politica e guerra, bens che non la convivenza comunitaria, bens la lotta (termine preferito in filosofia politica) ovvero il conflitto (termine pi sociologico, cfr. cap. 30) sono elementi essenziali della politica - s'intende come problemi da affrontare e regolare, non come suoi dati immutabili o `eterne verit'. La politica imparentata con la guerra anche nel senso pi preciso che del potere politico fa parte l'uso

    11 Sia chiaro, per inciso, che la distinzione di antico e moderno, o moderno e premoderno va presa cum grano salis: la modernit non qualcosa di monocolore e tanto meno di monolitico, anche se talora pu essersi illusa di esserlo. Le posizioni premoderne si ritrovano al suo interno, e non possono essere ridotte a mera residualit o epigonalit, anche se qualche volta di questo pur si tratta. Il ripresentarsi aggiornato ed agguerrito del `bene comune', del finalismo, della `comunit organica' e d'altro articola spesso un conflitto interno alla modernit, indica una sua aporia o un dissidio con suoi risultati non attesi e non intesi.

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    attuale o la permanente e credibile minaccia della forza fisica o violenza, che appunto la modalit caratteristica del rapporto bellico. Del resto basta ricordarsi che, finora, molti assetti del potere politico sono nati come risultati di guerre civili e di classe o di guerre fra popoli e Stati. La conciliazione-ricomposizione dei diversi interessi che alcuni esibiscono come la natura della politica (cfr. il lemma Politics nel Dictionary di Scruton) soltanto uno dei possibili esiti dellattivit politica, tanto quanto lo la guerra esterna o civile, e la diversit di interessi, idee e volont ne rimane il primum ontologico.

    Tuttavia, questi primi schiarimenti, pur dicendoci di quali elementi si compone la politica, non ci dicono ancora come essi vi si ordinino, ovvero quale sia la ratio o finalit interna (se ve n' una) di questa attivit umana. Ma prima ancora dobbiamo approfondire due temi capitali di questa definizione: il concetto di potere ed i suoi rapporti con quello di forza.

    5. Potere e potere politico

    Cerchiamo di definire prima di tutto che cosa il potere tout court, non il potere politico, dato che il termine potere si usa riferito a svariati tipi di relazioni, diverse da quelle politiche. In questi sforzi di definizione e distinzione sono motivato dal fastidio per gli usi generici ed onnivalenti del termine `potere' (ovvero di pouvoir o di Herrschaft, nelle rispettive tradizioni nazionali), cui nella mia generazione di studiosi indulgevano gli epigoni di Foucault o della Scuola di Francoforte, dalla quale peraltro io stesso provengo. Si pu dire che la filosofia politica come disciplina autonoma e produttiva stia in piedi solo se riesce a fare di `potere' un uso analiticamente valido e maneggiabile, ma insieme filosoficamente consapevole.

    Possiamo partire dalla tripartizione compiuta da Bobbio nella voce Stato: una prima definizione quella detta sostanzialistica, ma si pu anche dire strumentalistica del potere; quella che indica consistere il potere nei mezzi per conseguire un certo fine. Il possesso, l'uso, la disposizione di/su quei mezzi ci che si chiama potere, pertanto il possesso della ricchezza il potere economico, il possesso della forza o del prestigio il potere politico, mentre l'influenza costituisce il potere, sociale o psicologico, di una persona sull'altra; e nel possesso dei mezzi di elaborazione e comunicazione delle idee sta infine il potere culturale. La definizione si chiama sostanzialistica perch indica consistere il potere nelle qualit di una cosa, di una sostanza.

    Poi c' una definizione soggettiva del potere, che in realt pi giuridica che politica, e che consiste nel dire che il potere l'attribuzione ad un certo soggetto della facolt di fare certe cose; allora il Presidente della Repubblica nell'ordinamento italiano ha il potere di sciogliere le camere, di indire le elezioni, di presiedere il Consiglio Superiore della Magistratura, il Consiglio superiore della Difesa e di rappresentare l'unit della nazione. Ma questa definizione potr soddisfare i giuristi, mentre filosoficamente non regge all'accusa di circolarit: il potere ci di cui dispone chi lo detiene. Del resto, in teoria politica ci che interessa la capacit de facto di fare certe cose, non l'attribuzione de iure della possibilit di farle.

    L'unica vera alternativa alla definizione sostanzialistica sembra a me quella pi astratta e

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    quindi epistemologicamente vincente, perch definisce il potere con meno elementi possibili e con meno riferimenti possibili a situazioni concrete o a contenuti particolari. Questa definizione per esempio evita i difetti della definizione sostanzialistica, cio di impantanarsi nella discussione se il potere consista davvero in una cosa, oppure consista nelle facolt di una persona, e se consiste in una cosa, in quale cosa consista etc. Questa la definizione cosiddetta relazionale di cui le esposizioni sono due: una quella classica di Max Weber12. Si tratta sempre, in Weber, di definizioni probabilistiche, fondate sulla nozione di chance: il potere (Herrschaft, in quanto distinta dal pi generico concetto di Macht o potenza) la chance di trovare in un determinato gruppo sociale obbedienza per un determinato comando. Una definizione pi recente quella che Bobbio riadatta dal concetto di influenza come stato definito da Robert Dahl, che uno dei pi rilevanti esponenti della political science americana nella seconda met del secolo XX. Il potere una relazione fra attori, cio fra soggetti d'azione 13. Nella relazione di potere un attore induce gli altri ad agire in un modo in cui gli altri altrimenti non agirebbero. una definizione pi raffinata di quella di Weber, perch Weber dice la chance di trovare obbedienza ad un determinato comando, mentre Dahl e Bobbio eliminano il ricorso a concetti formalizzati come obbedienza o comando e vedono il potere come la possibilit di cambiare il corso delle azioni. Se non c' relazione di potere, A, B, C e D seguirebbero la linea d'azione x; arriva Z che ha il potere e lo esercita, e allora, invece della linea d'azione x, viene seguita quella y.

    vero che questa definizione pone grandiosi problemi epistemologici: come si fa a capire quando il mutamento di una linea, di un comportamento, si deve ascrivere all'influenza dell'attore Z, e non ad altri fattori pi o meno rilevabili? Bisogna trovare delle metodologie per fare delle ascrizioni corrette e non incerte (a questo problema sono dedicati importanti lavori epistemologici di Max Weber). Ma intanto abbiamo dato una definizione per i nostri fini soddisfacente di potere e allora possiamo finalmente fare l'ultimo passo e dire in cosa consiste il potere specificamente politico: qualunque definizione, delle tre o due che si visto, si scelga (in realt il potere politico nella maggior parte dei casi passibile di definizione in base a tutte e tre le formule sopraddette), esso ha la caratteristica di essere garantito, quanto alla sua efficacia, e di essere reso compatto dalla possibilit di ricorrere all'uso o alla minaccia della forza fisica o costrizione fisica legittima (della legittimit si tratter in apposito paragrafo pi avanti). In questo senso ogni potere politico coattivo, ma non perch eserciti la coazione fisica in continuazione; semplicemente, esso ha come ultima (non: unica) garanzia e peculiarit la possibilit di usare di fatto o almeno di minacciare l'uso della forza fisica: s'intenda della forza fisica in senso politico, cio di un'organizzazione della forza fisica (forze di polizia, esercito, milizie di partito o bande pretoriane; nella storia del mondo si sono trovate le forme pi diverse di organizzazione di questa forza). Due commenti sono subito necessari.

    Va notato anzitutto che questa definizione vale appieno per i rapporti politici entro lo Stato:

    12 Nel 16 del Cap. 1 della parte I di Wirtschaft und Gesellschaft (Economia e Societ, uscita nel1922 due anni dopo la scomparsa del suo autore.13 Si dice attore per non dire soggetto, perch soggetto un termine troppo carico filosoficamente e con troppe implicazioni, mentre attore un termine sociologico, non filosofico, e usarlo in filosofia permette di non imbarcarsi in tutte le allusioni e gli ammiccamenti relativi al soggetto e alla soggettivit.

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    le relazioni di potere fra gli Stati sovrani non implicano legittimit, ma piuttosto un adattamento `realistico' (in senso colloquiale) ovvero prudenziale (per questo termine v. cap. 23) alla superiorit conferita ad uno Stato dalle sue dimensioni e dalla sua potenza economica, ma sempre sancita dalla capacit di esercitare questo potere con abilit politica e di garantirlo tramite l'organizzazione militare. tuttavia vero che in questo secolo anche fra gli Stati si creato un potere legittimo (sebbene troppo raramente efficace): quello della Lega (poi Societ) delle Nazioni, creata nel 1919, in seguito (dal 1945) quello delle Nazioni Unite, per non parlare delle organizzazioni regionali cui sono stati trasferiti alcuni poteri degli Stati nazionali, e di cui l'Unione (prima: Comunit) europea l'esempio principe. Come si intender pi avanti nei capp. 18 e 21, l'emergere recente di momenti di globalit nella vita politica, oltre che economica e culturale, di tutti gli abitanti del pianeta potrebbe inoltre14 rendere sotto alcuni profili sempre pi simili i problemi di governo a livello interno15. Nel mondo globalizzato, fra esterno ed interno non esiste pi la divisione netta propria della politica moderna.

    Ancora, va esplicitato il dubbio che la definizione sopra stabilita sia ottusa, e non permetta - contro ogni evidenza - di riconoscere carattere politico al potere che non riguardi direttamente la disposizione sulla forza fisica; come se il potere politico fosse cio solo quello dello Stato. politico - sottolineiamo - ogni potere capace di ed intenzionato a mutare la distribuzione delle chances di partecipazione al potere statuale (ivi compreso quello delle organizzazioni internazionali politiche): per esempio il potere dei partiti, dei leaders, dei gruppi di pressione nazionali e transnazionali, come Greenpeace o la Campagna per l'abolizione delle mine anti-uomo. Riprendendo la terminologia weberiana, potremmo in questi casi parlare, anzich di potere politico, di potere politicamente orientato.

    6. Il potere politico e gli altri: peculiarit e `neutralit'

    Il potere politico non pu essere appiattito sull'uso o la minaccia della forza, anche se questa la sua caratteristica specifica. Abbiamo un problema di non oscurare questa specificit, senza peraltro farla diventare totalit. Possiamo capire qualcosa di pi riflettendo sulla differenza fra il potere politico ed altre forme di potere che politiche non sono, come il potere economico e quello cosiddetto ideologico.

    Il potere economico, di cui possiamo dare una definizione di tipo sostanzialistico o strumentalistico, consiste nella disposizione sui (non basta la propriet dei) mezzi di produzione. Il che vuol dire che se una persona od un gruppo ha il potere economico pu, per ottenere qualcosa, ridurti il tenore di vita, o perfino mandarti in rovina, bloccarti l'approvvigionamento, farti patire la fame. una forma di influenza che passa attraverso l'esercizio di una costrizione, che per non la costrizione attraverso la forza fisica, e se di questa vuol fare impiego, occorre che il potere economico si rivolga al potere politico, che mander la forza pubblica a sequestrare i beni di un fallito, espellere un inquilino moroso,

    14 Si tratta di processi in corso, il condizionale buona norma intellettuale.15 Domestic politics, si dice in inglese, ma il calco italiano domestico che comincia ad affiorare pu solo suscitare il riso.

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    ovvero impedir con le sue forze armate ad un altro paese di accedere a risorse per questo essenziali. (En passant, e a scanso di equivoci, l'embargo non forma di potere economico, bens un atto di potere politico che impiega mezzi economici, peraltro sorretti politicamente, cio militarmente o almeno diplomaticamente.)

    Lo stesso vale per il potere ideologico o culturale, che consiste nella disposizione sui mezzi di riproduzione culturale di una societ, cio consiste nel dominare la creazione, la diffusione e la riproduzione delle idee, delle informazioni e del modo come queste vengono comunicate. Definizione valida sia nel caso del potere televisivo, sia in quello del potere di uno sciamano di una societ primitiva, essendo una definizione abbastanza generica. Anche qui questo potere pu essere grandissimo: ci possono essere varie scuole di pensiero sul potere o strapotere del mezzo televisivo, io per esempio evito di sopravvalutarlo, ma non si possono avere dubbi sul potere di un predicatore medievale, magari eretico, o sul potere di uno sciamano. Eppure anche questo potere non dispone della caratteristica specifica di quello politico, cio della coazione fisica.

    Qui ci si potrebbe imbarcare nello sforzo di differenziare il potere in rapporto al suo essere visibile (dichiarato come tale, e presumibilmente legittimo, oltre che provvisto della garanzia della forza) o invisibile (comunicativo, psicologico, culturale); ci che non va confuso con il potere occulto, che quel potere politico, ma anche economico, che si esercita fuori o contro l'ordinamento riconosciuto legittimo. Per tale differenziazione pu aprire la strada ad un'espansione illimitata della nozione di potere (invisibile) che alla fine ci lascia senza strumenti analitici per capire chi in una certa societ ed in un determinato periodo il potere davvero lo abbia e lo eserciti, e come si possa toglierglielo oppure limitarlo. Non una via che io chiuda come assolutamente impercorribile, ma a livello categoriale non mi sembra se ne possa dire di pi.

    * * *

    Oggetto, mezzi e modus operandi del potere. Cerchiamo ora di enunciare alcune articolazioni del concetto di potere: quelle secondo loggetto, secondo il mezzo e secondo il modus operandi.

    Loggetto sul quale il potere sesercita sono sempre le risorse materiali o relazionali che esso alloca attraverso decisioni dette appunto potestative, ma queste decisioni (non necessariamente espresse in atti formali o legali) possono assumere due forme distinte: a) decisioni sul merito dellallocazione di risorse; b) decisioni di mettere un tema che riguarda lallocazione di cui sotto a) allordine del giorno (agenda setting power). In un mondo in rapidissima trasformazione e posto dinanzi a problemi del tutto inediti come quelli ambientali poter influenzare lagenda setting divenuto di capitale importanza, come si vede nella riluttanza della politica internazionale ad occuparsi del cambiamento climatico antropogenico.

    Veniamo ora ai mezzi. Va detto anzitutto che, in ognuna delle sue forme sotto esaminate, il potere impiega o sanzioni punitive (o meglio attese di queste) o allettamenti. Si pu anche dire: sanzione negativa (un male inflitto come risposta ad un comportamento contrario a quello desiderato da chi detiene il potere - questa una traslitterazione politica della nozione giuridica di sanzione) e sanzione positiva (un bene attribuito come risposta ad un comportamento

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    conforme a quello ecc.) Ovviamente le stesse sanzioni negative consistono in cento oltre cose (sottrazione di prebende, di segni di prestigio conferiti dal potere, e non solo nell'ancien rgime, aumenti fiscali a carico precipuo di un gruppo o ceto, cancellazione della clausola di nazione pi favorita, mozione di condanna votata nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite) oltre alle sanzioni fisiche (la carcerazione, l'attacco o contrattacco militare, l'occupazione). Ma, diversamente che negli altri tipi di potere (compreso quello interpersonale e particolarmente erotico, per dirla con Max Weber) che pure impiegano sanzioni ed allettamenti, il potere politico pu sempre accompagnare le attese di sanzioni positive o negative con l'ulteriore, credibile attesa che per eseguirle potr essere eventualmente adoprata la forza.

    Quanto al modus operandi, esso si definisce a partire dagli effetti che produce, come costrizione o dissuasione. Nella costrizione A fa cessare B dal fare ci che B fa, oppure gli fa fare ci che B altrimenti non farebbe (compulsive power). Nella dissuasione A fa s che B continui a fare ci che fa (anche nel caso in cui B vorrebbe fare diversamente) ovvero a non fare ci che non fa (deterrent power). La dissuasione nucleare, in cui ogni superpotenza viene indotta a continuare il suo non-uso bellico delle armi nucleari, solo un caso particolare, caratterizzato dalla reciprocit (pi o meno paritaria e stabile) del potere che l'una esercita sull'altra per scongiurarne eventuali mire avventurose. Ma potere di dissuasione anche quello di un partito o di un boss elettorale che riesce ad impedire che i suoi elettori cambino preferenza, facendo loro temere che ne avranno altrimenti meno finanziamenti pubblici o meno posti di lavoro.

    Potere istituzionalizzato e cooperazione dei governati. Facciamo un passo ulteriore nell'osservare la complessit della categoria di potere politico e rileviamo che esso usa presentarsi con caratteristiche di continuit, almeno tendenziale: non basta fondare un principato o repubblica, od instaurare un nuovo regime con un atto di forza, essendo problema politico altrettanto - se non pi - fondamentale quello di mantenere lo Stato, per dirla con Niccol Machiavelli. Un potere che si continui nel tempo necessariamente un potere istituzionalizzato, che si deposita in e riproduce tramite delle istituzioni (v. oltre il paragrafo pertinente). In questa sua dimensione il rapporto di potere non davvero pi identificabile con il mero esercizio della forza da un lato e la mera subordinazione ad essa dall'altro, emergendo invece in chi agisce conforme a quanto disposto dal detentore del potere alcuni elementi di volontariet: preferisco ubbidire o perch calcolo che a non farlo ci rimetto di pi, in termini di sanzioni fisiche o d'altro genere, o perch, al di l d'ogni calcolo, sento, per ragioni psicologiche o morali o religiose o `mitiche', di dover agire come il potere si attende (questi aspetti verranno riformulati pi concettualmente sotto i titoli della legittimit e dell'obbligo politico).

    Fra chi il potere detiene e chi ad esso sottoposto, fra governanti e governati, fra Stato egemonico o leader e Stati alleati o dipendenti o satelliti si crea cos un rapporto in cui agli elementi di subordinazione od anche sfruttamento ed oppressione che vengono patiti si accompagnano elementi di convergenza o perfino cooperazione. Gli uni accettano quella struttura, quei titolari e quei comandi del potere faute de mieux, cio in mancanza di meglio (nell'ipotesi pi semplice): a non accettarli ci si perde troppo, per rifiutarli o riformarli il tempo non ancora maturo, ovvero in sfere extra-politiche si possono trovare sufficienti compensazioni agli svantaggi derivanti dai rapporti di potere politico. Si pu anche vedere la

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    cosa in modo meno elementarmente `realistico' e pi evolutivo: se come governato posso concorrere a limitare in via di principio il potere (liberalismo, costituzionalismo) e a codeterminarne strutture, titolari e comandi (l'idea originaria della democrazia) ho delle buone ragioni normative, e non puramente prudenziali (v. oltre per questa terminologia), per rispettare il potere ed interiorizzarne le norme. A questo punto la volontariet dell'adesione ai disposti del potere (le leggi emanate da un Parlamento democratico e le disposizioni emanate da un governo che goda la fiducia della maggioranza di questo) diventa meno combattuta e pi convinta. (Mancando inter nationes analoghi canali di formazione e legittimazione della volont politica, mancando - per fortuna, alcuni pensano - un governo mondiale, non possibile fare esempi omologhi nel campo internazionale.) Dalla parte dei governanti, imparare a mantenere lo Stato significa imporsi certe limitazioni nell'esercizio del potere, non comandare o non sfruttare pi che tanto, ed evitare di farlo in modi troppo offensivi. Qui far invece un esempio internazionalistico: durante la guerra fredda, i due blocchi, Nato e Patto di Varsavia, erano ciascuno subordinati alla volont dei governi della rispettiva potenza egemone, ma ben diversi erano fra URSS e USA lo `stile di comando' e le modalit di rapporto con gli alleati. Non questa la ragione principale per cui l'un potere si dissolto e l'altro ha vinto la competizione, ma non nemmeno irrilevante.

    Una geometria del potere. Della struttura del potere politico (ma si potrebbe anche dire: della sua geometria) due caratteristiche vanno evidenziate: l'esclusivit piramidale e l'universalit. La prima di gran lunga la pi importante, e si riferisce in ultima istanza al gi nominato modo esclusivo o monopolistico con cui questo potere (legittimamente) detiene, usandola o minacciandone l'uso, la forza. Anche se si mantiene una visione pluralistica del potere (non esservi di esso un'unica fonte n un'unica sede, distribuendosi esso invece fra centri diversi nella societ e nello Stato), mi pare di poter dire che, affinch associazione politica vi sia, questo monopolio della forza dev'essere mantenuto, e nello Stato moderno di solito lo . La garanzia ultima tramite la forza ed il rapporto monopolistico con questa danno al potere politico, difformemente da quello economico e da quello culturale, una configurazione (tendenzialmente) unitaria, compatta e piramidale. Solo in politica chi l'ha raggiunto pu dire - come il Boris Godunov dell'omonima opera di Musorgskij (tratta da Pukin), che una grande riflessione musicale sul potere - ho il potere supremo. Naturalmente questo potere piramidale (assolutistica o liberal-democratica che sia la sua base) sempre o spesso limitato de iure e/o de facto, facendo talora acqua da tutte le parti: ma esso resta il principio ispiratore dell'associazione politica. Ne deriva a questa una trama (sempre relativamente) unitaria e coesa di rapporti, che fa di questa dimensione umana una delle pi adatte al perseguimento comune di fini e progetti, quali che essi siano. (Hannah Arendt ha definito il potere come `agire in concerto'. Definizione inaccettabile perch non riconosce l'asimmetria e verticalit propria della relazione di potere, ma che pu forse essere vista come riflesso di questo carattere tendenzialmente unitario che il potere d all'associazione politica.)

    Una prima manifestazione di questa intima struttura del potere politico sta nella sua universalit: i comandi emessi dal potere politico relativi alla distribuzione delle risorse hanno valore verso tutti, erga omnes, cio sono nel suo ambito universali. Efficace diventa questa pretesa, sempre avanzata dal potere politico. solo con il faticoso e cruento instaurarsi dello

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    Stato assolutistico moderno.In una compagine definita dall'esclusivit della disposizione sulla forza e dall'universalit

    dei comandi diviene possibile proporre/imporre e magari raggiungere fini collettivi: sia quelli elementari e generali, intrinseci all'associazione politica, che vedremo pi avanti parlando di ordine e di pace, sia quelli particolari per il contenuto e la visione o ideologia che li informa (la vita buona aristotelica, il rispetto delle leggi naturali e divine, il rischiaramento ed il progresso civile, l'abolizione della societ di classe). In tutti e due i casi il potere tende ad indirizzare le azioni di governanti e governati ad un fine, attraverso interventi imperativi che ci dicono per vivere insieme, o per vivere meglio, dovete fare questo e quest'altro; dovete fare la dichiarazione dei redditi entro il 30 giugno e pagare le tasse per permettere allo Stato di funzionare, dovete andare a votare (in alcuni paesi andare a votare un imperativo, in altri non lo ) per formare la `volont politica', e cos via. Questo finalismo (pi esattamente: finalizzabilit) dell'associazione politica organizzata dal potere mi pare corrispondere in qualche modo a ci che i giuristi, con un termine non perspicuo, chiamano inclusivit del potere (cfr. Bobbio, voce Politica nel Dizionario di politica, pp. 803-4).

    * * *C' dunque un momento di neutralit nel potere politico: esso pu essere usato per

    opprimere od emancipare, per atterrare i superbi e sollevare i deboli o viceversa. Va aggiunto subito, ma quasi un'ovviet, che il potere politico volto ad opprimere prende forme concrete diverse da quello volto ad emancipare. Inoltre, c' e ci sar sempre chi pensa che esso, per la sua struttura verticale, dall'alto verso il basso, costituzionalmente inadatto a perseguire fini come la pace, la liberazione e la cooperazione. Chi la pensa cos o ritiene che questi fini vadano perseguiti non per la via politica, bens per quella culturale o religiosa, o suppone possibile che la politica si svolga fra uomini che hanno cancellato ogni residuo egoismo, aspirino seriamente alla completa eguaglianza e lo facciano in una crescente abbondanza di risorse. Il nesso fin qui descritto di politica e potere riguarda invece una condizione in cui nessuna di queste tre condizioni realizzata o sta per realizzarsi - lasciando impregiudicato, perch irrilevante al fine di incidere sul nostro destino, se mai esse possano, congiunte o parzialmente, avverarsi. Vale dunque da questo punto di vista il detto di Max Weber Wer Politik treibt, erstrebt Macht (chi fa politica ricerca il potere): quali che siano i fini, le intenzioni, le ideologie, se si fa politica di l si passa, ed con il potere proprio ed altrui che ci si deve confrontare. Tenuto fermo questo, la complessit e la concretezza della politica data dall'intreccio fra la categoria di potere ed altre fondamentali come ordine, legittimit, obbligo; data dalla tematica dei limiti del potere e dal mutarsi delle sue forme e dimensioni a seconda delle finalit, delle idee, dei gruppi e delle persone cui esso di volta in volta si lega.

    Tutto ci ci permette di capire che sbagliato ridurre la politica alla ricerca e all'esercizio del potere: la politica il perseguimento di fini attraverso l'elemento del potere, e si svolge producendo decisioni, che sono (quasi) sempre fatte di elementi autoritativi e di cooperativi o consociativi; ma questo non vuol dire che la politica consista nella pura e semplice ricerca di risorse di potere. Questa pu esistere, ma una forma degenerativa della politica, il potere per il potere. Beninteso, anche questa politica (non ne stiamo dando una definizione selettiva o prescrittiva), ma sappiamo storicamente che quando un regime o una classe dirigente non fa pi

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    uso del suo potere per governare societ e Stato con un disegno ed uno stile che contentino molto i suoi sostenitori, ma non scontentino eccessivamente gli altri, ma lo usa solo per riprodurre la sua posizione, gi si trova nella sua fase discendente, preparando suo malgrado il terreno per un cambiamento. Ma vera anche la cosa opposta: una politica che venga presentata come pura ricerca di un fine attraverso l'accordo solidale, la persuasione, la fiducia nelle buone idee, senza cio fare i conti con quella cosa complessa e storica che il potere, o una politica di pura testimonianza, quindi apolitica, extramondana, come direbbe Max Weber; oppure chi la propone molto facile che tenti di confondere se stesso o di confonderci, nel senso che lui dice che gli altri vogliono solo il potere, e solo per i loro egoistici fini, mentre lui vuole solo raggiungere quei fini comuni e non vuole il potere. Allora si tratta di uno che non sa molto di politica e scambia la predicazione o la testimonianza con la lotta politica; oppure uno che tenta di imbrogliare, cio che tenta di attrarre la vostra simpatia per una forma di cambiamento della politica radicale e salvifica, cio tale che alla fine non c' pi bisogno, scarsit, disuguaglianza, e siamo tutti uguali, laddove in realt ci che poi resta il potere, meno contenuto perch non riconosciuto come tale, del leader rinnovatore.

    Dopo esserci sforzati di neutralizzare, per quel che giusto, la nozione di potere, ovvero di non demonizzarla, dobbiamo metterne in evidenza almeno due aspetti problematici, entrambi legati al momento della diseguaglianza. Uno un problema assai generalmente filosofico, e come tale non potremo approfondirlo qui: la richiesta, rivolta anche al potere politico, come a quello religioso, psicologico, economico, di giustificarsi rispetto ad un'idea di libert e di autonomia degli esseri umani. In quanto sia problema di libert politica, vi ritorneremo sopra nell'apposito paragrafo. L'altro aspetto deriva al potere politico dal suo essere incardinato nella diseguaglianza e scarsit, condizioni che non possono non essere in perenne tensione con l'ideale di un'eguaglianza di diritti e di poteri che ha animato concezioni e pratiche che vanno dall'isonomia (essere la legge eguale) greca alla democrazia moderna. Non solo che le proclamazioni di quella eguaglianza hanno sempre, o quasi, contenuto un momento ideologico, di falsa coscienza: Atene escludeva dalla vita della polis donne, schiavi e meteci, e Thomas Jefferson, l'estensore della Declaration of Independence (all men are created equal), era proprietario di schiavi. che la verticalit stessa del potere (alto-basso) sta in contrasto, e per alcuni in contraddizione, con l'idea di cittadinanza - tanto pi nella modernit, in cui questa verticalit da un lato si accentua (altro sono le relazioni quasi `faccia a faccia' nella polis, altro quelle fra governanti e governati nella grande macchina degli Stati territoriali, cfr. G. Sartori, La politica, Sugarco, Milano 1979, pp. 189-196), dall'altro diviene semplicemente pi visibile e pi contestata. Questa tensione, questa necessit di giustificare il dislivello di potere connaturato all'associazione politica uno dei temi fondativi della teoria di Rousseau, che per risolverla la estremizza: solo l'alienazione totale di ciascun associato con tutti i suoi diritti a tutta la comunit garantisce la perfetta eguaglianza dei sudditi-cittadini, giacch se tutti hanno alienato tutto senza riserve, a nessuno resta nulla da rivendicare. Il carattere totale del potere ne garantisce paradossalmente l'eguaglianza e quindi massimamente lo legittima:

    infine, chi si d a tutti non si d a nessuno; e siccome non vi associato sul quale ciascuno non acquisti un diritto pari a quello che egli cede su di s, tutti guadagnano l'equivalente di quello che perdono, e una maggiore forza per conservare quello che

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    hanno (Le Contrat social, libro I, cap. VI).

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    7. Potere, forza, violenza, consenso, comandi/norme

    Possiamo formulare a questo punto una seconda definizione di politica comprensiva degli elementi fin qui illustrati: essa quell'attivit sociale che, in condizioni di scarsit e diseguaglianza, redistribuisce risorse (o beni), materiali e relazionali, allocandole autoritativamente, cio tramite un potere legittimo, garantito in ultima istanza (quanto allefficacia, non alla legittimit) dal monopolio della forza. Tale allocazione, possiamo aggiungere, avviene finalizzando gli interventi del potere secondo un disegno pi generale o pi occasionale e particolare (del resto, anche il politico pi ideologicamente pianificatore tiene presenti le situazioni e le reazioni del momento). Valgono pure qui, s'intenda, le osservazioni riguardanti la politica fra gli Stati e nel mondo fatte nel cap. 5. E occorre aggiungere che questa definizione copre la politica cos com stata fino ad oggi e tuttora , mentre nella nostra epoca, che gi al di l della modernit, la globalizzazione ed ancor pi le sfide globali pongono ormai alla comunit politica problemi che la politica com stata finora non in grado di risolvere. Per tutto questo si veda il cap. 21, che dunque coessenziale al presente. Definire la politica non opera che finisca in questo capitolo, n che si possa fare una volta per tutta leternit.

    A questa definizione dobbiamo aggiungere un commento ed alcune specificazioni. Il commento che essa, non giuocando su una finalit o senso o valore fondamentale della politica, bens sulle sue modalit, non implica tuttavia una scelta a favore di una concezione `realistica', tutta basata sull'egoismo individuale o di gruppo come unica vera fonte dell'attivit politica. I fini particolari, che di per s non ci sembrano in grado di definire la politica in modo scientificamente comprensivo, non ne sono esclusi, tranne che essi tendano a negare (per utopismo extramondano, o per negazione cinica di ogni interesse comune) lo spazio stesso dell'agire politico; e se essi debbano essere compatibili con l'interesse di potenza o di arricchimento dei singoli od invece con norme universali di giustizia o libert la definizione non dice. Dice solo che, quali che siano i fini, perseguirli politicamente significa in ogni caso compiere le azioni descritte nella definizione stessa.

    Una scelta invece contenuta nella definizione a favore di una disidentificazione del potere con la mera forza. Abbiamo gi offerto argomenti in questo senso, ma altri vanno illustrati. Uno proviene da un'ulteriore opzione preliminare: le motivazioni di chi agisce politicamente (e pi generalmente socialmente) non possono - nemmeno euristicamente - essere ricondotte al mero calcolo d'utilit compiuto da attori razionali, o a questi per ipotesi assimilabili. La politica un impasto di calcolo lucido o furbo e di pregiudizi, idiosincrasie, motivazioni ideali tutte filtrate attraverso simboli (tema sul quale si rinvia all'apposito paragrafo). In questo senso l'atteggiamento di chi subisce una situazione di potere un atteggiamento in cui c' il riconoscimento o di una qualche convenienza razionalmente calcolata nell'ubbidire, o di una motivazione ad ubbidire che abbia radici diverse dal calcolo raziocinante della convenienza, per esempio la suggestione; il potere, grazie al suo simbolismo, ai suoi meccanismi emozionali, ai miti che riesce a mettere in moto, al fascino che esercita sui propri destinatari pu indurli ad

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    agire come il titolare del potere desidera. Questo ha una conseguenza importante perch vuol dire che il potere, proprio perch consiste anche di questi elementi, pu causare azioni in positivo, mentre la mera forza, che in quanto coercizione fisica possiamo altrettanto chiamare violenza, pu solo avere effetti omissivi, cio solo costringere colui su cui si esercita a non fare certe cose. Inoltre la specificit della violenza e del potere ridotto a mera forza consiste nell'intervenire o sul corpo stesso dei dominati, mettendo loro le manette, mandandoli in prigione o dietro un filo spinato in un campo di concentramento, sparando loro addosso, oppure agendo sempre in senso fisico sull'ambiente fisico verso il quale i dominati hanno un rapporto vitale di dipendenza: per esempio violenza anche l'impedire a una persona o ad una popolazione di ricevere il cibo o l'acqua. Il potere invece un'articolata relazione mentale e motivazionale fra gli attori.

    V' tuttavia in politica un caso in cui il potere si riduce al mero esercizio della forza fisica da parte di un'istituzione