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1 / 39 TOP NEWS 01 NATO TV 04 COSTRUIRE LA PACE 05 COMMENTI 06 AGENDA 07 ISSUES 08 DI PIù 10/39 In accordo tra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Rai e NATO, Rai World fornisce sostegno all’informazione sulle operazioni di peacekeeping in Afghanistan e con la presenza di un riferimento al HQ NATO di Bruxelles mette a disposizione delle testate Rai servizi ed immagini dall’ Afghanistan e una raccolta di notizie stampa. Per contatti: [email protected] 76 22 GIUGNO 2011 Periodo dal 16 GIUGNO Aggiornato al 22 GIUGNO TOP NEWS _____________________________________________________________________________ 22 GIUGNO - USA, OBAMA SVELERA’ OGGI PIANO PER RITIRO TRUPPE DALL’AFGHANISTAN (di più ) Il presidente Usa Barack Obama dovrebbe annunciare oggi il piano per dare inizio al ritiro delle truppe statunitensi dall'Afghanistan, il primo passo verso la fine di un conflitto che dura da circa dieci anni e che negli Stati Uniti è sempre più impopolare. (REUTERS 22 GIUGNO ) 22 GIUGNO - AFGHANISTAN: LA RUSSA, RIENTRO USA NON ANTICIPA NOSTRO DA 2012 (di più ) Il ministro della Difesa Ignazio La Russa avrà un colloquio telefonico nel pomeriggio con il segretario alla Difesa Usa, Robert Gates per avere comunicata la notizia, che sarà ufficializzata domani, dell'''eventuale rientro programmato dei militari Usa dall'Afghanistan''. (ANSA ). 22 GIUGNO - A BAMYAN, NELLA TERRA ORFANA DEI BUDDHA "PER PRIMI SENZA LA NATO: ABBIAMO PAURA" (di più ) Questa provincia è stata scelta dall'Alleanza come area pilota della transizione. Le imponenti statue furono distrutte a cannonate dai Taliban nel marzo del 2001 nonostante le proteste delle autorità culturali internazionali. Il racconto dell’inviato Pietro Del Re. (LA REPUBBLICA ) 22 GIUGNO - AFGHANISTAN: 'OPERAZIONE FIDUCIA' NEL BAZAR (di più ) Adunata di buon'ora alla volta di Shindand, profondo sud della provincia di Herat. Obiettivo rafforzare i legami con il governatore e distribuire beni alla popolazione. E' la missione odierna dell'11/mo reggimento bersaglieri di Orcenico Superiore, in provincia di Pordenone. Il reportage di Gina Di Meo. (ANSA ). 22 GIUGNO - AFGHANISTAN: RITIRO TRUPPE USA, KABUL PRONTA A FARE FRONTE (di più ) Il governo afghano è pronto a far fronte alla situazione militare che provocherà l'annuncio oggi da parte del presidente Barak Obama. Lo ha detto il portavoce del ministero della Difesa afghano, generale Mohammad Zahir Azimi. (ANSA ). 22 GIUGNO - ALMENO 6 VITTIME IN ATTENTATO KAMIKAZE CONTRO CHECKPOINT POLIZIA (di più ) È il bilancio di un attentato kamikaze contro un checkpoint oggi a Qarabagh, distetto della provincia di Ghazni, 125 km a sud di Kabul. (ADNKRONOS )

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TOP NEWS 01NATO TV 04COSTRUIRE LA PACE 05COMMENTI 06AGENDA 07ISSUES 08DI PIù 10/39

In accordo tra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Rai e NATO, Rai World fornisce sostegno all’informazione sulle operazioni di peacekeeping in Afghanistan e con la presenza di un riferimento al HQ NATO di Bruxelles mette a disposizione delle testate Rai servizi ed immagini dall’ Afghanistan e una raccolta di notizie stampa. Per contatti:

[email protected]

№ 76 22 GIUGNO 2011 Periodo dal 16 GIUGNO

Aggiornato al 22 GIUGNO

TOP NEWS _____________________________________________________________________________

22 GIUGNO - USA, OBAMA SVELERA’ OGGI PIANO PER RITIRO TRUPPE DALL’AFGHANISTAN (di più) Il presidente Usa Barack Obama dovrebbe annunciare oggi il piano per dare inizio al ritiro delle truppe statunitensi dall'Afghanistan, il primo passo verso la fine di un conflitto che dura da circa dieci anni e che negli Stati Uniti è sempre più impopolare. (REUTERS 22 GIUGNO)

22 GIUGNO - AFGHANISTAN: LA RUSSA, RIENTRO USA NON ANTICIPA NOSTRO DA 2012 (di più) Il ministro della Difesa Ignazio La Russa avrà un colloquio telefonico nel pomeriggio con il segretario alla Difesa Usa, Robert Gates per avere comunicata la notizia, che sarà ufficializzata domani, dell'''eventuale rientro programmato dei militari Usa dall'Afghanistan''. (ANSA). 22 GIUGNO - A BAMYAN, NELLA TERRA ORFANA DEI BUDDHA "PER PRIMI SENZA LA NATO: ABBIAMO PAURA" (di più) Questa provincia è stata scelta dall'Alleanza come area pilota della transizione. Le imponenti statue furono distrutte a cannonate dai Taliban nel marzo del 2001 nonostante le proteste delle autorità culturali internazionali. Il racconto dell’inviato Pietro Del Re. (LA REPUBBLICA) 22 GIUGNO - AFGHANISTAN: 'OPERAZIONE FIDUCIA' NEL BAZAR (di più) Adunata di buon'ora alla volta di Shindand, profondo sud della provincia di Herat. Obiettivo rafforzare i legami con il governatore e distribuire beni alla popolazione. E' la missione odierna dell'11/mo reggimento bersaglieri di Orcenico Superiore, in provincia di Pordenone. Il reportage di Gina Di Meo. (ANSA). 22 GIUGNO - AFGHANISTAN: RITIRO TRUPPE USA, KABUL PRONTA A FARE FRONTE (di più) Il governo afghano è pronto a far fronte alla situazione militare che provocherà l'annuncio oggi da parte del presidente Barak Obama. Lo ha detto il portavoce del ministero della Difesa afghano, generale Mohammad Zahir Azimi. (ANSA). 22 GIUGNO - ALMENO 6 VITTIME IN ATTENTATO KAMIKAZE CONTRO CHECKPOINT POLIZIA (di più) È il bilancio di un attentato kamikaze contro un checkpoint oggi a Qarabagh, distetto della provincia di Ghazni, 125 km a sud di Kabul. (ADNKRONOS)

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2 / 39 21 GIUGNO - AFGHANISTAN: OBAMA, 30MILA UOMINI IN MENO ENTRO 2012 (di più) Secondo indicazioni concordanti, il presidente Usa Obama annuncerà domani sera in diretta tv dalla Casa Bianca il ritiro di circa 30mila militari Usa dall'Afghanistan entro il 2012, ovviamente se la situazione sul terreno lo permetterà. (ANSA). 21 GIUGNO - AFGHANISTAN: DISCORSO OBAMA; SCINTILLE USA-PAKISTAN (di più) Il governo di Kabul si prepara ad ascoltare l'annuncio del presidente Obama sul primo ritiro delle truppe. Intanto prosegue l'attività dei kamikaze talebani. Da parte sua Karzai si è riunito con i principali membri del governo per rivedere la strategia dell'inizio del trasferimento. (ANSA). 21 GIUGNO - PROCESSO RICONCILIAZIONE, IL PAKISTAN TEME ESCLUSIONE (di più) Preoccupazioni per le dinamiche del processo di riconciliazione in Afghanistan arrivano dal Pakistan dopo la conferma del ministro della Difesa Usa, Robert Gates, di trattative in fase preliminare tra il Dipartimento di Stato e i Talebani. Islamabad ha chiesto a Washington ''più trasparenza e chiarezza''. (ADNKRONOS) 20 GIUGNO - AFGHANISTAN: PETRAEUS SUGGERISCE RITIRO 30MILA ENTRO 2012 (di più) Il comandante delle truppe Usa e Nato in Afghanistan, il generale americano David Petraeus, è pronto a suggerire alla Casa Bianca di ritirare 30mila militari americani entro il 2012. Lo scrive Marc Ambinder, un giornalista solitamente molto bene informato su Difesa e Casa Bianca, sul National Journal online. (ANSA). 20 GIUGNO -AMBASCIATORE USA CONTRO KARZAI, TROPPE ACCUSE A NOSTRE TRUPPE (di più) Si fanno sempre più aspri i toni tra Stati Uniti e Afghanistan, in vista del ritiro delle truppe Usa. In un discorso pronunciato di fronte a un gruppo di studenti di Herat, l'ambasciatore Eikenberry ha definito ''nocivi e inappropriati'' i commenti di ''alcuni leader afghani''. (ADNKRONOS) 20 GIUGNO - NYT, POCHI LEADER TALEBANI ACCETTANO OFFERTA RICONCILIAZIONE (di più) Sono pochissimi, i leader dei Talebani che hanno accettato il piano di riconciliazione voluto dal presidente Karzai. Dopo la conferma del ministro Gates, di trattative in fase preliminare tra il Dipartimento di Stato e i Talebani, il New York Times fa luce sulle difficoltà del piano di riconciliazione, avviato dieci mesi fa. (ADNKRONOS). 20 GIUGNO - AFGHANISTAN: MAXI SEQUESTRO DI DROGA PER UN VALORE STIMATO IN MEZZO MILIONE DI DOLLARI EFFETTUATO DALLE FORZE DI SICUREZZA AFGANE (di più) Stanotte nel corso di una complessa operazione congiunta svolta dalle Forze di Sicurezza Afgane con il supporto dei Paracadutisti del 186° Reggimento Folgore, sono stati sequestrati oltre 200 chilogrammi di oppio grezzo per un valore stimato di oltre mezzo milione di dollari. (ITALFOR KABUL E RC-W) 19 GIUGNO - AFGHANISTAN: GATES; CONTATTI TALEBANI, PRUDENTE RITIRO (di più) Il capo del Pentagono, Robert Gates, conferma che sono in corso contatti tra gli Stati Uniti e i Talebani in Afghanistan ma esprime prudenza sul ritiro delle truppe Usa che inizierà il mese prossimo. (ANSA) 19 GIUGNO - BERLUSCONI VISITA ALPINO FERITO E GARANTISCE MACCHINARIO PER CURE (di più) L'ospedale Niguarda di Milano avrà un macchinario per garantire le necessarie cure a Luca Barisonzi, il caporale degli alpini ferito a gennaio in Afghanistan, e per i pazienti come lui. Lo ha garantito il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che si è intrattenuto per poco più di mezz'ora nell'ospedale che ospita il giovane. (AGI) 19 GIUGNO - AFGHANISTAN: CONSIGLIO PACE, CON TALEBANI USA CI PRECEDONO (di più) Contatti preliminari con i talebani esistono davvero, e la spinta più forte in questo senso viene non da Kabul, ma da Washington. ''E' vero - lo ha detto all'ANSA il Mawlawi Ataullah Ludin, vicepresidente dell'Alto consiglio per la Pace afghano - gli Usa sono più avanti di noi in questa ricerca del dialogo e noi accettiamo questo fatto''. (ANSA) 19 GIUGNO - LIBIA: KARZAI CRITICA NATO, 'LA STA FACENDO A PEZZI' (di più) Il presidente afghano Hamid Karzai ha criticato vivacemente l'azione della Nato in Libia, sostenendo che essa sta portando gravi sofferenze alla popolazione civile. (ANSA)

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3 / 39 18 GIUGNO - BALA MURGHAB, AVAMPOSTO ITALIANO PER SICUREZZA AREA (di più) E' un avamposto dove guardandoti intorno vedi che il colore dominante è quello del terreno arido, fatto di pietre che solo lo scarpone militare riesce a vincere e dove dominano la polvere e il caldo soffocante. E' Bala Murghab, l'avamposto militare più a Nord della zona di competenza italiana. Il reportage di Enzo Castellano. (AGI) 18 GIUGNO - IRAN: STORICA VISITA MINISTRO DIFESA A KABUL (di più) Il ministro della Difesa iraniano, generale Ahmed Vahidi, e il suo omologo afghano, maresciallo Abdulrahim Vardak, si sono incontrati a Kabul. Si tratta della prima visita di un ministro della Difesa iraniano nella capitale afghana da 92 anni. (ADNKRONOS) 18 GIUGNO - AFGHANISTAN:KARZAI, LOYA JIRGA SU REGOLE PER FORZE STRANIERE (di più) L'Afghanistan riunirà nel corso di quest'anno una Loya Jirga (Gran Consiglio) dei settori più importanti della società per ricevere suggerimenti sulla strategia che il governo deve adottare nelle alleanze, in particolare con gli Usa. (ANSA) 18 GIUGNO - AFGHANISTAN: SCHIFANI, UNA MISSIONE D'ESEMPIO PER TUTTI (di più) La missione-lampo in Afghanistan è un messaggio esplicito che il presidente del Senato Renato Schifani invia alle Forze armate: in Afghanistan è in corso una missione strategica la cui prosecuzione non può essere messa in discussione, perché la lotta al terrorismo si conduce senza se e senza ma. (ANSA) 18 GIUGNO - AFGHANISTAN: ONU DIVIDE LISTA NERA FRA TALEBANI E AL QAIDA (di più) Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha diviso in due la lista dei ribelli afghani colpiti da sanzioni, creandone una per i terroristi di Al Qaida e una per i talebani. La mossa intende lanciare il segnale ai talebani che, se abbandonano il terrorismo, possono rientrare nella vita civile e politica del paese. (ANSA) 18 GIUGNO - AFGHANISTAN: TALEBANI;OK CONSIGLIO PACE SU 'BLACKLIST' ONU (di più) L'Alto Consiglio per la pace dell'Afghanistan si è rallegrato per la decisione presa all'unanimità dal Consiglio di sicurezza dell'Onu di separare la lista dei militanti di Al Qaida da quella dei talebani. (ANSA) 18 GIUGNO - AFGHANISTAN: KARZAI CONFERMA, USA TRATTANO CON TALEBANI (di più) Karzai conferma le trattative tra Usa e talebani, ma l'unica certezza sono gli episodi di violenza dei talebani che hanno nuovamente attaccato il centro di Kabul seminando il terrore fra la gente e causando un bilancio di 12 morti e altrettanti feriti. (ANSA) 17 GIUGNO - AFGHANISTAN: USA, MILITARI PREMONO PER RITARDARE RITIRO (di più) I militari Usa stanno premendo su Obama per ritardare di fatto il ritiro dal paese mediorientale. Lo scrive il Wall Street Journal, secondo cui il Pentagono suggerisce alla Casa Bianca di mantenere elevato il livello dei militari fino all'autunno del 2012. (ANSA). 17 GIUGNO - NAPOLITANO INCONTRA FAMIGLIARI ALPINO MATTEO MIOTTO (di più) Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha avuto un incontro privato pomeriggio con i famigliari dell'alpino Matteo Miotto morto in Afghanistan lo scorso 31 dicembre. (ADNKRONOS) 16 GIUGNO - MAE, FRANCESCO TALÒ INVIATO SPECIALE AFGHANISTAN-PAKISTAN (di più) Il console generale italiano a New York, Francesco Maria Talò, è il nuovo inviato speciale per l’Afghanistan-Pakistan della Farnesina. Lo ha nominato oggi il ministro degli Esteri, Franco Frattini. (IL VELINO-PEI NEWS) 16 GIUGNO - AFGHANISTAN: REGIONE TOSCANA; ASSEGNO A FAMILIARI DEGLI UCCISI (di più) Un assegno straordinario di 20 mila euro a ciascuna delle tre famiglie di militari residenti in Toscana che persero la vita il 17 settembre 2009 nel corso di una missione militare italiana a Kabul. Lo ha deciso la regione Toscana. (ANSA). 16 GIUGNO - RAPPORTO ICSA, CONTRO RISCHIO CAOS NUOVA TEMPISTICA EXIT STRATEGY (di più) “Se una exit strategy è stata delineata in termini di che cosa si vuole fare, la tempistica per attuarla, presentata come cogente, è invece aleatoria, almeno se non si vuole rischiare che il Paese torni a precipitare nel caos''. E' quanto evidenzia il 'Rapporto Difesa 2011' della Fondazione Icsa. (ADNKRONOS)

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4 / 39 16 GIUGNO - AFGHANISTAN: TRICARICO, CON RITIRO PAESE DI NUOVO NEL CAOS (di più) Un'ipotesi sciagurata: lasciare l'Afghanistan prima della creazione di un esercito e un sistema di sicurezza interno efficienti. Il generale Leonardo Tricarico, già capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, rigetta con decisione l'idea di abbandonare il teatro afghano. (AGI). 16 GIUGNO - NEL GULISTAN TALEBANO ITALIANI IN PRIMA LINEA (di più) “Abbiamo bisogno di più truppe, forze di polizia ed equipaggiamenti per difenderci dai talebani che hanno già tentato con cinque attentati di uccidermi”. Nell'incontro all'interno della base italiana, Mabhor Qasin Khan, governatore del distretto del Gulistan, non mostra timidezza nel chiedere più mezzi. Il racconto di Gianandrea Gaiani. (IL SOLE 24 ORE) 16 GIUGNO - BIN LADEN: ALL'EGIZIANO ZAWAHRI IL BASTONE DEL COMANDO (di più) Dopo ''consultazioni'' andate avanti dall'inizio di maggio, la ''direzione generale di al Qaida'' ha deciso: il medico egiziano Ayman al Zawahri, l'eterno 'numero due' di Osama bin Laden, assume il comando dell'internazionale del terrore. (ANSA). 16 GIUGNO - TERRORISMO: INTELLIGENCE PAKISTANA, COVO ZAWAHIRI LUNGO CONFINE AFGHANISTAN (di più) Le montagne che dividono il Pakistan dall'Afghanistan, separati da un poroso confine, potrebbero essere il covo prescelto dal medico egiziano Ayman al-Zawahiri. Ne è convinta l’intelligence pakistana. (ADNKRONOS) 16 GIUGNO - BIN LADEN: ANALISTI, CON ZAWAHRI SCELTA CONTINUITÀ (di più) Non c'è sorpresa fra gli analisti di questioni di terrorismo per l'annuncio della scelta di Ayman al Zawahri come nuovo capo di Al Qaida, e sia in Egitto sia in Pakistan c'è consenso sul fatto che la gestione del movimento sarà ''all'insegna della continuità''. (ANSA).

NATO TV_________________________________________________________________________________ Sono disponibili su richiesta delle redazioni Rai le immagini (e/o i servizi) della struttura TV organizzata dalla Nato in Afghanistan realizzate da reporter professionisti embedded presso il contingente ISAF. Tutte le immagini sono libere da diritti d' autore e in quality broadcast. Per ricevere le immagini e per informazioni contattare al HQ NATO di Bruxelles: Luca Fazzuoli. Inviato permanente di Rai World e Media Relation Officer [email protected] (+32 475 470127) Tutte le immagini girate in Afghanistan sono disponibili: - grezze, in versione internazionale, senza alcun montaggio, logo o sottotitoli oppure: - montate in un reportage di circa 2 - 3 minuti, con sottotitoli in inglese per le interviste in farsi o pashtu. Il suono delle interviste è inglese, farsi o pashtu. Tutte le immagini sono correlate dalla seguente documentazione: lista delle immagini con il timecode, trascrizione delle interviste in inglese, trascrizione e traduzione delle interviste dal farsi o pashtu in lingua inglese, informazioni relative al contenuto delle immagini. La distribuzione delle immagini e della documentazione avviene in modo rapido attraverso una semplice e-mail che viene inviata direttamente al vostro indirizzo elettronico. Le immagini montate in un piccolo reportage possono essere visionate anche sul sito web:

www.natochannel.tv

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QUESTA SETTIMANA VI SEGNALIAMO 1) La lotta contro gli ordigni IED Nato TV e’ con i soldati Afghani, durante l’addestramento per il riconoscimento e la disattivazione delle bombe IED (Improvised Explosive Device) nel centro di Mazar-e-Sharif, nel nord dell'Afghanistan. Con un gruppo di tutor internazionali, tra cui Francesi, Croati e Tedeschi, i soldati Afghani, al termine dell’addestramento, saranno qualificati per passare questa formazione ad altri, al fine di vincere la guerra contro una delle armi piu’ letali dell'Afghanistan.

YouTube Link: http://www.youtube.com/watch?v=BAdnlCcwLJQ 2) Il potere popolare nella provincia di Parwan Il Programma di Solidarietà Nazionale è l’ultimo grande successo dell’Afghanistan e testimonia l’impegno della leadership Afghana nel processo di ricostruzione. Il coinvolgimento delle comunità locali, dà la possibilità al popolo Afghano di poter decidere indipendentemente le proprie proprietà ed i propri progetti.

YouTube Link: http://www.youtube.com/watch?v=JWIrb1VzEPM

COSTRUIRE LA PACE______________________________________________________________ ITALIA-AFGHANISTAN: COOPERAZIONE,PRIMO ESAME GUIDA PER DONNE (di più) Una quarantina di allieve del corso di scuola guida femminile del 'Giardino delle donne' di Kabul, organizzato dalla Cooperazione italiana, si sono presentate, con alterna fortuna ma con grande orgoglio, all'esame finale presso il Dipartimento del traffico del ministero dell'Interno afghano. (ANSA 22 GIUGNO). L'AFGHANISTAN E IL TIMORE CHE L'OPPIO MANDI IN FUMO IL FUTURO (di più) Dopo 10 anni di guerra l'Afghanistan inizia a fare i conti col ritiro progressivo delle truppe occidentali e con la diminuzione dei finanziamenti della comunità internazionale. E il timore è che l'unica chance del post guerra per molti afgani siano queste colline in Badakhshan dove si coltiva l'oppio. (TMNEWS 21 GIUGNO) AFGHANISTAN: PORTAVOCE ISAF, SCUOLE ITALIA UN ESEMPIO A HERAT (di più) L'attività di edificazione di scuole del Prt italiano ad Herat è un esempio di cooperazione con il governo afghano per la fornitura ai cittadini di una alternativa più praticabile di quella offerta dai talebani. Lo ha dichiarato a Kabul il portavoce di Isaf generale Josef Blotz. (ANSA 20 GIUGNO). IN PIAZZA PER I BAMBINI DELL'AFGHANISTAN. MEDICI E SOCIETÀ CIVILE INSIEME ALL'OSTIENSE (di più) Hossein, Mohammad, Hosni: sono tanti i «bacceye» (bambini) dell'Afganistan che si ritrovano alla stazione Ostiense di Roma. Un piccolo villaggio di tende blu sporche di guano, con un tubo che fa da doccia improvvisata e abiti stesi ad asciugare negli spicchi di sole. (CORRIERE.IT 20 GIUGNO) RADIO BAYAN WEST, LA VOCE DI HERAT (di più) Una radiolina a manovella può essere la via d’uscita dall’isolamento. Anche per questo le forze Isaf e la Cooperazione italiana hanno distribuito migliaia di radioline che si ricaricano a manovella nei villaggi più lontani dai centri urbani. Il racconto di Cristina Bassi. (PANORAMA.IT 20 GIUGNO) AFGHANISTAN: SHURA ANZIANI-ISAF A BALA MOURGHAB PER SVILUPPO (di più) Un serie di incontri tra anziani, autorità locali e rappresentanti di Isaf per pianificare le iniziative di sviluppo e supporto alla popolazione si sono svolti a Bala Mourghab, nella provincia di Badghis, una delle più turbolente della zona dell'Afghanistan sotto il controllo italiano. (ANSA). AFGHANISTAN:AL VIA NUOVO PRONTO SOCCORSO EMERGENCY A GARMSIR (di più) Sono iniziate oggi le attività cliniche del nuovo Posto di primo soccorso di Emergency a Garmsir, situato nella provincia di Helmand, nel sud dell'Afganistan. (ANSA 17 GIUGNO).

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6 / 39 AFGHANISTAN: RICETTA MILITARE E CIVILE PER USCIRE DALLA CRISI (di più) L'Afghanistan vive una situazione complessa e instabile dalla quale può venire fuori con un impegno lungo le tre direttive della sicurezza, governance e sviluppo economico e sociale. E' questa una delle conclusioni a cui sono giunti i relatori della tavola rotonda, le “Lessons learned” dall'Afghanistan, organizzata dall'istituto Affari internazionali in collaborazione con Finmeccanica e l'istituto di studi strategici Chatham house. (AGI 16 GIUGNO). IL CRICKET DI STRADA A KABUL (di più) La nuova esplosione del cricket in Afghanistan è stata raccontata da un documentario che si chiama Out of the Ashes e ha come protagonista proprio la nazionale afgana di cricket. Il trailer è visionabile sul sito www.outoftheashes.tv/. (IL POST.IT 16 GIUGNO)

COMMENTI_________________________________________________________________________________________ L'OMBRA DEL MULLAH SUL RITIRO DA KABUL (di più) L'attesa La Casa Bianca sta per annunciare la partenza dei primi 10 mila soldati. Decisivi i negoziati con i talebani. (CORRIERE DELLA SERA 22 GIUGNO DI DAVIDE FRATTINI) OBAMA: “VIA DALL'AFGHANISTAN 10MILA UOMINI” (di più) Oggi l'annuncio: il ritiro Usa inizia a luglio. Entro i12012saranno richiamati 33 milasoldati L'America è stanca di un decennio di guerre. E per il Congresso i costi sono eccessivi. (LA REPUBBLICA 22 GIUGNO DI FEDERICO RAMPINI) QUATTRO STRADE PER LASCIARE KABUL (di più) Senza un accordo che definisca il ruolo del Paese, gli Stati vicini sosterranno fazioni rivali e il conflitto si allargherà. Servono: cessate il fuoco, ritiro dei militari, governo di coalizione e rispetto dei patti. (IL SOLE 24 ORE 22 GIUGNO DI HENRY KISSINGER) STATI UNITI: BARACK OBAMA ANNUNCIA IL SUO RITIRO DALL’AFGHANISTAN (di più) Barack Obama ha un timing per l’Afghanistan: il 2012. La Data Promessa. L’uccisione di Osama Bin Laden e il costo (in miliardi di dollari) del conflitto sono due argomenti importanti per spiegare agli americani il perché e soprattutto la bontà della sua exit strategy da Kabul. (PANORAMA.IT 21 GIUGNO DI MICHELE ZURLENI) LA BATTAGLIA DELLA “VALLE DELLE ROSE” (di più) Il distretto del Gulistan, nell’est della provincia di Farah, costituisce l’area più difficile per i militarti italiani. Nel capoluogo dell’Ovest afghano la transizione della sicurezza nelle mani degli afghani inizierà tra pochi giorni. Qui in Gulistan, 300 chilometri più a sud, è prevista solo nel 2014. (PANORAMA BLOG 21 GIUGNO DI GIANANDREA GAIANI) ECCO I NOMI DEI TALEBANI CON CUI L'OCCIDENTE PROVA A TRATTARE (di più) Gli Stati Uniti (e la Gran Bretagna) non si limitano a sostenere il dialogo tra Kabul e i talebani, ma conducono trattative autonome. La lista degli esponenti talebani da sottrarre alle misure restrittive previste dall'Onu potrebbe includere fino a una cinquantina di persone per consentire di aprire negoziati diretti. (IL FOGLIO 21 GIUGNO) IN AFGHANISTAN DIECI ANNI BUTTATI (di più) L'ambasciatore Usa Eikenberry ha risposto a muso duro alle accuse di essere un potenza occupante rivolta da Karzai. Una polemica che fa intendere come l'imminente annuncio di Barack Obama del ritiro e le affermazioni di Gates sulle trattative con i Talebani siano il sintomo di una consistente crisi della stessa presenza Usa e Nato a Kabul. (LIBERO 21 GIUGNO DI CARLO PANELLA) AFGHANISTAN: IL PENTAGONO PREME SU OBAMA PER RITARDARE IL RITIRO DELLE TRUPPE DA KABUL (di più) La notizia l’ha rivelata il Wall Street Journal, ma non è certo una novità: i militari statunitensi stanno premendo sul presidente Barack Obama per ritardare l’avvio del ritiro dall’Afghanistan. (PANORAMA BLOG 20 GIUGNO DI GIANANDREA GAIANI)

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7 / 39 GATES: "SÌ, PARLIAMO CON I TALIBAN". INIZIATO IL RITIRO USA DALL´AFGHANISTAN (di più) Non solo gli americani stanno trattando con i talebani, ma il ritiro dall´Afghanistan è già cominciato. L’ambasciatore Eikenberry ha replicato a Karzai che “gli americani cominciano a perdere la forza per andare avanti”. Il destino della guerra è segnato: quello della pace resta un´incognita. (LA REPUBBLICA 20 GIUGNO DI ANGELO AQUARO) L'AMERICA TRATTA L'USCITA AFGHANA (di più) Obama e il Congresso vorrebbero accelerare l’uscita dal paese, anche per tagliare i costi. I generali frenano. (CORRIERE DELLA SERA 20 GIUGNO DI MASSIMO GAGGI) GLI USA PARLANO CON I TALEBANI (PAROLA DI KARZAI) (di più) Karzai per la prima volta conferma che i colloqui di pace sono. E l’Onu distingue nella lista nera turbanti e qaedisti. Confondere gruppi diversi come Al Qaeda e i talebani, è stato un errore. A rimetterci la popolazione afghana, che ora guarda con preoccupazione ai colloqui di pace. Il timore è che tornino i talebani. (IL RIFORMISTA 19 GIUGNO DI GIULIANO BATTISTON) «GLI USA TRATTANO CON I TALEBANI» (di più) A inizio giugno indiscrezioni del Guardian rivelarono che Gran Bretagna e Usa stavano premendo sulle Nazioni Unite per la revoca dei provvedimenti restrittivi imposti a 18 leader talebani. Un chiaro indizio di significativi progressi nell'avvio di negoziati. (IL SOLE 24 ORE 19 GIUGNO DI GIANANDREA GAIANI) KABUL RISCHIA L’INSOLVENZA PER COLPA DI UNA BANCA (di più) L’Fmi ha respinto il piano di salvataggio di una banca, determinando la sospensione dei finanziamenti al governo. Fra i personaggi coinvolti compare il fratello del presidente. E lo scandalo finisce per spiegare molto del network affaristico prosperato dopo il 2001. (IL RIFORMISTA 18 GIUGNO DI GIULIANO BATTISTON) LA FATICA DELLE GUERRE (di più) Il logorio prodotto dalle guerre in Iraq e Afghanistan durano da troppo tempo: dieci anni, il doppio della Seconda guerra mondiale. Un costo enorme, in termini di vite umane ma anche di assorbimento delle sempre più scarse risorse pubbliche. (IL CORRIERE DELLA SERA 17 GIUGNO DI MASSIMO GAGGI) ZAWAHIRI NUOVO CAPO DI AL QAEDA GLI USA: "UCCIDEREMO ANCHE LUI" (di più) Ci sono volute 6 settimane, ma alla fine il consiglio di Al Qaeda ha designato il nuovo leader: Ayman Al Zawahiri. In gioco non c'è solo il suo prestigio ma la credibilità del movimento(IL CORRIERE DELLA SERA 17 GIUGNO DI GUIDO OLIMPIO)

AGENDA_________________________________________________________________________________ 23 GIUGNO – DISCORSO DEL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA BARACK OBAMA SUL RITIRO DELLE TRUPPE USA DALL’AFGHANISTAN 28 GIUGNO – TRILATERALE PAKISTAN-AFGHANISTAN-USA A KABUL (di più) Pakistan, Afghanistan e Stati Uniti terranno un nuovo round del dialogo trilaterale sulle prospettive della crisi regionale il 28 giugno prossimo a Kabul. Lo ha annunciato oggi ad Islamabad il ministero degli Esteri. Nel corso del suo briefing settimanale, la portavoce ministeriale Tehmina Janjoa ha confermato che dopo le recenti difficoltà dovute fra l'altro al blitz unilaterale statunitense ad Abbottabad per catturare Osama bin Laden, ''il dialogo continuerà nella capitale afghana''. Nel corso del precedente round, il 24 maggio sempre a Kabul, i partecipanti avevano convenuto sull'importanza di portare gli oppositori al tavolo delle trattative, e che per questo era necessario anche migliorare il contesto economico esistente. (ANSA 16 GIUGNO). OTTOBRE – LA BRIGATA SASSARI TORNA IN AFGHANISTAN 2 NOVEMBRE – LA TURCHIA OSPITA AD ISTAMBUL UNA CONFERENZA REGIONALE SULL’AFGHANISTAN La Turchia ospiterà il 2 novembre 2011 ad Istanbul una Conferenza sull'Afghanistan a cui parteciperanno tutti i paesi confinanti e vicini per accompagnare gli sforzi di pace e riconciliazione del governo afghano. Lo riferiscono oggi i media a Kabul. La decisione di tenere la Conferenza è stata presa oggi. a margine della IV Conferenza dell'Onu sui paesi meno sviluppati, durante una colazione di lavoro offerta dal ministro degli

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8 / 39 Esteri turco Ahmet Davutoglu ad Ankara, ed a cui hanno partecipato i ministri dei paesi che parteciperanno all'incontro, quali lo stesso Afghanistan e poi Pakistan, India, Iran, Turkmenistan, Tagikistan, Kirghizistan, Arabia saudita e Emirati arabi uniti. In un comunicato stampa in cui manifestano la loro adesione all'iniziativa, i paesi firmatari riaffermano che l'appoggio al processo di trasferimento delle responsabilità della sicurezza all'Afghanistan entro il 2014. ''Un Afghanistan sicuro, stabile e prospero - si legge nel documento - è vitale per la stabilità e la pace di tutti, ma una simile atmosfera può essere assicurata solo in un più ampio contesto che rifletta l'amicizia e la cooperazione regionale''. (ANSA 10 MAGGIO). 5 DICEMBRE - CONFERENZA INTERNAZIONALE SULL’AFGHANISTAN A PETERSBERG IN GERMANIA Dieci anni dopo la conferenza di Petersberg, la stessa cittadina tedesca alle porte di Bonn, nell'ovest della Germania, ospiterà il prossimo 5 dicembre un altro summit internazionale sull'Afghanistan. Lo ha reso noto oggi a Berlino il rappresentante del governo tedesco per l'Afghanistan, Michael Steiner. All'appuntamento, parteciperanno oltre 1.000 delegati, inclusi i ministri degli esteri di 90 Paesi. La conferenza del 2001 servì a definire gli accordi per un governo di transizione in Afghanistan e gettare le basi per la ricostruzione. A dicembre, ha spiegato Steiner, si farà anche un bilancio del processo di ricostruzione. Il summit internazionale coincide con il previsto inizio del ritiro delle truppe tedesche dall'Afghanistan, che dovrebbe concludersi nel 2014. (ANSA 8 MARZO) 23 MARZO 2012 – SCADE LA MISSIONE DI ASSISTENZA CIVILE DELL'ONU IN AFGHANISTAN (UNAMA) PROROGATA DI UN ANNO IL 22 MARZO 201

ISSUES___________________________________________________________________________________ BILANCIO VITTIME MILITARI DALL’INIZIO DEL CONFLITTO AL 22 GIUGNO

(dal sito icasualties.org)

Australia 27 Georgia 8 New Zeland 2 Turkey 2 Belgium 1 Germany 53 Norway 10 UK 374 Canada 156 Hungary 6 Poland 27 US 1632 Czech 4 Italy 36* Portugal 2 Nato 2 Denmark 40 Jordan 2 Romania 19 Not yet Reported 0 Estonia 8 Latvia 3 South Korea 1 Finland 2 Lithuania 1 Spain 31 France 62 Netherlands 25 Sweden 5 TOTALE 2541 * Le vittime italiane in realtà sono 37. Ma icasualties.org non menziona tra i decessi quello dell’agente dell’Aise Pietro Antonio Colazzo.

VARIAZIONE VITTIME PER PAESE NEL PERIODO 15 GIUGNO 22 GIUGNO UK FRANCIA USA NATO VITTIME TOTALI VARIAZIONE DEL PERIODO SOPRAINDICATO

3 1

11 1

16

VITTIME TOTALI 2011

260

http://www.italiafghanistan.org/Dati.aspx

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9 / 39 AFGHANISTAN: IMPICCAGIONE ATTENTATORI, TALEBANI MINACCIANO I talebani afghani hanno reagito con minacce all'impiccagione ieri a Kabul di due degli autori dell'assalto alla filiale della Kabul Bank di Jalalabad che in febbraio causò la morte di 40 persone, per lo più clienti. In un comunicato gli insorti hanno avvertito che concentreranno la loro ritorsione ''contro tutti i funzionari che hanno trattato il caso dei due militanti talebani'', uno pachistano ed uno afghano. Nonostante che un video registrato dalla telecamera fissa della banca mostrasse l'uccisione a sangue freddo di persone che si trovavano sul posto, i talebani hanno sostenuto che tutte le vittime dell'operazione alla Kabul Bank erano membri della sicurezza. Ed invece di chiedere scusa alle famiglie delle vittime, in un comunicato si sostiene che l'impiccagione dei due attaccanti ha mostrato ''il volto crudele'' del governo afghano. (ANSA 21 GIUGNO) AFGHANISTAN: GIUSTIZIATI 2 TALEBANI, UCCISERO 38 PERSONE IN BANCA Sono stati giustiziati questa mattina i due talebani autori dell'attacco alla filiale della Kabul Bank di Jalalabad che, nel febbraio scorso, causò la morte di 38 persone. "L'ordine di eseguire la condanna a morte e' stato dato personalmente dal presidente Hamid Karzai", informa una fonte governativa riferendo che "un terzo componente del commando armato di talebani che ha preso parte all'assalto e' stato condannato a 20 anni di reclusione". A quanto si apprende, il cadavere del pachistano Zar Ajam è stato consegnato all'ambasciata del Pakistan a Kabul, mentre il corpo dell'afghano Matiullah è stato trasportato a Jalalabad, dove risiedono i familiari. Dopo l'attentato, le televisioni locali afghane avevano mandato in onda a ripetizione la registrazione delle riprese della telecamera fissa della banca. I filmati mostrano la furia omicida degli attentatori, con uno di loro, travestito da poliziotto, che spara a bruciapelo ai clienti disarmati. Zar Ajam, il membro pachistano del commando giustiziato che nel corso dell'assalto non era riuscito ad attivare il giubbotto esplosivo, aveva dichiarato di aver provato "divertimento" a uccidere. (AGI 20 GIUGNO) AFGHANISTAN: FRANCIA VALUTA RITIRO TRUPPE IN SECONDA META' 2011 Il governo francese sta valutando il possibile ritiro anticipato, entro la fine dell'anno, delle proprie truppe (in totale 4.000 soldati) dall'Afghanistan. E' quanto scrive Le Monde sottolineando che si tratterebbe di un ritiro parziale. "I ministri degli Esteri e della Difesa ci hanno detto - riferisce il generale Philippe Ponties - che l'obiettivo di un parziale ritiro durante la seconda metà del 2011 è un opzione di studio aperta". Sulla carta resta ancora la data del 2014 per il rimpatrio di tutti i contingenti della missione Isaf della Nato. (AGI 18 GIUGNO) USA: UN GENERALE DONNA ALLA GUIDA ADDESTRAMENTO DEI MARINES Una donna per la prima volta al comando alla guida di Parris Island, la base in Carolina del Sud dove si sono addestrati migliaia di marines. Si tratta del generale, Lori Reynolds, appena rientrata da un anno di missione in Afghanistan dove e' stata la prima donna a guidare unità di marine in un teatro di guerra. "Non è una questione di uomini o donne, si tratta di essere ufficiali qualificati - ha spiegato alla Cnn il capitano Bernadette Newman, un altro ufficiale donna del corpo dei Marine - se si guarda alla biografia del generale Reynolds, è la persone che la maggiore esperienza per fare la differenza". (ADNKRONOS 18 GIUGNO) GB:REALI,HARRY TORNERÀ IN AFGHANISTAN A COMANDO APACHE E' il ritorno del principe guerriero: Harry, terzo in linea di successione al trono britannico, tornerà sul fronte afgano a gettare una pioggia di fuoco sui talebani. Stavolta infatti il 'capitano Wales', come viene chiamato sul campo, non starà più soltanto a terra, ma piloterà elicotteri Apache con cannone e missili Hellfire. Secondo quanto rivela oggi il Sun, i vertici della difesa e sua nonna la regina Elisabetta hanno dato l'ok al ritorno di Harry al fronte. Quando avrà finito il suo ultimo addestramento sull'uso delle armi, il principe 26enne sarà in grado di pilotare uno degli elicotteri da attacco più sofisticati al mondo e di proteggere dall'alto le truppe britanniche a terra. Tutto questo accadrà tuttavia non prima del 2012, quando inizierà il ritiro delle truppe britanniche dall'Afghanistan: una decisione finale sulla sua partenza verrà presa all'inizio del prossimo anno e se le condizioni saranno ancora favorevoli Harry partirà ad aprile. La preoccupazione, come per la sua prima missione nel 2008 con il reggimento dei Blues and Royals, è che Harry possa diventare un ''obiettivo speciale'' per i talebani: se il suo elicottero precipitasse o venisse abbattuto, il giovane principe si troverebbe da solo a combattere contro i ribelli, che subito lo catturerebbero per ottenere un lauto riscatto. Per il fratello William, secondo in linea di successione al trono e pilota di salvataggio della Raf, sono previsti incarichi molto meno pericolosi: a settembre il duca di Cambridge partirà per le isole Falklands, non esattamente un campo di battaglia. Per Harry sarà invece combattimento vero. In ogni missione avrà a disposizione una pistola e un fucile, così come bende, morfina e razioni di emergenza. E dovrà stare molto attento. Una fonte dell'Army Air Corps, la divisione aerea dell'esercito di cui fa parte il principe ha dichiarato al tabloid: ''Harry dovrà affrontare gravi pericoli. Se il suo Apache avesse un guasto e fosse costretto ad

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10 / 39 atterrare le sorti si ribalterebbero a suo sfavore. Diventerebbe una corsa tra i talebani e le truppe della coalizione a raggiungere il principe per primi. Se tutto andrà come previsto, Harry, che ad aprile ha ottenuto la licenza per pilotare gli Apache, sarà di stanza ai quartieri generali britannici di Camp Bastion. Per lui si tratta di un sogno diventato realtà. Un amico ha detto al Sun: ''Harry ha sempre detto molto chiaramente di voler tornare. E ora gli hanno detto che potrà farlo una volta che avrà completato il suo addestramento. E' risaputo che ha la stoffa per fare il pilota da attacco. Quando si qualificherà, partirà''. (ANSA 16 GIUGNO).

TOP NEWS (DI PIU’)______________________________________________________________

USA, OBAMA SVELERA’ OGGI PIANO PER RITIRO TRUPPE DALL’AFGHANISTAN Il presidente Usa Barack Obama dovrebbe annunciare oggi il piano per dare inizio al ritiro delle truppe statunitensi dall'Afghanistan, il primo passo verso la fine di un conflitto che dura da circa dieci anni e che negli Stati Uniti è sempre più impopolare. Obama dovrebbe rendere noto in un discorso trasmesso in tv alle 8 ora locale (le 2 del mattino in Italia) il progetto in base al quale potrebbe esserci, entro la fine dell'anno, il ritiro di fino a un terzo dei 30.000 uomini che ha inviato in Afghanistan nel 2010, cui potrebbe seguire il rimpatrio del resto di quel contingente entro la fine del 2012. L'annuncio giunge dopo settimane di voci sul futuro dell'impegno degli Usa in Afghanistan, circa dieci anni dopo gli attacchi dell'11 settembre che hanno fatto scoppiare una guerra in cui le forze Usa e occidentali non sono in grado di infliggere il colpo decisivo ai ribelli talebani. Obama ha ricevuto la scorsa settimana le raccomandazioni del generale David Petraeus, comandante uscente delle truppe Usa e Nato in Afghanistan, che fornivano diverse possibilità per il ritiro di una parte dei 100.000 soldati Usa nel Paese a partire dal luglio.(REUTERS 22 GIUGNO)

AFGHANISTAN:LA RUSSA,RIENTRO USA NON ANTICIPA NOSTRO DA 2012 Il ministro della Difesa Ignazio La Russa avrà un colloquio telefonico nel pomeriggio con il segretario alla Difesa Usa, Robert Gates, o più probabilmente con il suo sottosegretario, per avere comunicata la notizia, che sarà ufficializzata domani, dell'''eventuale rientro programmato dei militari Usa dall'Afghanistan''. Lo ha reso noto lo stesso La Russa nel corso di un'intervista a Skytg24: l'annuncio Usa ''porterà a una valutazione anche nostra'' ma - ha aggiunto - ''non credo che cambino i nostri impegni che sono quelli di un graduale rientro a partire dal 2012, quantomeno dei militari aggiuntivi inviati in Afghanistan col voto del Parlamento l'anno scorso''. (ANSA 22 GIUGNO). A BAMYAN, NELLA TERRA ORFANA DEI BUDDHA "PER PRIMI SENZA LA NATO: ABBIAMO PAURA" "Sono belle anche così", sostiene Mokhtar Ahmadi di fronte alle caverne che fino al 2001 ospitavano i Buddha ciclopici contro i quali s'accanì la follia iconoclasta dei Taliban, e che oggi come due gigantesche orbite vuote conservano il ricordo di quei giorni terribili. Ora, se il turismo può costruire la sua fortuna sulla memoria, a Bamyan, capoluogo dell'omonima provincia afgana scelta dalla Nato come area pilota per la transizione, c'è già chi per non dimenticare quello scempio vorrebbe rilanciare l'industria turistica. "Durante gli anni Settanta da queste parti arrivavano anche 60mila stranieri in una sola estate: un giorno non troppo lontano potremmo tornare a quei fasti", aggiunge Mohktar al quale, quel giorno, piacerebbe raccontare ai visitatori la storia degli idoli distrutti dal tritolo degli Studenti del Corano. Come la maggioranza della popolazione di Bamyan, anche Mokhtar è hazara. Appartiene cioè a uno dei pochi gruppi etnici pacifici dell'Afghanistan, e forse per questo tra i più discriminati e perseguitati. Come spiega la governatrice della provincia, Habiba Sarabi, prima e unica donna a ricoprire tale incarico, gli hazara non sono mai stati così felici negli ultimi duecento anni. "Che cosa succederà quando andranno via delle truppe della Nato? Non oso pensarci", dice. "Da un lato siamo fieri che la transizione cominci proprio qui da noi, dall'altro siamo angosciati perché essa rappresenta la prima tappa della cosiddetta Exit strategy". Già, la transizione spaventa molti afgani. Spaventa anzitutto chi vive nelle sette aree del Paese ormai relativamente tranquille - due province e cinque città - dove il mese prossimo le forze della coalizione lasceranno la gestione della sicurezza in mano alla polizia e all'esercito afgani, in vista, nel 2014, di un ritiro definitivo. "Ma la transizione non è una data, bensì un lento processo di passaggio delle consegne", minimizza il generale statunitense James Mallory. "Mi sembra un lasso di tempo realistico perché ciò avvenga senza intoppi, anche se in certe aeree rimarrà necessaria la nostra presenza". Per poter ritirare le sue truppe tra tre anni, dall'inizio del 2011 Washington spende un miliardo di dollari al mese che servono a reclutare, armare e alfabetizzare l'esercito afgano. E ha consentito al presidente afgano, Hamid Karzai, di ottenere prestiti cospicui per altri quindici anni, con cui pagherà gli stipendi dei suoi soldati e dei suoi poliziotti. Il problema è sempre lo stesso, gli insorti, che sono Taliban, ma anche ex signori della guerra, trafficanti di droga, fanatici di Al Qaeda e criminali comuni, e che lo scorso maggio hanno ucciso

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11 / 39 quasi quattrocento civili, un bilancio che non si registrava in un solo mese dal 2007. Perfino nella sicura Bamyan, pochi giorni fa è stato rapito e decapitato un consigliere provinciale. Quando chiediamo al colonnello Sean Ferrari della Nato training mission il perché di tante vittime, oggi che tutti parlano di un netto miglioramento della situazione, lui risponde che gli insurgents sono più che mai sotto pressione: "Non credo che siano diventati più forti, ma che stiano piuttosto sparando le loro ultime cartucce perché si sentono con le spalle al muro". Il colonnello Ferrari cita l'esempio di quanto accade nel sud dell'Afghanistan. Negli ultimi mesi le forze della coalizione hanno aumentato i loro effettivi di 50mila unità, e sono adesso coadiuvate da circa 100mila nuove reclute dell'esercito afgano: insieme hanno conquistato posizioni, tagliato le vie di comunicazione e rifornimento dei Taliban, catturato o ucciso molti loro capi. "È in atto un'escalation ed è perciò normale che ci attacchino con così tanta violenza". Tuttavia, gli stessi generali della Nato sono convinti dell'inutilità di una guerra a oltranza contro gli insorti, salvo ovviamente contro quei fanatici che vorrebbero riportare l'Afghanistan indietro nel tempo e che per questo motivo mandano i loro sgherri a farsi esplodere nei mercati più affollati. Secondo il comandante delle operazioni militari statunitensi in Afghanistan, David Petraeus, i Taliban sono circa 30mila. Un computo nel quale non rientra però chi accetta di piazzare un ordigno lungo una strada in cambio di una decina di dollari. Per molti di loro è stato lanciato un programma di reinserimento alla vita civile. "Ma non li disarmiamo, per la loro stessa incolumità, perché quando cambiano casacca diventano automaticamente bersaglio dei loro ex compagni: possono quindi conservare il loro kalashnikov, che dovrà essere registrato e che servirà a difendersi da eventuali rappresaglie", dice Gary Younger al quartier generale della Nato a Kabul. "Dopo 30 anni di guerra, gli afgani sono stanchi di combattere, ma per costruire la pace dobbiamo reintegrare i combattenti con dignità e onore". Al momento soltanto in pochi hanno smesso di spalleggiare gli insorti, mentre tutti si chiedono che cosa accadrà il maledetto giorno in cui si ritireranno gli eserciti stranieri. Se lo chiede anche Hamid Adina, preside dell'Università di Bamyan, distrutta dai Taliban nel 2000 e rifondata nel 2004. "Oggi conta circa duemila studenti ma per loro non ci sono dormitori, mancano le sedie e spesso anche l'elettricità per accendere il centinaio di vecchi computer che abbiamo in facoltà", dice. Oltre le finestre del suo studio, nereggiano le caverne dei Buddha, mastodonti che furono scolpiti nel V e VI secolo. Uno era alto 35 metri, l'altro 53. Una ong tedesca ha pazientemente numerato i blocchi di macerie in cui i Taliban li hanno ridotti, nella speranza che si possa un giorno tentare un improbabile restauro. All'orizzonte svettano quei picchi incappucciati di nevi eterne che circondano la valle di Bamyan. "Potremmo sfruttare questo straordinario patrimonio naturalistico anche d'inverno, magari per lo sci alpinismo", dice Gul Hussian Baiazada, giovane e visionario imprenditore. Il problema è che per raggiungere la città dei Buddha distrutti non ci sono voli per turisti. Chi invece volesse andarci in macchina da Kabul sarebbe costretto a percorrere strade dove non si avventurano neanche i blindati della Nato. (LA REPUBBLICA 22 GIUGNO DI PIETRO DEL RE) AFGHANISTAN: 'OPERAZIONE FIDUCIA' NEL BAZAR Adunata di buon'ora alla volta di Shindand, profondo sud della provincia di Herat. Obiettivo rafforzare i legami con il governatore e distribuire beni alla popolazione. E' la missione odierna dell'11/mo reggimento bersaglieri di Orcenico Superiore, in provincia di Pordenone. Poi una passeggiata per il bazar tra banchetti di frutta, stoffe e spezie insieme al governatore Nabi Khan Hamdam. Era questo l'obiettivo della giornata, una 'operazione fiducia' sulle condizioni di sicurezza all'interno del mercato cittadino. E' un segnale forte per la popolazione che la minaccia talebana se non annullata è sotto controllo. Il governatore è una figura imponente, con indosso una divisa militare per ricordare il suo passato nell'aeronautica afghana. Accoglie i militari italiani a braccia aperte e in segno di amicizia riempie subito i tavoli di frutta. I bersaglieri, comandati dal colonnello Salvatore Patanè, 43 anni, originario di Catania, 'marciano' in lungo e in largo per le aree isolate del distretto di Shindand, un territorio dove ancora si vedono le tracce dell'invasione russa degli anni Ottanta. Quasi 170mila i chilometri percorsi dal 1 aprile, giorno in cui il reggimento si è insediato nella Fob (Forward Operating Base, Base Avanzata) che porta il nome del generale che ha voluto la creazione dei bersaglieri, Alessandro La Marmora. Qui l'11/mo reggimento opera con l'82/mo Reggimento Fanteria 'Torino' di Barletta, insieme formano la Task Force Center. Le missioni sono tutte a rischio e non tutte vanno lisce. ''Una decina di giorni fa, durante un'attività di pattugliamento a Aziz Abad, un nostro 'Cougar', un veicolo con una particolare protezione, è saltato su una mina rudimentale. A bordo c'erano otto uomini che fortunatamente non hanno riportato ferite'', racconta Patane', che subito tranquillizza: ''Si tratta dell'unico gesto grave subito dal nostro contingente''. ''Operiamo in stretto coordinamento con le forze afghane e il nostro principale problema è quello della sicurezza, purtroppo gli afghani devono ancora imparare a fidarsi delle loro istituzioni'', dice Patane'. La Task Force Center va 'alla conquista delle menti e dei cuori' afghani con un approccio che è prima di tutto umano. E' fatto di pacche sulla spalla, di incontri a tavola dove l'abbattimento delle barriere culturali avviene mangiando il cibo locale. Una missione quasi quotidiana come quella avvenuta nel vicino villaggio di Showz, dove Fazel Hamad, l'anziano del villaggio è una persona aperta

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12 / 39 al punto da puntare sull'emancipazione delle donne del suo paese. Il capitano Gianluca Petrai, 35 anni, di Napoli, responsabile del Cimic, la Cooperazione Civile e Militare della Task Force Center, presenta il capovillaggio che è ben contento di avere ospiti. ''Che Allah benedica i militari italiani per la loro cooperazione - dice - c'è tanto da fare qui e uno degli ostacoli è la mancanza di istruzione tra la popolazione''. Tra i progetti realizzati qui - spiega Petrai - c'è un canale di irrigazione per un valore di 19mila euro mentre nell'area di Shindand sono stati donati 350 pannelli solari ed in collaborazione con gli Stati Uniti gli italiani stanno realizzando una stazione radio. (ANSA 22 GIUGNO). AFGHANISTAN: RITIRO TRUPPE USA, KABUL PRONTA A FARE FRONTE Il governo afghano è pronto a far fronte alla situazione militare che provocherà l'annuncio oggi da parte del presidente Barak Obama di un primo ritiro di truppe dall'Afghanistan. Nel corso di una conferenza stampa a Kabul, il portavoce del ministero della Difesa afghano, generale Mohammad Zahir Azimi, ha detto che ''rispettiamo la decisione che prenderà la Casa Bianca'', aggiungendo che ''noi siamo pronti ad intervenire sul terreno sostituendo i contingenti statunitensi che dovessero ritirarsi''. Azimi si è infine rallegrato per il fatto che ''molti militari americani potranno riabbracciare le loro famiglie, e speriamo che tanti altri potranno fare in un futuro prossimo''. (ANSA 22 GIUGNO). AFGHANISTAN: ALMENO 6 VITTIME IN ATTENTATO KAMIKAZE CONTRO CHECKPOINT POLIZIA E' di almeno sei poliziotti afghani uccisi o feriti il bilancio di un attentato kamikaze contro un checkpoint oggi a Qarabagh, distetto della provincia di Ghazni, 125 km a sud di Kabul. Lo riferisce il portavoce dell'amministrazione provinciale all'agenzia di stampa Xihhia. ''Un attentatore suicida si e' fatto saltare il aria vicino a un checkpoint della polizia verso le 8 e 30 ora locale bella zona di Mushaki nel distretto di Qarabagh causando la morte o il ferimento di almeno sei poliziotti”, ha detto Mahruf Ayubi alla Xinhua. (ADNKRONOS 22 GIUGNO) AFGHANISTAN: OBAMA, 30MILA UOMINI IN MENO ENTRO 2012 Sulla cifra finale i dubbi sono ormai pochi: secondo indicazioni concordanti, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama annuncerà domani sera in diretta tv dalla Casa Bianca alle 20.00 (le 02.00 italiane di giovedì) il ritiro di circa 30mila militari Usa dall'Afghanistan entro il 2012, ovviamente se la situazione sul terreno lo permetterà. L'incertezza riguarda il ritmo del ritiro. Il Pentagono vorrebbe limitarlo ad un massimo 5mila militari, cioè una brigata, entro il 2011, ma alla Casa Bianca c'e' chi preme per ottenere dal presidente una cifra che sia approssimativamente il doppio, circa 10mila, entro l'anno. Il portavoce di Obama, Jay Carney, ha indicato che il presidente ha già preso la sua decisione, ma ha definito le indiscrezioni di stampa ''pura speculazione'', senza confermare nessuna cifra. Dal canto suo il Congresso, preoccupato per la spesa e la riduzione del debito, vuole addirittura che il numero dei militari Usa impegnati in Afghanistan diminuisca di 15 mila unità entro l'anno. Preme in questa direzione il presidente della commissione Difesa del Senato, Carl Levin, un democratico, con l'appoggio di numerosi esponenti dell'opposizione repubblicana. Chiedono un'accelerazione significativa del ritiro anche i candidati alla nomination repubblicana in vista della Casa Bianca, tra cui l'ex governatore del Massachusetts Mitt Romney, indicato come il favorito. Tra i 'big' del partito repubblicano a dissentire è soprattutto il senatore dell'Arizona John McCain, ex avversario di Obama alle presidenziali del 2008, molto vicino alle posizioni prudenti del Pentagono. A queste ipotesi se ne aggiunge anche un'altra, di cui parla oggi soltanto il New York Times. Obama sarebbe pronto ad annunciare il ritiro di fino a 33mila uomini, cioè i rinforzi decisi nel dicembre 2009 per superare la situazione di stallo, nel corso del 2012, ma lasciando la definizione del ritmo ai militari sul terreno. Cioè agli uomini del generale dei Marines John Allen, che sostituirà nelle prossime settimane il generale David Petraeus alla testa delle forze Usa e Nato in Afghanistan, dove - se verrà confermata la cifra dei circa 30mila - resteranno tra i 65 e i 70mila soldati americani, prima del ritiro totale previsto entro il 2014. A favorire una accelerazione del calendario di ritiro è stato lo smantellamento della rete del terrore di al Qaida, con in particolare l'uccisione ai primi di maggio di Osama bin Laden, un fatto che secondo alcuni esperti (ma non tutti) ha reso l'Afghanistan più sicuro. C'e' poi il problema della spesa pubblica, con l'impegno dell'Amministrazione Obama ad operare tagli fino a 5mila miliardi di dollari in 10 anni. La spesa per l'Afghanistan, oltre due miliardi al giorno, rappresenta quasi 1.200 miliardi, cioè oltre il 20% del totale. Ad ogni modo, decidendo la diretta televisiva dalla Casa Bianca in prime time, Obama ha voluto dare la dovuta solennità all'annuncio dell'inizio del ritiro dall'Afghanistan, in calendario a luglio, anche se probabilmente si tratterà di una operazione simbolica, specie all'inizio. E' la sesta volta che il presidente parla alla nazione. Le volte precedenti erano state dedicate all'Afghanistan, la marea nera nel Golfo del Messico, l'Iraq, la Libia ed infine l'uccisione di bin Laden. (ANSA 21 GIUGNO).

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13 / 39 AFGHANISTAN: DISCORSO OBAMA; SCINTILLE USA-PAKISTAN Ora che l'avvio di un dialogo con i talebani non è più tabù, il governo di Kabul si prepara ad ascoltare l'annuncio del presidente americano, Barack Obama, sul primo ritiro delle truppe americane dall'Afghanistan. E anche oggi qui è continuata l'attività dei kamikaze talebani, che nella provincia centrale di Parwan hanno cercato di uccidere, senza riuscirvi, il governatore, Abdul Besir Salangi. Da parte sua il presidente, Hamid Karzai, che nel suo ultimo intervento ha strapazzato gli Usa, definendoli ''invasori'', si è riunito con i principali membri del governo per rivedere la strategia dell'inizio del trasferimento, fra qualche settimana, della sicurezza dalle truppe internazionali a esercito e polizia afghani in sette fra città e province del Paese. L'attesa è comprensibilmente carica di tensione, perché le dichiarazioni della Casa Bianca possono rappresentare, nel bene e nel male, una svolta nella storia del conflitto afghano. Ma i nervi non sono tesi solo a Kabul. Nel vicino Pakistan, negli ultimi tempi ogni occasione è buona per generare scintille nelle relazioni fra Islamabad e Washington, visibilmente peggiorate dopo il blitz unilaterale dei Navy Seals ad Abbottabad il 2 maggio scorso per uccidere Osama bin Laden. L'ultimo spunto è stato fornito dalle ammissioni di parte americana di contatti ''molto preliminari'' con i talebani in vista di una soluzione politica del conflitto. Un'iniziativa di cui i pachistani non hanno saputo assolutamente nulla, come era peraltro avvenuto con l'operazione contro il capo di Al Qaida. Così una fonte diplomatica pachistana a Kabul ha detto esplicitamente che ''ancora una volta gli Usa ci hanno tenuto all'oscuro su un argomento per noi vitale, come i colloqui con i talebani afghani''. Non si può pensare, ha detto, che un accordo in questo campo possa essere siglato alle nostre spalle. Comunque noi sappiamo, ha concluso, che ''responsabili Usa si sono incontrati con gli insorti sia in Germania sia in Qatar''. La preoccupazione e' contenuta anche in un comunicato diffuso a Islamabad dopo l'incontro fra il ministro di Stato agli Esteri pachistano, Hina Rabbani Khar, e il vice-inviato americano in Afghanistan e Pakistan, Frank Ruggiero, che allude chiaramente all'esistenza di problemi bilaterali in questo ambito. Il ministro pachistano, si dice in esso, ''ha sottolineato l'importanza della chiarezza e della coerenza strategica, così come della trasparenza, per facilitare il processo di pace e riconciliazione intrapreso da popolo e governo afghani''. Infine, per mostrare agli Usa la propria buona volontà di fare piazza pulita in casa a qualunque livello, i vertici dell' esercito hanno annunciato oggi l'arresto, avvenuto il 6 maggio scorso, del generale Ali Khan che, ha detto un portavoce dell' Arma, è sospettato di avere ''contatti illeciti'' con il movimento clandestino Hizb-ut-Tahir (Partito della liberazione), che si batte per la costituzione di un Califfato islamico retto dalle leggi islamiche. (ANSA 21 GIUGNO). AFGHANISTAN: PROCESSO RICONCILIAZIONE, IL PAKISTAN TEME ESCLUSIONE Preoccupazioni per le dinamiche del processo di riconciliazione in Afghanistan arrivano dal Pakistan dopo la conferma del ministro della Difesa Usa, Robert Gates, di trattative in fase preliminare tra il Dipartimento di Stato e i Talebani. Islamabad ha chiesto a Washington ''più trasparenza e chiarezza'', riporta il quotidiano The Express Tribune. Timori riguardo al presunto ''tentativo di bypassare'' Islamabad, scrive il giornale, sono stati espressi all'inviato speciale americano per l'Af-Pak Frank Ruggiero, in visita nel Paese guidato da Asif Ali Zardari. Islamabad, si legge sul quotidiano Dawn, ha ribadito agli Usa che è indispensabile coinvolgere il Pakistan, oltre all'Afghanistan, nel dialogo con la leadership dell'insorgenza afghana. A Ruggiero le autorità pakistane, prosegue il giornale, hanno chiarito che la diffidenza americana nel condividere informazioni riguardo ai colloqui è contraria allo spirito di ricostruire un clima di fiducia tra Stati Uniti e Pakistan. I sempre difficili rapporti tra i due Paesi alleati nella lotta al terrorismo, infatti, sono stati messi a dura prova dalla 'scoperta' del covo di Osama bin Laden ad Abbottabad, dove lo sceicco del terrore è stato ucciso in un'operazione delle forze speciali americane lo scorso 2 maggio. ''Il ministro (degli Esteri Hina Rabbani Khar, ndr) ha sottolineato l'importanza della chiarezza e della coerenza strategica così come della trasparenza per agevolare la popolazione e il governo afghani nel processo di pace e di riconciliazione'', si legge nella nota diffusa dal ministero degli Esteri pakistano dopo l'incontro tra il capo della diplomazia e Ruggiero. ''E' opinione diffusa - scrive The Express Tribune - che gli Stati Uniti abbiano deliberatamente tenuto da parte il Pakistan nell'ambito degli sforzi per arrivare a un accordo di pace con i Talebani in vista del graduale ritiro dall'Afghanistan''. E' atteso per domani il discorso durante il quale il presidente americano Barack Obama dovrebbe annunciare la sua decisione sul numero di militari che verranno ritirati dall'Afghanistan il mese prossimo. Secondo un diplomatico pakistano a Kabul citato dal giornale, ci sono stati ''incontri tra funzionari americani e i Talebani dell'Afghanistan in Germania e in Qatar''. Il Dawn scrive che ai colloqui hanno partecipato ''funzionari di medio livello del Dipartimento di Stato Usa e della Cia'' e ''rappresentanti dei Talebani guidati da Tayyab Agha, assistente personale del mullah Omar''. Gli incontri, stando al quotidiano, sono stati ''almeno tre da gennaio 2011, uno in Qatar e due in Germania''. ''Sembra che il Pakistan venga deliberatamente tenuto fuori dagli Stati Uniti - ha aggiunto la fonte citata da The Express Tribune - per minimizzare il suo ruolo nel futuro politico dell'Afghanistan''. Sulla mancanza di ''chiarezza'' da parte degli Usa un funzionario pakistano coperto da anonimato ha sottolineato al Dawn che ''da un lato'' Washington ''parla

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14 / 39 con il consigliere del mullah Omar, ma dall'altro il leader dei Talebani e' sulla lista dei cinque uomini che (gli americani, ndr) vogliono eliminare''. E il Pakistan, scrive il giornale, sembrerebbe anche interessato a capire se nel dialogo politico possa esserci spazio per la rete degli Haqqani, considerata la più pericolosa dell'insorgenza afghana e il cui leader, Sirajuddin Haqqani, è sulla 'lista nera' degli Stati Uniti. Alle preoccupazioni pakistane, Ruggiero - riporta il Dawn - ha risposto ribadendo l'importanza attribuita dall'Amministrazione Obama al cosiddetto 'Core Group', che riunisce Afghanistan, Pakistan e Usa nell'ambito del processo di riconciliazione. Un nuovo incontro del gruppo e' previsto per il 28 giugno. Nel frattempo Islamabad e Kabul hanno creato una commissione congiunta per lavorare insieme al processo di pace. (ADNKRONOS 21 GIUGNO) AFGHANISTAN: PETRAEUS SUGGERISCE RITIRO 30MILA ENTRO 2012 Il comandante delle truppe Usa e Nato in Afghanistan, il generale americano David Petraeus, è pronto a suggerire alla Casa Bianca di ritirare 30mila militari americani entro il 2012. Lo scrive Marc Ambinder, un giornalista solitamente molto bene informato su Difesa e Casa Bianca, sul National Journal online, a pochi giorni dall'inizio del ritiro, presumibilmente molto timido, delle forze Usa dall'Afghanistan da completare entro il 2014. L'argomento viene affrontato questa settimana alla Casa Bianca. I 30mila militari sono quelli supplementari che il presidente Usa Barack Obama ha deciso di inviare in Afghanistan alla fine del 2009, per dare una svolta alle operazioni. Petraeus, che lascerà l'incarico tra breve per diventare numero uno della Cia una volta ricevuto il via libera del Senato, dovrebbe suggerire di ritirare 5mila militari entro l'anno, e 5mila supplementari in primavera. Il presidente della commissione forze armate del Senato, Carl Levin, un democratico, punta dal canto suo ad ottenere il ritiro di 15mila militari entro l'anno. (ANSA 20 GIUGNO). AFGHANISTAN: AMBASCIATORE USA CONTRO KARZAI, TROPPE ACCUSE A NOSTRE TRUPPE Si fanno sempre più aspri i toni tra Stati Uniti e Afghanistan, in vista del ritiro delle truppe Usa dal paese asiatico, che dovrà concludersi entro il 2014. In un discorso pronunciato di fronte a un gruppo di studenti di Herat, l'ambasciatore americano Karl Eikenberry ha definito ''nocivi e inappropriati'' i commenti di ''alcuni leader afghani'' che paragonano gli Usa a ''forze occupanti'' che ''curano solo i loro interessi''. Un implicito riferimento, scrive il Washington Post, al presidente Hamid Karzai. Sabato, infatti, Karzai ha partecipato a una convention di giovani a Kabul, in cui ha sostenuto che gli Stati Uniti prendono dall'Afghanistan più denaro di quanto ne portino, che inquinano il paese e ''disonorano'' la sua gente. In passato, inoltre, Karzai si è più volte espresso contro i raid notturni degli Usa e della Nato, che farebbero troppe vittime civili. ''Quando gli americani, che operano nel vostro paese a caro prezzo in termini di vite e di denaro, si sentono paragonare a occupanti, accusare di perseguire solo i propri interessi e associare ai più brutali nemici dell'Afghanistan, diventano confusi e cominciano a essere stanchi dei propri sforzi'', ha replicato domenica l'ambasciatore. ''Cominciano a perdere il desiderio di essere qui - ha proseguito - L'America non ha mai occupato alcuna nazione al mondo, siamo venuti qui nel 2001 per sconfiggere il terrorismo internazionale e aiutare a rimuovere il velo scuro di 20 anni di conflitto''. Ma se si vorrà far credere che in Afghanistan ''fanno più male che bene'', potrebbero cominciare a ritenere che ''che i loro soldati e i loro civili si sacrificano senza una giusta causa'' e i cittadini potrebbero ''chiedere di riportare subito a casa i soldati'', ha concluso. (ADNKRONOS 20 GIUGNO) AFGHANISTAN: NYT, POCHI LEADER TALEBANI ACCETTANO OFFERTA RICONCILIAZIONE Sono pochi, pochissimi, i leader dei Talebani che hanno accettato il piano di riconciliazione voluto dal presidente afghano Hamid Karzai. Dopo la conferma del ministro della Difesa Usa, Robert Gates, di trattative in fase preliminare tra il Dipartimento di Stato e i Talebani, il New York Times fa luce sulle difficoltà del piano di riconciliazione, avviato dieci mesi fa. Da allora dei 1.700 combattenti che hanno aderito al programma, ha spiegato il generale Phil Jones, responsabile dell'unita' della Nato che monitora il programma, solo pochissimi sono comandanti di medio livello e i due terzi provengono dal nord dell'Afghanistan dove gli insorti sono meno attivi rispetto al sud del Paese. E, soprattutto, 1.700 persone sono pochissime rispetto al numero complessivo dei Talebani, stimato tra i 20mila e i 40mila combattenti. Inoltre, scrive il giornale, ''molti combattenti che hanno aderito al programma potrebbero persino non essere Talebani, ma solo uomini armati''. Tanti altri hanno semplicemente paura di ritorsioni. Un diplomatico occidentale vicino ai negoziati con i Talebani, citato dal New York Times, si è detto convinto che il numero degli insorti coinvolti nel processo di riconciliazione aumenterà quando ''ci sarà un piccolo progresso sul piano politico''. E per questo, ha aggiunto, ''è importante'' la risposta che arriverà dal Pakistan. Molti dei comandanti dei Talebani, infatti, vivono in Pakistan e al momento non hanno dato segnali di voler aderire al programma di Kabul, finanziato da governi occidentali e in particolare da Stati Uniti e Giappone. Del contributo promesso, 150 milioni di dollari, 140 sono già arrivati nelle casse afghane, scrive il quotidiano citando un ufficiale occidentale. Per convincere i Talebani ad aderire al programma, ha sottolineato un diplomatico occidentale al giornale,

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15 / 39 ''bisogna guardare alle motivazioni di chi combatte”. ''Molte persone hanno iniziato per dispute di poteri, su terreni o per questioni d'onore legate alle famiglie - ha aggiunto la fonte - Per questi casi non serve un accordo con la leadership dei Talebani''. In ogni caso, stando a governatori afghani, ufficiali della Nato, membri dell'Alto consiglio di pace e diplomatici occidentali, il programma presenta una serie di problemi logistici ed esistono non poche difficoltà riguardo alle identità dei combattenti che si dicono pronti ad aderire al programma. E' il caso di Maulavi Noorullah Aziz: sulla sua identità esistono molti dubbi, alimentati dal fatto che nel distretto della provincia meridionale di Helmand, che Aziz sosteneva di controllare, nessuno dice di conoscerlo. Ma intanto Aziz, arrivato al programma di reintegrazione grazie a contatti politici, ha ottenuto una casa, protezione e ha conquistato la sopravvivenza per sè, per la sua famiglia e per molti dei suoi uomini. Nella provincia settentrionale di Kunduz, invece, molti dei 400 Talebani che hanno aderito al programma negli ultimi mesi, sono rientrati nei propri villaggi e lì, scrive il New York Times, hanno formato gruppi armati (arbakai) per garantire la sicurezza nei villaggi. Ma poi molti sono stati accusati di estorcere denaro alla popolazione e persino di stupri. Tra i pochi comandanti dei Talebani che in questi dieci mesi hanno deciso di abbandonare la lotta armata, c'è Toor Jan, dal 2002 impegnato nella battaglia contro le forze della coalizione a Kandahar, nel sud dell'Afghanistan. Ora il 28enne Toor Jan si sente un possibile obiettivo. L'intelligence di Kandahar gli ha promesso 150 dollari al mese e 120 per ognuno dei suoi fedelissimi che ha deposto le armi. ''Quando ho deciso di passare dall'altra parte, ero stufo di combattere - ha detto al giornale - Non riesco più a premere il grilletto. Sono stanco”. Ma adesso, almeno in un certo senso, è pentito della sua scelta. ''Il governo non mantiene le promesse - ha denunciato - Negli ultimi cinque mesi non ho avuto niente di quel che mi hanno promesso: niente soldi, niente sistemazione''. (ADNKRONOS 20 GIUGNO). AFGHANISTAN: MAXI SEQUESTRO DI DROGA PER UN VALORE STIMATO IN MEZZO MILIONE DI DOLLARI EFFETTUATO DALLE FORZE DI SICUREZZA AFGANE Stanotte nel corso di una complessa operazione congiunta svolta dalle Forze di Sicurezza Afgane con il supporto dei Paracadutisti del 186° Reggimento Folgore, sono stati sequestrati oltre 200 chilogrammi di oppio grezzo per un valore stimato di oltre mezzo milione di dollari. La droga è stata rinvenuta all’interno di una casa nel villaggio di Pasau, ben nascosta dietro finte pareti, sistema spesso utilizzato, come in questo caso, dagli insurgents per nascondere armi, cellulari, schede e documenti importanti. Questo di oggi è l’ennesimo importante risultato raggiunto dalle forze di sicurezza afgane che testimonia la loro capacità di operare in maniera sempre più autonoma, rendendosi i principali protagonisti del processo di sviluppo e della sicurezza del loro paese. (ITALFOR KABUL E RC-W 20 GIUGNO) AFGHANISTAN: GATES; CONTATTI TALEBANI, PRUDENTE RITIRO Il capo del Pentagono, Robert Gates, conferma che sono in corso contatti tra gli Stati Uniti e i Talebani in Afghanistan ma esprime prudenza sul ritiro delle truppe Usa che inizierà il mese prossimo, nonostante le pressioni, specie parlamentari, per accelerarlo ora che Al Qaida risulta decisamente indebolita dopo la morte di Osama bin Laden e una ventina di altri leader. Con i Talebani ''penso ci sia stata la volontà di discutere da parte di un certo numero di paesi, compresi gli Stati Uniti - ha detto Gates alla Cnn-, direi che i contatti sono assolutamente preliminari a questo stadio''. Per il segretario alla Difesa, che lascerà l'incarico alla fine del mese, è però fondamentale capire ''chi rappresenta davvero i Talebani'', prima di avviare discussioni serie, anche perché ''non vogliamo trovarci a discutere ad un certo momento con qualcuno che in realtà è un indipendente''. Sull'entità e il calendario del ritiro dall'Afghanistan, Gates non ha voluto entrare nei dettagli e soprattutto non ha voluto commentare le parole del senatore democratico del Michigan Carl Levin, presidente della commissione Forze Armate, che auspica un ritiro di 15mila militari Usa entro l'anno, anche per ragioni di spesa pubblica, su un totale di 130mila, forze della Nato comprese. Riconoscendo i ''sostanziali progressi militari sul terreno'', Gates, famoso per non avere peli sulla lingua, ha detto che ''qualunque sarà la decisione che (il presidente Usa Barack Obama) prenderà, un numero significativo di soldati rimarrà in Afghanistan'', viste anche le incertezze legate all'avvio dei primi contatti preliminari con i Talebani. Il numero uno del Pentagono ha però concesso che il ritiro Dovrà essere ''politicamente credibile'', soprattutto in un momento di difficoltà di bilancio, e a pochi mesi dal momento in cui la campagna elettorale per le presidenziali del 2012 entrerà nel vivo. Secondo il New York Times, visti i successi ottenuti contro al Qaida, il ritiro potrebbe essere più sostanziale del previsto, anche perché la decisione di Obama di inviare 30 mila soldati supplementari alla fine del 2009 aveva come obiettivo proprio di neutralizzare la multinazionale del terrore islamico. Pochi giorni fa, il Wall Street Journal scriveva l'esatto contrario, e cioè che il Pentagono sta premendo per un ritiro simbolico, perché la situazione e' ancora molto fluida in Afghanistan. Più a lungo termine, Gates vede le cose come in Iraq: ''Gli Stati Uniti manterranno un ruolo chiave per lasciare agli afghani la possibilità di costruire le loro forze per sconfiggere i Talebani, prima di trasmettere loro il controllo. Tra oggi e il 2014, sarà un momento di transizione''. (ANSA 19 GIUGNO)

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16 / 39 BERLUSCONI VISITA ALPINO FERITO E GARANTISCE MACCHINARIO PER CURE L'ospedale Niguarda di Milano avrà un macchinario per garantire le necessarie cure a Luca Barisonzi, il caporale degli alpini ferito a gennaio in Afghanistan, e per i pazienti come lui. Lo ha garantito il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che oggi si è intrattenuto per poco più di mezz'ora nell'ospedale che ospita il giovane, che ha perso l'uso delle gambe e delle braccia. "Sono rimasto impressionato - ha detto il premier al termine della visita - dalla sua forza di volontà e dall'attaccamento al Corpo degli alpini. Mi ha detto che, come italiano, è consapevole di avere reso un grande servigio al Paese e che ha accettato di andare in Afghanistan per difendere la pace di tutti". Berlusconi, che ha sottolineato come lo stesso Corpo degli alpini sia "vicinissimo" al giovane, un ventunenne, ha invitato tutti a "conoscere queste tragedie per trarre forza": "Noi - ha detto - che siamo immersi in una quotidiana contrapposizione anche nella vita politica, dovremmo guardare più spesso a chi soffre". (AGI 19 GIUGNO) AFGHANISTAN: CONSIGLIO PACE, CON TALEBANI USA CI PRECEDONO Contatti preliminari con i talebani esistono davvero, e la spinta più forte in questo senso viene non da Kabul, ma da Washington. ''E' vero - lo ha detto all'ANSA il Mawlawi Ataullah Ludin, vicepresidente dell'Alto consiglio per la Pace afghano - gli Usa sono più avanti di noi in questa ricerca del dialogo e noi accettiamo questo fatto''. Le rivelazioni sull'esistenza di tali contatti preannunciata dal presidente Hamid Karzai, confermata oggi dal Segretario alla Difesa Robert Gates, e ora ammessa anche da uno dei protagonisti degli sforzi di pace afghani, aprono una prospettiva nuova nelle relazioni con i seguaci del Mullah Omar. Essi hanno sempre negato di voler trattare fino a quando ''gli invasori americani'' non avessero abbandonato il territorio afghano. Creato dal presidente Karzai nell'ottobre 2010, il Consiglio per la Pace e' un organismo che raccoglie esponenti di vari gruppi etnici afghani, ex rappresentanti dei talebani, ex Signori della Guerra e membri della Alleanza del Nord del mitico 'Leone del Panjshir', Ahmad Shah Massud. Originario della provincia meridionale di Kandahar, santuario dei talebani, Ludin ha seguito studi islamici e giuridici, e ha esercitato la sua professione prima di dedicarsi alla politica, accettando poi otto mesi fa il delicato incarico nell'organismo a cui sono affidate le speranze di normalità dell'Afghanistan. Carezzando la sua lunga e curata barba grigia, Ludin ha osservato: ''Che a noi piaccia o no, fino a quando gli Usa, la Nato e l'Onu non prenderanno forti iniziative per la pace, non avremo risultati, perché questo noi non possiamo farlo da soli''. Ed effettivamente, ha ammesso, ''i contatti con i talebani sono molto più ampi e profondi fuori dal nostro paese, e in particolare con gli Stati Uniti, che qui in Afghanistan''. ''L'obiettivo principale - ha poi aggiunto - è riportare la pace in Afghanistan. Se i colloqui li conduce il nostro governo, o se i colloqui avvengono fuori dai confini nazionali, oppure se i talebani hanno contatti diretti con gli americani, per noi va bene perché, ripeto, vogliamo che la pace torni nel paese''. Sui tempi necessari, Ludin si è mostrato prudente: ''Dopo 33 anni di guerra, ci vorranno da uno a tre anni per discutere tutti gli aspetti e meccanismi di questo processo”. Ma qualunque sia l'iniziativa, ha ricordato, ''l'ultima voce in capitolo la deve avere l'Alto Consiglio, e l'approvazione finale di ogni accordo dovrà essere data dal Parlamento afghano, perché così lo prevede la Costituzione''. Inoltre, dopo aver dato un giudizio positivo sulla riforma della 'blacklist' realizzata dall'Onu, ha aggiunto: ''Adesso le Nazioni Unite devono cancellare dalla lista dei 'cattivi' afghani molti nomi. Ci sono persone che operano nel nostro Parlamento, nello stesso Consiglio per la Pace o che sono morte, e i cui nomi sono ancora in quella lista''. Per quanto riguarda infine il dialogo diretto e concreto con i talebani e con le altre organizzazioni armate, come quella di Gulbuddin Hekmatyar, Ludin ha assicurato: ''Non abbiamo problemi a cominciarlo qui in Afghanistan e non in un Paese terzo. Anche noi la consideriamo una scelta migliore. Ma finora non abbiamo ricevuto da loro un indirizzo scritto o l'indicazione di un luogo dove questo si possa fare''. (ANSA 19 GIUGNO) LIBIA: KARZAI CRITICA NATO, 'LA STA FACENDO A PEZZI' Il presidente afghano Hamid Karzai ha criticato vivacemente l'azione della Nato in Libia, sostenendo che essa sta portando gravi sofferenze alla popolazione civile. Lo riferisce oggi Tolo Tv. Citando un discorso di Karzai durante la Conferenza nazionale della gioventù afghana svoltasi ieri a Kabul, l'emittente sostiene che oltre ad aver svelato per la prima volta ufficialmente l'esistenza di contatti fra i talebani e gli Stati Uniti, il leader afghano ha criticato l'operato dell'Alleanza atlantica in Afghanistan ma anche in Libia. ''Hanno fatto a pezzi la Libia - ha sostenuto Karzai - con il pretesto di colpire Gheddafi. Sono state chiuse le scuole, sono state distrutte le vie di comunicazione e danneggiate le strutture sanitarie''. (ANSA 19 GIUGNO) AFGHANISTAN: BALA MURGHAB, AVAMPOSTO ITALIANO PER SICUREZZA AREA E' un avamposto dove guardandoti intorno vedi che il colore dominante è quello del terreno arido, fatto di pietre che solo lo scarpone militare riesce a vincere e dove dominano la polvere e il caldo soffocante, questi due compagni di ogni ora: oggi la temperatura sfiorava i 50 gradi e per fortuna c'era un po' di vento che sembrava attenuare il disagio. E' Bala Murghab, l'avamposto nella provincia di Badghis, al confine con il

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17 / 39 Turkmenistan l'avamposto militare italiano più a Nord della zona di competenza affidata al nostro Paese nell'ambito della missione Isaf. Qui sino impegnati 300 militari della Folgore, sono uomini e donne del 183esimo reggimento paracadutisti 'Nembo' di Pistoia. Ci sono già stati nel 2009, la base operativa avanzata vede anche la presenza di militari statunitensi e dell'esercito afghano in addestramento. Qui oggi è stato in visita il presidente del Senato, Renato Schifani, ed è stata la prima volta di una figura istituzionale italiano di primo piano ad arrivare fin qui, con un volo in elicottero di un'ora e un quarto da Camp Arena, la base italiana di Herat, dove Schifani era arrivato con il volo dell'aeronautica militare partito da Ciampino ieri sera. A Herat c'è il comando italiano della missione Isaf, con competenza nella regione Ovest dell'Afghanistan. Ci sono 8mila militari dell'Isaf, la metà dei quali sono italiani, e 2mila di questi sono della Folgore, e il comandato dall'aprile scorso e' affidato al generale Carmine Masiello, comandante della Brigata Folgore. Herat è il 'cervello' delle operazioni della coalizione internazionale della regione, ma diverse basi avanzate (le cosiddette Fob) sono al lavoro, con presenza di militari italiani. Quella di Bala Murghab è la più lontana, la più difficile da raggiungere, ma anche quella dove c'e' un'alta attività dei militari in un contesto internazionale e con dotazioni tecnologiche molto sofisticate e complesse. A comandare il nucleo italiano a Bala Murghab è il colonnello Marco Tuzzolino. A lui e al suo personale il compito di 'allargare' sempre più la 'bolla di sicurezza' nell'area che fa perno sugli Op, ovvero punti di osservazione, collegati fra loro da vere e proprie trincee. La bolla di sicurezza creata ha fatto si' che dal 2010 ad oggi in una ampia area e' stato possibile consentire il rientro della popolazione nei propri villaggi e anche una sensibile diminuzione degli attacchi degli insorti. A maggio una complessa operazione denominata "Spring Break" condotta congiuntamente da centinaia di militari afghani, statunitensi e paracadutisti della Folgore, con il supporto di forze speciali ed elicotteri italiani e statunitensi, ha fatto si che questa bolla di sicurezza sia stata ampliata ancora del 50% verso Nord, verso il Turkmenistan. In 4 giorni i militari partiti da Herat hanno percorso, affrontando itinerari particolarmente difficili, quasi 270 km. E' stato superato il villaggio di Miranzai, a Nord di Bala Murghab, espandendo così l'area sotto il controllo dell'Isaf. Operazione che era stata preceduta da una intensa attività di preparazione tesa a disarticolare il predominio degli insorti. L'Italia nell'area di Bala Murghab deve contare però alcuni caduti. Nel maggio 2010 in seguito all'esplosione di un ordigno rimasero uccisi il sergente maggiore Massimiliano Ramadù e il primo caporal maggiore Luigi Pascazio, il 18 gennaio scorso è morto il caporal maggiore Luca Sanna, in servizio in uno degli OP, colpito da un infiltrato nell'esercito afghano. E il presidente del Senato Schifani ha sottolineato nel suo breve discorso al nucleo di Bala Murghab il riconoscimento dell'Italia per questi caduti e per l'opera che i militari italiani stanno facendo in quell'area, "La vostra partita è difficile ma il Paese è con voi, vi guarda con affetto e riconoscenza. La nostra riconoscenza va mostrata anche a chi è negli avamposti. Andate avanti, sapendo che il Paese vi rispetta, vi vuol bene, è fiero ed orgoglioso della vostra attività. E' un sacrificio enorme che fate e vi rendiamo merito. Vi siamo grati per la professionalità e compostezza. Quella compostezza di cui avremmo più bisogno nel nostro Paese quando ci si scontra sui temi della politica. Voi - ha detto ai militari del 183esimo reggimento paracadutisti 'Nembo' della Folgore - siete l'esempio della compostezza". A conferma del contributo italiano allo sviluppo dell'area, proprio ieri si sono svolte nella provincia di Badghis due importanti 'shure', incontri fra gli 'anziani', le autorità locali e i rappresentanti dell'Isaf, a cominciare dal generale Masiello, per discutere gli interventi e le problematiche dell'area, ovvero il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni e la sicurezza e stabilità della zona. Sono state le prime 'shure' da quando e' stata allargata la bolla di sicurezza nell'area. Tra le principali richieste, la necessità di disporre di energia elettrica, fondamentale in un'area fortemente rurale. E' stata analizzata l'ipotesi di poter fornire, grazie all'Isaf, gruppi elettrogeni ed è stata anche proposta la realizzazione di una rete elettrica con una fornitura proveniente dai paesi confinanti. Quattro i differenti livelli di supporto alla popolazione. Il primo è la sicurezza, non ancora completamente garantita, e lo sforzo è sostenuto direttamente dalle forze operative sul terreno e si pone l'obiettivo di realizzare piccoli progetti a impatto immediato su diretta richiesta dei capivillaggio, quali la fornitura di generi alimentari, realizzazione di pozzi e l'assistenza medica. Il secondo livello è su base provinciale e prevede la realizzazione di progetti a più ampio respiro: scuole, cliniche, interventi infrastrutturali, proposti dai governatori e dalle autorità locali. Terzo livello, progetti su base regionale: realizzazione di strade, ponti ed opere pubbliche, finanziati da donatori internazionali e gestiti dal governo di Kabul. Infine l'ultimo livello di aiuti, tra l'altro già in atto nella regione ovest sotto il comando italiano, e che vede coinvolta l'imprenditoria privata che investe in progetti economici sostenibili a lungo termine nelle varie province. Prima di rientrare ad Herat e poi da lì in Italia, il presidente Schifani a bordo dell'elicottero ha sorvolato il Sabzak Pass, dove ci sono alcuni dei Fob affidati ai militari italiani. (AGI 18 GIUGNO DALL’INVIATO ENZO CASTELLANO) IRAN: STORICA VISITA MINISTRO DIFESA A KABUL Il ministro della Difesa iraniano, generale Ahmed Vahidi, e il suo omologo afghano, maresciallo Abdulrahim Vardak, si sono incontrati oggi a Kabul. Si tratta della prima visita di un ministro della Difesa iraniano nella

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18 / 39 capitale afghana da 92 anni, come spiega l'agenzia ufficiale iraniana IRNA. L'incontro è stato organizzato per promuovere la cooperazione bilaterale nel campo della difesa e della sicurezza tra i due Paesi. A Kabul, il ministro iraniano ha incontrato alte cariche politiche e militari afghane. In un incontro con i giornalisti, Vahidi ha detto che ''le relazioni tra Iran e Afghanistan vanno oltre la diplomazia''. ''Sono costruite sulla cooperazione tra i due governi di lunga durata'', ha continuato. Il ministro della Difesa iraniano ha criticato ''la presenza di truppe straniere che causano discordia e tensioni in Afghanistan, rendendo inutili gli sforzi di Kabul per la stabilità regionale''. ''L'Iran sostiene l'Afghanistan per uno sviluppo nazionale e una sicurezza sostenibile'', ha sostenuto Vahidi. I due ministri hanno parlato anche di progetti congiunti di ''cooperazione militare, contro il traffico di droga e la criminalità organizzata''. Negli anni Ottanta e Novanta, le relazioni tra l'Iran e l'Afghanistan dei talebani sono state molto tese per dispute sui confini e per i traffici di oppio. L'intervento degli Stati Uniti a Kabul del 2001 ha visto l'Iran assumere una posizione neutrale. Il governo del riformista Mohammed Khatami ha assunto un atteggiamento critico sulla presenza delle forze di altri Paesi a Kabul soltanto dopo l'avvio della guerra in Iraq nel 2003. In quel momento l'Iran appariva come il possibile 'terzo obiettivo' della strategia militare degli Stati Uniti nella regione. Con l'inizio della presidenza iraniana di Mahmud Ahmadinejad nel 2005 i due Paesi limitrofi hanno vissuto fasi alterne di riavvicinamento nelle relazioni diplomatiche. (ADNKRONOS 18 GIUGNO) KARZAI, LOYA JIRGA SU FORZE STRANIERE L'Afghanistan riunirà nel corso di quest'anno una Loya Jirga (Gran Consiglio) dei settori più importanti della società per ricevere suggerimenti sulla strategia che il governo deve adottare nelle alleanze, in particolare con gli Usa. Lo ha detto il presidente Hamid Karzai ad Astana durante il 10/o vertice dell'Organizzazione di cooperazione di Shanghai: ''E' desiderio del popolo afghano che la presenza degli Stati Uniti e delle altre forze della Nato/Isaf nel nostro paese sia regolata''. ''Siamo un paese sovrano - ha ancora detto il capo dello Stato afghano - ed è naturale che le leggi vigenti in Afghanistan siano quelle dell'Afghanistan. Stiamo lavorando per far sì che tutte le forze Nato/Isaf aderiscano alle nostre leggi nazionale ed alle esigenze di una nazione sovrana''. "Per questo - ha sottolineato - abbiamo il proposito di convocare entro l'anno una Loya Jirga del popolo afghano per ricevere orientamento su tutte le questioni legate alle alleanze strategiche''. Nelle discussioni bilaterali e multilaterali con gli Usa e la Nato, ha aggiunto Karzai, ''noi teniamo bene in mente le dimensioni regionali e le preoccupazioni dei nostri vicini. Non definiremo una partnership - ha concluso - se avremo ragione di credere che essa potrebbe compromettere la sicurezza dei nostri vicini o quella della regione''. (ANSA 18 GIUGNO) AFGHANISTAN: SCHIFANI, UNA MISSIONE D'ESEMPIO PER TUTTI La missione-lampo in Afghanistan, fin nella base avanzata di Bala Murghab ai confini nord del paese, è un messaggio esplicito che il presidente del Senato Renato Schifani invia alle Forze armate italiane, alla società civile a anche al mondo della politica. In Afghanistan, dice la seconda carica dello Stato ai paracadutisti della Folgore che presidiano i fortini che compongono la fascia nord della zona di competenza italiana, è in corso una missione strategica la cui prosecuzione non può essere messa in discussione, perché la lotta al terrorismo si conduce senza se e senza ma. Il segnale implicito e' rivolto a quelle forze politiche, come la Lega, che ipotizzano un drastico ridimensionamento delle operazioni militari di pace nel mondo e ed e' significativo che giunga alla vigilia del raduno di Pontida. Ma nel discorso che Schifani rivolge alle truppe schierate in rassegna nel ''Camp Arena'' di Herat (cuore operativo della missione italiana) e nel forte avanzato di Bala Murghab, c'è molto di più: c'è il riconoscimento di un compito svolto nel silenzio, con un grande tributo di sangue, ma anche con una serenità di fondo che - osserva - dovrebbe costituire un esempio per tutti i cittadini e per le forze politiche divise da endemica litigiosità. Questi giovani - commenta il presidente del Senato - rappresentano ''la bella Italia'', la parte migliore di un Paese le cui doti di coraggio e di umanità sono riconosciute in tutto il mondo. In questa ottica Schifani, dopo aver ricevuto in dono il basco rosso dei parà della Folgore, ha voluto rendere omaggio al cippo che ricorda il caporalmaggiore Luca Sanna, caduto proprio in quest'area a gennaio per mano di un terrorista infiltrato nell'esercito afgano. E' la prima volta che una delle massime cariche dello Stato si reca in prima linea sul teatro delle operazioni afgane. Bala Murghab si trova 170 chilometri a nord di Herat, al confine del Turkemenistan: e' al centro di una cosiddetta ''bolla di sicurezza'' (terreno teoricamente bonificato da ogni rischio), composta da una serie di punti di osservazioni e di fortini collegati da trincee. La stessa base è una sorta di Fort Apache ai confini delle regioni controllate dagli insorti (talebani e milizie narcos attive lungo la frontiera): una lunga teoria di tende da campo, di automezzi e carri difesi da muri di contenimento, perfino una sorta di cimitero dei blindati che sono esplosi sulle mine anticarro e che sono lì ben visibili accanto agli elicotteri da combattimento. Il contingente che controlla la regione Ovest sotto comando italiano è composto da circa 8.000 uomini di cui 4.000 italiani e ha già ottenuto significativi risultati: dopo il ritiro dei marines e delle truppe georgiane, il

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19 / 39 lavoro con le popolazioni civili ha condotto ad alcune ''sure'' (intese con i consigli degli anziani), al rientro della gente nei villaggi abbandonati e a una sensibile diminuzione degli attacchi degli insurgent. C'e' da ricordare che in questa area le truppe italiane hanno avuto altri morti oltre a Luca Sanna: il sergente maggiore Massimiliano Romadì e il caporalmaggiore Luigi Pascazio. Schifani ha ricordato come, anche in una fase di conflittualità, tutte le forze politiche si ritrovino comunque in un comune sentire dietro le nostre truppe a cui non e' mai mancato il sostegno unanime del Parlamento al momento del rifinanziamento delle missioni. L'essere in territorio operativo - ha aggiunto - da' in senso di una missione che va avanti e progredisce nella ricostruzione di un Paese martoriato. Secondo il presidente del Senato, i ragazzi della Folgore tengono alti questi valori a cui si dovrebbero ispirare politici e cittadini. Il rientro ad Herat è avvenuto in elicottero, a volo tattico radente, per consentire da vicino la visione di Sabzak Pass dove si trovano alcune delle postazioni fortificate dei nostri uomini: scenari duri e bellissimi che restituiscono la difficoltà del compito affidato alla Folgore. In serata Schifani e' rientrato in Italia. (ANSA 18 GIUGNO) AFGHANISTAN: ONU DIVIDE LISTA NERA FRA TALEBANI E AL QAIDA Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ieri sera ha diviso in due la lista dei ribelli afghani colpiti da sanzioni, creandone una per i terroristi di Al Qaida e una per i talebani. La mossa intende lanciare il segnale ai talebani che, se abbandonano il terrorismo, possono rientrare nella vita civile e politica del paese. Le Nazioni Unite hanno da tempo colpito una serie di esponenti della ribellione afghana con sanzioni come congelamento dei beni e divieto di viaggi all'estero. Ora, due risoluzioni proposte dagli Stati Uniti e votate all'unanimità dai 15 paesi del Consiglio di sicurezza hanno diviso questa lista nera in due liste separate, una per Al Qaida, con 253 nomi, l'altra per i talebani, con 138 nomi. "Gli Stati Uniti credono che il nuovo regime di sanzioni per l'Afghanistan servirà come un importante strumento per promuovere la riconciliazione ed isolare gli estremisti" ha detto l'ambasciatore americano all'Onu, Susan Rice. La mossa a suo avviso manda "un chiaro messaggio ai talebani, che c'è un futuro per quelli che si separano da Al Qaida, rinunciano alla violenza e rispettano la Costituzione afghana". (ANSA 18 GIUGNO) AFGHANISTAN: TALEBANI;OK CONSIGLIO PACE SU 'BLACKLIST' ONU L'Alto Consiglio per la pace dell'Afghanistan si è rallegrato oggi per la decisione presa all'unanimità dal Consiglio di sicurezza dell'Onu di separare la lista dei militanti di Al Qaida da quella dei talebani. Lo scrive l'agenzia di stampa Pajhwok. L'ambasciatrice statunitense presso il Palazzo di vetro, Susan Rice ha dichiarato al riguardo che la decisione e' uno strumento importante per promuovere la riconciliazione e nel contempo isolare l'estremismo, mandando un messaggio ai talebani nel senso di dire loro che ''c'è un futuro per coloro che romperanno i legami con Al Qaida''. ''La decisione è positiva - ha detto il vicepresidente dell'Alto Consiglio Maulvi Attaullah Lodin - anche se avrebbe dovuto essere adottata molto tempo fa'' in modo da preparare il terreno per i colloqui di pace''. (ANSA 18 GIUGNO) AFGHANISTAN: KARZAI CONFERMA, USA TRATTANO CON TALEBANI Ci sarà pure un dialogo discreto fra le parti per dare soluzione alla crisi afghana come sostenuto dal presidente Hamid Karzai, ma per ora l'unica certezza è la dura e disperante quotidianità, fatta di episodi di violenza legati alla determinazione dei talebani che oggi hanno nuovamente attaccato il centro di Kabul seminando il terrore fra la gente e causando un bilancio di 12 morti e altrettanti feriti. Spinti da una splendida giornata di sole gli abitanti della capitale si erano riversati nelle strade visitando, fra gli altri, il coloratissimo mercato di Mandai, situato in una zona strategica a lato del ponte Pul-i-Baghi Omomi, ad un chilometro dal palazzo presidenziale, vicino a numerosi edifici pubblici e ad un passo dall'Hotel Serena, il più esclusivo della città. E' qui che all'inizio del pomeriggio un commando di tre o quattro talebani che vestivano uniformi militari sono entrati in azione contro il commissariato del primo distretto di polizia, sparando sugli agenti di guardia e ingaggiando uno scontro a fuoco che è durato un paio d'ore, con le esplosioni dei kamikaze, un fuggi fuggi generale ed il fragore delle serrande dei negozi chiuse in fretta e furia dai proprietari. Al termine, in un rituale comunicato, il ministero dell'Interno ha riassunto il bilancio di questo ennesimo episodio di ''drammatica normalità'' afghana: nove morti, fra cui tre agenti di polizia, un elemento dell'intelligence e cinque civili, a cui vanno però aggiunti tre talebani. Dodici i feriti, di cui dieci civili. Eppure la giornata si era aperta con due messaggi di speranza. Uno inviato dal Consiglio di sicurezza dell'Onu che per contribuire al dialogo afghano ha approvato all'unanimità la ristrutturazione della sua lista dei 'cattivi' (blacklist) in due elenchi: il primo di membri di Al Qaida (assertori del terrorismo globale) ed il secondo di talebani afghani impegnati in un conflitto interno al paese. L'altra notizia accolta con favore riguardava invece un discorso di Karzai ad un gruppo di giovani: nell'occasione il presidente afghano ha rivelato ufficialmente che ''quest'anno è cominciato il dialogo con i talebani'', condotto ''da paesi stranieri e particolarmente dagli Stati Uniti''. A queste parole il capo dello Stato ha però fatto seguire un sorprendente monito: ''L'Afghanistan non parteciperà alla prossima Conferenza di Bonn (5 dicembre 2011) se i talebani

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20 / 39 fossero invitati in una delegazione separata. Alla Conferenza partecipano Governi e quindi, se accettassero di intervenire, i talebani dovrebbero farlo all'interno della delegazione afghana''. Sul dialogo talebani-Usa, auspicato dallo stesso presidente Barack Obama, l'ex ambasciatore del governo talebano (1996-2001) in Pakistan, Mullah Abdul Salam Zaeef, ha detto di ''non esserne a conoscenza'' ma che, ''se vi è stato, non può avere avuto più valore di un primo contatto”. ''Possono essersi visti - ha spiegato - per conoscersi e per mettere sul tavolo la rispettiva visione della situazione, ma credo non molto di più''. Riguardo poi alla possibilità che l'attacco odierno dovesse essere considerato una risposta dei talebani a questo annuncio di Karzai, il Mullah Zaeef ha detto di no. ''Fra le parti - ha spiegato - la guerra continua. Non c'e' un cessate il fuoco. La Nato prosegue le sue operazioni ed i talebani rispondono con la loro offensiva militare di primavera-estate”. (ANSA 18 GIUGNO) AFGHANISTAN: USA, MILITARI PREMONO PER RITARDARE RITIRO Nuovo tira e molla sull'Afghanistan tra il presidente degli Stati Uniti e il Pentagono. I militari Usa stanno premendo su Obama per ritardare di fatto il ritiro dal paese mediorientale, il cui inizio è in calendario a luglio, come promesso dallo stesso presidente degli Stati Uniti poco dopo essere salito al potere. Lo scrive oggi con ampio rilievo il Wall Street Journal, secondo cui il Pentagono suggerisce alla Casa Bianca di mantenere elevato il livello dei militari fino all'autunno del 2012. Dovrebbero in particolare rimanere nel paese una parte significativa dei circa 33mila militari inviati all'inizio della presidenza Obama, per garantire una presenza forte nelle prossime due estati, giudicate decisive per i combattimenti contro i Talebani. L'ipotesi potrebbe avere conseguenze sulla campagna elettorale per le presidenziali del 2012, alle quali Obama punta ad essere rieletto per un secondo mandato alla Casa Bianca, visto che il ritiro significativo delle truppe si svolgerebbe di fatto a pochi mesi dal voto, ai primi di novembre 2012. Attualmente circa 100mila militari Usa si trovano in Afghanistan, compresi i circa 33 mila inviati in rinforzo da Obama. Il ritiro quasi completo e' in calendario alla fine del 2014, quando solo un piccolo contingente di militari Usa dovrebbe rimanere nel paese, per assistere gli afghani una volta che avranno riconquistato il controllo totale del territorio. Le discussioni dettagliate sulle operazioni di ritiro sono iniziate questa settimana, con da un lato Obama, dall'altro il generale David Petraeus (che da comandante Usa e Nato in Afghanistan diventerà ora numero uno della Cia), e il segretario alla Difesa Bob Gates (che verràpresto sostituito da Leon Panetta, attuale direttore della Cia). Fino a questi ultimi giorni, il Pentagono ha tenuto un profilo basso sull'intera vicenda, anche per evitare potenziali scontri con la Casa Bianca. Solo in queste ultime settimane, poco prima di lasciare l'incarico, Gates ha iniziato a parlare fuori dai denti, ipotizzando un ritiro più lento e progressivo di quello inizialmente prospettato. E questa posizione ha l'appoggio dei vertici militari. Un fatto sembra al momento essere fuori discussione: l'inizio del ritiro dall'Afghanistan sarà soprattutto simbolico: si parla di una cifra tra le 3 e le 5mila unità a luglio, e di un numero equivalente in autunno. I democratici al Congresso, e tra questi anche Carl Levin, il presidente della commissione Forze Armate del Senato, vuole almeno 15mila uomini in meno entro la fine dell'anno. Alla Casa Bianca, un esponente di spicco come il vicepresidente Joe Biden, preme per un ritiro rapido ed accelerato, convinto in particolare che l'uccisione di Osama bin Laden, il mese scorso in Pakistan, abbia decisamente modificato le carte in tavola. (ANSA 17 GIUGNO). AFGHANISTAN: NAPOLITANO INCONTRA FAMIGLIARI ALPINO MATTEO MIOTTO Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha avuto un incontro privato oggi pomeriggio con i famigliari dell'alpino Matteo Miotto morto in Afghanistan lo scorso 31 dicembre. All'incontro hanno preso parte anche i sindaci di Vicenza Achille Variati e di Thiene Marita Busetti, che al termine hanno riferito che il Presidente della Repubblica ha apprezzato "la grande dignità dei famigliari dei caduti", e che la comunità non li dimenticherà. Nel corso dell'incontro con i sindaci il Capo dello Stato è tornato anche sulle celebrazioni per i 150 dell'Unità d'Italia, dove ha ricordato come i giovani siano stati protagonisti di tante cerimonie e avvenimenti in giro per l'Italia e ciò è motivo di grande speranza per il Paese. (ADNKRONOS 17 GIUGNO) MAE, FRANCESCO TALÒ INVIATO SPECIALE AFGHANISTAN-PAKISTAN Il console generale italiano a New York, Francesco Maria Talò, è il nuovo inviato speciale per l’Afghanistan-Pakistan della Farnesina. Lo ha nominato oggi il ministro degli Esteri, Franco Frattini. Il diplomatico sostituisce Gabriele Checchia, attuale consigliere diplomatico del ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Primo impegno di Talò sarà la riunione degli inviati speciali a Kabul il 26 e 27 giugno quando si discuteranno gli aspetti civili della transizione, la riconciliazione nazionale – con particolare attenzione al reintegro degli ex guerriglieri -, l’impegno della comunità internazionale dopo il 2014 (data entro la quale sarà completata la transizione nel paese asiatico) e la cooperazione regionale. L’incontro sarà l’occasione per valorizzare l’avvio della transizione che si terrà tra poche settimane (nella seconda metà di luglio). E che coinvolgerà anche il distretto urbano di Herat, a testimonianza del lavoro svolto dall’Italia, sia sul versante militare nel creare

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21 / 39 condizioni di sicurezza stabili e sia su quello dell’impegno civile per la ricostruzione. Talò ha un curriculum vitae con numerose esperienze presso diverse sedi in Italia e all’estero. Dal Servizio stampa della Farnesina, alla Delegazione per l’organizzazione della Presidenza italiana dell’Ue, dalla Segreteria Generale del ministero degli Esteri alla Rappresentanza permanente presso l‘Onu a New York. È stato anche Consigliere diplomatico aggiunto del presidente del Consiglio e ha guidato l’ufficio per l’America meridionale della Direzione Generale per i Paesi delle Americhe. (IL VELINO-PEI NEWS 16 GIUGNO) NEL GULISTAN TALEBANO ITALIANI IN PRIMA LINEA «Abbiamo bisogno di più truppe, forze di polizia ed equipaggiamenti per difenderci dai talebani che hanno già tentato con cinque attentati di uccidermi». Nell'incontro all'interno della base italiana, Mabhor Qasin Khan, governatore del distretto del Gulistan, non mostra timidezza nel chiedere più mezzi per allargare la "bolla di sicurezza" difesa da 160 paracadutisti del 186° reggimento Folgore di Siena, affiancati da 50 poliziotti e militari afghani. Una guarnigione esigua che riesce a presidiare un'area lunga 15 chilometri e larga 5 dove vivono meno di un terzo degli oltre 50mila abitanti di questo distretto. In Gulistan, che in italiano significa "valle delle rose", i paracadutisti guidati dal tenente colonnello Sergio Cardea non hanno certo il tempo per contemplare fiori. Il loro avamposto, la base operativa avanzata (Fob) "Ice", è protetto da oltre mille metri di hesco-bastion, muri anti autobomba costituiti da reti metalliche rivestite di tela e piene di terra. A differenza degli altri settori dell'Ovest afghano affidato al comando italiano, dove la sicurezza è sensibilmente migliorata negli ultimi tempi e gli insorti si limitano a compiere attentati, in questa landa desolata nell'Est della provincia di Farah (priva di comunicazioni telefoniche e ospedali e dove l'aspettativa di vita è di 45 anni) le truppe italiane devono fare i conti con imboscate e villaggi controllati o influenzati dagli insorti, fin da quando sono arrivate, nel settembre scorso, costituendo la task force South East. Prima gli alpini e poi in febbraio i paracadutisti hanno rilevato tre basi cedute dalle truppe georgiane e dai marines statunitensi, che nei distretti di Bakwa e Gulistan sono riusciti a combinare ben poco. La visuale che si ha dall'elicottero statunitense che da Farah City raggiunge l'avamposto italiano è sufficiente a comprendere come il termine "basi" sia fuorviante per definire i tre fortini disseminati lungo 80 chilometri della Strada 522, una pista sterrata talmente piena di ordigni esplosivi ed esposta a imboscate che gli italiani impiegano solo aviolanci ed elicotteri per portare rifornimenti e spostare i reparti. Inclusi i plotoni che si alternano nel presidio del Combat out post "Snow", una sorta di "Forte Apache" situato a Buji, ultimo avamposto alleato verso Est. Una "fortezza Bastiani" nella quale però il nemico si fa vedere e sentire regolarmente e dove a Capodanno venne ucciso il caporalmaggiore Matteo Miotto. In questo settore sono stati uccisi sei degli ultimi sette caduti italiani in Afghanistan e i parà della 15a Compagnia hanno combattuto duramente anche sabato notte, senza registrare feriti, quando una cinquantina di soldati su una decina di Lince che avevano preso contatti con i capi di un villaggio sono stati attaccati da almeno una trentina di miliziani appostati nei pressi delle case, per farsi scudo dei civili e inibire il fuoco dei mortai italiani e dei jet alleati. «Eravamo in stazionamento notturno con i veicoli in cerchio in attesa dell'alba, quando avremmo dovuto incontrare i notabili del villaggio di Lattay Bala» ci racconta il maresciallo D.L. appena rientrato dalla missione. «Erano circa le 22 e 30 quando dal punto d'osservazione, su una collina circostante, ci hanno segnalato il movimento di una trentina di uomini mentre nel villaggio tutte le luci venivano spente. Abbiamo inviato i Raven (piccoli velivoli teleguidati dotati di telecamera, ndr) per tenerli d'occhio e intorno alle 24 sono iniziati i primi colpi di armi automatiche ai quali abbiamo risposto con le mitragliatrici dei blindati Lince prima di sganciarci verso Nord» precisa il maresciallo L.C. Gli insorti hanno però lanciato un secondo attacco impiegando lanciarazzi Rpg e mortai leggeri. «Fortunatamente molti razzi non sono esplosi ma noi conoscevamo bene la loro posizione e la reazione è stata precisa» sottolinea un caporalmaggiore. Nessuno si esprime circa le perdite subite. «Con questi attacchi tentano di impedire l'estensione dell'area di sicurezza istituita dalle truppe italiane e afghane, praticata convincendo la popolazione dei vantaggi offerti dalla collaborazione con Governo e alleati». I segnali positivi però non mancano. «A gennaio nessuna bambina frequentava la scuola femminile di Kala-i-kuna, villaggio ne pressi della base italiana, dove oggi studiano 200 studentesse - racconta il tenente colonnello Cardea - e per migliorare la sicurezza sono in arrivo altri militari afghani ed è in progetto l'arruolamento di 300 agenti della local police», le milizie di autodifesa dei villaggi finanziate da Washington ma gestite dal ministero degli Interni afghano. Il governatore Qasin Khan ha confermato la presenza tra le montagne del Gulistan di miliziani di al-Qaida, per lo più pakistani, strettamente collegati con la vicinissima provincia di Helmand e basati nel villaggio di Ahmanendab. Punti sui quali gli alleati esprimono più cautela mentre ad aumentare il consenso popolare alla presenza italiana ha contribuito il soccorso offerto il 21 marzo ai civili colpiti da un ordigno stradale talebano, molti dei quali sono stati evacuati con gli elicotteri. Che la "Valle delle rose", ora piena di campi di oppio appena raccolto, rappresenti un fronte caldo e al tempo stesso uno snodo della strategia anti-insurrezionale nell'Ovest afghano lo dimostra anche la presenza nella Fob Ice

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22 / 39 di un maggiore Usa. Con il compito di offrire consigli e relazionare il generale Petraeus sull'andamento delle operazioni. (IL SOLE 24 ORE 16 GIUGNO DI GIANANDREA GAIANI) AFGHANISTAN: REGIONE TOSCANA;ASSEGNO A FAMILIARI DEGLI UCCISI Un assegno straordinario di 20 mila euro a ciascuna delle tre famiglie di militari residenti in Toscana che persero la vita il 17 settembre 2009 nel corso di una missione militare italiana a Kabul. E' quanto prevede una modifica alla Finanziaria 2011 approvata oggi all'unanimità dalla commissione affari istituzionali del Consiglio regionale, presieduta da Marco Manneschi. La commissione, spiega una nota, si e' invece espressa a maggioranza su altre modifiche alla Finanziaria regionale. Nel complesso la Regione dovrà sostenere spese per quasi 174 mila euro. Tra gli interventi previsti dalla manovra, si legge ancora, ci sono 90 milioni di euro destinati ai progetti di recupero e di incremento dell'edilizia pubblica nelle aree ad alta criticità abitativa, 45 milioni per il sostegno al pagamento del canone di locazione, e 30 milioni per l'acquisto della prima casa. Ammontano a 1,2 milioni le risorse per migliorare ed integrare il sistema aeroportuale della Toscana. ''La legge Finanziaria - ha detto Manneschi - è stata migliorata ed attraverso alcuni aggiustamenti sono adesso possibili azioni concrete a sostegno dei giovani''. (ANSA 16 GIUGNO). AFGHANISTAN: RAPPORTO ICSA, CONTRO RISCHIO CAOS NUOVA TEMPISTICA EXIT STRATEGY “Se una exit strategy è stata delineata in termini di che cosa si vuole fare, la tempistica per attuarla, presentata come cogente, è invece aleatoria, almeno se non si vuole rischiare che il Paese torni a precipitare nel caos''. E' quanto evidenzia il 'Rapporto Difesa 2011', il secondo Rapporto che la Fondazione Icsa, presieduta da Marco Minniti, dedica alla Difesa Nazionale, presentato oggi a Roma, presso la Casa dell'Aviatore, nel capitolo 'Che cosa fare in Afghanistan'. Per l'Icsa, che già lo scorso anno ha elaborato una propria proposta di quale potrebbe essere il ruolo dell'Italia, nel contesto Nato, per contribuire a raggiungere una stabilizzazione dell'Afghanistan, oltre a ''legare in modo efficace le attività militari con quelle di assistenza civile, economica, politica e di ricostruzione'', va anche ''potenziata l'attività di cooperazione e intensificato il coordinamento Esteri-Difesa. In particolare se si arriverà al passaggio di consegne in una prima provincia, quella di Herat, tra forze militari Isaf e forze Ana, occorrerà sfruttare al meglio un'opportunità che costituisce anche una sfida importante''. Per quanto riguarda ''l'impegno militare, rileva la Fondazione Icsa nel Rapporto curato da Andrea Nativi- ferma restando la necessità di mantenere il pieno comando e controllo nella regione Ovest, resistendo ai reiterati tentativi di ridimensionare il ruolo italiano, dovrà essere deciso a che livello e con quale scopo mantenere la presenza militare''. In linea di principio, rileva la Fondazione Icsa (Intelligence Culture and Strategic Analysis), ''se Usa e Nato proseguono lo sforzo ai livelli attuali non è pensabile sganciarci unilateralmente''. Perché “se la 'surge' continua non è strategicamente condivisibile procedere ad un ridimensionamento di un contingente di 4.200 uomini''. Anzi, ''è opportuno che il contingente sia irrobustito almeno sotto il versante dei mezzi, ferma restando la necessità di mantenere ai massimi livelli la preparazione e l'addestramento del personale inviato in teatro, tanto più visto che la stagione primaverile ed estiva sono sempre molto 'calde' e tenendo conto che quel che serve in larga misura è già disponibile oppure può essere acquistato e reso operativo in un arco di tempo ragionevole e sempre avendo in mente che i nostri soldati resteranno nel paese ben oltre il 2014 e quindi si deve guardare all'immediato, ma anche al medio termine''. In particolare la Fondazione Icsa, presieduta da Marco Minniti, ritiene si debba tra gli altri interventi ''potenziare la componente terrestre, schierando blindo Centauro e carri Ariete, da utilizzare a discrezione dei comandi quando e dove fosse necessario''. Ma anche ''potenziare al massimo la dotazione di velivoli senza pilota, procedendo allo schieramento degli MQ-9 Reaper in approntamento al più presto possibile, mantenendo anche gli attuali Predator ed acquisendo/noleggiando anche velivoli più leggeri, come gli ScanEagle''. Occorre inoltre, sottolinea la Fondazione Icsa, ''accelerare lo spiegamento dei materiali e degli equipaggiamenti in sviluppo nel quadro del programma 'Soldato Futuro' e autorizzare l'impiego dei cacciabombardieri dell'Aeronautica in missioni di supporto tattico ravvicinato impiegando armamento di precisione, già in dotazione''. Per quanto concerne infine il futuro assetto del contingente, il Rapporto Icsa condivide ''l'opportunità che se in estate il battle group a livello di battaglione schierato ad Herat dovesse essere sostituito da reparti dell'Ana, esso non venga reso disponibile per l'impiego in altre regioni operative, ma sia invece rischierato nell'ambito della regione Ovest, visto che Isaf continua ad avere un controllo limitato dell'immenso territorio e visto la rinnovata aggressività della guerriglia''. ''Sostituire personale 'combat' con un analogo numero di istruttori per forze di polizia/militari -conclude il Rapporto- ridurrebbe i costi di funzionamento, ma non porterebbe ad un reale aumento del livello di sicurezza per i nostri militari o per la popolazione civile, proprio perché a dispetto della surge, le forze a disposizione non sono sufficienti''. (ADNKRONOS 16 GIUGNO)

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23 / 39 AFGHANISTAN: TRICARICO, CON RITIRO PAESE DI NUOVO NEL CAOS Un'ipotesi sciagurata: lasciare l'Afghanistan prima della creazione di un esercito e un sistema di sicurezza interno efficienti. Il generale Leonardo Tricarico, già capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, rigetta con decisione l'idea, rilanciata negli ultimi giorni anche da ambienti di governo, di abbandonare il teatro afghano prima del tempo. Le ragioni per le quali il contingente italiano non può essere richiamato a casa e, anzi, deve essere "potenziato almeno nei mezzi a disposizione", viene spiegato nel Rapporto Difesa 2011 della Fondazione Icsa presentato oggi a Roma. Prima di tutto la exit strategy giudicata "aleatoria" almeno sul versante della "tempistica". Se non si vuole rischiare di fare "precipitare di nuovo il Paese nel caos", spiega il generale Tricarico, oltre a "cosa si vuole fare, bisogna avere bene in mente i tempi e le modalità per farlo". E allora i passi fondamentali diventano, innanzitutto, "l'intensificazione dell'attività di cooperazione e il potenziamento del coordinamento Esteri-Difesa" giudicato insufficiente nel rapporto. Per quanto riguarda l'impegno militare, "ferma restando la necessità di mantenere il pieno comando e controllo della Regione Ovest, resistendo ai reiterati tentativi di ridimensionare il ruolo italiano, dovrà essere deciso a che livello e con quale ruolo mantenere la presenza militare". Il contingente italiano, infine, va "irrobustito", se non con nuovi uomini, almeno sul versante dei mezzi. "Mantenere ai massimi livelli la preparazione e l'addestramento del personale - suggerisce il rapporto - tanto più che le stagioni primaverile ed estiva sono sempre molto 'calde' (dal punto di vista degli attacchi talebani, ndr) e tenendo conto che quel che serve in larga misura è già disponibile oppure può essere acquistato e reso operativo in un arco di tempo ragionevole e sempre tenendo presente che i nostri militari resteranno nel Paese ben oltre il 2014". Il problema, però, è a monte ovvero nelle economie della Difesa. Il rapporto in questo è implacabile: "Per la Difesa italiana il 2011 sarà ancora un anno difficile. I soldi stanziati sono pochi, se raffrontati alle esigenze ed alla consistenza della macchina militare". Occorre un nuovo Modello di Difesa, come la Fondazione Icsa chiede da tempo. Un modello che non pretenda di coprire tutti i campi di intervento, ma sappia scegliere in base alle eccellenze. (AGI 16 GIUGNO). BIN LADEN: ALL'EGIZIANO ZAWAHRI IL BASTONE DEL COMANDO Dopo ''consultazioni'' andate avanti dall'inizio di maggio, la ''direzione generale di al Qaida'' ha deciso: il medico egiziano Ayman al Zawahri, l'eterno 'numero due' di Osama bin Laden, assume il comando dell'internazionale del terrore. E diventa quindi a sua volta l'uomo più ricercato al mondo. Soprattutto dagli Usa, che già avevano posto una taglia di 25 milioni di dollari sulla sua testa e che stasera, per bocca del capo dello stato maggiore interarmi, ammiraglio Mike Mullen, non hanno usato giri di parole: “Elimineremo anche lui”. ''Il comando generale di al Qaida, dopo aver completato le consultazioni, annuncia la designazione del dottor sheikh Ayman al Zawahri a capo dell'organizzazione'', è scritto in un comunicato diffuso dal sito web islamista 'Ansar al Mujaheddin' (Seguaci dei santi combattenti). Un annuncio in qualche modo atteso dopo che, dall'uccisione di bin Laden in Pakistan il 2 maggio ad opera di un commando di Navy Seals americani, Zawahari era stato l'unico alto esponente di al Qaida a proporsi sotto i riflettori internazionali con un video-proclama in cui, appena la settimana scorsa, prometteva vendetta per ''l'uomo che ha terrorizzato l'America da vivo, e continuerà a terrorizzarla anche da morto''. La successione al comando non deve essere stata però del tutto lineare, nonostante l'ormai quasi sessantenne Zawahri sia stato il braccio destro di bin Laden sin dalla fine degli anni '90 e, secondo molti, anche il vero ''ideologo'' di al Qaida. Certo, le ''consultazioni'' sono andate avanti per oltre 40 giorni, mentre già prima della morte di bin Laden circolavano diverse voci secondo cui le quotazioni di Zawhari erano in ribasso e che egli, in particolare in quanto egiziano, avrebbe trovato difficoltà ad imporre la sua volontà sulla 'galassia' di gruppi che compongono al Qaida e che hanno il loro 'nocciolo durò nella penisola arabica, e in particolare nello Yemen, terra di origine della famiglia bin Laden. Senza contare che, come sottolineano molti esperti, tra cui il consigliere del presidente Obama per la lotta al terrorismo, Zahwari ''ha molti detrattori nell'organizzazione ed è privo di carisma''. Secondo la Casa Bianca insomma, l'egiziano è senz'altro un pericolo ma ''è lungi dall'avere la levatura'' del suo predecessore. Nell'annuncio dell'investitura comunque, il ''comando generale di al Qaida'' ha nuovamente tracciato le sue linee guida, che sembrano ricalcare i proclami che lo stesso Zawhari ha diffuso nel corso degli ultimi anni: a cominciare dalla continuazione ''del Jihad contro gli apostati che aggrediscono la terra dell'islam, Stati Uniti in testa ed il suo accolito Israele''. E, ancora, e' stato rinnovato l'impegno nei confronti dei palestinesi, ''che non abbandoneremo fino al raggiungimento della vittoria'', o a fianco del mullah Omar, per ''scacciare l'occupazione americana'' dall' Afghanistan. Non mancano poi parole di sostegno alle rivolte ''dei popoli islamici'' in Yemen, Egitto, Libia, Tunisia e Siria, ''per eliminare i regimi corrotti e iniqui imposti dall' Occidente nei nostri Paesi''. E neanche un incoraggiamento ai mujaheddin in Iraq, Somalia e Nord Africa. Una visione globale, dunque, in cui per affermare la sua leadership Zawhari ora cercherà di realizzare un'azione clamorosa, secondo quanto sostengono oggi diversi analisti, sottolineando però che non sarà un'impresa

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24 / 39 facile, considerato che al Qaida è sempre più frammentata e da anni continua a subire duri colpi, di cui il più devastante è stata di certo l'eliminazione del suo vero ''simbolo'', Osama bin Laden. (ANSA 16 GIUGNO). TERRORISMO: INTELLIGENCE PAKISTANA, COVO ZAWAHIRI LUNGO CONFINE AFGHANISTAN Le montagne che dividono il Pakistan dall'Afghanistan, separati da un poroso confine, potrebbero essere il covo prescelto dal medico egiziano Ayman al-Zawahiri, successore di Osama bin Laden alla guida di al-Qaeda. ''Si ritiene che il 59enne Zawahiri si sposti continuamente nella cintura tribale lungo il confine, utilizzando centinaia di diversi sentieri di montagna'', scrive l'agenzia di stampa Dpa, citando un ufficiale dell'intelligence pakistana. ''E' difficile indovinare dove potrebbe essere ora - ha detto l'ufficiale - Potrebbe farci una sorpresa come bin Laden, che viveva in una grande villa di Abbottabad mentre noi lo immaginavamo chissà dove tra le montagne''. Per gli esperti terrorismo, tra le montagne o in una zona residenziale di una città, Zawahiri - scrive la Dpa - è molto probabilmente nascosto in territorio pakistano. Sin dall'avvio delle operazioni statunitensi in Afghanistan nel 2001, in seguito agli attacchi dell'11 settembre, si ritiene che Zawahiri possa nascondersi nelle regioni tribali del Pakistan a ridosso del confine con l'Afghanistan. Nel gennaio del 2006 il medico egiziano sarebbe sfuggito a un attacco di un drone statunitense contro una madrasa (scuola coranica) del villaggio di Damadola, nel distretto tribale pakistano di Bajaur, a ridosso della provincia afghana di Kunar. Nel raid furono uccise 80 persone, ma non Zawahiri, che aveva lasciato l'edificio poco prima dell'operazione. E il leader di al-Qaeda potrebbe essere passato anche dall''Hilton dei Talebani'. L''Hilton dei Talebani' era una grotta del distretto tribale di Bajaur con decine di tunnel, dove i Talebani e i miliziani potevano riposare tranquillamente fin quando all'inizio del 2010 le forze di sicurezza pakistane hanno scoperto il covo, dotato di materassi, coperte e persino una sorta di mensa con cibo caldo. Zawahiri, secondo una copia di una lettera scritta dall'ex leader dei Talebani in Pakistan, Baitullah Mehsud (ucciso in un raid di un drone all'inizio del 2010), e diffusa nell'agosto del 2008 dalla Cbs, era rimasto ferito in un'operazione dell'epoca di un velivolo senza pilota nelle regioni tribali del Pakistan. Ma la notizia era stata subito smentita dai Talebani del Pakistan. Secondo l'analisi della Dpa, anche il distretto tribale di Mohamand, vicino al Bajaur, potrebbe essere un altro rifugio ideale per Zawahiri. Rehman Malik, il ministro degli Interni pakistano, nel settembre del 2008 aveva annunciato che le forze di sicurezza di Islamabad erano in possesso di informazioni sulla presenza di Zawahiri nel Mohmand. Ma nessuno l'ha mai catturato. Secondo Malik, il medico egiziano si spostava di continuo tra il Mohmand e le province afghane di Kunar e Paktika. Il rifugio del leader del terrore sarebbe quindi stato - potrebbe ancora essere - una zona fatta di montagne e fitte foreste che si estendono dal Bajaur e dal Mohmand fino alle regioni afghane di Kunar, Khost, Paktika e Nooristan e al distretto pakistano di Swat, dove al-Qaeda ha per molto tempo gestito un campo di addestramento nella valle di Peuchar. Si ritiene, ricorda la Dpa, che lo stesso Zawahiri sia passato da Peuchar, dalle sue grotte e dai suoi tunnel. Nella zona avrebbe vissuto anche Hamza bin Laden, figlio maggiore dello sceicco del terrore ucciso nel blitz delle forze speciali americane ad Abbottabad del 2 maggio scorso. Hamza bin Laden, ricorda la Dpa, fu costretto a lasciare il campo di Peuchar nell'ottobre del 2008 dopo un raid aereo in cui vennero uccise decine di militanti. (ADNKRONOS 16 GIUGNO) BIN LADEN: ANALISTI, CON ZAWAHRI SCELTA CONTINUITÀ Non c'è sorpresa fra gli analisti di questioni di terrorismo per l'annuncio della scelta di Ayman al Zawahri come nuovo capo di Al Qaida, e sia in Egitto sia in Pakistan c'e' fra loro consenso sul fatto che la gestione del movimento sarà ''all'insegna della continuità''. Le fonti consultate dall'ANSA sembrano invece in disaccordo sul giudizio che sull'avvicendamento ai vertici dell'organizzazione terroristica ha dato oggi una alta fonte anonima della Casa Bianca, secondo cui Al Zawahri, ''è lungi d'avere la levatura'' del suo predecessore Osama bin Laden''. Al riguardo Abdel Moeti Bayoumi, membro della prestigiosa Accademia (sunnita) delle ricerche islamiche di Al Azhar, ha sostenuto che ''la tattica di Al Qaida non cambierà con il nuovo vertice'' perché ''Zawahri era sempre sulla scena, anche quando Bin Laden era vivo, ma estenuato da malattie e braccato''. Sostenendo la tesi della continuità, l'analista pachistano Rahimullah Yousafzai, noto per l'ultima intervista a Bin Laden, ha detto che Zawahri già guidava da tempo il movimento”. Lui, ha proseguito, ''meritava la designazione per la sua lealta' al defunto leader fin dai tempi della jihad (guerra santa) contro gli Usa del 1998 a Tora Bora, e curava gli affari correnti di Al Qaida per conto di Bin Laden''. E gli Usa, ha ricordato, ''lo devono considerare molto pericoloso, visto che la taglia sulla sua testa pesa 25 milioni di dollari, come quella che esisteva per il suo ex capo''. Un secondo analista pachistano, Hassan Askari Rizvi, pensa che la nomina ''sia un bene per Al Qaida'', perché, ha spiegato all'ANSA, ''Zawahri ha contatti con leader dell'organizzazione in giro per il mondo. E poi potrà contare sull'appoggio dei talebani pachistani alla frontiera con l'Afghanistan, che lo stimano molto'', come ha confermato oggi il portavoce del Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP), Ehsanullah Ehsan. Evidenziando la forza di Al Qaida che può spingere il nuovo leader, Ali Abdel Fatah, membro dell'ufficio politico dei Fratelli musulmani egiziani, ha osservato che questa forza ''non

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25 / 39 sta nella capacità organizzativa, ma nelle idee che non hanno frontiere'' e che ''gli Usa hanno gonfiato per utilizzare il movimento contro chiunque mettesse in gioco i loro interessi''. La paternità di queste idee ''è tutta di Al Zawahri'', ha assicurato nel suo libro-inchiesta 'Dentro Al Qaida ed i talebani' il giornalista pachistano Syed Saleem Shahzad, barbaramente assassinato pochi giorni fa, subito dopo l'uscita del saggio. ''Prima dell'incontro con lui, Bin Laden lanciava invettive destinate ad infrangersi'' contro la reazione militare degli Stati Uniti. Ma successivamente i due misero a punto il progetto di ''uno scontro globale e di portata cosmica'' con gli Usa. ''Zawahri e Bin Laden - ha scritto Shahzad citando Saad al-Faqih, capo del gruppo di opposizione saudita Movimento per la riforma islamica in Arabia (Mira) - decisero di condurre le azioni non basandosi solo sulle loro risorse, ma manipolando anche quelle dei nemici, per trasformare la forza di questi in un potente strumento che operasse a loro vantaggio”. Ciò portò ad organizzare Al Qaida su tre livelli: ''1) Bin Laden figura simbolica e carismatica, responsabile della raccolta delle risorse; 2) Zawahri lo stratega incaricato di dare ai quadri una stessa copertura ideologica; 3) numerosi (ed intercambiabili) capi operativi che, pur aderendo alla missione ideologica fissata da Zawahri, fossero capaci di formulare procedure operative secondo i bisogni e le circostanze''. (ANSA 16 GIUGNO).

COSTRUIRE LA PACE (DI PIU’) _____________________________________________ ITALIA-AFGHANISTAN: COOPERAZIONE,PRIMO ESAME GUIDA PER DONNE Una quarantina di allieve del corso di scuola guida femminile del 'Giardino delle donne' di Kabul, organizzato dalla Cooperazione italiana, si sono presentate, con alterna fortuna ma con grande orgoglio, all'esame finale presso il Dipartimento del traffico del ministero dell'Interno afghano. ''Dopo alcuni mesi di lezioni svolte in collaborazione con il ministero per gli Affari femminili afghano - si legge in un comunicato diffuso dalla Cooperazione italiana - è arrivato il momento della verità, quello che tutti gli studenti temono, ma allo stesso tempo aspettano con ansia: l'esame finale''. ''C'era grande emozione tra le 40 allieve. Alcune pregavano o si facevano coraggio a vicenda; ad una - si dice ancora - e' andata via la voce, un'altra distribuiva a tutte l'acqua protettrice 'zam zam', portata dalla Mecca. Tutte hanno superato l'esame teorico, solo 12 però quello pratico: colpa della retromarcia, principale ostacolo su cui la maggior parte delle 28 non promosse sono cadute''. Anche per il Dipartimento del Traffico, dice il comunicato, e' stata un'esperienza nuova: la prima volta che gli istruttori si sono trovati davanti un gruppo di sole donne. Tanto che per celebrare l'insolita situazione hanno invitato quattro emittenti tv afghane a filmare l'evento''. ''E' tempo di esami ma anche di risultati, conclude la Cooperazione, visto che ''Sultan Razia, ditta di taglio gemme - una delle quattro piccole imprese nate dagli altri corsi di formazione professionale nel Giardino delle donne - ha ricevuto una proposta dal grande gruppo commerciale afghano Ibex. Questo gruppo ha infatti ''deciso di puntare sulle capacità di questa coraggiosa piccola impresa offrendole di associarsi, sotto il nome Ibex-Sultan Razia per svolgere attività commerciali di taglio gemme e gioielleria, oltre a formare altre donne nello stesso settore''. (ANSA 22 GIUGNO). L'AFGHANISTAN E IL TIMORE CHE L'OPPIO MANDI IN FUMO IL FUTURO Dopo 10 anni di guerra l'Afghanistan inizia a fare i conti col ritiro progressivo delle truppe occidentali e con la diminuzione dei finanziamenti della comunità internazionale. E il timore è che l'unica chance del post guerra per molti afgani siano queste colline in Badakhshan dove si coltiva l'oppio. Qui, lontano dalla guerra e dai soldati, i controlli sono pochi e il business è in espansione. La droga, il cui prezzo in un anno è triplicato, potrebbe essere la risposta facile e pericolosa ai problemi dell'Afghanistan una volta che gli eserciti occidentali se ne saranno andati."Noi possiamo constatare che qui ci sono utili record nella raccolta - spiega Jean-Luc Lemahieu, dell'ufficio controllo droga dell'Onu. La polizia prova a sradicare il business alla radice sequestrando i campi che fruttano miliardi ai trafficanti in cima alla piramide del commercio di droga. Ma alla base, c'è Mohammed, che ha perso una gamba a causa di una bomba."Noi coltiviamo papavero perché siamo poveri non abbiamo altra scelta. Per quattro anni abbiamo smesso, il governo non ci ha aiutato e allora abbiamo ricominciato. Senza l'oppio, qui non si mangia".Ora il suo campo è stato sequestrato, l'oppio non c'è più, ma a Mohammed restano sei figli da sfamare e nessuna alternativa positiva costruita dalla guerra. (TMNEWS 21 GIUGNO) AFGHANISTAN: PORTAVOCE ISAF,SCUOLE ITALIA UN ESEMPIO A HERAT L'attività di edificazione di scuole del Gruppo di ricostruzione provinciale (Prt) italiano ad Herat è un esempio di cooperazione con il governo afghano per la fornitura ai cittadini di una alternativa più praticabile di quella offerta dai talebani. Lo ha dichiarato oggi a Kabul il portavoce della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf), sotto comando Nato, generale Josef Blotz. ''La settimana scorsa per esempio - ha detto nel corso di una conferenza stampa, i cittadini del distretto di Injil nella provincia di Herat (sotto responsabilità

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26 / 39 militare italiana, ndr.) hanno celebrato la cerimonia di posa della prima pietra di due scuole finanziate dal governo italiano''. Esse, ha proseguito, permetteranno la frequenza di oltre 4.000 studenti, che andranno in classe in tre turni al fine di massimizzare il numero di quelli che potranno avere accesso agli studi''. I responsabili dei lavori di costruzione ''saranno afghani - ha sottolineato - e tutti i materiali utilizzati per costruire le scuole saranno comprati in Afghanistan'', Con oltre 110.000 studenti distribuiti in 107 scuole il distretto di Injil e' un esempio guida per tutto il paese. ''E vale la pena di sottolineare - ha concluso Blotz - che là il 52% degli studenti sono ragazze''. (ANSA 20 GIUGNO). IN PIAZZA PER I BAMBINI DELL'AFGHANISTAN. MEDICI E SOCIETÀ CIVILE INSIEME ALL'OSTIENSE Hossein, Mohammad, Hosni: sono tanti i «bacceye» (bambini) dell'Afganistan che si ritrovano alla stazione Ostiense di Roma. Un piccolo villaggio di tende blu sporche di guano, con un tubo che fa da doccia improvvisata e abiti stesi ad asciugare negli spicchi di sole. Un accampamento a pochi metri dai binari dove, di settimana in settimana, si alternano ragazzi, adulti e, recentemente, anche intere famiglie in fuga dalla guerra e alla ricerca di un futuro migliore in Italia o in Europa. «Qui trovano rifugio circa 100-120 persone al giorno, il 30-40% sono minorenni. Molti non vogliono restare qui, ma raggiungere familiari in Francia, Germania e nel Nord Europa», dice Maria Rita Peca, coordinatrice del progetto “Un camper per i diritti dei rifugiati” che assiste i migranti non solo dal punto di vista sanitario. MEDICI IN STRADA PER GLI INVISIBILI - Si tratta di un progetto lanciato dall'associazione Medu (Medici per i diritti umani), che lunedì 20 giugno, proprio nel piazzale antistante la stazione Ostiense, organizza una grande manifestazione - «Un ponte per l'accoglienza a Roma» - per richiamare l'attenzione sugli «invisibili», senza alcuna tutela e spesso privati dei diritti e delle tutele fondamentali di cui i rifugiati, e soprattutto i minori, dovrebbero godere. Sul palco gli artisti Paolo Rossi, i Tetes de Bois e Acustimantico chiederanno la creazione di un centro stabile di accoglienza per i rifugiati nel grande ponte coperto sopra i binari dell’ex air terminal; una struttura ormai in disuso. Un investimento per l'accogglienza, un progetto di civiltà che sostengono anche le associazioni «A Buon Diritto» e «Campagna Welcome». STORIA DI HOSSEIN, GINNASTA – Sono tante le storie che si intrecciano alla stazione Ostiense, da anni punto di arrivo o di transito dei profughi dell’Afghanistan, costretti a vivere in condizioni inaccettabili sulla strada o persino nelle buche sottoterra. Da due mesi, in un’area limitrofa ai binari, è stata realizzata una tendopoli che ospita oltre cento profughi nonostante i ripetuti sgomberi forzati, e il cui funzionamento è affidato in gran parte al senso di responsabilità e alla capacità di autogestione degli ospiti stessi. Tra questi c'è anche Hossein (nome di fantasia) arrivato in Italia appena due settimane fa. Ha 16 anni e in Afghanistan faceva il ginnasta, specialità corpo libero. O meglio, questo era il suo sogno fin quando i talebani non hanno chiuso la palestra del suo villaggio Sanjhendé, così piccolo da non essere riportato nemmeno sulle carte. «Hanno chiuso anche tutte le scuole della zona. Così sono andato in Pakistan a lavorare in un hotel – racconta in un buon inglese imparato tra turisti e uomini d'affari – Ma anche lì non c'era futuro così ho deciso di partire per l'Europa». A differenza di altri, Hossein non ha ancora deciso se resterà in Italia o andrà all'estero: non ha parenti da raggiungere e cerca solo un luogo dove poter inseguire il suo futuro. «Spero davvero di poter essere un ginnasta - dice -. È quello che voglio fare e, se ne avrò la possibilità, farò del mio meglio». RISCHIO DI CONGELAMENTO – Il viaggio di Hossein è stato lungo e pieno di rischi, nelle mani di trafficanti senza scrupoli: «Ho attraversato montagne e boschi sul confine con l'Iran e la Turchia, e poi dalla Grecia all'Italia nascosto in un camion. Il mio amico, che ha fatto il viaggio con me, ha i piedi congelati». Seduto accanto a Hossein, Mohammad ha lo sguardo sofferente, ma non osa lamentarsi. «Abbiamo viaggiato su due camion diversi e lui, purtroppo, è capitato in un frigorifero e ora non riesce quasi a camminare» dice Hossein. I medici del Medu sono accanto al ragazzo e stanno valutando se portarlo in ospedale per una visita più accurata. Dopo giorni di pillole e pomate, i piedi sono ancora gonfi e doloranti. «Questi sono i casi che affrontiamo più frequentemente – dice Peca – Questi ragazzi arrivano qui con traumi e ferite dovuti al viaggio». DIGNITA' PER I PROFUGHI – Con la manifestazione di lunedì 20 giugno (data in cui si celebra la Giornata mondiale del rifugiato), le associazioni Medu, A Buon Diritto e Campagna Welcome propongono la realizzazione di un «Ponte di civiltà» alla stazione Ostiense. Il centro potrà garantire accoglienza e dignità ai profughi che fuggono da guerre e persecuzioni e per i quali la capitale rappresenta il «porto di secondo sbarco» in Italia. Nel corso degli anni le risposte (fallimentari) delle istituzioni sono arrivate solo durante le emergenze, senza individuare soluzioni di tutela, accoglienza ed integrazione strutturali e sostenibili. La stessa tendopoli, dopotutto, è praticamente autogestita, precaria e provvisoria. UN PONTE PER L'ACCOGLIENZA - Eppure da questa esperienza, «è possibile passare alla realizzazione di un vero e proprio centro di protezione e di tutela nella stessa area. A pochi passi dalla tendopoli si trovano le strutture abbandonate dell’ex air terminal, tra cui appunto un grande ponte coperto che fa da sovrappasso ai binari. Perché non riconvertire una struttura, simbolo di spreco e abbandono, in un esempio virtuoso di accoglienza per i profughi?», propongono le associazioni. Al di là, infatti, della

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27 / 39 destinazione finale dei migranti (Italia o Europa), è necessario garantire le tutele fondamentali a persone in fuga dalla guerra, della violenza e delle persecuzioni. «Un Ponte per l’accoglienza» sarebbe, quindi, una risposta necessaria: «Una proposta nata dal territorio e dalla società civile - spiegano le associazioni - per contribuire, nei fatti, alla soluzione del deficit di civiltà e accoglienza che affligge la città di Roma». (CORRIERE.IT 20 GIUGNO) RADIO BAYAN WEST, LA VOCE DI HERAT Una radiolina a manovella può essere la via d’uscita dall’isolamento. Per capire l’importanza che la radio ha in Afghanistan, come mezzo di comunicazione e scolarizzazione, basta tornare indietro di un paio di generazioni italiane, a prima della televisione. La radio è il mezzo più ascoltato nel Paese asiatico, in molti villaggi e zone rurali, dove mancano l’elettricità e le strade, è anche l’unico. Tv e giornali non possono arrivare, nella stessa città di Herat i quotidiani vengono consegnati il giorno successivo all’uscita. Meno di un afgano su due sa leggere e scrivere e nonostante i progressi fatti dopo la fine del regime talebano solo la metà dei bambini va a scuola (le bambine sono appena il 30% degli alunni nelle aule). Anche per questo le forze Isaf e la Cooperazione italiana hanno distribuito migliaia di radioline che si ricaricano a manovella nei villaggi più lontani dai centri urbani. Nella provincia di Herat ci sono una ventina di radio locali. Da un anno a Camp Arena, la base del contingente militare italiano e sede del comando della Regione Ovest dell’Afghanistan, affidato all’Italia, ci sono gli studi di Radio “Bayan” (“parlare” in lingua dari) West. È la sede regionale dell’emittente della missione Isaf, che ha il quartier generale a Kabul. Bayan West trasmette per metà del tempo in lingua dari e per metà in lingua pashtu, ci lavorano tre giovani giornalisti afgani e la gestione è affidata i militari italiani del 28esimo reggimento di Pavia. “Diamo notizie locali, ma anche nazionali ed estere – spiega il tenente Fenesia Calluso, giornalista, riservista dell’esercito e responsabile editoriale dell’emittente –, abbiamo diverse rubriche dedicate alle donne e agli adolescenti, che qui spesso sono sposati. Cerchiamo di dare spazio alle good news su scuole, agricoltura, salute. La radio in Afghanistan è in molti casi l’unico modo per informarsi su ciò che avviene nel Paese e in questo senso fa da collante per la popolazione”. A microfoni spenti il confronto tra colleghi su affinità e differenze non manca. “Per me è uno scambio costante – continua la riservista –. Lavoro con giovani laureati, che rappresentano l’Afghanistan di transito. È come se fossero in bilico tra due epoche e due visioni del mondo, hanno visto i talebani, guardano al futuro, il passato però li tieni imbrigliati. Sono su Facebook, tramite Internet conoscono il mondo occidentale, ma non dicono a un altro uomo il nome della propria moglie e non la fanno andare al mercato da sola. Ne parliamo spesso, mi spiegano che sanno perfettamente che non è giusto, ma che se andassero controcorrente tutti parlerebbero male della loro consorte. Io stessa ho faticato, in quanto donna, a farmi considerare come ‘capo’. Riconoscono comunque il ruolo della radio nel progresso del loro Paese e ci lavorano con entusiasmo”. (PANORAMA.IT 20 GIUGNO DI CRISTINA BASSI) AFGHANISTAN: SHURA ANZIANI-ISAF A BALA MOURGHAB PER SVILUPPO Un serie di incontri tra anziani, autorità locali e rappresentanti di Isaf per pianificare le iniziative di sviluppo e supporto alla popolazione si sono svolti a Bala Mourghab, nella provincia di Badghis, una delle più turbolente della zona dell'Afghanistan sotto il controllo italiano. Le shure rappresentano la prima attività dopo l'operazione tra le forze di sicurezza afghane e i paracadutisti della Folgore che ha permesso di raddoppiare l'area sicura all'interno della quale vive la popolazione afghana. Agli incontri hanno partecipato, tra gli altri, il governatore della provincia di Badghis, il district manager, gli 'helder' locali e il generale Carmine Masiello, comandante della regione Ovest. Una delle principali richieste avanzate dagli anziani e dalle autorità locali è la necessità di poter disporre di energia elettrica e proprio per questo è stata analizzata la possibilità che Isaf fornisca gruppi elettrogeni. Si è anche discusso della possibilità di realizzare una rete elettrica con la fornitura di energia proveniente dai paesi confinanti. (ANSA 17 GIUGNO). AFGHANISTAN:AL VIA NUOVO PRONTO SOCCORSO EMERGENCY A GARMSIR Sono iniziate oggi le attività cliniche del nuovo Posto di primo soccorso di Emergency a Garmsir, situato nella provincia di Helmand, nel sud dell'Afganistan. Lo rende noto la stessa organizzazione umanitaria italiana. Aperto tutti i giorni 24 ore su 24, la nuova struttura offre servizi di primo soccorso alle vittime della guerra, delle mine antiuomo, ai feriti da incidenti stradali o da trauma. I casi più gravi, dopo essere stati stabilizzati, vengono trasportati in ambulanza al Centro chirurgico di Lashkar-gah, sempre gestito da Emergency. Con l'apertura del Posto di Garmsir diventano 28 i Posti di primo soccorso e i Centri sanitari attivi nel paese, che Emergency ha aperto per offrire cure tempestive anche agli abitanti dei villaggi più isolati. (ANSA 17 GIUGNO).

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28 / 39 AFGHANISTAN: RICETTA MILITARE E CIVILE PER USCIRE DALLA CRISI L'Afghanistan vive una situazione complessa e instabile dalla quale può venire fuori con un impegno lungo le tre direttive della sicurezza, governance e sviluppo economico e sociale. E' questa una delle conclusioni a cui sono giunti i relatori della tavola rotonda, le “Lessons learned” dall'Afghanistan, organizzata dall'istituto Affari internazionali in collaborazione con Finmeccanica e l'istituto di studi strategici Chatham house. La prima lezione, secondo il generale Biagio Abrate, capo di stato maggiore della Difesa, consiste nell'imparare "a riconoscere gli insorgenti, di cui i talebani sono solo una parte, che gode del sostegno della popolazione afghana, seppure forzato dalla mancanza di sviluppo e alternative. "Gli insorti, sottolinea Paul Cornish, direttore del programma 'Sicurezza internazionale' di Chatham house non è così popolare e solo il 13% della popolazione gli sostiene". Da qui, l'importanza di conquistare il consenso della popolazione, ricorda Abrate, dando "una concreta alternativa" che si traduce in "stato di diritto, erogazione di servizi sociali e sviluppo economico". Lo strumento militari, infatti, non e' sufficiente, ha confermato il generale Vincenzo Camporini, consigliere della Farnesina per gli aspetti militari, secondo il quale "la comunità internazionale ha capito che i problemi di crisi non vengono risolti solo con la componente militare, che e' un pre-requisito", al quale bisogna affiancare sforzi sul piano civile. Si tratta di un mix di strumenti, enunciati da Gabriele Checchia, inviato speciale della Farnesina per l'Afghanistan e il Pakistan, che al controterrorismo somma "lo state building e lo sviluppo". Una ricetta che "sta mostrando di funzionare" e per questo bisogna "continuare a puntare su questo trittico". La situazione, ha aggiunto, richiede "un ricorso intelligente al soft power, complementare all'uso dell'attività cinetica sul terreno". Dello stesso avviso, il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, che ha sottolineato come si tratta di "un problema di sviluppo: se riusciremo a dare occupazione, sviluppo e liberazione dalle necessità quotidiane, l'Afghanistan avrà la capacità di difendere se stesso da coloro che lo vogliono riportare al medioevo". In questo quadro, non bisogna dimenticare l'importanza della dimensione regionale. La stabilizzazione dell'Afghanistan richiede infatti "la partecipazione dei Paesi confinanti, Pakistan e Iran", ha ricordato Abrate, seguito da Checchia, che ha sottolineato come ci sia "un vicino ingombrante ma necessario, il Pakistan, e poi c'è anche l'Iran". Quanto al ritiro fissato per la fine del 2014, è "un obiettivo tendenziale", ha ribadito l'inviato speciale della Farnesina, a cui ha fatto eco Camporini, per il quale la transizione è un fenomeno che ha i suoi tempi e il suo sviluppo". L'importante, ha concluso Checchia, è che "la comunità internazionale non ripeta l'errore commesso in passato dai sovietici, di lasciare il Paese al suo destino perché altri hanno riempito quel vuoto". (AGI 16 GIUGNO). IL CRICKET DI STRADA A KABUL La grande popolarità del cricket nelle ex colonie britanniche ha avuto negli anni Novanta la conseguenza di contagiare i molti rifugiati afgani in Pakistan. Fondata nel 1995, la Federazione Afgana Cricket era stata poi sciolta dai talebani, che vietarono il cricket come tutti gli sport. La Federazione è stata ricostituita nel 2000 e nel 2001 è diventata membro dell’ International Cricket Coucil (ICC), la federazione internazionale del gioco. Ora il cricket sta tornando a essere molto popolare in Afghanistan: viene giocato ovunque, nelle strade e in campi improvvisati, e le partite della squadra nazionale sono molto seguite. La nuova esplosione del cricket in Afghanistan è stata raccontata da un documentario che si chiama Out of the Ashes e ha come protagonista proprio la nazionale afgana di cricket. Out of Ashes è stato girato nel corso dei due anni in cui la squadra nazionale di cricket dell’Afghanistan ha giocato le qualificazioni per la Coppa del Mondo di cricket del 2011. Il documentario segue i giocatori dai primi allenamenti in abiti tradizionali su campi invasi dalle macerie fino alle trasferte in giro per il mondo (a partire dall’Isola di Jersey). Racconta poi la storia del primo allenatore, un appassionato dilettante poi licenziato in favore di un allenatore professionista, quando la squadra ha cominciato ad avere successo. Il documentario mostra un Afghanistan diverso da quello che siamo abituati a vedere, ha ricevuto recensioni positive e il premio speciale della giuria di Peace and Sport, un’organizzazione che promuove la pace attraverso l’attività sportiva. La nazionale afgana alla fine non si è qualificata per i mondiali, ma si è guadagnata il diritto di partecipare ai One Day International fino al 2013. (IL POST.IT 16 GIUGNO)

COMMENTI (DI Più)_______________________________________________________________ L'OMBRA DEL MULLAH SUL RITIRO DA KABUL Il 22 agosto del 1998 il mullah Omar chiama il centralino del Dipartimento di Stato americano, gli passano un funzionario di medio livello. Il leader talebano offre i suoi consigli da far arrivare al presidente Bill Clinton che ha appena ordinato di bersagliare i campi d'addestramento di Al Qaeda in Afghanistan con i missili da crociera. «Bombardare non serve», dice con voce calma il mullah. «Produrrà solo nuovi attacchi terroristici». Conclude: «E il suggerimento migliore che vi posso dare». Tredici anni dopo Omar resta nascosto e al

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29 / 39 telefono con gli americani non ha più parlato, come ricordava Steve Coll sul New Yorker. Anche i contatti tra Washington e la shura di Quetta, la cupola in Pakistan che coordina le operazioni del movimento fondamentalista, sono solo «preliminari», ha ammesso Robert Gates. Il capo del Pentagono ancora per una decina di giorni ha ripetuto a Ba-rack Obama che la pressione militare è fondamentale per costringere gli insorti al negoziato. Il presidente rivelerà questa sera (parla dalla Casa Bianca all'ora locale di cena) quanto lo abbia ascoltato. L'amministrazione ha lasciato filtrare qualche numero, le anticipazioni consuete prima di un discorso alla nazione. Obama deve dimostrare di aver mantenuto la promessa fatta, quando ha scelto di inviare trentamila militari in più. Di questi, avrebbe deciso di ritirarne cinquemila a luglio e altrettanti entro la fine dell'anno. La partita tra i generali e chi come il vicepresidente Joe Biden vuole un ripiegamento rapido si gioca sugli altri ventimila. Il calendario che segue i cicli della guerra e le stagioni (in inverno si combatte poco) fa la differenza: se restano tutti fino alla fine del 2o12, significa garantire agli ufficiali ancora un paio di offensive a regime quasi pieno. Fino a quella scadenza, il ritmo dei rimpatri — e quali unità richiamare — verrebbe definito da John Allen, il generale dei marines che sostituirà David Petraeus, il comandante della coalizione in uscita verso la Cia. Prima del «s'urge» concesso nel dicembre 2009, in Afghanistan erano già schierati sessantottomila tra uomini e donne. La data per il disimpegno della maggior parte del contingente è legata alla promessa di Ha-mid Karzai, il presidente afghano: da qui al 2014, le forze di sicurezza locali dovrebbero essere in grado di controllare il Paese da sole. Ancora tre anni sono troppi per il 56 per cento degli americani che — secondo un sondaggio del centro Pew — vorrebbe riportare a casa le truppe il più presto possibile. A loro Obama deve trasmettere il messaggio che la guerra più lunga combattuta dagli Stati Uniti non è senza fine. (CORRIERE DELLA SERA 22 GIUGNO DI DAVIDE FRATTINI) OBAMA: "VIA DALL'AFGHANISTAN 10MILA UOMINI" Promessa mantenuta, da quest'estate ha inizio il ritiro delle truppe americane dall'Afghanistan: cinquemila subito, poi altri cinquemila entro la fine dell'anno. Lo annuncerà questa sera alla nazione Barack Obama, in un discorso dalla Casa Bianca alle otto (le due di notte in italia).Afine2012ilpresidente conta di riportare a casa tutti i 33.000 soldati del "surge", l'escalation delle truppe che lui stesso aveva deciso nel dicembre 2009. Sarà quindi ridotto di un terzo il contingente americano (oggi centomila soldati) quando il presidente affronterà gli elettori per conquistarsi un secondo mandato nel novembre dell'anno prossimo. Il segretario alla Difesa Robert Gates ieri ha ammesso che la decisione sul calendario e sulle dimensioni del ritiro ha dovuto tener conto di spinte contrastanti. Da una parte, ha detto Gates, c'è «una nazione stanca di un decennio di guerre». Tutti i sondaggi lo confermano: perla maggioranza degli americani la presenza militare in Afghanistan non ha più ragion d'essere. Per il Congresso, lacerato sui tagli da fare al deficit pubblico, l'onere militare è insopportabile: ufficialmente quest'anno l'Afghanistan costa 112 miliardi di dollari al contribuente. Ma sul versante opposto ci sono i generali: furono loro a premere su Obama per ottenere il "surge", spuntandola contro chi avrebbe smobilitato già a fine 2009 (il vicepresidente Joe Biden). Ora i generali, con in testa David Petraeus che comandale forze alleate in Afghanistan e presto passerà alla Cia, sostengono che l'escalation di truppe è stata decisiva per rovesciarelesorti della guerra. E non vogliono trovarsi con un dispositivo indebolito, proprio in una fase in cui bisogna fare il pressing finale sui Taliban, costringere almeno una parte di loro a un accordo politico sul futuro del paese. Quella è la condizione perché il ritiro finale delle truppe da combattimento della Nato non riapra una guerra civile e un ritorno al potere dei nemici storici. Ma il ritiro a partire da questa estate 2011 è una promessa solenne che Obama fece agli americani nel dicembre 2009. E tanto più vincolato a mantenerla, ora che Osama Bin Laden è stato ucciso: la fine del capo di Al Qaeda ha eliminato una delle ultime giustificazioni perla costosa mobilitazione militare, agli occhi dell'opinione pubblica americana. La conferenza dei sindaci delle città Usa ha votato una risoluzione chiedendo a Obama di finire le guerre e spendere quelle risorse per sostenere l'occupazione. Perfino i repubblicani voltano pagina rispetto alla tradizione: un'insolita coalizione bipartisan vuole rimettere in discussione anche l'intervento militare in Libia, e la mobilitazione di un "falco" anti-Gheddafi come John McCain è minoritaria rispetto all'isolazionismo che monta nella destra. (LA REPUBBLICA 22 GIUGNO DI FEDERICO RAMPINI) QUATTRO STRADE PER LASCIARE KABUL Il ruolo americano in Afghanistan si avvia alla conclusione con una modalità che ricalca lo schema di altre tre guerre non decisive dai tempi della vittoria alleata nel secondo conflitto mondiale: consenso iniziale, crescente disillusione con il trascinarsi della guerra, che si traduce in una ricerca di una strategia di uscita, con enfasi sull'uscita più che sulla strategia. L'intervento americano in Afghanistan doveva punire i talebani per aver dato asilo ad al-Qaida artefice degli attacchi dell'u settembre. Dopo una rapida vittoria, le forze statunitensi sono rimaste per creare uno Stato post-talebano. Il processo si è scontrato con la realtà: la nazione afghana trova ragione di esistere nel contrasto alle forze di occupazione. Quando gli eserciti stranieri

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30 / 39 si ritirano, la politica afghana diventa di nuovo una lotta per il territorio e la popolazione condotta da vari gruppi tribali. Nel dibattito, l'esito inconcludente è stato attribuito al dirottamento di risorse verso l'Iraq, invece che all'intrinseca improbabilità di questo sforzo. L'amministrazione Obama ha combinato il ritiro dall'Iraq con un consistente incremento di truppe e attrezzature in Afghanistan, un impegno che ho appoggiato nella sostanza. Ora abbiamo raggiunto il limite. L'obiettivo di creare un governo e una struttura di sicurezza alla quale si possa trasferire la responsabilità della difesa dell'Afghanistan è considerato da molti irraggiungibile entro il 2014, data fissata dalla maggior parte dei Paesi Nato come termine ultimo dello sforzo comune. I sondaggi mostrano che oltre il 70% degli americani ritengono che gli Usa dovrebbero ritirarsi. La ricerca di un'alternativa ha assunto la forma di trattative sotto l'egida della Germania fra rappresentanti del mullah Omar, capo dei talebani, e funzionari americani. Quasi tutti gli osservatori vedranno questa iniziativa come l'inizio di un inesorabile ritiro. La morte di bin Laden, per quanto irrilevante sotto il profilo operativo nel conflitto, è uno spartiacque. Eppure resta la sfida di come concludere lo sforzo senza gettare le basi di un conflitto più ampio. Affinché la trattativa si traduca in una strategia di uscita realistica, servono quattro elementi: un cessate il fuoco, il ritiro di tutte o quasi le forze americane e alleate, la creazione di un governo di coalizione o una divisione dei territori fra le parti contendenti (o entrambe le cose) e un rigoroso meccanismo di attuazione degli accordi. Il rispetto delle intese è cruciale: dopo decenni di guerra civile, difficilmente le parti si sentiranno vincolate da un accordo. I talebani cercheranno di prendere il controllo del governo di coalizione odi violare il cessate il fuoco. Senza un meccanismo di attuazione credibile, qualsiasi negoziato con i talebani, le cui forze restano mentre le nostre se ne vanno, è destinato al collasso. Questo vale soprattutto laddove le trattative siano accompagnate dai ritiri. Quanto più rapido sarà il ritiro immediato, tanto più difficile si rivelerà il processo di negoziazione. Dobbiamo scegliere le priorità. Un meccanismo di attuazione può essere costituito dalla permanenza di truppe americane residue, qualche garanzia o presenza internazionale oppure, la soluzione migliore, una combinazione dei due elementi. Un ritiro totale sarebbe defmitivo, senza alcuna illusione di nuovi interventi. L'esito del conflitto in Afghanistan è un problema politico internazionale, per quanto il ruolo predominante degli Usa possa offuscare questa verità. La percezione che la maggiore potenza mondiale sia stata sconfitta darebbe impulso allo jihadismo regionale e globale. L'Islam militante sarebbe incoraggiato ad amplificare tattiche analoghe nel Kashmir o in India, replicando l'attacco al parlamento indiano del 2001 o quello a Mumbai del 2008. Lo scopo di un processo di questo tipo sarebbe una guerra di prossimità che sfrutta le divisioni etniche in Afghanistan e altrove, soprattutto fra India e Pakistan, Paesi dotati di armi nucleari. Gli altri vicini dell'Afghanistan sarebbero esposti a un rischio analogo, qualora un governo o una regione sotto controllo talebano ripristinassero le consuetudini talebane. Tutti i vicini sarebbero minacciati: Russia, nel Sud in parte musulmano, Cina nello Xinjiang, Iran sciita pervia delle correnti fondamentaliste sunnite. A sua volta, il vuoto politico stimolerebbe la tentazione dell'Iran di armare milizie settarie, strategia già adottata in Libano e Iraq. Le complessità di una strategia di uscita sono molteplici, considerando le relazioni tese fra Pakistan e Iran. Questi Paesi non hanno l'opzione del ritiro dalla zona. Sei loro interessi in Afghanistan non sono collegati a quelli americani, l'Afghanistan vivrà sotto una minaccia permanente. Senza un accordo che definisca il ruolo di sicurezza dell'Afghanistan, i Paesi vicini sosterranno fazioni rivali attraverso antiche linee etniche. Questa è la ricetta di un conflitto più ampio. L'Afghanistan potrebbe giocare un ruolo analogo a quello dei Balcani alla vigilia della prima guerra mondiale. Un esito di questo tipo minerebbe la sicurezza dei Paesi confinati con l'Afghanistan, più che dell'America. Serve uno sforzo diplomatico in parte regionale e in parte globale che accompagni la trattativa diretta con i talebani. Fintanto che l'America sosterrà l'onere maggiore, i vicini degli afghani potranno evitare decisioni difficili. Nel momento in cui il ritiro statunitense alla fine del conflitto sarà reso esplicito e inesorabile, saranno costretti a riconsiderare la situazione. La scadenza formale stabilita dalla Nato, quella implicita dell'amministrazione Obama e l'umore dell'opinione pubblica rendono impossibile portare avanti una guerra civile a tempo indeterminato. Un ritiro immediato rischierebbe di rivelarsi controproducente. Urge un intervento di diplomazia multilaterale che definisca quale interesse di sicurezza internazionale comune la messa al bando dei centri di addestramento e delle infrastrutture terroristiche in Afghanistan. Si potrebbe fissare una data entro cui raggiungere un livello di presenza residua, diciamo da qui a 18-24 mesi. Qualora dovesse emergere un meccanismo di attuazione internazionale affidabile, le forze Usa rimaste potrebbero farne parte. Una conferenza regionale è l'unica strada per assicurare il rispetto di qualsiasi accordo bilaterale con i talebani. Se il processo si dimostrerà impraticabile, i vicini dell'Afghanistan dovranno affrontare da soli le conseguenze della loro abdicazione. Dopo i ritiri degli Usa dall'Iraq e dall'Afghanistan e i limiti imposti dalla rivoluzione egiziana al respiro dell'azione strategica americana, una nuova definizione della leadership americana e dell'interesse nazionale degli Usa è imprescindibile. La stabilizzazione sostenibile degli assetti nella regione afghana sarebbe un buon inizio. (Traduzione di Francesco Marchei). (IL SOLE 24 ORE 22 GIUGNO DI HENRY KISSINGER)

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31 / 39 STATI UNITI: BARACK OBAMA ANNUNCIA IL SUO RITIRO DALL’AFGHANISTAN Barack Obama ha un timing per l’Afghanistan: il 2012. La Data Promessa. Il suo impegno (personale) per il disimpegno (americano) da Kabul. L’annuncio dell’inizio del ritiro delle truppe statunitensi viene dato in un discorso alla nazione, mercoledì sera. La forma è solenne. Il contenuto (forse) un poco meno. Barack Obama vuole spiegare ai suoi concittadini quale strada ha scelto per tenere fede alle sue promesse; quanti soldati (dei 30.000 inviati come rinforzo l’anno scorso), e soprattutto quando intende farli partire dell’Afghanistan per riportarli a casa. L’amministrazione è divisa. I suoi generali gli hanno detto che il ritiro deve essere prudente e molto graduale per evitare possibili ripercussioni sul sistema di sicurezza statunitense a Kabul. Della stessa idea è il Segretario alla Difesa (uscente) Robert Gates. David Petraeus (ora capo della Cia, ma fino a ieri comandante delle truppe in Afghanistan), in un recente incontro con Obama gli ha detto che l’opzione migliore sarebbe quella che prevede il ritiro di 4- 5.000 soldati entro la fine dell’anno, per poi andare a un’ulteriore riduzione nel periodo seguente. Joe Biden, il vicepresidente, vorrebbe invece il ritorno a casa di 10.000 soldati entro il 2011, per poi andare al ritiro di tutti e i 30.000 inviati a Kabul entro il 2012, in tempo per le elezioni presidenziali dell’autunno del prossimo anno. Biden, all’epoca contrario all’invio dei rinforzi, ora, dopo la morte di Osama Bin Laden, chiede al presidente di dar retta a lui e non più ai suoi generali. E’ probabile che Barack Obama scelga una via di mediazione: ritirare 5.000 soldati subito, altri 5.000 entro il prossimo inverno quando, a causa delle condizioni climatiche, i combattimenti saranno più rari e sporadici, e, infine, completare il disimpegno degli altri 20.000 gradualmente, a scaglioni, nell’anno 2012. Se questa sarà la strada, Barack Obama avrà portato a compimento il suo ritiro dall’Afghanistan, non quello degli Stati Uniti. Nel Paese rimarranno, infatti, almeno 70.000 soldati americani, un numero di militari ben più alto rispetto a quello che si trovava nel paese dell’Asia Centrale quando Obama è diventato presidente. Un numero che sarà sufficiente a mantenere il controllo della situazione solo se gli afghani saranno in grado di mettere in piedi un efficace sistema di sicurezza e i talebani non saranno più così agguerriti (magari grazie a un accordo con loro dopo i colloqui che sono in corso con gli statunitensi). Nel caso contrario, è evidente che il ritiro dei 30.000 (se verrà confermato) avrà più il sapore di una fuga che di un ritorno a casa delle truppe. Barack Obama vuole mandare un messaggio chiaro alla pubblica opinione americana: intende chiudere la pagina bellica americana in Afghanistan. Questa è la “Sua” guerra, quella che non ha iniziato, ma che vuole assolutamente terminare. L’uccisione di Osama Bin Laden e il costo (in miliardi di dollari) del conflitto sono due argomenti importanti per spiegare agli americani (la maggioranza dei quali è contraria alla guerra) il perché e soprattutto la bontà della sua exit strategy da Kabul. (PANORAMA.IT 21 GIUGNO DI MICHELE ZURLENI) LA BATTAGLIA DELLA “VALLE DELLE ROSE” Il suo nome significa valle delle rose anche se il fiore più diffuso nella Valle del Gulistan è senza dubbio il papavero da oppio il cui raccolto è appena terminato. Il distretto del Gulistan, nell’est della provincia di Farah, costituisce l’area più difficile per i militarti italiani del contingente schierato in Afghanistan che la presidiano da appena nove mesi. Nel settembre scorso gli alpini del Settimo reggimento ereditarono dai marines statunitensi e dalle truppe georgiane (che da queste parti avevano ottenuto ben pochi successi contro i talebani) tre basi fatiscenti e spartane. Entro dicembre ben sei militari italiani sono caduti sotto il fuoco nemico tra Bakwa e Gulistan, il prezzo pagato per stabilizzare almeno le aree circostanti le postazioni italiane: le basi avanzate (Fob) di Camp Lavaredo, Ice e l’avamposto Snow. Un combat out post come lo definisce la Nato nel quale il 31 dicembre scorso venne ucciso il caporalmaggiore Matteo Miotto. Arrivare in elicottero alla Fob Ice è il modo migliore per rendersi conto che il termine “base” è un po’ esagerato per un accampamento di tende polverose circondato da muri di hesco-bastion, reti metalliche rivestite di tela e riempite di terra: il miglior antidoto contro le autobomba. Gli elicotteri, spesso quelli statunitensi, sono del resto gli unici mezzi che collegano le tre basi italiane nell’est della provincia di Farah poiché gli 80 chilometri della Strada 522 che le unisce non sono percorribili se non mobilitando un ingente numero di truppe e mezzi a causa degli ordigni e delle imboscate dei talebani. Da febbraio, le tre basi sono presidiate dai paracadutisti del 186° reggimento Folgore di Siena, circa 200 dei quali accampati in Gulistan. Il tenente colonnello Sergio Cardea ci accoglie ala Fob Ice informandoci dell’ultimo scontro sostenuto dai sui uomini, parà della Quindicesima compagnia affiancati da genieri e ricognitori, attaccati durante la notte nei pressi di un villaggio nel quale il matttino successivo avrebbero dovuto incontrare il “consiglio degli anziani”. Uno scontro durato un paio d’ore che non ha provocato feriti tra gli italiani ma probabilmente diversi caduti tra gli assalitori. “Con le forze afghane controlliamo una bolla di sicurezza di 15 chilometri per 5 abitati da circa un terzo dei circa 50 mila abitanti del distretto” spiega Cardea. “Una bolla che contiamo di ampliare con l’arrivo di altre truppe afghane e la costituzione di una local police (le milizie di villaggio, ndr) composta da 300 uomini”. Per aiutarci a comprendere meglio la situazione nell’area più calda dell’Ovest afghano situata a pochi chilometri dall’infuocata a provincia di Helmand (i primi avamposti britannici e dei marines sono poche decine di

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32 / 39 chilometri più a sud) il tenente colonnello Cardea ci invita ad assistere a un incontro con il governatore locale e i responsabili di esercito, polizia e intelligence afghana. “Abbiamo bisogno di più forze ed equipaggiamenti per difenderci dai talebani che hanno già tentato di uccidermi con cinque attentati” sottolinea Mabhor Qasin Khan, governatore del distretto del Gulistan, che conferma la presenza tra le montagne di miliziani di Al Qaeda, per lo più pachistani, basati nel villaggio di Ahmanendab. Il maggiore dell’esercito afghano lamenta la carenza di truppe, appena una cinquantina di soldati, e la necessità di disporre di mezzi, equipaggiamenti e armi più efficaci che il suo comando fatica a inviare da Farah anche a causa delle strade insicure. La strategia population centric degli italiani si basa sul coinvolgimento della popolazione nei programmi di assistenza e sviluppo che includono anche interventi sanitari e veterinari in un’area poverissima, priva di comunicazioni telefoniche e dove l’aspettativa di vita è 45 anni. Ad aumentare il consenso popolare alla presenza italiana ha contribuito il soccorso offerto il 21 marzo ai civili colpiti da un ordigno stradale talebano, molti dei quali sono stati evacuati con gli elicotteri. Gli stessi mezzi che riforniscono di viveri e munizioni gli avamposti italiani nei quali persino il carburante per i gipponi blindati Lince arriva dal cielo grazie agli aviolanci paracadutati effettuati dai cargo C-27 e C-130 che l’Aeronautica ha basato a Herat. Nel capoluogo dell’Ovest afghano la transizione della sicurezza nelle mani degli afghani inizierà tra pochi giorni. Qui in Gulistan, 300 chilometri più a sud, è prevista solo nel 2014. (PANORAMA BLOG 21 GIUGNO DI GIANANDREA GAIANI) ECCO I NOMI DEI TALEBANI CON CUI L'OCCIDENTE PROVA A TRATTARE Con chi parlare? Sabato l'annuncio del presidente afghano, Hamid Karzai, domenica la conferma del segretario americano alla Difesa, Robert Gates. Gli Stati Uniti (e la Gran Bretagna) non si limitano a sostenere il dialogo tra Kabul e i talebani, ma conducono trattative autonome con esponenti degli studenti coranici, negoziati non sempre coordinati col governo afghano. "Direi che i contatti sono assolutamente preliminari a questo stadio", ha precisato Gates. Le indiscrezioni provenienti da ambienti militari e diplomatici, però, sembrano indicare qualcosa di più, considerato che Londra e Washington hanno chiesto due settimane fa alle Nazioni Unite di rimuovere 18 nomi dalla lista nera che comprende quasi quattrocento persone legate ai talebani e ad al Qaida, inclusi uomini non proprio secondari nella gerarchia talebana. Tra questi, secondo quanto riportato dal Guardian, vi sarebbero Mohammed Qalamuddin, ex capo della polizia religiosa del regime talebano, e Arsala Rahmani, ex ministro dell'Istruzione, attualmente indicato come intermediario tra il governo di Kabul e il network talebano degli Haqqani. La lista degli esponenti talebani da sottrarre alle misure restrittive previste dall'Onu potrebbe includere fino a una cinquantina di persone la cui maggiore libertà di movimento potrebbe consentire di aprire una diplomazia talebana per negoziare direttamente con Kabul e gli anglo-americani. Turkmenistan, Turchia e Qatar si sono resi disponibili a ospitare la sede della rappresentanza talebana mentre il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha espresso sostegno ai negoziati, istituendo due liste separate per i miliziani colpiti dalle sanzioni dell'Onu: una per i terroristi di al Qaida (253), l'altra per i talebani (138). La riforma della "blacklist" è stata apprezzata anche dal vicepresidente dell'Alto Consiglio per la pace afghano, Mawlawi Ataullah Ludin, secondo il quale "gli Stati Uniti hanno avuto in questi mesi più contatti con i talebani di quanti ne abbiano le autorità dell'Afghanistan". Creato dal presidente Karzai nell'ottobre 2010 per trattare con i talebani, il Consiglio per la pace è un organismo che raccoglie esponenti dei vari gruppi etnici afghani, ex rappresentanti dei talebani, ex signori della guerra e membri dell'Alleanza del nord. Finora soltanto 1.700 miliziani talebani hanno aderito al programma di riconciliazione nazionale varato da Kabul. Il futuro del settore della Folgore I negoziati diretti potrebbero influire anche sui tempi del ritiro dei primi soldati statunitensi dall'Afghanistan - la partenza dei soldati stranieri è una delle condizioni richieste dai talebani per iniziare a trattare. Ufficialmente la questione riguarderebbe soltanto le scelte politiche del presidente americano Barack Obama (e delle leadership europee), per il quale il calendario del rimpatrio delle truppe non può che essere legato alle elezioni presidenziali del novembre 2012. Un annuncio della Casa Bianca in proposito sarebbe però "imminente", come ha dichiarato a Kabul il portavoce delle forze Nato (Isaf), il generale tedesco Josef Blotz, aggiungendo di prevedere un pronunciamento entro un paio di giorni. Anche Parigi potrebbe annunciare presto l'inizio del ritiro dei quattromila militari francesi schierati tra Kabul, Surobi e la provincia di Kapisa. "I ministri degli Esteri e della Difesa ci hanno detto - riferisce il generale Philippe Pon-ties al Monde - che l'obiettivo di un parziale ritiro durante la seconda metà del 2011 è un opzione di studio aperta". A favore, invece, del mantenimento del livello attuale di forze alleate - intorno ai 150 mila effettivi- vi sono il segretario alla Difesa Robert Gates, il generale David Petraeus (entrambi, però, a fine mandato) e i vertici militari britannici, che temono che un ritiro affrettato possa compromettere i successi conseguiti sul campo negli ultimi dodici mesi. Non è previsto, invece, alcun ritiro statunitense dal settore occidentale dell'Afghanistan, posto sotto il comando del generale italiano Carmine Masiello, alla testa dei paracadutisti della Folgore. Degli ottomila soldati alleati a disposizione del Regional Command West, ben quattromila sono italiani. Sono schierati insieme a circa duemila americani - le task force "Comanche", "Ryder" e "Ghost" -, composte da un battaglione di paracadutisti dell'82esima

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33 / 39 divisione e da un battaglione di fanti della Decima divisione da montagna. In tutto, contano su una cinquantina di elicotteri. Le unità sono prossime all'avvicendamen-to dopo il turno di missione - che per gli americani dura un anno, contro i sei mesi dei contingenti europei - ma senza subire riduzioni d'organico. Lo conferma al Foglio il generale Carmine Masiello: dal comando di Herat dichiara che "dalle indicazioni che ho ricevuto, non è prevista nessuna riduzione delle truppe statunitensi. Anzi, alcune capacità verranno migliorate". Del resto, nell'ovest è schierato meno del due per cento dei circa centodiecimila militari statunitensi presenti in tutto l'Afghanistan. I migliori amici dei fondamentalisti. Continuano i colpi bassi tra Cia e Isi (l'intelligence militare di Islamabad), ai ferri corti dopo l'arresto da parte delle forze di sicurezza pachistane - e la successiva scomparsa - degli informatori che avevano cooperato con le forze speciali americane nel blitz in cui è stato ucciso il leader jihadista Osama bin Laden. L'ultima conferma del sostegno che l'Isi garantisce ai talebani afghani è giunta grazie a una trappola dell'intelligence americana. Per la seconda volta nel giro di un mese, la Cia ha segnalato alle forze pachistane la posizione di due fabbriche clandestine di Ied, le mine stradali che in Afghanistan sono responsabili del 60 per cento delle perdite tra le forze alleate. Sorvegliando la zona con i droni Predator e Rea-per, la Cia ha notato che, poco dopo aver segnalato le fabbriche agli agenti segreti di Islamabad, i miliziani provvedevano a trasferire il materiale esplosivo altrove. Una volta "ripuliti", i siti venivano ispezionati dalle truppe pachistane, che ovviamente non trovavano nulla. Secondo il New York Times, resta soltanto da chiarire se la fuga di notizie sia dovuta alla presenza di infiltrati filo talebani tra le file dell'intelligence pachistana o se ci sia un canale diretto per lo scambio d'informazioni tra i miliziani e l'Isi - in barba agli oltre dodici miliardi di dollari di aiuti con cui la Casa Bianca ha foraggiato l'esercito di Islamabad, a partire dal 2002. (IL FOGLIO 21 GIUGNO) IN AFGHANISTAN DIECI ANNI BUTTATI «Gli Stati Uniti cominciano a perdere il desiderio di stare in Afghanistan: l'ambasciatore americano a Kabul Karl Eikenberry ha risposto a muso duro alle accuse di essere un «potenza occupante rivolta giorni fa dal presidente afghano Hamid Karzai. Una polemica che fa intendere come l'imminente annuncio di Barack Obama del ritiro di 15-30.000 militari e le reiterate affermazioni del Segretario alla Difesa Robert Gates sulle trattative con i Talebani, non siano affatto una scelta tattica, ma il sintomo di una consistente crisi della stessa presenza Usa e Nato a Kabul. L'ambasciatore Usa non ha usato perifrasi: «L'America non ha mai occupato alcuna nazione al mondo, siamo venuti qui nel 2001 per sconfiggere il terrorismo internazionale e aiutare a rimuove -re il velo scuro di 20 annidi conflitto. Ma se si vorrà far credere che in Afghanistan gli Usa fanno più male che bene, potrebbero cominciare a ritenere che i loro soldati e i loro civili si sacrificano senza una giusta causa e i cittadini potrebbero chiedere di riportare subito a casa i sol-dati*. Esattamente questo chiedono molti esponenti del Congresso Usa, repubblicani come democratici, a dimostrazione che le richieste di disimpegno che la Lega avanza in Italia non sono affatto estemporanee, ma sono parte di una riflessione critica che parte dagli Usa. La stessa Francia di ha già annunciato il ritiro del suo contingente di 4.000 uomini entro il 2011, prima chele presidenziali entrino nel vivo, proprio per evitare a Nicolas Sarkozy di pagare in termini elettorali lo scotto di una missione decennale dagli esiti ambigui. In questo contesto, non fanno chiarezza, ma aumentano i dubbi dei numerosi critici della missione, le notizie circa le trattative con i Talebani riportate per la prima volta ufficialmente da Kauai e confermate da Gates. L'interrogativo è semplice e non ha avuto risposte convincenti: si tratta con leader Talebani che effettivamente controllano larga parte dei combattenti, evi sono segnali di una loro disponibilità ad arrivare ad un accordo per deporre le armi e per una collaborazione pacifica con il governo Karzai? Oppure si tratta con leaders marginali, che non garantiscono affatto una pacificazione effettiva? Interrogativo avvalorato dallo stesso Robert Gates che ha dichiarato: «È fondamentale capire chi rappresenta davvero i Talebani prima di avviare discussioni serie, perché non vogliamo trovarci a discutere con qualcuno che in realtà è un indipendente. Di certo, l'uccisione di Osama Bin Laden è stata un duro colpo anche per i Talebani, ma più sul piano psicologico - che comunque in guerra pesa - che su quello fattuale, perché i Talebani erano e sono altra cosa rispetto ai combattenti "arabi" di Al Qaida. Certo è che sinora il progetto Nato di recupero - pagato - dei Talebani finanziato da Washington con 140 milioni di dollari, non ha dato consistenti frutti. Il New York Times riporta il giudizio del generale Phil Jones, responsabile Nato del programma, secondo il quale dei 1.700 combattenti che hanno aderito, solo pochissimi sono comandanti di medio livello e i due terzi provengono dal nord dell'Afghanistan dove gli insorti sono meno attivi rispetto al sud del Paese; soprattutto, 1.700 persone sono pochissime rispetto al numero complessivo dei Talebani, stimato tra i 20mila e i 40mila combattenti. Inoltre, scrive il giornale, “molti combattenti che hanno aderito al programma potrebbero persino non essere Talebani, ma solo uomini armati”. Non tutto è chiaro a Kabul e dintorni. (LIBERO 21 GIUGNO DI CARLO PANELLA)

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34 / 39 AFGHANISTAN: IL PENTAGONO PREME SU OBAMA PER RITARDARE IL RITIRO DELLE TRUPPE DA KABUL La notizia l’ha rivelata il Wall Street Journal, ma non è certo una novità: i militari statunitensi stanno premendo sul presidente Barack Obama per ritardare l’avvio del ritiro dall’Afghanistan, previsto tra poche settimane. Secondo il quotidiano Usa, il Pentagono suggerisce alla Casa Bianca di mantenere elevato il livello dei militari fino all’autunno del 2012 per consentire di completare molte operazioni di sicurezza e strappare ai talebani il controllo di alcune aree del Paese. L’obiettivo dei militari è far rimanere nel Paese una parte significativa dei circa 33 mila rinforzi inviati all’inizio della presidenza Obama e rivelatisi decisivi per i combattimenti contro i talebani specie nelle province più calde di Helmand e Kandahar. Obama si era impegnato già l’anno scorso a iniziare il ritiro a luglio e un cambio di linea su questo tema delicato potrebbe avere conseguenze sulla campagna elettorale per le presidenziali del 2012. La casa Bianca prevedeva infatti di rimpatriare i 33 mila rinforzi aggiuntivi prima delle elezioni. Se anche seguisse le indicazioni del Pentagono, il presidente potrebbe però riportare a casa un buon numero di soldati proprio alla vigilia del voto. Aldilà delle valutazioni politiche ed elettorali, mantenere inalterato il livello numero di truppe statunitensi (100 mila) e alleate (150 mila inclusi gli americani) consentirebbe di consolidare meglio il processo di transizione dei compiti di sicurezza dalle truppe della Nato a quelle afghane. La questione è stata anche al centro dell’incontro di giovedì tra il presidente Obama e il generale David Petraeus, comandante delle truppe alleate in Afghanistan. Petraeus è da sempre contrario ad anticipare il ritiro delle truppe alleate per non rischiare di compromettere i successi conseguiti fino ad oggi. Una posizione sostenuta dal segretario alla Difesa Robert Gates. Sia Petraeus che Gates sono però a fine mandato. L’eventuale ritiro di truppe statunitensi non sembra interessare il settore Occidentale posto sotto il comando italiano nel quale operano circa 2 mila soldati statunitensi, per lo più paracadutisti della 82a divisione, fanti ed elicotteristi. “Dalle indicazioni che ho non è prevista nessuna riduzione delle truppe statunitensi” ha detto a Panorama.it il generale Carmine Masiello che da Herat guida la Folgore e il Regional Command West . “Anzi, alcune capacità verranno migliorate”. (PANORAMA BLOG 20 GIUGNO DI GIANANDREA GAIANI) GATES: "SÌ, PARLIAMO CON I TALIBAN". INIZIATO IL RITIRO USA DALL´AFGHANISTAN Non solo gli americani stanno trattando con i Taliban, ma il ritiro dall´Afghanistan è già cominciato. I due battaglioni da 800 uomini che il generale David Petraeus aspettava per luglio non arriveranno più. Nuova destinazione: Kuwait, per dare una mano ai 48mila ancora in Iraq dove è già terminata la missione combattente. Il sogno della fine della guerra si avvera un anno dopo anche in Afghanistan? Era stato Barack Obama a condizionare all´inizio del ritiro l´invio di altre 30mila uomini. Ma quella data - luglio 2011 - era sembrata simbolica. Tutto è cambiato nel giro di poche settimane. Perfino il capo del Pentagono Bob Gates - confermando i colloqui con i ribelli - ora dice che il numero dei soldati da rimandare a casa deve essere «politicamente credibile»: lui che frenava temendo di mettere a rischio i "progressi" sul campo. Toccherà a Obama questa settimana dare i numeri. Via solo 5mila dei 135mila americani laggiù? O addirittura 30mila - cioè l´esatto numero del "surge" deciso nel dicembre 2009 - come vorrebbero i più ottimisti? Gates non entra nel gioco delle cifre. Specifica, poi, che i colloqui con i Taliban «sono a livello iniziale» e che «prima dell´inverno» non potremo vederne i risultati. Ma qualcosa si sta muovendo. Obama ha sempre argomentato che a differenza dell´Iraq quella in Afghanistan era una guerra giusta. L´obiettivo era impedire ad Al Qaeda di colpire ancora. Ma tra quelle montagne - rivela il New York Times - la rete è disfatta. Dei 30 capoccia di Bin Laden 20 sono stati uccisi. E di quei dieci rimasti non si fidava più neppure Osama: come dimostrano le carte trovate nel covo pakistano. Anche qui Gates gioca in difesa. Al Qaeda - chiarisce - non è purtroppo scomparsa ma si è ridotta in diversi gruppi regionali: riuscirà il nuovo capo Al Zawahiri a tenerli insieme? La verità è politica: a un anno e mezzo dalle presidenziali i sondaggi dicono che l´America è stanca di guerra. Solo il guerriero John McCain invita i repubblicani a tenere duro. I sindaci delle principali città - Mike Bloomberg a New York in testa - firmano invece un documento che chiede di affrettare la fine. Lo dimostra anche la poco diplomatica uscita dell´ambasciatore in Afghanistan. Dopo l´ennesima tiritera anti-alleati di Hamid Karzai il buon Eikenberry ha replicato che «gli americani che danno la vita per questo paese» cominciano «a perdere la forza per andare avanti». Il destino della guerra è segnato: quello della pace resta un´incognita. (LA REPUBBLICA 20 GIUGNO DI ANGELO AQUARO) L'AMERICA TRATTA L'USCITA AFGHANA «Sì è vero, il Dipartimento di Stato sta trattando coi talebani, ma il negoziato è ancora in una fase preliminare. Se ci saranno, i risultati non arriveranno prima di dicembre». Parlando a «State of the Union», una trasmissione domenicale della Cnn, Robert Gates, il ministro della Difesa Usa che tra dieci giorni lascerà il posto a Leon Panetta, ha confermato la rivelazione fatta il giorno prima a Kabul dal presidente afghano, Hamid Karzai. Dei contatti sotterranei con gli insorti si parla da mesi, ma questa è la prima ammissione

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35 / 39 ufficiale da parte statunitense. Ed è, soprattutto, il segnale che, insieme alla convinzione di Washington di aver ormai messo alle corde Al Qaeda (nell'ultimo anno e mezzo sono stati uccisi venti dei suoi 3o capi), dà forza allo scenario di un ritiro americano dall'Afghanistan che potrebbe essere consistente già nei prossimi mesi. Già, ma consistente quanto? Quando, a fine 2009, Obama decise di aumentare di 3o mila soldati il contingente afghano per spezzare la resistenza talebana e sradicare i gruppi terroristi, promise anche che l'intervento avrebbe avuto una durata limitata: dal luglio 2011 sarebbe iniziato il ritiro. Siamo ormai alla vigilia di quella scadenza e da settimane le ipotesi si moltiplicano. Il Congresso, alle prese con l'enorme deficit dei conti pubblici, vorrebbe ridurre subito il contingente di almeno 3o mila unità. Ma i generali si oppongono: sostengono che una riduzione così consistente e improvvisa metterebbe in pericolo le truppe che rimangono e propongono, per l'immediato, un taglio poco più che simbolico: appena tremila soldati in meno. Probabilmente già in questa settimana Obama metterà un punto fermo nella girandola dei numeri. L'analisi sulla sostanziale sconfitta di Al Qaeda che alcuni anonimi «official» della Casa Bianca hanno fatto trapelare sul New York Times di ieri, sembrerebbe preludere all'annuncio di un ritiro di truppe abbastanza consistente. Il ragionamento è lineare e i dati chiari: siamo andati in Afghanistan per sradicare Al Qaeda. Nell'ultimo anno e mezzo siamo riusciti a eliminare zo dei 3o capi dell'organizzazione che avevamo identificato. I raid dei «droni» della Cia, lanciati in rapida successione, hanno colpito al cuore l'organizzazione e gli hanno impedito di riorganizzarsi. L'attacco alla dimora di Bin Laden ha consentito di eliminare il capo dell'organizzazione, ma anche di recuperare documenti dai quali emerge chiaramente che Al Qaeda era precipitata da tempo nel caos: i leader locali, sentendosi ormai braccati, non rispondevano più agli ordini dello «sceicco del terrore». Nessuno alla Casa Bianca usa toni trionfalistici, non si sente parlare certo di guerra al terrorismo ormai vinta, ma è evidente che, agli occhi di Obama, le ragioni dell'occupazione dell'Afghanistan stanno pian piano venendo meno. Anche perché intanto Karzai, sempre più irritato dai raid notturni delle forze Nato che mietono anche vittime civili, ha cominciato ad attaccare gli americani chiamandoli «forza d'occupazione» mentre i miliardi di dollari di aiuti versati dall'Amministrazione Usa sfidando anche la crescente ostilità del Congresso, vengono ora liquidati dal governo di Kabul come «un piano assistenziale inefficace che serve solo ad alimentare la corruzione». In passato gli Alleati non hanno replicato alle sparate di Karzai, giudicate un tentativo di non attirare su di sé l'ostilità di gente ormai stanca di bombardamenti. Ma stavolta l'ambasciatore americano in Afghanistan, Karl Eikenberry, ha reagito con durezza: «Parole che ci offendono, che fanno passare la voglia di andare avanti». Il preannuncio di uno smantellamento del contingente? La decisione di ridimensionare la presenza in Afghanistan è ormai presa, ma non è detto che il disimpegno sarà massiccio già dalla scadenza del prossimo luglio. Gates ha spiegato che il ritiro non dovrà essere puramente simbolico (quindi più dei tremila uomini proposti dai generali), ma quando gli hanno chiesto se si poteva arrivare al taglio di 15 mila unità chiesto dal senatore democratico Carl Levine, il capo del Pentagono si è detto perplesso, anche perché coi talebani bisogna negoziare con la pistola sul tavolo. Ieri poi, tra i repubblicani, è sceso in campo anche il senatore John McCain che ha richiamato il suo stesso partito al rispetto degli impegni internazionali, ha accusato diversi candidati conservatori alla Casa Bianca di scivolare verso posizioni isolazioniste e ha chiesto che il ritiro, nella prima fase, non superi le 5-lo mila unità. Obama, alla fine, potrebbe scegliere l'opzione della prudenza non solo per le ragioni strategiche sottolineate dai militari, ma anche per lasciarsi i margini per l'annuncio di un ritiro molto più massiccio nel 2012, alla vigilia delle elezioni presidenziali. (CORRIERE DELLA SERA 20 GIUGNO DI MASSIMO GAGGI) GLI USA PARLANO CON I TALEBANI (PAROLA DI KARZAI) Tutti ne parlavano, ma nessuno confermava né smentiva. Questa volta è arrivata la conferma ufficiale, e per bocca dello stesso Hamid Karzai che ieri, nel corso di una conferenza stampa a Kabul, ha ammesso che i negoziati con i talebani sono in corso. E soprattutto – è la prima volta che viene affermato in modo esplicito - che a condurli sono «militari stranieri, in particolare gli Stati Uniti». «Nel corso di quest’anno, ha detto il presidente afghano ai cronisti riuniti nella capitale, ci sono stati colloqui di pace con i talebani», e gli americani in particolare «li stanno portando avanti». Nessuna indicazione sullo stato del negoziato, né sugli interlocutori con cui gli americani avrebbero discusso (anche se il 14 giugno il giornale pakistano Express Tribune parlava di contatti con lo stesso mullah Omar, mediati dall’ex portavoce talebano Abdul Haqiq, arrestato nel 2007 in Afghanistan). Non è chiaro neanche se la reale posta in gioco sia il futuro governo afghano o un cessate il fuoco, improbabile anche alla luce delle ultime notizie che giungono da Kabul, dove poche ora dopo l’intervento di Karzai, nove persone sono state uccise e altre dodici sono rimaste ferite in un attentato contro un posto di polizia. E l’attacco, compiuto da tre uomini muniti di cinture esplosive e armi automatiche, è stato rivendicato dai talebani. Rimane la conferma, importante, di una nuova fase politica. Nuova, ma non inaspettata. A febbraio, nel corso di un importante discorso tenuto presso l’Asia society di New York, era stata Hillary Clinton a parlare della necessità di avviare un dialogo negoziale con i talebani perché – questa in sintesi la tesi del segretario di Stato - si negozia con i nemici, anche con i peggiori, non

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36 / 39 con gli amici. All’inizio di questo mese era stata la volta di Robert Gates, segretario alla Difesa. Entro la fine di quest’anno, aveva sostenuto il capo del Pentagono, se le condizioni sul terreno lo permetteranno e se le forze della Nato saranno in grado di esercitare un’adeguata pressione militare, potrebbero esserci dei negoziati politici con i movimenti antigovernativi. L’amministrazione Obama sembra dunque ammettere che la soluzione militare, da sola, non basta, e che per uscire dal pantano afghano occorre la diplomazia. Quella diplomazia a cui hanno fatto appello tutti gli alti papaveri della politica a stelle e strisce, dalla Clinton all’inviato speciale in Afghanistan e Pakistan Marc Grossman, subito dopo l’uccisione di Osama bin Laden nel compound di Abbottabad, all’inizio di maggio. Oltre alle dichiarazioni formali, i segnali della svolta dell’amministrazione Obama sono stati diversi. Tra questi, l’implicito via libera alla Conferenza di pace fissata per l’inizio del prossimo novembre a Istanbul, in Turchia, paese che nei mesi scorsi ha dato una disponibilità di massima a ospitare uffici di rappresentanza politica dei talebani; e l’avallo statunitense alla commissione bilaterale afghano-pakistana, a cui spetta il difficile compito di superare le reciproce diffidenze dei due vicini per portare la pace in Afghanistan. Il messaggio più rilevante è arrivato però venerdì, il giorno precedente la dichiarazione di Karzai: il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha votato unanimamente, sulla spinta proprio degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, una risoluzione che distingue le sanzioni imposte ai membri di Al Qaeda da quelle imposte ai Talebani, attraverso la creazione di due diverse liste di individui e organizzazioni. Non più dunque un’unica lista, che confonde movimenti con agende e obiettivi molto diversi: da una parte i nomi di 138 Talebani, dall’altra 235 qaedisti. Si tratta di un messaggio chiaro. Per il governo Karzai, che da mesi chiede all’Onu di rimuovere dalla sua lista nera alcuni leader Talebani, così da facilitare il negoziato. E per gli stessi studenti coranici: la risoluzione, ha affermato Susan Rice, ambasciatrice statunitense presso l’Onu, «servirà come importante strumento per la riconciliazione, isolando gli estremisti...e mandando un chiaro messaggio ai talebani che c’è futuro per quanti si separano da Al Qaeda». A guardarla bene, la decisione dell’Onu evidenzia però un elemento ben più importante: la strategia politico-militare adottata per lungo tempo dall’amministrazione americana ha fallito. Confondere nel nome della comune lotta al terrorismo gruppi diversi come Al Qaeda e i talebani, è stato un errore. A rimetterci in primo luogo è stata la popolazione afghana, che ora guarda con preoccupazione ai colloqui di pace. Il timore è che, dopo dieci anni di guerra, di bombardamenti e vittime civili, a dettare legge tornino proprio i talebani. (IL RIFORMISTA 19 GIUGNO DI GIULIANO BATTISTON) «GLI USA TRATTANO CON I TALEBANI» La notizia non è nuova ma dopo molte indiscrezioni è stata a ufficializzata dal presidente afghano Hamid Karzai. «Gli Stati Uniti e altre potenze straniere sono impegnati in colloqui preliminari con i talebani per arrivare a una possibile soluzione del conflitto» ha dichiarato il presidente afghano nel corso di una conferenza stampa a Kabul. Karzai ha anche usato toni critici nei confronti delle forze della coalizione, dicendo che hanno motivazioni sospette e che le loro armi inquinano il Paese. Il presidente afghano stesso però ha aperto da tempo canali diretti tra il suo governo e i due principali gruppi talebani, la “shura di Quetta” e il “network Haqqani”, entrambi con sede in Pakistan. Il 10 giugno Karzai aveva incontrato a Islamabad il presidente Asif Alì Zardari e il premier Yusuf Raza Gillani per discutere dei piani di ritiro delle forze alleate e ottenere l'appoggio pakistano al piano di riconciliazione con gli insorti. Un programma che ha già visto la reintegrazione di oltre un migliaio di miliziani che hanno accettato di cessare la lotta armata in cambio di denaro e lavoro. Le dichiarazioni di ieri, sebbene ieri Zabihullah Mujahid, rappresentante degli ex studenti coranici abbia smentito Karzai, confermano per la prima volta che Washington e Londra non solo sostengono il dialogo aperto da Kabul con i ribelli ma sono parte attiva nei negoziati Lo aveva anticipato il 4 giugno il Segretario alla difesa, Robert Gates, parlando di «aumentata pressione militare sui talebani in grado di portare a reali opportunità di negoziato». Ieri la Casa Bianca non ha voluto commentare le parole di Karzai, ma l'ambasciata Usa si è limitata a confermare che gli Stati Uniti sono «a favore di un processo di riconciliazione del Paese» A inizio giugno indiscrezioni diffuse dal quotidiano londinese Guardian rivelarono che Gran Bretagna e Stati Uniti stavano premendo sulle Nazioni Unite per la revoca dei provvedimenti restrittivi imposti a 18 leader talebani. Un chiaro indizio di significativi progressi nell'avvio di negoziati con i talebani o almeno con alcuni gruppi della vasta galassia dell'insurrezione afghana. Tra gli esponenti citati dal Guardian anche Mohammed Qalamuddin, ex capo della polizia religiosa del regime talebano, considerato responsabile di atrocità soprattutto nei confronti delle donne. Tra i 18 figurerebbe poi anche Arsala Rahmani, ex ministro dell'Istruzione e attuale intermediario tra il governo di Kabul e il “network Haqqani”. La richiesta all'Onu, che potrebbe riguardare fino a una cinquantina di esponenti talebani, dovrebbe consentire di istituire un ufficio di rappresentanza talebano in un Paese terzo (Turkmenistan, Turchia e Qatar si sarebbero già resi disponibili a ospitarlo) con cui avviare negoziati ufficiali. Un piano appoggiato dal Consiglio di sicurezza che ieri ha annunciato l'istituzione di due liste separate per i talebani (138 esponenti) e gli uomini di al-Qaeda (253) colpiti dalle sanzioni Onu. Un ulteriore segnale di apertura che ieri non ha impedito a un commando

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37 / 39 suicida composto da 4 kamikaze di attaccare un comando di polizia nel mercato di Mandai, nel centro di Kabul provocando nove morti e 12 feriti. Secondo un comunicato degli Interni, le vittime sono tre agenti, un funzionario dell'intelligence e cinque civili. Talebani all'attacco anche nel sud dove sono stati uccisi due soldati alleati. I caduti tra le forze Nato salgono quest'anno a 251, un numero inferiore all'anno scorso (per la prima volta in dieci anni di guerra) quando nei primi sei mesi morirono 322 militari. (IL SOLE 24 ORE 19 GIUGNO DI GIANANDREA GAIANI) KABUL RISCHIA L’INSOLVENZA PER COLPA DI UNA BANCA Il Fondo monetario internazionale ieri ha respinto il piano di salvataggio presentato dal governo afghano per la Kabul Bank, del valore di 820 milioni. In alcuni Paesi, come la Gran Bretagna, la legge vieta di versare aiuti in simili condizioni. Non solo: i finanziamenti del Fmi sono automaticamente sospesi, così come un pagamento di 70 milioni della World Bank. Per l’economia afghana, dipendente dagli aiuti stranieri, è un’autentica tragedia. E il rischio insolvenza si trova dietro l’angolo. Quella della Kabul Bank è una tipica storia dell’Afghanistan post-2001, quando l’ortodossia islamista dei Talebani è stata sostituita dagli appetiti di network criminali con ottimi appoggi governativi. Un appetito che si è alimentato agevolmente in un Paese privo di solidi meccanismi istituzionali, di sistemi di controlli e monitoraggi, in cui politica ed economia sono in gran parte gestite da questi cartelli. Mettendo così le mani sul ricco bottino portato dalla ricostruzione, grazie alla disattenzione o alla complicità della comunità internazionale. La Kabul Bank è il maggior istituto bancario privato dell’Afghanistan, fondato nel 2004 e già a fine 2010 sull’orlo del fallimento per gli ingenti finti prestiti che alcuni importanti azionisti hanno voluto assegnare a loro stessi, ai propri sodali e a politici vari con assoluta disinvoltura, senza regole e senza essere in grado di restituirli. Come ricorda il giornalista John Boone, che ieri sul Guardian ha ricostruito la storia dello scandalo, l’intero prodotto interno lordo dell’Afghanistan ammonta a 12 miliardi di dollari: ecco perché i 910 milioni della Kabul Bank sono una somma enorme per il Paese. L’inchiesta è stata condotta per mesi dall’unità americana Afghan Threat Finance Cell, istituita nel 2008 per scoprire i finanziamenti della guerriglia talebana e composta da esponenti del Fbi, del Tesoro, del Pentagono e dei Dipartimenti antinarcotici, che hanno lavorato insieme agli omologhi afghani della Sensitive Investigative Unit. Stando alle conclusioni dell’indagine, sarebbero 16 i principali beneficiari dei prestiti milionari. na lista significativa, perché rispecchia quell’intreccio promiscuo tra politica corrotta ed economia perversa che governa l’Afghanistan, e non solo. Ci sono per esempio due “fratelli illustri” come Hassen Fahim, fratello di Mohammed Fahim, il “maresciallo” di ferro già noto per le sue efferatezze come signore della guerra e diventato vicepresidente, che insieme ad altri membri della famiglia avrebbe ricevuto un totale di almeno 78 milioni di dollari. E Mahmoud Karzai, fratello del presidente, residente a lungo negli Stati Uniti, indagato da un giudice federale statunitense per estorsione ed evasione fiscale, diventato il terzo maggiore azionista della Kabul Bank comprandone una quota - pari al 7.5% - grazie a un “prestito” di 22 milioni di dollari ricevuto dalla stessa banca. La lista però è lunga. Secondo un’inchiesta pubblicata sul New Yorker a febbraio, tra i coinvolti ci sarebbero anche personaggi politici molto stimati negli ambienti della diplomazia a stelle e strisce, tra cui il ministro dell’educazione Farook Wardak, l’ex ministro degli Interni Haneef Atmar, lo stesso ex governatore della Banca centrale afghana, Noorullah Dilwari, tutti sospettati di aver ricevuto finanziamenti senza contropartite o vere e proprie mazzette. Le voci raccolte da Filkins dicono che la Kabul Bank nel tempo sarebbe diventata una vera e propria arma non ufficiale del presidente Karzai, tramite cui corrompere parlamentari per assicurarsi i voti necessari alla sua agenda legislativa. Karzai finora ha negato ogni coinvolgimento personale, anche se non ha potuto negare il finanziamento di 4 milioni di dollari per la sua passata campagna elettorale, in cambio del passaggio per le casse della Kabul Bank del pagamento di 430mila stipendi governativi, con interessi annessi. Il presidente ha provato invece a fare la voce grossa e indignata: prima, nel settembre 2010, quando lo scandalo è scoppiato, dietro forte pressione degli americani ha ottenuto che la Banca centrale ne assumesse il controllo; poi ha sollevato dubbi sull’operato di chi avrebbe dovuto verificarne le operazioni. A finire sul banco degli imputati, i consulenti della Bearing Point e della Price Waterhouse Copper, le ditte incaricate del controllo amministrativo, pagate dagli Stati Uniti. «La compagnia Americana di audit - ha sostenuto Karzai tempo fa – soltanto tre mesi prima della crisi aveva redatto un rapporto positivo sulla Kabul Bank, e anche la Banca centrale si era affidata a quel rapporto. Quella compagnia è ora sotto inchiesta». Più restio, il presidente afghano, a mettere sotto inchiesta chi si è portato via il malloppo. Tre settimane fa ha redarguito pubblicamente i colpevoli, concedendo però loro un altro mese di tempo per restituire il maltolto, a meno che non vogliano finire davanti a un tribunale. Nessuno sembra preoccuparsi più di tanto delle parole di Karzai. Tanto meno i due maggiori imputati, Khalil Ferozi e Sherkhan Farnood, rispettivamente amministratore delegato e presidente della Kabul Bank e principali azionisti della banca, con il 28% ciascuno. Sono almeno formalmente agli arresti domicialiari, hanno perso il lavoro e milioni di dollari, per colpa della bolla

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38 / 39 immobiliare scoppiata nel 2008 a Dubai, dove avevano investito molto, ma possono dormire sonni tranquilli: i soldi persi non erano loro. (IL RIFORMISTA 18 GIUGNO DI GIULIANO BATTISTON) LA FATICA DELLE GUERRE “Non passa la prova della faccia tosta”. Il capo della maggioranza repubblicana alla Camera ha scelto un'espressione sferzante per respingere il documento col quale Barack Obama giustifica il diritto della Casa Bianca di lanciare un «intervento limitato» in Libia senza un voto del Congresso. Gheddafi ringrazia. Nuovi guai per il presidente Usa. Ma l'episodio riflette un mutamento di clima in materia di interventismo americano che va oltre le schermaglie tra i palazzi del potere di Washington: malumori destinati a pesare anche nel rapporto con gli alleati europei. Alle prese col malessere di un'America stremata da quella che gli analisti definiscono «crisis fatigue» — l'improvviso pessimismo di un Paese nel quale nessuno aveva mai vissuto una crisi economica e occupazionale così profonda e prolungata — Obama deve ora affrontare un'altra «fatigue»: la fatica della guerra e del (costosissimo) ruolo di gendarme del mondo che Washington si è assunta dopo il 1945. Non è un problema nuovo, ma ora vari fattori convergenti rischiano di renderlo esplosivo. Intanto il logorio prodotto dalle guerre in Iraq e Afghanistan, nate dalla reazione a un attacco terroristico inaudito, ma che durano da troppo tempo: dieci anni, il doppio della Seconda guerra mondiale. Un costo enorme, in termini di vite umane ma anche di assorbimento delle sempre più scarse risorse pubbliche. Con le casse federali e delle città vuote e le amministrazioni costrette a tagliare anche scuole, sussidi ai poveri e infrastrutture essenziali, l'onere che gli Stati Uniti si assumono per la sicurezza propria e degli alleati appare ai contribuenti ormai insostenibile. Certo, la supremazia politica e militare ha fin qui garantito agli Usa anche un vantaggio economico, soprattutto per la possibilità di emettere quantità teoricamente illimitate dell'unica vera valuta mondiale. Ma ora anche quel ruolo «sovrano» del dollaro è al tramonto. Il detonatore di tutti questi malumori rischia di essere la Libia: un intervento tutto sommato minore, ma che ha impietosamente rivelato la fragilità della Nato quando l'America non esercita per intero la sua leadership. Nonostante gli sforzi di Obama di mantenere gli Usa in una posizione di seconda fila in quel conflitto, l'assenza di un primario interesse americano minacciato nell'area e i continui appelli europei a un maggior coinvolgimento militare di Washington hanno portato, negli Usa, a un'inedita saldatura tra la sinistra liberal anti-interventista e una fetta crescente di una destra non più disposta a pagare a pie' di lista per la difesa di amici e alleati. Per questo le contestazioni giuridiche mosse da deputati e senatori a Obama devono preoccupare tutti i Paesi coperti dall'«ombrello» dell'Alleanza atlantica. Una settimana fa hanno fatto sensazione le parole pronunciate a Bruxelles da Robert Gates: «Il futuro della Nato è cupo, l'Alleanza rischia di diventare irrilevante. Gli americani e il loro Congresso sono stanchi di pagare anche per nazioni che non si assumono la loro parte di responsabilità». Parole che non possono essere liquidate come lo sfogo di un ministro della Difesa uscente. La Casa Bianca è corsa subito ai ripari precisando che quella è la posizione del Pentagono, non necessariamente di tutta l'Amministrazione, ma gli stessi uomini di Obama hanno ammesso che le preoccupazioni di Gates sono legittime. E ieri al Dipartimento di Stato un «senior official» ci ha confermato che, anche se l'impegno dell'Italia nei vari conflitti (in particolare in Libia) è giudicato molto positivamente, il problema complessivo del burden sharing — la ripartizione di costi e responsabilità con gli alleati —non può essere più ignorato. I diplomatici cercano di evitare strappi, ma sanno di avere alle spalle un Paese davvero irritato: le parole di Gates hanno avuto il plauso degli editorialisti della stampa progressista, dal New York Times al Washington Post, e anche del Congresso, che ha votato a larga maggioranza una mozione che critica Obama per l'intervento in Libia. Iraq e Afghanistan sono state soprattutto «guerre americane», è vero, ma dopo l'attacco alle Torri gemelle ci siamo dichiarati «tutti americani». E il terrorismo è una minaccia universale. Ma c'è anche altro. Fin qui Washington si è assunta quasi per intero i costi della non proliferazione. Ad esempio in Russia, dove paga per lo smantellamento e la sorveglianza delle vecchie istallazioni nucleari sovietiche nelle quali ci sono riserve di materiale fissile. Non è detto che continuerà così anche in futuro. Problemi in vista per l'Europa: dalla fine della Guerra fredda a oggi il contributo Usa alle spese della Nato è cresciuto dal 50 al 75 per cento. L'ultimo dei problemi per i Paesi Ue, ora alle prese con le crisi fiscali di Grecia e Portogallo che minacciano l'euro. Purtroppo non è l'ultimo, anzi è uno dei primi, per contribuenti e leader politici americani, soprattutto da quando si sentono ripetere che i conti pubblici di Washington non sono poi messi molto meglio di quelli di Atene. Quattro anni fa, nei dibattiti preelettorali, il radicale libertario Ron Paul era l'unico candidato presidenziale della destra che chiedeva il taglio della spesa militare e il ritiro delle forze Usa dall'Asia centrale. Lunedì scorso, al primo confronto repubblicano per le presidenziali 2012, quattro dei sette candidati hanno proposto un drastico ridimensionamento dell'impegno militare americano. (IL CORRIERE DELLA SERA 17 GIUGNO DI MASSIMO GAGGI)

Page 39: 76 22 GIUGNO 2011 Periodo dal 16 GIUGNO Aggiornato al 22 … · 2015. 10. 14. · L'ospedale Niguarda di Milano avrà un macchinario per garantire le necessarie cure a Luca Barisonzi,

39 / 39 ZAWAHIRI NUOVO CAPO DI AL QAEDA GLI USA: "UCCIDEREMO ANCHE LUI" Ci sono volute 6 settimane, ma alla fine il consiglio di Al Qaeda ha designato il nuovo leader: Ayman Al Zawahiri. Una scelta arrivata — come ha precisato un comunicato — «dopo consultazioni». La fazione ha avuto bisogno di tempo. Per due motivi. Il primo è legato ai contrasti. I militanti del Golfo, in particolare quelli yemeniti ispirati dal giovane imam Anwar Al Awlaki, si sarebbero dichiarati contrari alla promozione del medico egiziano e ciò avrebbe portato all'investitura temporanea di Saif Al Adel. Il secondo riguarda la sicurezza. Dopo l'uccisione di Bin Laden, l'organizzazione si sente braccata e si è fatta più cauta. Sull'estremista, nascosto forse in Pakistan, c'è una taglia da 25 milioni di dollari ed è sfuggito almeno tre volte ai raid. Ora i militanti cercano il rilancio affidandosi all'uomo che ha condiviso con Osama tutte le fasi critiche di Al Qaeda. Un rapporto stretto anche se segnato da dissensi. E, a giudizio di molti osservatori, il problema di Al Zawahiri sta proprio nel suo profilo. Nato nel 1951, figlio della buona borghesia egiziana, Ayman è considerato un uomo di rottura. Invece che cementare i ranghi tende a dividerli. Ha scritto pagine su pagine solo per attaccare chi non era d'accordo con la sua linea. Inoltre gli imputano di non avere le stesse capacità di leadership di Bin Laden e neppure la preparazione religiosa. L'amministrazione Obama osserva che «Bin Laden aveva un carisma che il suo successore non ha», ma promette di dargli la caccia: «Lo uccideremo». I punti deboli non hanno impedito a Zawahiri di essere sempre al vertice. Una presenza testimoniata dai numerosi messaggi via web per i seguaci. E anche ieri, insieme all'annuncio, i qaedisti hanno ribadito che Usa e Israele restano gli obiettivi principali. Poi una citazione di quasi tutti i fronti — Cecenia, Yemen, Somalia, Iraq, Maghreb — dove operano gli affiliati. E un atto di sottomissione nei confronti del mullah Omar, il capo dei talebani. Parole che fotografano la realtà qaedista, che appare in declino e costretta ad affidarsi a gruppi regionali che inseguono prima di tutto i loro obiettivi locali. A tenerli insieme la fedeltà ad un'idea piuttosto che una gerarchia. Al Zawahiri e i «nuovi missionari della Jihad» — come Abu Yahya al Libi o Khalid Al Husaynan — fanno da ispiratori mentre solo alcuni dirigenti minori hanno davvero il ruolo di impartire ordini precisi. Il resto è lasciato alle filiali che agiscono con l'etichetta di Al Qaeda. Ma poiché alcune di queste hanno acquistato una propria forza non sono degli strumenti docili nelle mani della vecchia guardia. Hanno una loro autonomia e la difendono, anche se poi possono offrire in «dote» l'attacco alla casa madre. E questo potrebbe essere il caso della componente yemenita che, a giudizio dell'intelligence, starebbe lavorando a nuove operazioni contro gli Usa. Altrettanto critico è il rapporto con i talebani afghani e pachistani: senza il loro appoggio Al Qaeda può far poco e dunque Al Zawahiri dovrà preservarlo anche se non ha certo le leve di Bin Laden. Il «dottore» potrebbe avere problemi a tenere a bada i piccoli Osama. Ma non bisogna sottovalutarlo. La visione di lotta di Al Zawahiri privilegia la guerra al «nemico vicino», ossia i regimi filo-occidentali. L'Egitto su tutti, ma anche il Pakistan, più volte indicato come bersaglio. E questo lo mette in sintonia con gli affiliati. Poi la sua storia racconta che è capace di imprimere svolte estremamente violente. Atti decisi anche quando era in minoranza. Ora che è l'emiro di Al Qaeda potrebbe dimostrare la sua autorità con qualche sorpresa. In gioco non c'è solo il suo prestigio ma la credibilità del movimento. (IL CORRIERE DELLA SERA 17 GIUGNO DI GUIDO OLIMPIO)

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