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Qualeducazione 1/2 - 2010 74 Sped. in A.P. 45% - Art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - DCO/DC-CS/133/2003 Valida dal 17-03-2003

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74Sped. in A.P. 45% - Art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - DCO/DC-CS/133/2003 Valida dal 17-03-2003

Per un dialogo libero in Europa - Trimestrale internazionale di Pedagogia

Libri (per recensione) e riviste (per cambio) debbono essere inviati al direttore della rivista: Giuseppe Serio, Viale della Libertà, 33 - 87028 PRAIA A MARE (Cosenza)

Periodicità trimestrale - Anno XXVIII - N. 1-2 (gennaio-giugno 2010) - Fascicolo N. 74 - Abbonamento - annuale E 26,00 con il suppl. “Vivere la nonviolenza”; estero il dop-pio; un numero E 6,00 - Iscrizione R.O.C. n. 316 del 29/08/2001 (* Gli abbonamenti s’intendono rinnovati automaticamente se non disdetti 30 gg. prima della scadenza). Autorizzazione del tribunale di Cosenza - Iscr. Registro Nazionale della Stampa n. 00969 del 29-8-1983 - c.c.p. n. 11747870 intestato a Luigi Pellegrini Editore - Via De Rada, 67/c - 87100 CosenzaFotocomposizione: Pellegrini Editore

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L’Associazione Culturale Gianfrancesco Serio - Onlus -promuove nel territorio la costituzione di un network di operatori di pace

Nata 32 anni fa, vuole offrire occasioni d’incontro fra quanti operano in questo settore culturale non sempre ascoltato dalla politica locale … Ti chiede di aiutarla a continuare … prevenendo la violenza, la corruzione, la droga e diffondendo occasioni e incrementi di sviluppo della cultura della vita …

Il suo Centro Studi e Ricerche per la promozione della cultura di pace e la sua rivista di Pedagogia «Qualeducazione» collaborano con l’Associazione Pedagogica Italiana, l’Associazione per la riduzione del debito pubblico, la C.E.I., Libera e alcune università italiane ed europee promuovendo convegni regionali, nazionali, internazionali, pubblicando libri sui temi della Pace, della Giustizia, della Legalità, della salute, del Diritto dei Popoli alla libertà.

Lotta anche tu i nemici dell’uomo– negro, olivastro, giallo, bianco, non importa –

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Univ. Durham, England

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EDITORIALEQuali testimoni di speranza, oggi?di Giuseppe Serio ..................................................................................................... pag. 3

STUDIse vuoi coltivare la pace, custodisci il creatodi Joseff Ratzinger .................................................................................................. 7

EDUCAZIONE SENZA FRONTIEREeducazione morale e formazione della morale di Dietrich Benner ................................................................................................... 15

RICERCA ED INNOVAZIONE EDUCATIVA E DIDATTICAuna pedagogia del lavoro per gli attori pubblicidi Antonia Rosetto Ajello ........................................................................................ 23

la formazione del personale nella pubblica amministrazionedi Ignazio Dario Callari ......................................................................................... 36

AUTONOMIA, DIRIGENZA, PROGETTUALITÀla dimensione etica nelle professioni educativedi Andrea Porcarelli ................................................................................................ 48

orientamenti e sollecitazioni internazionali per la formazione dei docentidi Maria Vittoria Cavallari e Sergio Cicatelli ....................................................... 51

la scuola nel contesto legislativo del rapporto stato-regionidi Francesco Castronuovo ....................................................................................... 55

la cultura pedagogica della formazione nell’ottica dell’uciim di Norberto Mazzoli ................................................................................................. 59

l’associazione come luogo di formazione riflessivadi Rosalba Candela - Angelo Di Dio ....................................................................... 63

formazione spirituale del socio uciimdi Anna Bisazza Madeo .......................................................................................... 67

le nuove tecnologie nella formazione delle professionidi Giovanni Villarossa ............................................................................................ 71

RUBRICA APERTAl’acribìadi Vincenzo Pucci .................................................................................................... 75

NOTIZIARIO ........................................................................................................ » 78

RECENSIONI ....................................................................................................... » 85

SOMMARIO - Fascicolo 74/2010

QUALEDUCAZIONE • 3

Editoriale

Quali testimoni di speranza, oggi?di

giuseppe serio

la globalizzazione è un cambiamen-to epocale indecifrabile nell’aspetto poli-tico-economico; un fenomeno che riguar-da il valore della persona, l’organizza-zione del lavoro, la produzione della ric-chezza materiale da cui si fa dipendere la qualità della vita - senza solidarietà o senso del dono. È un fenomeno pla-netario che rende ogni luogo più vicino ad un altro in tempo virtuale e di spa-zio contratto. l’Economia solidale – al servizio della vita, in dialogo con l’esi-stente – si fonda sulla giustizia, non sul profitto che produce ricchezza per pochi e povertà per molti in un mondo di Epuloni che convivono – indifferen-ti – con un miliardo e mezzo di perso-ne senz’accesso all’acqua potabile e con due miliardi di poveri1…

la dignità dell’uomo, un capitale pre-zioso, è violata ogni giorno se è vero che cento milioni di bambini non frequenta-no la scuola [un problema che si risol-verebbe se gli usa destinassero la deci-ma parte dei dollari che spendono – ogni mese – nell’afghanistan e nell’iraq]. Le risorse economiche sono il motore dello sviluppo sostenibile del pianeta, purché siano un dono per tutti …

nell’800, sotto la soglia di povertà, vi era l’85% della popolazione mondiale; nel ’900 il 30% e nel 2000, il 20%; sem-brerebbe un dato in discesa, invece è in aumento proporzionale alla crescita del-

la popolazione mondiale: due miliardi di persone vivono con meno di un euro al giorno! si tratta di uno sviluppo di pochi (il 20% della popolazione mondiale) in un mondo senza giustizia e senza pace. L’aumento delle povertà è il presuppo-sto che scatena le guerre consentendo, a chi le vince, di prendere tutto ciò che ap-parteneva ai popoli sconfitti …

lo sviluppo della dignità umana – invece – implica che l’accesso al mercato sia dato a tutti e che il lavoro sia solida-le, i frutti siano una ricchezza condivi-sa, affinché i giovani vivano il presen-te in prospettiva di un futuro costruito a partire dalla persona.

la globalizzazione ci renderà più felici2? r. Wright risponde che l’econo-mia non può essere disgiunta dal valo-re della persona e che la globalizzazio-ne – se non è solidale – genera conflit-tualità, alimenta odio tra gente (diver-sa per razza e cultura) ...

l’ordine socio-economico dovrebbe fondarsi sulla poliarchia, non sul mo-nopolio (sul pluralismo)?. la competi-zione potenzia le disuguaglianze socia-li. la sussidarietà, invece, ridistribuisce la ricchezza su scala mondiale (non na-zionale e locale) e aggredisce nella com-plessità le povertà presenti nel mondo in cui convivono quattrocento straricchi – gli epuloni dell’era globale – e miliar-di di affamati drammaticamente nemi-

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ci tra loro perché la ricchezza pone in oblio la comune discendenza di tutti gli “amici fratelli ” che per la fame diven-tano “ fratelli nemici”.

l’amicizia è il dono per costruire il bene di relazione – diverso da quello di posizione (automobile, cellulare ecc.) che implica competizione, non valore personale. il consumismo è il fenomeno della competizione posizionale che gene-ra il consumo senza regole. il dogma di questa teoria economica è: consumare di più, produrre di più, lavorare di più per aumentare il profitto. Questo tipo di consumismo è una sorta di gara di-sumana, anche stupida se consiste solo nella produzione di beni materiali che distruggono progressivamente quelli relazionali; “se la teoria economica non vede alcuni beni e crea le condizioni cul-turali per distruggerli” come si è verifi-cato per i beni ambientali – e ne conse-gue “che, oltre certi livelli di consumo, l’aumento della spesa in beni materiali non produce benessere o felicità”3.

la crescita del reddito non comporta un aumento di felicità (come dimostrano i dati statistici ed analitici di esperti del settore) anche perché impone una tassa progressiva su i consumi. allora, produr-re di più per aumentare il reddito equiva-le a conseguire risultati negativi. in ter-mini concettuali significa che più reddi-to comporta meno felicità: i dati statistici di suicidi operati da soggetti economica-mente agiati provano la stupidità di sce-gliere i beni negoziabili escludendo quelli dell’ intelligenza (o dello spirito).

“molti dei piaceri della vita non hanno prezzo, non sono in vendita, quindi non passano attraverso il mercato”4.allora, il modello del supermarket – fondato sul consumismo sregolato – non assicura la felicità all’uomo di questa società che con-

tinua a vivere allo sbando, senza orizzon-ti, senza una meta e senza una fede che dia valore alla vita, felicità autentica a chi vive nel tempo lavorando onestamen-te e candidandosi all’eternità … oggi nel mondo ci sono più ricchi che in passato; ma non sono felici o saggi, perché cerca-no un qualcosa che non si può acquistare al mercato dato che la cultura economica non può negoziare il bene dell’amicizia o quello della libertà come (se si trattasse di) un assegno bancario …

in prospettiva latino-americana, si chiede che l’educazione promuova lo sviluppo umano, non la competitività ritenendo che “la crescita della povertà costituisce il maggior ostacolo per uno sviluppo sostenibile”5. la sperequazio-ne tra ricchi e poveri della Terra è cre-sciuta in questi anni in modo spavento-so. la testimonianza, intesa come fede nei valori della vita, può coinvolgere il mondo dei giovani che sono il futuro ... ma la politica non riesce a fare da con-trappeso allo strapotere della New eco-nomy. il mercato è più forte dello sta-to6. Epulone – che domina il mondo po-polato da miliardi di Lazzari – impone il supermarket; contrappone cultura di mercato a cultura solidale; contrappone indifferenza a rispetto per l’uomo.

Testimoniare la fede è possibile. ba-sta comportarsi come persone. il modello c’è: alex zanotelli va nel Kenya a curare e istruire i bambini; marcello candia va a vivere a marituba per condividere la sua vita con i lebbrosi del brasile; gior-gio la pira scelse la politica per servire la persona, non per gestire il potere. la fede l’ hanno testimoniata ieri, la posso-no testimoniare tutti, oggi, nella quoti-dianità della vita ordinaria, nei luoghi in cui ci si trova a lavorare e a servire gli altri (anche se sono diversi) camminan-

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do nell’amore che non stanca (anzi arric-chisce nel discernimento) e apre gli occhi per vedere gli ultimi, quelli che hanno fame e sete di giustizia, i forestieri, gli ammalati soli, gli ignudi.

Questo modo di guardare il mondo appartiene a chi ha occhi limpidi per ve-dere Dio riflesso nel volto di quelli che incontra sulle vie spinose in cui stanno gli emarginati (emarginati dalla nostra indifferenza) la New Economy non vede, è miope, vuole meno Stato, più merca-to, più denaro in circolazione. “occorre, dunque, vigilare e ricercare le vie che ci sono per restituire l’economia alla vita. si tratta di comprendere che vi è una pluralità di modelli di economia di mer-cato, ciascuna in sintonia con una parti-colare cultura”7. le politiche economiche nuove stanno producendo effetti disa-strosi nei paesi poveri e in quelli in via di sviluppo. il volontariato italiano chiede meno tagli alla spesa pubblica, il conte-nimento dei consumi dell’effimero, meno blocco dei salari; più lavoro, istruzione, salute, meno trasferimento d’aziende in paesi dove il lavoro costa poco!

la globalizzazione dovrebbe esse-re un’opportunità per ridistribuire la ricchezza secondo criteri di comunione economica e la politica dovrebbe trac-ciarne il modello sociale che assicuri a tutti le stesse opportunità di lavoro e di crescita culturale per vincere le pover-tà economico-educative incrementando il valore universale della pace.

le parole inquietanti, ma, chiare, che il papa benedetto Xvi rivolge alle “forze negative, guidate da interessi perversi [che] mirano a fare del mondo un teatro di guerra”, sono un “atto d’ac-cusa politica”8. la pace esige istituzio-ni che rendono credibile il ripudio della guerra come strumento di risoluzione di

conflitti tra uomini e popoli diversi. “la teoria economica rimane, in certi ambi-ti, estranea al giudizio etico, limitando-si a valutare le varie situazioni in base all’efficienza economica”9.

l’art. 2 (scritto da giuseppe ros-setti) della costituzione italiana “po-stula l’adempimento dei doveri indero-gabili di solidarietà politica, economi-ca e sociale”. l’art. 4 sancisce il dove-re “di svolgere, secondo le proprie pos-sibilità [ …] un’attività che concorre al progresso materiale e spirituale della società”per saldare l’economia all’eti-ca10 e ispirarsi alle correnti di pensiero dell’economia solidale con l’impegno di aspirare all’uguaglianza della respon-sabilità in una visione incentrata sul bene comune, non sul denaro come pro-messa di felicità11.

note

1 l’unicef informa che ogni 30 secondi muoiono 3 bambini per mancanza di cibo (dicembre 2009).2 robert Wright, Nonzero: the logic of Destiny, new York, pantheon books, 2000. 3 stefano zamagni, Una lettura socio-economica della globalizzazione in Globalizzazione, comu-nicazione, tradizione. Progetto di ricerca inter-disciplinare roma, edizione Quaderni della se-greteria generale della c.e.i., 2002.4 robert lame, The Loss of Happiness in the Market Democracies, Yale university press, 2000, p. 59.5 idem, Op cit., p. 403.6 confronta la relazione di marco revell, univer-sità del piemonte orientale a. avogadro.7 stefano zamagni, op. cit.8 Idem, p. 23.9 giuseppe pellegrini, L’economia del benessere e dell’equità, in Etica per le professioni, padova 3/2002, p. 18.10 il presidente giorgio napolitano nel suo sa-luto ai rappresentanti del volontariato italiano il 4.12.09.11 gianni colzani, Il cittadino globale, in aa. vv. Globalizzazione Comunicazione Tradizione. Pro-getto di ricerca.

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Studirubrica diretta da GIUSEPPE SERIO

Nuovo anno, rinnovato invito alla pace di Benedetto XV; nuova speranza per il mondo in cui ancora si combattono decine di guerre dall’Iraq al Pakistan, dalla Cecenia alle regioni dell’Africa. Sembra davvero che la pace sia scomparsa dal cuore dell’uomo di oggi e, for-se, di sempre. E perché – si chiedono quelli che vorrebbero che le guerre non ci fossero – le guerre che ci sono non possono cessare? Oggi il terrorismo non è sconfitto dall’amore – che è energia pura della vita – perché è amore debole che non scaccia il timore …A questa XLIII Giornata mondiale, il papa ha dato un tema indimenticabile: vuoi coltiva-re la pace? custodisci il creato, meraviglioso dono di Dio all’uomo, questo squilibrato che stupidamente si accanisce a distruggerlo rendendolo mostruoso! Dio gli ha dato un “para-diso naturale” che lui ha trasformato in “paradiso artificiale”, imperfetto, squilibrato come l’uomo che si attribuisce compiti diversi da quelli conferitigli dal Signore che gli diede il compito di salvaguardare il Creato, “una meraviglia ai nostri occhi” la cui “bellezza” sti-mola l’amore che “muove il sole e le altre stelle”. Giovanni Paolo II – vent’anni fa – aveva proposto il tema della “pace con Dio creatore, pace con tutto il creato” che oggi è afflitto da una colossale crisi ecologica causata dall’indiffe-renza degli uomini immersi in un consumismo sregolato e irrazionale che richiede una “re-visione profonda e lungimirante del modello di sviluppo”.Tale revisione include tutte le questioni che si collegano alla crisi ecologica affinché tutti e ciascuno avvertano il “bisogno di un profondo rinnovamento culturale” e l’impegno a “ri-scoprire i valori” che ne sono il fondamento e “occasione di discernimento per una nuova progettualità”. È il bisogno di chi sente l’esigenza della verità – che per i cristiani è Dio, il suo volto, Gesù bambino, Gesù crocifisso, Gesù che si rivela nel volto dei diseredati, dei fo-restieri, dei poveri che soffrono in un mondo di benestanti e di .. indifferenti ….Dunque, il Santo Padre c’invita a riflettere sulla cultura della bellezza di Dio che si ma-nifesta nel Creato; la cultura “rappresenta la nostra capacità di leggere il mondo e di met-terci in relazione con esso e con i nostri simili”1.Ogni persona deve sentirsi chiamata a “custodire” la bellezza del creato, (l’ambiente, pur-troppo, disastrato, dissestato, distrutto nell’aspetto idro-geologico, devastato nell’armonia di cui Dio l’aveva fatto dono). Il Creato, una meraviglia ai nostri occhi, ora ci sfida! La ca-tastrofe può trasformarsi in una scelta del futuro per i nostri figli o in una prospettiva per i nostri eredi, un impegno per i figli dei nostri figli, orfani di pace, la ricchezza perduta.

1 aa.vv. Dio oggi. Con Lui o senza di Lui cambia tutto, lorenzo ornaghi, Introduzione, siena edito-re cantagalli p. 79.

Francesca

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1. in occasione dell’inizio del nuo-vo anno, desidero rivolgere i più fer-vidi auguri di pace a tutte le comunità cristiane, ai responsabili delle nazioni, agli uomini e alle donne di buona volon-tà del mondo intero. per questa Xliii giornata mondiale della pace ho scel-to il tema: Se vuoi coltivare la pace, cu-stodisci il creato. il rispetto del creato riveste grande rilevanza, anche perché «la creazione è l’inizio e il fondamento di tutte le opere di dio» [1] e la sua sal-vaguardia diventa oggi essenziale per la pacifica convivenza dell’umanità. Se, infatti, a causa della crudeltà dell’uomo sull’uomo, numerose sono le minacce che incombono sulla pace e sull’auten-tico sviluppo umano integrale – guer-re, conflitti internazionali e regionali, atti terroristici e violazioni dei diritti umani –, non meno preoccupanti sono le minacce originate dalla noncuranza – se non addirittura dall’abuso – nei confronti della terra e dei beni natu-rali che dio ha elargito. per tale moti-vo è indispensabile che l’umanità rin-novi e rafforzi «quell’alleanza tra esse-re umano e ambiente, che deve essere specchio dell’amore creatore di dio, dal quale proveniamo e verso il quale sia-mo in cammino» [2].

2. nell’enciclica Caritas in verita-te ho posto in evidenza che lo svilup-po umano integrale è strettamente col-legato ai doveri derivanti dal rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale, con-

siderato come un dono di dio a tutti, il cui uso comporta una comune respon-sabilità verso l’umanità intera, in spe-cial modo verso i poveri e le generazio-ni future. Ho notato, inoltre, che quan-do la natura e, in primo luogo, l’esse-re umano vengono considerati sempli-cemente frutto del caso o del determi-nismo evolutivo, rischia di attenuarsi nelle coscienze la consapevolezza del-la responsabilità [3]. ritenere, invece, il creato come dono di dio all’umanità ci aiuta a comprendere la vocazione e il valore dell’uomo. con il salmista, pieni di stupore, possiamo infatti proclama-re: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che hai fissa-to, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» (Sal 8,4-5). contemplare la bel-lezza del creato è stimolo a riconoscere l’amore del creatore, quell’amore che «move il sole e l’altre stelle» [4].

3. vent’anni or sono, il papa gio-vanni paolo ii, dedicando il messaggio della giornata mondiale della pace al tema Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato, richiamava l’attenzione sulla relazione che noi, in quanto crea-ture di dio, abbiamo con l’universo che ci circonda. «si avverte ai nostri giorni – scriveva – la crescente consapevolez-za che la pace mondiale sia minaccia-ta... anche dalla mancanza del dovu-to rispetto per la natura». e aggiunge-va che la coscienza ecologica «non deve

Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato

diJoseff ratzinger

8 • QUALEDUCAZIONE

essere mortificata, ma anzi favorita, in modo che si sviluppi e maturi, trovan-do adeguata espressione in program-mi ed iniziative concrete» [5]. già altri miei predecessori avevano fatto riferi-mento alla relazione esistente tra l’uo-mo e l’ambiente. ad esempio, nel 1971, in occasione dell’ottantesimo anniver-sario dell’enciclica Rerum Novarum di leone Xiii, paolo vi ebbe a sottoline-are che «attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, (l’uomo) ri-schia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione». ed aggiunse che in tal caso «non sol-tanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distrut-tivo totale; ma è il contesto umano, che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che po-trà essergli intollerabile: problema so-ciale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana» [6].

4. pur evitando di entrare nel merito di specifiche soluzioni tecniche, la Chie-sa, «esperta in umanità», si premura di richiamare con forza l’attenzione sulla relazione tra il creatore, l’essere uma-no e il creato. nel 1990, giovanni paolo ii parlava di «crisi ecologica» e, rilevan-do come questa avesse un carattere pre-valentemente etico, indicava l’«urgente necessità morale di una nuova solida-rietà» [7]. Questo appello si fa ancora più pressante oggi, di fronte alle cre-scenti manifestazioni di una crisi che sarebbe irresponsabile non prendere in seria considerazione. come rimane-re indifferenti di fronte alle problema-tiche che derivano da fenomeni quali i cambiamenti climatici, la desertifica-zione, il degrado e la perdita di produt-tività di vaste aree agricole, l’inquina-

mento dei fiumi e delle falde acquifere, la perdita della biodiversità, l’aumento di eventi naturali estremi, il disbosca-mento delle aree equatoriali e tropica-li? come trascurare il crescente feno-meno dei cosiddetti «profughi ambien-tali»: persone che, a causa del degrado dell’ambiente in cui vivono, lo devono lasciare – spesso insieme ai loro beni – per affrontare i pericoli e le incognite di uno spostamento forzato? come non reagire di fronte ai conflitti già in atto e a quelli potenziali legati all’accesso alle risorse naturali? sono tutte que-stioni che hanno un profondo impatto sull’esercizio dei diritti umani, come ad esempio il diritto alla vita, all’alimenta-zione, alla salute, allo sviluppo.

5. va, tuttavia, considerato che la crisi ecologica non può essere valutata separatamente dalle questioni ad essa collegate, essendo fortemente connes-sa al concetto stesso di sviluppo e alla visione dell’uomo e delle sue relazioni con i suoi simili e con il creato. saggio è, pertanto, operare una revisione profon-da e lungimirante del modello di svilup-po, nonché riflettere sul senso dell’eco-nomia e dei suoi fini, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni. lo esige lo stato di salute ecologica del pianeta; lo richiede anche e soprattutto la crisi culturale e morale dell’uomo, i cui sinto-mi sono da tempo evidenti in ogni parte del mondo [8]. l’umanità ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale; ha bisogno di riscoprire quei valori che co-stituiscono il solido fondamento su cui costruire un futuro migliore per tutti. le situazioni di crisi, che attualmente sta attraversando – siano esse di carat-tere economico, alimentare, ambientale o sociale –, sono, in fondo, anche crisi morali collegate tra di loro. esse obbli-

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gano a riprogettare il comune cammino degli uomini. obbligano, in particolare, a un modo di vivere improntato alla so-brietà e alla solidarietà, con nuove re-gole e forme di impegno, puntando con fiducia e coraggio sulle esperienze posi-tive compiute e rigettando con decisione quelle negative. solo così l’attuale cri-si diventa occasione di discernimento e di nuova progettualità.

6. non è forse vero che all’origine di quella che, in senso cosmico, chiamia-mo «natura», vi è «un disegno di amo-re e di verità»? il mondo «non è il pro-dotto di una qualsivoglia necessità, di un destino cieco o del caso... il mondo trae origine dalla libera volontà di dio, il quale ha voluto far partecipare le cre-ature al suo essere, alla sua saggezza e alla sua bontà» [9]. il Libro della Ge-nesi, nelle sue pagine iniziali, ci ripor-ta al progetto sapiente del cosmo, frutto del pensiero di dio, al cui vertice si col-locano l’uomo e la donna, creati ad im-magine e somiglianza del creatore per «riempire la terra» e «dominarla» come «amministratori» di dio stesso (cfr Gen 1,28). l’armonia tra il creatore, l’uma-nità e il creato, che la sacra scrittura descrive, è stata infranta dal peccato di adamo ed eva, dell’uomo e della donna, che hanno bramato occupare il posto di Dio, rifiutando di riconoscersi come sue creature. la conseguenza è che si è di-storto anche il compito di «dominare» la terra, di «coltivarla e custodirla» e tra loro e il resto della creazione è nato un conflitto (cfr Gen 3,17-19). l’essere umano si è lasciato dominare dall’egoi-smo, perdendo il senso del mandato di dio, e nella relazione con il creato si è comportato come sfruttatore, volendo esercitare su di esso un dominio asso-luto. Ma il vero significato del comando

iniziale di dio, ben evidenziato nel Li-bro della Genesi, non consisteva in un semplice conferimento di autorità, bensì piuttosto in una chiamata alla respon-sabilità. del resto, la saggezza degli an-tichi riconosceva che la natura è a no-stra disposizione non come «un mucchio di rifiuti sparsi a caso» [10], mentre la rivelazione biblica ci ha fatto compren-dere che la natura è dono del creatore, il quale ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci, affinché l’uomo possa trarne gli orientamenti doverosi per «custodir-la e coltivarla» (cfr Gen 2,15) [11]. tutto ciò che esiste appartiene a dio, che lo ha affidato agli uomini, ma non perché ne dispongano arbitrariamente. e quando l’uomo, invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di dio, a dio si sostituisce, finisce col provocare la ribellione del-la natura, «piuttosto tiranneggiata che governata da lui» [12]. l’uomo, quindi, ha il dovere di esercitare un governo re-sponsabile della creazione, custodendo-la e coltivandola [13].

7. purtroppo, si deve constatare che una moltitudine di persone, in diversi paesi e regioni del pianeta, sperimen-ta crescenti difficoltà a causa della ne-gligenza o del rifiuto, da parte di tan-ti, di esercitare un governo responsa-bile sull’ambiente. il concilio ecume-nico vaticano ii ha ricordato che «dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomi-ni e di tutti i popoli» [14]. l’eredità del creato appartiene, pertanto, all’inte-ra umanità. invece, l’attuale ritmo di sfruttamento mette seriamente in pe-ricolo la disponibilità di alcune risor-se naturali non solo per la generazione presente, ma soprattutto per quelle fu-ture [15]. Non è difficile allora costata-re che il degrado ambientale è spesso

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il risultato della mancanza di proget-ti politici lungimiranti o del persegui-mento di miopi interessi economici, che si trasformano, purtroppo, in una seria minaccia per il creato. per contrastare tale fenomeno, sulla base del fatto che «ogni decisione economica ha una con-seguenza di carattere morale» [16], è anche necessario che l’attività econo-mica rispetti maggiormente l’ambiente. Quando ci si avvale delle risorse natu-rali, occorre preoccuparsi della loro sal-vaguardia, prevedendone anche i costi – in termini ambientali e sociali –, da valutare come una voce essenziale de-gli stessi costi dell’attività economica. compete alla comunità internazionale e ai governi nazionali dare i giusti segna-li per contrastare in modo efficace quel-le modalità d’utilizzo dell’ambiente che risultino ad esso dannose. per proteg-gere l’ambiente, per tutelare le risorse e il clima occorre, da una parte, agire nel rispetto di norme ben definite an-che dal punto di vista giuridico ed eco-nomico, e, dall’altra, tenere conto della solidarietà dovuta a quanti abitano le regioni più povere della terra e alle fu-ture generazioni.

8. sembra infatti urgente la conqui-sta di una leale solidarietà inter-gene-razionale. i costi derivanti dall’uso del-le risorse ambientali comuni non posso-no essere a carico delle generazioni fu-ture: «eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri con-temporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti e non possiamo disinteres-sarci di coloro che verranno dopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana. la solidarietà universale, ch’è un fatto e per noi un beneficio, è altre-sì un dovere. Si tratta di una responsa-bilità che le generazioni presenti han-

no nei confronti di quelle future, una responsabilità che appartiene anche ai singoli stati e alla comunità interna-zionale» [17]. l’uso delle risorse natu-rali dovrebbe essere tale che i vantaggi immediati non comportino conseguenze negative per gli esseri viventi, umani e non umani, presenti e a venire; che la tutela della proprietà privata non osta-coli la destinazione universale dei beni [18]; che l’intervento dell’uomo non com-prometta la fecondità della terra, per il bene di oggi e per il bene di domani. ol-tre ad una leale solidarietà inter-gene-razionale, va ribadita l’urgente necessi-tà morale di una rinnovata solidarietà intra-generazionale, specialmente nei rapporti tra i paesi in via di sviluppo e quelli altamente industrializzati: «la co-munità internazionale ha il compito im-prescindibile di trovare le strade istitu-zionali per disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, con la par-tecipazione anche dei paesi poveri, in modo da pianificare insieme il futuro» [19]. La crisi ecologica mostra l’urgenza di una solidarietà che si proietti nello spazio e nel tempo. È infatti importan-te riconoscere, fra le cause dell’attuale crisi ecologica, la responsabilità storica dei paesi industrializzati. i paesi meno sviluppati e, in particolare, quelli emer-genti, non sono tuttavia esonerati dalla propria responsabilità rispetto al crea-to, perché il dovere di adottare gradual-mente misure e politiche ambientali ef-ficaci appartiene a tutti. Ciò potrebbe realizzarsi più facilmente se vi fossero calcoli meno interessati nell’assisten-za, nel trasferimento delle conoscenze e delle tecnologie più pulite.

9. È indubbio che uno dei principali nodi da affrontare, da parte della comu-nità internazionale, è quello delle risor-

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se energetiche, individuando strategie condivise e sostenibili per soddisfare i bisogni di energia della presente gene-razione e di quelle future. a tale scopo, è necessario che le società tecnologica-mente avanzate siano disposte a favo-rire comportamenti improntati alla so-brietà, diminuendo il proprio fabbiso-gno di energia e migliorando le condi-zioni del suo utilizzo. al tempo stesso, occorre promuovere la ricerca e l’appli-cazione di energie di minore impatto ambientale e la «ridistribuzione plane-taria delle risorse energetiche, in modo che anche i paesi che ne sono privi pos-sano accedervi» [20]. la crisi ecologica, dunque, offre una storica opportunità per elaborare una risposta collettiva volta a convertire il modello di sviluppo globale in una direzione più rispettosa nei confronti del creato e di uno svilup-po umano integrale, ispirato ai valori propri della carità nella verità. auspi-co, pertanto, l’adozione di un modello di sviluppo fondato sulla centralità dell’es-sere umano, sulla promozione e condivi-sione del bene comune, sulla responsa-bilità, sulla consapevolezza del necessa-rio cambiamento degli stili di vita e sul-la prudenza, virtù che indica gli atti da compiere oggi, in previsione di ciò che può accadere domani [21].

10. per guidare l’umanità verso una gestione complessivamente sostenibi-le dell’ambiente e delle risorse del pia-neta, l’uomo è chiamato a impiegare la sua intelligenza nel campo della ricer-ca scientifica e tecnologica e nell’appli-cazione delle scoperte che da questa derivano. la «nuova solidarietà», che giovanni paolo ii propose nel Messag-gio per la Giornata Mondiale della Pace del 1990 [22], e la «solidarietà globale», che io stesso ho richiamato nel Messag-

gio per la Giornata Mondiale della Pace del 2009 [23], risultano essere atteggia-menti essenziali per orientare l’impe-gno di tutela del creato, attraverso un sistema di gestione delle risorse della terra meglio coordinato a livello inter-nazionale, soprattutto nel momento in cui va emergendo, in maniera sempre più evidente, la forte interrelazione che esiste tra la lotta al degrado ambienta-le e la promozione dello sviluppo uma-no integrale. si tratta di una dinamica imprescindibile, in quanto «lo sviluppo integrale dell’uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell’umani-tà» [24]. tante sono oggi le opportunità scientifiche e i potenziali percorsi inno-vativi, grazie ai quali è possibile forni-re soluzioni soddisfacenti ed armonio-se alla relazione tra l’uomo e l’ambien-te. ad esempio, occorre incoraggiare le ricerche volte ad individuare le moda-lità più efficaci per sfruttare la grande potenzialità dell’energia solare. altret-tanta attenzione va poi rivolta alla que-stione ormai planetaria dell’acqua ed al sistema idrogeologico globale, il cui ciclo riveste una primaria importanza per la vita sulla terra e la cui stabilità rischia di essere fortemente minaccia-ta dai cambiamenti climatici. vanno altresì esplorate appropriate strategie di sviluppo rurale incentrate sui picco-li coltivatori e sulle loro famiglie, come pure occorre approntare idonee politi-che per la gestione delle foreste, per lo smaltimento dei rifiuti, per la valoriz-zazione delle sinergie esistenti tra il contrasto ai cambiamenti climatici e la lotta alla povertà. occorrono politiche nazionali ambiziose, completate da un necessario impegno internazionale che apporterà importanti benefici soprat-tutto nel medio e lungo termine. È ne-

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cessario, insomma, uscire dalla logica del mero consumo per promuovere for-me di produzione agricola e industria-le rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti. la questione ecologica non va af-frontata solo per le agghiaccianti pro-spettive che il degrado ambientale pro-fila all’orizzonte; a motivarla deve esse-re soprattutto la ricerca di un’autentica solidarietà a dimensione mondiale, ispi-rata dai valori della carità, della giusti-zia e del bene comune. d’altronde, come ho già avuto modo di ricordare, «la tec-nica non è mai solo tecnica. essa ma-nifesta l’uomo e le sue aspirazioni allo sviluppo; esprime la tensione dell’ani-mo umano al graduale superamento di certi condizionamenti materiali. La tec-nica, pertanto, si inserisce nel manda-to di «coltivare e custodire la terra» (cfr Gen 2,15), che Dio ha affidato all’uomo, e va orientata a rafforzare quell’alle-anza tra essere umano e ambiente che deve essere specchio dell’amore creato-re di dio» [25].

11. appare sempre più chiaramen-te che il tema del degrado ambienta-le chiama in causa i comportamenti di ognuno di noi, gli stili di vita e i model-li di consumo e di produzione attual-mente dominanti, spesso insostenibili dal punto di vista sociale, ambientale e finanche economico. Si rende ormai in-dispensabile un effettivo cambiamento di mentalità che induca tutti ad adot-tare nuovi stili di vita «nei quali la ri-cerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elemen-ti che determinano le scelte dei consu-mi, dei risparmi e degli investimenti» [26]. sempre più si deve educare a co-struire la pace a partire dalle scelte di

ampio raggio a livello personale, fami-liare, comunitario e politico. tutti sia-mo responsabili della protezione e della cura del creato. tale responsabilità non conosce frontiere. secondo il principio di sussidiarietà, è importante che cia-scuno si impegni al livello che gli corri-sponde, operando affinché venga supe-rata la prevalenza degli interessi parti-colari. un ruolo di sensibilizzazione e di formazione spetta in particolare ai vari soggetti della società civile e alle orga-nizzazioni nongovernative, che si prodi-gano con determinazione e generosità per la diffusione di una responsabilità ecologica, che dovrebbe essere sempre più ancorata al rispetto dell’«ecologia umana». occorre, inoltre, richiamare la responsabilità dei media in tale ambito, proponendo modelli positivi a cui ispi-rarsi. occuparsi dell’ambiente richie-de, cioè, una visione larga e globale del mondo; uno sforzo comune e responsa-bile per passare da una logica centrata sull’egoistico interesse nazionalistico ad una visione che abbracci sempre le ne-cessità di tutti i popoli. non si può ri-manere indifferenti a ciò che accade in-torno a noi, perché il deterioramento di qualsiasi parte del pianeta ricadrebbe su tutti. le relazioni tra persone, grup-pi sociali e stati, come quelle tra uomo e ambiente, sono chiamate ad assumere lo stile del rispetto e della «carità nella verità». in tale ampio contesto, è quan-to mai auspicabile che trovino efficacia e corrispondenza gli sforzi della comu-nità internazionale volti ad ottenere un progressivo disarmo ed un mondo pri-vo di armi nucleari, la cui sola presen-za minaccia la vita del pianeta e il pro-cesso di sviluppo integrale dell’umani-tà presente e di quella futura.

12. La Chiesa ha una responsabili-

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tà per il creato e sente di doverla eser-citare, anche in ambito pubblico, per difendere la terra, l’acqua e l’aria, doni di dio creatore per tutti, e, anzitutto, per proteggere l’uomo contro il pericolo della distruzione di se stesso. il degra-do della natura è, infatti, strettamen-te connesso alla cultura che modella la convivenza umana, per cui «quando l’«ecologia umana» è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio» [27]. non si può do-mandare ai giovani di rispettare l’am-biente, se non vengono aiutati in fami-glia e nella società a rispettare se stes-si: il libro della natura è unico, sia sul versante dell’ambiente come su quello dell’etica personale, familiare e sociale [28]. i doveri verso l’ambiente deriva-no da quelli verso la persona considera-ta in se stessa e in relazione agli altri. volentieri, pertanto, incoraggio l’educa-zione ad una responsabilità ecologica, che, come ho indicato nell’enciclica Ca-ritas in veritate, salvaguardi un’auten-tica «ecologia umana» e, quindi, affermi con rinnovata convinzione l’inviolabili-tà della vita umana in ogni sua fase e in ogni sua condizione, la dignità della persona e l’insostituibile missione della famiglia, nella quale si educa all’amore per il prossimo e al rispetto della natu-ra [29]. occorre salvaguardare il patri-monio umano della società. Questo pa-trimonio di valori ha la sua origine ed è iscritto nella legge morale naturale, che è fondamento del rispetto della per-sona umana e del creato.

13. Non va infine dimenticato il fat-to, altamente indicativo, che tanti tro-vano tranquillità e pace, si sentono rin-novati e rinvigoriti quando sono a stret-to contatto con la bellezza e l’armonia della natura. vi è pertanto una sorta di

reciprocità: nel prenderci cura del crea-to, noi constatiamo che dio, tramite il creato, si prende cura di noi. d’altra parte, una corretta concezione del rap-porto dell’uomo con l’ambiente non por-ta ad assolutizzare la natura né a rite-nerla più importante della stessa perso-na. se il magistero della chiesa esprime perplessità dinanzi ad una concezione dell’ambiente ispirata all’ecocentrismo e al biocentrismo, lo fa perché tale con-cezione elimina la differenza ontologi-ca e assiologica tra la persona umana e gli altri esseri viventi. in tal modo, si viene di fatto ad eliminare l’identità e il ruolo superiore dell’uomo, favorendo una visione egualitaristica della «di-gnità» di tutti gli esseri viventi. si dà adito, così, ad un nuovo panteismo con accenti neopagani che fanno derivare dalla sola natura, intesa in senso pu-ramente naturalistico, la salvezza per l’uomo. la chiesa invita, invece, ad im-postare la questione in modo equilibra-to, nel rispetto della «grammatica» che il creatore ha inscritto nella sua opera, affidando all’uomo il ruolo di custode e amministratore responsabile del crea-to, ruolo di cui non deve certo abusare, ma da cui non può nemmeno abdicare. infatti, anche la posizione contraria di assolutizzazione della tecnica e del po-tere umano, finisce per essere un grave attentato non solo alla natura, ma an-che alla stessa dignità umana [30].

14. Se vuoi coltivare la pace, custo-disci il creato. la ricerca della pace da parte di tutti gli uomini di buona volon-tà sarà senz’altro facilitata dal comune riconoscimento del rapporto inscindibi-le che esiste tra dio, gli esseri umani e l’intero creato. illuminati dalla divina rivelazione e seguendo la tradizione della chiesa, i cristiani offrono il pro-

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prio apporto. essi considerano il cosmo e le sue meraviglie alla luce dell’opera creatrice del padre e redentrice di cri-sto, che, con la sua morte e risurrezione, ha riconciliato con dio «sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stan-no nei cieli» (Col 1,20). il cristo, croci-fisso e risorto, ha fatto dono all’uma-nità del suo Spirito santificatore, che guida il cammino della storia, in atte-sa del giorno in cui, con il ritorno glo-rioso del signore, verranno inaugura-ti «nuovi cieli e una terra nuova» (2 Pt 3,13), in cui abiteranno per sempre la giustizia e la pace. proteggere l’ambien-te naturale per costruire un mondo di pace è, pertanto, dovere di ogni perso-na. Ecco una sfida urgente da affronta-re con rinnovato e corale impegno; ecco una provvidenziale opportunità per con-segnare alle nuove generazioni la pro-spettiva di un futuro migliore per tut-ti. ne siano consapevoli i responsabili delle nazioni e quanti, ad ogni livello, hanno a cuore le sorti dell’umanità: la salvaguardia del creato e la realizza-zione della pace sono realtà tra loro in-timamente connesse! per questo, invi-to tutti i credenti ad elevare la loro fer-vida preghiera a dio, onnipotente cre-atore e Padre misericordioso, affinché nel cuore di ogni uomo e di ogni donna risuoni, sia accolto e vissuto il pressan-te appello: Se vuoi coltivare la pace, cu-stodisci il creato.

dal vaticano, 8 dicembre 2009

note

[1] Catechismo della Chiesa Cattolica, 198.[2] benedetto Xvi, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2008, 7.

[3] cfr n. 48.[4] dante alighieri, Divina Commedia, Paradi-so, XXXiii, 145.[5] Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990, 1.[6] lett. ap. Octogesima adveniens, 21.[7] Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 10.[8] cfr benedetto Xvi, lett. enc. Caritas in ve-ritate, 32.[9] Catechismo della Chiesa Cattolica, 295.[10] eraclito di efeso (535 a.c. ca. – 475 a.c. ca.), frammento 22b124, in H. diels-W. Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, Weidmann, ber-lin 19526.[11] cfr benedetto Xvi, lett. enc. Caritas in ve-ritate, 48.[12] giovanni paolo ii, lett. enc. Centesimus an-nus, 37.[13] cfr benedetto Xvi, lett. enc. Caritas in ve-ritate, 50.[14] cost. past. Gaudium et spes, 69.[15] cfr giovanni paolo ii, lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 34.[16] benedetto Xvi, lett. enc. Caritas in veri-tate, 37.[17] Pontificio Consiglio della Giustizia e del-la pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 467 ; cfr paolo vi, lett. enc. Populorum progressio, 17.[18] cfr giovanni paolo ii, lett. enc. Centesimus annus, 30-31.43.[19] benedetto Xvi, lett. enc. Caritas in veri-tate, 49.[20] Ibid.[21] cfr san tommaso d’aquino, S. Th., ii-ii, q. 49, 5.[22] cfr n. 9.[23] cfr n. 8.[24] paolo vi, lett. enc. Populorum progres-sio, 43.[25] lett. enc. Caritas in veritate, 69.[26] giovanni paolo ii, lett. enc. Centesimus an-nus, 36.[27] benedetto Xvi, lett. enc. Caritas in veri-tate, 51.[28] cfr ibid., 15.51.[29] cfr ibid., 28.51.61; giovanni paolo ii, lett. enc. Centesimus annus, 38.39.[30] cfr benedetto Xvi, lett. enc. Caritas in ve-ritate, 70.

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Educazionesenza frontiere

rubrica diretta da MICHELE BORRELLI

Educazione morale e formazione della morale*

didietricH benner

discutere le domande che riguarda-no l’educazione morale e la formazione della morale è un’impresa che, attual-mente, non gode di nessuna particola-re congiuntura sia nella scienza peda-gogica che in filosofia.

La filosofia discute i problemi della fondazione della morale per lo più sen-za considerare il fatto educativo e nei casi in cui ciò avviene, essa è portata, a volte, – come da ultimo John rawls nel suo tentativo per una teoria della giu-stizia – a risolverla e ad interpretarla in senso psicologico.

la scienza pedagogica, spesso, in-versamente, discute le domande, rela-tive all’educazione morale, come se il problema della morale non esistesse o come se appartenesse già alle doman-de risolte o irrisolvibili e la cui presa di coscienza sarebbe compito di pertinen-za non suo ma della filosofia.

in questo mio intervento, cercherò di descrivere un percorso diverso. esso non è affatto nuovo, ma, sotto più aspet-ti, più difficile dei percorsi separati di

scienza pedagogica e filosofia, e pertan-to forse anche più ricco di prospettive e più adeguato al problema. Questo per-corso che vorrei seguire non permette di risolvere i problemi di sintonia e di co-municazione, tra la scienza pedagogica e la filosofia, in senso psicologico, piutto-sto, esige un discorso tra tutte le disci-pline che prendono parte al tema.

nella tradizione occidentale, socra-te e platone furono i primi a richiamare l’attenzione sul fatto che né c’è una mo-rale, bella e pronta, da cui l’educazione potrebbe dedurre finalità vincolanti, né c’è un’educazione perfetta che sarebbe capace di produrre, per forza propria, modi morali di comportamento.

nel dialogo Protagora di platone, so-crate comprova che noi non conosciamo il bene in senso definitivo, per cui noi nemmeno sappiamo se la virtù può (in generale) essere insegnata e come può essere acquisita. con la successiva mes-sa in rilievo che l’etica è tanto poco de-finita quanto l’educazione, Schleierma-cher ha aggiunto, all’esposizione antica del problema, accenti moderni. se se-guiamo questi accenti, per quanto ri-guarda l’educazione, i pedagogisti pos-sono tanto poco aspettare che la morale sia definita in senso compiuto dall’etica,

* titolo originale del contributo: “Moralische Er-ziehung und Bildung der Moral”, tr. it. di m. bor-relli. relazione presentata al Xv convegno inter-nazionale, praia a mare 22-25/05/09.

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quanto poco l’etica può affidarsi al fatto che la moralità si mette a punto come risultato di una buona educazione.

come già prima di lui Kant, schleier-macher definì il nuovo rapporto tra le generazioni col distinguere tra emanci-pazione etica e pedagogica e non-eman-cipazione. a suo dire, come non si pote-va ritenere le convenzioni, i costumi e le abitudini degli adulti, etici in un senso illimitato e passarli all’educazione come misura d’orientamento, così non si dove-va aspettare che la moralizzazione del-la società e del mondo potesse avvenire partendo dai giovani.

schleiermacher, piuttosto, pensava che il rapporto tra le generazioni consi-stesse nel fatto che la generazione adul-ta, che si presume già educata e che – secondo Kant – si vede confrontata con la sua autoprocurata non-emancipazio-ne – educa la successiva generazione che dovrà comprendere il proprio pen-sare ed agire non come opera dell’edu-cazione, ma come risultato dei propri sforzi di giudicare autonomamente su questioni morali e di seguire l’agire in base alle proprie evidenze e ai propri giudizi.

da questo schizzo introduttivo mol-to semplificato, relativo al modo anti-co e moderno di porre il problema, con-segue che sia per quel che riguarda il pensiero sia per quel che riguarda l’agi-re ci vediamo confrontati non solo con questioni etiche della morale, ma anche con questioni pedagogiche, senza che le teorie moral-pedagogiche e le riflessio-ni possano dare risposta alla domanda concernente la formazione della morale o che le teorie morali dell’etica sappia-no, per forza propria, cosa dovremmo intendere con buona educazione.

il senso produttivo di porre in que-

sto modo il problema consiste nell’evi-denza del fatto che una educazione fon-damentalista, che cerca di far emerge-re per forza propria il bene e la virtù è tanto ingannevole quanto una morale fondamentalistica che pensa di poter evincere, da etici discorsi sulla morale, che cosa si dovrebbe intendere con buo-na educazione.

È errato, in generale, interpretare la moralità come opera dell’educazione o intendere l’educazione come un agi-re che si lascerebbe determinare dalla morale o che potrebbe essere finalizzato alla morale. la domanda che concerne la buona educazione e quella che con-cerne la morale giusta non sono legate l’un l’altra da nessun rapporto di dedu-zione, piuttosto dal fatto che entrambe le domande non trovano una loro rispo-sta né in rinvio alla natura umana né in rinvio all’esperienza e alla storia.

un legame che va ancora più in pro-fondità potrebbe consistere nel fatto che la moralità, sensatamente, non può es-sere vista come risultato dell’educa-zione; essa, piuttosto, scaturisce da un agire che è da situare al di là dell’edu-cazione.

per quel che riguarda ciò, già i teo-rici della paideia antica interpretarono la virtù non come opera dell’educazio-ne, ma come risultato di una prassi eti-ca alla quale non sono capaci né i bam-bini né i ragazzi né gente giovane, ma solo persone che hanno acquisito il ca-rattere etico nelle tempeste della vita. consapevole di ciò, anche Herbart potè dire dell’educazione moderna che essa dovrebbe mantenere i bambini e i gio-vani, per molto tempo, in una “saluta-re assenza di carattere”, in quanto la moralità si fonda sul giudizio etico e l’ubbidienza nei confronti delle proprie

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convinzioni e delle proprie evidenze ma non scaturisce dal seguire le direttive degli educatori.

la terza posizione, di cui ora parle-rò in modo più particolareggiato, cer-ca, in ugual misura, di fare oggetto di riflessione il sapere etico e non etico ri-guardo al bene e alla morale e il sape-re pedagogico e non pedagogico riguar-do alla buona educazione. Questa terza posizione mette assieme le due forme di sapere e non-sapere, tal che si può ri-nunciare a rapporti unilaterali o reci-proci di deduzione.

mi avvio, ora, a chiarire i rapporti tra un’educazione morale riflettente e una formazione problematizzante del-la morale a cui ho fatto riferimento, se-guendo due passi:

Primo passo: concretizzerò quanto fi-nora detto in modo astratto in rinvio ad un testo di christine nöstlinger che, se-condo me, va al cuore del problema.

secondo passo: approfondirò il tema in rinvio ad un concetto non-affermati-vo del rapporto tra educazione, forma-zione e morale. una concezione che lega i compiti e le possibilità di una mora-lizzazione positiva all’elaborazione di esperienze morali negative.

che nell’ambito della morale come negli altri ambiti, l’educazione possa altrettanto poco procedere affermativa-mente e educare i giovani alla semplice accettazione di consuetudini e conven-zioni lo ha dimostrato la scrittice au-striaca christine nöstlinger, nata nel 1936, nel suo saggio dal titolo “In cam-mino verso la morale”, in cui fa ogget-to di riflessione il mutare delle morali. morali al cui riconoscimento e alla cui accettazione fu educata nel corso della sua infanzia e della sua giovinezza.

il saggio nel quale sono ancora ope-

ranti e riprodotte le idee educative af-fermative delle persone di riferimento, inizia col seguente ricordo: «più di dieci anni fa scrissi una poesia che iniziava più o meno in questo modo: Si è trascu-rato di darmi delle misure / attraverso le quali io potessi misurare le mie azio-ni / in prospettiva morale».

christina nöstlinger continua: «dopo aver dedicato un decennio alla scrittura di libri per bambini e del la-voro di memoria a ciò legato, so che al-lora nello scrivere la poesia mi ero sba-gliata fortemente. infatti, ognuno che, nella mia infanzia, mi fu persona di ri-ferimento, ha operato diligentemente in “prospettiva morale”».

nel corso di questo suo autoaccerta-mento retrospettivo che la riporta con la memoria fino agli anni della sua infan-zia, christine nöstlinger mostra che la sua socializzazione morale non fu affat-to determinata da una mancanza di ide-ali o modelli orientativi. il motivo che la spinse a correggere il giudizio, espres-so nella poesia, sopraggiunse solo molto più tardi, e cioè, allorché fece oggetto di riflessione le contraddizioni all’interno dei modelli ai quali era stata, di volta in volta, socializzata.

Il viaggio retrospettivo di riflessio-ne sulle contraddizioni morali vissute la portarono alla convinzione di essere stata “in cammino verso la morale” non solo nella sua infanzia e nella giovinez-za, ma di esserlo tuttora.

dal testo si evince: le prime esperienze morali, christi-

ne le fece nel rapporto con la madre che – in un dopoguerra di fame e necessità – le insegnò che dire bugie, azzuffarsi, litigare, essere-testardi appartengono alle azioni moralmente permesse; i re-ati contro la moralità pubblica invece

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no; e i reati contro il patrimonio solo se non vengono derubati i propri familia-ri, ma persone sconosciute.

Influenzata da queste lezioni di mo-rale, christine da un chiosco vicino, con regolarità, incominciò a rubare siga-rette e conservarle nella valigetta del-le bambole per il padre che viveva an-cora in prigionia.

Quando il contenuto della valigetta non aumentava ma diminuiva, si accor-se che il nonno non condivideva affatto la morale di sua madre, piuttosto usa-va il contenuto della valigetta della ni-potina per soddisfare la sua “dipenden-za dal tabacco”.

dalla maestra della scuola elemen-tare le fu, poi, chiarito che il termine “coscienza” non indica la buona coscien-za nella premura di rubare, ma la “cat-tiva coscienza” che, in caso di furto e altre mancanze, sorge nell’uomo cosid-detto buono o onesto.

seguendo la morale della seconda lezione, christine non rubò più di buo-na coscienza, ma nel rubare iniziò a sentirsi (priva di scrupoli), “senza co-scienza”.

il padre, rilasciato dalla prigionia, riuscì, infine, a convincere la figlia, che nel frattempo aveva raggiunto l’età del-la pubertà, che bisognava avere una “cattiva coscienza” solo quando “non si fanno e non si dicono le cose che si ri-tengono giuste”.

acquisito questo nuovo orientamen-to morale, christine, che nel frattempo ha raggiunto l’età di quattordici anni, diventa “una gioia luminosa per il pa-dre” e un “vero orrore per l’ambiente piccolo-borghese” in cui abitava.

per riconoscere che l’immagine che suo padre le aveva trasmesso di sé fos-se inventata di sana pianta, christine

ebbe bisogno di altri quindici anni. lo stesso si può dire di quella morale con la quale christine aveva cercato di farsi amico il padre, il cui principio recitava: le donne che non fanno altro che amo-reggiare e poi rifiutano di darti la “cosa ultima”, sono “l’ultima cosa”.

il saggio di christine nöstlinger por-ta alla memoria incontri con persone, le quali, “ognuna a modo suo”, dispone-vano di principi morali fissi e che, “per sfortuna e fortuna della bambina in età di sviluppo”, rappresentarono delle mo-rali contrastanti. la giovane ragazza ebbe l’occasione di confrontarsi con dif-ferenti visioni di ciò che si ritiene one-stà, moralità, giustizia. solo più tardi si accorse che nell’imitare e accettare le differenti morali che le venivano im-poste/proposte non era giunta a nessu-na morale a cui potersi attenere come morale legittima sia nei rapporti con se stessa che nei rapporti con gli altri.

se consideriamo la molteplicità e la diversità delle morali che oggi in-fluiscono non solo su bambini e giova-ni, ma anche sugli adulti e sui rapporti tra le generazioni, la risposta pedagogi-ca non può recitare: educare e socializ-zare i singoli nell’orizzonte della mora-le da cui provengono e riconoscere loro un proprio giudizio e una propria com-petenza d’agire solo quando l’educa-zione è chiusa e l’inserimento nella so-cietà è già compiuto. la risposta peda-gogica consiste, invece, nel fatto (e ciò “vale non meno per l’educazione politica e l’educazione scientifica”) che l’educa-zione morale non può più essere affer-mativa. abbiamo bisogno di una educa-zione non-affermativa.

un’educazione non-affermativa, nell’ambito della morale, deve guardar-si in ugual misura da due false strade:

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dal far crescere bambini e giovani, pri-ma di ogni educazione morale, in senso antiautoritario e di critica ad ogni mora-le e dal far crescere bambini e giovani in senso antipedagogico, senza gli sforzi, cioè, per una educazione morale.

se si accetta questa linea pedago-gica, si pongono due domande: quale la possibile concezione per sviluppare una educazione morale non affermati-va? Quali le tecnologie per operare, con effettività, in questa direzione?

una prima indicazione sulla con-traddittorietà che caratterizza i con-cetti affermativi di morale si trova già nell’emilio di rousseau. il dialogo se-guente (virtuale) tra un insegnante e un bambino mostra le insidie o trappole moderne di ogni educazione morale che procede in senso affermativo-positivo:

l’insegnante: ciò non è permesso Il bambino: E perché ciò non è per-

messo? l’insegnante: perchè è cattivo il bambino: che cos’è il cattivo? l’insegnante: ciò che ti è vietato il bambino: che succede se faccio ciò

che mi è vietato? L’insegnante: Sarai punito perché

sei stato disubbidiente il bambino: lo farò in modo che nes-

suno se ne accorga l’insegnante: ti terremo sottocchioil bambino: mi nasconderò l’insegnate: ti interrogheremo il bambino: dirò delle bugie l’insegnante: non bisogna dire bu-

gie Il bambino: Perché non bisogna dire

bugie? L’insegnante: Perché è cattivo, ecc. ciò riapre l’ineludibile circolo vi-

zioso. il limite di una educazione morale

affermativa, indicato da rousseau, con-siste nel fatto che essa educa al ricono-scimento di una morale positiva senza che colui che deve apprendere abbia la possibilità di poter partecipare alla ne-goziazione, spiegazione e interpretazio-ne di norme morali e regole.

il curriculum segreto o nascosto di questa moralizzazione non mira, infatti, a forme di giudizio e di decisioni mora-li autonome a partire dalla persona che apprende; in verità si pratica un’edu-cazione morale che intende la moraliz-zazione come sottomissione a norme e regole imposte eteronomamente e che produce nell’educandus o la morale di un’ubbidienza cieca o la prontezza all’inganno e quindi l’arte della simu-lazione, ma non quella forma di corag-gio civile che si fonda sul giudizio o sul coraggio di difendere ciò che è ricono-sciuto come giusto.

difendere ciò che è ritenuto giusto individualmente e pubblicamente, an-che contro le proprie resistenze e le re-sistenze altre o eteronome.

la moralizzazione positiva cerca di condurre l’educandus ad una forma pas-siva di accettazione di una determinata moralità proteggendola da esperienze negative di morale. però, come in am-bito dell’educazione fisica non c’è for-mazione dei sensi e dei movimenti del corpo che possa essere trasmessa sen-za esperienze negative, per esempio, in ciò che è la valutazione delle distan-ze, l’inciampare quando si apprende a camminare, il passo falso nel danzare; come l’apprendimento della lettura e della scrittura rinvia inevitabilmente ad un rapporto costruttivo con gli erro-ri e il leggere e lo scrivere correttemen-te possono essere appresi nel momen-to in cui l’educandus li sa distinguere

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dal leggere e scrivere errati, così anche nell’ambito dell’apprendimento morale e dell’educazione morale non sono pos-sibili e pensabili processi formativi sen-za l’appropriazione e la riflessione delle differenze tra sentimenti e forme d’agi-re buoni e cattivi.

tra il nostro sapere intorno al male e la nostra conoscenza intorno al bene c’è – come nella differenza tra ciò che è corretto e ciò che è falso – una certa differenza produttiva.

non conosciamo il male e il bene allo stesso modo che conosciamo il buono e il giusto. in molte culture, per esempio, è ritenuto sgarbato e anche non amiche-vole non regalare ad un ospite qualcosa o di sorvolare sul compleanno di colui con cui si ha stretti rapporti. ma dalla conoscenza di ciò ch’è scortese nell’ami-cizia e di ciò ch’è poco amabile nell’ami-cizia non si evince necessariamente in che cosa consista, nel caso specifico, l’ar-te del regalo o del dono.

per l’educazione morale, tutto ciò si-gnifica che essa può far sperimentare il bene solo se fa riflettere le esperienze sul male e se introduce alle distinzioni tra bene e male. una educazione inte-sa in tal senso non si basa sul fatto che per essa le esperienze cattive sono allo stesso modo benvenute come le espe-rienze buone, ma sul fatto che l’edu-cazione (morale) mira alla formazione del giudizio e all’autocostrizione, dov’è necessaria.

l’educandus deve apprendere a giu-dicare da sé le sue azioni; sia quelle pas-sate che quelle future; deve apprendere a controllare la sua volontà e a decider-si per l’agire etico e morale.

come mezzi di una educazione del genere, già nell’antichità, si sono dimo-strate efficaci le pratiche della disappro-

vazione e il generare vergogna. noi di-sapproviamo il male eticamente e spe-riamo che l’educandus per il suo sentire morale e il suo agire si vergogni.

la disapprovazione parla in modo molto chiaro non solo relativamente a ciò che bisogna tollerare, accettare, permettere, ma mette allo scoperto an-che i motivi della disapprovazione. la disapprovazione non esclude l’educan-dus dall’esperienza del bene, piuttosto lo stimola, attraverso il sapere acquisi-to intorno a ciò che è cattivo e da disap-provare, a cercare il bene e a coltivare le pratiche del dono, del riconoscimento, della giustizia, dell’amicizia, dell’auto-disciplinamento e altro ancora.

pertanto, l’educazione non-afferma-tiva non si distingue dall’educazione af-fermativa per il fatto che quest’ultima aspira direttamente al giusto, al bene, a ciò che è decoroso, onesto, vero e vali-do cercando di evitare le esperienze ne-gative. l’educazione non-affermativa si distingue da quella affermativa perché punta alla formazione del giudizio e ad un agire che si regga su di esso e lavo-ri con argomentazioni nelle quali ci si esercita sulle distinzioni e si problema-tizzano e si fanno oggetto di riflessione le distinzioni come corretto e falso, bene e male, decoroso e indecoroso, onesto e disonesto, vero e non-vero, valido e non-valido e si apre allo stesso tempo a nuo-vi spazi di gioco per esperimenti positi-vi e all’uso di essi.

l’educazione morale affermati-va rinuncia alla voce della coscienza dell’educandus. cerca di dettare alla co-scienza dell’educandus la norma, inve-ce di farla scaturire dal possibile sonno e di svegliarla o di stimolarla con espe-rienze morali negative.

inversamente, per una non-affer-

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mativa educazione morale vale ciò che Herbart disse sulla letteratura infan-tile e l’opera teatrale, e cioè: che tutti i tentativi di moralizzare i bambini con la letteratura falliscono lo scopo se al posto di generare il giudizio generano sentenze, se non esercitano la capaci-tà del giudizio e non trasmettono l’arte del giudicare.

chi concepisce l’educazione come trasmissione di distinzioni positive tra un determinato bene e un predefinito male, produce forse bambini saputelli e giovani precoci, ma non persone che sappiano servirsi di queste distinzioni in un senso riflessivo, ragionevole e in-novativo.

vorrei concludere con una citazione di Herbart, tratta dal suo saggio “sul-la rappresentazione estetica del mondo

come punto cardine dell’educazione”. la citazione recita: “i bambini non devono giungere a ciò che è da ritenere moral-mente giusto attraverso opere sceniche o teatrali, piuttosto vale: si va al teatro già con la coscienza”.

Questa coscienza non è però un sa-pere intorno al bene, piuttosto un co-sapere intorno al male. essa non dice ciò che è il bene, apre però a nuove vie per la ricerca del bene. ma l’educazio-ne potrà mettersi con l’educandus alla ricerca del bene se anche gli educatori adulti portano avanti questa ricerca e la ritengono un loro compito. in ciò, e non dovrebbero esserci dubbi a questo punto della riflessione: le domande in-torno all’educazione morale e alla for-mazione della morale formano un insie-me inseparabilmente legato.

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Ricerca ed innovazioneeducativa e didattica rubrica diretta da FRANCO BLEZZA

con la collaborazione di Antonia Rosetto Ajello

La Pedagogia è una Scienza Sociale?Sembra un interrogativo retorico secondo una minima competenza di Scienze Sociali, op-pure un rimando all’infinita diatriba circa la scientificità della Pedagogia, animata da parte di chi non ha nessuna competenza né esperienza di cultura e di ricerca scientifica in senso stretto.Del resto, chi dubiterebbe che siano da considerarsi Scienze la Sociologia, l’Economia o la Demografia? Qualunque persona con un minimo di ragionevolezza non vedrebbe proble-mi; i problemi li vede chi conosca la storia della cultura italiana del ’900, con l’egemonia assolutistica del Neo-idealismo italiano devastante non solo a questi specifici riguardi; ma la soluzione si trova in modo altrettanto diretto e canonico se si ha analoga attenzione alla storia della cultura europea degli ultimi 150 anniIl che consente di capire, tra l’altro, come mai in Italia la Pedagogia come professione incon-tri resistenze inconcepibili altrove in Europa, e incomprensibile per i potenziali utenti che hanno un bisogno assoluto e crescente di questa forma di aiuto. Che ce la si possa cavare con le problematiche educative odierne, a cominciare con quelle della famiglia, tramite le sem-plici tradizioni, un po’ di buon senso o la supplenza di altri professionisti a ciò non specifi-camente preparati, non lo crede più veramente nessuno che ci abbia anche solo provato.

* * *

Questa rubrica ospita due articoli che riguardano la riforma della Pubblica Amministra-zione. La pedagogia, soprattutto nell’ultimo decennio, ha rivolto una crescente attenzione al territorio, alle sue istituzioni e ai suoi problemi, nella convinzione che ciò che in esso avvie-ne svolga un ruolo importante rispetto all’educazione lungo tutto il corso della vita dell’uo-mo. L’attenzione a queste problematiche e l’analisi delle dimensioni educative di singoli servizi e specifiche realtà – in un’ottica di ricerca e innovazione che parta dalla loro speci-ficità articolando una volta per tutte quell’universo fino a poco tempo fa raggruppato sotto l’etichetta generica di extra-scuola – costituisce una costante nella storia di questa Rubri-ca e fa parte del suo impegno per la crescita delle professioni pedagogiche e del loro ruolo sociale. Se è innegabile che vi sia in questo campo un certo ritardo nello sviluppo di una rigorosa e sufficientemente ricca elaborazione teorica, da cui partire per trarre indicazio-ni metodologiche adeguatamente autonome e fondate, oggi i tempi sono abbastanza matu-ri e la pedagogia possiede tutti gli strumenti concettuali e metodologici per dire la propria, “schierandosi” a favore di una riforma della P.A. che la metta in condizione di favorire lo sviluppo dei territori e una gestione democratica e partecipata dei servizi. Il fallimento del modello del Welfare State, (figlio, evoluto, del Wohlfahrtstaat messo in opera dagli Impe-ri Centrali del XVIII secolo per coprire con l’intervento dello Stato ogni bisogno dei citta-dini) ha significato, da una parte, il rischio di una maggiore scopertura delle fasce socia-li più deboli di fronte all’aggressività dell’economia di mercato, ma dall’altra parte trova una sua spiegazione proprio nella esigenza che ha la società democratica di sviluppare in maniera più flessibile e coerente con la diversità dei bisogni, le risposte politiche ad essi. I due saggi qui presentati intendono contribuire ad una riflessione sulla riforma della P.A. che veda nella crescita personale e culturale delle risorse umane il motore della sua tra-sformazione. Il primo saggio, intitolato una pedagogia del lavoro per gli attori pubblici è

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Ri-sensare il lavoro

il lavoro oggi occupa una posizione importante nella vita di ogni adulto: consente di procurarsi le risorse neces-sarie per vivere, aiuta a collocarsi nella società con un dato ruolo e in una certa posizione, garantisce l’accesso ad una serie di diritti e di opportunità, contri-buisce alla costruzione di un certo modo di riconoscersi ed essere riconosciuti da-gli altri uomini.

Questa centralità nella vita umana il lavoro l’ha sempre avuta, sebbene esso sia stato considerato in modi diversi nel-le diverse culture: storicamente si sono trovate anche differenti soluzioni rituali per categorizzarlo, spiegarlo, cadenzar-lo e attribuirgli valore1. esso ha anche costituito un elemento di aggregazione

di Antonia Rosetto Ajello, docente della LUMSA di Caltanissetta, che da più di un decen-nio riflette su questi temi a partire da un lavoro costante di approfondimento teorico e da esperienze di consulenza sul cambiamento all’interno di alcuni enti locali siciliani. L’au-trice mette in rilievo alcune coordinate pedagogiche che riguardano il rapporto tra l’uomo e il lavoro all’interno di organizzazioni il cui scopo finale è la tutela dei beni comuni e l’ero-gazione di servizi di interesse generale.Il secondo saggio, intitolato la formazione del personale nella pubblica amministrazione, è scritto da Ignazio Dario Callari, laureato presso la LUMSA di Caltanissetta in Program-mazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali, con una tesi sull’argomento che poi ha vinto il concorso Premi tesi di laurea in Servizio sociale, bandito dall’Ordine degli assi-stenti sociali. In esso vengono passati in rassegna i tratti salienti della riforma in atto e le coordinate che guidano i principali orientamenti formativi, a partire dall’enfasi oggi posta sulla formazione sul luogo di lavoro e sul nesso tra apprendimento ed esperienza.

Una pedagogia del lavoro per gli attori pubblici

La Pubblica Amministrazione come “dispositivo pedagogico” per la promozione di un welfare comunitario

diantonia rosetto aJello

sociale e perfino politica: si vedano, come esempio più rilevante, le corporazioni medievali, ma questo aspetto è ancora ben visibile nell’orgoglio di una comune appartenenza tutt’oggi riscontrabili nel modo in cui alcune categorie di lavora-tori (avvocati, medici, magistrati, inse-gnanti, operai) usano il termine “colle-ga” per riferirsi ai membri della stessa categoria professionale (“è un collega” diventa un modo di indicare l’esisten-za di un rapporto speciale, che marca l’identità dell’uno come dell’altro). oggi, tuttavia, vi è come un oscuramento del-le molteplici implicazioni del coinvolgi-mento dell’uomo nell’attività lavorativa: questa viene ridotta a mero strumen-to per ottenere denaro2. non si inten-de affatto negare l’importanza di que-sto aspetto: il modo in cui negli ultimi

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due secoli è stata costruita la società – a seguito dei processi di industrializza-zione e urbanizzazione – è tale per cui il lavoro costituisce l’unica via di acces-so ad un reddito, dunque anche ad una sicurezza materiale e alla possibilità di progettare un percorso di vita. Questo rende particolarmente drammatica l’at-tuale situazione economica nella qua-le si riduce sempre più la possibilità di avere un lavoro affidabile e un reddito congruo.

l’attuale stridente crisi di un model-lo economico che mostrava già la corda un secolo fa, e ha continuato a soprav-vivere solo tra vistosi sussulti e gravi contraddizioni, spinge forse un po’ trop-po spesso a scambiare l’obiettivo mini-male (la sussistenza fisica) con quello ottimale (la vita buona).

La sfida legata alla profonda tra-sformazione dei modelli di vita adulti con la sostituzione delle categorie “del-la precarietà, del dubbio e della provvi-sorietà” a quelle “della stabilità e della certezza” chiede senz’altro alla pedago-gia uno sforzo per sostenere il richiesto “ri-orientamento permanente” e le “for-me di adattamento creativo rispetto ad eventi, situazioni, esperienze contrasse-gnate da mutamenti stabili”, come ri-corda isabella loiodice3; uno sforzo che tuttavia può sperare di sortire risulta-ti apprezzabili soltanto se sostenuto da adeguate politiche del lavoro e a soste-gno dell’educazione degli adulti.

Il lavoro come strumento di auto-realizzazione e di riconoscimen-to sociale

lasciamo tuttavia da parte i proble-mi scottanti (dunque meritevoli di una

trattazione a parte) legati agli scenari attuali di precarizzazione del lavoro e alla profonda crisi che essi aprono sul fronte dell’educazione dei giovani adulti e della progettazione esistenziale, a par-tire dall’adolescenza per coinvolgere an-cora a pieno titolo l’età adulta. nell’eco-nomia di questo saggio ci occuperemo solo di coloro che sono già, più o meno stabilmente, inseriti in contesti lavo-rativi pubblici: sono “fortunati” come la vulgata comune induce a credere? e a che condizioni lo sono? È sufficiente avere garantita la sussistenza fisica per dirsi fortunati in quanto uomini?

tale equivoco può essere superato attraverso uno sguardo più attento al rapporto tra l’uomo la sua attività. per far questo e complessificare gli scenari di analisi è opportuno richiamare altri aspetti. Perché le donne hanno lottato per il diritto al lavoro extradomestico? sarebbe riduttivo pensare che lo ab-biano fatto per a sussistenza: quel tipo di lavoro, le donne che ne avevano bi-sogno, lo hanno sempre fatto. autono-mia, libertà, riconoscimento sociale, bi-sogno di esprimere le proprie capacità e la propria creatività dando un contri-buto alla crescita collettiva, bisogno di vita sociale e di confronto, desiderio di lasciare un segno del proprio passaggio nel mondo umano: ecco motivi rilevanti per i quali nelle società moderne esse si sono accostate al lavoro.

Perché si rivendica l’inserimento la-vorativo per tutti i disabili che ne pos-siedono i requisiti, al punto che questo diritto è sancito da leggi dello stato? Perché l’uomo, per essere davvero tale, ha bisogno di essere riconosciuto, di vi-vere con gli altri, di dare il proprio con-tributo al mondo: il lavoro non solo co-stituisce un’occasione di aggregazione

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sociale, ma lo fa fornendo la possibilità di acquisire/esprimere abilità e compe-tenze, e di confrontarle/integrarle con quelle altrui.

in questo senso il lavoro è strumen-to di inclusione sociale. solo in questo senso e in questo caso esso mantiene un ruolo positivo nel processo forma-tivo (sia pure informale) degli adulti e tra gli adulti. È, dunque, ben più di un mezzo di sussistenza: esso è una forma di presenza e di azione nel mondo. in tal senso “il lavoro può essere defini-to in termini finalistici come un aspet-to essenziale delle attività prioritaria-mente umane, non solo perché corre-lato alla messa in atto di tutte quelle attività che sono specifiche dell’intel-ligenza umana nei suoi aspetti sia co-gnitivi che emozionali, ma anche per-ché tramite del processo di trasforma-zione del mondo”4.

Lavorare con la conoscenza per lo sviluppo dei territori

Questo aspetto è particolarmente importante riguardo alla tipologia di la-voratori di cui qui si parla: coloro che, pur ricoprendo mansioni diverse, lavo-rano nella pubblica amministrazione, più in particolare negli enti locali. ve-dremo successivamente qual è il ruolo di questi nel sistema dei servizi e con riguardo allo sviluppo dell’economia e dei territori. Qui diciamo solo che coloro che operano al suo interno giocano un ruolo particolare: oggi molto più che nel passato possono essere considerati la-voratori della conoscenza, in quanto la “materia prima” con cui operano sono proprio le informazioni, ma anche le co-noscenze professionali, le culture loca-

li e organizzative, i saperi impliciti ed espliciti degli utenti: ad essi è richiesto un “utilizzo esperto di conoscenza e di azione in contesti differenti e con diffe-rente grado di problematicità”5.

il loro compito è sempre più l’eroga-zione di servizi di qualità, superando il sistema che li vedeva prevalentemen-te come erogatori di certificati. Che si tratti di servizi alla persona, alle impre-se o al territorio, chi lavora negli enti locali oggi deve sviluppare capacità di ascolto dei bisogni, di riflessione nel corso dell’azione, di visione sistemica e prospettica delle dinamiche sulle quali deve intervenire, di risoluzione costrut-tiva dei conflitti, di lavoro di gruppo: tutte capacità precedentemente asso-lutamente non richieste.

si tratta oggi di formare questo per-sonale in una duplice, interconnessa, dimensione: in quanto knowledge wor-kers, lavoratori della conoscenza spes-so appartenenti a culture professionali specifiche, ma anche in quanto cittadi-ni, poiché essi devono pensare ed agi-re proprio come cittadini che coopera-no con altri cittadini alla costruzione di una società più inclusiva. ad essi è richiesta creatività e innovazione, per fronteggiare situazioni dinamiche e complesse in un’ottica partecipativa, inclusiva e democratica. La legge affi-da loro compiti di promozione della ca-pacità auto-organizzativa dei territori, dunque devono imparare a finalizzare in tal senso il loro lavoro.

ma cosa va fatto per realizzare que-sti obiettivi? la normativa ha costrui-to il nuovo ruolo dell’ente locale, ma la sua attuazione richiede un cambiamen-to di mentalità: e questo è il campo di azione della pedagogia. la promozione della partecipazione dei cittadini, l’abi-

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tudine ad ascoltare i loro bisogni (sia at-traverso strumenti di comunicazione di-retta che attraverso il dialogo con le or-ganizzazioni del terzo settore) richiede, da una parte, un diverso atteggiamen-to mentale e una diversa consapevolez-za del proprio ruolo; dall’altra, l’acqui-sizione di metodologie e strumenti che mettano in condizione di fare quanto ci si aspetta da loro.

il loro lavoro diventa un intreccio di routine (le procedure standardizza-te che garantiscono affidabilità, legalità e correttezza) e apertura al disordine, che irrompe costantemente dal rappor-to con la specifica situazione che si pre-senta e li interroga. i nuovi compiti ri-chiedono la capacità di seguire un pro-cesso nelle sue diverse fasi e di coglie-re il proprio ruolo e la propria respon-sabilità rispetto ad esso: dunque la ca-pacità e gli spazi per decidere e costru-ire nuove prassi nel momento in cui le precedenti non sono efficaci per affron-tare i nuovi problemi. insomma, l’ope-ratore pubblico deve sapere e potere agire in modo completamente diverso rispetto a quanto ha fatto in passato, e per far questo è necessario che l’intera amministrazione cui appartiene modi-fichi la rappresentazione del suo ruo-lo e, conseguentemente, le modalità di organizzazione e gestione del persona-le al suo interno.

La Pubblica Amministrazione: da dispositivo educativo informale a dispositivo educativo intenzionale

molti operatori della pubblica am-ministrazione6 (indipendentemente dal ruolo che svolgono in essa) vedono quest’ultima, quotidianamente, come il

posto di lavoro. la mattina si alzano e vanno al lavoro, più o meno volentieri, e spesso sanno che le fatiche e le frustra-zioni supereranno ancora una volta di gran lunga il piacere e le soddisfazioni. sotto l’etichetta p.a. qui si possono in-dicare tutti quei luoghi che, sulla base di finanziamenti pubblici, in vari modi offrono un servizio ai cittadini o al terri-torio e sono gestiti o controllati (oggi più o meno direttamente) dallo stato.

negli ultimi decenni è cambiata ra-dicalmente la composizione degli opera-tori della p.a.: precedentemente vi era un buon numero di personale in posses-so di titoli di studio medio-bassi: licenza media e diploma. ai laureati erano ri-servati i posti apicali, ma il grosso del-la struttura era costituita da impiega-ti. oggi è sempre maggiore la presenza in organico di persone in possesso di ti-toli di studio elevati, sia a causa di una più consistenze proporzione di persona-le tecnico (assistenti sociali, ingegneri, architetti, commercialisti, avvocati) che tra coloro che svolgono funzioni ammi-nistrative o “d’ufficio”. A cosa è dovuto questo cambiamento? certamente a più fattori: da una parte vi è il semplice dato che nella nostra società si è assistito ad un generale innalzamento della cultu-ra media e ad un aumento dei laurea-ti7, per cui anche nei posti per i quali bastava come titolo di accesso il diplo-ma, oggi è frequente trovare dei laure-ati8; in secondo luogo, è aumentata la percezione dell’importanza di una cul-tura superiore anche per lo svolgimento di mansioni che una volta erano consi-derate gestibili anche con livelli di for-mazione medio-bassi (si pensi alla for-mazione degli infermieri o a quella dei docenti della scuola primaria di primo grado); in terzo luogo, il cambiamento

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del ruolo di alcuni enti, ad esempio de-gli enti locali, ha reso necessaria l’as-sunzione di figure laureate in possesso di culture professionali specifiche e forti (ingegneri, ma anche assistenti sociali, sociologi ecc.).

Tuttavia, ciò che si è verificato trop-po frequentemente è che al cambia-mento della composizione del persona-le interno non ha fatto seguito un cam-biamento dei modelli di gestione: anzi, spesso non ha fatto seguito alcuna at-tenzione ai modelli di gestione. Questo ha creato un attrito tra l’autopercezio-ne degli operatori e l’immagine ad essi rinviata dall’ente, attrito che ha giocato contro un’evoluzione positiva dei servi-zi resi. per assurdo che possa sembra-re, non sarebbe azzardato affermare che l’innalzamento del livello d’istruzione degli operatori, negli enti disfunziona-li, abbia potuto voler dire un peggiora-mento della qualità del servizio offerto. Questo effetto sarebbe solo la natura-le conseguenza di un’estraniazione del soggetto rispetto ad una situazione per-sonalmente avvilente, o della percezio-ne di un mancato riconoscimento che ha portato ad un disinvestimento nei confronti del lavoro.

«La struttura influenza il compor-tamento»

alcune osservazioni generali, in pro-posito, è possibile farle. peter senge enuncia con grande semplicità un prin-cipio che gli psicologi sociali conoscono bene: «La struttura influenza il compor-tamento». due persone, anche molto di-verse per storia personale, motivazioni di base, stili comportamentali, possono arrivare a tenere comportamenti mol-

to simili all’interno di un contesto orga-nizzativo che impone determinate regole di condotta e normalizza atteggiamen-ti e comportamenti divergenti rispetto alla norma, anche a quella implicita9. in particolare, pur entrando nell’ente con atteggiamenti mentali diversi, se la struttura spinge in direzione di un ap-piattimento, del conformismo, della dere-sponsabilizzazione di fatto, è altamente probabile che le persone in breve tempo assumano comportamenti conseguenti, magari impiegando le proprie energie positive nel tempo libero o, nei casi peg-giori, annichilendole del tutto. al contra-rio, naturalmente, un ambiente di lavo-ro stimolante, nel quale viva una visione motivante del servizio, il clima sia ade-guatamente curato e le occasioni di con-fronto siano ricche e stimolanti, divente-rà un moltiplicatore degli apprendimen-ti e un facilitatore fondamentale per lo sviluppo di servizi di qualità.

la struttura, ovvero il contesto fisico e simbolico nel quale si lavora, ha la for-za di un dispositivo educativo implicito: influenza la percezione che il soggetto ha di sé, nella relazione con l’altro, con l’istituzione, con l’utente, con la socie-tà e con il mondo. naturalmente agisce anche a prescindere della consapevolez-za che abbiamo dei suoi meccanismi. essa può avere una valenza formativa o deformativa, per coloro che vivono al loro interno diverse ore della loro vita per un periodo abbastanza lungo della loro adultità, dunque è altamente au-spicabile che i suoi meccanismi di fun-zionamento vengano svelati e re-indi-rizzati verso finalità intenzionalmen-te perseguite.

per quanto riguarda la p.a. que-sto fenomeno va fatto a maggior ragio-ne oggetto di attenzione pedagogica in

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quanto le dimensioni personali coinvol-te sono molteplici: è in gioco la qualità della vita personale, naturalmente, ma è anche in gioco la qualità della cittadi-nanza dell’operatore e la qualità della democrazia nel suo complesso.

Criteri per un’analisi della funzio-ne educativa della P.A.

la p.a. concretizza la vita dello sta-to nella quotidianità dei cittadini (siano essi operatori o utenti), dunque la col-locazione che questi riescono ad avere rispetto ad essa corrisponde alla per-cezione della loro collocazione rispetto allo stato, dunque rispetto ai diritti di cittadinanza politica e sociale. costitui-sce un congegno insostituibile di educa-zione alla legalità.

Sotto il profilo pedagogico, pertanto, l’organizzazione della p.a. ha una rile-vanza educativa: essa dovrebbe seguire determinati criteri, per poter promuo-vere lo sviluppo personale e lo svilup-po comunitario. cerchiamo di enuclea-re tali criteri e li traiamo da quelli che sono considerati come elementi chiave dei processi educativi, anche e soprat-tutto con riferimento all’età adulta.

prendiamone in considerazione quattro: soggettualità, riflessività, pro-cessualità e intenzionalità10.

con riferimento alla soggettualità le dimensioni da esplorare sono numero-se e partono tutte dalla scelta di campo nei confronti di una soggettività attiva, che si contrappone a tutti quei meccani-smi e a quei processi che tendono inve-ce ad assoggettare la persona a percor-si e dinamiche non funzionali alla sua crescita e il significato delle quali non è per lui ricostruibile o rilevante. pos-

siamo qui citare le seguenti dimensio-ni della soggettualità:– soggettualità come chiave di volta

dell’apprendimento (pur riconoscen-do la centralità in esso della dimen-sione sociale);

– soggettualità come chiave di volta dei processi di partecipazione (e di empo-werment);

– soggettualità come snodo chiave dell’appartenenza;

– soggettualità come chiave di volta della responsabilità.in base a queste possiamo chiederci:

nell’organizzazione e gestione del lavo-ro in un ente pubblico– si tiene adeguatamente conto del fat-

to che l’apprendimento è un proces-so di cambiamento personale che ha come protagonista il soggetto, il qua-le, in relazione ad un tessuto socia-le e simbolico per lui significativo, si apre a nuovi modi di sperimentare se stesso e le proprie opinioni, ad ac-quisire nuove competenze e verifica-re la validità di quelle possedute e, contemporaneamente, specie se tut-to ciò avviene nel contesto lavorati-vo, lo fa imparando qualcosa in più sulla propria capacità di agire crea-tivamente sulla realtà?

– si tiene conto del fatto che lo sviluppo della soggettualità attiva dei singoli, come capacità di percepirsi autore e non fruitore della realtà, è il presup-posto ineludibile della loro partecipa-zione al processo di realizzazione del servizio e della loro capacità di pro-muovere empowerment individuale e comunitario, in coerenza con la nuova idea di una società basata sul prin-cipio della sussidiarietà (principio la cui realizzazione è legata allo svilup-po di una cittadinanza attiva)?

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– si pone mente alla stretta relazione esistente tra soggettualità e apparte-nenza? un’appartenenza priva di una ricca soggettualità può facilmente di-ventare gregarismo o finzione: solo un soggetto che ha la percezione del proprio potere e dei vincoli ad esso po-sti dalle relazioni che intrattiene con gli altri e col mondo, può appartenere in modo creativo e produttivo ad una realtà sociale e promuovere in essa analoghe forme di appartenenza.

– legata ai primi tre punti vi è la rela-zione esistente tra soggettività e re-sponsabilità? i meccanismi della de-lega tipici delle istituzioni gerarchi-che e burocratiche inibiscono la ca-pacità di sviluppo di reali responsa-bilità, sia nei dipendenti che nei diri-genti. i primi si nascondono frequen-temente dietro la loro impossibilità di decidere dell’intero processo, die-tro la difficoltosa comunicazione col superiore e dietro il fatto che in ulti-ma analisi il fallimento complessivo non li riguarda personalmente: i di-rigenti (le figure apicali) sviluppano spesso nel corso del tempo una visio-ne del processo come funzionale so-prattutto al mantenimento della loro posizione, dunque, invece di tentare di comprendere gli errori tendono a negarli o ad attribuirli ad altri (i sot-toposti, l’ente, i politici, gli utenti, la società, la cultura ecc.). anche loro dunque tendono a distorcere la loro responsabilità11.il tema della riflessività è stretta-

mente legato al precedente. soprattutto in età adulta, l’apprendimento avviene nel momento in cui il soggetto analizza e riflette sulle nuove acquisizioni e que-ste entrano criticamente (o non entrano, altrettanto criticamente e volutamen-

te) a far parte della sua identità. ogni adulto si accosta a nuovi apprendimen-ti partendo da esperienze e convinzio-ni precedenti, che vanno rimesse in di-scussione per essere convalidate, inte-grate o sostituite12. tipico dell’appren-dimento in età adulta è proprio quel-lo che merizow chiama apprendimen-to emancipativo, ovvero quell’appren-dimento che riguarda anche il metali-vello relativo alle modalità con le quali le precedenti conoscenze, comprensioni (o pre-comprensioni) sono state acquisi-te e prevede conseguentemente la loro eventuale verifica o modifica, nell’ottica di emancipare l’adulto dai condiziona-menti dell’infanzia e farne un soggetto veramente in grado di scegliere (e di as-sumersi delle responsabilità).

nell’ambito di cui qui si tratta, il tema della riflessività si intreccia con quello dell’apprendimento sul luogo di lavoro, come apprendimento situazio-nale che richiede un costante aggiusta-mento tra l’identità personale e profes-sionale e il compito che si è chiamati a svolgere.

il tema della processualità ci fa en-trare in una dimensione più tecnica: l’apprendimento è un processo, così come la formazione, ed entrambi non si prestano ad artificiali frammentazioni. se entrambi i processi hanno a che fare strettamente con l’identità del soggetto e con la stessa qualità della sua vita, si comprenderà come sia importante che si ponga fine ad un modo di concepire l’apprendimento e la formazione in ot-tica dicotomica rispetto alla vita quoti-diana e all’attività lavorativa, quasi vi fossero momenti in cui si apprende (il periodo della formazione istituzionale, generalmente fino a prima dell’ingres-so ufficiale nell’età adulta propriamen-

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te detta) e momenti in cui si opera solo in base a quanto precedentemente ap-preso, momenti in cui ci si forma (corsi brevi, che hanno luogo in luoghi e tempi specifici) e momenti in cui semplicemen-te si lavora. la processualità richiama al fatto che la formazione è una sequen-za di fatti, elementi, esperienze, incon-tri che interagiscono l’uno con l’altro, l’uno sull’altro e questo processo intera-gisce con la vita e l’identità del sogget-to, indirizzandone (o meno) lo sviluppo in ottica transformativa.

Qui entra infine in gioco il tema, pe-dagogicamente centrale, dell’intenzio-nalità. se è vero che ognuno di noi ap-prende per tutta la vita, fa bene anna Marina Mariani a ricordare che fino a che ci si ferma su questo piano ci si li-mita ad una constatazione di per sé im-produttiva13.

compito della pedagogia è svilup-pare un educazione degli adulti (dun-que anche degli adulti che lavorano e vivono buona parte della loro giorna-ta nelle organizzazioni della p.a.) se-condo una intenzionalità pedagogica. Questo significa guardare alle relazio-ni, agli artefatti, alle strutture, ai pro-cessi nell’ottica di ri-considerarli e ri-disegnarli in modo che contribuiscano al perseguimento di obiettivi educativi, in corrispondenza con una determina-ta visione dell’uomo, dei suoi bisogni, dei suoi diritti. obiettivi educativi che in questo caso sono la crescita continua della persona, lo sviluppo delle capaci-tà relazionali e sociali, lo sviluppo del-la progettualità esistenziale e sociale, la crescita del senso dell’appartenenza (co-appartenenza, nella relazione col cittadino che si presenta allo “sportel-lo” o con cui il servizio va costruito) e della cittadinanza.

La P. A. e la promozione di una so-cietà educante

la riforma della p.a. è un proble-ma che si pone, non solo in italia, da oltre un secolo ed è connesso ai grandi cambiamenti intervenuti nella strut-turazione stessa delle relazioni socia-li, nel cambiamento delle percezioni, delle rappresentazioni e delle aspetta-tive dei membri delle diverse società. la p.a. così come la conosciamo, ossia come organismo articolato, basato su un’organizzazione razionale, burocra-tica gerarchica, è nata grosso modo con lo stato moderno ed ha avvertito nei di-versi paesi l’influenza dell’ideologia po-litica dominante, assumendo forme più strutturale e centralizzate nei paesi in cui prevalevano visioni centralizzate e fortemente gerarchiche nell’organizza-zione del potere politico. in italia, nono-stante dal momento dell’unificazione si sia aperto un dibattito piuttosto vivace tra i fautori di un modello centralistico e coloro che erano più favorevoli ad un sostenuto decentramento amministra-tivo, fino alla Costituzione del 1948 ha prevalso il primo, vuoi per timori rela-tivi alle spinte autonomistiche di alcu-ne aree del paese, vuoi per interessi più legati alla gestione del potere e alla pau-ra delle rivendicazioni della base della società14. proprio per la sostanziale co-essenzialità dell’organizzazione della p.a. con la cultura politica dominante, il modello centralistico e gerarchico/bu-rocratico ha mantenuto una sua solidi-tà ed è penetrato nei modelli mentali di molti operatori, resistendo anche ai sostanziali cambiamenti della sensibi-lità dei cittadini e della qualità dell’or-ganizzazione sociale.

con la costituzione del ’48 sono sta-

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ti introdotti importanti elementi di de-centramento, tuttavia le modalità di gestione della p.a. è rimasta invariata, per atavici timori nei confronti del cam-biamento, che si sono concretizzati in ri-tardi legislativi e normativi in genere. solo dopo trent’anni dalla costituzione si sono avuti provvedimenti legislativi volti a far partire le regioni a statuto ordinario, ma neanche questo ha voluto dire una vera e propria scelta in favore del decentramento e dell’avvicinamento dei processi decisionali ai cittadini. an-che in tal caso la logica della centraliz-zazione dei processi decisionali e della burocratizzazione di tutte le procedure ha avuto la meglio sull’istanza, pur av-vertita, di un maggior rilievo alla fun-zione programmatoria e all’accostamen-to alle esigenze dei territori.

per avere ulteriori importanti indi-cazioni normative in tal senso si è do-vuto attendere la fine del secolo scorso e l’inizio di questo, con provvedimenti normativi tra cui in questa sede ricor-diamo solo la legge 328/2000, di rior-dino del sistema dei servizi socio-assi-stenziali e la riforma del titolo v della costituzione, che ha visto una marca-ta affermazione del principio di sussi-diarietà: principio che enfatizza il ruolo dei cittadini e delle loro organizzazioni anche nella determinazione delle poli-tiche di loro interesse.

ma la proliferazione di normative (spinta anche da un rilevante sostegno da parte dell’unione europea ad inizia-tive volte a dare un ruolo attivo ai cit-tadini sui territori) non ha voluto dire dappertutto riforma della p.a. perma-ne una forte resistenza al cambiamen-to15, anche se questa risente delle diffe-renze delle culture (politiche e ammini-strative) locali: in altre parole, le cose

vanno ovviamente in modo diverso lad-dove per tradizione la p.a. ha sempre percepito di avere un legame forte con la comunità locale, ed ha giocato in tal senso un ruolo significativo anche den-tro i limiti della vecchia organizzazio-ne degli enti, e quelle aree territoriali in cui questa percezione era molto meno presente o erano attive piuttosto altre auto-rappresentazioni.

il livello culturale è naturalmente più complesso da modificare rispetto a quello normativo, come accennavamo all’inizio, dunque il divario tra i due tempi non deve indurre a forme di sco-ramento o di resa. La difficoltà è legata al fatto che la p.a. oggi è chiamata dal-la normativa (e dalla società) ad agevo-lare un modello di convivenza che non ha precedenti nella storia dell’uomo, nel quale si tenti una conciliazione tra gli aspetti positivi della comunità (calore, cura, appartenenza, riconoscimento) e gli aspetti positivi della società (libertà individuale, libertà delle appartenenza, scelta personale), facilitando ed imple-mentando forme di solidarietà tra estra-nei, promuovendo processi di negozia-zione di significati e di interessi, agevo-lando processi di ideazione e sviluppo di progetti di tutela e promozione di beni comuni o di diritti16.

ovviamente il cambiamento cultu-rale non può riguardare la p.a. come ente nella sua totalità: esso in fondo, a questo livello di generalità, rischia di diventare una mera astrazione. occor-re piuttosto articolare la riflessione sul cambiamento necessario in ogni singo-la branca della p.a. e all’interno di que-sta su ogni singolo territorio, perché si tratterà di mettere in atto processi for-mativi che tengano conto delle esperien-ze pregresse, delle culture ambientali,

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dei problemi prevalenti sia tra operato-ri che tra i cittadini.

Ambiti formativi essenziali per il cambiamento nella P.A.

la formazione è un fatto fortemente situazionale, in quanto il suo successo si gioca molto sul successo dei processi di co-costruzione di significato dei sogget-ti coinvolti: e i soggetti coinvolti in que-sta riforma sono molteplici. È una sfida talmente grossa che in molti tendono a spaventarsi e a pensare di tornare a for-me più note, dunque più rassicuranti, di conduzione centralista. È compren-sibile: occorre pensare che l’esperienza democratica è giovanissima nella storia dell’uomo, mentre la maggior parte del tempo egli l’ha passata a comandare o ad esser comandato da altri.

in ogni singolo contesto, dunque, si dovrebbe pensare a un triplice livello di formazione (da svolgersi sempre, co-munque, sul luogo di lavoro e con stret-ta attinenza ai compiti istituzionali af-fidati):

– il livello personale,– il livello organizzativo,– il livello interorganizzativo.sul livello personale abbiamo già ri-

flettuto nei paragrafi precedenti: solo un operatore della p.a. che si percepi-sca come soggetto attivo, che possegga adeguati strumenti per comunicare, per gestire le relazioni con gli altri e sia do-tato di un riconoscimento e di un’auto-nomia sufficiente per esercitare una re-sponsabilità, può giocare adeguatamen-te il suo ruolo di attore pubblico.

Per una formazione efficace a que-sto livello occorre tener conto di quan-to abbiamo detto nel primo paragrafo di

questo articolo a proposito delle moti-vazioni al lavoro dell’adulto: è attraver-so lo svolgimento dell’attività lavorati-va che ogni adulto può esprimere parti rilevanti di sé, creare relazioni sociali significative al di fuori del contesto fa-miliare ed amicale (dunque nell’ambito delle relazioni pubbliche) e partecipare insieme agli altri al processo di trasfor-mazione del mondo. Queste dimensio-ni vanno tenute presenti come rilevan-ti per la promozione di nuovi apprendi-menti, che partano, criticamente, dalle sue esperienze precedenti.

il livello organizzativo è fondamen-tale, in quanto l’organizzazione nel suo complesso deve abbracciare con convin-zione la prospettiva del cambiamento e deve sostenere i propri membri nel difficile momento in cui sono costretti a cambiare il proprio vecchio modo di lavorare per adottarne uno nuovo (si pensi al lavoro di gruppo che sostitui-sce quello individuale, o alla necessità di dover agire riflessivamente sui pro-pri errori o su quelli dell’organizzazio-ne per correggerli, o ancora alla neces-sità di lavorare progettualmente o di lavorare con membri di altre organiz-zazioni o con cittadini aventi ruolo di rappresentanza di altri cittadini). se l’individuo apprende nuove tecniche e l’organizzazione non fa alcun processo formativo nel suo complesso, l’appren-dimento del singolo verrà ben presto neutralizzato dalle vecchie dinamiche interne. se l’organizzazione supporta il cambiamento e apprende nel suo insie-me (come fa un’orchestra, o una squa-dra sportiva) agirà da moltiplicatore e facilitatore rispetto all’apprendimento dei singoli. esiste ormai un’ampia sag-gistica in tal senso.

ma oggi è chiamato in causa an-

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che un livello di apprendimento che potremmo definire interorganizzati-vo: sono sempre di più le aree di inter-vento della p.a. che richiedono proces-si di concertazione, di negoziazione, di lavoro comune tra soggetti che appar-tengono a realtà organizzative diverse: si pensi al lavoro di rete tra istituzioni che erogano servizi a supporto delle fa-sce sociali disagiate, ma anche ai com-piti dell’amministrazione come organo di erogazione di servizi alle imprese. soggetti appartenenti a differenti enti pubblici, a imprese private, e/o ad im-prese del terzo settore devono sedere attorno allo stesso tavolo per riflettere insieme su problemi da affrontare, pro-blemi di interesse generale, progettare interventi, pianificare azioni, gestire insieme servizi, valutare i risultati: ed oggi è sempre più richiesta anche la ca-pacità di elaborare strumenti per rile-vare i dati e le opinioni dei cittadini (o dei cittadini maggiormente interessa-ti alle problematiche trattate). Questo comporta problematiche di non sempli-ce soluzione: soggetti con culture orga-nizzative e professionali diverse devo-no sedersi a tavoli comuni e aprire dia-loghi fruttuosi, costruire processi deci-sionali nei quali le convergenze superi-no le divergenze. si tratta di costruire linguaggi condivisi, di elaborare proces-si di negoziazione di significati che por-tino a vedere il problema da affrontare non tutti allo stesso modo (la pluralità dei punti di vista è proprio la ricchez-za dei metodi concertativi), ma quanto meno in un modo comunicabile, dun-que negoziabile.

come ricorda mario pollo, la comu-nicazione è possibile se gli universi rap-presentativi e simbolici degli individui sono reciprocamente comprensibili. È

un errore, oggi per la verità in grande misura svelato, la convinzione che la realtà abbia una natura oggettiva e che sia la stessa per tutti. già nel mondo animale è stato osservato che anche ani-mali che abitano nello stesso ambiente naturale in realtà vivono e reagiscono in modi del tutto diversi in ordine a ciò che percepiscono e alle risposte che pos-sono darvi (v. le mosche e le api).

le esperienze di una specie non sono addirittura trasferibili a quelle di un’al-tra a meno che non vi siano delle inter-sezioni tra i due “mondi”, delle parti in comune che consentano la relazione e/o la comunicazione. in caso contrario al-cune parti del mondo, quelle per le quali la specie non ha organi percettivi o re-attivi, semplicemente non esistono. allo stesso modo “due specie senza interse-zioni tra i loro mondi non solo non po-trebbero comunicare tra di loro, ma ad-dirittura l’una non esisterebbe per l’al-tra e viceversa, essendo reciprocamen-te invisibili”17.

nel mondo umano, il medium attra-verso cui passa questa comunicazione è il sistema simbolico, ed in particolare il linguaggio18. l’uomo non reagisce, salvo casi particolari, in maniera immediata agli stimoli: egli reagisce dopo averli in-terpretati ed aver scelto la risposta ad essi che gli sembra più adeguata. ma da dove trae gli strumenti interpretativi e le opzioni reattive? dalla cultura e dalla società in cui vive, dagli strumenti che queste gli offrono e dall’esperienza per-sonale che ne ha fatto.

l’esperienza di elaborazione cultu-rale è legata ai processi di apprendi-mento ed ha il luogo privilegiato nelle situazioni in cui un gruppo di soggetti (in questo caso adulti) si incontra siste-maticamente per trovare risposta ad un

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certo problema, elaborare una pratica comune, condividendo anche un’espe-rienza di vita19. Affinché questo dialogo interistituzionale possa verificarsi pro-ficuamente, dunque, è soprattutto ne-cessario che i partecipanti si collochino mentalmente nell’esperienza di vivere in un mondo comune, che non è escluso abbia un significato diverso per ciascu-no, ma per agire nel quale nessun signi-ficato tra quelli attribuiti è irrilevante. il compito dei partecipanti è elaborare un processo di significazione terzo, che crei la possibilità per pensare azioni e processi inclusivi in grado di risponde-re a bisogni ampi, generali o aperti al cambiamento.

Progettazione partecipata, ricerca-azione, ricerca-intervento, processi di co-costruzione di scenari, perfino con-certazione, si collocano in questo tipo di scenario di azione, nel quale, a diver-si livelli, sono coinvolte le capacità, le competenze e le sensibilità individua-li, ma anche le capacità, le competen-ze e le sensibilità che le organizzazioni sono in grado di promuovere al loro in-terno e tra i loro membri.

una p.a. che maturi processi di for-mazione e gestione delle risorse umane secondo queste prospettive sarà real-mente in grado di costituire un’impor-tante agenzia educativa nella realizza-zione di una società educante, ovvero di una società che ha come principale obiettivo intenzionale la crescita conti-nua dei propri membri, a tutte le età. mettere strumenti concettuali e meto-dologici a servizio di questo arcipelago costituisce una sfida per una pedagogia che non si voglia sottrarre alle sfide del-la società democratica.

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note

1 per un approfondimento, impossibile in questa sede, cfr.: g.alessandrini (a cura di), Pedagogia delle risorse umane e delle organizzazioni, gue-rini, milano 2004, pp. 17 segg.; a. rosetto ajello, Dalla piramide al batterio. Pedagogia del lavo-ro e delle risorse umane per la Pubblica Ammini-strazione, francoangeli, milano 2009. 2 su questo argomento, da me ampiamente ri-preso nel su citato Dalla piramide al batterio, di fondamentale importanza mi pare essere il sag-gio di H.arendt, pubblicato per la prima volta nel 1949: Vita activa. La condizione umana, bompia-ni, milano 2003; cfr. anche u.beck, La società del rischio, carocci, roma 2000.3 i. loiodice, Introduzione. Formazione e lavo-ro nella società dell’apprendimento continuo, in

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i.loiodice (a cura di), Il lavoro tra alienazione ed emancipazione. Il contributo della formazione, mario adda editore, bari 2004, p. 7.4 g. alessandrini (a cura di), Pedagogia delle ri-sorse umane, cit. p. 13. 5 i. loiodice, Introduzione, cit., p. 9.6 da questo momento p.a.7 È noto che questo fenomeno riguarda maggior-mente, anche se non esclusivamente, il meridione d’italia. storicamente è da lì che, a partire da poco tempo dopo l’unità d’italia, è venuta la maggior parte delle figure apicali della P.A., proprio per via della maggiore tendenza delle famiglie piccolo e medio borghesi meridionali ad investire in questa forma di carriera professionale per i propri figli. Questa tendenza si spiega con il mancato decol-lo di un processo di industrializzazione e dunque con il mancato sviluppo di un sistema imprendi-toriale privato, che ha lasciato come unico sbocco lavorativo sicuro il settore pubblico, con i lati po-sitivi e oscuri che questo ha comportato.8 vi è da dire che, con l’attuale crisi occupaziona-le, non è insolito trovare laureati (o almeno di-plomati) anche tra coloro che entrano per chia-mata diretta o con leggi volte all’inserimento de-gli invalidi.9 cfr. p. senge, La quinta disciplina. L’arte e la pratica dell’apprendimento organizzativo, sper-ling & Kupfer editori, milano, 2006, p. 49.10 La bibliografia pedagogica di riferimento per lo sviluppo di questi aspetti attraversa praticamen-te tutta la riflessione pedagogica contemporanea e trova importanti approfondimenti in quella ri-guardante l’educazione degli adulti.11 appaiono utili per una comprensione di questi fenomeni le incapacità di apprendere di cui parla

p. senge nel suo testo: cit. pp. 19 segg. il fatto che l’autore scriva facendo riferimento a realtà orga-nizzative americane e per lo più private, mostra come questi comportamenti e atteggiamenti tro-vano la loro base in una teoria dell’organizzazione che è penetrata a fondo nei nostri modelli menta-li. È presumibile dunque che ci vorrà del tempo e molto esercizio per sradicarli e ridiscuterli.12 cfr. J. merizow, Apprendimento e trasforma-zione, cortina, milano, 2003.13 cfr. a.m. mariani, m. santerini (a cura di), Educazione adulta. Manuale per una formazio-ne permanente, unicopli, milano 2002.14 cfr. r. d’amico (a cura di), Manuale di Scien-za dell’Amministrazione, edizionilavoro, roma, 1992. 15 scrive giorgio massari: “la pubblica ammini-strazione italiana sembra, dunque, interessata da un perenne «movimento immobile», nel sen-so che essa è, senz’altro, soggetta a frequenti ri-forme, ma queste o incidono su elementi margi-nali del sistema o sterilizzano, di volta in volta, gli effetti delle altre”: in r. d’amico, Manuale di Scienza dell’Amministrazione, cit., p. 56.16 cfr. a. rosetto ajello, Dalla piramide al bat-terio, cit.17 m. pollo, Manuale di pedagogia sociale, fran-co angeli, milano, 2004, p. 32.18 Ibidem.19 cfr. in proposito il concetto di comunità di pra-tica: gherardi s., nicolini d., odella f., Appren-dere nelle comunità di pratica e apprendere nei contesti di formazione tradizionali, in f. butera - m. la rosa (a cura di), Formazione, sviluppo or-ganizzativo e gestione delle risorse umane, fran-co angeli, milano, p. 1997.

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La formazione del personale nella Pubblica Amministrazione

diignazio dario callari

Linee di sviluppo della Pubblica Amministrazione

l’evoluzione socio-politica chiede alla pubblica amministrazione1 di trasfor-marsi in punto di riferimento per la tu-tela dei diritti dei cittadini e il rispetto dei doveri fondamentali, per promuove-re condizioni di vita più civili e democra-tiche, per educare la domanda dei citta-dini e favorire lo sviluppo e la coesione sociale delle comunità. È all’ordine del giorno la promozione di un ruolo proget-tuale della P.A. affinché impari a porre in essere specifiche strategie di medio/lungo periodo finalizzate a realizzare concreti progetti operando come integra-tore di sistema2. tutto questo comporta oggi la necessità che essa affronti concre-tamente la sfida di erogare servizi di alta qualità coniugando efficacia ed efficien-za per rispondere ai bisogni del territo-rio. il suo metodo operativo dovrà essere sempre più caratterizzato da un’ampia partecipazione dei cittadini. nel conte-sto delle nuove politiche socio-assisten-ziali e nell’ambito dei servizi sociali oc-corre favorire l’auto-organizzazione della comunità territoriale come protagonista attiva nell’erogazione dei servizi.

gli enti locali, in particolare, devo-no assumere un ruolo educativo e pe-dagogico per promuovere la metodo-logia della partecipazione, l’iniziativa dei cittadini e la co-progettazione socia-le. possono farlo solo adottando al loro

interno modelli organizzativi più fles-sibili, aperti e dinamici, più funziona-li alle esigenze attuali del sistema dei servizi e alla gestione ottimale delle ri-sorse, per poi spostarsi verso l’esterno, sul confine con le altre organizzazioni presenti sul territorio, ove apprendere a tessere una trama di efficaci relazio-ni collaborative.

essi sono chiamati ad attivare e so-stenere complessi sistemi multi-sta-keholder per fare sistema a rete. in un contesto ambientale dominato da crisi fiscale dello Stato e permanente scar-sità di risorse economiche, la rete ter-ritoriale diventa il bacino ove reperire risorse (non solo finanziarie, ma uma-ne e progettuali), in vista del soddisfa-cimento dei bisogni. e il lavoro di/nel-la rete diventa la metodologia operati-va più adeguata per promuovere e or-ganizzare le risorse. urge passare dal-la semplice amministrazione gerarchi-ca di enti ad una prospettiva globale di governance del territorio3 ove imposta-re una nuova cultura della concertazio-ne fra soggetti con linguaggi e culture diverse. si richiedono inedite modalità e capacità di lavoro che devono essere apprese attraverso l’esperienza diretta. gli enti locali sono chiamati a fronteg-giare questa sfida (che è al tempo stes-so una grande opportunità di svilup-po) mediante l’adozione intenzionale di nuove prassi e modalità di formazione e gestione delle risorse umane.

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Verso una formazione continua de-gli operatori della P.A.

migliorare il funzionamento della p.a. può attivare oggi delle pratiche di costruzione discorsiva e razionale del consenso che possono portare ad una crescita democratica della società. in tal senso, la gestione e la formazione del-le risorse umane è la strada principa-le per finalizzare il lavoro a un model-lo sociale scelto, evitando di riprodur-re un modello amministrativo e sociale burocratico inadeguato ai bisogni del nostro tempo e causa di malessere dif-fuso nei dipendenti e nella società nel suo complesso4.

in particolare è necessario rivolgere più attenzione a come l’operatore pub-blico rappresenta il proprio lavoro, a come apprende, si relaziona e comuni-ca con gli altri. Questo aspetto è impor-tante se si considera quanto l’ambiente organizzativo sia un ambiente sociale in cui i lavoratori, attraverso le loro in-terazioni, costruiscono modelli sociali e relazionali che poi influiscono sul modo di rappresentarsi e vivere i rapporti tra gli uomini e con la società5. le struttu-re amministrative dovrebbero appun-to essere ripensate come laboratori di incubazione della nuova società com-plessa e democratica6 promuovendo le azioni di formazione del personale come laboratori di sviluppo e complessifica-zione della formazione, ove porre in es-sere nuovi obiettivi e contenuti in con-tinua evoluzione. in considerazione di tale complessità del ruolo che la p.a. deve oggi assumere, la classica forma-zione d’aula costruita sul vecchio mo-dello tradizionale dell’istruzione e del-la scuola (quella caratterizzata da un setting frontale e un rapporto forma-

tore/formando rigidamente asimmetri-co) risulta insufficiente e inadeguata a produrre risultati apprezzabili. lonta-na dal favorire il cambiamento auspica-to, questa impostazione ha spesso com-portato uno spreco delle esigue risorse disponibili. inoltre il personale in ser-vizio ha finito per vanificare ogni sin-cero sforzo di trasformazione vivendolo unicamente come pausa del tutto sepa-rata dal lavoro. Questi esiti sono dovu-ti in gran parte alla caratteristica pro-pria dei metodi trasmissivi tradiziona-li: una concezione depositaria dell’ap-prendimento nella quale il formatore trasmette il suo sapere, che è veicolato da una relazione gerarchica di potere7. per costruire un modello di formazione più appropriato si deve anzitutto con-siderare quanto anche nelle strutture pubbliche, come in tutti i contesti orga-nizzativi postmoderni, sia oggi indefet-tibile l’esigenza di valorizzare l’azione nei processi di apprendimento. Questo aspetto comporta un’opzione di metodo che tralasci ogni orientamento trasmis-sivo per stare nello spazio del qui e ora della situazione e della relazione. occor-re l’adozione di un modello di formazio-ne-intervento che possa creare un pro-cesso ricorsivo tra conoscenza e azione, tra costruzione della conoscenza e via-bilità della conoscenza. assume rilievo il fatto che l’intervento formativo debba potersi costruire facendo attenzione alla differenziazione dei processi durante lo sviluppo dell’evento e dell’azione, cer-cando di tenere conto dei cambiamenti legati all’apprendimento e all’adatta-mento che l’intervento lascia emerge-re, integrandoli quanto più possibile nel suo sviluppo8. il percorso di apprendi-mento e la corrispondente azione van-no costruiti in modo co-evolutivo con le

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emergenze, promuovendo e sostenen-do l’auto-organizzazione, valorizzan-do così l’affinità tra i diversi e possibili modi di apprendere, i vincoli e le possi-bilità dell’apprendimento e il modo di intervenire su esso con la formazione9. Questa impostazione può produrre im-portanti ricadute sulla formazione del personale in servizio nella p.a.

Una formazione per tutti e incen-trata sull’azione

È anzitutto indispensabile che l’im-pegno formativo possa coinvolgere tut-ti i lavoratori pubblici in ogni livello, funzione e categoria. e si richiede alla formazione un complessivo riposiziona-mento nelle seguenti direzioni10: dovrà essere intesa non solo come trasmissio-ne di conoscenze consolidate ma anche e soprattutto in termini di facilitazio-ne dell’apprendimento, restituendo im-portanza alla progettazione di iniziati-ve di supporto allo sviluppo dei processi di apprendimento; dovrà costantemen-te armonizzare i contenuti trasmessi dall’esterno e la valorizzazione degli ele-menti della riflessione sulla pratica, va-lorizzando le caratteristiche dei lavora-tori che contribuiscono attivamente allo sviluppo della formazione, i potenziali di riflessione e di capacità di soluzione dei problemi di cui i lavoratori sono capaci in relazione alla loro esperienza diretta; dovrà usare tecniche di formazione-in-tervento che consentano di mobilizzare il sapere in sintonia con le esigenze del cambiamento sul luogo di lavoro.

ci si confronta con una visione dell’apprendimento che stimola la ricer-ca sulla formazione continua e perma-nente. emerge con particolare forza che

la metodologia che più può rispondere ai nuovi bisogni è la formazione situa-ta direttamente sul luogo di lavoro. un modello di formazione al cambiamen-to che permette l’attivazione di un pro-cesso d’identificazione culturale, utiliz-zando strumenti legati allo schema di learning by doing o apprendimento me-diante l’esperienza degli adulti, come ad esempio: la comprensione empatica, il sentimento della solidarietà, la condi-visione dell’energia, l’esempio diretto, la costruzione di una vision personale e l’allineamento a una vision condivi-sa, l’aggancio all’esperienza, ai bisogni formativi veri dei soggetti e allo svolgi-mento della normale attività lavorati-va, in relazione alla storia organizza-tiva e alla mission comune. l’obiettivo cui tendere è la formazione che coinvol-ge tutti i membri dell’organizzazione direttamente sul luogo di lavoro e che si costruisce in modo da trasformarsi in auto-formazione permanente. essa è in grado di portare risultati più signi-ficativi, generativi di importanti effet-ti di cambiamento a livello sistemico, sia personale che organizzativo. pro-prio per questo risulta anche economi-camente più vantaggiosa nel lungo pe-riodo. si tratta dunque di promuovere, sul luogo di lavoro e poi anche nei con-testi interorganizzativi, interventi for-mativi che diano adeguato spazio sia alla componente cognitiva che alla com-ponente sociale dell’apprendimento, te-nendo conto della dimensione di pote-re che governa la trasmissione delle co-noscenze, personali ed organizzative, e della dimensione implicita dell’appren-dimento, quella che passa attraverso il linguaggio e la conoscenza tacita, con cui si creano prassi e si confrontano vi-sioni del mondo11.

QUALEDUCAZIONE • 39

I nodi formativi critici della gestio-ne del personale

sul versante dei temi della formazio-ne nella P.A. è anzitutto rilevante la sfi-da interna del passaggio da un model-lo organizzativo gerarchico, chiuso e ca-ratterizzato in via esclusiva da metodi di lavoro burocratici e amministrativi, ad un modello organizzativo più aper-to, flessibile e dinamicamente integrato tra metodi di lavoro amministrativi tra-dizionali e metodi progettuali, strategi-ci e concertativi. si tratta di uno snodo cruciale delle riforme degli ultimi de-cenni ma tuttora non sempre ben com-preso e implementato. sul fronte ester-no della costruzione della governance, è oggi competenza essenziale della for-mazione del personale il sostegno all’at-tività di spostamento sul confine orga-nizzativo delle funzioni manageriali e di quasi tutte le altre. in tal senso la formazione può intervenire affinché: il personale dell’ente pubblico appren-da a gestire corrette relazioni di colla-borazione basate su fiducia e capacità di negoziazione, e relazioni di coordi-namento delle attività con i cittadini e col territorio, mediante la valorizzazio-ne dell’apporto costruttivo e competen-te di tutti i soggetti; si possa accrescere in tutto il personale la capacità di leg-gere criticamente i problemi del territo-rio evitando indebite sovrapposizioni tra i propri convincimenti inespressi e la lettura dei bisogni (soprattutto sve-lando stereotipi, pregiudizi, tacite ma-nipolazioni della realtà e processi di eti-chettamento).

nel procedimento amministrativo diventa centrale il risultato che si co-struisce prestando attenzione alla na-tura del servizio e dei bisogni che deve

soddisfare. il personale deve essere in grado di elaborare una lettura comples-sa dei risultati cui l’atto pubblico è fun-zionale e del processo di erogazione di un servizio cui l’atto concorre (ad esem-pio elementi come la natura dei sogget-ti coinvolti, le risorse in campo e da at-tivare, le criticità e i punti di debolezza da superare ecc.). occorre che la forma-zione possa curare particolarmente la costruzione delle relazioni tra soggetti, organizzazioni e istituzioni affinché la consolidata logica autoreferenziale di potere e la cattiva prassi del dividi et impera vengano sostituite con la logica dell’attivazione e mantenimento di re-lazioni professionali basate su fiducia e collaborazione tra tutti gli enti, setto-ri e soggetti che concorrono alla produ-zione dei servizi. Queste relazioni sono particolarmente utili alla costruzione di prassi corrette ed efficaci di co-progetta-zione, co-gestione e co-valutazione degli interventi sociali. e ciò significa essen-zialmente imparare a lavorare insieme concertando risorse, finalità e obiettivi. ma non è possibile se preliminarmente non si apprende a mantenere e valoriz-zare le specificità di ogni soggetto e or-ganizzazione (evitando accuratamente ogni impropria confusione), anche me-diante l’apprendimento della risoluzio-ne positiva e proficua dei conflitti.

La grande sfida consiste nel lavo-rare per rendere possibile un rapporto fecondo tra comune appartenenza alla rete sociale e fedeltà alla specifica real-tà organizzativa, sulla base di forme di consenso costruite a partire dalla mol-teplicità delle identità specifiche ma con una tensione continua a convergere uni-tariamente sulla finalità dell’interesse comune e pubblico.

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Cambiamento e motivazione: verso processi di responsabilizzazione

la p.a. necessita di una crescita in tutto il personale della consapevolezza del senso dei cambiamenti in corso. È coerente con questo una re-distribuzio-ne del lavoro basata sul coinvolgimento di ogni impiegato, sulla sua responsabi-lizzazione e motivazione. gli operatori pubblici soffrono ancor oggi una caren-za forte di motivazione: non percepisco-no la centralità ed utilità pubblica del loro lavoro. gli strumenti tradizionali di direzione amministrativa del persona-le sono risultati inadeguati a diffondere maggiore consapevolezza del suo valo-re sociale. generare più profonde moti-vazioni e creare senso di appartenenza sono compiti che la formazione facilita favorendo la creazione di un ambiente di lavoro più stimolante, più capace di rispondere alle esigenze dei lavorato-ri, più in grado di offrire adeguati spa-zi di riconoscimento e discrezionalità. la formazione può intenzionalmente operare per fornire nuove opportunità di sviluppo professionale, per spronare a investire su relazioni interne più fi-duciarie, salde e capaci di produrre si-gnificati comuni. Essa può favorire un maggiore riconoscimento del personale in servizio all’interno di un sistema di valori e regole espliciti e condivisi che diffondano più benessere organizzati-vo. sue competenze sono: moltiplicare i punti di riferimento dell’operatore, am-pliare le sue capacità di sperimentare se stesso nell’azione e nella relazione, migliorare la sua capacità di padronan-za personale, moltiplicare la sua perce-zione di efficacia personale e collettiva. A tali fini serve un lavoro sul sostegno emotivo e sull’aumento di autostima,

che favorisca l’accesso ad un’identità più flessibile e dinamica. Questi cam-biamenti vanno costruiti attraverso gli strumenti del dialogo e della riflessione, con il coinvolgimento di tutto il persona-le. anche lo sviluppo delle nuove com-petenze, in particolare di quelle latenti e ancora inespresse, è una sfida fonda-mentale per la p.a. e passa necessaria-mente per la promozione di un maggio-re senso di appartenenza e motivazio-ne tra le persone che operano all’inter-no dell’organizzazione.

si richiede alla formazione iniziale e in itinere degli operatori di lavorare anche allo sviluppo della loro autono-mia e della capacità di autoregolazione (che è collegata alla motivazione, alla disponibilità, all’assunzione di respon-sabilità dei processi e alla capacità di comunicazione e cooperazione). inoltre all’interno delle strutture organizzati-ve serve una revisione del rapporto con/tra le professionalità, le quali necessi-tano di processi di delega e di respon-sabilizzazione (in quest’ottica anche gli operatori della p.a. sono lavoratori del-la conoscenza che per svolgere adegua-tamente il loro compito devono seguire il processo di costruzione di un servizio nelle sue varie fasi ed intervenire coo-perando con altri operatori)12. la for-mazione può fare leva sulla promozio-ne e diffusione del dialogo inteso come comportamento intenzionalmente vol-to a favorire l’arricchimento delle mo-dalità organizzative; essa può operare per intensificare la comunicazione for-male e informale, espressa e tacita, in modo che all’interno della struttura or-ganizzativa sia più facile costruire una cultura condivisa e una comune vision del servizio. un punto fondamentale è l’abbandono dell’assunto di base sapere

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è potere (che aumenta la dipendenza e le dinamiche patologiche legate all’uso distorto del potere) e la sostituzione col più adeguato condividere sapere è pote-re13; ciò è concretamente possibile me-diante la progettazione e implementa-zione di architetture organizzative che facilitino l’apprendimento personale e organizzativo, senza ostacolarlo. un’ar-chitettura burocratica, chiusa, rigida è un ostacolo insormontabile, ma anche una struttura apparentemente orienta-ta all’innovazione ma in realtà altamen-te competitiva e individualistica può ri-sultare inibitoria rispetto ad un’archi-tettura sociale intesa come cultura fles-sibile che supporti relazioni integrate e migliori il processo di apprendimento, il concetto di autogoverno, l’empowerment delle persone e la condivisione. occor-re, pertanto, che anche la formazione contribuisca a promuovere l’apprendi-mento della gestione accurata di tut-te quelle leve manageriali, gestionali e strutturali dell’organizzazione che pos-sono permettere l’affermarsi di un ma-nagement della comunicazione efficace e della conoscenza14.

Lo strumento formativo e gestiona-le del “gruppo”

la formazione del personale riveste un ruolo importante nell’introduzione e nella cura della cultura dei gruppi di lavoro nella p.a. all’interno dei gruppi interfunzionali è possibile apprendere la cooperazione tra figure con funzioni diverse in un’ottica che conservi la di-stinzione dei ruoli e delle funzioni e con-temporaneamente valorizzi il contribu-to e il punto di vista di ciascuna figura (rispettando le responsabilità e i limiti

propri e degli altri). se correttamente implementato, ciò può rendere il lavo-ro più proficuo e adeguato alle esigenze dei problemi attuali. inoltre può offrire il vantaggio prezioso di promuovere e accrescere la capacità di elaborare lin-guaggi condivisi mediante la concerta-zione sul tema comune. Questo risulta un esercizio di decentramento che pro-muove poi il lavoro di costruzione lin-guistica di un terreno comune di con-fronto e azione con gli operatori di altri servizi e con i cittadini15. dunque com-pete alla formazione sostenere e incre-mentare le capacità di lavoro all’inter-no dei gruppi interfunzionali, aiutarli a perseguire la strategia dell’ascolto e della valorizzazione delle competenze, consentire la generazione e diffusione delle idee, aumentare la coesione so-ciale, il senso di appartenenza al grup-po e all’istituzione. si possono favori-re così anche l’apprendimento indivi-duale, interpersonale e vicario, attra-verso un complesso gioco di risonan-ze, rispecchiamenti consci ed inconsci, con lo scambio di esperienze professio-nali e umane che si intessono all’in-terno dei gruppi (apprendimento non solo di tipo cognitivo ma anche basa-to sull’esperienza relazionale ed emo-tiva)16. la formazione del personale, al fine di fornire momenti concreti di par-tecipazione, può puntare all’utilizzo di strumenti di ascolto e coinvolgimento, come ad esempio la condivisione di co-noscenze ed esperienze all’interno di comunità di pratiche, di apprendimen-to o professionali, oltre alla prassi del-lo scambio di buone esperienze e di in-novazioni tra amministrazioni17; così si consente ai singoli di esprimere e svi-luppare competenze non valorizzate dai compiti svolti abitualmente e di stimo-

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lare la prassi della cooperazione (favo-rendo il confronto, l’integrazione, la so-cializzazione delle conoscenze).

Complessità sistemica, sostegno ed empowerment personale/orga-nizzativo

nella pubblica amministrazione tuttora non esistono attività formati-ve o di accompagnamento per aiutare i nuovi assunti a comprendere le funzioni e i compiti del proprio ruolo di servizio, la cultura organizzativa e in particolare l’apprendimento delle funzioni comples-sive del servizio. generalmente si avvia così un processo di normalizzazione in cui il soggetto gradualmente assume un comportamento uniforme a quello degli altri, in modo tale da non disturbare il consueto andamento dell’ente e di evi-tare forme di sanzione sociale da par-te dei colleghi18. Questi elementi inter-pellano l’agire formativo affinché tutto il personale possa acquisire una capa-cità di pensiero sistemico. essa è uti-le a cogliere e approfondire da un lato il legame tra le azioni del soggetto e la sua realtà organizzativa, dall’altro la possibilità di intervenire attivamente agendo su essa come componente tra-sformativo. urge produrre una visione sistemica delle interrelazioni tra la no-stra organizzazione e il suo ambiente, per comprendere e approfondire quelle utili da indirizzare agli obiettivi perse-guiti. Si deve apprendere a riflettere sull’influenza del singolo verso l’orga-nizzazione, dell’organizzazione verso il singolo, dell’organizzazione verso l’am-biente19. in chiave sistemica, la forma-zione può intervenire sulla capacità di pensiero complesso con la finalità di su-

perare l’abitudine del personale a non collegare il proprio agire ai problemi e bisogni degli altri e a quelli complessi-vi dell’organizzazione. È utile rivede-re in tal senso i modelli di pensiero e d’azione e promuovere un processo di auto-organizzazione del cambiamento. si può fare leva su ambiti sensibili di cambiamento come le relazioni, i ruoli, gli atteggiamenti, gli strumenti di co-municazione ecc., ed agire su di essi ap-plicando un’ottica sistemica: attenzione ai nessi, agli anelli di retroazione, alle risposte del sistema nel suo complesso o di altre parti di esso e alle interdipen-denze20. ulteriore tema di grande rilie-vo per promuovere e approfondire nel personale in servizio una visione siste-mica e complessa è il rapporto tra di-versità e uguaglianza. in tal senso la formazione deve facilitare la riflessio-ne sul rapporto tra molteplicità (le par-ti) e unità (il tutto) in ambito lavorati-vo al fine di costruire un equilibrio tra la diversità dei singoli e la condivisio-ne nella totalità.

Formare operatori riflessivi

per favorire un’armonizzazione della struttura sociale formale con quella in-formale è opportuno che la formazione lavori per introdurre nell’organizzazio-ne una razionalità complessa volta ad affrontare anche gli elementi di irrazio-nalità ed emotività affinché il contribu-to di ognuno sia riconosciuto valido e si integri con quello degli altri nella tota-lità. per dare dignità alla parte rispetto al tutto è necessario anzitutto un lavo-ro formativo di ricostruzione della pro-pria identità personale e professionale che può essere svolto in relazione alla

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propria storia personale, alle proprie aspettative, ai propri obiettivi, ai propri sogni. È importante anche un lavoro, in verità assai spesso trascurato, di rico-struzione della storia e dell’identità co-mune, che aiuti a vivere l’ente pubblico come organizzazione che ci riconosce e di cui possiamo riconoscere l’influenza, in un’ottica di interdipendenza21. si può utilizzare in tal senso il metodo narrati-vo nella forma della narrazione del pro-prio racconto professionale e nella for-ma della ricostruzione della storia del servizio22. concretamente la formazione lavora alla trasformazione nel persona-le in servizio dei modelli mentali e delle mappe concettuali e alla loro sostituzio-ne con nuove mappe e modelli più ade-guati. suo compito peculiare è creare le condizioni e lo spazio protetto (fisico e mentale) ove sostenere e accompagna-re il personale ad un incontro genera-tivo con la molteplicità possibile. in tal senso è necessario da una parte ridefi-nire complessivamente, come cornice di riferimento, la mission del servizio, la vision del gruppo che in quel momento vi opera, obiettivi e metodi congruenti ecc. su un altro versante, orientare gli interventi formativi situati sul posto di lavoro allo sviluppo della capacità di ri-flessione sull’azione mentre si ragiona su problemi concreti e processi da por-re in atto, modulando la teoria in fun-zione della pratica, l’analisi in funzio-ne dell’azione (la riflessione sul senso delle azioni che hanno compiuto o quo-tidianamente compiono apre gli opera-tori alla possibilità di ricostruire il sen-so della situazione in cui operano)23. il cambiamento è un processo di trasfor-mazione, un passaggio verso una meta incerta che, in quanto tale, procura ge-neralmente ansia e anche paura, ele-

menti che possono far insorgere resi-stenze o addirittura blocchi. proprio perché il cambiamento mette in causa le biografie personali, è necessario che passi attraverso un processo di mes-sa in discussione di alcuni aspetti del sé. Un processo delicato e a tratti an-che rischioso, ma che possiede una for-te valenza de-costruttiva e ri-costrutti-va del pensiero personale. un processo utile a superare resistenze e rimuove-re blocchi, mediante una positiva pre-sa di consapevolezza dei vantaggi che il cambiamento può portare e che lo ren-dono allettante. in tale orizzonte, la for-mazione lavora per allargare il campo percettivo e il raggio di esperienza del soggetto introducendo elementi di no-vità e disordine. successivamente può agire sui suoi schemi mentali per am-pliarne le capacità d’azione e di rela-zione. Quando i nuovi elementi trova-no risonanza nei suoi vissuti e bisogni cognitivi e sociali (e in questo ha asso-luto rilievo l’aggancio alla sua esperien-za diretta, facendo particolare attenzio-ne alla valenza formativa o de-formati-va che l’apprendere dall’esperienza può aver prodotto), il soggetto può gradual-mente riorganizzare le sue mappe men-tali ed arricchire la sua interpretazio-ne della realtà. competenza formati-va è dunque adottare metodi, tecniche e processi adeguati affinché il soggetto possa immaginare un futuro possibile, nuovo, desiderabile, vantaggioso, faci-litando così la sua evoluzione mediante un’apertura al cambiamento individua-le e organizzativo. aiutare e sostenere lo sviluppo della capacità immaginativa è possibile mediante l’abitudine di or-ganizzare riunioni nelle quali, parten-do dall’emergere di alcune nuove situa-zioni, ci si confronta liberamente, attra-

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verso metodologie specifiche, simulazio-ni, giochi di ruolo, brainstorming ecc., sulle evoluzioni possibili. ciò consente di staccarsi dalle proprie rappresenta-zioni statiche della realtà, dalle proprie aspettative basate su ciò che è successo in passato e sulle routine. così si può impedire al passato di essere un osta-colo insormontabile alla costruzione del futuro e questo può consentire anche di comprendere più rapidamente i segnali delle evoluzioni delle situazioni24.

La ricostruzione autobiografica come strumento di sensemaking

da queste considerazioni sul cam-biamento personale e organizzativo nel-la p.a. si ricava l’opportunità e la va-lidità dell’utilizzo in ambito formativo del metodo narrativo nella sua versio-ne autobiografica ai fini della costruzio-ne/sensemaking dell’identità personale e professionale e ai fini del contenimen-to dell’ansia connessa al cambiamento. narrare la propria storia di formazione è appunto utile a scoprirsi soggetti ca-paci di modificare pensiero e apprendi-mento e per arrivare ad agire sui diversi livelli della conoscenza e dell’esperien-za. costruire soggettivamente e conti-nuamente l’identità e la propria espe-rienza di formazione coinvolge diverse dimensioni dell’io soggettivo e organiz-zativo: il passato della propria storia di formazione (implicita ed esplicita, for-male ed informale); il modo in cui l’ab-biamo vissuta e soprattutto ricostrui-ta; gli attuali bisogni di formazione; le aspettative e le proiezioni sulle poten-zialità future. l’ascolto reciproco e l’au-to-osservazione innalzano l’autostima, la consapevolezza dei processi in atto,

la coscienza della propria unicità e in-sieme la scoperta della somiglianza con gli altri, la disponibilità a mettersi in gioco, rischiare e sviluppare auto-im-prenditorialità. il soggetto può ricono-scersi nella propria condizione adulta in un divenire attivo di esperienze. Questo flusso di esperienze conduce a un sape-re che viene continuamente costruito e che può essere trovato nella ri-costru-zione della storia di apprendimento del soggetto (fatta di indizi cognitivi, affet-tivi, valoriali, ma soprattutto di tracce che hanno unito e costruito questi in-dizi, i quali possono essere destruttu-rati e ricostruiti nelle relazioni orga-nizzative)25. Il metodo autobiografico diviene uno strumento di conoscenza e cura dell’io e dell’identità professionale dell’individuo che consente di cogliere la soggettività personale nella moltepli-cità dell’io, le dinamiche di conoscenza (soggettiva, intersoggettiva e organiz-zativa), le traiettorie di apprendimen-to e di trasformazione del sé nella vita professionale, i processi di sensemaking legati all’esperienza personale e profes-sionale interna ed esterna all’organiz-zazione, gli intrecci tra la vita perso-nale e quella professionale, i fattori di processo della maturazione nella pro-fessione, i processi di autoformazione professionale26.

La ricognizione autobiografica con-tiene sempre elementi di spiegazione e comprensione della realtà anche orga-nizzativa, in cui un sensemaking forte interviene a strutturare la propria sto-ria delle relazioni professionali in una scoperta di essa che ha effetti di empo-werment, possibilità per ri-costruire e ri-contrattare anche il cambiamento or-ganizzativo. può produrre un lavoro in-trospettivo significativo che può aprire

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la strada alla trasformazione persona-le, professionale, organizzativa.

La metodologia autobiografica facili-ta le connessioni prima invisibili, espli-cita la conoscenza tacita e la formazio-ne implicita e genera modelli accettabili e condivisibili, che aprono la strada al cambiamento. raccontarsi può diventa-re una riscoperta e una ri-costruzione del proprio progetto di vita, non sempli-cemente esposizione orale o scritta di un racconto di sé, ma pensiero autobiogra-fico su di sé. non solo una costruzione narrativa ma anche una decostruzione narrativa, che comporta l’esplicitazio-ne di miti positivi e negativi consegna-ti al soggetto-artefice. Questa apertura a molteplici possibili sviluppa una com-petenza meta-cognitiva che consente di individuare traiettorie di vita che sono e rimangono molteplici27.

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note

1 da ora in poi p.a.2 cappucci u., La formazione nella P.A. attra-verso le eccellenze del Premio Basile 2005, ange-li, milano 2005.3 panozzo f. (a cura di), Pubblica Amministra-zione e competitività territoriale. Il management pubblico per la governance locale, franco ange-li, milano 2005, p. 78.4 rosetto ajello a., Dalla piramide al batterio. Pedagogia del lavoro e delle risorse umane per la pubblica amministrazione, franco angeli, mila-no 2009, p. 59. 5 per approfondire questo aspetto vedi tra gli al-tri: Weik K. e., Organizzare. La psicologia socia-le nei processi organizzativi, isedi, torino 2003; id., Senso e significato nell’organizzazione. Alla ricerca delle ambiguità e delle contraddizioni nei processi organizzativi, cortina, milano 2007; senge p., La quinta disciplina, l’arte e la prati-ca dell’apprendimento organizzativo, sperling e Kupfer, milano 2006.6 rosetto ajello a., Dalla piramide al batterio, cit., p. 59.7 È una concezione educativa manipolatoria che impedisce di apprendere nella misura in cui an-nulla o minimizza il rilievo del potere creatore degli educandi e l’aggancio ai bisogni formati-vi veri. essa fa delle persone degli automi sen-za capacità di riflessione critica e trascura il ne-cessario aggancio alle loro reali necessità forma-tive e all’esperienza pregressa. Nella riflessione di paulo freire si mette in rilievo come una con-

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cezione pedagogica veramente rispettosa della li-bertà dell’educando e della sua fondamentale vo-cazione ad essere-in divenire non può che essere problematizzante. in essa, attraverso il dialogo, da docili depositi gli educandi si trasformano in ricercatori critici in dialogo con l’educatore, nel-lo sforzo di fare emergere se stessi da cui risulta la loro inserzione critica nella realtà. tanto più gli educandi dovranno affrontare problemi, tan-to più si sentiranno sfidati, obbligati a rispondere alla sfida e la comprenderanno nell’atto di perce-pirla. Capteranno la sfida in rapporto con gli altri problemi in un piano di totalità e di complessità e per questo la loro comprensione tenderà a di-venire sempre più critica e coscientizzatrice, dun-que sempre più libera da qualunque alienazione. freire p. La pedagogia degli oppressi, mondado-ri, milano, 1976, pp. 81 e ss. 8 morelli u., Weber c., Passione e apprendimento, Formazione-intervento: teoria, metodo, esperienze, cortina, milano 1996, pp. 68 e ss, p. 75.9 il metodo della formazione-intervento garantisce così maggiore aderenza e vicinanza alle esigenze e ai bisogni formativi veri, non indotti, della per-sona che apprende. Questo è possibile per la ca-ratteristica della ricorsività del metodo che con-sente da un lato la riflessione e l’uso del proprio processo per comprendere come esso si forma e dall’altro la cura delle condizioni che rendono pos-sibile una continuativa formazione del processo di riflessione in situazione: Ivi, p. 75.10 gherardi s., Implementare, diffondere o tra-durre in pratica il cambiamento?, «formazione e cambiamento» 28 (2004).11 rosetto ajello a., Dalla piramide al batterio, cit. pp. 43-44.12 la generale e diffusa rincorsa della novità pro-duce una naturale instabilità ambientale e orga-nizzativa che, divenuta strutturale, richiede la capacità di gestione dei cambiamenti e di gestio-ne di progetti ad hoc piuttosto che saper gestire le routine. si deve dare attenzione alle relazioni che il lavoratore costruisce con il suo ambiente e con i colleghi di lavoro poiché esse condizione-ranno capacità cognitive e comportamenti, fino a poter divenire più decisive delle capacità tecnico-professionali (queste sono da quelle ri-classifica-te e condizionate). assume rilievo la produzione di conoscenza relazionale e culturale, un tipo di conoscenza che si riferisce ai rapporti che i lavo-ratori stabiliscono tra loro quando vogliono col-laborare per raggiungere obiettivi e ai compor-tamenti che mettono in atto seguendo le vision sugli ambienti e sulle persone che vi agiscono: si compone una rete complessa di persone e di rela-

zioni i cui modi di interagire sono influenzati da clima e cultura organizzativa e dalle loro inter-relazioni scaturisce l’andamento positivo o nega-tivo dell’evoluzione complessiva. 13 rosetto ajello a., Organizzazione del lavoro e gestione delle risorse umane nel terzo settore: li-nee direttrici e orizzonti di senso, «solidarietà» 44 (2004), p. 168.14 parmeggiani b., Gruppi di apprendimento e di auto-sviluppo, «for» 38 (1999), p. 60. 15 rosetto ajello a., Dalla piramide al batterio, cit. p. 69.16 di maria f. - lo verso g., La psicodinami-ca dei gruppi. Teorie e tecniche, cortina, mila-no 1995, p. 308.17 le comunità di pratiche hanno soprattutto l’obiettivo di trovare soluzioni a problemi attra-verso lo scambio di esperienze. le comunità di apprendimento sono gruppi di persone che condi-vidono l’obiettivo di acquisire determinate cono-scenze e competenze. A tal fine, sono usati, pre-valentemente, strumenti per il trasferimento di contenuti e per la valutazione dell’apprendimen-to. le comunità professionali sono caratterizzate dallo sviluppo di identità collettive legate all’eser-cizio di una stessa professione, o ruolo organizza-tivo. gli obiettivi sono prevalentemente di condi-visione ed utilizzo di competenze affini allo svilup-po del lavoro, e forme di pensiero relativi al ruolo coperto. agnesa g., La formazione nella P.A. at-traverso reti, comunità, scambi: l’esperienza del Formez, in vidotto e. (a cura di), La formazione nella P.A. attraverso le eccellenze del Premio Ba-sile 2004, angeli 2004, p. 43.18 rosetto ajello a., Dalla piramide al batterio, cit. pp.68 - 69.19 manfredi f., Le strategie collaborative nelle aziende non profit. Economicità, etica e conoscen-za, egea, milano, 2003, p. 77.20 rosetto ajello a., Dalla piramide al batterio, cit., p.106.21 Ivi, pp. 117-118.22 orsenigo a. , Il cambiamento nei servizi pub-blici tra mito e realtà, in La progettazione socia-le, ega, torino, 1999, p. 23.23 rosetto ajello a., Dalla piramide al batterio, cit., p. 112. 24 Ivi, p. 107.25 cassani e. c., fontana a., L’autobiografia in azienda. Metodologie per la ricerca e l’attività formativa, guerini studio, milano 2000, p.66, p.68.26 Ivi, p. 64.27 le competenze individuali necessarie al forma-tore per fare formazione autobiografica sono molte

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ma tre sono fondamentali: la riflessione, le meta-cognizione, l’associazione. La riflessione sul pro-prio sé e di conseguenza sul sé degli altri è compe-tenza che chiama in causa, evidenziandolo, il cir-colo ermeneutico tra teoria-prassi che a sua volta permette di costruire teorie locali dell’azione in-dividuale e collettiva, mostrando i nessi impliciti tra il pensiero e l’apprendimento. la meta cogni-zione è competenza di de-centramento, è la capa-cità di bi-locarsi e di osservarsi mentre si pensa e si agisce, è consapevolezza autoriflessiva che

indaga i moti del pensiero su di sé per verificare come esso sappia ciò che sa e apprende ciò che ha appreso. È interrogazione dinamica che il sogget-to, in quanto costruttore del proprio sapere, fa a se stesso sulle strategie da lui attuate per impa-rare dall’esperienza interna (soggettiva) ed ester-na (sociale). l’associazione è la capacità di agire connessioni, di intessere i frammenti sparsi dei ricordi e di incontrare i progetti. È la significazio-ne che diamo alla negoziazione tra senso sogget-tivo e senso sociale. cfr. ivi, pp. 70-72.

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Autonomia, dirigenza,progettualità

rubrica diretta da GIOVANNI VILLAROSSA

La dimensione etica nelle professioni educative

diandrea porcarelli

Il congresso nazionale dell’UCIIM del 5, 6, 7 dicembre 2009 ha avviato un dialogo a più voci sulla formazione delle professioni educative; ospitiamo le tematiche affrontate: La di-mensione etica delle professioni educative (andrea porcarelli); Orientamenti e indicazioni emergenti dall’orizzonte internazionale in ordine alla formazione (maria vittoria cavallari e sergio cicatelli); La scuola nel contesto legislativo del rapporto Stato/Regioni in ordine alla formazione (franesco castronuovo); La cultura pedagogica della formazione nell’otti-ca dell’UCIIM (norberto mazzoli); L’associazione come luogo di formazione riflessiva (an-gelo di dio); La formazione spirituale del socio UCIIM (anna bisazza madeo); e nuove tec-nologie nella formazione delle professioni (giovanni villarossa).

Il problema

il riconoscimento di una dimensio-ne etica intrinseca all’attività educati-va e didattica è patrimonio consolida-to della nostra cultura, come attestano opere di autori di diverso orientamen-to culturale, dal De magistro di s. ago-stino, ai testi dedicati ai maestri di re-torica nella latinità, per cui lo stesso retore doveva essere formato – per dir-la con catone – come un “vir bonus di-cendi peritus”, evidentemente da mae-stri di retorica che fossero anche mae-stri di umanità. parafrasando la sen-tenza di cui sopra si può parlare di un “vir bonus docendi peritus” a proposi-to dell’insegnante? gesualdo nosengo non avrebbe dubbi in proposito: la di-mensione etica è intrinseca all’identità

professionale dell’insegnante, tanto che egli dedica un volume alla sua morale professionale un volume nel 1948 e in un altro testo – recentemente ripubbli-cato – propone come modello la figura di gesù maestro.

solo in tempi molto recenti abbia-mo registrato qualche oscillazione nel-la consapevolezza dell’intrinsecità della dimensione etica della professione do-cente, con l’affermarsi di modelli cul-turali e professionali di natura “tecni-cista”, che hanno sostituito l’immagine dell’insegnante-educatore con quella del professionista dell’istruzione. im-magine meno impegnativa sul piano esistenziale, apparentemente più rassi-curante, ma non priva di problematici-tà sul piano del consolidamento di una vera consapevolezza professionale.

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Invito al dibattito

prima di tutto è opportuno far men-te locale sui dispositivi normativi che già in qualche misura definiscono i di-ritti/doveri degli insegnanti: dpr 417 del 1974 (confluito nell’art. 195 del TU del 1994), il contratto collettivo nazio-nale di lavoro, il d.m. del ministero del-la funzione pubblica, del 28 novembre 2000, Codice di comportamento dei pub-blici dipendenti.

un ragionamento a parte dovrebbe essere fatto sullo statuto delle studen-tesse e degli studenti (dpr n. 249 del 24 giugno 1998, modificato e integra-to con d.p.r. n. 235 del 21 novembre 2007), che – di fatto – definisce in modo “indiretto” alcuni doveri degli insegnan-ti (sotto forma di diritti degli studenti) ed alcuni diritti degli stessi insegnanti (sotto forma di doveri, invero piuttosto esigui, degli studenti).

il dibattito sulla deontologia pro-fessionale ed il codice deontologico, in italia, è stato riaperto in tempi piut-tosto recenti, nel contesto del dibattito per la revisione dello statuto giuridico degli insegnanti (per il quale si atten-de ancora una legge di cui sono usci-te diverse bozze in pochi anni). una proposta che fece molto discutere fu quella dell’adi (cenerini, drago; 2000) che legge la deontologia professionale in funzione di uno sviluppo di carrie-ra degli insegnanti, secondo il modello delle “libere professioni”. contestual-mente anche l’uciim si inserì nel di-battito, con una ricerca sugli orienta-menti, motivazioni e valori degli inse-gnanti (corradini, a cura di; 2004), in cui si ricerca innanzitutto la rappre-sentazione del “buon insegnante”, po-nendo come elemento di un più ampio

quadro di insieme anche la questione etico-deontologica.

a livello istituzionale il problema della deontologia professionale è stato posto in modo esplicito nel 2001, con la costituzione – da parte del miur – di un Gruppo di lavoro, “cui affidare il compito di definire criteri per un codice deontologico del personale della scuola che consenta alla categoria di veder tu-telata la propria dignità, sia personale che professionale, anche al fine di po-tenziare la qualità del sistema scola-stico”1, che ha lavorato per sottogruppi, producendo alcune interessanti solleci-tazioni in ordine al senso complessivo di un codice deontologico per gli inse-gnanti, che però – ad oggi – non è sta-to ancora redatto né emanato.

Ipotesi di lavoro e nodi da sciogliere

nelle more di una discussione lun-ga e travagliata sullo statuto giuridico degli insegnanti, in attesa di vedere se prenderanno forma veri e propri organi di “autogoverno” della professione, ci si può chiedere se – intanto – sia possibile svolgere un’azione sul piano culturale in modo da dare alla dimensione etico-deontologica delle professioni educati-ve un peso maggiore. se vi saranno or-gani di autogoverno della professione è probabile che saranno questi a redige-re una carta etica o un codice deontolo-gico, ma – nell’attesa – è utile avviare una riflessione in tal senso ed elabora-re codici (o carte etiche) a livello di sin-gole istituzioni scolastiche autonome o reti di scuole?

l’uciim ha pubblicato, nel 2004, una bozza di codice deontologico, frutto di un lavoro di ricerca che ci era stato

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affidato dal MIUR e che è stata anche oggetto di attenzione specifica duran-te i lavori del congresso di quell’anno. da allora le diverse articolazioni del-la nostra unione hanno prodotto ulte-riori riflessioni, ipotesi di lavoro, rea-lizzato esperienze e buone pratiche in materia di deontologia professionale? ci sono state scuole o reti di scuole che hanno chiesto la nostra assisten-za o consulenza per mettere a tema la questione etico-deontologica, anche al fine di predisporre dei Codici Deonto-logici di istituto (o di rete)? con l’a.s. 2009/2010 parte la sperimen-tazione di una disciplina – “cittadinanza e costi-tuzione” – che chiama in causa in modo molto diretto la dimensione etica e ci-vica di tutte le componenti scolastiche. si possono stabilire dei legami tra tale disciplina e la dimensione etico-deon-

tologica della professione docente? si può incidere sull’educazione sociale e civile degli allievi senza testimoniare (anche in modo pubblico ed esplicito) un’etica civile degli stessi insegnan-ti? si possono pensare strumenti utili in tal senso? l’uciim può portare un proprio contributo?

indicazioni bibliograficHe e sito-graficHe

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Xodo c., L’occhio del cuore. Pedagogia della com-petenza etica, la scuola, brescia 2001.

http://www.educazione.unipd.it/deontologia/ (osservatorio permanente sulla deontologia delle professioni educative).

note

1 decr. ministeriale del 2/11/2001, in: “annali dell’istrzuione”, roma, n. 2-3/2002, p. 107.

Pasquino CrupiLa letteraturacalabreseper la scuola mediavol. I - Dalle origini al barocco – vol. II - Il Settecento e l’Ottocentovol. III - Il Novecento

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Orientamenti e sollecitazioni internazionali per la formazione

dei docentidi

maria vittoria cavallari e sergio cicatelli

a partire dal libro bianco “insegna-re e apprendere: verso la società cono-scitiva” di edith cresson, il controllo della qualità nell’istruzione (sviluppo dell’innovazione didattica e professio-nalizzazione dei docenti) è stato un ar-gomento importante nell’agenda politi-ca degli organismi europei, come dimo-strano diverse iniziative nell’ambito del processo di lisbona: dalla costituzione di gruppi di esperti che hanno affron-tato in particolare la questione della formazione continua degli insegnanti e quella dello sviluppo di sistemi per la loro valutazione, alla ricerca di eurydi-ce sulle disposizioni esistenti in mate-ria di valutazione della formazione de-gli insegnanti nei paesi europei (2004), alla definizione di una serie di principi comuni per le competenze e le qualifi-che degli insegnanti.

tra le iniziative più recenti: la di-chiarazione del consiglio che individua, tra l’altro, nella «motivazione, conoscen-ze e competenze» degli insegnanti e nel «continuo sviluppo professionale» uno dei fattori chiave per raggiungere nella scuola risultati di alta qualità (2006); la comunicazione della commissione eu-ropea al parlamento e al consiglio sul-la necessità di migliorare la formazio-ne degli insegnanti (2007); il progetto ocse “attrarre, sviluppare, e tratte-nere insegnanti competenti” al quale partecipano venticinque paesi di diversi

continenti (europa, asia, america del nord, australia), tra i quali l’italia.

uno dei temi maggiormente presen-ti nei documenti internazionali relati-vi allo sviluppo della scuola e dell’edu-cazione è quello delle competenze qua-le nuovo oggetto di attenzione nei per-corsi di istruzione e formazione di tutti i paesi. la tematica si è andata affer-mando soprattutto a partire dagli scor-si anni novanta ed è stata ampiamente recepita dalla legislazione italiana (leg-ge 425/97, decreti attuativi della legge 53/03, dm 139/07, legge 169/08).

il consiglio europeo di lisbona del 2000 ha specificamente impegnato gli stati membri alla «promozione di nuo-ve competenze di base», proponendo che «un quadro europeo dovrebbe definire le nuove competenze di base da forni-re lungo tutto l’arco della vita: compe-tenze in materia di tecnologie dell’in-formazione, lingue straniere, cultura tecnologica, imprenditorialità e com-petenze sociali».

a prescindere dalla declinazione strumentale delle competenze di base, va notato come la relazione del 2005 sul-la proposta di raccomandazione euro-pea sulle competenze chiave sottolinei lo «spostamento dell’attenzione dall’im-partire conoscenze allo sviluppare com-petenze trasferibili che preparino i gio-vani alla vita adulta e all’apprendimen-to permanente».

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nel corso degli anni si è afferma-ta la distinzione tra la nozione gene-rica di competenza, che si affianca alle conoscenze e alle abilità quale oggetto dei processi di apprendimento, e la no-zione di competenza chiave, che secon-do la raccomandazione del parlamento europeo e del consiglio del 18-12-2006 corrisponde a ciò «di cui tutti hanno bi-sogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclu-sione sociale e l’occupazione».

in italia questa stessa distinzione è stata fatta propria implicitamente dal-le “indicazioni per il curricolo del pri-mo ciclo” ed esplicitamente dal “rego-lamento dell’obbligo di istruzione”, che ha individuato otto competenze chiave di cittadinanza per gli studenti sedicen-ni: imparare ad imparare; progettare; comunicare; collaborare e partecipare; agire in modo autonomo e responsabi-le; risolvere problemi; individuare col-legamenti e relazioni; acquisire ed in-terpretare l’informazione.

in sede europea erano state inve-ce individuate otto diverse competenze chiave: comunicazione nella madrelin-gua; comunicazione nelle lingue stra-niere; competenza matematica e com-petenze di base in scienza e tecnologia; competenza digitale; imparare a impa-rare; competenze sociali e civiche; spiri-to d’iniziativa e imprenditorialità; con-sapevolezza ed espressione culturale.

La definizione ufficiale di compe-tenza, contenuta nella raccomandazio-ne del parlamento europeo e del con-siglio del 23-4-2008 sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente, conside-ra competenza la «comprovata capaci-tà di utilizzare conoscenze, abilità e ca-pacità personali, sociali e/o metodologi-

che, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e perso-nale. nel contesto del Quadro europeo delle qualifiche le competenze sono de-scritte in termini di responsabilità e autonomia».

Questo è lo scenario in cui, a prescin-dere dalle maggioranze politiche al go-verno, si andrà a collocare nel prossimo futuro l’azione degli insegnanti italiani. possiamo chiederci:– siamo pronti a raccogliere la sfida del-

le competenze nella nostra quotidia-na prassi didattica?

– avvertiamo la novità della proposta o si chiamano solo con un nome diver-so le solite cose?

– quali sono le differenze tra l’approc-cio italiano ed europeo alle compe-tenze?

– condividiamo il funzionalismo sotte-so al modello di competenza proposto in europa e in italia?

– riteniamo che possa o debba essere corretto? in che modo?

– come cambia la professionalità docen-te alla luce di queste sollecitazioni?

– quale formazione si ritiene necessaria per affrontare questa sfida?nella comunicazione della commis-

sione al parlamento europeo e al consi-glio si sottolinea che la qualità profes-sionale degli insegnanti è l’aspetto più significativo, all’interno dell’ambiente scolastico, che determina il rendimento degli alunni e che recenti studi hanno messo in evidenza come un programma di formazione continua degli insegnanti migliori le prestazioni degli alunni.

Lo stesso documento definisce il nuo-vo ruolo dei docenti «sempre più chia-mati ad aiutare i giovani a raggiunge-re l’autonomia nell’apprendimento … piuttosto che a memorizzare informa-

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zioni», ad essere «coadiutori … piutto-sto che formatori ex cathedra», a con-frontarsi con la multiculturalità e con le opportunità offerte dalle nuove tec-nologie …, e sottolinea l’esigenza «sia di una formazione iniziale di elevata qua-lità che di un processo continuo di per-fezionamento personale».

la comunicazione denuncia anche le carenze dei sistemi di formazione de-gli insegnanti:– la mancanza di coerenza e di conti-

nuità tra la formazione iniziale e il successivo perfezionamento profes-sionale (la formazione continua); que-sto “scollamento” si registra ancora in italia in due distinti interventi: il regolamento sulla formazione ini-ziale e il progetto di legge aprea sul-la formazione in servizio e lo svilup-po di carriera;

– la scarsità degli incentivi e degli in-vestimenti;

– la non obbligatorietà diffusa: la for-mazione continua è obbligatoria solo in 11 Stati membri, tra i quali non fi-gura l’italia;

– il faticoso sviluppo di procedure di valutazione dell’operato degli inse-gnanti, a fronte dell’ampliamento dei compiti e delle responsabilità; anche in questo caso l’italia è tra i paesi che non hanno ancora introdotto forme di valutazione.l’unione europea offre diversi stru-

menti di sostegno:– il nuovo programma per l’apprendi-

mento permanente (2007-2013) che facilita la mobilità e la cooperazione tra istituti di formazione;

– il fondo sociale europeo;– il programma di lavoro “istruzione e

formazione” che agevola lo scambio di dati e di buone prassi;

– gruppi di studio su settori di interes-se strategico comune.

l’europa suggerisce, infine, alcune strategie per incoraggiare e sostene-re la formazione continua:

– definizione chiara del profilo delle competenze dell’insegnante integra-te con i bisogni della scuola;

– valorizzazione dei programmi di for-mazione e adeguato riconoscimento economico del lavoro svolto;

– opportunità per variare e diversifi-care la carriera, qualifiche di alto li-vello;

– opportunità di scambi e distacchi;– possibilità e tempo per studiare: ridu-

zione del carico di lavoro e ambienti di lavoro più confortevoli;

– partenariati tra scuole, enti di ricer-ca, mondo del lavoro;

– flessibilità nei programmi di forma-zione e nelle opportunità professiona-li; anche in questo caso le scelte prefi-gurate dal progetto di legge in discus-sione si traducono, invece, in mecca-nismi rigidi, fortemente segmentati, e in profili di carriera «gerarchizzati e sostanzialmente blindati».di fronte a queste sollecitazioni ci

chiediamo:– la formazione continua è avvertita

come un valore, come “cura del sé professionale” o è sentita dai docenti solo come un obbligo burocratico da assolvere?

– l’obbligatorietà della formazione può, comunque, bastare a garantire la qualità dell’insegnamento?

– quali nuove competenze e conoscen-ze devono essere oggetto di aggior-namento per affrontare l’evoluzione dell’istruzione?

– quali modalità si ritengono più ef-ficaci per una formazione continua:

54 • QUALEDUCAZIONE

corsi di aggiornamento, attività di ricerca-azione individuale o di grup-po, riflessione sulle buone pratiche, scambi culturali, forme di partena-riato,…?

– gli insegnanti hanno maturato la con-sapevolezza di essere non solo valuta-tori, ma di dover sottoporre anche il proprio operato a valutazione?

– quali procedure di valutazione si ri-tengono più efficaci: valutazione in-dividuale esterna, valutazione indi-viduale interna, valutazione della scuola con un’analisi del lavoro del docente, reti di valutazione interna/esterna,…?

– quali strategie per incoraggiare la formazione, tra quelle suggeri-te dall’europa, potrebbero risultare più interessanti ed efficaci per i no-stri docenti?

– quanto è diffusa la conoscenza dei so-stegni forniti dall’unione europea in materia di formazione?

bibliografia essenziale

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d. maccario, Insegnare per competenze, sei, to-rino 2006.

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eurYdice, Questioni chiave dell’istruzione in Europa, vol. iii – Professione docente: profi-li, tendenze e sfide:– rapporto i: Formazione iniziale e passag-

gio alla vita professionale, eurydice, bru-xelles, 2002.

– rapporto ii: Offerta e domanda, eurydice, bruxelles, 2002.

– rapporto iii: Condizioni di servizio e sala-ri, eurydice, bruxelles, 2003.

– report iv: Keeping Teaching Attractive for the 21st Century, eurydice, bruxel-les 2004.

indire – unità italiana di eurydice, “bolletti-no di informazione internazionale” – Diritti e doveri degli insegnanti (Francia, Germania, Portogallo e Spagna), firenze, 2002.

indire – unità italiana di eurydice, “bollet-tino di informazione internazionale” – Pro-fessione docente: profili, tendenze e sfide, fi-renze, 2004.

ocde-oecd, Education at a Glance – Regards sur l’éducation, paris, 2005.

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sitografia

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li tutti i pareri ufficiali e le riflessioni espres-se dall’uciim sulla tematica)

QUALEDUCAZIONE • 55

La scuola nel contesto legislativo del rapporto Stato-Regioni

difrancesco castronuovo

Suola e territorio è un binomio anti-co le cui molteplici connessioni da sem-pre sono state oggetto di indagini svolte da diversi punti di vista.

senza risalire ad epoche troppo re-mote, possiamo senz’altro asserire che fondamentale, nel suddetto rapporto, è stata la svolta determinata, negli anni ’70, dalla cosiddetta partecipazione alla gestione della scuola, promossa dai fa-mosi decreti delegati.

le regioni, proprio in quel periodo, diedero vita ad un cammino politico – istituzionale in cui rilevante importan-za acquisirono gli enti locali e le varie organizzazioni territoriali che comincia-rono a portare avanti la politica della promozione del diritto allo studio.

in questo percorso di costruzione del progetto integrato scuola-terri-torio non si può tralasciare il contri-buto indiscusso dell’istituto della spe-rimentazione che, introdotto dal dpr n. 419/74, nacque per innovare il siste-ma scolastico, ma si rivelò da subito un prezioso alleato per la realizzazione di un nuovo prodotto in cui si incontrasse-ro il valore legale del titolo di studio e i bisogni reali della comunità e del mon-do del lavoro.

altro tassello importante di questo lungo iter è stata l’AUTONOMIA, am-bito di confronto e integrazione tra varie componenti: famiglie, docenti, dirigen-ti, mondo economico, ma, soprattutto, sistema regionale ed enti locali.

a partire dalla metà degli anni ot-tanta e sino al 2000, poi, è stata la vol-ta di una serie di trasformazioni: dal decentramento dell’amministrazione ai poteri dati ai sistemi istituzionali dei territori, dalla liberalizzazione del mercato dell’istruzione, fino alla rifor-ma del titolo quinto della costituzione, che ha lanciato una visione più ampia e internazionale dell’idea di istruzio-ne, attraverso un concetto di formazio-ne che, oltre la scuola, coinvolge altre agenzie educative e dà vita al sistema del long life learning.

in quest’ambito fortemente innovati-vo, soprattutto in materia di istruzione e formazione professionale, grande ri-lievo assume la conferenza stato-regioni che ha avviato, di fatto, una nuova era, tramite il superamento dell’ingessatura dei due sistemi (STATO e REGIONI) e la definizione di standard di riferimen-to comuni ad entrambi.

UN PO’ DI STORIA DELLA CONFE-RENZA STATO-REGIONI

la conferenza stato-regioni è nata nel 1983 (d.p.c.m. 12 ottobre 1983) dopo che la commissione parlamentare per le questioni regionali aveva rileva-to l’esigenza dell’individuazione di una “sede per un rapporto permanente con gli organi centrali dello Stato e per una partecipazione delle Regioni all’elabora-zione delle linee di politica generale di tutto lo Stato-ordinamento”.

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la sua prima organica disciplina si ebbe con la legge che regolamentò l’at-tività del governo e l’ordinamento del-la presidenza del consiglio dei ministri (legge 23 agosto 1988, n.400, art.12).

L’ATTIVITÀ DELLA CONFEREN-ZA STATO-REGIONI

in sintesi, l’attività della conferenza stato-regioni, regolata dal decreto legi-slativo 28 agosto 1997, n. 281, si estrin-seca con pareri; intese; deliberazioni; accordi; raccordo, informazione e colla-borazione stato-regioni; interscambio di dati e informazioni; istituzione di co-mitati e gruppi di lavoro; designazioni di rappresentanti regionali.

ne consegue che, a fondamento dei processi interistituzionali è la nuova formulazione dell’art. 114 costituzione, secondo cui “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Cit-tà metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato” che sostituisce la precedente, se-condo cui “La Repubbli-ca si riparte in Regioni, Province e Comuni”.

repubblica e stato non coincidono più: ognuno di essi, seppure nell’ambito delle proprie competenze e dunque limi-tatamente alle proprie responsabilità, concorre all’attuazione dei diritti costi-tuzionalmente riconosciuti ai cittadini e lo stato non può più ritenersi l’unico garante di essi.

l’attuazione di tali diritti (sostan-zialmente quelli previsti negli artico-li 33 e 34 cost) richiede la condivisio-ne di una “vision” del sistema educati-vo di istruzione e formazione e del suo corretto sviluppo per il quale ogni ente che compone la repubblica è responsa-bilizzato dei compiti e delle competenze ad esso costituzionalmente spettanti.

LA BOZZA DI INTESA STATO-RE-GIONI IN MATERIA DI ISTRUZIO-NE (9 ottobre 2008)

lo scorso 9 ottobre, la conferenza delle regioni ha approvato un documen-to che contiene una“Proposta di intesa tra lo Stato, Regioni e le Province Au-tonome di Trento e Bolzano concernen-te l’attuazione del Titolo V in materia di istruzione”.

i punti salienti sono:

A) ripartizione della funzione nor-mativaa) le norme generali sull’istruzio-ne regolano in particolare i seguen-ti ambiti:

1. definizione, limiti, contenuti ed organi dell’autonomia delle istituzioni scolastiche;

2. ordinamenti scolastici (tipologia e durata dei corsi di istruzione prima-ria, secondaria e post-secondaria; mon-te ore annuo; modalità di passaggio tra i diversi ordini di scuola e tra sistema di istruzione e sistema di istruzione e formazione professionale);

3. carriera degli studenti;4. obbligo di istruzione;esami di sta-

to e condizioni, regole e procedure per il rilascio dei titoli;

5. criteri per l’organizzazione gene-rale dell’istruzione scolastica;

6. valutazione del sistema di istru-zione;

7. regole di reciproco riconoscimento dei titoli di studio all’interno della ue e con i paesi extra ue;

8. individuazione dei livelli essen-ziali delle prestazioni;

9. modalità di esercizio delle funzio-ni di verifica e controllo sul raggiungi-mento dei livelli individuati;

10. criteri di selezione e di recluta-

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mento del personale dirigente, docen-te e ata;

11. criteri di massima di distribu-zione del personale e delle risorse tra le scuole;

12. modalità di esercizio del potere sostitutivo;

13. diritti ed obblighi delle scuo-le non statali e paritarie ai sensi della legge 62/2000

b) i principi fondamentali compren-dono i seguenti ambiti:

1. libertà dell’insegnamento;2. sviluppo dell’autonomia scola-

stica;3. libertà di accesso all’istruzione

e alla formazione su tutto il territorio nazionale;

4. pari opportunità tra i generi;5. azioni positive per compensare gli

svantaggi derivanti da handicap e da di-verse origini etniche e culturali;

6. diritto all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita.

7. requisiti minimi per il funziona-mento degli istituti scolastici;

B) allocazione delle funzioni am-ministrative e dei servizi pubblici dell’istruzione e dell’istruzione e formazione professionale

a) lo stato si impegna ad adottare i d.p.c.m. previsti dal d.lgs. n. 112 del 1998; per la parte non coperta dalle pre-visioni del d.lgs. n. 112 del 1998 il go-verno si farà promotore di un disegno di legge per l’approvazione del quale chie-derà al parlamento un esame quanto più accelerato possibile;

b) le regioni si impegnano per la pro-duzione di una propria normazione or-ganica nell’ambito ed a completamento delle disposizioni dello Stato, specifica-

mente in materia di1. forma, livelli e organismi di gover-

no territoriale;2. programmazione dell’offerta di

istruzione e formazione sul territorio regionale, ivi compresa la funzione di organizzazione della rete scolastica;

3. interrelazioni e collaborazione tra istruzione e istruzione e formazio-ne professionale;

4. forme di rappresentanza e parte-cipazione dei diversi soggetti dell’istru-zione e formazione professionale e della formazione professionale a livello loca-le e regionale;

5. interventi di supporto all’autono-mia delle istituzioni scolastiche;

6. criteri di assegnazione del perso-nale alle scuole;

7. rapporti tra le istituzioni sco-lastiche e i soggetti del territorio che hanno interesse ad operare nel campo dell’istruzione e della formazione;

8. servizi a domanda individuale;9. interventi per il diritto allo stu-

dio;10. orientamento, continuità didat-

tica, attuazione dell’obbligo di istruzio-ne e formazione, azioni per contrastare dispersione e abbandono;

11. eventuali uffici e servizi regiona-li sul territorio;

12. anagrafe degli studenti;13. norme di attuazione dei principi

fondamentali.

C) allocazione delle risorse umane, strumentali ed economiche

a) la assegnazione delle risorse uma-ne, strumentali ed economiche è conte-stuale alla data di inizio dell’esercizio delle funzioni trasferite;

b) il personale dirigente, docente e ata della scuola resta alle dipendenze

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dello stato, con trattamento giuridico ed economico fissato dalla contrattazio-ne nazionale di comparto e – sulla base di questa – dalla contrattazione inte-grativa, ma funzionalmente dipenden-te dalle istituzioni scolastiche autono-me e, per quanto riguarda la program-mazione e la distribuzione territoriale, dalle regioni o dagli enti locali;

c) si proporrà una modifica dell’art. 41, 2° comma, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, prevedendo che il comitato di set-tore per la contrattazione collettiva na-zionale del comparto scuola sia integra-to da due rappresentanti designati dalla conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome;

d) il comitato di settore rinnovato avrà il compito di avanzare proposte – da immettere nel primo atto di indiriz-zo successivo alla sua costituzione – di adeguamento della contrattazione del comparto al nuovo assetto istituziona-le, in ordine all’introduzione di un livel-lo regionale di contrattazione integrati-va alle materie di competenza di questo livello e all’inclusione nella delegazione trattante per la parte pubblica del diri-gente regionale competente nonché in ordine al procedimento disciplinare;

TEMPI DI ATTUAZIONE1. le parti si impegnano a dare at-

tuazione alla presente intesa entro la fine dell’anno 2010;

roma, 9 ottobre 2008

UN ESEMPIO DI “FEDERALISMO AVANZATO”: IL CASO LOMBAR-DIA

la lombardia è la prima regione ita-

liana che sperimenta una forma di fede-ralismo avanzato con una propria legge regionale e, più di recente, con un’intesa tra Regione Lombardia e MIUR.

nel programma di sperimentazio-ne troviamo:– promuovere criteri di sussidiarietà, – contenere i costi, – semplificare i livelli organizzativi, – garantire una maggiore efficienza

del sistema.

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QUALEDUCAZIONE • 59

La cultura pedagogica della formazione nell’ottica dell’UCIIM

dinorberto mazzoli

Premessa

non è mai scontato per noi docen-ti ripeterci il senso del nostro spen-derci nella scuola, il nostro desiderio è rendere le persone sempre più capaci di collaborare alla formazione propria ed altrui e di testimoniare il loro esse-re persona.

formazione è prima di tutto aprire e coltivare uno spazio fatto di genero-sità e di cura per l’altro. infatti i gesti di cura fanno sentire l’alunno accolto, considerato, aiutato e compreso in tut-te le sue dimensioni affettive, intellet-tive ed etiche.

la cura viene proprio da chi si fer-ma ad ascoltarsi e ad ascoltare chi ha necessità, ad ermpatizzare e ad educa-re al senso di responsabilità. Quindi i docenti sono promotori di valori umani propri della scuola, cioè sono impegnati ad infondere negli alunni cultura, spe-ranza nella vita, realizzazione di una vera identità.

la speranza oggi va più che mai ali-mentata negli studenti attraverso per-corsi istruttivi e formativi, onde aiu-tarli a maturare serenamente. non va perciò dimenticato che l’istituzione sco-lastica ed i docenti hanno un’importan-za basilare nel preparare e nell’indiriz-zare i ragazzi a vivere bene non solo il “tempo scolastico”, ma anche quel-lo futuro con senso di “intelligente re-sponsabilità”.

si tratta dunque di un patrimonio che i ragazzi interiorizzano a scuola, per cui il loro successo è dovuto:– all’immagine dello studente come co-

struttore del proprio sviluppo;– alla scuola come luogo di apprendi-

mento;– alla ricchezza dei contesti educa-

tivi.preciso che gli scopi dell’apprendi-

mento non si esprimono come tante li-ste di contenuti freddi affiancate da abi-lità decontestualizzate, ma come opera-zioni mentali da effettuare, che si fan-no su contenuti che bisogna conosce-re. la principale risorsa per la scuola è data dagli insegnanti, quindi dal loro modo di porsi nei confronti dei ragazzi e dei genitori, dalle idee che sanno svi-luppare, dalle capacità di relazionarsi, dagli stimoli che sanno suscitare e da concrete testimonianze comportamen-tali ed educative.

Il cambiamento più o meno signifi-cativo di questi ultimi anni non può co-munque cambiare la tipologia e la qua-lità del corpo docente, il quale deve es-sere sempre più qualificato cultural-mente, psicologicamente, umanamen-te e nel campo della comunicazione. È logico che la scuola oggi non esaurisce la formazione integrale degli alunni, però deve infondere la capacità di gio-ire nell’apprendere, per essere al mon-do insieme ad altri e di sentirsi protetti da altri e quindi in grado di essere per-

60 • QUALEDUCAZIONE

sone autonome e preparate ad affron-tare la realtà.

L’INSEGNANTE E IL CONTESTO EDUCATIVO NELLA VISIONE DELL’UCIIM

fare l’insegnante ed essere inse-gnante non è la stessa cosa, perché egli deve essere efficace ed incisivo, cultu-ralmente competente, preparato meto-dologicamente, didatticamente e comu-nicativo. infatti bruner diceva che chi insegna utilizza “ la teoria della mente e la teoria della cultura “ e tiene sempre presente l’allievo ed il contenuto da co-municare. il docente, diversamente da un attore, comunica sempre “un qual-cosa di definito” ad un destinatario, che ha una sua personalità in continua evo-luzione ed è disponibile a crescere ed a formarsi con dei valori. egli non deve essere un narciso, ma una persona umi-le che fa un’opera di apostolato, testi-moniando i valori dell’educazione cri-stiana. inoltre il vero docente non deve mai scoraggiarsi, deve procedere, dare la mano, mettersi in discussione ed ave-re tanta pazienza, che forse, come dice leopardi, la più eroica delle virtù, pro-prio perché all’apparenza non ha nulla di eroico. tali comportamenti richiedo-no la conoscenza di diverse teorie pe-dagogiche e psicologiche del passato e del presente.

la realtà oggi richiede al docente la capacità e la voglia di lavorare in grup-po, perché questo migliora la qualità della vita scolastica e di conseguenza la vera formazione dei ragazzi. È logi-co che la relazione fra docenti richie-de un contenuto, altrimenti risultereb-be vuota.

la professionalità del docente per essere qualificata e qualificante deve

fare i conti col contenuto che viene vei-colato e ciò pone un problema etico: il contenuto richiama tanti valori, che vanno condivisi, altrimenti tutta l’im-palcatura della relazione crolla.

a questo punto ogni insegnante si dovrebbe chiedere quali relazioni si vi-vono, di quale tipologia sono e la loro natura qualitativa. importanti sono le relazioni degli insegnanti con l’am-biente che circonda la scuola, per far-le emergere come elemento costitutivo della persona.

il docente non deve mai mancare un’adeguata assistenza e cura religio-sa, spirituale e morale sia che insegni religione, sia un’altra materia. infatti egli deve far capire ai ragazzi le ragio-ni del suo essere come persona in mez-zo a loro.

pertanto solo attraverso il ricupero del profondo intreccio tra il suo agire professionale come dimensione di una vocazione propria e la sua azione pro-fessionale come espressione pubblica e sociale riconosciuta della medesima professione vocazionale, l’insegnante, in particolare quello cattolico, può uscire dalle contraddizioni presenti.

tutta la comunità cristiana a cui l’insegnante cattolico appartiene è per eccellenza “contesto educativo”. i do-centi cristiani devono essere aiutati a riscoprire il loro agire educativo la vera identità, il desiderio e l’esigenza di ama-re il loro servizio educativo e formativo da svolgere con competenza e con one-stà, valorizzando il dialogo con le fami-glie e la realtà tutta.

i docenti da soli non possono far fronte alle attese degli studenti e delle famiglie, senza percorrere un cammi-no di formazione permanente. proprio l’uciim, apprezzato per la sua compe-

QUALEDUCAZIONE • 61

tenza e per la garanzia di percorsi di ag-giornamento, da decenni sperimentati validi, aiuta ad istruire e ad educare, a patto che i docenti si lascino guidare a loro volta per scoprire e sperimenta-re in ogni momento il vero significato dell’esistenza.

la domanda è:– che cosa manca per riscoprire la fun-

zione docente?– la comunità cristiana aiuta i do-

centi?– l’associazionismo cattolico è sentito

e valorizzato?– la diocesi ed i sacerdoti aiutano i do-

centi, associati e non, a formarsi per-manentemente?

– l’uciim e la chiesa devono colla-borare?

PROGETTARE LE INTELLIGEN-ZE DEGLI ALUNNI

i servizi educativi e le scuole, parten-do dall’infanzia, hanno raggiunto indici di qualità apprezzabili grazie:– all’immagine del bambino come co-

struttore del proprio sviluppo;– all’importanza di ogni tipo di scuo-

la inteso come luogo di apprendi-mento;

– alla pluralità delle offerte educati-ve.Questi tre elementi hanno come

“sfondo” gli adulti: genitori, educato-ri, insegnanti ecc…, che costituiscono lo scenario entro cui il piccolo inizia a costruire il suo futuro, recitando la sua parte in un modo affascinante, ma tanto complesso e difficile. Infatti i ge-nitori devono scegliere fra un “model-lo consumistico” (il bambino del muli-no bianco) ed un “modello educativo”. Oggi essi sono dominati dai figli, per cui diventa difficile dare regole, dire di

no, ecc… tale inversione di ruoli è do-vuta al fatto che i bambini sono troppo spesso adultizzati o viceversa. Quindi l’insegnante a scuola deve valorizzare la vita affettiva (educare i sentimenti), cognitiva (criterio delle competenze) e sociale, che completa gli altri due aspet-ti (stima reciproca, gioia di stare insie-me, condivisione di regole, rispetto per il prossimo ….).

la maturazione affettiva, cognitiva e sociale manifesta la crescita delle “intel-ligenze multiple”, che variano da bam-bino a bambino, (9 diverse forme della mente), come ci ricorda H. gardner.

la scuola è quindi il luogo in cui l’in-segnante educa e si educa. il contesto in cui si realizza tale cammino deve es-sere limpido e trasparente ove ognuno può rispecchiarsi. solo così si realizza “l’apprendimento in contesti progetta-ti dagli adulti, ma pensati per gli scola-ri”. inoltre, se la scuola è un luogo indi-spensabile per la crescita di ogni alun-no, è logico che l’insegnante deve for-marsi continuamente per presentare ai ragazzi ogni giorno “novità cultura-li” proporzionate alle loro risorse, dan-do così ad ognuno la capacità di gioire per essere al mondo.

sulla base della nostra esperienza?– come vediamo lo sfondo?– Quali sono le condizioni odierne del

rapporto genitori-figli?– sono possibili oggi contesti moti-

vanti?– Perché la centralità della persona?– Perché una nuova cittadinanza?– Perché un nuovo umanesimo?

oggi si parla tanto di elementi di progettazione, del processo di appren-dimento-insegnamento; in che modo va-lorizziamo le operazioni mentali, i con-tenuti e le strategie didattiche?

62 • QUALEDUCAZIONE

FORMARSI, FORMARE ED EDU-CARE IN UNA SOCIETÀ DISO-RIENTATA DALLA CULTURA DEL RELATIVISMO

i docenti cattolici hanno una grande responsabilità quando redigono un “pro-getto educativo di ispirazione cristia-na”, perché le nostre società occidenta-li sono scristianizzate, vivendo in una solitudine morale incredibile, dovuta principalmente ad una crisi dell’etica.

infatti si sopravvaluta la ragione, c’è una sovrastima del piacere, del diverti-mento, dell’individualismo, dell’arrivi-smo ed una perdita di valori, che influ-iscono sulla pratica educativa del do-cente e sull’apprendimento formativo del discente.

allora noi dobbiamo avvalerci delle indicazioni del vangelo, per avere chia-ri i valori come: autodisciplina, forma-zione della personalità, valenza del sa-crificio, concetto di libertà, senso criti-co, importanza del bene e del male, sen-so della vita, cultura, convivenza civile, identità……

perciò è doveroso educare nel plu-ralismo, rispettando la soggettività di ognuno, nell’ottica della verità, per prevenire il male, in quanto non tutte le cose hanno lo stesso valore, come ha detto il cardinale martini. noi docenti innanzitutto dobbiamo formarci, per-ché abbiamo una missione evangeliz-zatrice. come?– conoscere bene la materia da insegna-

re, per comunicarla in maniera chia-ra agli studenti e saper rispondere ai loro interrogativi;

– aver qualche conoscenza di psicolo-gia per riuscire a capire meglio i ra-gazzi ed i genitori per aiutarli in ma-niera efficace culturalmente ed uma-namente;

– rispettare la personalità di ognuno ed anche la linea educativa dei ge-nitori;

– essere disponibili al dialogo;– fornire esempi di vita esemplari col

proprio comportamento coerente sempre;

– migliorare la propria metodologia, di-dattica e didassi;

– non operare con freddezza, perché legati a motivazioni di tipo squisita-mente contrattuale;

– accettare la proposta di aggiornamen-ti non sempre stimolanti e spendibili nella prassi didattica, ma validi per la formazione;

– essere disponibili a collaborare con i colleghi per la realizzazione di pro-getti che potrebbero essere defini-ti: emergenza italiano, matemati-ca ec…

– accettare il confronto, per verificare le competenze acquisite;

– sperimentare, senza temere di perde-re tempo, perché ogni tipo di riflessio-ne è sempre efficace;

– considerare l’alunno al centro dell’azione di noi adulti;

– convincerci che mentre ci adoperiamo per formare, nello stesso tempo mi-glioriamo la nostra formazione prag-matica, organizzata e finalizzata ad obiettivi reali e perseguibili e non in-farcita solo di bei discorsi;

– organizzare una formazione del fare, un’autoformazione dialogata, parte-cipata a livello di docenti della stes-sa disciplina e non, ma di ordini di scuola diversi.in un percorso virtuoso di questo

tipo è la persona alunno che va messa al centro dell’azione dell’adulto-docen-te cattolico.

pertanto noi insegnanti dovremo

QUALEDUCAZIONE • 63

avere sempre una formazione profes-sionale, che aiuti l’autocoscienza dei processi educativo-culturali. inoltre il modo di essere dell’insegnante dovreb-be tenere presente sempre la ricettivi-tà e la responsività come dice la prof. mortari.

dunque vengono spontanei interro-gativi come:

– come coinvolgere gli alunni nelle varie problematiche e nelle soluzio-ni possibili?

– Quali forme pratiche nella relazione?– Quale relazione formativa coinvolge

l’essere-alunno nel suo profondo?– Quale tipologia di comportamento?– con la “cura” il docente acquista o

perde potere e perché?

L’associazione come luogo di formazione riflessiva

dirosalba candela - angelo di dio

Premessa

non basta sapere per sapere inse-gnare!

non basta conoscere i processi di ap-prendimento per sapere insegnare!

occorre altro. oggi il docente della scuola auto-

noma, federalista, frutto della riforma della pubblica amministrazione, ope-ra in un contesto educativo connotato da paradigmi conflittuali e scenari so-cio-politici e culturali in profondo cam-biamento.

ciò esige un rinnovamento della pro-fessione docente, esige una visione an-dragogica generatrice di bisogno di co-noscere, un concetto del sé orientato verso l’apprendimento.

Questio

il nodo della formazione docente nel tempo si è avviluppato sempre di più es-

sendosi incancrenita l’idea che il docen-te è uomo di cultura che non ha bisogno di “imparare il suo mestiere”.

in vero per insegnare il docente non ha bisogno solo di competenze discipli-nari ma anche e soprattutto di compe-tenze professionali. occorre, quindi, che oltre a “sapere” “sappia fare”, sappia an-dare al di là delle conoscenze epistemo-logiche disciplinari, sappia organizzare, sappia impiantare progetti non statici ma flessibili, sappia aiutare gli alunni a costruirsi un progetto di vita.

Il docente deve essere artefice crea-tivo, deve connotarsi come educatore-ricercatore, deve saper svolgere funzio-ni di tutoring e di orientamento per ac-crescere conoscenze e competenze, deve sapersi districare fra tecniche e media-zioni didattiche.

deve connotarsi come professioni-sta-riflessivo.

È schon a sostenere che “il conoscere è nell’azione stessa” e già rissel aveva affermato che il miglior modo per “agi-

64 • QUALEDUCAZIONE

re” nella pratica è quello di attrezzar-si con una buona teoria. ma è sempre schon che indagando i processi di co-noscenza e apprendimento nella prati-ca professionale perviene alla definizio-ne di un agire riflessivo generatore di nuova conoscenza, aprendo così nuove linee di ricerca sui temi dell’apprendi-mento adulto quale “apprendimento ri-flessivo” che impone non solo la rifles-sione su ciò che si dice o si fa, ma anche la consapevolezza e la coscienza della ri-flessione stessa in rapporto al dire e al fare. altrimenti chi insegna rischia di essere egli stesso una cavia di un mon-do trasmissivo: e la cavia non impara nulla dalla esperienza o dalla riflessio-ne. La riflessione che costituiva un pun-to fermo, statico, una visione dall’alto dei risultati raggiunti, diviene accom-pagnamento, leit motiv continuo e pro-cessuale che illumina -per così dire- il lato oscuro della pratica, il fare senza pensare, il pensare senza la coscienza di pensare.

inizia così la ricerca di una teoria della formazione finalizzata a favori-re la riflessione nel corso della pratica, sia didattica che professionale: la rifles-sività diviene epistemologia della pra-tica, diviene un punto di incontro fra pratiche diverse il cui esercizio rischia di far perdere gli obiettivi della perso-na che va vista nella sua complessità, nella sua integrità, nel suo essere con-siderata sempre fine e mai mezzo, sia pure mezzo nobile, per approfondire discipline, per risolvere problemi che rimarranno sempre marginali a con-fronto della multidimensionalità della persona. e già morin aveva parlato di “identità terrestre” ribadendo un con-cetto: forse il concetto fondante la vi-sione cattolica.

occorrono nuove tipologie di percor-si formativi per insegnare ad insegna-re, percorsi che fanno di una scuola un laboratorio luogo di sviluppo profes-sionale. ciò è ancor più indispensabi-le nella scuola dell’autonomia dove do-centi e dirigenti sono, e devono essere, generatori di conoscenze non più uten-ti di conoscenze.

occorre allora che il docente cambi stile e metodo di aggiornamento, che abbia una formazione non più da “ma-gister” o da “pedagogo” ma da “docen-te riflessivo”.

morin, vede insidiata la professio-ne docente da tre grandi sfide: la sfida della globalità e della complessità, del-la disintegrazione culturale, dell’atro-fia mentale. Se così è occorre identifi-care nuove strategie per la formazione degli insegnanti. i due libri bianchi del-la commissione europea (Crescita, com-petitività, educazione. Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI seco-lo e Insegnare e apprendere. Verso una società conoscitiva) e il rapporto une-sco delors “i quattro pilastri dell’edu-cazione” ci vengono in aiuto suggerendo di ricorrere ad una pedagogia centrata sull’allievo e sui metodi partecipativi, ad innovazioni educative. utile può es-sere formare all’insegnamento-appren-dimento significativo: capacità riflessi-va e auto valutativa, cura dello stile di insegnamento e relazione, capacità di collaborazioni in equipe, sviluppo qua-litativo del proprio ruolo.

occorre che l’apprendimento conti-nuo abbia una centralità e che la for-mazione professionale abbia rilevanza. Perché avvenga ciò si può ricorrere alle metodologie della pratica riflessiva (di-namiche d’aula e non, e-learning), più proficua della prativa adattiva, che spri-

QUALEDUCAZIONE • 65

giona nel docente la capacità di dialo-gare con la situazione che deve affron-tare ed esplorare e riesplorare costan-temente il contesto di attività.

la formazione docente si è andata trasformando negli ultimi anni: da ob-bligo è diventata diritto alla formazio-ne continua in servizio.

affrontare il tema della formazione docente partendo dal numero program-mato è estremamente sbagliato, ineffi-ciente e inefficace. Si tratta di una logi-ca capitalistica che prima pone le risor-se e poi, sulla base delle risorse disponi-bili, forma coloro che sono da formare. il “servizio alla persona” vuole il con-trario: è a fronte dei “bisogni” formativi che vanno individuate quantità e quali-tà delle risorse e non viceversa.

gesù non ha fatto il miracolo del-la moltiplicazione dei pani e dei pesci, prima di vedere la folla: se così aves-se fatto, di sicuro molti sarebbero rima-sti digiuni. Ha guardato prima la folla (vale a dire tutti e ciascuno) e poi ha de-ciso il quanto, il come e il quale.

È solo la mancanza di un atteggia-mento riflessivo che può far pensare (pensare senza pensare?) che con un anno di tirocinio si passa dal sempli-ce sapere degli aspiranti insegnanti al “sapere insegnare”. manca una “vi-sion” complessiva, contestuale, com-plessa che porta ad un “mission” anco-ra una volta “pensata” e non “riflessa”, che denota pressapochismo e disprezzo della professione docente. Qualsiasi ri-forma che investe il mondo della scuo-la prima di essere riforma strutturale o aggiornamento dei programmi, deve riguardare e coinvolgere mente, cuore, pratica. Insegnanti e profili professio-nali esigono non solo un lungo percor-so, ma la liberazione dagli schemi vec-

chi, inadeguati, per immergersi con co-raggio nel rischio del nuovo.

professionalizzare la classe docen-te si può solo se si creano profili condi-visi e un codice deontologico dei dove-ri professionali, rapporti di collabora-zione stabile ed equilibrata tra scuole, università, centri ricerca, associazione di categoria.

Contributo dell’associazione

l’associazione può contribuire a ri-solvere questo annoso problema. essa è luogo per eccellenza deputato alla for-mazione poiché promuove la cultura della partecipazione vista come sistema di valori e stili di comportamento in gra-do di salvaguardare le libertà irrinun-ciabili della vita democratica.

È luogo idoneo per la formazione della professione educativa poiché dà occasioni di ricerca e studio, confron-ti e scambi di esperienze e, in via con-tinuativa, potenziamento delle compe-tenze sul piano culturale, pedagogico, didattico, sociale, giuridico, politico e scientifico. È luogo idoneo perché evi-ta il torpore, promuove animazione e dinamismo.

nell’associazione il docente sceglie i valori umani, elimina l’individualità che è dispersione ed egoismo, pone al centro la persona che è dominio, scel-ta, formazione, conquista di sé.

nell’associazione il docente viene formato nel suo ambiente, non solo a distanza: formazione questa che, se adottata da sola, può risultare monca ed inefficace.

nosengo sostiene che per insegnare tutta la vita occorre avere doti specifi-che all’insegnamento e assumere deter-

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minati abiti mentali quali l’autoanalisi indispensabile al termine di un periodo di formazione o aggiornamento.

sostiene gesualdo nosengo che la cultura dell’insegnante deve essere am-pia e consapevole, ma anche e soprat-tutto ordinata verso la didattica.

Quale altro luogo è quindi meglio de-putato alla formazione se non l’UCIIM quale luogo di dialogo e di sviluppo pro-fessionale?

Spunti per la riflessione

• Opportunità formative nella scuola dell’autonomia

• Spazi di collegialità: occasioni di for-mazione

• Le pratiche didattiche • Dipartimenti per la ricerca, la docu-

mentazione e la formazione • Nuovi modelli formativi: stage, ma-

ster, laboratori didattici• La formazione a distanza • Come impiantare rapporti di collabo-

razione stabile tra scuole, universi-tà, centri ricerca, associazione di ca-tegoria

• Come l’UCIIM può promuove la cul-tura della partecipazione vista come sistema di valori e stili di comporta-mento.

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Formazione spirituale del socio UCIIMdi

anna bisazza madeo

Premessa

tra gli aspetti formativi della profes-sionalità, per noi dell’uciim, è di fon-damento quello spirituale, che caratte-rizza la nostra peculiarità di “unione cattolica” così come fu pensata e pro-mossa da gesualdo nosengo.

i principi ispiratori, rimasti sostan-zialmente invariati nello statuto, indi-cano tra i fini, al primo posto: “promuo-vere ed attuare la formazione spirituale, morale e professionale dei Soci in ordine alla loro specifica missione educativa” ed, a seguire, “principi e metodi coeren-ti con il pensiero e la morale cristiani”, attraverso “iniziative spirituali e reli-giose in ordine alle specifiche esigenze della categoria”.

in quanto cristiani, ossia alla seque-la di cristo e membri del popolo di Dio, nel rendere il nostro servizio al prossi-mo ed alla comunità civile, non possia-mo esimerci dal riferimento costante alla scrittura, alla dottrina ed al magi-stero della chiesa; infatti, pur lascian-do piena responsabilità ai laici, lo sta-tuto prevede, a tutti i livelli associati-vi, la figura del Consulente ecclesiastico che sostenga “attraverso l’esercizio del

suo servizio ministeriale”.L’indicazione, infine, di S. Tommaso

d’aquino quale Patrono dell’associazio-ne, nell’indicare una pista di fede, sot-tolinea l’altissimo impegno degli educa-tori di collaborare con dio nel suo pia-no creativo.

scrive nosengo, mutuando tomma-so: “dio, causa prima assoluta, ha volu-to che l’uomo fosse una concausa o cau-sa seconda, un cooperatore…”

La dimensione spirituale della for-mazione

il senso della propria esistenza in-terpella l’intelligenza ed il sentire di ogni uomo, motivandone relazioni ed azioni. per l’educatore ed in particola-re per l’educatore cristiano, è basilare la presa di coscienza della propria vo-cazione ordinata al fine della salvezza. “La vocazione … costituita da un rap-porto tra Dio e l’uomo: un dono ed ap-pello da parte di Dio, un’accoglienza, una coscienza di responsabilità, una risposta generosa da parte dell’uomo” (g. nosengo).

il riconoscimento della chiamata,

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l’accettazione libera e consapevole da parte dell’uomo del piano predisposto da dio per lui è il primo atto di spiri-tualità, il germe che consente lo svilup-po interiore, l’orientamento personale anche delle proprie attitudini, l’opera-tività finalizzata, in un chiaro orizzon-te valoriale.

ciò presuppone un problema priori-tario: la fede ed il travaglio del suo ar-monizzarsi con la realtà del nostro tem-po. la fede è condizione prima della vita cristiana, ma non può configurarsi come un dato acquisito; essa è un dono gratu-ito, ma esige un atteggiamento interio-re di costante ricerca di quella Presenza che è Mistero, di adesione libera non a qualcosa bensì a Qualcuno che mi tra-scende, di incontro e di dialogo con una Persona; è un atto di fiducia senza ri-serve, che coinvolge la totalità del mio essere (intelligenza, cuore, volontà, ca-pacità di amare, di agire, ….)

Perché la fede sia autentica occorre che la vita, la totalità della vita, venga costantemente messa a confronto con la parola e sia sostenuta dalla speranza e dalla carità. essa provoca una metano-ia, una conversione, che fa nuovi i rap-porti ed il modo di guardare alle real-tà della vita stessa: trasforma il singo-lo atto in abito.

la spiritualità professionale è il punto di congiunzione tra la fede, che poggia stabilmente sulla parola, e le realtà con cui dobbiamo confrontarci, assai mutevoli, specie se in rapida e tu-multuosa trasformazione come la scuola di oggi e la società secolarizzata. il con-testo culturale odierno richiede al cri-stiano rigore, discernimento, essenzia-lità nel vivere coerentemente la Verità, nel testimoniarla, nel comunicarla.

la più grave povertà del nostro tem-

po sta nell’incapacità di farsi cercatori della verità. È la verità che fonda la dignità dell’uomo e lo apre all’amore di dio e del prossimo.

l’ultima enciclica di benedetto Xvi, “Caritas in veritate”, richiamando le espressioni di s. paolo, “fare la veri-tà nella carità”, e di s. agostino, “la più alta carità è quella della verità”, ci conferma quanto prezioso sia il compi-to dell’educatore che, con amore, aiuta l’uomo a capire, a sapere, ad avvicinar-si alla verità.

offrire conoscenza e cultura, presen-tare valori autentici attraverso le di-scipline insegnate, inserirli in una sin-tesi dinamica ed aperta alla trascen-denza rende un servizio ineguagliabi-le all’umanizzazione della persona ed all’affermazione della sua dignità.

per noi credenti il senso della vita professionale sta nell’essere mandati su questa Via, verso la Verità, per la Vita. l’impegno connesso con la vocazione diventa missione. esigenze interiori di questo cammino sono la tensione verso la meta, l’umiltà, la preghiera.

“La preghiera è un’esigenza fisiolo-gica della vita cristiana”, è elevazione dell’anima a dio, è invocazione, ascolto, dialogo, silenzio pregno di assoluto, …

una fede viva può rendere possibile l’esercizio della preghiera, perché pian piano si giunga a quella sapienza che renda tutta la vita una preghiera.

allora “a noi può essere concesso di unire la Parola alle parole, di far diven-tare la Parola parole e di far sì che le nostre stesse parole rimandino alla Pa-rola.” (s. marcianò)

Problemi nella nostra realtà perso-nale ed associativa

gli spunti sopra esposti, limitati an-

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che per gli spazi disponibili, dovrebbero servire da stimolo per l’ampliamento e l’approfondimento del tema, che coin-volge i singoli, per alcuni aspetti, e co-munitariamente la vita associativa.

di fatto alcune questioni interpel-lano ciascuno nella coscienza e nel-la libertà personale: quel dio che por-ta scritto il mio nome sul palmo della sua mano, mostrandomi il suo volto in cristo che si è incarnato per me e che ha trasformato la mia vita con la spe-ranza della redenzione, attende la mia risposta, il mio amore, vuole che io ac-cetti di lasciarmi trovare. Questo vale per ciascuno.

nei sacramenti tutti acquisiamo di-gnità di figli e fratelli, diveniamo coe-redi di quella speranza di cui dobbia-mo rendere ragione. in particolare è nell’eucaristia che facciamo comunio-ne nell’unico Pane e siamo segno di uni-tà, attraverso l’impegno vocazionale al quale siamo stati chiamati per un cam-mino comune nella storia dell’uomo.

la spiritualità professionale diven-ta allora una virtù comunitaria ricevu-ta e donata, uno stile associativo, una “sintesi vitale”.

ma non è esente da problemi il nostro vivere associativo e nella scuo-la oggi.

il credere incontra resistenze per la mentalità materialistico-scientista, per i miti dell’efficienza, del successo, del benessere, per le insoddisfazioni egoi-stiche e le angosce della solitudine, per il rifiuto di ogni sofferenza e della Croce, per l’omologazione relativistica.

in nome di una falsa libertà e di au-tonomia nel comportamento, l’uomo è portato a rifiutare tutto ciò che lo limi-ta, tendendo a sostituirsi a dio nel de-finire ciò che è bene e ciò che è male. La

certezza e la verità pare che non abbia-no più spazio nel nostro mondo, e pre-giudizialmente viene negato il sopran-naturale.

va sempre più diffondendosi la ten-denza a soggettivare la fede, ossia a con-fezionare una fede rispondente a cate-gorie mentali, interessi, desideri perso-nali, tendendo ad assimilare a sé Cri-sto piuttosto che accettarlo nella pro-pria vita. talvolta si assiste a tentativi di accaparramento e di deformazione di verità cristiane da parte di ideologie o di parti politiche alla ricerca di consen-si; tal altra ad una condanna spietata di ogni presunta interferenza religiosa sui problemi dell’uomo e della sua di-gnità, mirando a relegare il fatto reli-gioso nella sfera del privato.

tutto questo (ed altro) genera con-fusione anche in coloro che si dichiara-no cristiani. non è irrilevante, infatti, per l’edificazione della Fede, l’assenza di valori naturali nel contesto culturale e sociale della secolarizzazione.

il problema diventa ancor più arduo nella formazione dei giovani e spesso ne conseguono disimpegno, chiusura, atteggiamenti critici radicali nei con-fronti della chiesa.

un compito fondamentale del-l’UCIIM, oggi più che mai, è quello di sollecitare nei soci la cura del sé interio-re, di suscitare l’inquietudine per l’edifi-cazione del Regno di Dio, cui siamo re-sponsabilmente chiamati, nella concre-tezza della realtà professionale. diven-tare insieme una forza critica ma profe-tica, innestata sulla verità, alimentata dalla speranza, testimoniata dal servi-zio della carità, capace di offrire gratu-itamente un impegno faticoso e sofferto per la salvezza comune è il nocciolo del-la triplice funzione, regale – profetica –

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sacerdotale, che ci unisce a cristo.nosengo ci invita ancora a “esercita-

re la professione in modo perfetto”, co-sicché “per la luce che promana dalla professione esercitata come un servizio amoroso, l’ideale cristiano brillerebbe agli occhi di molti e diverrebbe per na-tura sua conquistatore, esercitando la sua efficacia, … portando un contribu-to ad una migliore coordinazione degli ordinamenti sociali ed internaziona-li … finirebbe col permearli di spirito cristiano.”

sembrerebbe, ma non è un discorso d’altri tempi, perché nulla è impossibile a Dio e dio crede sempre nell’uomo.

Per la riflessione (Quaestiones)

• Crediamo noi nell’uomo e nella sua educabilità? nel recupero dei valori trascendenti?

• Abbiamo visto tanti giovani seguire giovanni paolo ii. ci siamo chiesti il perché di tanto entusiasmo e vibran-te partecipazione?

• Quali le esperienze positive vissute nella nostra vita professionale?

• Qual è il nostro stile di relazione con i giovani, con i colleghi e quale quello di partecipazione all’interno dell’as-sociazione e delle istituzioni? riu-sciamo a renderci accettabili, credi-bili, coinvolgenti e “contagiosi”?

• Abbiamo consapevolezza del tempo di transizione che stiamo vivendo anche nella scuola? coltiviamo rim-pianti nostalgici, utopie futuristi-che? o, viceversa, siamo attrezzati ad affrontare la mutevole realtà e le “emergenze” ad essa connesse con di-scernimento, competenza, creatività, forza d’animo, fiduciosi nel sostegno

di Qualcuno che sta oltre e di cui sia-mo strumento?

• Nelle difficoltà, ci lasciamo assalire dal desiderio di fuga, di evasione o riusciamo a far prevalere la respon-sabilità cristiana di fronte al mondo e alla storia?

• Ci lasciamo prendere da sentimen-ti di sconforto? siamo portati a con-tinue lamentele e a reiterati giudizi negativi? non potrebbero essere ali-bi alla nostra insicura e carente te-stimonianza?

• È difficile pregare in un’atmosfera scristianizzata, eppure bisogna tro-vare il coraggio di vincere ogni resi-stenza, di rientrare in noi stessi, di lasciare spazio all’interiorità. siamo convinti dell’importanza della pre-ghiera o riteniamo sia cosa banale, optando per altre “priorità”, appel-landoci agli impegni ed al tempo?

• Che cura abbiamo della nostra for-mazione e quale attenzione per la nostra dimensione spirituale?

• Restiamo anche noi impigliati nel-la rete del relativismo? Quanta ten-sione ci fa vibrare nella ricerca della verità?

• Di fronte all’affermazione di taluni: “cristo si, chiesa no”, sentiamo quel senso di appartenenza a cristo at-traverso la chiesa che, malgrado gli scandali legati alla debolezza ed agli errori umani, ha una storia di fede forte e coraggiosa testimoniata dai santi e dai martiri di tutti i tempi?

• Narra Giovanni: “… venne nella sua casa e i suoi non lo accolsero …”. ci siamo mai chiesti il perché? Proba-bilmente gesù non impersonava le loro attese, non rispondeva ai loro interessi, ai loro sogni di potere, …e oggi, anche noi lo riteniamo sco-

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modo, evitiamo di andargli vicino, di essere coinvolti e compromessi? ci met-te in crisi?

Conclusioni

suggestiva è ’immagine degli alpi-nisti in cordata a cui paolo vi raffron-ta l’UCIIM: “La vostra Unione è questa cordata: vi unisce, vi dà la soddisfazione di sommare le forze, di confortarvi a vi-cenda, di comunicarvi le esperienze, di sentire la gioia dell’amicizia… Abbia-te fiducia nella formula che avete tro-vato, perché è davvero buona, è bella, è indovinata ed è suscettibile di perfezio-namento…”.

note bibliograficHe

documenti conciliari: Lumen Gentium, Gaudium et Spes, Apostolicam actuositatem, Gravissi-mum educationis;

encicliche di benedetto Xvi: Deus caritas est, Spe Salvi, Caritas in veritate (di prossima pubblicazione);

esortazione apostolica di giovanni paolo ii: Chri-stifideles laici;

statuto uciim;gesualdo nosengo: La persona umana e l’educa-

zione, L’arte educativa di Gesù Maestro;giuseppe rovea: Alla radice della professione

docente, vol I;carlo nanni: Lettere spirituali a insegnanti e

formatori;Joseph ratzinger: In cammino verso Gesù Cristo,

Gesù di Nazaret;santo marcianò: “Non avere paura… e non tacere”commissione c.e.i.: “Lettera ai cercatori di Dio”,

maggio 2009

Le nuove tecnologie nella formazione delle professioni

digiovanni villarossa

nel triennio 1997-2000 con i progetti 1 a) e 1 b) sono state spalancate le porte della scuola all’uso didattico del compu-ter, c.m. 282/97.

nel 2002 (c.m. 55/02) si è dato avvio alle tic (tecnologie informatiche e di comunicazione) con tre percorsi forma-tivi per i docenti : “a” per ottenere com-petenze di base; “b” per acquisire cono-scenze e competenze avanzate inerenti al rapporto tra tecnologie e didattica; “c” per sviluppare capacità di progettazio-ne, utilizzo e governo delle infrastruttu-re tecnologiche presenti nell’Istituzione scolastica.

Nascono contemporaneamen-

te entusiasmi ed enfatizzazioni da una parte e timori e demo-nizzazio-ni dall’altra.

Si definiscono nuovi scenari di cono-scenza, vengono sollecitati nuovi pro-cessi di apprendimento che dinamiz-zano e reimpostano il sistema graduale di costruzione del pensiero, da sempre trutturato in virtù di “ordinate” stra-tificazioni di capacità rappresentativa e di capacità di ragionamento, definite nell’uomo gutemberghiano (figlio della stampa)e parzialmente modificate in quello marconiano (figlio della radio e della televisione).

ma sono nati i figli delle fibre ottiche,

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i fratelli di bill gates, che inducono a sentimenti di forti asimmetrie antropo-logiche in chi non ha costantemente ac-corciato le distanze con il nuovo.

La scuola può ignorare tale opera-zione di avvicinamento? L’impostazione tradizionale del rapporto insegnamen-to/apprendimento è scosso ed incrina-to alle fondamenta?

la trasmissione del sapere dal do-cente all’alunno, caratterizzata essen-zialmente dalla presentazione verbale di conoscenze e seguita dalla ricezione di un sapere istantaneo, riducentesi successivamente in un sapere residuo limitato, è messo in crisi.

Il computer, quale mezzo di comu-nicazione e di apprendimento, induce alla reimpostazione del rapporto inse-gnamento/apprendimento? È in grado di rappresentare e filtrare la totalità del reale e di far consolidare il sapere istan-taneo del discente in un sapere residuo più consistente e duraturo, oppure com-plesso ed implodente?

Come cambia, di conseguenza, la funzione didattica del docente, che non opera più soltanto sull’alunno attraver-so il controllo delle acquisizioni, ma an-che sul mezzo e sull’impatto tra alun-no e mezzo?

ma per operare sul mezzo bisogna conoscerlo.

il mezzo, portatore di un sapere og-gettivo, è sempre più caratterizzato dal-le variabili della velocità, dell’intensità, dei linguaggi, del coinvolgimento.

Come la scuola deve organizza-re e far evolvere un rapporto mul-timedialità/didattica per educare a governare il sapere oggettivo e tra-durlo in sapere critico?

il sapere oggettivo presentato dal mezzo è codificato secondo una sintassi diversa da quella che governa il legge-re e lo scrivere.

il sapere è confezionato con l’uti-lizzo di programmi multimediali ed è presentato sotto forma di ipertesto o di ipermedia.

Bisogna, allora, apprendere il modo di confezionare, ovvero di codificare, ov-vero conoscere una nuova sintassi?Con le nuove tecnologie educative, dunque, si offrono nuove possibilità di leggere la realtà, scoprendone nuovi aspetti, posi-tivi o negativi, si modificano le procedu-re didattiche, si modifica la situazione complessiva dell’apprendimento?

il ministero nel 2007 ha avviato un progetto dal titolo “Didattica della co-municazione didattica” con l’obiettivo dello sviluppo professionale dei docenti nel campo della comunicazione sia per quanto riguarda l’uso degli strumen-ti multimediali nella didattica, sia per quanto riguarda la specificità dei lin-guaggi non verbali e multimediali e le modalità più opportune per far conse-guire le relative competenze agli allie-vi dei vari tipi di scuola.

il consiglio d’europa il 18 dicembre 2006 ha espresso una raccomandazione relativa alle competenze chiave da far acquisire per l’apprendimento perma-nente, tra le otto competenze ha indica-to anche la competenza digitale.

Come le nuove tecnologie multime-diali possono facilitare l’apprendimen-to e portare gli alunni ad imparare ad apprendere in modo che siano sempre al passo con le continue trasformazioni in atto, in una prospettiva di apprendi-mento permanente (lifelong learning)?

intanto, nelle scuole è arrivata la LIM (lavagna interattiva multimedia-le), un nuovo mezzo ritenuto utile nel rapporto insegnamento/apprendimen-to, in particolare per quanto attiene al miglioramento della qualità dell’inse-gnamento, alla realizzazione di interro-gazioni efficaci, al miglioramento delle

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presentazioni degli argomenti di studio, all’integrazione tra la programmazio-ne dell’insegnamento e la preparazione delle risorse necessarie, all’incremento della velocità di apprendimento.

molte scuole hanno da tempo inizia-to collaborazioni in rete per sostenere lo sviluppo di una serie di attività e il po-tenziamento di sistemi interattivi e di-namici come un maggiore e più veloce scambio di informazioni; la condivisio-ne di materiali e risorse per la didatti-ca; la diffusione della comunicazione at-traverso forum, mailing list, chat, ecc.; l’offerta di un punto di riferimento e di un supporto tecnico/didattico a tutti i docenti delle scuole coinvolte.

Con l’utilizzazione della telema-tica interattiva si riesce sempre a realizzare il passaggio da un am-biente scolastico chiuso e organiz-zato gerarchicamente ad un am-biente di apprendimento aperto, nel quale l’azione comunicativa ne ispira l’organizzazione in tutti i suoi aspetti?

meno diffuso nelle scuole è il sistema e-leaning, apprendimento a distanza, che si realizza attraverso una piattafor-ma elettronica fornita dei tools online (chat, forum, bacheca, scricoll o scrit-tura collaborativa) i quali vengono uti-lizzati dagli studenti che i docenti in-tendono coinvolgere nelle attività pro-grammate e che, pertanto, devono esse-re iscritti perché possano accedere negli ambienti virtuali creati ad hoc.

l’e-learning, che è da considera-re uno dei sistemi utili per ottimizza-re l’attività didattica, sicuramente non potrà mai sostituirsi totalmente al rap-porto educativo “in presenza” che mani-festa la sua efficacia in quanto in esso si verificano interazione e confronto in-terpersonali, caratterizzati da tutti gli stati emotivi ad essi connessi e che rap-

presentano il motore di ogni apprendi-mento.

il migliore utilizzo di tale sistema può essere previsto nelle attività di re-cupero degli alunni in difficoltà e in quelle di valorizzazione delle eccellen-ze. si tratta di attività episodiche ma utilmente generalizzate e praticate da tutti i docenti indistintamente.

il docente è chiamato a svolgere il triplice compito di esperto dei conte-nuti, di coordinatore delle attività, nel-la veste di tutor, e di collaboratore e consigliere nella fase di orientamento nell’operare scelte di percorso (ciò nel-la veste di mentor).

Internet può essere un potente strumento di ricerca cooperativa che consente la crescita delle attività co-gnitive di una scuola impegnata, nella sua autonomia, a progettare ricerche e attività didattiche innovative da divul-gare con i nuovi strumenti tecnologici di comunicazione del sapere.

le aree interattive di alcuni siti web strutturati da istituzioni educa-tive offrono una serie di infrastrutture metodologiche (bacheche elettroniche, webforum, chat line, download di file) che consentono di agire e di interagire in rete su temi ed obiettivi didattici, di volta in volta, determinati.

Un ambiente interattivo (aula virtuale-gruppo di interesse-spor-tello didattico online etc.) può es-sere, indipendentemente dalla vo-lontà dei suoi membri, una comu-nità?

i consumi mediatici dei giovani: opportunità e limiti.

il 7° rapporto sulla comunicazione del censis –ucsi del 9 giugno 2008 evidenzia che “Non stupisce tanto che il cellulare sia usato praticamente da tutti i giovani (il 97,2%), quanto constatare che il 74,1% di essi legge almeno un li-

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bro all’anno (esclusi ovviamente i testi scolastici) e il 62,1% più di tre libri.”

Il 77,7% dei giovani legge un quoti-diano (a pagamento o free press) una o due volte alla settimana (il 59,9% nel 2003), mentre il 57,8% legge almeno tre giornali alla settimana.

I periodici hanno una utenza com-plessiva pari al 50% dei giovani (era il 44% nel 2003).”

insomma, i consumi mediatici dei giovani sono molto ricchi e articolati, prevedono il contatto non solo con i nuo-vi media (internet e cellulari), ma anche con i più antichi (libri e quotidiani), sen-za però attribuire importanza decisiva a nessuno di essi (è indifferente infor-marsi tramite i quotidiani, la televisio-ne o internet).

Questo comportamento viene defi-nito “tendenza al nomadismo e al di-sincanto” che caratterizza l’esperien-za di vita delle giovani generazioni nel mondo digitale, nel quale si passa da un mezzo all’altro senza badare troppo alla sua natura.

i giovanissimi, tra i 14 e i 18 anni, sono ritenuti i più voraci consumatori di media, ma con due importanti eccezioni: quotidiani e radio. la «colonna sonora» della giornata di un adolescente si com-pone ormai di pod-cast e download di mp3 dalla rete, telefonini e lettori usa-ti anche come apparecchi radio, playli-st scambiate attraverso i blog.

prima i giovani erano più passivi nella comunicazione: vedevano la tv, leggevano un libro. e ci si chiedeva “che effetto fanno i media sulle giovani ge-nerazioni?”.

ora stanno diventando creatori di comunicazione: sono partecipativi, in grado di dire la loro. la domanda che ci si pone è “che fanno i giovani con i new media?”

l’osservatorio permanente sui con-

tenuti digitali ha individuato due tri-bù di giovani digitalmente attrezzati: gli eclettici e i tecno fan. i primi hanno una base culturale, i secondi si dedica-no ad attività ludiche.

la tribù dei technofan cresce e in-globa i figli degli eclettici. Nascono nuo-ve povertà.

Povertà culturale: l’enorme ricchez-za della rete viene trascurata a tutto vantaggio del gossip e del chiacchieric-cio vacuo.

Povertà affettiva: i social network (come facebook) evidenziano bisogni di relazione, collegati a solitudini e am-biguità.

Povertà spirituale: il linguaggio della rete in genere è permeato dal pensiero unico dell’ironia, della leggerezza sen-za contenuti, rispetto alla quale risulta sempre più urgente recuperare il “tono medio” della serietà.

Quali interventi educativi?

riferimenti bibliografici

m. ingrosso, Le nuove tecnologie nella scuola dell’autonomia, franco angeli, 2004 (per scuola sup.).

a. antonietti, r.a. fabio (a cura di) Computer e apprendimento, numero speciale di ricerche di psicologia, 25, 2002 - spaee - università cattolica del sacro cuore - milano.

carletti a., varani a., Didattica costruttivista, dalle teorie alla pratica in classe, erickson, trento, 2005.

g. villarossa, Nuove tecnologie applicate alla di-dattica, in «Qualeducazione» n. 63, ed. pel-legrini, cosenza.

a. tarantini, Lavagna Interattiva Multimedia-le e Didattica: ritorno al futuro, didama-tica 2008.

m.l. bacci, Avanti giovani, alla riscossa, bo, 2008.

7° rapporto sulla comunicazione del censis - ucsi del 9 giugno 2008.

Sitografia: http://www.edscuola.it/archivio/ tecnologie.html

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Rubrica apertarubrica diretta da VINCENZO PUCCI

– Spazio dedicato al consenso, al dissenso, alla critica costruttiva –

Άκρίβεια è una parola greca che si-gnifica diligenza, accuratezza, preci-sione; mi viene in mente per contrasto, dopo aver verificato per l’ennesima vol-ta la sciatterìa che ci circonda, che esce dalle nostre scuole, perché così ha vo-luto un legiferare dissennato. il “buon” insegnante (politicamente corretto) non può correggere (poverini, si mor-tificano!), non deve esigere (poverini, si stancano!) e, forse, non vuole creare “traumi” (poverini, sono così sensibili!) ai discenti: è una figura infelice, vacua, che è bene eliminare, perché non gli è più concesso di educare e nemmeno di istruire: è l’amara realtà quotidiana del moderno cireneo che chiamasi docente.

La rubrica è aperta a tutti e ad ogni argomento degno dell’uomo del XXI sec. All’invettiva e alla blasfemia, eventuali ma non richieste, rispondiamo con l’umorismo, che ascolta atten-tamente e cerca di dialogare anche con chi dissente, ma ci sia concesso di esprimerci con la franchezza (παρρησία) che ci viene dalla nostra condizione di “milites Christi” non avvez-zi al “politicamente corretto”, ma alla Verità che rende liberi. In questo numero ospitiamo un testo anonimo (?) apparentemente frivolo, ma che fa riflet-tere sulle nostre frenetiche corse nel labirinto del giorno, se ci lasciamo catturare dalla ne-vrotica fretta di vivere, che troppo spesso coincide con una tranquilla (?) disperazione senza perché; il perché ce lo spiega chi ci manca: «Nolite ergo esse solliciti in crastinum; crastinus enim dies sollicitus erit sibi ipse. Sufficit diei malitia sua» (Mt 6,34). È lui che dà senso agli attimi del giorno; senza di LUI annaspiamo nel nonsenso universale... C’è anche un breve testo del curatore della rubrica che ci fa sorridere, dopo, ma quando ci capita (spesso) di imbatterci nella sciatteria e nella (costante) disattenzione dei nostri in-terlocutori, ci fa arrabbiare. Anche per questi “eventi” è valido il consiglio del Discorso del-la Montagna (Bergpredigt) sopra ricordato. Per i danni che sono stati fatti all’attività edu-cante nei passati decenni “liberali” (e che continuano, anche se attenuati) occorreranno al-tri decenni, per estrarre dalle macerie – e ricostruirle – Famiglia Scuola Società.

L’acribìa

il risultato della “scuola facile”, senza doveri, senza regole, libertaria, è da de-cenni sotto gli occhi di tutti (quelli che non li hanno foderati di prosciutto!): una generale ignoranza, superficiali-tà e arroganza nei confronti dell’altro, rifiuto dell’Autorità e del Dialogo, una ormai patologica incapacità-di-ascolto. ci sono dei responsabili: i falsi maestri di “liberazione”; non si lamentino del-la violenza…

Un esempio per riflettere: da molti anni non ricevevo il bollettino per pa-gare l’abbonamento alla tv ed ero co-stretto a compilare il modulo in bianco (una seccatura in più) e mi sono rivol-to al numero 199.123.000 (call center

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risponde rai) declinando nome, cogno-me, la via e il numero, il cap la loca-lità e la provincia di residenza e l’ope-ratrice mi confermava che aveva pun-tualmente spedito il bollettino di c.c.p. 3103 al mio indirizzo: via nazionale n. 21 Tortóna [ ?!? ]

avevo scritto, otto anni prima, il 23/9/2000, a caratteri cubitali, il mio indirizzo esatto, il mio codice fiscale, il mio numero di ruolo tv e, ovviamen-te, col mio cap ( 87020), col mio paese (tórtora, con l’accento acuto sulla pri-ma sillaba ), con la mia provincia (cs [terronia]) e qualche analfabeta aveva da otto anni spedito il bollettino a un inesistente me stesso che abitava in via nazionale 21 (?!?) a Tortóna, in provin-cia di Alessandria… [padania]

la fanciulla, dolcissima, con caden-za strascicata, come in certi film di Car-lo verdone, sembrava non accorgersi della “piccola svista”, nonostante l’ im-placabile maniacale «spelling» (silla-bazione) da parte mia ( Tór-to-ra, co-sèn-za) per evitare, appunto, la confu-sione, molto improbabile per chiunque (ma non per chi lavora nella scuola, dove la sciatteria – di forma e di conte-nuto – regna sovrana) fra una cittadi-na della provincia di cosenza e una cit-tadina della provincia di alessandria. vi sembra strano che la voce dell’uten-te esasperato abbia decuplicato i deci-bel e sia diventato l’urlo crescente del «terùn» che ripete: “tór-to-ra, co-sèn-za, ca-là-bria, vicino all’À-FRI-CA! È chiaro adesso?” dopo oltre nove minuti di ululata martellante ripetizione era, forse, finalmente chiaro… restiamo in attesa di un riscontro.

ecco, da questi fatti si può compren-dere lo sconforto degli educatori (sem-pre più rari) e il declino di un popolo

quando il legislatore opera secondo la filosofìa del «FliegenflugGedanke» (Pen-siero a volo di mosca, [avete osservato la traiettoria descritta da una mosca?] facilitando il “lavoro”[= l’accidia ribel-le] dell’«istruendo» perché non si stan-chi e conducendo all’esasperazione l’«istruttore» … se poi è un educatore colto e paziente, è anche uno sperpero di tessuti semantici.

e si continua a caricare la scuola di compiti sempre più vasti, sempre più ir-realizzabili, hic et nunc, rebus sic stan-tibus … Questo episodio è uno tra gli in-finiti dis-servizi dei cd «pubblici servi-zi». Questo mio sfogo è ovviamente un pretesto per parlare del problema dei problemi: la demolizione della Scuola, che è passata inosservata, insieme al tentativo di distruzione della Famiglia e della Chiesa, per instaurare il novus ordo saeclorum della libertà totale di fare quel che ti pare … tanto nessuno ti fa niente. la frase più comune dalla scuola materna in su è: «non è giusto!» nei confronti di qualsiasi correzione, di qualsiasi atto educativo, di ogni espres-sione del buon senso pedagogico. nel-la scuola devastata e senza bussola, in quasi mezzo secolo sono state «mummi-ficate» due generazioni: non sarà faci-le ricostruire un futuro dal volto uma-no … sobrio innocente e fecondo. ecco perché, ispirandoci al catoniano “Cete-rum censeo carthaginem esse delen-dam”, per l’ennesima volta, concludia-mo: «Ceterum censeo scholam esse reddendam Magistris et Pueris», cioè che la scuola debba essere restitu-ita agli educatori e agli educandi, alla gioia di imparare e alla lieta sapienza di vivere … amen.

* * *

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si chiama S.A.D.A.E. (Sìndro-me di Attenzione Deficitaria Attivata dall’Età)

riguarda i ragazzi dai 9 ai 90 anni. poi inizia la quarta giovinezza.

si manifesta così:decido di lavare la macchina.mentre mi avvio al garage vedo che

c’è posta sul mobiletto dell’entrata.decido di controllare prima la po-

sta.lascio le chiavi della macchina sul

mobiletto per buttare le buste vuote e la pubblicità nella spazzatura e mi rendo conto che il secchio è strapieno.

visto che fra la posta ho trovato una fattura decido di approfittare del fatto che esco a buttare la spazzatura per andare fino in banca (che sta die-tro l’angolo) per pagare la fattura con un assegno.

prendo dalla tasca il porta assegni e vedo che non ho assegni.

vado su in camera a prendere l’altro libretto, e sul comodino trovo una latti-na di coca cola che stavo bevendo poco prima e che avevo dimenticata lì.

la sposto per cercare il libretto de-gli assegni e sento che è calda…allora decido di portarla in frigo.

mentre esco dalla camera vedo sul comò i fiori che ha regalato mio figlio alla mamma ricordo che li devo mette-re in acqua.

poso la coca cola sul comò e lì trovo gli occhiali da vista che è tutta la mat-tina che cerco.

decido di portarli nello studio e poi metterò i fiori nell’acqua.

mentre vado in cucina a cercare un vaso e portare gli occhiali sulla scriva-nia, con la coda dell’occhio vedo un te-lecomando.

Qualcuno deve averlo dimenticato lì (ricordo che ieri sera siamo diventati pazzi cercandolo).

decido di portarlo in sala (al posto suo!!), appoggio gli occhiali sul frigo, non trovo nulla per i fiori, prendo un bicchiere alto e lo riempio di acqua…(intanto li metto qui dentro….)

torno in camera con il bicchiere in mano, poso il telecomando sul comò e metto i fiori nel recipiente, che non è adatto naturalmente… e mi cade un bel po’ di acqua… (mannaggia!), riprendo il telecomando in mano e vado in cuci-na a prendere uno straccio.

lascio il telecomando sul tavolo della cucina ed esco …cerco di ricordarmi che dovevo fare con lo straccio che ho in mano … conclusione:

sono trascorse due ore– non ho lavato la macchina– non ho pagato la fattura– il secchio della spazzatura è ancora

pieno– c’è una lattina di coca cola calda sul

comò– non ho messo i fiori in un vaso

decente– nel porta assegni non c’è un assegno– non trovo più il telecomando della

televisione né i miei occhiali– c’è una macchiaccia sul parquet in

camera da letto e non ho idea di dove siano le chiavi della macchina! mi fermo a pensare: come può essere? non ho fatto nulla tutta la mattina, ma non ho avuto un momento di respiro…mah!! fammi un favore rimanda questo messaggio a chi conosci perché io non mi ricordo più a chi l’ho mandato. e non ridere perché se ancora non ti è successo…ti succederà!!! prima di quanto credi!!

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Notiziario - Convegnirubrica diretta da FILOMENA SERIO

1. ACQUA: IL GRANDE RIFIUTO

non avrei mai immaginato che il paese di francesco d’assisi (patrono d’italia) che ha cantato nelle sue laudi la bellezza di “sorella acqua” diventasse la prima nazio-ne in europa a privatizzare l’acqua! giorni fa abbiamo avuto l’ultimo tassello che por-terà necessariamente alla privatizzazione dell’acqua. il consiglio dei ministri, infatti, ha approvato il 9/09/2009 delle “Modifiche” all’articolo 23 bis della legge 133/2008. Que-ste “Modifiche” sono inserite come articolo 15 in un decreto legge per l’adempimento degli obblighi comunitari. una prima par-te di queste Modifiche riguardano gli affida-menti dei servizi pubblici locali, come gas, trasporti pubblici e rifiuti. Le vie ordinarie -così afferma il decreto- di gestione dei ser-vizi pubblici locali di rilevanza economica è l’affidamento degli stessi, attraverso gara, a società miste, il cui socio privato deve essere scelto attraverso gara, deve possedere non meno del 40% ed essere socio industriale. In poche parole questo vuol dire la fine del-le gestioni attraverso spa in house e della partecipazione maggioritaria degli enti lo-cali nelle spa quotate in borsa.

Questo decreto è frutto dell’accordo tra il ministro degli affari regionali, fitto, e il ministro, calderoli. e questo grazie anche alla pressione di Confindustria per la quale in tempo di crisi, i servizi pubblici locali de-vono diventare fonte di guadagno.

È la vittoria del mercato, della merce, del profitto. Cosa resta ormai di comune nei no-stri comuni? È la vittoria della politica del-le privatizzazioni, oggi, portata avanti bril-lantemente dalla destra. a farne le spese è sorella acqua. oggi l’acqua è il be-ne supre-mo che andrà sempre più scarseggiando, sia per i cambiamenti climatici, sia per l’incre-mento demografico. Quella della privatiz-

zazione dell’acqua è una scelta politica gra-vissima che sarà pagata a caro prezzo dalle classi deboli di questo paese, ma soprattut-to dagli impoveriti del mondo(in milioni di morti per sete!)

ancora più incredibile per me è che la gestione dell’acqua sia messa sullo stesso piano della gestione dei rifiuti! Questa è la mercificazione della politica! siamo anni luce lontani dalla dichiarazione del papa benedetto Xvi nella sua recente enciclica Caritas in veritate dove si afferma che l’ac-cesso all’acqua è ”diritto universale di tutti gli esseri umani senza distinzioni e discri-minazioni”.tutto questo è legato al “diritto primario della vita”. la gestione dell’acqua per il nostro governo è assimilabile a quel-la dei rifiuti! Che vergogna! Non avrei mai pensato che la politica potesse diventare a tal punto il paladino dei potentati economi-co-finanziari. È la morte della politica!

per cui chiedo a tutti di protestare contro questa decisione del governo tramite inter-locuzioni con i parlamentari, inviare di e-mail ai vari ministeri… chiedere ai parla-mentari che venga discussa in parlamento la Legge di iniziativa popolare per una ge-stione pubblica e partecipata dell’acqua, che ha avuto oltre 400mila firme e ora ‘dorme’ nella commissione ambiente della came-ra; chiedere con insistenza alle forze politi-che di opposizione che dicano la loro posi-zione sulla gestione dell’acqua e su queste Modifiche alla 23 bis; premere a livello lo-cale perché si convo-chino consigli comuna-li monotematici per dichiarare l’acqua bene comune e il servizio idrico “privo di rilevan-za economica”; infine, premere sui propri consigli comunali perché facciano la scelta dell’azienda pubblica speciale a totale ca-pitale pubblico: è l’unica strada che ci rima-ne per salvare l’acqua.

sarà solo partendo dal basso che salvere-

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mo l’acqua come bene comune, diritto fon-da-mentale umano e salveremo così anche la nostra democrazia. È in ballo la Vita perché l’acqua è vita (alex zanotelli).

2. A ZANOTELLI RISPONDE NICOLA PAGLIETTI

caro luciano,sto preparando alcuni documenti per rende-re la nostra riunione dell’ardep del 25 set-tembre il più possibile concreta e proficua.

certamente proporrò di mettere all’ordi-ne del giorno anche una risposta da dare a padre zanotelli, che non conosco ma del quale mi posso mettere a disposizione per ragionare insieme sul tema delle privatiz-zazioni, che è la materia delle mie lezioni universitarie.

anticipo alcuni spunti che magari posso-no suscitare altre idee da inserire nella ri-sposta comune:

1. la politica delle privatizzazioni non è una battaglia della destra. al contrario, va sottolineato come la destra non sia stata ca-pace né oggi né in passato di portare avanti quegli obiettivi di privatizzazione necessari per il bene del paese.

2. per la precisione, le privatizzazioni ban-carie sono il frutto di prodi all’iri e della legge amato. le vendite dei panettoni di stato non hanno nulla a che fare con il co-lore politico.

3. grazie alle privatizzazioni dell’eni, dell’INA, dell’ENEL, nonché nel riassetto delle poste, nelle quali ho avuto la fortu-na di avere ruoli diretti, si è avuto il risa-namento del paese. a mero titolo di esem-pio, l’eni perdeva miliardi prima di essere privatizzata per prebende politiche e non: nel primo anno sono state chiuse 200 so-cietà inutili!

4. non si può generalizzare sul fatto che il pubblico gestisca meglio del privato o vi-ceversa. la necessità di privatizzare (e la prossima battaglia a tutela degli utenti sarà sui trasporti) o di riportare la gestione a strumenti privatistici come le poste o le

ferrovie è legata al fatto che i ministri pos-sono e devono alternarsi alla luce dei colo-ri politici, ma la gestione delle municipaliz-zate non può cambiare ed oscillare (al di là dello spreco di denaro pubblico nella sosti-tuzione o nella duplicazione dei managers ogni quattro o cinque anni) a seconda di chi vince le elezioni.

5. Quando le poste avevano decine di mi-gliaia di dipendenti in più di oggi, non ave-vamo un servizio migliore, ma solo un debi-to pubblico che andava fuori controllo. le storielle sugli abruzzesi alle poste a seguito del ministro gaspari sono purtroppo real-tà e non favole.

6. nell’ultimo intervento televisivo con gennaro baccile, abbiamo evidenziato come la privatizzazione dell’alitalia abbia inter-rotto uno sperpero di denaro pubblico che veniva coperto con l’aumento del debito pub-blico. sarà anche vero che le privatizzazio-ni possono portare ad una riduzione dei po-sti di lavoro, ma l’esempio eclatante di ali-talia dimostra come il mantenere stipen-di doppi rispetto a persone che svolgono il medesimo lavoro in società concorrenti sia una stortura che non può essere sopporta-ta a danno dell’incrmento del debito pub-blico. peraltro, la buona gestione delle po-ste dimostra come la riduzione dei posti di lavoro non è un effetto delle privatizzazio-ni ma della buona gestione, che può essere sia pubblica che privata.

7. nel piccolo, per tornare al tema caro a padre zanotelli, per anni a rocca di mezzo, il comune ha fatto mancare l’acqua ad ago-sto. da due anni, questo problema non c’è più per una razionalizzazione del sistema. l’accesso all’acqua non è dato dal comune, ma da chi gestisce bene le risorse.

8. scrivendo ad un sacerdote, non ritengo opportuno dibattere sulle encicliche, ma mi-schiare il concetto dell’accesso all’acqua del santo padre con la privatizzazione dell’ac-qua mi sembra molto azzardato, per non dire del tutto infondato.

insomma, la privatizzazione dell’acqua non è una scelta politica, di destra o di sini-stra che sia, ma una necessità per far sì che

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la risorsa dell’acqua venga gestita in manie-ra moderna e professionale.

* * *

ma torniamo al debito pubblico. allego un articolo apparso sul sole 24 ore a mio avvi-so troppo pessimista sul debito dell’italia e degli altri paesi europei. per quello che vale, tuttavia, dimostra un trend di maggiore at-tenzione nel nostro paese al tema del debito, anche dovuto a situazioni pregresse tragi-che. Quello che è interessante è notare come la crescita del debito negli altri paesi sia le-gata ad investimenti in banche ed in società che potrebbero portare ad una nuova anali-si della misurazione del debito, al netto del valore delle proprietà possedute.

Sulla finanziaria di oggi, appare invece un livello del debito al 115,1% nel 2009 e al 117,3% nel 2010. cercherò di approfon-dire domani.

* * *

sulle proposte di focalizzarci sul recupe-ro dell’evasione, abbiamo a lungo parlato. È certamente un obiettivo da perseguire, e su questo il g8 di l’aquila ed il prossimo g20 di pittsburgh hanno già apportato passi da giganti come la caduta del segreto bancario svizzero. non può essere solo questo lo sco-po dell’ARDEP, perché rischia di risultare un tema un po’ ripetitivo.

l’ardep può offrire un contributo anche sulla riduzione della spesa inutile, con una riduzione dei costi diretti ed indiretti della politica, ma la chiave rimane a mio avviso la battaglia per vincolare le entrate straor-dinarie alla riduzione del debito, oggi impos-ta per legge solo alla vendita di azioni pos-sedute dallo stato in società quotate. se la vendita degli immobili degli enti pubblici, le concessioni del demanio e così via andas-sero direttamente alla riduzione del debito, anche la politica dovrebbe fare i conti con un bilancio ordinario più stabile, che ne permet-terebbe una razionalizzazione nel tempo.

il tema importante della riunione, condi-

vido con marzio, sarà il miglioramento del-la gestione del sito, affidando a Francesco nassetti che mi ha garantito la sua presen-za un ruolo di collettore di idee e proposte da inserire nel sito dietro approvazione tua o di chi decideremo. così la comunicazione delle nostre idee si potrà diffondere con mag-giore velocità.

un caro saluto a tutti.nicola

3. UNA SCENA REALMENTE ACCA-DUTA SUL VOLO DELLA COMPA-GNIA BRITISh AIRwAyS DA JO-hANNESBURG E LONDRA

una donna bianca, di circa cinquanta anni, si siede accanto ad un nero. visibil-mente turbata chiama l’hostess che dice: “Qual è il suo problema, signora?” la don-na bianca: “ma dunque non vede? mi han-no messo accanto ad un negro. non soppor-to di stare accanto ad uno di questi esseri disgustosi. mi dia un altro posto, per favo-re!!”. l’hostess: “calma; quasi tutti i posti di questo volo sono occupati. vado a vedere se c’ è un posto disponibile”. l’hostess si al-lontana e ritorna dopo qualche minuto. “si-gnora, come pensavo non ci sono più posti liberi in classe economica. Ho parlato al co-mandante che mi ha confermato che non ci sono più posti nella classe exécutive. Tutta-via abbiamo ancora un posto in prima clas-se”. prima che la signora possa fare il mi-nimo commento, l’hostess continua: “È del tutto inusuale nella nostra compagnia per-mettere ad un passeggero di classe econo-mica di sedersi in prima classe. ma, viste le circostanze, il comandante pensa che sa-rebbe scandaloso obbligare qualcuno a se-dersi accanto ad una persona così ripugnan-te”. l’hostess si gira verso il nero e gli dice: “dunque, signore, se lo desidera, prenda il suo bagaglio a mano poiché è disponibile un posto in prima classe”. tutti gli altri pas-seggeri che assistevano alla scena, si alza-no applaudendo ...

ecco la lettera in poesia del passegge-

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ro di colore: Cari fratelli bianchi, Quando sono nato ero nero. Quando sono cresciuto, ero nero. Quando vado al sole, sono nero. Quando ho paura, sono nero. Quando sono ammalato, sono nero. Quando morirò, sarò nero.... Mentre tu, uomo bianco, Quando sei nato eri rosa. Quando sei cresciuto, eri bian-co. Quando vai al sole, sei rosso. Quando hai freddo, sei blu. Quando hai paura, sei verde. Quando sei ammalato, sei pallido. Quando morirai, sarai grigio. E, dopo tutto ciò, mi chiami uomo di colore ...?

4. SCONFIGGERE LE POVERTÀ GUARDANDO ALLA PERSONA

È stato presentato il libro di giuseppe se-rio presso il Centro filosofico Internazionale Karl-otto apel. la persona umana e le po-vertà nella società dei consumi ed un pub-blico d’indignati etici che, discutendo sul-le diverse sfaccettature presenti nel libro di giuseppe serio, Persona persone povertà in un mondo globalizzato e confuso, hanno espresso preoccupazioni e perplessità legate al dominio del liberalismo economico sull’uo-mo contemporaneo. le relazioni di miche-le borrelli, ordinario di pedagogia generale nell’unical e responsabile del centro cultu-rale apel, e di francesca rennis, docente di scuola secondaria superiore, hanno inqua-drato la cornice laica e cristiano-teologica in cui l’autore ha sviluppato la sua ricerca. in particolare borrelli ha evidenziato gli sfor-zi comuni da parte laica e da parte cattolica nel recupero di valori che pongono al centro della realtà la persona umana contro il do-minio della tecnica. sulla scia tracciata dalla dottrina sociale della chiesa e, in particola-re, dalle encicliche papali, serio ha ribadito la necessità di collegare lo sviluppo economi-co alla dimensione etica e, quindi di respon-sabilità verso l’altro. la fame nel mondo, la privatizzazione delle riserve idriche, lo sfrut-tamento da parte dell’occidente dei paesi in via di sviluppo sono stati lo sfondo di un di-battito che ha chiamato in causa le poten-zialità umane nella risoluzione di problemi

che drammaticamente affliggono l’umanità intera soprattutto in termini di giustizia so-ciale. le povertà – è stato ribadito – possono essere sconfitte ponendo al centro dell’inte-resse pubblico la persona umana. “contro i cultori della lagna – ha detto rennis – il lin-guaggio di serio è quello del fare concreto, in termini di solidarietà, per essere opera-tore di pace nel senso pieno del termine. im-pegno, sollecitudine, ricerca, testimonianza appartengono a questa categoria di persone che chiedono giustizia sociale”. il dibattito ha registrato, tra gli altri, importanti interventi di gaetano bencivinni, presidente del labo-ratorio “losardo”, rodolfo trotta, consiglie-re di minoranza del comune di acquappe-sa, domenico maio, presidente della sezione italia nostra di fuscaldo.

6. GIOVANNI VILLAROSSA ELETTO PRESIDENTE NAZIONALE

Docente di storia e filosofia nei Licei fino al 1985. È stato dirigente scolastico nei licei dal 1986 al 2007. attualmente dirige il liceo scientifico paritario del Villaggio dei Ragaz-zi di maddaloni. È coordinatore, docente e responsabile scientifico di corsi di perfezio-namento e di master on line dell’università europea di roma . Ha presieduto commis-sioni di concorsi a cattedra e di abilitazioni. È stato utilizzato dal miur presso l’uciim per attività di ricerca, formazione e aggior-

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namento. È consigliere nazionale dell’asso-ciazione di solidarietà professionale “g. Kir-ner”. È redattore della rivista internazionale di pedagogia “Qualeducazione”. scrive sulla rivista dell’uciim “la scuola e l’uomo”. È direttore della newsletter nazionale “uciim notizie”. Ha collaborato con la rivista “ri-cerche didattiche”. È stato membro del co-mitato scientifico della Collana “Professio-ne scuola” dell’armando editore in roma. È stato componente della commissione nazio-nale per il riordino dei cicli scolastici. col-labora in qualità di esperto e formatore per la formazione e l’aggiornamento di dirigen-ti e docenti con direzioni generali scolasti-

che regionali, università, fondazioni, enti, istituzioni scolastiche, associazioni profes-sionali, sindacati e diocesi. È stato tutor dell’indire (ansas) per la formazione a distanza di dirigenti e docenti. Ha diretto e dirige convegni e corsi nazionali, regionali e locali per il personale della scuola. È diret-tore scientifico dell’Università delle tre età di caserta. È responsabile del “progetto cul-turale” della diocesi di caserta. È stato di-rettore del consiglio di pastorale diocesano di caserta. Ha pubblicato articoli e testi di politica scolastica, didattica e metodologia, bioetica, storia locale. Ha curato antologie di saggi e liriche.

1 – aa.vv.EDUCAZIONE ALLA PACE. UN PROGETTO PER LA SCUOLA DEGLI ANNI ’80.(1981) Roma, Città nuova (esaurito)

2 – aa.vv.I VALORI SOCIO-POLITICI NELLA VITAGIOVANILE E NELLE ISTITUZIONIEDUCATIVE DEL NOSTRO TEMPO.A cura di Filomena Serio.(1983) 272 p. £. 25.000 (esaurito)

3 – aa.vv.EDUCAZIONE ALLA GIUSTIZIA.A cura di F. Fusca, E. Esposito, F. Serio.(1984) 219 p. £. 22.000 (esaurito)

4 – aa.vv.I DIRITTI UMANI.PRESENTE E FUTURO DELL’UOMO.A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio.(1986) 291 p. £. 25.000 (10 copie)

5 – aa.vv.EDUCAZIONE E DEMOCRAZIATRA CRISI E INNOVAZIONE.A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio.(1988) 192 p. £. 25.000 (30 copie)

6 – aa.vv.DOVE VA LA SCIENZA?EDUCAZIONE ALLA CONOSCENZAE ALLA RESPONSABILITÀ.A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio.(1990) 236 p. £. 25.000 (200 copie)

7 – aa.vv.EDUCAZIONE ALLA SALUTETRA PREVENZIONEE ORIENTAMENTO.A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio.(1992) 184 p. £. 20.000 (esaurito)

8 – aa.vv.EDUCAZIONE AL LAVORONELL’EUROPA DEGLI ANNI ’90.A cura di M. Borrelli, L. Corradini, A. Pieretti,G. Serio. (1992) 172 p. £. 20.000 (esaurito)

9 – aa.vv.POPOLI CULTURE STATIA cura di M. Borrelli, L. Corradini, A. Pieretti,G. Serio (1994) 330 p. £. 35.000 (25 copie)

10 – aa.vv.L’UOMO NOMADE.UNA METAFORA DEL NOSTRO TEMPOA cura di A. Pieretti (90 copie)

11 – aa.vv.LA NONVIOLENZA. UNA PROPOSTAEDUCATIVA PER IL TERZO MILLENNIOA cura di G. Serio-V. Pucci (1998) 296 p. £. 40.000 (poche copie)

12 – aa.vv.PEDAGOGIA ITALIANA ED EUROPEAPER LA GIUSTIZIA, LA PACE, IL DIRITTO DEI POPOLI ALLA LIBERTÀ

(in corso di stampa)

13 – aa.vv.PEDAGOGIA E CULTURA PER EDUCARESaggi in onore di Giuseppe SerioA cura di L. Corradini (2006) 320 p. E 25,00

ACTA PAEDAGOGICACollana diretta da Giuseppe serio

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Recensionia cura di F. SERIO

piero sapienza, Eclissi dell’edu-cazione, libreria editrice vati-cana 2009.

in un momento storico in cui l’emergenza educativa si ma-nifesta nei diversi contesti del-la vita sociale, familiare, sco-lastica e politica il volume di don piero sapienza, “eclissi dell’Educazione? La sfida edu-cativa nel pensiero di rosmi-ni”, pubblicato dalla libreria editrice vaticana, si presenta di grande attualità . la cultu-ra dominante, il relativismo eti-co e la crisi antropologica solle-cita una risposta ed una guida pedagogica che viene riproposta attraverso le considerazioni del Beato abate Rosmini, filosofo e pedagogista.

il volume che è ricco di ri-ferimenti di attualità per i re-centi documenti sull’educazio-ne (lettera del papa alla dio-cesi di roma, messaggio alla comunità catanese, convegno di verona) anche a livello loca-le, ripercorre nei sei capitoli la questione antropologica cha sta alla base dell’azione educativa e quindi gli interventi specifi-ci dell’educazione morale, reli-giosa e socio-politica. restitui-re ai giovani ideali alti di veri-tà, di bene e di felicità, proiet-tarli verso nuove responsabili-tà di impegno e di servizio, è la risposta all’urgenza per un effi-cace recupero di quei valori edu-cativi, oggi in eclisse.

Il filosofo e psichiatra Umber-to galimberti ha affermato che “la laicità è diventata la parola magica per ritirarsi dal compi-to di educare”. ecco quindi l’ori-gine di una prolungata eclissi,

dovuta innanzitutto alla man-canza di maestri. la perdita dell’educazione coincide con il declino della scuola, la quale, quando si definisce “laica” ri-nunzia alla sua missione edu-cativa.

per superare questa fase di ombre e di buio il filosofo di Ro-vereto, fa brillare come scintille le parole: verità, virtù, sacrificio e slancio per l’infinito, prepara così una nuova scia luminosa che necessita di nuovi grandi maestri e veri testimoni, capa-ci di trasmettere la tradizione educativa ricevuta in eredità, capaci di riempire il vuoto del nichilismo, ospite inquietante dei giovani d’oggi.

Oggi si lancia una “sfida” che è anche un costante “rischio” se non si ricostruiscono le fonda-menta valoriali di riferimen-to per una positiva relazione educativa

il libro di don piero sapienza è stato presentato in arcivesco-vado proprio il 23 aprile, gior-nata mondiale del libro e come narra la leggenda di san gior-gio che dal fiume di sangue sca-turito dall’uccisone del drago, sorse uno splendido roseto, si ri-pete la tradizione spagnola del-lo scambio di libri e di rose, rin-novando il gesto del cavaliere giorgio, il quale offrì una rosa alla principessa ed ella in cam-bio gli donò un libro che narra-va la storia del villaggio.

nel simbolico scambio di libri e di rose si coglie anche la me-tafora che il fiore dell’educazio-ne oggi ha lo stelo reclinato ed è compito degli educatori far ri-prendere vigore al fiore che ac-compagna l’intera esistenza dei

fragili giovani di oggi, ai quali l’abate rosmini ha ancora mol-to da dire, guidandoli alla ricer-ca della verità, tema che l’auto-re, parroco a librino, responsa-bile della pastorale del lavoro, affronterà con saggezza peda-gogica e pastorale.

Giuseppe Adornò

bruno bordignon - rosetta ca-puti, Certificazioni delle compe-tenze, armando editore, 2009, pp. 607.

nel sentiero della vita, come nelle antiche vie consolari, le pietre miliari scandiscono i rit-mi di lunghezza e determinano la posizione in vista delle mete da raggiungere. nel sentiero della scuola sono pietre miliari, anche se cambiano nomenclatu-ra a seconda dell’indirizzo poli-tico, i termini : lezione (unità di-dattica, unità di apprendimen-to), valutazione (voto, giudizio, scheda, pagella, crediti, debiti); restano invariati blocchi mono-litici i termini di: insegnamen-to, apprendimento, conoscenze, competenze, condotta.

sull’onda della riforma mo-ratti, guidata dal prof. giusep-pe bertagna,nuovi termini sono entrati nel dizionario scolastico: tutor, portfolio delle competen-ze, piano di studio personaliz-zati, profilo dinamico funziona-le, il vento della contestazione ha boicottato il docente tutor, cancellandone il nome, ma non certamente il valore seman-tico di “docente educatore” ed ha messo sotto silenzio l’opera-zione della certificazione delle competenze nel “portfolio del-

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lo studente”, che con fatica sta-va per cominciare a prendere consistenza. chi vive e crede la scuola sa bene che l’insegna-mento tende alla modifica dei comportamenti dello studente nel modo di pensare, di sentire e di agire ed è finalizzato allo svi-luppo attraverso l’esercizio gui-dato di specifiche competenze, spendibili anche fuori dal con-testo scolastico. tutto ciò è stato ben compreso e adeguatamente rinforzato dalla sperimentazio-ne che è stata attuata in alcu-ne scuole salesiane di catania, caltagirone, milano, varese, pordenone e roma.

la ricca documentazione del-le procedure sperimentali sono state raccolte in un corposo vo-lume, pubblicato da arman-do editore, nel mese di maggio 2009 dal titolo “Certificazione delle competenze” una speri-mentazione delle scuole sale-siane, a cura di bruno bordi-gnon e rosetta caputi. il volu-me, articolato in tre parti, è in-trodotto da una premessa che approfondisce il tema della “ formazione ad una didattica per competenze”.

I docenti di oggi ancorché ca-richi di tanto impegno e buona volontà, per mancanza di una formazione specifica, che la scuola italiana non offre, non sono sempre attenti e puntua-li nell’indirizzare tutta l’azio-ne didattica verso le compe-tenze da scoprire, sviluppare, fare crescere, consolidare, ve-rificare.

puntuale risulta la defini-zione di competenza: capacità di attivare un processo che, nel tessuto vitale di un’attesa, e dal-la percezione psicologica di un bisogno in continua evoluzione, parte dall’identificazione di un problema, ne elabora una teoria esplicativa, la controlla e la fal-sifica per vedere se porta alla so-luzione del problema individua-

to, intervenendo e trasformando la realtà per dare una risposta (prestazione) sempre perfettibi-le, altrettanto concreta e pratica al bisogno individuato.

“Insegnare per competenze” non è solo uno slogan o una moda, ma uno stile e un meto-do che si acquisisce mettendo in atto particolari e specifiche procedure.

la raccolta della documenta-zione diventa altresì importan-te non solo per la sperimenta-zione, ma per il beneficio che gli alunni stessi ne ricevono, anche in vista delle valutazione e cer-tificazione finale. Gli autori del volume in più parti sottoline-ano che le procedure proposte tendono ad una visione nuova del “docente libero professioni-sta” nel contesto di una scuola autonoma che mediante il pro-getto educativo d’istituto offre specifici servizi e adeguate ri-sposte ai bisogni dell’utenza e del territorio.

Insegnare per competenze si-gnifica essenzialmente proget-tare l’apprendimento degli stu-denti, nel rispetto della libertà dei singoli secondo i ritmi ed i livelli di ciascuno, mettendo in atto la dimensione educativa dell’apprendimento, che valo-rizza la persona nella sua inte-gralità e la dimensione educati-va dell’insegnamento, che scan-disce le azioni e gli interventi appropriati di una costruttiva relazione didattica, che rende il docente attento, capace di “sa-per guardare tutti ed osservare ciascuno”.

in questo incrocio di dimen-sioni si inserisce la sussidiarie-tà formativa della scuola e la re-lazione positiva con i genitori, principali responsabili dell’edu-cazione dei figli. Si tende anco-ra ad evidenziare che le “unità di apprendimento” non limita-no la libertà di insegnamento del docente, né soffocano la sua

creatività, bensì la potenziano e la vivificano. “Ogni lavoratore è un creatore” affermava pao-lo vi nella Populorum progres-sio, sollecitando tutti i lavorato-ri, compresi coloro che operano nella scuola a “saper lavorare in proprio”.

il prezioso volume raccoglie ad esemplificazione le unità di apprendimento, e gli indicato-ri di competenze messi in atto nell’anno scolastico 2006.2007 di una classe prima di scuo-la secondaria di primo grado e di una classe terza di scuo-la secondaria di secondo grado delle scuole campione che han-no partecipato alla sperimen-tazione.

la scuola di oggi dovrebbe anche recuperare la cultura del-la documentazione, che messa in atto costituirà un patrimo-nio di risorse per la scuola ed un vero investimento in termi-ni di tempo e di potenzialità di sviluppo. il progetto, promos-so dall’invalsi, elabora-to nell’ambito delle scuole sa-lesiane, con questo volume di ricca documentazione si esten-de come prezioso strumento di lavoro anche per gli operatori scolastici delle scuole statali, sempre in cammino verso una più elevata qualità dell’istruzio-ne e della formazione.

Giuseppe Adornò

giovambattista amenta, Il counseling in educazione, bre-scia, editrice la scuola, 1999.

dare consigli, fornire aiuto, rispondere a domande impli-cite ed esplicite di educazione e di formazione, costituiscono aspetti diversi, complementari e convergenti dell’azione didat-tica che la scuola svolge.

oggi si parla tanto ed è rite-nuto sempre più urgente svi-luppare e guidare la dimensio-

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ne orientativa, la capacità di conoscere se stessi e compiere delle scelte responsabili in vista del proprio inserimento sociale e la realizzazione delle proprie potenzialità.

il counseling costituisce una significativa e puntuale strate-gia metodologica che consente la realizzazione di un approc-cio formativo di guida efficace e tutoraggio individualizzato. il docente tutor formativo, nuo-va figura professionale anco-ra tutta da inventare, costitui-sce una delle nuove sfide della scuola dell’autonomia, che rin-nova la didattica ed i percorsi formativi.

nel volume “Il counseling in educazione” edito dall’edi-trice “la scuola”, lo psicologo giombattista amenta offre agli educatori indicazioni e stru-menti concreti sia per la com-prensione dei bisogni complessi che sottostanno al disagio degli studenti nella delicata fase del-la crescita, dello sviluppo e del-la scelta del proprio futuro, sia per l’elaborazione di strategie efficaci da adottare negli inter-venti formativi.

nella prefazione, il prof. ce-sare scurati evidenzia come in campo educativo molti disagi sono attivati da “bisogni sot-terranei” che l’educatore da solo non riesce ad individuare; mentre la pratica del counseling facilita la comprensione e l’in-terpretazione di significati più complessi, “fornendo un preci-so contributo alla formulazio-ne di quell’intelligenza peda-gogica dei fatti, che è condizio-ne essenziale per la predisposi-zione di un adeguato intervento formativo.

È poi lo stesso autore che, nell’introduzione presenta le tematiche dei nove capitoli nei quali si articola il diligente la-voro di ricerca che tende a di-stinguere il counseling educa-

tivo da quello psicoterapeutico e, privilegiando l’approccio di analisi transazionale, focalizza i diversi momenti applicativi, il contratto, le “opzioni”, le tec-niche per promuovere educato-ri “efficaci”.

la documentazione di alcune esperienze concrete che hanno caratterizzato la ricerca, inco-raggiata dal prof. ferdinando montuschi, correda la secon-da parte del lavoro, che diven-ta così preziosa guida operativa per docenti e genitori.

il counseling, finalizzato a fa-cilitare una migliore conoscen-za di sé e l’accettazione dei pro-pri problemi emotivi, in vista di uno sviluppo ottimale delle ri-sorse personali, ben si inserisce a supporto della fase clinico-di-namica dell’azione di orienta-mento, inteso come processo di scelta tra le varie professioni, in funzione dei propri bisogni e delle proprie motivazioni.

l’affermazione di Watts: “l’orientamento non consiste più nell’aiutare lo studente a prendere delle sagge decisioni (o nel prenderle al suo posto), ma nell’aiutarlo a prendere le sue decisioni saggiamente” ac-compagna e sostiene l’azione del counselor, il quale affian-ca l’educatore, specie quando, di fronte al ripetersi di situa-zioni difficili, si sente impoten-te ed impreparato. il counse-ling educativo costituisce così un valido contributo per la for-mazione dei docenti e può esse-re produttivamente applicato all’intero consiglio di classe, ad un gruppo misto di docenti o di genitori. il counselor che guida il gruppo come se fosse un uni-co “cliente” fa sì che tutti i com-ponenti esprimano i loro biso-gni, avanzino richieste e quesi-ti, pongano delle questioni così da giungere al conseguimento degli obiettivi

la motivazione dei parteci-

panti ed il coinvolgimento atti-vo di ciascuno costituiscono i se-gni positivi del metodo, la cui ef-ficacia ha una significativa rica-duta didattica nel produrre gra-duali modificazioni nei compor-tamenti relazionali dei docenti tra di loro e con gli alunni.

“Io sono O.K - Tu sei O.K”: co-stituisce uno dei traguardi basi-lari per porre i termini del dia-logo educativo, che vede mutare i ruoli del “triangolo dramma-tico” da vittima, a persecutore, a salvatore, dal biasimo all’ap-prezzamento, dalla passività all’azione comune capace di con-seguuire positivi traguardi.

la lettura dei bisogni e la comprensione della situazione stanno alla base della scoper-ta di opzioni di intervento ef-ficaci, fondate sulla compren-sione empatica che consente di saper cogliere cosa c’è dietro il disagio.

apprendere nuove tecniche relazionali: il confronto, la spie-gazione, l’interpretazione, la cristallizzazione, la recitazione-drammatizzazione, il gioco dei ruoli con le due o le tre sedie, costituiscono alcuni dei sugge-rimenti operativi che il volume consiglia attraverso l’esemplifi-cazione di esperienze realizza-te. si concretizza così un “impa-rare vedendo fare” e quindi l’au-gurio per gli educatori di “impa-rare facendo” così da costruire scuole efficaci per tutti.

Giuseppe Adornò

andrea muni, Cose che gli inse-gnanti non dicono. Come i bam-bini imparano e si costruiscono la propria storia, roma, arman-do 2009 pp. 160.

È un saggio con due titoli, con due tematiche differenziate, ma vicine scritte da muni (lau-reatosi a Udine in filosofia con una tesi di didattica generale);

86 • QUALEDUCAZIONE

è socio di vari centri culturali (cidi, mce, adi ecc.).

il suo saggio, dichiara l’a., è contro corrente e tratta “dell’ap-prendimento della storia dei bambini”. inizia con una tri-plice presentazione. la pri-ma, quella di Barzaghi defini-sce il libro “suggestivo e bello” in quanto “tocca in modo molto vivace un tema assai delicato” (se il bambino sta in pace non impara) che consiste nell’abi-lità del docente di mettere “in guerra il bambino”. la seconda, quella di Grandi, definisce il li-bro una sorta di musica che l’a. suona “sulla tastiera del come e del perché che sono le modali-tà didattiche con cui l’insegna-te si “sintonizza sulla frequen-za che più lo attrae”. Infine, la parte introduttiva si chiude con cappelleri che pone in eviden-za che il “dialogo è considera-to lo strumento per risolvere i conflitti”.

i presentatori sono docenti universitari (rispettivamente nella cattolica di milano, nel-la statale di padova, nella sta-tale di trieste). il testo, inol-tre, si avvale dell’Introduzione dell’a. che presenta la temati-ca in maniera chiara e ordina-ta: problemi aperti,domane, ipo-tesi; il metodo; La scuola come specchio del reale; la microdi-dattica esistenziale. il lavoro si fonda su un patrimonio biblio-grafico di ampio respiro (14 pa-gine.) su cui l’a. ha lavorato in modo scientifico e onesto.

Giuseppe Serio

camillo ruini, La sfida educa-tiva (a cura del progetto cul-turale della c.e.i.), roma, la-terza, 2009.

il libro è strutturato in 10 capitoli che s’intitolano: Fami-glia, Scuola, Comunità cristia-na, Lavoro, Impresa, Consumo

Media, Spettacolo, Sport;l la prefazione è del cardinale rui-ni per il quale “in ogni epoca l’educazione delle nuove gene-razioni ha rappresentato per le nuove generazioni un com-pito fondamentale”: dar “vita a re-gole, percorsi, usanze e anche riti formativi.

egli ritiene in particolare che l’educazione sia “un proces-so umano globale e primordia-le” che implica “strutture por-tanti e fondamentali” dell’esi-stenza della persona che ma-nifesta soprattutto “il bisogno d’amore”oltre che quelli di cono-scere e di vivere in libertà. per soddisfare tali bisogni è neces-sario vi siano “maestri capaci d’insegnare.

il rapporto dei curatori in-tende sollecitare “una riflessio-ne sullo stato dell’educazione e, più in gene-rale, sulla real-tà esistenziale e socio-cultura-le dell’uomo” di questo mondo che appare sempre più povero di padri e di maestri, sempre più lontano dal patrimonio valo-riale costruito dalla chiesa cat-tolica nel corso di due millenni di storia universale.

dunque, il problema, affer-mano i curatori, è nella capa-cità di promuovere un’allean-za per l’educa-zione in grado di coinvolgere tutti i soggetti inte-ressati: famiglia, scuola, mon-do del lavoro, mondo dei media riportando la luce nel mondo contemporaneo, confuso e di-sorientato.

Giuseppe Serio

luciano corradini (a cura di), Cittadinanza e Costituzione Di-sciplinrità e trasversalità alla prova della sperimentazione na-zionale. Una guida teorico pra-tica per docenti, tecnodid, na-poli 2009, pp. 366, € 32.

viviamo in un momento sto-

rico in cui poche sono le certez-ze condivise tra i cittadini della nostra repubblica ed in cui gli articoli della nostra costituzio-ne vengono utilizzati per affer-mare ogni cosa ed il suo contra-rio, anche in pubbliche assise e non senza un ampio clamore di dibattito mediatico. pensiamo – ad esempio – all’art. 32, utiliz-zato per introdurre pratiche di tipo eutanasico, ma anche ai re-centi conflitti interistituzionali in cui in ultima analisi tutti si appellano alla costituzione, ma con chiavi di lettura profonda-mente differenti. in tale clima è importante non solo legger-ne e capirne (con buona pace di chi si vanta pubblicamente di non averlo mai fatto), ma anche servirsene come strumento per tentare di ricostituire, pazien-temente e senza troppe illusio-ni, un tessuto di consapevolez-ze sociali condivise, che renda-no più solido il tendere insieme ad un bene comune.

in questo clima culturale ap-pare particolarmente opportu-na e, in certo modo, coraggiosa l’idea di un testo che si propone di accompagnare gli insegnan-ti nella sperimentazione dell’in-segnamento di Cittadinanza e Costituzione. esso rappresenta una sorta di “manuale di pron-to soccorso”, perché con notevo-le tempestività rende possibi-le alle scuole informarsi e far-si un’idea complessiva intorno alle certezze, alle incertezze e alle possibilità attivate dalla legge 169 del 30 10 2008, che istituisce i maniera un po’ am-bigua una nuova disciplina sco-lastica, appunto cittadinanza e costituzione, lasciando però all’autonomia delle scuole il compito d’interpretarne le mo-dalità di attuazione, nell’ambi-to della sperimentazione previ-sta dalla stessa legge. frutto di un impegno maturatosi in gran parte nell’ambito di un gruppo

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di lavoro ministeriale sull’edu-cazione civica, questo libro non risponde però solo ad un’emer-genza, ma costituisce anche uno sforzo organico per dimostrare le ragioni, le radici, le dimen-sioni di un’educazione a c&c che andrebbe intesa e norma-ta anche come insegnamento disciplinare. una bella lettera del presidente della repubblica giorgio napolitano, pubblicata in esergo, riconosce l’importan-za dello sforzo fatto e ringrazia gli autori del volume annove-randoli tra i “silenziosi tessito-ri della buona scuola”.

gli autori si sono infatti pro-posti offrire strumenti utili a chiarire i problemi sul piano storico e teorico e sul piano pra-tico, mostrando come c&c non sia un vago discorso aperto a tutte le prospettive, e in prati-ca a nessuna, ma possa essere proposta come orizzonte di sen-so trasversale e come organico contenuto culturale, meritevo-le d’essere inserito nel currico-lo anche come “nuova discipli-na”, catalizzatrice delle valen-ze educative che sono già, per lo più inconsapevolmente, pre-senti nelle discipline scolasti-che canoniche.

il libro si articola in quattro parti: 1) legittimazione pedago-gica e culturale (C&C come oriz-zonte di legittimazione e di sen-so per la vita della scuola e come disciplina d’insegnamento), 2) potenzialità educative di tutte le discipline (Valenze formati-ve delle discipline curricolari e ruolo catalizzatore di C&C), 3) insegnamento, programmazio-ne e valutazione per competen-ze (Guida alla progettazione di-dattica e alla valutazione nella nuova prospettiva), 4) appendi-ce documentaria.

il fatto che sia importante – sul piano educativo – aiutare i futuri cittadini a costruire una solida e ben fondata “città in-

teriore” che possa aiutare a co-struire meglio la città esterio-re era chiaro fin dai tempi di platone e costituisce il motivo conduttore della sua repubbli-ca. spostandoci in epoche più vicine, anche i nostri padri co-stituenti avevano chiara l’idea che tra i compiti delle istituzio-ni educative vi è anche quello di educare alla costituzione, di insegnarla, di studiarla, perché si radichi nelle coscienze e nei comportamenti delle giovani ge-nerazioni, a partire da uno spe-cifico impegno dei docenti. Su questa base, con dpr firmato il 13.6.1958 da aldo moro e da giovanni gronchi, fu introdotto nelle scuole secondarie l’”inse-gnamento dell’educazione civi-ca”, con saggezza di visione ma con debolezza di spazio currico-lare, essendo affidata all’inse-gnante di storia per due ore al mese, senza voto distinto.

anche a motivo di tali limiti, sommati a profonde differenze tra le sensibilità personali degli insegnanti che hanno assunto il loro compito in modo più o meno intenso, l’insegnamento finì per scivolare – di fatto – fuori del curricolo, e di rientrarvi preca-riamente con le “educazioni”, frutto di emergenze, di sensibi-lità politiche che si sono assom-mate nel tempo, fino ad assom-mare circa una trentina di “au-spici educativi”, suggestivi per qualcuno, vincolanti per nessu-no. con l’Educazione alla convi-venza civile, prevista nei decreti attuativi della legge 53/2003, si tentò di dare ordine e organici-tà alla proposta educativa del-le istituzioni scolastiche, racco-gliendo la multiforme offerta in sei assi educativi fondamentali, tutti trasversali alle discipline, con l’indicazione di alcuni obiet-tivi specifici di apprendimento che potevano intercettare quel-li delle discipline.

la discussione fra “discipli-

naristi” e “trasversalisti” che ne è seguita, stava per finire in soffitta, quando l’articolo 1 del-la legge 169/08 ha rilanciato la questione con l’impegno a pro-muovere “conoscenze e compe-tenze” relative a “cittadinanza e costituzione” (c&c), attivan-do “azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale del-la scuola” e affidando ad una sperimentazione nazionale il compito di “esplorare possibi-li innovazioni riguardanti gli ordinamenti degli studi” (art. 11 dpr 275), e cioè “di portare a regime il nuovo insegnamen-to”, come dice la relazione go-vernativa al decreto legge 137, poi convertito nella citata leg-ge 169. si noti che questo in-segnamento deve trovare posto “nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo pre-visto per le stesse”. il che pone un non facile problema di at-tuazione, dato l’attuale regime di crisi economica e di tagli agli orari e agli organici delle scuole. per questo nel libro si esplorano le “valenze educative” di quasi tutte le discipline canoniche, sia per mostrare che non serve una disciplina che parli di costitu-zione in solitudine, sia per mo-strare che queste valenze posso-no trovare un efficace “cataliz-zatore” proprio in una discipli-na che si assuma tale compito. un passo ulteriore potrebbe es-sere quello di dare piena attua-zione a quanto si trova nel testo della legge, prevedendo l’istitu-zione di una disciplina, con pro-prio orario annuale e valutazio-ne autonoma.

la situazione attuale, pur con tutte le sue incertezze, può comunque portare ad un sal-to di qualità, perché le scuole dell’autonomia potrebbero da un lato dare un baricentro più solido alla precarietà delle “edu-cazioni”, dall’altra trovare le ra-

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dici di un impegno educativo a tutto tondo proprio nella costi-tuzione, che diventerebbe in tal modo la mappa valoriale orga-nica in base alla quale affron-tare le diverse problematiche educative che la scuola si trova ad di fronte nei diversi contesti sociali e istituzionali. il salto di qualità resta però ancora poten-ziale, perché il Ministero non ha precisato la natura, l’obiettivo e i tempi della sperimentazione richiesta dalla legge. il mini-steriale “documento d’indirizzo per la sperimentazione dell’in-segnamento di c&c” (4.3.09), offre un quadro di riferimento e un elenco di obiettivi, contenuti e traguardi per tutte le scuole, ma non un preciso progetto spe-rimentale, sicché c’è il rischio che dalla ricca fioritura di buo-ne pratiche attivate dal bando di concorso gestito dall’ansas non vengano frutti maturi sul piano della possibile sperimen-tazione della “disciplina” e del suo eventuale passaggio ad or-dinamento.

Il testo si prefigge, nel suo in-sieme, tre obiettivi:

1) prendere sul serio (a dif-ferenza di quanto potrebbe av-venire nella formazione istitu-zionale che ancora latita e – di fatto – non sta accompagnan-

do la sperimentazione) l’ipote-si dell’istituzione di una disci-plina autonoma, di cui propone un’analisi accurata dei fonda-menti epistemologici e dei con-tenuti culturali, oltre a stru-menti per la valutazione didat-tica. in questo momento chi de-sidera esplorare questa strada non ha a disposizione altri stru-menti altrettanto significativi, rispetto a quelli offerti in que-sto volume. tale scelta rappre-senta il suo “valore aggiunto” sul piano culturale. 2) offrire spunti e suggestioni di tipo “tra-sversale” anche a quelle scuole e quegli insegnanti che ancora non si sentono nella condizione di avviare la sperimentazione della disciplina in senso stret-to, ma intendono utilizzarne le coordinate culturali come “ca-talizzatori concettuali” per im-plementare la propria offerta educativa e dare organicità alle buone prassi già in atto presso numerosissimi istituti scolasti-ci. 3) favorire la creazione di una “rete” di scuole disponibili a mettersi in gioco sulla linea culturale sollecitata dal testo, a partire da alcuni riferimen-ti comuni e con grande aper-tura alle idee e alle esperienze di tutti. per far questo è anche stata avviata la costruzione di

un sito (www.cittadinanzaeco-stituzione.net) in cui gli autori del presente volume si sono im-pegnati a mettere a disposizio-ne tutto ciò che risulterà utile anche in futuro.

gli autori dei diversi contri-buti sono quasi tutti membri di commissioni di lavoro ministe-riali e – in ogni caso – si trat-ta di docenti universitari, in-segnanti e dirigenti scolasti-ci a loro volta impegnati nella formazione del personale della scuola, che hanno seguito con attenzione le vicende relative alla legge e alle sue prospetti-ve. essi sono: nicoletta annun-ziata, gregorio arena, giovan-na boda, fabio calvino, mario castoldi, piero cattaneo, san-dra chistolini, sergio cicatel-li, sonia claris, luciano cor-radini, paolo danuvola, ma-rio falanga, ottavio fattorini, cristiano giorda, maria tere-sa marsura, giuseppe mingio-ne, pasquale moliterni, maria teresa moscato, maria luisa necchi, antonio papisca, vita-liano pastori, stefano pieran-toni, andrea porcarelli, luigi ronga, stefano spina, alberto spinelli, annapaola tantucci. il volume è curato da luciano corradini.

Andrea Porcarelli

Alessandro Canadè (a cura di)BENJAMIN IL CINEMA E I MEDIA

Jaques RancièreIL DESTINO DELLE IMMAGINITraduzione dal francese di Donata Chiricò

Roberto De GaetanoTRA - DUE. L’immaginazione cinematografica dell’evento d’amore

Alessandro Canadè (a cura di)CORPUS PASOLINI

Alain BadiouDEL CAPELLO E DEL FANGO. Riflessioni sul cinema a cura di Daniele Dottorini

CollanaFrontiere.

Oltre il cinema