7 – Un’idea per far pagare le tasse a chi può

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Lamberto Aliberti Il mondo vede un crescente inarrestabile enorme divario nella ricchezza fra le persone. 7 – Un’idea per far pagare le tasse a chi può. 21 gennaio 2012 definizioni e meccanismi di calcolo negli articoli precedenti Fonte: Altromedia Gettito totale: 29 miliardi 687 milioni 0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000 9000 10000 Bottom 90% Top 10- 5% Top 5- 1% Top 1- 0.5% Top 0.5- 0.1% Top 0.1- 0.01% Top 0.01% milioni 0 2446 9628 4967 6965 3916 1765 2012 contributo per segmento

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Un’idea per far pagare le tasse a chi può

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Lamberto Aliberti

Il mondo vede un crescente inarrestabile enorme divario nella ricchezza fra le persone. 7 – Un’idea per far pagare le tasse a chi può. 21 gennaio 2012

definizioni e meccanismi di calcolo negli articoli precedenti

Fonte: Altromedia

Gettito totale: 29 miliardi 687 milioni

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milioni 0 2446 9628 4967 6965 3916 1765

2012 contributo per segmento

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Le aliquote. Le ipotesi che si possono fare in proposito sono tante. La nostra esalta la progressività, con la cautela di fare il meno male possibile a tutti e ovviamente di incidere in modo nevralgico sulla provvista di denaro da parte dello Stato. L’idea. Sfruttare scientificamente l’iniqua distribuzione dei redditi nel nostro paese. Ne abbiamo parlato a iosa: è tollerabile che il 10% delle famiglie se ne porti a casa un terzo? Che 1 su 10mila, ne succhi quasi l’1%, cioè 100 volte quanto le toccherebbe in una società di uguali? Ecco le distribuzioni. Ancor meno tollerabile è che l’iniquità sia anche nelle dinamiche. Vediamo come si è mosso il reddito dei segmenti, dal 1983 al 2004: da meno di mezzo punto % del 90% delle famiglie, a un crescendo, fino al Top 0.01%, una su 10mila, che viaggia alla velocità di quasi il 13% all’anno. Di questo passo, nel giro di una ventina d’anni potremmo cadere in una società di tipo feudale: un piccolo numero di signori e una massa di servi, la corte di Versailles e, ai cancelli, i cenciosi abbrutiti membri un tempo della middle class. Ce lo chiediamo ancora: è tollerabile? I movimenti degli indignados, degli Occupy Wall Street, estesi ormai a tutto il mondo, ci dicono che non mangeranno brioches. Chi alzerà la voce contro questa nostra idea, chi la troverà punitiva, dovrebbe convincersi che ogni provvedimento, volto a rallentare, l’aumento della disuguaglianza e dell’ingiustizia sociale, sta facendo un favore soprattutto all’élite, alla crème de la crème del censo, evitando loro, in un tempo non troppo lungo da ora, di raggiungere, a passi lunghi e ben distesi, la Lanterne.

Bottom 90% 66%

Top 10-5% 10%

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2012 peso % dei

segmenti

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b/a % 0,46 1,80 2,82 2,78 3,05 4,49 12,59

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14,00 crescita annua del reddito dei segmenti dal 1983 al 2004

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% 0 2,5 7,5 17,5 20 22,5 25

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aliquote

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Un sistema. Gli studi sull’ineguaglianza nel mondo ci hanno portato ad affacciare questa proposta per prima. Ma si tratta solo di una scheggia di un sistema di ricerca, modellizzazione, previsione e verifica di ipotesi di intervento per governare la lugubre crisi economica, sociale e politica, che stiamo vivendo, insieme a quasi tutto l’Occidente. Insomma, abbiamo messo a punto strumenti scientifici, volti ad agevolare strategie, programmi e piani di intervento sul sistema pubblico. La nostra filosofia è quella dell’ingegneria umanistica. E stiamo uscendo allo scoperto, affrontando per primo l’immane ipercomplesso problema della gestione del debito pubblico. Di lì è venuta l’idea di cominciare con una proposta sui meccanismi di tassazione. Perché, caro Monti, non cominciare anche tu a raccontarcela, come tutti i tuoi predecessori: con lo spread che ci troviamo, un’altra manovra, anzi più di una, dovrai farcela per forza. Potrebbe arrivarci addosso già a primavera, come i Lanzichenecchi, oppure quest’autunno. E sarà dal lato delle entrate, vulgo: più tasse; a meno di dimostrare, in questi giorni, di essere capace di mettere un bel freno alla spesa improduttiva, sconfiggendo privilegi, lobby e un bel numero di malfattori. Se miracolosamente ce la facessi, non accantonare però quest’idea: anzitutto potresti usarla per abbassare le altre tasse di un bel tocco; inoltre vogliamo ricordarti che ti sei impegnato a ridurre il debito e di parecchio, praticamente a dimezzarlo. Leggerci, analizzarci, considerarci farà bene a tutti. Meglio, se ci contesterai. Vuol dire o che siamo fuori dal tunnel o che hai trovato di meglio. Ma che non siano le solite scuse. Le solite scuse. Siamo pronti ad affrontare i maestri dei più pretestuosi e sofistici distinguo. Da noi pullulano. Proviamo ad anticiparli, ma è certo che troveranno di meglio. Li avvisiamo che sono graditi e noi in attesa, pronti a cambiare idea, se ci convincono:

• Obiezioni etiche, provvedimento ingiusto; • Non lo fa nessuno; • Qualcuno si duole; • Chi si duole potrebbe reagire male; • Non passerà mai, sono troppo forti; • Contrastare i dettagli, magari la statistica; • Nuoce all’economia; • Non si regge tecnicamente; • Ignorare. Sopire. Passare oltre.

Provvedimento ingiusto. Non siamo pronti a fronteggiare ragioni giuridiche. Stiamo proponendo una legge incostituzionale? Orrore. È molto probabile che irromperà senza fallo più di un avvocato, soprattutto se leso da un provvedimento del genere, pronto a farci a brandelli, scavando nel mare magnum della nostra legislazione. Help! Dobbiamo premunirci, da subito, qualcuno, che di diritto mastica, potrebbe scendere in nostro soccorso? Anche se la logica ci dice che, avendo la nostra democrazia accettato la progressività della tassazione, forse non stiamo affacciando nessuna distorsione del diritto. Quanto all’etica, speriamo per lui, che nessuno ci accusi della solita demonizzazione dei ricchi, magari opponendo lo stesso sgangherato coro di

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proteste, che si sono levate contro i recenti controlli dell’Agenzia delle Entrate a Cortina. Non siamo contro chi, con merito, senza intrallazzi, si è elevato sugli altri. Gli diamo semplicemente l’occasione di fare qualcosa per la società in cui vive. E, siccome chi ci avverserà, molto probabilmente si professa devoto cristiano, vorremmo ricordargli un Nemico degli abbienti, con la maiuscola, che si è espresso con una splendida immagine: “È più facile che un cammello passi dalla cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno dei Cieli”. Non lo fa nessuno. Ce l’hanno opposta più frequentemente di tutte, questa scusa. Proviamo a tradurla: è un salto nel buio. E allora? Viene voglia della risposta più tranchante del mondo: la nostra economia, e soprattutto la nostra società, non lo sta facendo, proprio adesso, il più azzardato salto nel buio della sua storia repubblicana? E poi non è affatto vero. Ecco la distribuzione delle aliquote di quella che era, con un altro nome, che nessuno ricorda più, l’IRPEF in vigore fra il 1976 e il 1982 (fonte:

http://www.ssef.it/sites/ssef/files/Documenti/Rivista

%20Tributi/Supplemento%201-

%20Libro%20Bianco/LibroBianco6

mega.pdf): • per un

reddito annuo di 50milioni di lire (a Milano era più o meno la media dei giovani

manager rampanti), si

pagava il 42%; • per 100milioni (livello di top manager, commenda e professionisti di

grido), il 48%; • oltre i 550milioni (gli straricchi), il 72%.

Se non era questo un tentativo di combattere la disuguaglianza dei redditi… E non è che si stesse male. C’era il terrorismo, è vero. Ma una società cupa, incavolata, divisa e avviata alla miseria, come questa, nessuno se la sarebbe nemmeno immaginata.

Qualcuno si duole. Lo faccia, ma prima ci segua sul nostro ragionamento. Cerchiamo anzitutto di vedere quanto perde in media ogni segmento.

0%

10%

20%

30%

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60%

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80%

3 5 7.5 11 15 19 25 35 50 80 125 175 250 350 450 550 fino a

Irpef dal 1976 al 1982 (milioni di lire/anno) aliquota

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Si può dire che i dolori sono limitati al 5% delle famiglie? O addirittura all’1%? Per culminare con gli straricchi, che certamente non staccheranno col sorriso sulle labbra un assegno di oltre 350milioni. Possiamo alleggerire le loro pene, ricordando quanti precari dell’Università, quelli che si fanno il mazzo – ce ne sono, ce ne sono – sarebbero sistemati? Oltretutto, se guardano la storia, in fondo non fanno che premunirsi, da quegli stessi straccioni, che presto potrebbero trovarsi a tirar loro le pietre o peggio. E non vogliamo guardare quanto gli rimane comunque? Non sono bruscolini. Anzitutto le posizioni relative tra segmenti restano pressoché invariate:

• il primo dei segmenti Top versa nel proprio conto corrente già quasi il triplo del resto delle famiglie;

• si entra nel 5% con un rapporto di oltre 4 volte, sempre rispetto a tutti gli altri

• nell’1% con quasi 7 volte • culminand

o con più di 75 volte, per gli straricchi.

Ce n’è abbastanza, non soltanto per pagare tutti gli altri balzelli, che il nostro premuroso stato ci impone, ma anche per godersi la vita e

0 50000

100000 150000 200000 250000 300000 350000 400000

Bottom 90%

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Top 0.01%

euro 0 978 4812 19860 34813 86980 352870

2012 contributo medio per contribuente

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Top 0.01%

euro 13958 38144 59350 93626 139253 299598 1058609

2012 reddito residuo medio per contribuente

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perché no, fare in sicurezza degli investimenti, che, con un sistema finanziario finalmente stabile, gli riporteranno in tasca quanto hanno versato per garantirsi la pace sociale. Chi si duole potrebbe reagire male. Che fa? Scappa all’estero? Un pericolo grave. Porterebbe a sottrarre una quota ingente del reddito delle famiglie. Quanto è reale però? Una risposta esauriente richiederebbe di conoscere da vicino la fascia dei redditi Top 10%, quanto meno dei profili ricorrenti. Operazione da fare, ma rinviata più avanti. Per fortuna disponiamo di un discreto surrogato: l’analisi delle componenti del reddito (art4 Italia.

Composizione del reddito). Osserviamo l’ultimo dato storico. Complessivamente il 10% Top basa il suo reddito su stipendi, salari e pensioni. Con le fonti professionali e delle partite IVA sfiora l’80%. Qualche categoria che può emigrare per trovare l’equivalente all’estero indubbiamente c’è, per es. gli sportivi. Ma ce ne importa? Con dolore perderemo qualche Champions League in più, ma la crisi che stiamo vivendo è ben peggio. Gli altri dove trovano una cuccagna come da noi? Manager, professionisti, titolari di servizi. Guardando il nostro panorama non troviamo i Bill Gates, onorati sotto qualunque bandiera. Certo molti avranno la tentazione del domicilio fittizio. Già succede oggi. Ma ci vuole tanto per una legge che lo vieti, imponendo la residenza, dove si percepisce la massima frazione di reddito? Bisogna però essere onesti, ammettendo che la distribuzione delle fonti cambia al crescere del reddito medio. Andiamo a guardare la cuspide della piramide dei ricchi.

62,01 15,79

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stipendi, salari e pensioni

professionisti e partite IVA

utili imprenditoriali

remunerazione capitale

rendite

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Qualcosa cambia, ma non poi tanto. Le prime 2 voci, che non si esportano tanto facilmente, realizzano tuttora 2 terzi del reddito. L’eccezione è sugli utili imprenditoriali, 1 quarto. Teoricamente non c’è bisogno di risiedere nel paese per riscuoterli. Ma in pratica? Con un tessuto di piccole imprese, qual è il nostro, è plausibile che quegli utili paghino un ruolo di management, quanto meno di indirizzamento e controllo. Non facilmente esercitabile a distanza, nonostante Internet. E se spostano l’azienda all’estero? Se possono, lo fanno già. Ma qui è l’economia da aggiustare. E un po’ di soldi in più farebbero comodo. Piuttosto è l’evasione fiscale sempre in agguato. Non c’è dubbio, in effetti, che l’aumento della pressione fiscale produce un aumento della propensione all’evasione. Ma deve ricadere su questa proposta un problema che incombe drammaticamente sull’intera nostra economia. Caro Monti, che tu debba impegnarti su questo piano è fuori di dubbio, perché, se finalmente ci riuscissi, le politiche fiscali si farebbero col sorriso sulle labbra. Quindi perdonaci se abbiamo aggiunto una spina alle tue notti tormentose. Non sarai mica la principessa sul pisello? Non passerà mai, sono troppo forti. Un’opposizione pugnace, cattiva, sleale è da mettere in conto. Oltretutto non scenderà in campo di persona. Mobiliterà le lobby. Avrà a disposizione un esercito di lacchè. Perderemo? Forse sì, perché gli avversari sono, momentaneamente, in parlamento, la maggioranza. Ma sarà così duratura, come la storia e la quotidianità ci dicono? Quanti a nostro favore? In teoria dovrebbero essere il 90, forse il 95%. Parecchi ci verranno meno? Chi si trova bene a servire, chi spera sugli avanzi delle tavole dei ricchi. Quelli fiduciosi che un giorno una lotteria o un talento speciale li porterà in alto. Se sono così tanti da toglierci la maggioranza, vuol dire che il nostro

22,96

41,88

5,7

25,78

3,68 2004. Top 0.01%

stipendi, salari e pensioni

professionisti e partite IVA

utili imprenditoriali

remunerazione capitale

rendite

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paese merita il baratro, che l’aspetta. Se possiamo ancora sperare, forse si troverà un partito, capace di raccogliere il testimone, puntare con fermezza su quell’incirca 90% di contribuenti, con un messaggio preciso e inequivoco, smettendola di contare quanti angeli stanno sulla capocchia di uno spillo. Contrastare i dettagli, magari la statistica. È, fuori di dubbio, la scusa che ci fa più piacere. Perché significa che il nostro avversario si è sgobbato tutti i capitoli precedenti, in particolare il 5 e il 6. Se l’ha fatto, troverà delle imperfezioni, specie nelle extrapolazioni di reddito e di unità contributive, nonché nelle stime del PIL del 2012. Ne siamo consapevoli. Troverà soprattutto che l’accuratezza statistica poteva essere maggiore. Ma non errori marchiani. Comunque si faccia sentire. Emenderemo quanto è migliorabile. Ma ci sembra estremamente improbabile che possano cambiare, se non di inezie, le conclusioni. Nuoce all’economia. È l’obiezione più feroce, perché scava un solco fra giustizia sociale ed economia. Quindi ci prendiamo qualche tempo in più per smontarla, pur restando nei limiti del nostro studio e rinviando ad una dimostrazione generale da fornire, tanto sul piano storico, che quello matematico. Insomma ci mettiamo in gioco sul concetto di progressività della tassazione. Un feticcio da abbattere per il liberismo, dottrina economica, che viene accolta trionfalmente dalla politica negli anni 80 (Thatcher e Reagan) e si diffonde in tutto l’Occidente a notevole velocità. L’assunto è presente nel nocciolo della teoria, la supply side economics, che attribuisce il traino della ricchezza di un paese interamente all’iniziativa individuale, attraverso l’investimento, l’invenzione e l’innovazione, che potrebbero essere paralizzati da un eccesso di tassazione. La curva di Laffer cerca di quantificare la soglia, oltre la quale si riduce il gettito complessivo delle imposte per lo stato, per il subentrare di elusione ed evasione. Eccola (fonte Wikipedia):

Sulle ascisse (orizzontale), l’aliquota di imposizione fiscale; sulle ordinate (verticale), il gettito. Laffer ipotizza un valore ottimo dell’aliquota (t), tale da massimizzare il gettito complessivo dell’imposta (Tmax). Tale valore è sconosciuto e non risulta che lo si sia mai cercato.

Non c’è dubbio che ci sono cose buone nel pensiero di Laffer. È pacifico che a un’imposizione fiscale pari a zero corrisponda un’evasione/elusione nulla. Così un lavoro, o meglio, un reddito, tassato al 100%, dovrebbe tanto azzerare la voglia di impegnarsi in quella attività, quanto rendere massima quella di evasione/elusione. Per cui si può pensare che la propensione a non pagare sia direttamente proporzionale alla severità della tassazione, se cresce la seconda,

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consegue l’aumento della prima. Più che vero. Ma non esauriente. Alla base dell’evasione/elusione stanno parecchi fattori. Ci si permetta di citarci. Una quindicina di anni fa abbiamo studiato la questione, nell’ambito del piccolo dettaglio italiano, per conto di una catena della grande distribuzione. Fattori cruciali (furono dette “cause determinanti”) dell’evasione (le possibilità di elusione a quel livello erano marginali) erano riconosciute in:

• l’aliquota, misura della pressione fiscale;

• la probabilità di essere controllati (letta dalla frequenza nota di ispezioni, da parte dei vari organi preposti);

• la severità delle sanzioni, che andavano allora dalla multa al carcere; • la durata dei processi penali.

Aliquote e processi vennero riconosciuti direttamente proporzionali alla propensione all’evasione, al crescere di essi, ne cresce la voglia. Controllo e sanzioni generano ovviamente un effetto inverso: se crescono, riducono la propensione ad evadere le tasse. Come mostra il diagramma, la pressione fiscale (aliquota) è certamente una bella causa di evasione. Ma non la più incisiva. Spaventa molto di più la probabilità di essere controllati. Mentre, c’è da dire, le sanzioni inducono ad evadere, se non ci sono. Inasprite, non cambiano gran che, rispetto alla voglia di non pagare. Così come l’infinita durata dei processi non incide che marginalmente sui comportamenti. In buona sostanza, tornando a Laffer, gli possiamo senz’altro dare ragione, sottolineandogli però che lo stato possiede diversi robusti mezzi correttivi. Oltretutto, se guardasse con attenzione le nostre curve, scoprirebbe che il nostro paese, più del suo, a dire il vero, si trova, in termini di aliquota, nella parte alta, dove qualche punto in più o in meno fa ben poco effetto sull’evasione fiscale. In altre parole, da noi l’imposizione fiscale è estremamente pesante, se la rivolta fiscale non si è ancora attuata, se l’evasione non è diventata un fenomeno di massa (oddio), poco è ormai dovuto alle aliquote. Al contrario ci sembra di poter affermare, a sensazione, che, nei mezzi di contrasto, ci troviamo decisamente nella parte bassa delle rispettive curve, dove i rendimenti sono alti. Insomma, rinunciare ad un inasprimento di aliquote, che tocca una minima frazione di popolazione, porta poco. Usare il guadagno per combattere l’evasione, porta molto di più. Smontata questa parte, ci resta da affrontare l’altra sfumatura del pensiero liberistico, che una tassazione progressiva sia dannosa per l’economia. Perché discriminatoria. Sarebbe diretta infatti contro gli imprenditori (sic) di maggior successo, per essere utilizzata in favore dei perdenti. Ergo: si danneggiano

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0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

aliquota

controllo

sanzioni

processo

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quelli che rendono il maggiore servizio alla comunità. E il prezzo è l’impoverimento di tutti. Rispondiamo:

• è vero che la spettacolare conquista di ricchezza in Occidente, nel dopoguerra, sulla quale continuiamo a misurare la qualità della vita, è dovuta incomparabilmente di più alla sfera privata che a quella pubblica; ai talenti individuali in particolare;

• siamo però ancora in quella situazione? Non siamo forse passati dall’ascesa alla discesa? E i talenti in questione (tra i quali gli imprenditori non sono certo la maggioranza) dove sono finiti, dagli anni 80 in poi, se si escludono i bambini prodigio dell’economia digitale? Del tutto insufficienti a cambiare l’indubitabile corsa al declino dell’Occidente;

• e non si dica che la colpa è della tassazione progressiva; da Reagan a Clinton, per finire con Bush, questo istituto ha subito colpi sempre più forti; ne abbiamo dato atto nel primo articolo di questa serie, dove si dimostrava che, negli USA, i ricchi, dal 1992 in poi, hanno visto una bella riduzione delle tasse sul reddito, mentre l’economia del paese, di bolla in bolla, si avviava allo stato comatoso odierno;

• ecco comunque come si è modificata la progressività per i diversi segmenti di popolazione (fonte: How Progressive is the U.S. Federal Tax System? A Historical and International Perspective, Thomas Piketty and Emmanuel Saez)

• rispetto al 1960, nel 1980 si registra un appiattimento complessivo, che continua nel 2004,

• nell’ultimo anno però, è ancora meglio visibile, l’erosione di progressività a favore dell’1% più ricco di popolazione e la riduzione delle aliquote; sono gli anni del secondo Bush, che si conquista la rielezione, nonostante le gravi topiche in politica estera e la sanguinosa sconfitta in Iraq; però apre la strada di una crisi forse irreversibile;

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1960 1980 2004

Full population

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• in larga misura quelle politiche le abbiamo seguite a ruota; il risultato è che l’Europa e noi siamo in una situazione complessiva anche peggiore;

• ecco il confronto con gli americani (2004) di Francia (2006) e Gran Bretagna (2000) per le aliquote sul reddito (in senso lato, cioè nei termini di questa ricerca); la fonte è la stessa di prima;

• la Francia conserva una certa progressività; qualcuno direbbe punitiva nei confronti dei ricchi, com’è visibile dall’aumento della pendenza della curva; la sta pagando? Tutto si può dire, ma che l’economia francese sia stata penalizzata in questi anni più di quella britannica, che la progressività l’ha attenuata fortemente, sarebbe molto ardito affermarlo;

• e noi? Uno studio del genere ce lo ripromettiamo a breve; per ora osserviamo gli scaglioni IRPEF in vigore prima di Monti:

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United States France United Kingdom

Full population

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<=15mila <=28mila <=55mila <=75mila oltre 75mila

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IRPEF Italia

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• a prima vista, quantomeno dal 2000, siamo più vicini alla Gran Bretagna che alla Francia; guardando il nostri debito e i nostri tassi di sviluppo sostenere che la progressività sia un danno per l’economia può venire solo da chi ha la faccia come il sedere;

• per concludere, tornando a un argomento già sviluppato, pensare che toccati nel portafoglio, in modo impari, rispetto ai comuni mortali, non solo porti a strillare i grandi capitani d’industria, ma li metta anche in fuga o li induca incrociare le braccia, è plausibile, ma il guaio è che non ci sono o funzionano parecchio male;

• quanto poi a temere di spegnere la fucina dei talenti del nostro paese, ci ricordiamo che lo stiamo già facendo, avvilendo la scuola e azzerandogli le opportunità; non sarebbe ora che li mettessimo nelle condizioni di fiorire, pareggiando le probabilità di affermarsi, non avvantaggiando chi sta già sopra, premiando davvero il merito e non i raccomandati;

• infine, mi permetto un’esperienza: non mi risulta un giovane in carriera (nel senso più lato del termine) sia mai stato frenato da ragioni di soldi; certo, li abbiamo cercati tutti, ma prima il nostro motore era la ricerca di qualcosa per cambiare il mondo; in più di un caso avremmo pagato noi per farlo; guardando i miei gruppi di lavoro, non trovo niente di diverso.

Non si regge tecnicamente. In una parola non si riesce a dare un volto ai diversi segmenti di reddito. Ce lo ha spiegato un fiscalista in questi termini: con quest’idea si mettono insieme e si cumulano redditi di natura diversa, che comportano difficoltà insormontabili. Lo ringraziamo di cuore, riportando i suoi appunti, ma vi aggiungiamo le nostre osservazioni:

• anzitutto si tratta di redditi già tassati; e con aliquote diverse non solo sul piano del calcolo, ma anche concettuale; non c’è dubbio, ma che sarà mai? Non si può fare una legge nuova, al limite senza disturbare le vecchie?

• i differenti redditi portano a diversi archivi della pubblica amministrazione, creando un problema diabolico a raggrupparli; addirittura ci sarebbero parecchi depositi cartacei, non informatizzati; qui è più difficile credergli, con i peana e i soldi profusi nella digitalizzazione della pubblica amministrazione; se avesse ragione, sarebbe opportuno un bando verso gli innumerevoli smanettoni del computer, che forse accetterebbero un contratto a tempo, anche per mancanza di altre alternative;

• comunque è balordo dare un volto ai segmenti; la risposta: Piketty, Saez e compagnia bella, le fonti principali della nostra ricerca, ripetutamente citate, che hanno fatto? se non campionare data base esistenti; basta ripercorrerne le orme, con un potere in più, quello di tirare fuori nomi, indirizzi, codici fiscali, ecc. e il gioco è fatto.

Ignorare. Sopire. Passare oltre. È il nostro destino. Molto probabile. Ma ci siamo divertiti. E non smetteremo di occuparci delle ineguaglianze. (continua)