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È stata fra i principali artefici della scoperta del bosone di Higgs, Fabiola Gianotti è il nuovo direttore generale del Cern di Ginevra. Eletta a larga mag- gioranza , Gianotti succede a Rolf-Dieter Heuer alla guida del laboratorio euro- peo di fisica delle particelle - il più im- portante a livello internazionale - pres- so il quale lavora dal 1987. Guiderà 12 mila ricercatori, provenienti da più di 100 Paesi. Fabiola Gianotti assumerà uf- ficialmente l’incarico il 1 gennaio 2016. Incarico che durerà cinque anni. U na premessa, innanzitutto: non vado, affatto, pazzo per i son- daggi, il più delle volte mi infa- stidiscono, per ragioni molto sempli- ci. In primo luogo, perché in democra- zia contano i voti, non le semplici ricer- che d’opinione. In secondo luogo, per- ché, in passato, in diverse circostan- ze, i sondaggisti hanno preso cantona- te madornali, costringendo anche qual- che quotidiano a tornare in stampa per rifare la prima pagina. Infine, perché, ai giorni nostri, gli uomini politici, da noi come altrove, non prendono più alcuna decisione se prima non hanno il confor- to d’un sondaggio. Berlusconi, per men- zionarne uno, cambia opinione conti- nuamente sulla base degli spostamen- ti delle percentuali risultanti da tali ri- cerche (l’ultimo dietrofront è quello sul- le coppie di fatto e ius soli), prenden- do esempio da un uomo politico di tan- ti anni fa, che diceva: «Sono il loro ca- po, quindi li seguo.» Il guaio è che pro- prio perché i leaders hanno nella mas- sima considerazione i sondaggi, alme- no uno sguardo a quei numeri dobbia- mo darlo anche noi per poter analizza- re i fatti politici. Chiarito questo punto, sarà facile al lettore comprendere per- ché oggi riporto alcune cifre pubblicate, giorni fa, dall’istituto Demos & Pi, per il quotidiano Repubblica, secondo le quali Matteo Renzi resta l’uomo politico che raccoglie maggiore fiducia in Italia, ma perde 10 punti, mentre al secondo po- sto, con il 30%, si piazza Matteo Salvini, segretario federale della Lega Nord, alla quale viene assegnato l’11% di consen- si. Il divario tra i due, comunque, rima- ne ampio, circa 20 punti, che non è pro- prio poca cosa, ma Salvini vede cresce- re considerevolmente i suoi estimatori anche al Sud, fino al 30%. Il Pd scende dal 41% al 36%. Un altro sondaggio della Lorien Consulting, pub- blicato da Italia Oggi, conferma il calo del Pd, il 50% di popolarità per Matteo Renzi ed assegna alla Lega l’8,5%, co- munque più del doppio di quanto pren- desse poco tempo fa. Che siano atten- dibili o no tali risultati poco importa, perché sono bastati a mettere in allar- me Berlusconi ed a dare coraggio al se- gretario federale della Lega Nord, che ora dice esplicitamente di volere la lea- dership di tutto il centrodestra. Un fatto inimmaginabile solo due mesi fa e tale da scompaginare il progetto dello stes- so Berlusconi e riaprire i giochi nello schieramento che per vent’anni ha con- teso il governo nazionale al centrosini- stra. Qui, ora interessa poco quali possano essere gli sviluppi della situazione che ho appena tratteggiato, è molto più im- portante analizzare i dati oggettivi. Co- sa ha determinato il successo persona- le e politico di Salvini? Perché, come ri- feriscono le cronache, la Lega, di que- sti tempi, fa proseliti anche nel meridio- ne? Il giovane leader leghista sta pro- vando a “nazionalizzare” il suo partito, a farne, cioè, una forza politica italiana, sta cercando di portarlo al di sotto del- la “linea gotica”, operazione che più vol- te Bossi aveva tentato, ma senza suc- cesso (e, probabilmente, senza neppu- re crederci). Conquistare i meridionali alla causa del federalismo si è rivelato molto difficile; si consideri, inoltre, che la prospettiva dell’autonomia non po- teva fare molto presa in una grande re- gione come la Sicilia, che ha già uno sta- tuto speciale. Salvini poteva “sbarcare” al sud solo mostrando di avere una vi- sione nazionale, non più nordista, del- la crisi italiana. Ha posto al centro del suo programma due proposte: ritorno alla valuta nazionale e lotta all’immigra- zione clandestina (ma sul concetto di “clandestino” occorrerebbe intendersi, i siriani, per esempio, in questo perio- do sono da considerare, in realtà, rifu- giati). Anche Bossi sosteneva una poli- tica di contrasto all’immigrazione, ma ciò non gli è mai bastato a prendere vo- ti da Bologna in giù. La carta vincente di Salvini, dunque, è stata la lotta all’euro, con la quale ha potuto anche avvicina- re alla Lega economisti come Borghi, Ri- naldi e (forse) Bagnai. La Lega non chie- de più la secessione del nord dall’Ita- lia, ma dell’Italia dall’eurozona. Un argo- mento che può essere compreso e so- stenuto anche da calabresi, campani, si- ciliani..., dato che al sud l’austerità im- posta dall’Unione europea è stata ancor più devastante che nel settentrione. Se non è una mutazione genetica della Le- ga, ci si avvicina. Ma, come ogni opera- zione politica che si rispetti, è soggetta a rischi. In alcune regioni del nord, so- prattutto il Veneto, sussistono pulsioni secessionistiche, una parte consistente dell’elettorato leghista è avversa all’Ita- lia, più che all’Unione europea. Così, a Salvini toccano due parti in commedia: deve fare il nazionalista al sud e soste- nere i separatisti al nord. Una situazione ambigua che non può trascinarsi a lun- go. Un giorno o l’altro dovrà scegliere. La politica ha i suoi tempi, questo è ve- ro, ma nessun leader può traccheggiare all’infinito. [email protected] Poste Italiane spa - spedizione in a.p. - D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46 ) art. 1 comma 1, 2 e 3 DCB Chieti Taxe Perçue - Tassa Riscossa Poste FF. SS. 65100 Pescara - ITALIA www.abruzzomondo.it e-mail: [email protected] tel. 085 2056563 - 085 27276 PERIODICO DEGLI ABRUZZESI ANNO XXXII - n° 6 DICEMBRE 2014 Via Campania, 12 - 65122 PESCARA RETOUR CHIETI ITALIA In caso di mancato recapito inviare al CMP di Chieti per la restituzione al mittente previo pagamento “resi” AUT. TRIB. DI PESCARA N.2/83 - ISSN 0394-6029 ITALY di Mauro Ammirati Va' dove ti porta il sondaggio...? Il Gigante ha deciso. Dilma Roussef è ancora Presidente del Brasile L e recenti elezioni presidenziali in Bra- sile, concluse con la vittoria di misura di Dilma Roussef, sono state fra le più incerte e combattute della storia repubbli- cana del Paese. Continuidade o Mudança, reclamavano i due schieramenti: da una parte la richiesta del voto per procedere nelle politiche avviate dal Presidente Lula e riprese dalla Roussef nel suo primo manda- to, dall'altra l'appello al cambiamento per dare nuovo impulso all'economia stagnante e spezzare quella che Aécio Neves, il can- didato dell'opposizione, definiva una vera e propria occupazione manu militari del potere, caratterizzata da metodi populisti, paternalismo, corruzione. Analisi e commenti, numerosissimi sia all'interno che a livello internazionale, han- no sviscerato il voto nelle sue componenti regionali, di sesso, di razza, di collocazione socio-economica, di livello culturale dell'e- lettorato. L'attenzione con cui l'evento è stato seguito dai media di tutto il mondo è il segno dei nuovi equilibri di potenza nello scacchiere globale, dove il Brasile si presen- ta oggi come player di primaria importanza. Per tentare di cogliere più a fondo il sen- so di ciò che è avvenuto, sarà opportuno ri- percorrere brevemente le tappe della storia repubblicana del Brasile. La Repubblica nacque nel 1889 in seguito al golpe militare del 15 novembre, che ab- battè il regime monarchico e costrinse all'e- silio l'imperatore D. Pedro II, sua moglie, la napoletana Teresa Cristina di Borbone, e il resto della famiglia. Modellata sull'esempio federativo degli Stati Uniti d'America, nella sua prima fase il potere fu gestito secondo rigidi criteri oligarchici, in alternanza fra i Presidenti dei due Stati più ricchi, São Pau- lo e Minas Gerais. Era la cosiddetta “políti- ca del caffellatte”: i fazendeiros paulisti del caffé, che vivevano il periodo aureo della massima espansione di produzione e ven- dita del prodotto, si alleavano alle élites dei mineiros, grandi proprietari di allevamenti di bestiame. La crisi del '29 provocò la fine della Pri- ma Repubblica. Crollati i consumi e quindi i prezzi del caffè nei mercati internaziona- li, venivano a mancare le basi del patto sul quale s'era fondata fino a quel momento la gestione política del Paese; nuovi soggetti chiedevano a gran voce spazio e potere, in particolare i rappresentanti degli stati ELEZIONI IN BRASILE Dilma Roussef rieletta alla presidenza del Brasile Fabiola Gianotti è il nuovo direttore del Cern di Ginevra a pag. 6 a pag. 7 Buon Natale da Tonia Orlando: la "Squilla" di Lanciano ai Frentani e Abruzzesi nel mondo Le elezioni dei Comites posticipate dal Consiglio dei Ministri al 17 aprile 2015 Q uando l’astro Barack Obama era vicino al suo zenit, la moglie Michelle pronunciò una fra- se che ricordo bene: “Se ri- usciamo a portare i neri alle urne, cambieremo la storia degli USA”. Sì il fatto è che bisogna riuscire a portarceli sempre, a ogni tornata elet- torale, non solo per le elezio- ni presidenziali. La base elet- torale vincente di Obama è composta principalmente da ispanici, afroamericani e giovani, gente distratta dal vivere quotidiano, che si re- ca poco alle urne, partecipe sì, ad una tornata elettorale per la presidenza, ma non al- trettanto ad una elezione di mezzo termine che rinnova una parte del parlamento, meno emozionante e trasci- nante di una elezione presi- denziale. Con un PIL che cresce al 3.50 % all’anno, la disoccu- pazione che diminuisce con la creazione di 220.000 oc- cupati in più al mese da ses- santa mesi, oggi gli elettori rimproverano al presidente di aver lasciato indietro le classi medie, e che la cresci- ta riguarda solo una ristret- ta fascia della popolazione. Gli rimproverano inoltre la politica estera. Le immagini orripilanti, scioccanti dei tagliagole all’opera, devono aver avuto un forte impatto sugli elettori americani. L’America di nuovo si tinge di rosso, ritornano i repub- blicani, fieramente avversi alla riforma democratica delle assicurazioni sanitarie, che hanno combattuto con tutti i mezzi a loro disposizio- ne. Anche la salute è parte del libero mercato che crea ricchezza senza alcuna inter- ferenza da parte dello stato. Lo stato è il problema, non la soluzione, secondo loro, sor- volando su quanto danaro pubblico è stato necessario per rimettere in moto l’eco- nomia americana. Mi sem- bra aperta la via alla nota alternativa di governo, tipica della politica americana. Chi sarà il prossimo Presidente? Chi sono oggi gli astri na- scenti nel cielo americano, gli aspiranti alla leadership dei partiti? Per i democratici l’a- stro brilla da parecchio tem- po, la leadership del Partito Democratico è saldamente nelle mani della stella fissa Hillary Rodham, ormai ses- santenne, sulla breccia da tanto tempo, otto anni alla Casa Bianca come moglie di Bill Clinton. Sconfitta da Barack Oba- ma nelle primarie del 2008, al termine della presidenza Bush ed all’inizio della crisi profonda di fallimenti di ban- che e disoccupazione, Hillary aveva un programma tutto basato su misure di crescita delle classi medie. Chissà se può ancora es- sere utile rispolverarlo oggi. Riuscirà il suo astro, o quel- lo di un altro democratico, a compiere il percorso verso lo zenit ed attuare misure di crescita più estese, che riguardino fasce più ampie della popolazione? di Emanuela Medoro Il movimento degli astri negli USA Barack Obama abbraccia sua moglie Michelle continua a pag. 8 continua a pag. 4

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È stata fra i principali artefici della scoperta del bosone di Higgs, Fabiola Gianotti è il nuovo direttore generale del Cern di Ginevra. Eletta a larga mag-gioranza , Gianotti succede a Rolf-Dieter Heuer alla guida del laboratorio euro-peo di fisica delle particelle - il più im-portante a livello internazionale - pres-so il quale lavora dal 1987. Guiderà 12 mila ricercatori, provenienti da più di 100 Paesi. Fabiola Gianotti assumerà uf-ficialmente l’incarico il 1 gennaio 2016. Incarico che durerà cinque anni.

Una premessa, innanzitutto: non vado, affatto, pazzo per i son-daggi, il più delle volte mi infa-

stidiscono, per ragioni molto sempli-ci. In primo luogo, perché in democra-zia contano i voti, non le semplici ricer-che d’opinione. In secondo luogo, per-ché, in passato, in diverse circostan-ze, i sondaggisti hanno preso cantona-te madornali, costringendo anche qual-che quotidiano a tornare in stampa per rifare la prima pagina. Infine, perché, ai giorni nostri, gli uomini politici, da noi come altrove, non prendono più alcuna decisione se prima non hanno il confor-to d’un sondaggio. Berlusconi, per men-zionarne uno, cambia opinione conti-nuamente sulla base degli spostamen-ti delle percentuali risultanti da tali ri-cerche (l’ultimo dietrofront è quello sul-le coppie di fatto e ius soli), prenden-do esempio da un uomo politico di tan-ti anni fa, che diceva: «Sono il loro ca-po, quindi li seguo.» Il guaio è che pro-prio perché i leaders hanno nella mas-sima considerazione i sondaggi, alme-no uno sguardo a quei numeri dobbia-mo darlo anche noi per poter analizza-re i fatti politici. Chiarito questo punto, sarà facile al lettore comprendere per-ché oggi riporto alcune cifre pubblicate, giorni fa, dall’istituto Demos & Pi, per il quotidiano Repubblica, secondo le quali Matteo Renzi resta l’uomo politico che raccoglie maggiore fiducia in Italia, ma perde 10 punti, mentre al secondo po-sto, con il 30%, si piazza Matteo Salvini, segretario federale della Lega Nord, alla quale viene assegnato l’11% di consen-si. Il divario tra i due, comunque, rima-ne ampio, circa 20 punti, che non è pro-prio poca cosa, ma Salvini vede cresce-re considerevolmente i suoi estimatori anche al Sud, fino al 30%.

Il Pd scende dal 41% al 36%. Un altro sondaggio della Lorien Consulting, pub-blicato da Italia Oggi, conferma il calo del Pd, il 50% di popolarità per Matteo Renzi ed assegna alla Lega l’8,5%, co-munque più del doppio di quanto pren-desse poco tempo fa. Che siano atten-dibili o no tali risultati poco importa, perché sono bastati a mettere in allar-me Berlusconi ed a dare coraggio al se-gretario federale della Lega Nord, che ora dice esplicitamente di volere la lea-dership di tutto il centrodestra. Un fatto inimmaginabile solo due mesi fa e tale da scompaginare il progetto dello stes-so Berlusconi e riaprire i giochi nello schieramento che per vent’anni ha con-teso il governo nazionale al centrosini-stra.

Qui, ora interessa poco quali possano essere gli sviluppi della situazione che ho appena tratteggiato, è molto più im-portante analizzare i dati oggettivi. Co-sa ha determinato il successo persona-le e politico di Salvini? Perché, come ri-feriscono le cronache, la Lega, di que-sti tempi, fa proseliti anche nel meridio-ne? Il giovane leader leghista sta pro-vando a “nazionalizzare” il suo partito, a farne, cioè, una forza politica italiana, sta cercando di portarlo al di sotto del-la “linea gotica”, operazione che più vol-te Bossi aveva tentato, ma senza suc-cesso (e, probabilmente, senza neppu-re crederci). Conquistare i meridionali alla causa del federalismo si è rivelato molto difficile; si consideri, inoltre, che la prospettiva dell’autonomia non po-teva fare molto presa in una grande re-gione come la Sicilia, che ha già uno sta-tuto speciale. Salvini poteva “sbarcare” al sud solo mostrando di avere una vi-

sione nazionale, non più nordista, del-la crisi italiana. Ha posto al centro del suo programma due proposte: ritorno alla valuta nazionale e lotta all’immigra-zione clandestina (ma sul concetto di “clandestino” occorrerebbe intendersi, i siriani, per esempio, in questo perio-do sono da considerare, in realtà, rifu-giati). Anche Bossi sosteneva una poli-tica di contrasto all’immigrazione, ma ciò non gli è mai bastato a prendere vo-ti da Bologna in giù. La carta vincente di Salvini, dunque, è stata la lotta all’euro, con la quale ha potuto anche avvicina-re alla Lega economisti come Borghi, Ri-naldi e (forse) Bagnai. La Lega non chie-de più la secessione del nord dall’Ita-lia, ma dell’Italia dall’eurozona. Un argo-mento che può essere compreso e so-stenuto anche da calabresi, campani, si-ciliani..., dato che al sud l’austerità im-posta dall’Unione europea è stata ancor più devastante che nel settentrione. Se non è una mutazione genetica della Le-ga, ci si avvicina. Ma, come ogni opera-zione politica che si rispetti, è soggetta a rischi. In alcune regioni del nord, so-prattutto il Veneto, sussistono pulsioni secessionistiche, una parte consistente dell’elettorato leghista è avversa all’Ita-lia, più che all’Unione europea. Così, a Salvini toccano due parti in commedia: deve fare il nazionalista al sud e soste-nere i separatisti al nord. Una situazione ambigua che non può trascinarsi a lun-go. Un giorno o l’altro dovrà scegliere. La politica ha i suoi tempi, questo è ve-ro, ma nessun leader può traccheggiare all’infinito.

[email protected]

Poste Italiane spa - spedizione in a.p. - D.L. 353/03(conv. in L. 27/02/2004 n° 46 ) art. 1 comma 1, 2 e 3 DCB Chieti

Taxe Perçue - Tassa RiscossaPoste FF. SS.

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tel. 085 2056563 - 085 27276

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ITALY

di Mauro Ammirati

Va' dove ti portail sondaggio...?

Il Gigante ha deciso. Dilma Roussefè ancora Presidente del Brasile

Le recenti elezioni presidenziali in Bra-sile, concluse con la vittoria di misura di Dilma Roussef, sono state fra le più

incerte e combattute della storia repubbli-cana del Paese. Continuidade o Mudança, reclamavano i due schieramenti: da una parte la richiesta del voto per procedere nelle politiche avviate dal Presidente Lula e riprese dalla Roussef nel suo primo manda-to, dall'altra l'appello al cambiamento per dare nuovo impulso all'economia stagnante e spezzare quella che Aécio Neves, il can-didato dell'opposizione, definiva una vera e propria occupazione manu militari del potere, caratterizzata da metodi populisti, paternalismo, corruzione.

Analisi e commenti, numerosissimi sia all'interno che a livello internazionale, han-no sviscerato il voto nelle sue componenti regionali, di sesso, di razza, di collocazione socio-economica, di livello culturale dell'e-

lettorato. L'attenzione con cui l'evento è stato seguito dai media di tutto il mondo è il segno dei nuovi equilibri di potenza nello scacchiere globale, dove il Brasile si presen-ta oggi come player di primaria importanza.

Per tentare di cogliere più a fondo il sen-so di ciò che è avvenuto, sarà opportuno ri-percorrere brevemente le tappe della storia repubblicana del Brasile.

La Repubblica nacque nel 1889 in seguito al golpe militare del 15 novembre, che ab-battè il regime monarchico e costrinse all'e-silio l'imperatore D. Pedro II, sua moglie, la napoletana Teresa Cristina di Borbone, e il resto della famiglia. Modellata sull'esempio federativo degli Stati Uniti d'America, nella sua prima fase il potere fu gestito secondo rigidi criteri oligarchici, in alternanza fra i Presidenti dei due Stati più ricchi, São Pau-lo e Minas Gerais. Era la cosiddetta “políti-ca del caffellatte”: i fazendeiros paulisti del caffé, che vivevano il periodo aureo della massima espansione di produzione e ven-dita del prodotto, si alleavano alle élites dei mineiros, grandi proprietari di allevamenti di bestiame.

La crisi del '29 provocò la fine della Pri-ma Repubblica. Crollati i consumi e quindi i prezzi del caffè nei mercati internaziona-li, venivano a mancare le basi del patto sul quale s'era fondata fino a quel momento la gestione política del Paese; nuovi soggetti chiedevano a gran voce spazio e potere, in particolare i rappresentanti degli stati

ELEZIONI IN BRASILE

Dilma Roussef rieletta alla presidenza del Brasile

Fabiola Gianottiè il nuovo direttore del Cern di Ginevra

a pag. 6

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Buon Natale da Tonia Orlando: la "Squilla"di Lanciano ai Frentanie Abruzzesi nel mondo

Le elezioni dei Comites posticipate dalConsiglio dei Ministri al 17 aprile 2015

Quando l’astro Barack Obama era vicino al suo zenit, la moglie

Michelle pronunciò una fra-se che ricordo bene: “Se ri-usciamo a portare i neri alle urne, cambieremo la storia degli USA”. Sì il fatto è che bisogna riuscire a portarceli sempre, a ogni tornata elet-torale, non solo per le elezio-ni presidenziali. La base elet-torale vincente di Obama è composta principalmente da ispanici, afroamericani e giovani, gente distratta dal vivere quotidiano, che si re-ca poco alle urne, partecipe sì, ad una tornata elettorale per la presidenza, ma non al-trettanto ad una elezione di mezzo termine che rinnova una parte del parlamento, meno emozionante e trasci-nante di una elezione presi-denziale.

Con un PIL che cresce al 3.50 % all’anno, la disoccu-pazione che diminuisce con la creazione di 220.000 oc-cupati in più al mese da ses-santa mesi, oggi gli elettori rimproverano al presidente di aver lasciato indietro le classi medie, e che la cresci-ta riguarda solo una ristret-ta fascia della popolazione. Gli rimproverano inoltre la politica estera. Le immagini orripilanti, scioccanti dei tagliagole all’opera, devono aver avuto un forte impatto sugli elettori americani.

L’America di nuovo si tinge di rosso, ritornano i repub-blicani, fieramente avversi alla riforma democratica del le assicurazioni sanitarie, che hanno combattuto con tutti i mezzi a loro disposizio-ne. Anche la salute è parte del libero mercato che crea

ricchezza senza alcuna inter-ferenza da parte dello stato. Lo stato è il problema, non la soluzione, secondo loro, sor-volando su quanto danaro pubblico è stato necessario per rimettere in moto l’eco-nomia americana. Mi sem-bra aperta la via alla nota alternativa di governo, tipica della politica americana. Chi sarà il prossimo Presidente?

Chi sono oggi gli astri na-scenti nel cielo americano, gli aspiranti alla leadership dei partiti? Per i democratici l’a-stro brilla da parecchio tem-po, la leadership del Partito Democratico è saldamente nelle mani della stella fissa Hillary Rodham, ormai ses-santenne, sulla breccia da tanto tempo, otto anni alla Casa Bianca come moglie di Bill Clinton.

Sconfitta da Barack Oba-ma nelle primarie del 2008, al termine della presidenza Bush ed all’inizio della crisi profonda di fallimenti di ban-che e disoccupazione, Hillary aveva un programma tutto basato su misure di crescita delle classi medie.

Chissà se può ancora es-sere utile rispolverarlo oggi. Riuscirà il suo astro, o quel-lo di un altro democratico, a compiere il percorso verso lo zenit ed attuare misure di crescita più estese, che riguardino fasce più ampie della popolazione?

di Emanuela Medoro

Il movimento degli astri negli USA

Barack Obama abbraccia sua moglie Michelle

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2 DICEMBRE 2014ABRUZZO NEL MONDO

“Non credo ci sia una teoria co-smologica de-

finitiva, ma infinite ipote-si che inglobano via via le precedenti. Lo spettaco-lo non finirà mai”(Tullio Regge). Arrivederci, Pro-fessor Regge. “Italians do it better”, recita un anti-co slogan stampato sulle magliette degli Anni No-vanta, il secolo scorso “breve”. A “farlo meglio” è una categoria inaspet-tata, quella degli Astrofisi-ci e dei Genetisti. E ad as-sicurare in cassaforte per sempre la performance degli scienziati del primo tipo, è stato sicuramen-te il grande Fisico italiano Tullio Regge scomparso a 83 anni, Giovedì 23 Otto-bre 2014. Regge, fisico te-orico e matematico italia-no, Accademico dei Lin-cei (www.lincei.it/), i cui lavori hanno dato con-tributi fondamentali alla Scienza a livello mondia-le, si era laureato a Tori-no per poi conseguire il PhD a Rochester negli Sta-ti Uniti d’America.

Alla fine degli Anni Cin-quanta, Tullio Regge in-troduce nella Teoria de-gli urti i momenti angola-ri complessi. L’idea por-ta all’introduzione nella Fisica delle particelle del concetto di Poli di Regge, che è ancora importante nella Fisica delle intera-zioni forti, quelle esisten-ti tra i Quark nei Protoni, nei Neutroni e nei Mesoni. All’inizio degli Anni Ses-santa, il Professore No-stro inventa il cosiddet-to Calcolo di Regge nel-la Relatività Generale di Einstein, basato sulla “di-scretizzazione” dello spa-ziotempo. Anche questa fu una sua geniale idea an-cora molto importante e utilizzata. Il Professore si occupa poi di vari proble-mi di Relatività Generale, di sistemi quantistici vin-colati, di vortici quantisti-ci e di Supergravità. Stu-dia le simmetrie matema-tiche di molecole a forma icosaedrica, prima che venisse scoperto il famo-so Fullerene.

Regge scrive anche im-portanti lavori sulla Teo-ria dei gruppi. È per mol-ti anni membro dell’Insti-tute for Advanced Study di Princeton. “Con Tullio Regge la fisica italiana, in particolare, e la Fisica te-orica mondiale, più in ge-nerale, perdono uno dei grandi protagonisti che – osserva Antonio Masiero, fisico teorico e vicepresi-dente dell’Infn – ha ope-rato proprio a cavallo del-le due grandi rivoluzio-ni della Fisica teorica del secolo scorso: la Relativi-tà Generale e la Meccani-ca Quantistica”. I due pila-stri del futuro volo inter-stellare.

“Per la Meccanica Quan-tistica – rivela Masiero – Regge ha suggerito una teoria veramente innova-tiva per descrivere le for-ze nucleari forti tra par-ticelle, nota come Teoria dei Poli di Regge, e questa ha dato l’avvio poi al Mo-dello di Gabriele Venezia-no che, a sua volta, ha fa-

vorito lo sviluppo della Teoria delle Stringhe. Nel campo della Relatività Ge-nerale, Regge ha formula-to un nuovo modo di ri-solvere l’Equazione di Einstein sull’evoluzione dell’Universo con la Teo-ria della gravità discreta”. Inoltre, insieme al famoso scienziato John Archibald Wheeler, Regge ha dato contributi fondamentali allo studio dei buchi neri, in particolare con l’equa-zione nota come Equazio-ne di Regge-Wheeler.

È giusto ricordare che Regge “oltre che grande studioso e fisico teorico, ha sempre curato mol-to l’aspetto della divulga-zione scientifica, alla qua-le si è dedicato con talen-to e passione, producen-do un gran numero testi divulgativi che sono stati per molti giovani, tra cui mi conto anch’io, impor-tanti per avvicinarli e inte-ressarli al mondo della Fi-sica”. Personaggio dotato di grande intraprenden-za ed eclettismo, oltre al-la sua passione per la Fisi-ca, Tullio Regge ha curato molti altri interessi. È sta-to uno dei pionieri della Computer Art e anche un designer, un attivista poli-tico e un tenace combat-tente per i diritti dei disa-bili. Innumerevoli e pre-stigiosi i riconoscimenti ricevuti: la Medaglia Ein-stein nel 1979, la Medaglia Cecil Powell della Società Europea di Fisica, la Me-daglia Dirac. Per il gran-de pubblico Tullio Reg-ge rimarrà scolpito nella memoria come il Profes-sore che tutti avremmo scelto, come colui che ha cambiato la divulgazione scientifica (cf. libro “Infi-nito”) in Italia insieme al giornalista Piero Angela. Quando nel 1980 Regge lascia gli Usa per tornare nel Belpaese, prima pro-fessore all’Università di Torino, poi al Politecnico, gli accademici snobbano i colleghi che scrivono sui giornali. Regge, provenen-do da una cultura anglo-sassone, non teme la sfi-da divulgativa spiegando la Scienza in modo sem-plice, con le parole del popolo. Incomincia così a raccontare la Fisica e, do-po alcuni anni, si afferma come opinion leader fir-mando editoriali su qual-siasi tema culturale di in-teresse pubblico come l’energia nucleare di pace, fondamentale per l’indi-pendenza energetica, eco-nomica e politica di una nazione. Alcuni ricerca-tori della Michigan State

University, autori di uno studio appena pubblica-to su Bioscience, confer-mano le previsioni di Reg-ge. Il lavoro dell’Universi-tà statunitense esplora il paradosso che vede mol-ti uomini di scienza con-dividere pubblicamente i risultati tramite riviste scientifiche e di settore, senza però condividere i dati su cui si fondano gli studi. Trasparenza sì, ma non sempre fino in fon-do. Regge invitava a non fidarsi ciecamente degli scienziati. A mettere tutto il loro lavoro in discussio-ne, ma senza pregiudiziali di colpevolezza.

Rendere pubblici i ri-sultati di uno studio met-tendo a disposizione da-ti e scoperte a tutta la co-munità di ricercatori, sen-za temere la concorren-za altrui, è il primo dei se-greti nell’evoluzione nella Scienza.

Il team dell’Università del Michigan promuove Astro-fisici e Genetisti, campioni di generosità con i colleghi di ogni nazione sulla Terra, senza barriere ideologiche. Viene bocciata, invece, la cultura ecologista, colpe-vole di omertà nei confron-ti di una Comunità scienti-fica universale della Ricer-ca che, quanto mai come ora, ha bisogno di lavora-re nelle migliori condizio-ni possibili per produrre ri-sultati apprezzabili. In regi-me di Democrazia e Liber-tà. C’è ancora parecchia strada da fare nelle più grandi Democrazie.

“Uno dei motivi per cui si tende a non condivide-re i dati di una ricerca è la paura che un altro scien-ziato possa farti le scar-pe – avverte Patricia So-ranno, scienziata del Mi-chigan State University AgBioResearch – ma solo quando sono disponibili tutti gli elementi si gioca sullo stesso campo di gio-co. È a carte scoperte che si può lavorare meglio, con più persone, aumen-tando l’impatto che si ha dal punto di vista scien-tifico. Pensate ai pro-gressi compiuti nel cam-po dell’Astrofisica e del-la Genomica, si procede con un ritmo senza pre-cedenti, e assistiamo a ri-cadute su molti altri cam-pi di ricerca”.

La Scienza è forte se è di tutti, senza gabbie, vinco-li e segreti. Le cose stanno cambiando. È il momento di fare il salto di qualità. Grazie, Professor Tullio Regge.

Nicola [email protected]

La Supergravità del grandefisico italiano Tullio Regge

Un quarto di secolo fa, con la caduta del famigerato ‘muro’ di Berlino, si auspicava per il futuro il crollo,

oltre che del nazismo, anche dei naziona-lismi in Europa e nel mondo. Ma così non è stato, nonostante le buone intenzioni, i bei proclami, l’allargamento dell’Unione, la creazione della moneta unica: l’Euro. I muri continuano ad essere innalzati, quelli di cemento, in vari angoli del Pia-neta; quelli metaforici – ancor più pesanti del calcestruzzo- paiono proliferare a di-smisura e dividono, in questa società del terzo millennio, i ricchi dai poveri, gli im-migrati dagli autoctoni, i fedeli delle varie credenze religiose, i malati dai sani, i sag-gi dai mediocri… Oggi, a 25 anni dalla sua caduta, ripercorriamo le tappe del “muro della vergogna” berlinese.

Quel 13 agosto 1961 i «vopos» inizia-rono un’operazione mai vista prima nel-la storia recente: la costruzione di un «muro» dietro la porta di Brandeburgo che era destinato a separare ermetica-mente la ‘zona sovietica’ di Berlino dalle altre tre: francese, inglese, statunitense, in pratica una spartizione della città tra i quattro vincitori dell’ultimo conflitto mondiale. Appena poco più di cinque anni più tardi, nell’estate del 1967, deci-do di andare a fare un giro per il Vecchio Continente in macchina. L’itinerario fu Pescara-Nova Gorica, nell’attuale Slove-nia, città cuscinetto tra Italia e Jugoslavia voluta dal Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947, Brno, Praga e, quindi, l’au-tostrada per Berlino via Dresda e Lipsia. Da lì verso la Scandinavia e, a scendere, dalla parte atlantica.

Sfoglio oggi il mio vecchio passapor-to, trovo una serie di timbri rossi con vari checkpoint: Drewitz, Marienborn, Zinnwald… e la data di arrivo nella Città dell’Orso: 14 luglio 1967, quattro anni ap-pena dal fatidico 26 giugno 1963, allorché il mitico Presidente USA J.F.Kennedy gri-dò al mondo dal palchetto a ridosso del muro stesso:«Ich bin ein Berliner»! Pren-do alloggio in un alberghetto nella libera ‘zona francese’. Fuori è venerdì notte: è vita, è birra forte, è estasi riversi ubria-chi, sembra con beatitudine -in realtà per non pensare- sui marciapiedi affollati di passanti incuranti e distratti… Più in là, oltre i blocchi di cemento e la sabbia mi-nata e la rete metallica percorsa da cor-rente ad alta tensione, oltre il filo spinato avvolto a matassa, la teoria popolosa di spranghe a ‘croce di Santandrea’ anticar-ro –i famigerati “Cavalli di Frisia”- e le tor-rette di guardia con ‘vopos’ ben vigili…, il silenzio assoluto al pallido chiarore di luci sommesse. Progetto di andare di là per verificare di persona, noncurante del-le incognite e dei pericoli…

L’indomani, di buonora, costeggio il mu-ro in macchina, arrivo al fatidico “Check-point Charlie”, uno yankee fa cenno di avanzare da su in cima alla torre di guar-dia, così attraverso zigzagando alte colate di cemento a labirinto fino alla baracca doganale sovietica. All’interno del box, timbri rossi sul passaporto ed una marca raffigurante martello e compasso cinti di corona d’alloro e la scritta Deutsche De-mokratische Republik: 5 dollari obbliga-tori in cambio di una manciata di deboli marchi orientali non commerciabili all’o-vest. In più, controlli accurati alle mac-chine di ripresa di suono e di immagini. Fuori un «vopo» prende in consegna la Fiat 850 e la setaccia in ogni dove: niente

bobine di magnetofono con incise canzo-ni italiane (celebre e freschissima, all’e-poca, “A chi” di Fausto Leali), da lasciare in consegna agli yankee fino al ripasso; niente carta stradale di Berlino con trac-ciati del muro, inesistente per i sovietici, soprattutto niente cartoline della città con immagini del “muro della vergogna”: il “vopo” di turno le trova nella tasca del-lo sportello della vettura -le avevo scritte con quell’appellativo, indirizzate agli ami-ci e alle famiglie in Italia-: inesorabilmente sequestrate e riposte in cassetto metalli-co lì presso, con tanti saluti…!

Ottenuto l’OK per la circolazione all’est, guadagno il cospetto dei cavalli di bronzo issati sulla Porta famosa al centro dell’Unter den Linden e parcheggio tra le strisce autorizzate. Un «vopo» in moto gigantesca ed armato sino ai denti mi rag-giunge e vieta di stazionare, senza moti-vo, indicando altra soluzione più distan-te: era un chiaro avvertimento di essere sotto stretto controllo.

Senza pretendere spiegazioni, ubbidi-sco ed a gesti ottengo assicurazione che è ammessa la ripresa in super 8. Quindi mi reco al Mausoleo contro il Nazismo per assistere al cambio della guardia con sferzante passo dell’oca. Mi inoltro un po’ per le vie del centro nel traffico modesto e tra palazzi sonnolenti e grevi: moltissimi passanti, tantissimi soldati, i veri padroni della città.

Appena uno sguardo alle scarne ve-trine dei negozi e subito a pranzo con innanzi una massiccia porzione di vitel-lo alla Bismark tenera e succulenta, la mente sempre ai saluti dal «muro della vergogna» scritti su quelle cartoline se-questrate. Il «vopo» conoscerà l’italiano? Mi starà cercando per rinchiudermi nelle sue fredde galere…?

Saldato il conto, restano pochi pfen-ning orientali. Ancora una puntata ver-so il centro nel settore sovietico e poi di nuovo all’uscita. Mostro le poche monete rimaste, consegno la vettura per i con-trolli ancora più minuziosi con l’ausilio persino di specchi infilati sotto lo chassis a riflettere eventuali clandestini fuggiti-vi aggrappati lì sotto, un occhio rivolto a sbirciare con faticosa indifferenza il «vopo» dell’entrata. Finalmente l’invito a procedere, zigzagando, come all’ingres-so. Una breve sosta dagli yankee a ritira-re le bobine dei cantautori nostrani alla moda… e un profondo sospiro di sollievo una volta fuori!

Ogni tanto, lungo le pareti invalicabili di cemento, una foto cerchiata di sottile ghirlanda a ricordo di una fuga finita male e qualche piattaforma in legno a mo’ di belvedere con avviso ai curiosi di assu-mersi tutti i rischi in ogni senso, compre-se eventuali raffiche di kalashnikov. Più in là un modesto ma significativo “Museo delle fughe” ostenta ingegnose trovate di temerari riusciti a farla franca ed un vec-chietto con bici appoggiata sul fianco che scruta, binocolo in una mano, la finestra di un palazzo oltre il muro e saluta agi-tando appena un fazzoletto con l’altra, gli occhi umidi ed arrossati…

Il giro della Berlino di notte è lungo e pieno di vita, di birra soprattutto, e di cori ondeggianti al suono di Lilì Marlene nei locali lungo la Kurfuestendamm. C’è un gran pullulare di gente, di luci, di canti, di grossi boccali di bionda bevanda spu-meggiante intorno alla cattedrale ebraica ricostruita ed alla stazione ferroviaria

(Bahnhof).Di là, c’è calma e soffu-

sa penombra. Così in sino all’alba della perestrojka di Gorbaciov. Fino al 9 novem-bre 1989 –or è un quarto di secolo- quando si sciolgo-no nel nulla l’anacronisti-co «muro della vergogna», simbolo della guerra fred-da e del comunismo e, di lì a poco, l’intiera «cortina di ferro», locuzione inventata da sir W. Churchill nel 1946 e che nella sostanza ha te-nuto separati due mondi per più di quaranta lunghi anni.

Mario [email protected]

“Ich bin ein Berliner!”9 novembre 1989, or son 25 anni

Luglio 1967 - L'autore dell'articolo a Berlino: “Il muro della vergogna”

Page 3: 65100 Pescara - ITALIA Va' dove ti porta Il movimento ... · peo di fisica delle particelle - il più im-portante a livello internazionale - pres-so il quale lavora dal 1987. Guiderà

3DICEMBRE 2014 ABRUZZO NEL MONDO

Sarà contento Raffaele Ni-gro, nato a Melfi (domi-cilio estivo di Federico

II), autore di tanti libri, tra cui “I fuochi del Basento”, Premio Campiello nel 1987. E conten-ti sarebbero Giustino Fortu-nato, grande meridionalista di Rionero in Vulture; e Carlo Levi, che in Lucania scontò il confino negli anni ’35–36, co-minciando ad innamorarsene “dopo aver intuita l’oscura virtù di questa terra spoglia. . . .”; e Rocco Scotellaro (“L’u-va puttanella”. . . .), che era di Tricarico. E Giovanni Russo, che nel ’50 pubblicò “Baroni e contadini”, con due capitoli, fra gli altri, dedicati ai “Segreti di Potenza” e a “Le bandiere di San Severo” (le insegne delle cantine, dove il paese custodi-sce la sua ricchezza, quel vino che vengono a caricare sulle grosse autobotti le ditte pie-montesi...”). Russo, nato a Sa-lerno, giornali-sta prima a “Il Mondo” di Pan-nunzio, quindi al “Corriere della Sera”, ha sempre consi-derato la Luca-nia la propria terra, avendovi respirato l’aria da bambino.

È lì “che ho appreso dai miei maestri il valore del rispetto, della libertà, della democrazia”. La Lucania, che generosamente offre all’ospite la sua bellezza naturale, stra-ordinaria, può essere fiera: Matera, città dallo scenario spettacolare, incomparabile, è stata eletta a capitale eu-ropea per la cultura 2019. La prima città del Sud a ricevere questo alto, sospirato ricono-scimento, preceduto da quello riservato, nel ’93, dall’Unesco ai suoi Sassi come patrimonio dell’umanità. Grande soddisfa-zione, anche per noi pugliesi, visto che Matera, come dice-va anche Piovene, “è quasi parte della nostra regione”. Vero, Francesco Lenoci? Lo chiedo al professore, docen-te all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e vice-presidente dell’Associazione Regionale Pugliesi di Milano, mentre facciamo quater pass in Galleria Vittorio Emanuele, a Milano, dalla Libreria Rizzoli al Savini per uscire alla fine in piazza Duomo, che formicola di gente sotto lo sguardo vi-gile di Vittorio Emanuele II a cavallo. Il mio interlocutore è felice come una Pasqua, da quando gli è apparsa sul tele-fonino la notizia della promo-zione di Matera. “Una città che affascina – commenta –; una città sprovvista di monumenti rilevanti, ma essa stessa opera d’arte eccezionale, per la sua architettura rupestre, e non solo”.

Il professor Lenoci ha tenuto una conferenza a Matera, me-tropolis eximia, origine perue-tusta, il 22 marzo 2013, presso

lo stupefacente Salone degli Stemmi dell’Episcopio. Quella sera, avviandosi alla conclu-sione della sua relazione “Fa-re Impresa per Organizzare la Speranza”, fece un regalo al progetto di Matera Capitale Eu-ropea della Cultura per il 2019: la meravigliosa definizione di Cultura di don Tonino Bello. “Cultura è impegno, servizio agli altri, promozione umana come il riconoscimento della persona libera, dignitosa e re-sponsabile. Cultura è cemento della convivenza, orizzonte complessivo, strumento di orientamento, alimento di vita. L’elaborazione culturale è una via obbligata per individuare stili di vita, modalità di presen-za e di comunicazione, atten-zione alle attese delle persone e della società, per esprimere le ragioni della speranza e ac-cettare responsabilità in spiri-to di servizio”.

Concluse, affermando che “con una simile definizione di Cultura niente è precluso, tut-to è possibile: anche che i Sas-si, i più famosi sassi del mon-do, un patrimonio dell’umani-tà. . . . finalmente. . . . inizino a danzare”. L’hanno definita in vari modi, Matera: “città di pietra”, “città dei Sassi”, “città sotterranea”. Comunque la si voglia indicare, ha origini anti-chissime, risalenti alla preisto-ria e subì il dominio di Roma e l’occupazione di bizantini, longobardi, e via dicendo. Da allora ne ha riversato di ac-qua, il Basento, che scorre in fondo al precipizio, nel Golfo di Taranto.

“Sono cinque anni che lavo-riamo a progetti straordinari – ha riferito con orgoglio il sin-daco Salvatore Adduce – noi siamo il malleolo dello Stiva-le, generalmente ritenuto una zona poco ospitale”. Questa chiacchiera è stata vanificata e Matera – ha aggiunto il pri-mo cittadino – può essere un esempio non solo per il Sud.

Al tempo in cui Guido Piove-ne, tra il ’53 e il ’56, compì per la Rai un viaggio attraverso il nostro Paese, la popolazione dei Sassi era fatta prevalente-mente di contadini, che vive-vano in condizioni igieniche disastrose e che, per andare nei campi a curare la terra, macinavano una ventina di chilometri al giorno. In piedi già alle due del mattino, e via con zappe e altri attrezzi segui-ti da somari e muli. Dalle pare-ti dei Sassi bucherellate usciva

appena la luce fioca di un lu-me a petrolio o di una candela. Nelle case qualcuno rimaneva per fare da mangiare. Nel do-poguerra si cominciò a pensa-re che occorreva sgombrare i Sassi, il Caveoso e il Barisano, per collocare gli abitanti in luoghi più decenti. E si eresse-ro costruzioni più vicine alla città, interi quartieri, come la Martella. Attorno ai cantieri si svilupparono polemiche viva-ci, alimentate da chi conside-rava una violenza il proposito di devitalizzare lo strapiombo, una meraviglia invidiabile, un colpo di genio della natura. È sempre difficile trovare l’ar-monia. Gli stessi abitanti delle grotte erano indecisi se la-sciarle o opporsi, legati com’e-rano non solo all’ambiente, ma anche al vicinato. Alcuni erano propensi a trasferirsi, a patto che nel nuovo contesto vi ritrovassero gli stessi fiati di

sempre: gli stes-si coinquilini.

“Matera – scri-veva Piovene – è, come tutta la Lucania, terreno adatto agli espe-rimenti sociali; ed è stata scel-ta perciò come provincia pilota per l’istruzione, con Foggia, Ca-tanzaro, Sassa-ri...”. E ancora: “Le bonifiche e la riforma agra-ria sono di gran

lunga gli avvenimenti più im-portanti della zona. . . . che su-bì l’isolamento, la lunghissima decadenza, la terra ingrata...”.I fermenti culturali a Matera non si contano. Non da oggi. E neppure le testimonianze artistiche: la cattedrale roma-nico-pugliese edificata nel XIII secolo nel punto più alto della Civita, che separa i due Sassi; il Castello Tramontano in stile aragonese... E poi l’abilità de-gli artigiani nella lavorazione del ferro battuto; e dei figuli che dall’argilla ricavano og-getti di ottima fattura, come il fischietto, detto cucù, con la sagoma del gallo, simbolo di prosperità. Lenoci, meloma-ne e appassionato di cinema, ricorda i film in Lucania: “La passione di Cristo” di Mel Gib-son nel 2004. Sì, ma anche “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Pasolini, nel ’64; “La lupa” di Alberto Lattuada nel ’53; “Cristo si è fermato ad Ebo-li” di Francesco Rosi, nel ’79, con Gian Maria Volontè, Irene Papas, Lea Massari, tratto dal libro, uno dei più letti in tutto il mondo, di Carlo Levi, me-dico e scrittore antifascista torinese, che fu colpito dalla bellezza di Matera, ed ebbe un attimo di malinconia men-tre stava per tornare al Nord. I contadini avrebbero voluto bucare le gomme della vettura che lo avrebbe prelevato. Lo amavano e stimavano. Promi-se che sarebbe tornato. Certo che oggi sarebbe contento an-che lui.

Franco Presicci

Capitale Europea per la Cultura 2019

Vince Matera. Esulta anche Milano

ì Post fata resurgoî . È il motto che compare nello stem-

ma del comune di Castellammare di Stabia, fiorente cittadina posta all'al-tra estremità del magnifico golfo na-poletano. La citazione è d'Autore; e ci giunge dalla classicità romana. La scelta, a parte l'autorevolezza della fonte, trova la principale motivazio-ne nell'evento storico della eruzione vesuviana del 79 d.C. che causò la di-struzione – per alcune addirittura la scomparsa – di “belle e prospere città della Campania”. All'antica Stabiae, che nel corso della storia cambierà nome fino a chiamarsi poi Castellam-mare di Stabia, contrariamente che a Pompei, toccò la sorte di una felice ri-costruzione, che, considerata la lun-ga teoria dei secoli, possiamo consi-derare solamente temporanea. Da qui appunto la giustificazione e la puntua-le pertinenza della scelta della espres-sione “post fata resurgo”. Ma meglio sarebbe stato: “Post fata resurgam”, proiettando al futuro lontano (com-prendendo quindi anche la storia dei nostri giorni) il ripetersi insistente e caparbio delle rinascite ad ogni deca-denza della tante volte rifiorita citta-dina; e ancora bella oggi, nonostante l'abbandono in cui essa versa.

Ma, poiché per nostra libera scelta ci siamo ritagliati lo spazio delle ana-lisi linguistiche con la prospettiva di una sempre maggiore trasparenza della lingua che usiamo, ci limitere-mo, nell'ambito del nostro compito programmatico, solo ad analizzare l'espressione (nelle due varianti), con una particolare sottolineatura della parola “fata”. Tecnicamente l’espres-sione è quella che si definisce una “frase semplice” (un unico enunciato; o, se preferite, una sola proposizione principale); perciò essa non presenta grandi difficoltà di analisi. Più difficile è capirne il senso ai fini della tradu-zione italiana. “Post” è dopo. “Fata” (plurale) sono i fati (ciò che comu-nemente diciamo: il destino; meglio: “ciò che deve accadere”). “Resurgo” è la prima persona dell’indicativo pre-sente del verbo; mentre “resurgam”, lo è del futuro. Traduzione: “Dopo i fati risorgo” (presente) oppure “Dopo i fati risorgerò” (futuro). La frase non esprime una speranza, ma piuttosto una certezza.: finito un ciclo, ne inizia un altro.

* * * Passiamo adesso alla etimologia

della parola “fatum” di cui fata è il plu-rale. A scuola l'abbiamo letta sempre come qualcosa che prevarica anche la volontà degli dei, traducendola spes-so con il termine italiano: destino. Ci dicevano gli insegnanti, specialmen-te durante la lettura dei poemi epici greci e latini, che il Fato è una volon-tà superiore, alla quale anche gli dei soggiacciono. Perciò i loro interventi a favore degli uomini per i quali essi parteggiavano, oltre ad indicare un valore puramente simbolico, sia es-so esistenziale oppure letterario, non potevano mai modificare le decisioni (già fissate: “fata”, le cose dette) degli oracoli. Perciò noi, confortati anche dagli insegnanti, traducevamo banal-mente: il destino.

Non so se in italiano la parola debba essere scritta con l’iniziale maiusco-la. Si può anche pensare che la cosa dipenda dalle convenzioni e dalle convinzioni, e perciò dai segnali che si vogliono trasmettere nella comu-nicazione. Nessuno tuttavia – credo – oggi scriverebbe “Destino” (con la maiuscola). Eppure presso gli antichi Romani – ma già presso i Greci – il Fa-to era qualche cosa di più del destino. Era una necessità. La necessità del divenire storico. Sentita come trascen-denza. Alla quale naturalmente erano sottoposti anche gli dei. Ed è eviden-te: dal momento che gli dei della mito-logia classica, secondo la concezione dell’uomo antico, si comportano pro-prio come gli uomini, e degli uomini hanno pregi e difetti; ne riproducono i comportamenti, e quando prendono

parte alle vicende umane (cioè entra-no nella storia) schierandosi per l’uno o per l’altro eroe, col loro intervento non riescono a modificare ciò che è predestinato, stabilito, detto (o scrit-to), fin dal principio. A meno di non inficiare il valore simbolico del Mito stesso. (A riprova di quanto detto, vedansi i racconti dei poemi epici e della tragedia classica).

Perciò Fatum è “ciò che è stabilito dall’eternità”, è “il Detto”. Che esiste prima del tempo dell’uomo (la storia), e fuori dal dominio degli dei (trascen-denza). Fatum, infatti, significa pro-prio “il detto”. È il participio passato – meglio se diciamo “perfetto” – del verbo latino: for, faris; fatus sum; fari ( = “parlare, dire”). La radice della pa-rola è “fa”, corrispondente alla radice greca φα/φη [fa/fē] (vedi anche il ver-bo greco φημί [phēmì] = parlo, dico), la quale ritorna in tutta la grande fami-glia di parole (si dice anche: sfera les-sicale) di quest’area semantica (cioè, campo di significato) delle lingue in-deuropee. Parole che troviamo quasi identiche nel francese, nel portoghe-se, nello spagnolo, ecc.

Ecco: Fatum dovremmo tradurlo allora con “il Detto”. Corrispondente alla voce greca: Λόγος (Logos), uti-lizzata anche nel Vangelo di Giovanni (periodo ellenistico), che s. Girolamo, in latino, traduce Verbum (Parola di Dio). Non può utilizzare Fatum, es-sendo questa una parola fortemente connotata dalla storia del pensiero religioso del mondo classico, a cui si contrapponeva la nuova religione cristiana. Quindi, parola inflazionata. Inoltre nella visione cristiana il Verbo è persona, il Figlio di Dio. Egli stesso è Dio. Eppure l'autore del Vangelo di Giovanni usa tranquillamente Λόγος, con chiaro riferimento alla tradizione filosofica greca.

* * *Da quanto detto, emergono due

cose importanti. La prima attiene alla storia delle culture. E ci mostra quanto siano sorprendentemente vi-cine culture che – chi sa perché – noi abbiamo sempre considerate diver-se e opposte. (Senza voler sminuire con questo la differenza, l’originalità, e la grande novità del Cristianesimo, sia rispetto alla visione ebraica che a quella pagana: la filosofica dei Greci, e la mitologica dei Romani).

La seconda è di tipo antropologico e ci fa vedere come in ogni civiltà sia costante ed uniforme l’atteggiamento dell’uomo antico di fronte al miracolo del linguaggio umano e la conseguen-te consapevolezza storica della sua portata (simbolizzare, argomentare, raccontare, produrre testi rituali; e poi anche scrivere): forza meraviglio-sa, originale e creativa che prospetta il mistero della creazione. Consegna della eredità divina (come sostiene il Foscolo in “dei Sepolcri”, parlando di mitologia e poesia). Se poi questa at-tività “divina” dell'uomo la presentia-mo con la parola greca, scopriamo un altro assioma: l'intuizione dell’identi-tà tra pensiero e linguaggio. Infatti, in greco λόγος (logos) è pensiero, ed è discorso.

* * * Questa nostra riflessione sulla “pa-

rola” (linguaggio), o questo parlare del “pensiero”, merita un ulteriore approfondimento. Che lascio alla ini-ziativa del singolo lettore. Se vi va, pe-rò, cari amici studenti che immagino numerosi nella schiera dei miei letto-ri, voi potete continuare a giocare con le parole (la famiglia del /parlare/) anche da soli, partendo da quelle ita-liane: fama, fante, infante, fata, famige-rato, fàtico, nefando, prefazione, pro-fezia, eufemismo, affabile, ineffabile, favella, favola, affabulazione, fando-nie, ecc.. E anche fatale, fatalità e fati-dico più direttamente collegate a fato. Passando poi a quelle corrispondenti delle lingue sorelle: francese, spagno-la e portoghese. Non è difficile: vi aiu-teranno i vocabolari.

Luigi Casale - [email protected]

Alla scoperta della parola

Fato

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ABRUZZO NEL MONDO4 DICEMBRE 2014

Dal Veneto: Lia Di Menco;Dalla Campania: Giggino Casale;

Dagli USA: Dom Serafini; Maria TosiDal Canada: Ivana Fracasso;

Dall'Argentina: Maria D'Alessandro,Anna Francesca Del Gesso;

Dal Brasile: Aniello Angelo Avella;Dal Messico: Paolo Di Francesco.

Tutti i nostri lettori che condividono lo spirito di Abruzzo nel Mondo, sono invitati. La collabora-zione è spontanea, gratuita e libera. Si può disso-ciare in ogni momento e per qualsiasi ragione.

Manoscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non vengono restituiti. La collaborazione è gratuita, libera, spontanea e volontaria. Ogni autore è responsabile del proprio lavoro da contenersi entro la pagina e 1/2 del foglio A4.

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È nata soltanto l’anno passato (30 maggio 2013) la “Piccola Associazione Letteraria <Manoppio>” a Manoppello, con sede allo Scalo presso il ‘Centro Ri-

creativo Pensionati’, e già le attività svolte sono notevoli e degne di attenzione. Tra queste basta ricordare il 1° Con-corso Letterario ‘Manoppio’, in lingua e in dialetto; il Con-corso artistico-letterario “Il valore dell’amicizia” riserva-to agli alunni della locale Scuola Media Statale; il “Premio VIP” consistente in un attestato di merito per chi si è par-ticolarmente distinto nella vita associativa: Luigi Baldac-ci, Licio di Biase, Davide Iezzi, Domenico Perez, Roberto Rocci; la presentazione del libro autobiografico della so-cia Mirta di Fazio dal titolo: ‘Cane randagio’; concerti e let-ture in piazza al chiaro di luna; Commemorazione, l’8 ago-sto, dell’anniversario del disastro nella miniera di Marci-nelle ove perirono 23 lavoratori –dei 60 abruzzesi- origi-nari di Manoppello.

Per il futuro si progetta l’istituzione di una biblioteca quale centro di aggregazione e diffusione dei valori artisti-co-culturali. Il Presidente pro-tempore dell’Associazione è Antonio Mrozek Eliszezynski.

Che dire: c’è solo da complimentarsi con questi amici di Manoppello e con la scelta dell’eloquente logo ‘Manop-pio’ il cui etimo fotografa -metaforicamente- lo spirito di ogni aggregazione culturale, ovvero lo stare insieme co-me il fascio di messi biondeggianti di grano per poi spar-gerne i chicchi al fine di alimentare le menti e gli animi della società. E non è poco aver saputo affiancare all’In-terporto dello Scalo quale deposito e smistamento del-le merci nelle direzioni nord-sud ed est-ovest dell’Italia e dell’Europa, un “Interporto Culturale” di tutto rispetto.

La Redazione

Piccola AssociazioneLetteraria Manoppio

ABBATEGGIO (Pescara) - Si trova sulle pendici settentrionali della Ma-jella il borgo di Abbateggio, lungo la strada che da Scafa sale verso l’ame-na località termale di Caramanico Terme. A 450 metri d’altitudine, in bella posizione panoramica, il borgo è quasi un balcone dal quale si può distendere la vista dalla maestosi-tà della catena del Gran Sasso, con le sue cime imponenti, sui colli che digradano fin verso il mare l’Adria-tico. Abbateggio domina sulla Valle Giumentina, un’area abitata sin dal paleolitico, come raccontano i reper-ti rinvenuti con le ricerche a suo tem-po condotte dall’archeologo Anto-nio Mario Radmilli dell’Università di Pisa. Le origini del borgo sembrano risalire al periodo immediatamente seguente l’insediamento dello splen-dido monastero di San Clemente a Casauria, avvenuto nell’anno 871. Poi, tanti feudatari s’avvicendarono dalla metà del XII secolo, fin quando nel 1583 Abbateggio non fu vendu-to a Madama Margherita d’Austria, figlia naturale dell’imperatore Carlo V, moglie di Ottavio Farnese e Gover-natrice nei Paesi Bassi, nel ducato di Parma e Piacenza e in Abruzzo. Figura straordinaria di donna, lasciò tracce profonde in Europa, in Italia, a L’Aquila e in gran parte dell’Abruzzo, dove peraltro concluse i sui giorni, spegnendosi ad Ortona nel 1586. Il Castello di Abbateggio rimase pro-prietà dei Farnese sino al 1731 quan-do, con l’estinzione del casato, passò a Carlo III di Borbone, figlio del re di Spagna Filippo V e di Elisabetta Far-nese. Da allora il borgo passò sotto il dominio del Regno di Napoli, seguen-do le vicende che portano ai giorni nostri. Attualmente Abbateggio con-ta poco più di quattrocento abitanti e gran parte del suo territorio ricade all’interno del Parco Nazionale della Majella che, con gli altri tre Parchi, fa dell’Abruzzo la regione con il più alto indice di territorio protetto, oltre un terzo della sua superficie, non a caso definita “regione verde d’Europa”.

È una splendida giornata di sole, questo sabato 19 luglio, e il cielo è d’un azzurro terso come solo in Abruzzo pare ammirarsi. C’è movi-mento di forestieri nel borgo, una grande animazione che prelude all’e-vento importante del pomeriggio, la cerimonia di conferimento del Pre-mio nazionale di letteratura naturali-stica “Parco Majella” ai vincitori, una manifestazione che ormai si tiene da 17 anni in questo magnifico borgo d’Abruzzo, diventata negli anni un appuntamento di rilevante interesse culturale, attestato dall’Alto Patrona-to del Presidente della Repubblica, dall’egida del Columbus Centre di To-ronto - un centro di studi e di cultura italiana famoso in tutto il Canada, per molti anni diretto dal prof. Alberto Di Giovanni, originario di Roccamorice

- e dal patrocinio dell’Ente Parco na-zionale della Majella, della Regione Abruzzo, della Provincia di Pescara, della Municipalità di Abbateggio e di numerosi Comuni abruzzesi. Nella piazza del paese a fare gli onori di ca-sa è il sindaco Antonio Di Marco, tra i fondatori del prestigioso premio na-zionale, così come prestigiosi sono i nomi dei finalisti nelle tre sezioni del Premio selezionati dalla Giuria, pre-sieduta quest’anno da Daniele Becci, presidente della Camera di Commer-cio di Pescara, e composta da docen-ti di letteratura italiana, da scrittori e giornalisti, da studiosi ed esperti del settore editoriale e da autorevoli membri delle associazioni ambienta-liste. La serata della premiazione è condotta dal giornalista Rai Antimo Amore, la lettura dei brani affidata a Lea Del Greco.

È il volume “La Maldicenza” (One Group Edizioni, L’Aquila) di Paola Aromatario ad aggiudicarsi la vittoria nella sezione Saggistica italiana edi-ta. È un interessante saggio sull’anti-ca tradizione aquilana di Sant’Agne-se, una festa strana e singolare che vale la pena di accennare. Affonda le sue radici nel Trecento la festa aqui-lana di Sant’Agnese, solennità popo-lare tutta laica che ha il suo apice il 21 gennaio d’ogni anno. Sant’Agnese, la giovane vergine martirizzata a Ro-ma intorno all’anno 250 d.C., poco o nulla c’entra in questa festività civile completamente votata alla Maldicen-za, se non per il fatto che in un mo-nastero dedicato alla santa venivano ospitate le “malmaritate”, prostitute da redimere, che di giorno prestava-no servizio in umili faccende dome-stiche nelle dimore dei potenti della città, mentre a sera rientravano nel monastero dov’avevano ospizio. Ma il 21 gennaio, giorno della ricorrenza canonica di Sant’Agnese, all’Aquila era proibito lavorare. Le malmarita-te si ritrovavano nelle bettole della città, insieme al popolo minuto, per dire il male fatto dai signori e potenti presso i quali erano al servizio, men-tre critiche non erano consentite sul-le istituzioni civili, pena l’esilio per-petuo e il taglio della lingua, secondo l’editto vescovile del 1430. Questa strana festa, solamente aquilana, ha elevato per secoli la maldicenza a “virtù civica”. La singolare tradizione Agnesina della maldicenza, infatti, ri-fugge dal pettegolezzo.

È invece critica fortemente morda-ce, sincera e costruttiva, con spiccate venature d’ironia, nel dire la verità in assoluta libertà. Insomma, un ulterio-re elemento della forte impronta li-bertaria della comunità aquilana che caratterizzò, sin dalla fondazione, lo spirito autonomistico e ribelle della nuova città edificata da 99 castelli del circondario. La festa, tramandata nei secoli attraverso le “confraternite “ popolari, nell’ottocento si arricchì anche con circoli borghesi e nobili. Il regime fascista, che di tale festività ebbe sempre timore per il suo spi-rito libertario, ne distrusse storia e consuetudine. Solo nel 1959 risorse

l’antica confraternita dei Devoti di Sant’Agnese “Sancta Agnes Garrulo-rum Praesidium”, intorno alla quale sono poi rinate 150 altre confrater-nite, alcune di sole donne, che il 21 gennaio d’ogni anno si riuniscono in-torno a tavole lautamente imbandite “maldicendo”, ossia dicendo “male del male” secondo l’atavica libertà civile aquilana.

Come si fa a comprendere il limite tra dire il male e il dire male? L’Au-trice analizza diverse forme della maldicenza - i rumors, i pettegolezzi e i gossip - che si creano nelle rela-zioni tra persone, fatte di sguardi, di etichette e di stigmi. Il linguaggio ed il flusso delle comunicazioni sono fondamentali per poter operare quel-la “giusta” distinzione tra il detto e l’intenzione del parlante. A L’Aquila il 21 gennaio di ogni anno, da secoli si celebra la festa di Sant’Agnese, la festa strana, la festa del dire il male, “strana” ed “unica”, per le sue pecu-liarità, ma anche perché si tratta di una maldicenza positiva, di una co-municazione sana, che ha valenza di apertura sociale.

Una festa intrisa di anima antica, dove storia e identità, ogni anno fan-no incontrare la comunità aquilana, con il fine di riattualizzare l’antico in un contesto moderno, che ogni volta rinnova, rinvigorisce, riunisce. Il dire male, al contrario, è una maldicenza che oltrepassa l’incerto confine delle differenze tra le due, per diventare una maldicenza “aggressiva” a volte “malvagia”, come la menzogna, la ca-lunnia, la diffamazione e l’ingiuria, fi-no al delitto in senso lato. Paola Aro-matario riesce, con questo bel libro, a raccontare la tradizione aquilana e chiarire il confine tra dire il male e il dire male.

È un saggio intrigante ed efficace, arricchito dai contributi di Anna Ma-ria Paola Toti (Università La Sapienza di Roma), di Tommaso Ceddia (Uni-versità dell’Aquila), del giornalista e scrittore Angelo De Nicola e del gior-nalista e storico Amedeo Esposito. Paola Aromatario è aquilana e dipen-dente della Polizia di Stato. Si è lau-reata in Scienze dell’Investigazione presso l’Università degli Studi dell’A-quila ed è cultore della materia per l’Associazione Nazionale Sociologi. Tra le sue pubblicazioni “Ricomincio da zero anzi da 3,32 – Il diario della mia memoria nei giorni dopo la ca-tastrofe”, uscito in due edizioni (Edi-segno, Roma 2009), (Edizioni Arkhè, L’Aquila 2009); “La maldicenza. Dire il male e dire male” (One Group edi-zioni, L’Aquila 2013).

Tornando ai premiati della sezione Saggistica edita, al 2° posto si è clas-sificato Duccio Demetrio con il vo-lume “La religiosità della terra. Una fede civile per la cura del mondo” (Raffaello Cortina Editore, Milano) e al 3° posto Vincenzo Gianforte - Giacomo Carnicelli con “Ju Calenne, l’albero del maggio a Tornimparte” (One Group Edizioni, L’Aquila).

Goffredo [email protected]

La Maldicenza Agnesina conquistail Premio Majella ad Abbateggio

Il libro di Paola Aromatario sull’antica tradizione aquilana,gli altri vincitori del Premio e una storia d’emigrazione

Se penso al Partito Repubblicano, temo l’astro decli-nante ma ancora capace di illuminare, del vecchio John McCain che dice, vinciamo queste elezioni e mandiamo l’esercito in Iraq. Se ce la facesse veramente, che succede-rebbe? Ancora in circolazione Mitt Romney, sconfitto da Barack Obama nel 2012, si dice che voglia riprovarci.

Si riparla anche di Jeb Bush, figlio e fratello di presiden-ti, alla Casa Bianca sarebbe l’immagine americana di una dinastia regale ereditaria, da far concorrenza ai Windsor inglesi, la sostituzione dell’ idea democratica di merito individuale con quella di famiglia/dinastia.

Emanuela Medoro - [email protected]

DALLA PRIMA PAGINAIl movimento degli astri negli USA

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5ABRUZZO NEL MONDODICEMBRE 2014

Q uel tragico 13 gennaio 1915 Johan-nes Jørgensen si trovava in Italia, a Siena. Appresa la notizia del ter-

ribile terremoto che devastò tragicamen-te la Marsica, egli volle immediatamente raggiungere l’area colpita, e in modo par-ticolare Civita d’Antino, per conoscere di persona le conseguenze del sisma nel borgo della Valle Roveto così caro a mol-ti danesi, da oltre trent’anni sede estiva della scuola d’arte del maestro Kristian Zahrtmann. Da Siena arrivò a Roma, poi con un auto presa a noleggio, seguì l’iti-nerario per Tivoli, Tagliacozzo, Cappelle dei Marsi, Avezzano, Capistrello, Civitella Roveto, la stazione ferroviaria di Morino Civita d’Antino, per poi raggiungere final-mente Civita, erta sul colle, dolorosa tap-pa finale del suo viaggio in Abruzzo. Quel-la di Johannes Jørgensen, grande biogra-fo di San Francesco d’Assisi, costituisce un’eccezionale testimonianza, lucida e al tempo stesso intensa e commovente, del dramma vissuto dalle popolazioni della Marsica, della devasta-zione provocata dal si-sma, dei morti e feriti, ma anche della genero-sa opera di volontari e militari. Drammatica e prolungata la descrizio-ne di Avezzano, intera-mente distrutta. Scri-verà riferendo icasti-camente d’aver avuto l’impressione d’essere tornato da un campo di battaglia. Il suo raccon-to, pubblicato a Cope-naghen nel 1915, aveva in particolare l’obietti-vo d’informare i tanti danesi che conosceva-

no molto bene Civita d’Antino attraverso le tante opere dipinte da decine di artisti, amici o allievi di Zahrtmann. La notorietà del paese abruzzese in Danimarca è d’al-tra parte implicita nel titolo del racconto. Oltre alle migliaia di vittime, il terremoto segnò la fine d’una straordinaria stagione artistica, poi scivolata lentamente nell’o-blio. La nuova edizione è curata da Anto-nio Bini, come la prima d’altronde, edita nel 2005 e andata subito esaurita, e segna una ripresa d’interesse nei confronti della scuola d’arte danese, frequentata anche da pittori svedesi, norvegesi e finlandesi. Il racconto viene riproposto all’attenzione del pubblico dopo le numerose richieste del volume che era andato ormai esau-rito. La nuova edizione è ulteriormente arricchita dal saluto dell’Ambasciatore di Danimarca in Italia, Birger Riis Jørgensen. Un saluto non formale il suo, considerato che è stato il primo rappresentante uffi-ciale del paese natale di Zahrtmann ad aver visitato Civita d’Antino.

A un secolo di distanza dal catastrofico evento

Il terremoto del 1915nella Marsica nel racconto

del danese Jørgensendi Goffredo Palmerini

Persone tra le rovine del disastroso terremoto del Fucino

ABRUZZESINA BELLAin musica

TRADUZIONE IN LINGUA

Abruzzesina bellaI. Ricordo quel giorno d’estate

sull prato fiorito io colsi un bel fiorrivedo quel fior di montagna

che stringo al mio cuore con tutto l’amor.

Rit. Abruzzesina bellamíhai fatto innamorare

con quegli occhioni biondi,cosÏ profondi

che sembrano il mare;quella boccuccia rossa

color di melogranoanche se son lontano

la tua boccuccia vorrei baciar.

II. E come una rosa d’aprilequel fiore gentile io vedo sbocciar

e come una rondine in volonel cielo d’Abruzzo vorrei volar

III. Ma quando la sera discendeper l’aria si sente il profumo d’amor,

ricordo quel fiore d’estateche invita al ritorno per farmi sognar.

VERSIONE DIALETTALE

Abruzzesina belleI. M’arcorde nu jurne d’estate,

nu prate fiurite: so’ cute nu fiore,m’arvede lu fiore di Pogge

che stregne a lu core nghe tutte l’amor.

Rit. Abruzzesina belleií mi soí nnammurate

di chissíucchiuna biundeaccuscÏ prufunde

che sembre lu mare.O puggianella care

chi ssa vuccuccia roscegne nu miricanate

pure luntane vulesse vasci‡.

II. Accom’a na rose d’aprilessu fiore ggintile so’ viste sbuccià

e ccome na rènnele ‘n cielemo sopr’a ll’Abbruzze vulesse vulà.

III. E quanda li sere d’estatezi sente ca l’arie prufume d’amore

m’arcorde lu fiore di Poggeche chiame e mi dice: arfamme sunnà.

U na spettacolare serata quella organizzata lo scorso 20 luglio 2014 presso la Sala Polivalente del Comune di Orsogna in occasione della presentazione del libro “Una vita per la fisarmonica” per richiamare alla memoria il Maestro Tommaso

Coccione scomparso l’8 luglio del 1941 all’età di 36 anni. Una serata ricca di emozioni e di affetti ancora vivo soprattutto nei figli Vincenzo e Camillo che hanno voluto forte-mente ricordarlo attraverso le testimonianze di coloro che hanno avuto il piacere di conoscerLo non solo sotto l’aspetto artistico e culturale ma anche umanistico. Ricor-diamo che al momento della morte del Maestro i figli avevano rispettivamente 3 anni e 1 anno. Il Giornale d’Italia a firma del medico e poeta Eduardo Di Loreto di Castelfren-tano, citava “…Con la scomparsa del M° Tommaso Coccione l’arte della fisarmonica perde, in Abruzzo e forse in tutta Italia un autentico Maestro che, oltre ad aver portato al massimo grado di perfezione tecnica e musicale uno strumento di origine nostrana, contribuì con esso, a ridonare alla canzone abruzzese quegli elementi modali e tonali che le formazioni orchestrali e bandistiche le avevano tolto”. Con questo libro il figlio Camillo cerca di recuperare un pezzo di storia della sua vita sicuramente non facile lontano dall’affetto più caro. Paola Di Totto

Una vita per la fisarmonica di Camillo Coccione

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6 ABRUZZO NEL MONDO DICEMBRE 2014

Domenica 9 novembre, alle 11.00, è stata consegnata dallo stesso Presi-dente Angelo Dell'Appennino, l'am-

bita statuetta del Guerriero di Capestrano a Luigi Savina presso la sala conferenze del Ristorante “Molera” a Garbagnate Mona-stero (Lecco). Nella storia del premio sono stati assegnati importanti riconoscimenti a quanti si sono distinti in ambito nazionale e internazionale nel campo delle scienze, della cultura, dell'economia e della politica, onorando la propria terra di origine anche fuori dai confini nazionali.

L'intento del premio è quello di encomia-re tali personalità, ma anche promuoverne la memoria attraverso generazioni. Così l'associazione “Raffaele Mattioli” ha cele-brato la sesta edizione del premio “L'Ab-buzzes' sott'la Madunina” con il premiando Savina, “per aver rivestito alte cariche della polizia di stato, distinguendosi per merito e venendo insignito delle massime onorifi-cenze, che hanno contribuito a tenere alto il nome dell'Abruzzo, la sua regione natia”.

Infatti Luigi Savina è nato a Chieti nel 1954, è dirigente generale della Polizia di Stato e attuale Questore di Milano.

Nel corso della sua carriera è stato que-store di Venezia, Palermo, Pescara, Ferrara, Padova e Cagliari e capo contingente della polizia di stato italiana in Albania nel 2000.

Ha ricevuto importanti riconoscimenti dal dipartimento di polizia di stato per ope-razioni di polizia, dal ministro dell'ordine pubblico della Repubblica d'Albania (2000), dall'U.S. Department of Justice (2002), U.S. Department of State (2004), dal Presidente della Repubblica come ufficiale dell'ordine (2003) e commendatore (2007) dell'ordine al merito della Repubblica Italiana.

Vincitore del premio nazionale Paolo Borsellino (2005), Premio Isimbardi (2014).

È tra gli autori del volume Criminal Pro-filing. Dall'analisi della scena del delitto al profilo psicologico del criminale, Mc Graw-hill education, milano 2002. Le precedenti

edizioni avevano visto salire sul podio il musicista, attore e giornalista Franz “Ren-zo” Di Cioccio, Stefano Maullu, politico dal 1962, Graziano Tarantini, ex vicepresidente della Banca Popolare di Milano e attuale presidente del consiglio di sorveglianza A2A e di Banca Akros, quindi Donato Ren-zetti, direttore d'orchestra tra i più afferma-ti del mondo, Alfredo Paglione, mecenate e collezionista d'arte contemporanea. Una nota di merito va sicuramente all'asso-ciazione “R. Mattioli” e al suo presidente che ha accolto egregiamente i numerosi ospiti,venuti da lontano, come succede in tutte le grandi occasioni.

Non sono mancati i saluti di autorità, co-me la Regione Lombardia rappresentata dal consigliere Fabio Altitonante, i presi-denti delle associazioni abruzzesi di altre regioni, rispettivamente Armando Traini, presidente del “Sodalizio Abruzzese e Mo-lisano” di Padova e del CNAM, Domenico D'Amico, presidente dell'Associazione “La Majella” di Rho, Lia Di Menco presidente del “Circolo Abruzzese e Molisano” di Bel-luno, Gianfranco Bellante, presidente della “Famiglia Abruzzese di Trieste.

La mattinata è stata arricchita dalla pre-sentazione del libro “Fuochi d'Inverno” di Valerio Ruggeri, un viaggio tra usi e tradi-zioni in cui il fuoco è il filone portante. Il ric-co pranzo, a base di prodotti tipici abruzze-si, è stato allietato dall'accompagnamento musicale dei fisarmonicisti di Costa Ma-snaga. Alla fine un brindisi di saluto tra i numerosi ospiti di riguardo, tra i quali va senz'altro fatta menzione di Marco Ferra-dini, cantante di successo, che ha venduto milioni di dischi con la sua famosa canzone "Teorema" e di Angelo Cordone, attuale di-rettore generale dell'ospedale “San Matteo” di Pavia. La giornata è stata assai generosa non solo di eventi importanti, ma anche di uno splendido sole.

Lia Di [email protected]

La sesta edizione del premio"L'abbruzzes' sott' la Madunina"

al Questore di Milano Luigi SavinaIl massimo riconoscimento conferitogli dall'Associazione

Abruzzese e Molisana "Raffaele Mattioli" di Milano

I l 30 Giugno del 1860 il Darwinismo viene accettato dalla comunità scien-tifica. L'ORIGINE DELLA SPECIE di

Darwin diede inizio nel 28 Settembre 1838 ad un progetto pseudo scientifico chiamato TEORIA EVOLUZIONISTICA. La teoria incontra subito la più grande ostilità da parte della comunità scien-tifica e verrà accettata,almeno in par-te, soltanto vent'anni dopo. Il libro del naturalista con la rivoluzionaria teoria evoluzionistica non viene accettata dal-la comunità scientifica che non ne vuo-le sapere di discendere dalle scimmie. In un libro della Rusconi:"Enciclopedia Cronologica delle Invenzioni" è stato ri-portato quanto segue:" A Oxford si svol-ge l'annuale riunione della British Asso-ciation for the Advancement of sciences (Baas) che il 30 Giugno è dedicata alla "questione Darwin". Il naturalista non interviene perché malato. A prendere le sue parti è lo zoologo inglese Thomas Henry Hukley (1825-1895). L'arcivesco-vo di Oxford, Samuel e'il errore,promette che darà battaglia con tutti i mezzi alla teoria evoluzionistica. E apostrofa Hu-kley così: "è attraverso tuo nonno o tua nonna che discendi dalle scimmie?". Hukley si limita a rispondere:"preferisco discendere da una scimmia che da un uomo di cultura che ha prostituito il sa-pere è l'eloquenza al servizio del pregiu-dizio e della falsità". L'udito rio esplode. Le signore svengono. Ma basta questa risposta per far tacere per sempre la Chiesa anglicana sull'evoluzionismo, te-oria che da quel momento farà sempre più proseliti, tanto che quando Darwin morirà, nel 1882,verrà sepolto nell'ab-

bazia di Westminster accanto ai grandi della storia.

Andò peggio a Galileo, che non ave-va un "avvocato" bravo come Huxley per imporre la sua teoria eliocentrica davanti all'opposizione della Chiesa Cattolica."quindi "i circoli intellettuali... cercarono di applicare a questa società le metodologie di discipline quali psico-logia, sociologia, antropologia e altre, sperando di scoprire qualche indizio su come ebbe inizio la religione e perché. Il risultato? D'un tratto comparvero sul-la scena molte teo rie-forse tante quanti erano i ricercatori-con cui ciascun ricer-catore contraddiceva l'altro,e ognuno cercava di superare l'altro in audacia e originalità. Alcuni di questi ricercatori pervennero a conclusioni importanti; l'opera di altri è stata semplicemente dimenticata.

Molte teorie, per secoli gli uomini avevano, chi più chi meno, accettato le tradizioni religiose ricevute alla nascita e in cui erano stati allevati. Quasi tutti si accontentavano delle spiegazioni tra-mandate dai loro antenati, pensando che la loro religione fosse la verità. Ma con l'avvento dell'indagine scientifica e la teoria dell'evoluzione molti iniziarono a contestare la religione. Comunque re-stano aperti i quesiti più importanti che l'uomo da millenni si pone, per esempio, perché si invecchia e si muore. Ogni reli-gione offre risposte diverse e la scienza spende milioni e milioni di dollari con a carico i più grandi scienziati della terra che li vede impegnati sia in cielo che in terra. Quindi la ricerca di una risposta ai grandi interrogativi è sempre aperta. Un punto di partenza comunque per conti-nuare l'affascinante viaggio è stato fatto ed è che non perché ci sia un'indagine scientifica in corso e non perché l'evo-luzione resti sempre una teoria si debba contestare una religione. Allora dico agli evoluzionisti le teorie se restano tali per più di cento anni, abbandoniamole. Ma, il discorso continuerà nel prossimo nu-mero. Parte di queste informazioni sono tratte dal sito jw.org.

Sofonia Berardinucci [email protected]

"L'uomo alla ricerca di Dio"perché investigare

La leggenda del sassofonistaPer il mondo della musica egli era e continua ad

essere una leggenda. Per l’Abruzzo Charlie Maria-no è invece un semplice nome. Nonostante le sue

radici affondassero nella terra di Fallo, tranquillo paese adagiato sulle colline chietine, Mariano non è mai stato infatti oggetto di attenzione da parte dei contempora-nei regionali, relegato in quel limbo che troppo spesso ospita tanti discendenti italiani di emigrati.

Nato a Boston nel 1923, Charlie era figlio di Carmine Ugo Mariano e fin da bambino aveva espresso il suo talento per la musica. Al compimento del diciottesimo compleanno, Charlie ricevette in regalo dalla sorella un sassofono e nel giro di poche settimane divenne padro-ne dello strumento, tanto da potersi esibire, a 19 dol-lari a settimana, nel locale notturno "Izzy's Ort bar" e nella sala da ballo del Combat Zone di Boston. La guer-ra chiamò alle armi tantissimi giovani italo-americani e anche Charlie Mariano vestì la divisa venendo però utilizzato come musicista in uno dei numerosi piccoli complessi musicali che intrattenevano gli ufficiali nei loro club. Durante gli anni della guerra, in uno dei perio-di di licenza dal fronte, Mariano conobbe Glenna, che sarebbe diventata in seguito la sua prima moglie. Termi-nata la guerra il musicista tornò a Boston ed entrò a far parte dello "Schillinger House of Music" (divenuto nel tempo "The Berklee College of Music") con l’aiuto GI Bill. Tscuola ora è "The Berklee College of Music". Bacia-to dal successo, Mariano e la sua famiglia acquistarono una casa a West Newbury, per poi trasferirsi dopo po-chi anni a Plum Island. Il pendolarismo tra vita in città e giornate in spiaggia rappresentarono il punto di equi-librio dell’esistenza dell’artista di origine abruzzese. In pochi anni di carriera il sassofonista sviluppò il suo per-sonale "sound" e divenne un punto di riferimento nella vibrante scena del jazz di Boston. Collaborò con Nat Pierce, Jaki Byard e divenne compagno di studi di Herb Pomeroy e Quincy Jones. Nel 1950, Mariano pubblicò la sua prima registrazione come leader di un gruppo musicale e alcuni anni più tardi fondò il Jazz Workshop, una scuola che metteva in risalto, oltre all'istruzione, anche l'esperienza per quello che poi divenne un noto locale notturno. Precursore della musica etnica, amava riunirsi spesso a Dizzy Gillespie e nel 1953 venne coin-volto nel gruppo di Stan Kenton, intraprendendo una vita intrisa di viaggi e spostamenti.

Mariano scelse di interrompere la vita nomade acqui-stando una casa in California meridionale e unendosi

al gruppo del batterista Shelly Manne. Alcuni anni do-po, nel 1958 il sassofonista originario di Fallo accettò un contratto d'insegnante a Berklee riattraversando di nuovo gli Stati Uniti alla volta di Boston insieme a sua moglie e quattro figlie. Una semplice parentesi però. Un anno dopo si spostò di nuovo a Ovest, accompagnato dalla sua seconda moglie, la giovane pianista prodigio (e sua studentessa) Toshiko Akiyoshi. Insieme a lei Ma-riano fondò il Toshiko Mariano Quartet e registrò un disco con Charles Mingus. La fama accompagnò la nuo-va coppia nei loro spostamenti in tutto il Mondo ma la nascita della figlia destabilizzò la vita coniugale tanto da portare al divorzio. Mariano ritornò a Boston nel 1965 dedicandosi all'insegnamento e crescendo le figlie avu-te dal primo matrimonio, ormai adolescenti. Per cin-que anni rimase stabilmente a Plum Island portando il jazz in quella città.

«Era aspro ed era il leader e il fondatore di così tante cose nel mondo del jazz, ma era anche un uomo sorpren-dente, di una forte famiglia italiana - racconta Cynthia Mariano - e questo era il suo altro modo di essere». Curio-so e creativo, Charlie Mariano non disdegnò l’approccio musicale con artisti della beat generation, e tra i tanti registrò un pezzo anche con Jimmy Hendricks.

A Newburyport Charles Mariano suonò con regolari-tà al The Grog Restaurant creando una band chiamata 'Osmosis' che registrò con la RCA ed iniziò così ad apri-re la strada ad altri musicisti del tempo. Divenuto padre di un’altra figlia (fuori del matrimonio) il musicista par-tì per l'Europa ad esplorare la musica mondiale ispirata da altre culture quali il pop ed il rock. Nel 1987, Mariano sposò la sua terza moglie, la pittrice tedesca Dorothee Zippel, ma la felicità sentimentale durò pochi anni. N el 1995 gli fu diagnosticato un cancro alla prostata e gli fu dato un anno di vita. Con l'aiuto di terapie alternative e con la medicina convenzionale, visse altri quattordici anni, girando per l’Europa e in India e ascoltando tutti i tipi di sonorità. Il suo lavoro svolto sul Nadaswaram, uno strumento a fiato dell'India del sud, in legno, sco-perto in un viaggio Kuala Lumpur, è stato molto ben documentato e gli è valsa l'approvazione ed il consenso in Europa. La vita terrena del musicista di origine abruz-zese si spense il 16 giugno del 2011 al Mildred Scheel Hospiz di Colonia, in Germania, in quella che da molto tempo era la sua casa. Dopo 85 anni vissuti da protago-nista del jazz.

Generoso D'Agnese - [email protected]

Una tradizione unica quella della “Squilla” che la città di Lancia-no, in un clima di gioiosa attesa, celebra il ventitrè dicembre, con una serata magica ed intensa, che apre all'”incanto” e al

“mistero”. Un'antica consuetudine vuole che nella città frantana il Natale si inizi a vivere con due giorni di anticipo quando, in modo del tutto speciale, la sera della previgilia la città entra in un fermento dinamico e festoso, per abbandonarsi alle festività che seguiranno, vissute nella tradizione e nella memoria.

È un evento quello della “squilla” che affonda le sue radici in una pratica antica che va dal 1588 al 1607, istituita da Mons. Paolo Tas-so, Vescovo della città. Uomo di grande intelligenza ed umiltà, l'anti-co Vescovo, a piedi scalzi, volle avviare un percorso penitenziale in atteggiamento pacato e dimesso che lo avrebbe portato presso la suggestiva chiesetta della Iconicella, a tre chilometri dalla città. L'e-sperienza ricordava il viaggio dei pastori guidati dalla stella, verso la greppia di Betlemme dove avrebbero trovato e adorato il Redentore.

In quella occasione, la più piccola tra le campane della torre ci-vica suonava senza sosta fino al ritorno del Pastore penitente nei palazzi vescovili. Da allora, ancora oggi, la tradizione della “squilla” conserva il suo valore simbolico ed accomuna quanti si sentono di appartenere alla città e ne vivono i momenti comuni. La dolcissima campanella, dalle ore diciotto alle ore diciannove del prossimo venti-trè dicembre, riunirà i lancianesi in Piazza Plebiscito per lo scambio degli auguri. Un corteo silenzioso guidato dall'attuale Vescovo Mons. Emidio Cipollone, alle ore sedici in punto, muoverà dalla Cattedrale, in un percorso ben delineato, verso la illuminatissima chiesa della Iconicella e, sulla base della antica esperienza, ripercorrerà le orme di Mons. Tasso. Sulla piazzetta antistante la chiesa, il Vescovo rivol-gerà un saluto a tutta l'assemblea, che con fiaccole accese, si riavvie-rà verso la città illuminando la sera fredda.

Piazza Plebiscito sarà in attesa; la folla dei penitenti giungerà al-le diciotto e da quel momento la campanella inizierà a suonare per una intera ora, per dare a tutti la possibilità di arrivare e partecipare all'evento. Seguiranno abbracci, baci e auguri insieme con il suono di tutte le campane della città che annunceranno gioiose l'avvio del-la festa. Si racconta che ogni anno, nell'ora del malinconico squillo, arrivino nei locali pubblici che circondano la piazza, telefonate di lancianesi che vivono all'estero, che vogliono partecipare ed ascol-tare, soltanto per un minuto, il flebile suono che li fa sentire vicini alla amata terra. Dalle diciannove ognuno proseguirà la festa nella propria casa, apporrà sul davanzale un cero acceso e condividerà la gioia con gli anziani e con questi la pratica del “ baciamano”, segno di rispetto e di concordia, mentre consumerà contento caggionetti e crispelle bagnati da un frizzante spumantino.

La Squilla: il Natale attraversouna umile, flebile campanella

di Tonia Orlando

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7ABRUZZO NEL MONDO

Buon Natale e un migliore 2015 a tuttiunitamente alle vostre rispettive famiglie

DICEMBRE 2014

ROMA – Tutte le sedi diplomatiche e isti-tuzionali italiane nel mondo il 4 novembre saranno unite da un evento: la presenta-zione in anteprima del film “Torneranno i prati” di Ermanno Olmi. La proiezione si terrà nell’ambito delle attività organizza-te per ricordare il Centenario della Prima Guerra Mondiale, nel giorno dell’Unità Na-zionale e delle Forze Armate italiane. L’ini-ziativa è nata su impulso della presidenza del Consiglio, della Farnesina e del mini-stero della Difesa. Il lungometraggio, am-bientato sul fronte del Nordest dopo gli ul-timi sanguinosi scontri del 1917 sugli Al-tipiani e prendendo spunto dai ricordi di un pastore che era anche una guida per i soldati, è ispirato alle vicende dei “recu-peranti”, coloro che andavano a recupe-rare le bombe inesplose dopo il conflitto.

Il film ripercorre gli eventi di un’unica notte e sarà proiettato in contemporanea in quasi 100 Paesi da ambasciate, consola-ti generali e dagli Istituti italiani di cultura.

Inoltre, grazie alla collaborazione con Pa-lazzo Baracchini, potranno assistere alla proiezione anche i nostri militari schiera-ti in Afghanistan, Kosovo e Libano. Si trat-ta di un evento senza precedenti che per la prima volta coinvolgerà tutto il mondo, come la Grande Guerra di cui quest’anno ricorre il Centenario. Come a voler strin-gere in un unico abbraccio nazioni che per motivi diversi sono state protagoniste di un pezzo di storia che ha segnato l’u-manità e quelle che ancora oggi sono tea-tro di conflitti. Tutte destinatarie di un ri-chiamo alla pace – di cui il regista italiano si fa portavoce attraverso il film. In quello stesso giorno, la presidenza del Consiglio, il ministero dei Beni e delle attività cultu-rali, i produttori del film hanno organizza-to a Roma un’anteprima del film alla pre-senza del capo dello Stato, delle più alte cariche istituzionali e del corpo diploma-tico italiano e internazionale.

(Inform)

Per ricordare il Centenariodella Grande Guerra

Il 4 novembre in Ambasciate, Consolati e Istituti Italiani di Culturadi quasi cento Paesi il film di Ermanno Olmi “Torneranno i prati”

A soli 20 anni era già sui ponti, pron-to a sfidare la forza di gravità, e non è più sceso, neanche l’incidente che

subì mentre costruiva il Golden Gate, e che lo bloccò per mesi a letto, riuscì a farlo ri-manere lontano da quei grovigli di acciaio che piano piano, diventavano i ponti più maestosi d’America. Nella puntata di Com-munity che è andata in onda lo scorso 6 novembre, verrà ricordata proprio la figu-ra di Alfred Zampa grazie al racconto del pronipote, Gianlugi D’Amico, che ancora custodisce, come fossero reliquie, le lette-re che Angelina D’Amico, moglie di Al, spe-diva ai parenti ad Ortucchio, in provincia dell’Aquila. Il padre, Rocco Pacifico Emilio Zampa, nacque il 28 agosto 1876 proprio ad Ortucchio, così come la madre di Al-fred, Angelina D’Amico. Rocco arrivò negli Stati Uniti a bordo della nave “Città di Tori-no” il 20 settembre 1901, insieme a due or-tucchiesi, per lavorare in una raffineria nei pressi di Crockett, California. Dopo alcuni anni di duro lavoro, aveva messo da par-te i soldi per il viaggio della moglie che lo raggiunse nel maggio del 1904 a bordo del “Konig Albert”. E il 12 marzo 1905, a Selby, poco distante da San Francisco, nasce Al-fred Zampa. Fu il primo di cinque figli. A 20 anni, aveva una macelleria a Crockett, ma gli affari non andavano bene. Così chiuse il negozio ed accettò di lavorare alla costru-zione di un ponte. Il 21° compleanno lo fe-steggiò sul suo primo ponte inaugurato nel 1927, da allora i ponti sono stati il punto fer-mo della sua vita. Zampa ha costruito pon-ti grandiosi in California, Arizona e Texas e nel 1936, mentre trave su trave stava na-scendo il Golden Gate, per una banale sci-volata, Alfred precipita nel vuoto, un volo incredibile, fino a sfiorare la roccia. I com-pagni lo credono morto, ma ad Alfred ba-stano alcuni mesi di ospedale, un lungo pe-riodo di riabilitazione ed è pronto per tor-nare sui ponti, “A metà strada tra il paradi-

so e l’inferno”. Così chiamò l’associazione che fondò per tutelare i diritti di tutta la ca-tegoria. E la sua storia diventa un interes-sante spunto per romanzi e commedie te-atrali, come “The Ace” di Isabelle Maynard (An ironworker’s story of heroism, risk and recogniton on the Golden Gate Bridge). “Asso”, così veniva chiamato Al, è stato sui ponti fino a 65 anni, ha vissuto intensa-mente mettendo passione, anima, in tutto quello che faceva, anche come allenatore di una squadra di baseball che vinse il cam-pionato nel 1953. Una passione, quella per l’acciaio ed i ponti, che è riuscito a trasmet-tere ai suoi figli e al nipote Donald, così co-me l’orgoglio di appartenenza a quel picco-lo centro marsicano che Al non ha mai co-nosciuto se non nei racconti del padre.

Al è morto nel 2000, a 95 anni, e dopo so-li tre anni lo Stato della California ha volu-to rendergli omaggio inaugurando l’Alfred Zampa Memorial Bridge, secondo italiano, dopo Giovanni da Verrazzano, a vantare questo onore. E gli ortucchiesi, tornarono a scoprire questo figlio illustre, e per volere dell’allora Sindaco Mario Frigioni, dal 2005 la piazza del Comune di Ortucchio è stata dedicata ad Alfred Zampa. Alla cerimonia non mancò il ringraziamento del Governa-tore della California, Arnold Schwarzeneg-ger, e il nipote di Al, Donald Zampa.

La figura leggendaria di Alfred Zampa è stata ricordata a Community, il program-ma trasmesso da Rai Italia all’estero e con-dotto da Benedetta Rinaldi (in Italia può es-sere visto su www.raitalia.it). Oltre al con-tributo di Gianluigi D’Amico, è stato Lucia-no Ghelfi, giornalista del tg2, a ripercorre-re le gesta di questo personaggio diventa-to emblema del lavoro italiano nel mondo, simbolo del coraggio e di una caparbietà comuni a tanti abruzzesi, tanti italiani all’e-stero che in ogni parte del mondo hanno costruito opere grandiose.

Marianna Ruggeri

L’occasione delle festi-vità natalizie ci è gra-dita per augurare a

tutti serenità e prosperità.Vi mandiamo Abruzzo nel

Mondo dal 1983, senza aver sinora riscontrato né appro-vazione, né dissenso, né so-stegno.... Noi non vogliamo disturbare la quiete di nessu-no; anzi, tutte le volte che ab-biamo sollecitato qualcosa, abbiamo terminato sempre: se non gradito, restituitelo al mittente gratis: RETOUR”, in ogni numero. Dal 2008 non riceviamo alcun sostegno ne-anche dalla Regione Abruz-zo; in precedenza il contri-buto non copriva nemmeno le spese postali. Durante le riunioni del CRAM di tutto si parla, meno che della stam-pa d'emigrazione, che regi-stra e costituisce -nella storia dell'uomo- le orme del suo passaggio. Qualche sostegno abbiamo ricevuto dalla Pro-vincia di Pescara e, per due anni, il Comune di Pescara ci ha fornito una sede per la Redazione. Oggi siamo tutti nelle nostre rispettive case, in attesa che qualcuno di voi voglia sostituirci. Noi siamo stati spinti da questa forma di vicinanza a stare insieme a voi, perchè l'emigrazione è nel sangue di ogni Abruz-zese, a partire dalla “transu-

manza” nei tempi primitivi. Poi si iniziò a scendere dalle montagne innevate per diri-gersi verso il pianoro a sver-nare, in attesa dell'estate per ritornare a mietere il grano -per esempio- nel Fucino, o a vendemmiare lungo la costa o a raccogliere le olive, dove necessitava. Con l'avvento della ferrovia nella prima metà dell'800, l'Abruzzese si allontanò oltre i confini regio-nali, addirittura spingendosi financo a costruire la ferrovia lungo le steppe del percorso della transiberiana da Mosca a Vladivostock. Il treno pri-ma e il vapore dopo lo portò errabondo da una nazione all'altra fino a salpare affron-tando l'Oceano per raggiun-gere le Americhe.

La stampa per gli emigranti apparve nelle edicole fin dal 1830, in Argentina.. Fu grazie alla stampa che molti con-nazionali, amici e parenti, si sono ritrovati facendo pub-blicare annunci. E via via fino ai giorni nostri, fino a saziarsi delle varie TV e dei moderni Network. Ma senza mai rice-vere una cartolina, nemme-no a Natale: questo no! L'ul-tima spedizione di Abruzzo nel Mondo, solo di spese postali, è costata oltre mille €. Nessuno vi costringe a ri-cevere il giornale, ma un nor-

male senso civico detta che, chi non vuole, lo restituisce: RETOUR. Salutare o scrivere è un piacere, ma rispondere è un dovere.

Ciò premesso, a volte viene la sensazione che qualcuno di voi abbia perduto il DNA di Abruzzese “Forte e Genti-le”. Il notiziario è vostro: quel che ci mettete ci trovate e an-drà a costituire la Storia di un gruppo etnico, il nostro: qui è passato un Abruzzese …!.

Concludendo vi invito a re-golarizzare la vostra posizio-ne: € 20,00 l'anno -meno € 9,00 di spese bancarie- non sono un patrimonio che manda fallito qualcuno. Almeno una volta l'anno necessita riceve-re qualcosa, sia pure quale ve-rifica dell'esattezza del vostro indirizzo e che si si è ancora in vita...! Diversamente le Po-ste trattengono il plico per un mese e poi lo mandano al macero; se restituiscono il plico, occorre pagare di nuo-vo le spese di ritorno. E così abbiamo perso tempo, salute e denaro. Gli abbonamenti gratuiti -come ormai tutti sapete- vanno richiesti alla Regione Abruzzo, alle vostre Province o ai vostri rispettivi Comuni di provenienza.

LA REDAZIONE Nicola D'Orazio

A Community (Rai Italia)l’omaggio ad Alfred Zampa

Censimento-Abbonamento Abruzzo nel Mondo

L'abruzzese di Ortucchio, simbolo del lavoro italiano nel mondo

Gino Masciarelli, l’animaliere del bestiario

Venticinque disegni preparatori e ven-ticinque sculture patinate in ferro sa-ranno in mostra al ‘Museo Etnografico

Regole d’Ampezzo’ a Cortina, dal 6 dicembre 2014 al 7 aprile 2015. L’autore è Gino Mascia-relli, nativo di Chieti, ma forgiato artistica-mente nelle fucine più rinomate d’Europa. Si tratta della raccolta denominata “Bestiario” poiché il soggetto delle sculture è il regno ani-male e le ‘bestie’ sono caratterizzate da con-torni netti e ben limati con al centro un vuoto che rappresenta un tutto pieno d’animo, di spirito vitale inafferrabile. Al “Bestiario” ci piace correlare il termine “Animaliere” ,come direbbe il ‘vate’: «Perché tanto m’attrae fra tutte le arti l’arte del grande animaliere? Sicu-ramente scrivo animaliere e non animalista» (Gabriele d’Annunzio: “Libro segreto” –‘Regi-men hinc animi’), termine mutuato dall’Ali-ghieri. Se è vero che ognuno di noi porta con sé tratti ereditati dalla propria stirpe, occorre sottolineare che l’artista teatino, discendente dei miti -e diplomatici- Marrucini (si accor-darono con Roma, non la combatterono, al contrario dei Sanniti che scelsero la via delle armi, e furono battuti) i quali usarono il fer-ro per forgiare vomeri d’aratro per il ‘pagus’ nella vallata sottostante la ‘civitas’ (Cis-pa-gus-teatis=Cepagatti) prim’ancora di forgiare

spade, non poteva non immergersi con la sua arte metallica nel ‘panismo’ suggerito dalla ‘circoscrizione’ rurale d’epoca repubblicana dell’antica Roma. E ‘pagus’ ha la stessa radi-ce di ‘pax’, appagato, in sintonia con se stes-so e con la natura, con gli dei e con gli uomini.

Che bello sarebbe se Gino Masciarelli potes-se donare alla Sede Mondiale Unesco di Pari-gi, a Place de Fontenoy, magari una ‘colomba’ forgiata ad hoc da porre nel Giardino Giappo-nese appena fuori l’edificio, accanto all’opera del suo conoscente Henry Moore, a quelle di Naguchi, Calder, Mirò…, sotto lo sguardo am-monitore di quella testa d’angelo annerita di pietra ed incastonata sulla parete, provenien-te da una chiesa di Hiroshima dopo aver subi-to la terribile devastazione atomica del ’45. Un pezzo d’Abruzzo già si trova da anni in quella Sede: un bassorilievo con il logo Unesco su pietra bianca della Maiella (del peso di 1 ql), opera e dono degli alunni della Scuola Media di Lettomanoppello che la portarono sin lassù durante una visita d’istruzione agli inizi degli anni ’80. Coraggio, “Animaliere”! Questo scor-cio del terzo millennio ha bisogno più che mai di simboli artistici di pace quali spinte possen-ti per le conseguenti azioni concrete da parte di ognuno. Ad maiora!

La Redazione

Approvato dal Consiglio dei Ministriun provvedimento d’urgenza che posticipa al 17 aprile 2015 le elezioni dei Comites

I l Consiglio dei Ministri ha approvato un prov-vedimento d’urgenza che posticipa al 17 apri-le 2015 la data di voto per l’elezione dei com-

ponenti dei Comitati degli italiani all’estero. Ricor-diamo che le elezioni erano previste per il prossi-mo 19 dicembre.

Il provvedimento del Governo si è reso necessa-rio per favorire una maggiore affluenza al voto, vi-sto che la nuova procedura di registrazione pre-ventiva degli elettori introdotta per la prima vol-ta ha richiesto tempi ulteriori per raccogliere una più vasta partecipazione. Di conseguenza il termi-ne ultimo per l’iscrizione degli elettori è stato spo-stato al 18 marzo 2015. (Infom)

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Data la brevità del tempo, ci pregiamo trasmetterealle Associazioni la presente nota. GRAZIE!

Dal 6 dicembre 2014 al 7 aprile 2015 a Cortina d’Ampezzo (BL)

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ABRUZZO NEL MONDO8 DICEMBRE 2014

Con il patrocinio di

EXPO 2015: Nutrire il Pianeta

meridionali, che si sentivano discriminati nonostante il loro notevole apporto all'eco-nomia nazionale. Fu cosi che Getúlio Vargas, sostenuto dai potentati del Rio Grande do Sul, guidò la rivoluzione del 3 ottobre 1930 e s'insediò al comando del Paese diventando-ne Presidente in due periodi. Il primo, durato ininterrottamente dal 1930 al 1945, ebbe 3 fa-si: dal 1930 al 1934 come capo del “Governo Provvisorio”; dal 1934 al 1937 come Presi-dente della Repubblica del “Governo Costi-tuzionale”; dal 1934 al 1945 come Presidente Dittatore dell'”Estado Novo”, impiantato do-po un colpo di stato. Nel secondo período, in cui fu eletto per voto diretto, Vargas governò il Brasile come Presidente della Repubblica dal 31 gennaio 1951 al 24 agosto 1954, quan-do si suicidò.

Il “padre dei poveri”, cosi lo chiamavano i suoi ammiratori, rimane uno dei personag-gi più controversi della storia repubblicana del Brasile. Demagogo, accentratore, dap-prima simpatizzante dei regimi nazi-fascisti europei, si schierò poi con gli Alleati contro le potenze dell'Asse nella Seconda Guerra Mondiale; creatore di un Dipartimento di Stampa e Propaganda rivolto a controllare i mezzi di comunicazione, seppe coinvolgere nei suoi programmi di sviluppo economico e culturale molti fra i principali intellettuali del suo tempo.

A lui si devono numerose leggi di caratte-re sociale e diritti dei lavoratori. Dopo la sua morte, che alcuni dubitano sia stata davvero un suicidio, vennero gli anni del desenvolvi-mentismo di Juscelino Kubitschek, il fonda-tore di Brasília, con forte accelerazione di alcuni settori industriali ma senza risolvere i problemi dell'esclusione sociale nelle città e nelle campagne. A queste esigenze sembra-va voler rispondere il governo del Presidente João Goulart ma, a fronte del pericolo che le classi dominanti interne e internazionali per-cepivano nei suoi progetti, come quello della riforma agrária, egli fu deposto dal colpo di stato militare del 1 aprile 1964.

La dittatura dei militari fu uno dei perio-di di maggior repressione della storia della repubblica: numerosi gruppi politici furono eliminati, molti dei loro membri torturati e uccisi. Garantita in questo modo la “pace sociale”, fiorirono gli investimenti stranieri e il cosiddetto “miracolo economico” favorì la propaganda rivolta ad esaltare la dimensio-ne di possibile potenza mondiale del Paese.

Col passar del tempo i sogni di grandezza furono demoliti dalla crescente instabilità provocata dal gravissimo processo inflazio-nario accompagnato da stagnazione econo-mica. Fra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 il movimento sindacale realizzò imponen-ti scioperi; nel 1983 e 1984 le strade di tutto Il Brasile furono invase daí manifestanti che chiedevano elezioni presidenziali dirette. Il regime militare cadde nel 1985.

Dopo la drammatica scomparsa di Tancre-do Neves, primo Presidente eletto sia pure in forma indiretta, la nuova fase repubblicana iniziò col governo di José Sarney, durante il cui mandato fu approvata e promulgata la nuova Costituzione (1988), tuttora in vigo-re. Il primo Presidente eletto direttamente a suffragio universale, dopo Il 1960, fu Fer-nando Collor de Mello (1989), che però ven-ne costretto a dimettersi in seguito al suo impeachment per corruzione (1992). A lui seguì per due mandati Fernando Henrique Cardoso, autore del “Plano Real” con cui si diede stabilità alla moneta sconfiggendo l'inflazione e favorendo la ripresa economi-ca e gli investimenti. Ci furono poi, dal 2002 al 2010, i due mandati di Luiz Inácio Lula da Silva, il primo Presidente di origine operaia, la cui azione di governo si è caratterizzata per la redistribuzione del reddito, resa pos-sibile dalla stabilità economica raggiunta nel período di governo di Fernando Henrique Cardoso. Politiche sociali come quella della “Bolsa Família” hanno garantito, insieme a um reddito minimo per le fasce sociali più di-sagiate, l'accesso all'educazione di base per quasi tutta la popolazione in età scolare.

L'alternanza del potere ha reso possibile nel 2010 l'elezione della prima donna alla presidenza della Repubblica. Dilma Roussef, delfina di Lula, ha dato seguito alle politiche del suo predecessore, dovendo affrontare problemi di non facile soluzione legati alle difficoltà della congiuntura economica mon-diale, oltre che gli effetti di scandali che han-no coinvolto livelli elevati dell'establishment governativo. Questo rapido excursus evi-denzia come nella storia repubblicana del Brasile si sia verificato, fino alla caduta della dittatura militare nel 1985, un ripetuto fe-nomeno di sistole e diastole, colpi di stato come quello che ha abbattuto la monarchia e fasi di apertura col ritorno alla democra-zia. Poi, a partire dalla promulgazione della carta costituzionale del 1988, il Paese ha vis-suto un processo costante di crescita della coscienza civile e rispetto delle istituzioni, per cui oggi può essere annoverato fra le più solide democrazie occidentali.

Il confronto fra i due schieramenti della Roussef e di Aécio Neves è stato duro, carat-terizzato da polemiche e reciproche accuse anche pesanti, ma allo stesso tempo ha mo-strato la partecipazione appassionata dell'in-tera società, la determinazione nel procedere verso nuovi orizzonti, la voglia di raggiunge-re livelli più avanzati di giustizia e benessere sia materiale sia culturale. A prima vista, il risultato delle elezioni potrebbe far pensare a un Paese spaccato a metà. La Roussef ha vinto con una percentuale di voti del 3,2 in più rispetto a Neves, prevalendo in genere negli Stati del Nord e Nord-Est e perdendo in buona parte di quelli del Sud, Sud-Est e Cen-tro-Ovest; i voti a suo favore sono stati nu-merosissimi nelle città medie e piccole, men-tre i grandi centri urbani hanno mostrato di preferire il suo avversario. C'è chi ha parlato di vittoria di Pirro e chi ha voluto rievocare i classici della sociologia francese degli anni '50 del Novecento, Jacques Lambert e Roger Bastide, travisando e adattando forzatamen-te alla situazione attuale la dimensione del

contrasto che i due studiosi applicavano al Brasile in maniera dialettica come strumen-to interpretativo, sottolinenando allo stesso tempo l'unità e complementarietà delle parti che compongono l'enorme Paese.

Alcuni osservatori sembrano dimenticare quanto è vasto, composito, “plurale” l'univer-so brasiliano, con la sua mescolanza di razze, etnie, religioni, tradizioni, diversità geogra-fiche e antropologiche. Metropoli, sertão, foresta, cosmopolitismo, cultura popolare convivono, s'intrecciano, ricreano “antropo-fagicamente” i rispettivi elementi costitutivi. “Io sono trecento, sono trecentocinquanta”, scriveva nel 1930 Mário de Andrade, uno dei papi del Modernismo, e cosi bisogna intendere il Brasile: diviso regionalmente senza essere frammentario, molteplice con vocazione all'unità. Queste votazioni hanno sottolineato il carattere conflittuale della de-mocrazia ma, appena dichiarata vincitrice, Dilma Roussef ha fatto appello allo spirito nazionale toccando una corda assai sensibi-le dell'animo brasiliano. E ancora una volta la voce del poeta ci aiuta a comprendere me-glio ciò che sta accadendo. Marco Lucchesi, il principe degli “anfibi” (cosi egli definisce gli italo-brasiliani), ha detto nell'immediato dopo-elezioni: Penso al Brasile come un libro dalle pagine in bianco, ancora da scrivere, li-bro aperto, di vaste proporzioni, che comincia a disegnarsi a partire daí margini, dalle note a piè di pagina, ancora senza índice perché in-completo, in costruzione. Un libro polifonico, abitato dalla diversità, popolato da molti oc-chi, vivi. Libro dalla firma incerta, fluttuante, dove il presente non nasconde il volto lumino-so del futuro.

Certo non è semplice confrontarsi col li-bro di cui parla Lucchesi, eppure dalle sua lettura anche noi europei avremmo tanto da imparare.

Aniello Angelo Avella - [email protected]à di Roma Tor Vergata

Universidade do Estado do Rio de Janeiro

DALLA PRIMA PAGINA Il Gigante ha deciso. Dilma Roussefè ancora Presidente del Brasile

NEW YORK - L’antica tradizione dei sapori italia-ni di una volta rivive con il tour gastronomico del Greenwich Village di ‘Foods of Ny Tours’. Una pas-seggiata tra le stradine del quartiere meglio cono-sciuto come ‘Village’ a Lower Manhattan, non lon-tano da Washington Square, una volta area rurale e ora traboccante di ristoranti e negozi di tendenza.

Ben diverse dagli stradoni uniformi che caratte-rizzano le avenue newyorkesi, le cosiddette ‘viuz-ze’ del Village ‘off the grid’ (fuori dalla griglia di Manhattan) danno più l’idea di una tipica capitale europea piuttosto che di una metropoli america-na. È qui che si trovano quelle che possono essere considerate le salumerie italiane dove la ricchezza dei banconi e delle vetrine è una calamita per turi-sti e residenti.

La gastronomia italiana è la regina di negozi co-me Faicco’s, chiamato ‘Pork Store’ che dal 1900 su Bleecker vende prodotti importati dall’Italia. Ac-canto c’è Murray, specializzato in formaggi e non a caso il suo motto è ‘We know cheese’. Il negozio è di proprietà ebrea ma se si è alla ricerca di un qual-siasi formaggio italiano Murray è il posto giusto.

Ed il Village è il posto anche sinonimo di risto-ranti, in poche centinaia di metri si trova ogni tipo di varietà. Se si vuol stare sul tradizionale su Cor-nelia Street c’è ‘Palma’, dove il dettaglio fa la dif-ferenza e con un’atmosfera da giardino, circondati da fiori e piante oltre allo stomaco si nutre anche l’anima. Per chi invece vuole provare l’esperienza dalla terra alla tavola sempre su Cornelia Street c’è ‘Homo’, casa e appunto l’idea è quella di far sentire i clienti più a loro agio possibile come se fossero a casa loro. Solo trenta posti a sedere.

E una passeggiata per il Village è anche un’espe-rienza lontana dallo sviluppo edilizio inarrestabile e spesso scellerato che caratterizza New York. Il quartiere infatti è sotto protezione della New York City Landmarks Preservation Commission che si batte per preservarne l’architettura e l’integrità storica. Per le sue caratteristiche hanno scelto di abitarci personaggi famosi come Seth Meyers, Juli-anne Moore, Sarah Jessica Parker, il defunto Philip Seymour Hoffman.

Grazie agli sforzi di preservazione esiste ancora su Commerce Street il Cherry Lane Theater, il più vecchio teatro off Broadway di New York. Va avanti ininterrottamente dal 1924.

Ancora pochi passi e al civico 75 di Bedford Street si trova la casa più stretta di New York. In realtà il civico è 75 e 1/2 proprio perché la casa è talmente stretta da non ‘meritare’ un numero inte-ro. Tuttavia anche se stretta vale milioni di dollari e l’ultimo acquirente, lo scorso anno ha pagato tre milioni 25/mila dollari per avere un pezzo di storia in città. In passato inquilino illustre è stato Cary Grant.

Su Bedford Street, all’angolo con Grove, c’è an-che l’edificio in cui tutti vorrebbero vivere, quello in cui è stata girata la serie tivvù ‘Friends’. In realtà, forse con grande delusione dei fan, solo l’esterno è stato usato per la sitcom, l’appartamento in cui ‘vivevano’ Rachel, Monica, Phoebe, Joey, Chendler e Ross era uno studio fuori New York.

Il giro nel Village finisce con un tocco dolce. L’ultima tappa è Rocco’s, ancora su Bleeker, che ripagherà ogni fatica, tra le altre cose, con deliziosi cannoli siciliani. www.foodsofny.com (Inform)

BUENOS AIRES - Il 26 ot-tobre scorso, nella famo-sa Avenida de Mayo nel centro di Buenos Aires, ha avuto luogo la mani-festazione “Buenos Aires Celebra Italia”, nella quale la maggior parte delle re-gioni italiane hanno par-tecipato con i loro stand. L’Abruzzo è stato presen-te con il proprio stand ga-stronómico, organizzato dalla FEDAMO (Federazione delle Associazioni Abruzzesi in Argentina), e con uno show artistico presentato da Maximiliano Manzo, componente del co-mitato direttivo della stessa FEDAMO e del Centro Abruzzese Marplatense. Sono state distribuite mappe ed informazioni turistiche e gastronomiche al fine di promuovere la nostra bella regione che noi chiamiamo “...il giardino verde d’Europa”. Da mezzogiorno, fino alle cinque del pomeriggio, tutti i vi-sitatori hanno potuto assaggiare i tipici prodotti gastronomici abruzzesi co-me la porchetta, le pizzelle, la cicerchiata, panini al formaggio e prosciutto, biscotti ed altre specialità dell’Abruzzo. Con questa iniziativa la FEDAMO prosegue nel suo compito di tener alta la bandiera della regione d’origine, promuovendo in Argentina, oltre i prodotti agroalimentari, anche il turismo e tutto ciò che è caratteristico dell’Abruzzo. Possiamo citare in seno alla manifestazione la presenza dei rappresentanti dell’Associazione Abruzzese “Villa San Vincenzo di Guardiagrele” con il suo Presidente, Elio Garzarella, ed i tre rappresentanti del CRAM, la Presidente FEDAMO Dr. Natalia Turan-zas Marcos, e i consiglieri Ing. Joaquín Negri e Dr. Federico Mandl. Alle 5 del pomeriggio erano già terminate tutte le specialità alimentari, tanta era la gente che ha partecipato alla manifestazione italiana. E tutta questa gente, che è transitata per l’Avenida de Mayo, ne ne è ripartita con la consapevo-lezza della grande quantità di attrattive che offre la regione Abruzzo.

Federico Mandl - [email protected]

I sapori italiani del Village L'Abruzzo presente all'evento "Buenos Aires celebra Italia"Nello Stato di New York, la popolazione di Italiani Americani

è di 19.303.930 (14% della popolazione totale) dati 2010