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Formazione Liturgica

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Culmine e Fonte 3-2012

L’animazione liturgicae la partecipazionedell’assemblea

p. Giuseppe Midili, O. Carm.

l principio pastorale della par-tecipazione piena, attiva e con-sapevole alla liturgia, espresso

nella Costituzione Liturgica Sacrosan-ctum Concilium al n. 14, ha cambiato lafisionomia delle celebrazioni post con-ciliari. I nuovi libri liturgici, infatti, pre-vedono che la comunità non partecipialla celebrazione come farebbe ungruppo di muti spettatori, ma racco-mandano che la comunità cristiana sisenta coinvolta nella glorificazione diDio che si compie nella liturgia. In-fatti proprio la liturgia è prima e indi-spensabile fonte da cui i fedeli possonoattingere il genuino spirito cristiano(Sacrosanctum Concilium 14). Per pro-gre d i re n e l c a m m i n o d e l l a fe d eattraverso la liturgia, accanto alla for-mazione liturgica, di cui si è parlatonell’ultimo editoriale, è opportuno ap-profondire l’altra faccia della questione,il tema dell’animazione delle celebra-zioni, per sgombrare il campo da al-cune false convinzioni.

Il primo passo è ristabilire l’assoluta su-premazia dell’assemblea che, guidata

da un ministro deputato alla presi-denza, ha il diritto e il dovere di parte-cipare pienamente alla celebrazione inforza del Battesimo. Così ogni figliodella Chiesa-madre può e deve espri-mere nel culto la lode e la fede in Dio,sentirsi santificato dall’azione celebra-tiva e coinvolto nella glorificazione diDio. Nessuno può arrogarsi il diritto disottrarre all’assemblea radunata leespressioni della sua fede: il canto, le ri-sposte, i gesti, ma anzi ogni celebra-zione deve favorire l’esprimersi dellacomunità secondo le indicazioni deilibri liturgici e nella fedeltà assoluta alleloro prescrizioni. Per raggiungere tuttociò si è dedicata una sana energia pa-storale all’animazione liturgica, nellaconsapevolezza che la premessa indi-spensabile è un itinerario di evangeliz-zazione per tutti, un percorso difo r m a z i o n e c h e a i u t i a p re n d e recoscienza del valore della celebra-zione.

Proprio partendo dalla fede personalee della comunità, per giungere a unapartecipazione attiva, nasce la figura

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degli animatori liturgici. In questomodo si cerca di superare quegli atteg-giamenti di pigrizia, disinteresse e apa-tia, che talvolta caratterizzano le nostreassemblee. La struttura di animazionedella celebrazione non ha solo lo scopodi sensibilizzare la comunità, ma vuolaiutare l’assemblea a prendere co-scienza del suo ruolo di soggetto cele-brativo, di comunità chiamata acelebrare i divini misteri. Solo così spa-rirà la scarsa partecipazione: ogni cre-dente sente la celebrazione comeluogo in cui nasce, si irrobustisce e si vi-vifica la sua fede. Tutti coloro che si ra-dunano per celebrare si sentirannomembra vive dell’assemblea liturgica,da colui che presiede all’ultimo fedele,che come il pubblicano rimane in piediin fondo alla Chiesa, nell’ombra. Il can-tore e il vescovo, i ministranti e il coro,i lettori e gli accoliti e i diaconi e i pre-sbiteri: tutti sono membri dell’unicocorpo che è la Chiesa, tutti sono mem-bri dell’assemblea liturgica. Ognunocon una ministerialità propria, ognunocon una dignità propria, ognuno conun ruolo differente, stabilito dalla voca-zione di vita a cui Dio lo ha chiamato.

Capita invece di assistere a una spacca-tura netta, a un solco profondo e inva-licabile all’interno dell’assemblealiturgica, che separa coloro che fannoqualcosa nella celebrazione, da coloroche non fanno niente. Chi fa qualcosa èil cantore, il lettore, il ministrante, il sa-cerdote presidente... gli altri riman-gono nell’ombra dei banchi, in un

anonimato che per alcuni è rifugiotranquillo, per altri è declassamento esvalutazione del proprio ruolo. Fino aquando rimarrà in vita questa triste se-parazione non si comprenderà che lacelebrazione è il momento della mini-sterialità, in cui ognuno mette a servi-zio degli altri il proprio carisma ed èarricchito per mezzo dei carismi deglialtri partecipanti. E non mi riferiscosolo a chi ha il ministero esplicito del-l’animazione, o per intenderci anima-zione comunitaria. Ogni battezzato chepartecipa alla liturgia è animatore indi-viduale, nel senso che partecipando at-tivamente alla celebrazione comesoggetto individuo promuove la parte-cipazione degli altri. Io sono l’anima-tore delle persone che sono accanto ame in Chiesa perché rispondo al ritor-nello del salmo, intervengo con ilcanto, con le risposte, compio i gestiprevisti, rimango in silenzio al mo-mento opportuno. In questo modo fa-vorisco la partecipazione di chi mi sta afianco e tutte le persone che sono in-torno a me favoriscono la mia parteci-pazione alla liturgia. Se accanto a mequalcuno non partecipa attivamente,ha maggior bisogno di me e se sono ac-canto a uno che partecipa meglio dime (per esempio perché canta meglio),io vengo incoraggiato. Dunque, in sin-tonia con l’animazione comunitaria cheuno svolge nei confronti di tutta l’as-semblea, c’è la risposta dei singolimembri dell’assemblea, che divengonocapillari animatori di tutta la comunitàcelebrativa.

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È ovvio che accanto a un prototipo dianimazione comunitaria e capillare ènecessario il costituirsi di un gruppo dianimazione, al cui interno saranno pre-senti membri del coro, del gruppo deiministranti, dei lettori, degli accoliti.Guiderà questo gruppo di animazione(o gruppo liturgico) l’animatore comu-nitario, cioè la persona che il sacerdoteha incaricato della regìa liturgica: nondi comandare su tutti, ma di dare iltempo a tutti. È sparita dai documentiliturgici, ma forse non dalla prassi, unafigura di cerimoniere che si muove allastregua di un maggiordomo rigido epuntiglioso. La celebrazione liturgica èuna sinfonia in cui tutti i presenti suo-nano, a un cenno della guida, che dettasolo i tempi, in ossequio ai principi li-turgici, per innalzare all’unisono la lodeal Padre. Tutti i partecipanti conosconogià il percorso rituale, la struttura dellacelebrazione, i testi da cantare e daproclamare. La guida dà il ritmo consemplici cenni, il presidente e tutta l’as-semblea si muovono all’unisono: il can-tore canta, il lettore proclama, ildiacono serve, tutti agiscono e parteci-pano senza essere disturbati nella pre-ghiera dai continui avvertimenti vocalio gestuali dell’animatore.

Interpretata in questo modo, anima-zione liturgica non significa mettereanima dall’esterno in una celebrazioneesangue, in un’assemblea tiepida edisinteressata. L’animazione non èun’iniezione potente di vitalità in unaliturgia smorta, fredda, scarna. Non è

l’opera di un gruppetto che si incaricadi trascinarsi dietro nella celebrazioneun’assemblea che non canta, non ri-sponde, non partecipa. Animare signi-fica invece portare l’assemblea allacondizione di poter partecipare, quindidi auto-animarsi, perché anche chiguida la celebrazione, i cantori, i lettori,i ministranti, il presidente sono membridell’assemblea. Dunque è l’assembleache dal suo interno si anima, non riceveun aiuto esterno per vivere la celebra-zione, ma dai suoi membri riceve l’ener-gia per essere comunità ecclesiale cheprega. Quindi il gruppo di animazionestudia e mette in atto una serie di pro-poste pastorali che consentono all’as-semblea di celebrare in maniera degnala lode divina, valorizzando i carismi diciascuno e permettendo a tutti di espri-mersi nel canto, nelle risposte, neigesti.

Proporre all’assemblea solo canti com-posti per specialisti, eseguiti da un coroprofessionale che si esercita per ore, si-gnifica relegare l’assemblea a un ruolodi assistenza, non di partecipazione.Occorre pensare canti con un ritornellosemplice, che si apprende in fretta, chesi canta con facilità. Il coro infatti deveessere guida del canto, non esecutore,mentre tutta l’assemblea si auto-animacon il canto. Proporre gesti, segni, mo-nizioni, commenti non sempre favori-sce il celebrare comunitario: talvoltastanca con una sovrabbondanza diparole, di movimenti, di azioni che pon-gono sulla celebrazione e sull’assem-

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blea un peso non necessario. Certisegni introdotti a scopo esplicativonella liturgia (quasi che i segni liturgicinon bastino e si debbano integrare)sono il frutto di un percorso che pochiprescelti hanno pensato per tutta l’as-semblea, ma talvolta non esprimono ilsentire comune, né l’autentico spiritocomunitario. Se si evince dall’assem-blea un senso di smarrimento o noia, odistrazione, ciò dipende dal fatto che lacomunità non accoglie quelle modalitàdi animazione o non è ancora pronta onon le sono congeniali, risultano ina-datte. Lo stesso si potrebbe dire per lapreghiera dei fedeli, che non appar-tiene più alla comunità, ma propone in-tenzioni lontane dal sentire dellacomunità particolare in cui si propon-

gono. Se la comunità non genera ungruppo che prepara la preghiera dei fe-deli, forse occorre qualche stimolo equalche provocazione. Anche l’anima-zione attraverso la proclamazione dellaParola oscilla da monopolio di alcunieletti, a banalizzante lettura del testobiblico, affidata all’ultimo momentoall’ultimo arrivato. La nascita di ungruppo che si incarica della lettura è ilfrutto di una buona animazione.

Gli esempi potrebbero continuare: al-cuni incoraggianti, altri tristi, ma ri-mane un’unica convinzione: se tanto èstato fatto, tanto c’è ancora da fare, so-prattutto per imparare bene - nella teo-ria e nella prassi - come si mette inpratica l’animazione.

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Battesimo e matrimonio insieme?Una proposta

liturgico-catechetica persituazioni pastorali complesse

Valeria Trapani

ella società contemporanea,caratterizzata dalla secolarizza-zione e da un imperante raziona-

lismo sovente acritico, accade sempre piùspesso che, a fronte di un crescente atei-smo e di un declino della prassi sacra-mentale, coppie di fatto o sposate con ilsolo rito civile, con l’arrivo del primo figliodecidano di chiedere il battesimo per ilneo-arrivato, e conseguentemente vo-gliano celebrare le proprie nozze sacra-mentalmente.La Chiesa di fronte a tali richieste non puòche gioire per la crescita numerica e spi-rituale della famiglia ecclesiale, ma sitrova altresì nella difficoltà pastorale didover affrontare la celebrazione di duesacramenti, diversi tra loro per natura teo-logica e spirituale, che la coppia vorrebbemagari celebrare in unica soluzione.Per rispondere a tali delicatissime que-stioni pastorali, a volte la soluzione piùsemplice e più veloce appare essere pro-prio quella della celebrazione congiuntadi battesimo e matrimonio all’internodella medesima celebrazione eucaristica,

ma al contempo questa è certamente lasoluzione meno efficace, tanto dal puntodi vista teologico-liturgico, quanto per lacrescita spirituale di una famiglia che perla prima volta decide di accostarsi alla vitasacramentale.La breve riflessione che seguirà si porràpertanto l’obiettivo di suggerire un per-corso pastorale di tipo celebrativo e cate-chetico che possa far fronte a situazionidel genere, senza mancare di illustrare ledimensioni teologiche portanti dei duesacramenti messi in gioco, perché possaessere chiara la posizione assunta, chevuole apertamente prendere le distanzedalla prassi pastorale di celebrarli insieme.

1. L’anamnesi del problema: una di-namica di domanda e offerta?

Tutte le volte in cui la Chiesa riceve la do-manda di una celebrazione sacramentalenon può certo esimersene. La salvezza èstata donata da Cristo a tutti gli uomini at-traverso il Mistero della Pasqua, e il Con-cilio Vaticano II ci ha ricordato che ilcompito della liturgia è proprio quello di

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perpetuare tale offerta di grazia neltempo della Chiesa. Quando in Sacrosan-ctum Concilium 6 si afferma che la liturgiasi colloca nella storia della salvezza, e necostituisce la prosecuzione nel tempodella Chiesa, non si sta formulando sol-tanto un asserto teologico, ma si ponealla Chiesa l’invito a farsi portatrice dellasalvezza donata da Cristo agli uomini at-traverso la vita liturgica, di cui l’esperienzasacramentale costituisce il momento cen-trale.Su tali premesse, di fronte a coppie difatto o soltanto civilmente sposati, chechiedono il battesimo per i figli e la cele-brazione cristiana delle nozze, né laChiesa può esprimersi con un diniego,perché ciò significherebbe negare lagratuità della grazia a chi ne fa per altroesplicita richiesta, tanto meno deve sbri-gativamente assolvere alla richiesta conun unico atto celebrativo. Piuttosto cisembra che a questo punto divenga im-portante, da parte del ministro ordinatoche riceve tali richieste, conoscere le ra-gioni che le hanno originate e risponderein modo pastoralmente adeguato.Le motivazioni che infatti muovono talidomande possono essere davvero le piùdisparate, e vanno dall’ipotesi più bene-vola e auspicabile di una reale conver-sione alla fede cristiana da parte dellacoppia, alla più pragmatica scelta di asse-condare le consuetudini sociali più tradi-zionali. In altri casi poi possono entrare ingioco pressioni familiari remote1 che spin-gono i coniugi, sposati soltanto civil-mente, a chiedere insieme al battesimoper il neonato anche il sacramento del

matrimonio, quasi per rendere meno dif-ficile l’impatto del ministro ordinato (checelebrerà il battesimo del bambino) conl’impegno all’educazione cristiana del fi-glio che i genitori assumeranno chie-dendo il battesimo.Ne consegue allora che non ci sono for-mule preconfezionate per affrontare talisituazioni, ma che i percorsi da proporrein questi casi vanno calibrati e misurati inragione della situazione personale deisoggetti che chiedono tali celebrazionisacramentali. In altre parole, seppur po-trebbe apparire impropria l’analogia, sitratta di vagliare con cura pastorale - ov-vero facendo attenzione alla condizionespecifica della persona che abbiamodinnanzi, ma senza tradire l’identità teo-logico-liturgica dei sacramenti - la do-manda che ci viene posta, per poterrispondere con la giusta offerta. Diversa-mente avremo perduto un’occasione pre-ziosa per mediare la salvezza e arricchirela comunità cristiana di nuovi fedeli. Siache si tratti infatti di una reale conver-sione, sia che la richiesta sia mossa damotivazioni di ordine sociale, la comunitàche insieme al parroco deve farsi carico dirispondere è chiamata a riflettere sul va-lore dei sacramenti e sull’importanza diuna loro corretta ed equilibrata celebra-zione.

2. Un percorso da scandire in tappeFerma restando la varietà di situazioni esi-stenziali che caratterizzano le coppie chechiedono battesimo e matrimonio in-sieme, ci sono alcune costanti che acco-munano tutte le situazioni di tal genere,

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alle quali corrispondono altrettanti puntifermi rispetto alla prassi pastorale da at-tuare.La prima acquisizione che parroci e ope-ratori pastorali sono chiamati a fare ri-guarda la gradualità con cui l’itinerariosacramentale deve essere svolto, perchévi sia un progressivo ingresso della coppianella vita cristiana, che lasci ai coniugi iltempo di maturare le scelte compiute, difare propri i contenuti di fede che ven-gono loro prospettati, di gustare in modofruttuoso pieno e consapevole le azioni li-turgiche previste nel percorso.In secondo luogo, ci sembra che, perquanto i ritmi della società odierna lo ren-dano difficile, è bene che la coppia sentaintorno a sé la presenza della comunitàparrocchiale, che non si relazioni cioè sol-tanto con il parroco o con il catechista acui viene affidata, ma abbia la possibilitàdi essere inserita nel tessuto della comu-nità o che quest’ultima orienti proprie di-namiche in funzione della possibilità disvolgere il ministero dell’accoglienza. Ciòconsentirebbe infatti ai coniugi di perce-pire la dimensione ecclesiale del percorsoche stanno intraprendendo e con esso laresponsabilità di volere e dovere divenireparte di una realtà ampia e articolata,quale quella del Corpo mistico di Cristo,in cui ogni membro ha una sua specificafunzione.Da parte nostra ci permettiamo di sugge-rire di seguito un’ipotesi di percorso, chepossa abbracciare la gran parte delle si-tuazioni pastorali oggi ricorrenti, artico-lato in tappe susseguenti che intreccianoinsieme liturgia e catechesi, quali ele-

menti che si compenetrano a dimostra-zione dell’indissolubile intreccio che in-tercorre tra l’atto di fede e la fede in atto,ovvero tra l’opzione fondamentale e lasua celebrazione liturgica, o come si è so-liti dire nella riflessione teologica, tra la lexcredendi e la lex orandi. Se è vero infatti,che l’atto di fede si nutre dell’esperienzacelebrativa perché è a essa che attinge isuoi contenuti, allora il percorso da far in-traprendere alla coppia deve prevedereun itinerario catechetico di stile essenzial-mente mistagogico, ovvero imperniatosulla possibilità di educare alla fede me-diante l’osservazione analitica, e in qual-che caso critica, delle celebrazioni cheaccompagneranno il cammino spirituale.Per consentire alla coppia di maturare leproprie scelte di vita, senza affrettaretroppo i tempi, suggeriamo di celebraredapprima il battesimo del figlio e poi ilmatrimonio della coppia, perché non siingeneri l’idea che le due celebrazioni,seppur di norma celebrate in ordine in-verso, siano necessariamente concate-nate. Il percorso si articolerebbe così in 4tappe susseguenti.

a. La catechesi prebattesimaleNella più comune prassi pastorale, lecoppie che chiedono il battesimo peri propri figli vengono invitate a fre-quentare la preparazione al battesimo,la quale, a meno di lodevoli eccezioni,raramente supera i due incontri. Nelnostro caso però, non è in discussionesemplicemente il numero di catechesi,quanto piuttosto la necessità di tra-smettere ai genitori il messaggio

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chiaro legato all’identità cristiana chescaturisce dal battesimo, nonché l’im-portanza dell’educazione cristiana delfiglio da battezzare. Non è poi da tra-scurare la particolare condizione digenitori non sposati sacramental-mente, che rende ancora più impe-gnativa questa scelta, perché siaccompagna all’inizio di un percorsopersonale di maturazione della coppiache a loro volta li porterà alla celebra-zione del matrimonio. È importante al-lora che gli incontri di preparazione albattesimo prevedano non soltanto lapreparazione rituale della celebra-zione, ma anche il confronto con l’ideadella figliolanza divina, con il senso delpeccato, e l’uso della libertà dell’uomoche si apre al disegno di Dio e lo inse-risce nella storia della salvezza.

b. La celebrazione del battesimoLa celebrazione del battesimo arriveràquando la coppia avrà maturato lapropria convinzione a educare cristia-namente il figlio, unitamente allaconsapevolezza dell’importanza delsacramento che segna l’ingresso delbimbo nella comunità dei credenti. Sieviterà allora di affrettare i tempi,avendo cura di rispettare le concrete si-tuazioni personali dei soggetti, eorganizzando pertanto uno schemacelebrativo del battesimo che rispondaalla coscienza ecclesiale e spiritualedella coppia. Nello specifico, sebbenein una condizione di idealità, il batte-simo andrebbe amministrato nella ce-lebrazione eucaristica festiva, al fine di

evidenziare il nesso tra l’eucaristia e ilprimo dei sacramenti dell’iniziazionecristiana, e favorire la presenza dellacomunità parrocchiale stretta intornoal neofita per accoglierlo; una tale op-portunità andrebbe in questo caso va-gliata accuratamente. Se infatti lascelta di celebrare il battesimo fuoridalla messa rende più difficile la parte-cipazione della comunità, d’altra partela celebrazione eucaristica potrebbeessere poco opportuna se la situazionepersonale dei genitori impedisce lorodi accostarsi all’eucaristia per ragionioggettive, oppure li porta ad accostarsial corpo e sangue di Cristo con un at-teggiamento di fede ancora un pocosuperficiale. Al parroco e a quanti ac-compagnano il cammino della coppiacompete invece la responsabilità dellascelta, che va presentata alla coppiacon adeguate motivazioni, e nel casoin cui si ripieghi per il battesimo senzamessa, sempre a loro il compito dicoinvolgere i genitori non soltantonella scelta dei testi biblici tra quelliproposti nel lezionario del Rito del bat-tesimo dei bambini, ma anche nellapreparazione della celebrazione, cheandrebbe fatta scegliendo di battez-zare per immersione. In tal modo, sirende infatti più visibile il nesso chelega il battesimo alla morte e risurre-zione di Cristo, e al contempo la parti-colare forma rituale, oggi purtroppopoco praticata, si rivela particolar-mente coinvolgente per genitori e pa-renti, dunque maggiormente idonea afavorire la partecipazione alla liturgia.

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c. La catechesi prematrimonialeDopo il battesimo la coppia intrapren-derà quindi il percorso specifico dipreparazione alla celebrazione del ma-trimonio, che tuttavia non può esserearticolato secondo le modalità che so-vente caratterizzano e accomunano icorsi di preparazione prossima al ma-trimonio. Nelle situazioni più com-plesse di cui stiamo parlando infattinon si tratta soltanto di tracciare unapista che consenta alla coppia di pren-dere coscienza della propria voca-zione sponsale, ma anzitutto dellapropria vocazione cristiana, su cui lavocazione sponsale si innesta. Il ciclodi catechesi pertanto dovrebbe confi-gurarsi piuttosto come una prepara-zione remota al matrimonio, cheprenda in esame il tema della conver-sione insieme al tema vocazionale.Dovrebbe essere accompagnato daopportune celebrazioni della Parola,da tenersi alla presenza della comu-nità o almeno di una parte di essa. Lacatechesi dovrebbe presentare lospessore di tutti i sacramenti, e nonsoltanto di quello matrimoniale, for-mando la coppia progressivamente,perché maturi la necessità della vitasacramentale piuttosto che la sua pre-cettività. Se ne evince allora che lacoppia non può essere inserita negliordinari gruppi di catechesi per fidan-zati che si preparano al matrimonio.D’altra parte prevedere un corso adhoc per la coppia non le permette-rebbe di percepire la dimensioneecclesiale del cammino. Sarebbe im-

portante dunque programmare un iti-nerario di formazione che alterni in-contri individualizzati a catechesi digruppo, da svolgere insieme alle fami-glie della comunità parrocchiale,ovvero nell’ordinario percorso di for-mazione permanente previsto per gliadulti o per le famiglie. Non è possibilestabilire la durata di questa tappa, chepotrebbe ridursi a qualche mese, mapotrebbe estendersi anche a un annoo più, in funzione delle situazioni. Ilmatrimonio giungerebbe in questomodo a coronamento di un camminopedagogico e celebrativo in cui la cop-pia guarda all’unione sacramentalecome al riflesso dell’amore che unisceCristo alla Chiesa, e ne comprende lanecessità in quanto gesto inserito neldisegno salvifico di Dio già dall’attodella creazione.

d. La celebrazione del matrimonioLa celebrazione del matrimonio si con-figura a questo punto come l’ultimatappa del percorso, ma che divienenecessariamente un punto di partenzaper un nuovo cammino, che è quellodella vita cristiana, scandita dalla vitasacramentale e dalla catechesi perma-nente, come possibilità di rifletteresulla propria condizione di fede e sullamaturazione della propria spiritualitàche di liturgia si deve nutrire.Se il percorso si è svolto serenamentee senza intoppi, allora il matrimoniopuò essere celebrato secondo la primaforma prevista nel rituale, ovvero nellacelebrazione eucaristica, perché l’alle-

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anza sponsale venga messa in rela-zione con l’eucaristia, che è il pegnodella nuova ed eterna alleanza. Glisposi avranno chiara la propria co-scienza ministeriale nella celebrazionedel sacramento sponsale, e si accoste-ranno all’eucaristia quale punto di ar-rivo nella maturazione della fede. Lacelebrazione delle nozze, adeguata-mente distanziata così da quella delbattesimo del figlio, si colloca comesacramento della fede matura e ulte-riore nutrimento spirituale rispetto alcompito educativo forte a cui i nu-bendi e genitori sono chiamati.

3. Alcune questioni aperteNelle poche pagine a nostra disposizionenon pretendiamo certo di avere esaurito iltema, né pretendiamo che il percorso pro-posto si attagli a tutte le coppie che richie-dono la celebrazione congiunta dei duesacramenti. Riteniamo tuttavia che quantopresentato possa costituire un suggeri-mento esemplificativo, quasi una sorta dischema strutturale su cui modellare il per-corso liturgico-catechetico di ogni coppiache lo richieda.Numerose peraltro sono le questioni cherimangono aperte e che richiederebberoulteriori riflessioni. Ne ricordiamo soltantoalcune.Prima tra tutte il ruolo dei padrini del bat-tezzando, i quali, data la situazione delicatae in fieri nella quale si trovano i genitori

biologici del bambino, dovrebbero più chein altri casi essere capaci di genitorialitàspirituale. Ma le logiche che nella societàodierna ne orientano la scelta, in realtà so-litamente non sono capaci di assecondarequeste esigenze spirituali.Si potrebbe poi discutere a lungo sulle ra-gioni che spingono le coppie a chiederela celebrazione congiunta dei due sacra-menti, le quali il più delle volte mettono ingioco la volontà di risanare una situazioneche appare in sospeso, ma sono privedella volontà di proseguire in un percorsodi vita cristiana e sacramentale. Sarebbeallora interessante domandarsi che cosaattrae verso l’atto sacramentale, e checosa respinge l’uomo da esso.In ultimo vogliamo concludere con unasottolineatura circa la delicatezza del per-corso liturgico-catechetico che abbiamoprospettato e la necessità che a esserneresponsabili siano persone dotate digrande sensibilità umana, ma soprattuttodi adeguata formazione liturgica e cate-chetica. Uno dei punti fermi del ConcilioVaticano II è stato quello di rimarcare l’im-portanza della formazione liturgica a tuttii livelli (SC 14-19), ma soprattutto par-tendo dai ministri ordinati, perché i fedelipossano attingere ai tesori dell’azione ri-tuale, ne possano davvero essere edificati,e possano, attraverso catechesi mistago-giche dignitose, riflettere sulla grazia cheè loro donata perché, ottenuta la salvezza,possano annunciarla a tutti gli uomini.

1 I nonni spesso sono all’origine della scelta dei genitori di battezzare i bambini.

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Spuntiper la catechesi battesimale

diacono Giuseppe Colona

nconsapevoli del battesimoNella mia esperienza pastorale,certamente non molto diversa

da quella di molti altri, troppe volte ècapitato di constatare quanti cristianisiano del tutto inconsapevoli del signi-ficato del proprio battesimo, anche sevengono a chiederlo per i propri figli.Del battesimo sanno che si fa con l’ac-qua, ma, se chiedi che cosa significaquest’acqua, ti diranno – puoi scom-metterci – che è segno di purificazionee se chiedi: «Purificazione da che cosa?»ti risponderanno: «Dal peccato origi-nale», ma se insisti per sapere che cos’èquesto peccato originale di cui parlano,avrai la sorpresa di ascoltare una granvarietà di fantasiose supposizioni, ripor-tate come cose ascoltate da bambini,alle quali in verità non c’è da dare moltocredito. Qualcuno poi si spinge a direche in realtà di purificazione ci sarebbepiù bisogno da adulti, quando di pec-cati se ne sono fatti un bel po’, piuttostoche da neonati: basta guardare la lorocreatura, che è una tenerissima imma-gine di innocenza.«E allora perché avete chiesto il batte-simo di Sofia?». A questo punto papà emamma si guardano tra loro e azzar-

dano una delle seguenti risposte: «Iosono stato battezzato e vorrei cheanche lei lo fosse», oppure: «Già ab-biamo aspettato troppo: se aspettiamoancora chi li sente?», riferendosi a geni-tori e suoceri, e ancora: «Con il batte-simo diventerà cristiana», o: «In realtà ioavrei lasciato che fosse lei a decidere,quando sarà più grandicella, ma mi di-cono che ne farei una “diversa”, perchétutte le sue compagne avranno il batte-simo e lei no», o infine: «Il battesimo lafa entrare nella via di Dio».Sono risposte che, in diversa misura,mettono in luce il peso della tradizionenella richiesta di battezzare i figli e, altempo stesso, l’inconsapevolezza diquale grande dono il battesimo sia.

Famiglie accoglientiLa mia era una parrocchia giovane e dibattesimi se ne celebravano tanti; così,quando fui ordinato diacono, mi pro-posi per andare a far visita, con mia mo-glie, alle famiglie che chiedevano ilbattesimo: fu un’esperienza molto in-tensa.Verificammo subito che venivamo ac-colti con benevola sorpresa, sia perchéi genitori non si aspettavano questo

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gesto di prossimità della parrocchia, siaperché non avevano mai sentito dire cheuno che aveva ricevuto il sacramentodell’ordine potesse aver moglie (e que-sto la dice lunga sulla loro, a dir pocosaltuaria, frequentazione della vita par-rocchiale). Abbiamo anche sperimentatoche è molto facile trovare punti di con-tatto per entrare in un dialogo di confi-denza: si può prendere spunto da unafrase detta con inflessione dialettale percercare una prossimità nelle rispettivezone d’origine, oppure da una foto inuna località anche a noi nota per parlaredi quel viaggio, o da una comunanza dilavoro, di hobby, di squadra di calcio, op-pure dalla gioia e dai problemi che unneonato porta in casa, per aprire già lastrada verso un rapporto di amicizia.Rarissimamente abbiamo trovato un at-teggiamento distaccato o distratto. Alpiù, qualche volta, la presunzione di sa-pere già tutto del battesimo: «Co-s’avranno mai da dirci di nuovo che nonconosciamo?». In questo caso basta co-minciare a parlare del legame fra batte-simo e Pasqua del Signore per entrare inun territorio del tutto sconosciuto allaquasi totalità dei battezzati.Sempre abbiamo constatato che, al ter-mine delle due visite di catechesi batte-simale, s’era instaurato un sincerorapporto di confidenza e una grande di-sponibilità al dialogo, tanto che dispia-ceva, a loro e a noi, che il tempo dellacatechesi si fosse già concluso.

La messe è moltaBen presto, però, ci siamo resi conto,

mia moglie e io, che le famiglie da visi-tare erano troppe rispetto alle nostre di-sponibilità di tempo: davvero nonriuscivamo ad andare a trovarle tutte emen che mai a seguirle dopo la celebra-zione del sacramento. Come fare?Non vedevamo altra soluzione che ri-volgerci proprio alle coppie che ave-vamo visitato per la catechesi e cosìproponemmo, a quelle che c’eranosembrate più interessate e disponibili,di incontrarci per fare insieme un cam-mino di formazione perché diventas-sero a loro volta catechisti battesimali.Certo che ci sono difficoltà, special-mente con figli piccoli, a organizzarsicon nonni e baby sitter per uscire la serao impegnare il pomeriggio della dome-nica in conversazioni di catechesi, ma ilclima di questi incontri era essenzial-mente di amicizia, con noi e fra loro gio-vani coppie, sicché l’impegno non ciparve per nulla gravoso, ma al contrariopiacevole come può essere un incontrofra amici, oltre tutto parlando di cose in-teressanti e che potevano, in prospet-tiva, rendere un utile servizio.Fu un’esperienza bellissima, che ha ce-mentato una salda rete di amicizie resi-stente al tempo.L’obiezione ricorrente all’inizio era: «Macome potremo noi, che di battesimosappiamo solo quello che ci avete dettovoi e che fino a poco tempo fa nem-meno andavamo a messa, presentarci acasa dei genitori per parlare del batte-simo dei loro figli?». Nessun problema:questa sensazione di inadeguatezza è lacondizione di chiunque è chiamato (vo-

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cazione) a un servizio ecclesiale ed è altempo stesso garanzia di impegno re-sponsabile. Il guaio sarebbe, al contra-rio, se qualcuno pensasse di essere benin grado di assolvere il compito di an-nunciare il Vangelo.Insomma il primo gruppo di cinque gio-vani coppie per la catechesi battesi-male, dopo sei mesi di formazione, erapronto a dare, con questo servizio, unasvolta all’iniziazione cristiana nella no-stra parrocchia.Qualcuno però vorrà sapere su qualitemi si è incentrata la loro formazione.

La formazione dei catechistiNon avevamo la pretesa di farne espertiin sacramentaria, perché non è questoche serve. Il compito dei catechisti bat-tesimali si può infatti sintetizzare inquesti tre punti:• entrare in un rapporto di confidenza

con i genitori che chiedono il batte-simo per i loro figli;

• trasmettere i concetti essenziali perfar intuire la grandezza del dono chestanno per ricevere;

• costituire, dopo la celebrazione, untrait d’union permanente con la par-rocchia.

Sono aspetti che si fondano più sullecapacità relazionali che sulla compe-tenza teologica, contando sul fatto che,per parlare a giovani coppie, non c’èniente di meglio che coppie altrettantogiovani, con le stesse gioie e speranze,problemi e preoccupazioni. Si innescaun formidabile effetto di trascinamento.Quanto invece ai contenuti, la cosa es-

senziale è di togliere il battesimo dal-l’opacità dei luoghi comuni e dei lon-tani ricordi e metterlo sotto la lucedell’evento centrale della nostra fede, laPasqua del Signore: solo così si possonocomprenderne il valore e l’efficacia e siriesce a motivare la responsabilità el’impegno all’educazione cristiana deifigli, che i genitori hanno già assuntocon il matrimonio e rinnoveranno ilgiorno del battesimo.Il vero messaggio consiste nell’aprireuna prospettiva attraente per la fede:credere è bello e migliora la qualitàdella vita.

Padrino e madrinaLa scelta del padrino e della madrina dibattesimo è troppo spesso subordinataalla logica delle convenienze parentalie degli equilibri fra le famiglie d’origine,mentre si trascura o ignora del tutto ilcompito e la responsabilità che stannoper assumere. Ne nascono a volte im-probabili designazioni, che contraddi-cono non solo le norme del dirittocanonico, ma anche il più elementarebuon senso.Bisogna però prestare attenzione: que-sta è materia sensibile, a volte esplo-siva, e va maneggiata con prudenza. Perfortuna non sono parroco, ma se lo fossieviterei di opporre vincoli e divieti (cheho visto suscitare tenaci risentimenti) einsisterei invece caparbiamente su op-portunità e motivazioni. A volte, comeestrema ratio, ho proposto come pa-drino / madrina proprio uno dei coniugiche avevano curato la catechesi, supe-

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rando così, con gradimento dei geni-tori, il ginepraio sottostante.A mio avviso, però, non è sufficiente cheil padrino e la madrina siano “in regola”;mi sembra necessario che sappiano checosa sia il battesimo, siano consapevolidella responsabilità che vanno ad assu-mere e abbiano le capacità e disponibi-lità necessarie ad assolverla. Cose che,di questi tempi, non mi sembra logicodare per scontate. Ritengo utile per-tanto coinvolgere anche i padrini, perquanto possibile, alle catechesi di pre-parazione al battesimo.Per inciso in Perù, dove vado come “mis-sionario part-time”, vige la consuetu-dine che i padrini partecipino a duecatechesi battesimali, presso la loro par-rocchia, che rilascia loro un appositoattestato. Mi sembra un approccio cor-retto, che aiuta i padrini a non conside-rare puramente formale il loro ruolo e aprender coscienza della loro effettivaresponsabilità.

La celebrazione del battesimoPuò essere opportuno proporre ai geni-tori di contribuire a un’opera di carità,in occasione del sacramento che i figlivanno a ricevere, per fondare su basi so-lide la loro crescita spirituale. Si puòprospettare una gamma di iniziative fracui scegliere (per bambini abbandonati,per il terzo mondo, ecc.), lasciando aloro la scelta e spiegando che il benefatto Dio certo non lo dimentica e lo ri-verserà sulla loro famiglia nei modi chenemmeno immaginano. Inoltre, sel’opera da sostenere prosegue nel

tempo, diventerà essa stessa un’oppor-tunità di futuri contatti per raccontarecome si evolve nel tempo.La celebrazione del battesimo a volte ri-schia di assumere un tono mondanoper l’affluenza di persone che rara-mente mettono piede in chiesa e sten-tano a lasciarsi coinvolgere; inoltrespesso più che i bambini sono gli adultia distrarsi e far confusione, come setutto si riducesse a saluti e riprese cine-fotografiche. È necessario far di tuttoperché questo non avvenga. Ciascunoha i suoi metodi; io punto essenzial-mente su quattro cose:• premetto chiaramente che quella

celebrazione battesimale non ri-guarda solo i bimbi, ma è per cia-scuno un’opportunità imperdibileper riscoprire il senso del propriobattesimo;

• parto dalla liturgia della Parola perinvitare a interrogarsi sulla personaleadesione alla fede nel Risorto, senzail quale la celebrazione si ridurrebbea pura sceneggiata;

• coinvolgo nella preghiera dei fedeligenitori e padrini perché richiedanoal Signore quanto veramente riten-gono necessario per i loro bambini(e ne nascono intenzioni di pre-ghiera a volte impacciate, ma sem-pre vere e commoventi);

• spiego i segni liturgici (unzione cri-smale, veste bianca, cero pasquale,ecc.) non come simboli, ma comesegni di facoltà (sacerdotale, profe-tica, regale, dignità di figli di Dio,luce per il discernimento, ecc.) che

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veramente sono state loro conferitecon il battesimo, anche se non nesono consapevoli.

L’obiettivo di fondoÈ certamente di passare da una cate-chesi finalizzata al sacramento a unaformazione cristiana per la vita. Ci si po-teva accontentare della preparazione alsacramento in una società consapevol-mente cristiana, nella quale la fedefosse sostanzialmente condivisa; ormaiperò ci troviamo in un contesto forte-mente secolarizzato e non possiamo li-mitarci a prenderci cura di un bimbo almomento del battesimo per poi rive-derlo – forse – alla prima comunione.Ma passare da un’ottica finalizzata als a c ra m e nto, a l l a fo r m a z i o n e p e rl a vita non è affatto facile: si richiedecambiamento di mentalità, approcciomissionario, fantasia pastorale e si pre-suppongono ministerialità diffusa e co-munione ecclesiale. È quello che, conun’espressione tanto sentita da ri-schiare ormai di non fare colpo, si desi-gna come “nuova evangelizzazione”.Nel caso del battesimo, dunque, non cisi può accontentare di due visite alla fa-miglia e di un incontro in parrocchiaprima della celebrazione; bisogna pen-sare al dopo battesimo, seguendo la fa-miglia per sostenerla nell’educazionecristiana dei figli, mettendole a disposi-zione mezzi e occasioni per svolgere almeglio questo suo compito. Pertanto ilrapporto di confidenza e amicizia che siè instaurato con la coppia di catechistibattesimali deve essere coltivato anche

dopo e deve portare via via ad allac-ciare (se manca, come spesso avviene)uno stabile legame con la parrocchia. Ilrapporto personale è dunque assaiimportante, come pure la graduale ri-presa di contatti con la comunità par-rocchiale, per alimentare la fede deigenitori, senza la quale certo non po-trebbero sviluppare quella dei loro figli.

Creatività pastoraleIl requisito più importante per mante-nere una continuità di rapporti dopo ilbattesimo è la creatività pastorale.Celebrato il battesimo, certamente i ge-nitori del bimbo sono consapevolid’aver fatto la cosa giusta per lui (mal-grado forse qualche incertezza iniziale)e sono anche contenti d’aver ripreso ildiscorso della fede e d’aver conosciutola coppia di catechisti con cui entrare inconfidenza. Sono però anche convintiche “si sono tolti il pensiero” e la cosa èormai chiusa: non pensano minima-mente che questa è solo la prima tappanel loro percorso di fede e che la comu-nità parrocchiale sia la sede autentica incui poterlo sviluppare. Oltre tutto, conbambini piccoli, il da fare in casa nonmanca.Dunque se non è la parrocchia – e perlei la coppia di catechisti – a mantenereil contatto, si può star certi che ben pre-sto si perderà. Ma come fare? Cosa pro-porre ai genitori? In quali iniziativecoinvolgerli?E qui entra in gioco la fantasia pasto-rale. Potete prender spunto da quantoè sotto riportato.

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• In occasione della Festa della Vita(prima domenica di febbraio) si pos-sono invitare tutti i bambini battez-zati nell’ultimo anno a una messanella quale si darà loro una specialebenedizione; sarà una celebrazioneconfortante per l’intera comunità enon mancheranno allegria e com-mozione.

• Invitare a un incontro nel quale saràbenedetta e consegnata un’imma-gine sacra (possibilmente che ricordila parrocchia) da appendere nellastanza dei bimbi; di questi tempi lecase sono davvero povere di imma-gini sacre.

• Ricordarsi di fare una telefonatad’auguri per il compleanno o per laricorrenza del battesimo.

• Consegnare un libretto di preghierein famiglia per aiutare i genitori apregare per e con i loro figli (benedi-zione dei pasti, ecc.).

• Invitare i bambini a una festa conanimazione (ad esempio il teatrino oil carnevale dei bambini).

• Organizzare un pellegrinaggio dellegiovani famiglie a un santuario ma-riano (ad esempio, a Roma, il DivinoAmore).

• In occasione del Natale, non perderel’occasione di andare insieme a visi-tare i presepi.

• Quando i bimbi sono più grandicelli,consegnare il Vangelo per bambini,perché possano conoscere qualcosadella vita di Gesù.

• Invitare a una sacra rappresenta-zione realizzata con il coinvolgi-

mento dei bambini del catechismo,per il Natale o per la Pasqua o ancheper illustrare qualche episodio dellavita di Gesù (una parabola o un mi-racolo). E in questo vedrete che, piùancora dei bambini, si lascerannocoinvolgere i genitori.

Questi non sono che alcuni spunti, manon c’è dubbio che la vostra inventivapotrà escogitarne molti altri.

Il gruppo giovani famiglieLa fantasia da sola non basta; occorresostenerla, con perseveranza e metodo,fino a raccoglierne i frutti, evitando chei primi insuccessi o difficoltà spenganol’entusiasmo. Lo snodo per far questo èla formazione di un gruppo di giovanifamiglie, a partire dalle coppie attivenella catechesi battesimale. Queste in-fatti, nell’esercizio del loro ministero,hanno modo di allargare la loro cerchiadi amici e conoscenti e possono pro-porre momenti di aggregazione perconsentire un confronto sui tantiaspetti della vita delle giovani famiglie(dalla dinamica di coppia ai problemieducativi), in un clima di amicizia e conuna prospettiva di vita cristiana.La costituzione di un gruppo giovani fa-miglie non è affatto facile: richiede pro-gettualità e impegno, a partire da unprimo nucleo molto motivato; ma i ri-sultati non tarderanno a farsi vedereperché potrà rappresentare un punto diriferimento per altre giovani coppie,provenienti ad esempio anche dagli iti-nerari di formazione al matrimonio. Lapresenza di queste giovani coppie deve

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potersi notare nella vita pastorale dellaparrocchia, perché il semplice fatto diesserci darà un tono attrattivo e dina-mico.Molto importante sarà la proposta for-mativa che verrà loro offerta: né tropposbilanciata su contenuti di spiritualità emorale, né livellata sulle dinamiche re-lazionali ed educative. Occorrerà coniu-gare insieme Vangelo e vita per farsperimentare che vivere facendo tesorodel Vangelo non solo è possibile, ma dàanche i suoi frutti in termini di benes-sere spirituale.Una cosa mi sembra utile aggiungere:che ogni percorso formativo miri a unacrescita vocazionale e non manchi diuna prospettiva ministeriale, sia cioè fi-nalizzato all’assunzione di un qualchecompito ecclesiale in linea con le attitu-dini e le disponibilità personali. E anchequi la fantasia pastorale non ha che dasbizzarrirsi: a qualcuno potrà essere af-fidato il compito di organizzare il “sa-lotto delle mamme”, in modo che,accompagnando i figli per il catechi-smo, abbiano modo di incontrarsi, co-noscersi e leggere il Vangelo delladomenica successiva; a due o tre coppiesi potrà proporre di invitare in casa loroamici per dar vita a un gruppo diascolto del Vangelo con il metodo dellalectio divina; ecc.

Il fattore moltiplicativoLa catechesi battesimale va vista,piuttosto che come una fra le tante in-combenze parrocchiali, come una stra-ordinaria opportunità: di entrare in

contatto con giovani famiglie che, purnon assidue frequentatrici di chiese,sentono in fondo l’esigenza di crescerenella fede e proiettano questo loro de-siderio sul bambino. Del resto la nascitad’un figlio è certamente vissuta dai ge-nitori come un dono che li trascende,apre una finestra sugli interrogativi esi-stenziali dell’uomo e costituisce un ag-gancio per una risposta di fede. È quindi un momento straordinaria-mente propizio per avviare un contattocon la parrocchia, che, opportuna-mente coltivato mediante l’affianca-mento di una coppia di catechisti, puòsvilupparsi con la ripresa di un cam-mino di fede e la maturazione del desi-derio di darne testimonianza. Eccoallora che si attiva un fattore moltiplica-tivo nel risveglio della fede e una cre-scita della “temperatura spirituale” edelle energie pastorali.Proprio questo processo è il segno diuna comunità che non si limita a gestirel’esistente con atteggiamento conser-vativo. Per crescere una parrocchia habisogno di guardare all’esterno e di co-struire, con speranza e perseveranza,una rete di fedeli in grado di assumereresponsabilmente compiti pastorali, diaprirsi cioè a una prospettiva di Chiesaministeriale.

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a costituzione SacrosanctumConcilium (n. 67-68) aveva pre-scritto la redazione di un rito

specifico per il battesimo dei bambini.Chi non ha ricordi diretti del periodoprecedente e non ha molta pratica conla storia liturgica potrebbe stupirsi nelleggere una tale prescrizione: prima delConcilio forse non si battezzavano ib a m b i n i ? I n re a l t à f i n d a l l ’e p o c acarolingia (sec. IX) in Europa si battez-zavano solo bambini: con le cristianiz-zazioni di massa dell’alto medioevo,praticamente completate (purtroppoanche in maniera cruenta) da CarloMagno, salvo poche nicchie sui confiniorientali, non esistevano più adulti nonbattezzati. Il rito liturgico però nonaveva seguito il cambiamento di desti-natari ma si era soltanto, per dir così,liofilizzato, addensando in un unicoatto liturgico della durata di unamezz’oretta (o anche meno) testi egesti destinati in origine a scandire unperiodo lungo (pluriennale) di conver-sione dell’adulto, di allontanamento dauno stile di vita incompatibile con lafede (di qui l’accompagnamento dellacomunità con preghiere di esorcismo),e di progressiva adesione consapevolea Cristo1.

Fino al Concilio quindi si battezzavanoi bambini, ma con un rito nato per gliadulti, sedimentato nel tempo e con-fluito senza sostanziali revisioni nel Ri-tuale Romanum posttridentino. Questospiega la presenza di orazioni esorcisti-che imperative, che suonano sconcer-tanti a un ascoltatore non preparato: sipensi a come rimarrebbero due giovanigenitori che stringono orgogliosi tra lebraccia un neonato che ispira solo sen-timenti di amore e di tenerezza, sen-tendosi dire dal sacerdote: «Exi ab eo,immunde spiritus – Esci da lui, spiritoimmondo» e «Exorcizo te, immundespiritus, […] ut exeas, et recedas ab hocfamulo Dei: ipse enim tibi imperat, ma-ledicte damnate, qui pedibus supermare ambulavit… – Ti esorcizzo, o spi-rito immondo […] perché tu esca e tiallontani da questo servo di Dio; te loordina, dannato maledetto, colui checamminò sul mare…». Solo l’uso dellalingua latina (non più compresa dagliastanti) aveva reso possibile il perma-nere nel rito di queste formule, tantoche il Consilium incaricato da papaPaolo VI di organizzare e guidare la ri-forma liturgica le espunse ancor primache fosse redatto il nuovo rito, non ap-pena fu data facoltà di amministrare i

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Il battesimo dei bambiniNote di prassi celebrativa

Adelindo Giuliani

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sacramenti nella lingua parlata dai fe-deli.Con la redazione di un nuovo rito fu-rono anche riqualificati i luoghi dellacelebrazione (il fonte battesimaleprima di tutto). Ma tutto ciò non ot-tiene per spontanea conseguenzal’oblio di una prassi stratificata e tra-smessa per secoli e non genera ipsofacto uno stile celebrativo adeguato.Inoltre il rito uscito dalla riforma litur-gica, anche se pensato esplicitamenteper i bambini, anche se valorizza lascelta del nome e la liturgia della Pa-rola, anche se coinvolge e interpella di-rettamente i genitori e i padrini (sipensi che prima la rinuncia a satana ela professione di fede veniva fatta inter-rogando i bambini, che ovviamentenon potevano rispondere e che veni-vano sostituiti in ciò dai padrini),mantiene una giustapposizione di pre-ghiere e gesti che in origine erano di-stribuiti su una scansione temporaleben più ampia. E se i momenti ritualinon sono distribuiti in più luoghi, se isegni vengono compiuti in manierafrettolosa e abitudinaria, la celebra-zione assomiglierà a una seduta daldentista. Lì il paziente siede e il medicoha vicino a sé una vaschetta con stru-menti dall’uso ignoto, ma piuttosto in-quietanti, che utilizza di volta in voltanella bocca del paziente. Qui i genitorisiedono con il bambino in braccio, il sa-cerdote ha accanto a sé un tavolino conoggett i d isparat i (una conchigl iaspesso metallica, candeline, ovatta,panni, tra i quali uno che, una volta

spiegato, sembra un bavaglino, due re-cipienti metallici sui quali è scritto CATe CHR (?!) e, a sbirciarci dentro, mo-strano un tampone di colore indescri-v i b i l e , … ) ; o g n i t a n t o s i p r e n d equalcuno di questi oggetti e si compiequalche operazione sul bambino. Già lostrano dialogo iniziale mette sull’avvisoi fedeli che il sacerdote farà cose che sicapiscono poco: prima infatti chiede ilnome del bambino, e fin qui tutto vabene, ma poi aggiunge: «Per N. checosa chiedete alla Chiesa di Dio?» Disolito genitori e parenti si guardanoperplessi e non rispondono. Probabil-mente ciò che viene loro in mente è:«Grazie, non ci serve niente, ci hannoregalato già molte cose». A quel puntoil sacerdote suggerisce fuori microfono:«Il battesimo», i genitori continuano aguardarsi perplessi e finiscono per an-nuire, senza capire bene dove si vada aparare. E così via, fino alla rapida suc-cessione di riti che è lecito chiedersiquanto siano davvero “esplicativi” perchi li vede compiere.Proviamo a enucleare alcuni punti im-portanti che vanno valorizzati perché ilrito parli ai presenti.

1. I LUOGHI: la porta, l’ambone, ilfonte, l’altare.

Il rito prevede (n. 35) che il sacerdote sirechi alla porta della chiesa o al luogodove sono riuniti genitori e padrini e liaccolga. La porta della chiesa, segnocristologico, è il luogo dove conflui-scono due movimenti: quello delle fa-miglie che portano il bambino alla

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chiesa e quello della Chiesa, presentealmeno nel ministro, che corre incontroai nuovi figli e li accoglie sull’uscio. Ilportale potrebbe essere opportuna-mente ornato (fuori di dubbio che sispalanchi la porta centrale e non sientri da una porta laterale!). Il sagratofunge così da luogo dell’incontro gio-ioso e il movimento di ingresso diventaprocessione. Durante la liturgia della Parola i bam-bini possono essere portati in un luogoa parte, che consenta agli adulti di se-guire la proclamazione e l’omelia (cf. n.42; ma bisogna che ci siano familiari oparrocchiani fidati che possano pren-dersi cura dei bambini).Il battesimo si fa al fonte. Se il fonte ècollocato in posizione non a tutti visi-bile o accessibile, ci si recano proces-sionalmente il ministro, i genitori e ipadrini, mentre tutti gli altri rimangononell’aula liturgica. È incredibile e inac-cettabile che ancora si incontrino luo-ghi nei quali il fonte battesimale èusato come luogo di accantonamentodelle sedie e il battesimo è ammini-strato in una misera ciotola metallica(quanto grande o quanto di metalloprezioso poco importa). Ove possibile,il battesimo può avvenire in acqua cor-rente, anche per immersione.Per i riti di conclusione è esplicita-mente previsto (n. 75) che si vada all’al-tare processionalmente, portando lacandela accesa dei battezzati. Questoperché con il battesimo si avvia l’inizia-zione cristiana, che verrà completatacon la confermazione e con la piena

partecipazione all’Eucaristia. Il riferi-mento all’altare indica quest’opera invia di realizzazione, che impegna inprima persona i genitori e i padrini,educatori dei neofiti, che li dovrannoaccompagnare nel cammino verso lamensa eucaristica.

2. ACQUA, OLIO, RITI ESPLICATIVIPer contenere gli oli esistono o si pos-sono far realizzare vasi decorosi, invetro o altro materiale trasparente. An-drebbero decisamente preferiti ai ditalimetallici indecifrabili con tampone. Atal proposito, né lo spirito né la letteradel rito prescrivono che ci si debba li-mitare a intingere il dito in un tam-pone. Meglio sarebbe se l’olio sivedesse e fosse riconoscibile come tale,opportunamente rinnovato ogni annocon gli oli consacrati dal vescovo nellamessa crismale. Che problema ci sa-rebbe a intingere un dito nell’olio? Ivasi si potrebbe stabilmente custodirein una teca presso il fonte, realizzataovviamente in modo da evitare ogniconfusione con il tabernacolo (portatrasparente, scritta “oli santi” etc.).Oltre alle foto, due segni rimangono albambino e alla sua famiglia dopo la ce-lebrazione: la veste bianca e il cero. Sequesti segni sono inconsistenti o miseri(veste dozzinale e candela votiva fili-forme riciclata dal 2 febbraio), finirannoaccantonati o addirittura gettati; lacandela spesso viene lasciata diretta-mente in chiesa, sul banco o davanti aun’immagine sacra. Addirittura qual-cuno finisce per simulare il rito in due

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modi: o modificando la formula: «Que-sta veste bianca che indossi…» (tradu-zione: “non ti do niente e prendo perbuona quella che avevi già prima delbattesimo, e che magari è azzurra; dellasimbologia biblico-liturgica tanto nonsapete nulla e non sarò io a introdurvia essa”); oppure compiendo un gestofinto: ho una sola veste (con la qualesono stati battezzati tutti i bambini natinegli ultimi quindici anni), l’appoggioa turno sul petto dei bambini quasiavesse virtù terapeutiche da contatto,e poi la rimetto sulla credenza: «tantoè un simbolo» (come se simbolo fossesinonimo di finzione o di gesto fittizio).Un rito così immiserito rivela tirchieria,incomprensione del segno, scarsa ca-pacità celebrativa. Due piccoli suggeri-menti: della veste si potrebbe giàparlare ai genitori e ai padrini durantela preparazione, spiegandone il sensoe invitando a confezionarne una pro-prio per il loro bambino. La veste saràallora non un oggetto anonimo, ma ilregalo di una persona casa, magari cu-cito o ricamato per l’occasione dallamadrina, dalla nonna… Un oggettotale non verrà gettato insieme con i ve-stitini che non entrano più. Il cero po-

trebbe essere il dono della parrocchia(perché tutti fanno un dono ma la co-munità cristiana, che accoglie questinuovi fratelli, non dona nulla?). Un belcero, di dimensioni rilevabili e con in-ciso un simbolo battesimale (basta ilchrismon, il monogramma di Cristo,senza troppe sdolcinature). A distanzadi tempo, si potrà chiedere che i bam-bini ritornino in chiesa con la loro can-dela battesimale per rinnovare laprofessione di fede.

3. LA PASCHA ANNÒTINACosì nell’antichità si chiamava l’anni-versario del battesimo, ovvero la pa-squa personale che torna di anno inanno. Anche con i moderni mezzi di co-municazione (un gruppo dei battezzatinell’anno nel sito della parrocchia? Lafantasia tecnologica può suggerire so-luzioni simpatiche) si potrebbe trovareil modo per fare gli auguri e per ricor-dare ai genitori che quella data non vadimenticata, ma va inserita nel calen-dario della famiglia, magari decoratada un piccolo regalino e scandita dauna visita in chiesa per una preghieradavanti al fonte battesimale.

1 Si veda la trattazione dettagliata del Rito del Battesimo che questa rivista ha offerto ai lettori negli anni pas-sati.

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La benedizione di una madre:un’opportunità pastorale

don Fernando Altieri

ra le ricchezze nascoste del Be-nedizionale, emerge la benedi-zione della madre prima e dopo

il parto1; poco conosciuta e soprattuttopoco praticata nelle Parrocchie, po-trebbe invece utilmente porsi comestrumento prezioso di evangelizzazionee di accoglienza delle giovani famiglieche iniziano o riprendono un camminoall’interno della comunità parrocchiale,provocato dall’attesa gioiosa e dalla na-scita dei figli.

Le presenti riflessioni, non avendo lapretesa di essere una trattazione del de-posito liturgico afferente al rito, vo-gliono porsi come un modestocontributo di pedagogia pastorale a te-stimonianza del fatto che la benedi-zione instaura davvero un rapportoprivilegiato e immediato col suo Autore.

FORMAZIONE E STRUTTURADopo la creazione Dio benedice l’uomocon queste parole: «siate fecondi, e mol-tiplicatevi, riempite la terra»2. Con lestesse parole benedice Noè e i suoi figlidopo il diluvio con il quale aveva ri-creato la terra3. Da allora la vita è unsusseguirsi di benedizioni tendenti a

manifestare il misterioso incontro dellalibertà di Dio con quella dell’uomo. Egliha voluto far partecipe della sua operacreatrice in particolare la donna, cheporta in grembo il proprio figlio, forsenon più con i rischi del passato, ma co-munque con tanta gioia e qualche sof-ferenza.

La benedizione dopo il parto ha la suaorigine nelle prescrizioni del libro delLevitico, che ordinava la purificazionedella puerpera4. Il rito cristiano, lungi dalriferirsi a una eventuale purificazionedella donna, che non è certamente resaimpura dal parto e impossibilitata a en-trare in contatto con le cose sante o en-trare nel Santuario, sottolinea ildoveroso ringraziamento al Signore peril grande dono di Dio manifestato nellanascita del figlio5.

È bene ricordare che già nell’antichitàcristiana e nel Medioevo era presenteuna duplice benedizione della madre,ma solo dopo il parto; la prima avvenivain casa, presso il letto della madre, nel-l’ottavo giorno dalla nascita del bam-bino e sottolineava gli aspetti di unapronta guarigione e del ringraziamento

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per il dono di un figlio; la seconda, dimaggior rilievo, era posta in stretto col-legamento con l’episodio della purifica-zione della Vergine Maria, quarantagiorni dopo la nascita di Gesù, secondola legge mosaica6; questa seconda be-nedizione, come detto, non aveva valoremorale ma igienico-rituale7.

Le formule per la benedizione si preseroda quelle nuziali adattate e furono com-pletate con quelle per gli ammalati, con-siderando il pericolo correlato al parto.Altri segni furono aggiunti più tardi,come l’uso dell’acqua benedetta, la re-cita di più salmi, l’introduzione di ritipropri delle tradizioni locali.

Il Rituale Romano anteriore al VaticanoII, che definisce questa prassi come «piaet laudabilis consuetudo», ha due formu-lari di benedizione, prima e dopo ilparto8.

Il rito della benedizione dopo il partoprevedeva che la donna, portando unacandela accesa, fosse accolta dal sacer-dote all’ingresso della Chiesa; dopol’aspersione con l’acqua benedetta, sirecitava un salmo (in genere il Salmo 23o uno a scelta tra i Salmi 112, 120, o122). Giunti all’altare, il sacerdote di-ceva: «Entra nel tempio del Signore;adora il Figlio della Beata Vergine Maria,Egli ti ha fatto dono di essere madre». Ladonna si inginocchiava davanti all’altaree il sacerdote recitava la formula di be-nedizione conclusa dall’aspersione conl’acqua benedetta9.

Nell’edizione italiana del nuovo Benedi-zionale si trovano due formulari per labenedizione di una madre, prima edopo il parto10. Quest’ultima formulaviene a sostituire quella che la madre ri-ceve alla fine del Battesimo del figlio,nella quale esprime riconoscenza per ildono della maternità, e chiede di perse-verare nel ringraziamento al Signore in-sieme ai figli11.Esaminiamo brevemente la struttura delrito della benedizione prima del parto12.

La monizione introduttiva sintetizza ilsenso della celebrazione richiamando lapaternità di Dio e la misteriosa provvi-denza della nascita; queste semplici pa-role ben inquadrano le motivazioni difondo per cui una coppia cristiana do-vrebbe chiedere la benedizione primadel parto. Segue la lettura della Parola diDio, con un brano del Vangelo di Luca ascelta13 e la possibilità della recita o delcanto di un salmo responsoriale. Dopouna breve esortazione, si svolge la pre-ghiera dei fedeli, conclusa dal Padre No-stro e dalla preghiera di benedizione. Inessa, dopo aver fatto memoria del mi-stero dell’Incarnazione per opera delloSpirito Santo, si chiedono l’integritàdella prole e un parto felice; finalmentesi richiamano il Battesimo e l’inseri-mento nel popolo di Dio. Prima della be-nedizione finale il ministro invita ipresenti a recitare o cantare un’antifonamariana.

La premessa al rito della benedizionedopo il parto ricorda che la benedizione

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della madre si trova già nel rito delBattesimo dei bambini14. Una breve mo-nizione sottolinea, rivolgendosi diretta-mente alla madre, che il Battesimo delbambino è già stato celebrato in sua as-senza. La lettura della Parola di Dio pre-senta la nascita di Samuele e il sacrificiodi Elkana in assenza di Anna15 e in alter-nativa la preghiera di Anna16 o il Benedic-tus17.

Dopo la breve esortazione è inserita unapreghiera di ringraziamento di stile lita-nico, a cui segue il canto o la recita delMagnificat. La preghiera di benedizioneprevede due formule che sottolineanola gioia della maternità, l’intercessionedi Maria e il perenne rendimento di gra-zie della madre e della famiglia. Dopo laconclusione, viene consigliato un cantocorale18.

QUALI VALENZE PASTORALI?Anzitutto in un clima di recupero di unacatechesi permanente, la benedizionedella madre potrebbe segnare quella ri-presa di un dialogo ecclesiale interrottospesso dal giorno della Cresima e ri-preso, per scelta o necessità, in occa-sione della preparazione al Matrimonio;il nostro Rito può rinsaldare un legamecon la coppia che accetta di proseguireun cammino di vita cristiana, prolun-gando quel senso di appartenenza che,sia pure spesso sopito per varie vicissi-tudini, si risveglia nel momento deldono della paternità/maternità, ricono-sciuto come espressione piena del pro-getto di Dio per la famiglia.

Un incontro per la benedizione, in con-testo domestico e in un’occasione lietadella vita, consentirebbe un momentodi preghiera in un clima disteso e fami-liare, e potrebbe porsi anche come mo-dello e proposta per una preghierafamiliare abituale che, anche quandonon esclusa o addirittura desiderata,spesso non viene attuata per incapacitàpratico-rituale e imbarazzo reciprocodei coniugi.Ovviamente struttura e contenuti dellabenedizione devono essere ben spie-gati, evitando così che il rito possa sca-dere in un gesto approssimativo o disuperstizione.

In secondo luogo la benedizione primadel parto potrebbe diventare un veropercorso di fede nell’accettazione deidoni di Dio con grande abbandono allasua volontà; è capitato di trovare geni-tori più forti di fronte alle difficoltà o al-l’esito non positivo di un parto, per ilfatto di aver chiesto nella preghiera delgiorno della benedizione, che si com-pisse in tutto la volontà di Dio. È certa-mente un discorso tra i più difficili maaiuta nella maturazione di una fedeadulta.

Diverso è il discorso riguardante la be-nedizione dopo il parto. Il Benedizionalecosì recita nelle premesse: «la benedi-zione dopo il parto, così come qui vieneproposta, riguarda soltanto il caso di unamadre che non ha potuto partecipare allacelebrazione del Battesimo del figlio; essasi compie perciò nell’ambito familiare.»19

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Se però si considera l’attuale prassi bat-tesimale, che prevede la celebrazione delBattesimo non più nei giorni immediata-mente successivi alla nascita, ma in unospazio di tempo che varia dai 3 ai 6 mesie oltre, potrebbe essere una scelta pasto-rale innovativa, ma conveniente, quelladi accogliere la madre con il neonatonella comunità parrocchiale, perché essariceva la benedizione. Il bambino, checon il Battesimo diventerà membro at-tivo della comunità, sarà presentato al-l’assemblea riunita durante la Messadomenicale; la comunità tutta, in questomodo, potrà esprimere la sua gratitudineper il parto felice e perché il Signore ar-ricchisce la Chiesa di nuovi figli.

Il Benedizionale prevede comunque giàuna Benedizione del bambino non ancorabattezzato20, le cui formule sono orien-tate al sacramento della rinascita batte-simale, e che si offre come ulterioremomento di celebrazione familiare, chepotrebbe utilmente coinvolgere anche ifuturi padrini del neonato. Mentre tutti iparenti e gli amici si associano alla gioiadei neo genitori con una visita di felicita-zione e di conoscenza del piccolo, la co-munità cristiana, se non valorizzaadeguatamente questi momenti celebra-tivi, rischia di rimanere completamentefuori dall’orizzonte di relazioni della fami-glia. Naturalmente esistono diversi con-testi ambientali e sociali: in una piccolacomunità la visita del parroco è sempli-cemente ovvia, in una grande parrocchiacittadina, soprattutto se i genitori si sonostabiliti sul territorio solo dopo le nozze,

la visita e la benedizione si potrannoforse mettere in calendario durante lapreparazione al Battesimo, ma in en-trambi i casi il Benedizionale offre possi-bilità pastorali che non vanno lasciatecadere.

A tale riguardo, le premesse al rito preve-dono che, tanto la benedizione dellamadre, quanto quella del bambino, pos-sano essere guidate anche da un laico,che naturalmente userà le formule con levarianti previste21. Quest’ultima possibi-lità, certamente poco praticata, è di no-tevole rilievo proprio in quanto riporta labenedizione nell’ambito della comunitàfamiliare; è questo uno degli spazi pasto-rali da esplorare e da far conoscere ancheall’interno dei corsi in preparazione alMatrimonio e al Battesimo, favorendo lariscoperta di una partecipazione attivadei laici alla vita liturgica della Chiesa do-mestica.

In occasione di una visita alla famiglia sipotrebbe anche lasciare un cartoncinocon un altro testo, il rito di Benedizionedei figli22, che viene affidato in primoluogo proprio ai genitori23. In questomodo si inviteranno i genitori ad appren-dere e praticare una ritualità quotidianacon cui chiudere la giornata; man manoche i bambini cresceranno e divente-ranno capaci di imitare i gesti e di parte-cipare attivamente, la benedizionefamiliare può diventare il luogo di primaeducazione alla preghiera, in cui si ap-prendono il segno di croce e le preghierefondamentali.

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Così pure se il figlio fosse ammalato, sipuò usare il rito della Benedizione per ifanciulli malati24, che prevede il segnodella croce sulla fronte del bambino euna stupenda preghiera recitata dai ge-nitori25.

Le benedizioni, che il Benedizionale ponetra le nostre mani, manifestano davverol’amore della Madre Chiesa che si chinasui suoi figli e, per la potenza di Cristo, lisalva.

1 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Benedizionale, LEV, 1992. Rito della Benedizione prima del parto: rito or-dinario (633-648); rito breve (649-653); formula breve (654). Rito della Benedizione dopo il parto: rito ordinario(655-673); rito breve (674-678); formula breve (679).

2 Gn 1, 28.3 Cfr. Gn 9, 1.4 Cfr. Lv 12, 1-8.5 Cfr. TRIACCA ACHILLE M., «Le benedizioni invocative in genere e su persone» in Anamnesis, I sacramentali e le be-

nedizioni, Marietti, 1989, 139-140.6 Cfr. Lc 2, 32- 38.7 Cfr. RIGHETTI MARIO, Storia Liturgica, Ancora, 1959, IV, 471.8 PIO XII, Rituale Romanum, titulus VIII, capita V e VI, Marietti, 1952. 9 Cfr. PIO XII, Rituale Romanum, titulus VIII, caput VI, Marietti, 1952.10 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Benedizionale, LEV, 1992, 633-679.11 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Rito del Battesimo dei bambini, LEV, 1995, nn. 78, 125 e 161.12 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Benedizionale, LEV, 1992, 633-648. Oltre al rito ordinario, esistono sia un

rito breve (649-653) che una formula breve (654).13 I brani proposti per la proclamazione sono: la Visitazione (Lc 1, 39-45); l’Annunciazione (Lc 1, 26-38); la nascita

di Gesù (Lc 2, 1-14).14 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Benedizionale, LEV, 1992, 655.15 1Sam 1, 20-28.16 1Sam 2, 1-10.17 Lc 1, 67-79.18 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Benedizionale, LEV, 1992, 655-673. Anche qui, oltre al rito ordinario, esi-

stono un rito breve (674-678) e una formula breve (679).19 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Benedizionale, LEV, 1992, 629. 20 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Benedizionale, LEV, 1992, 553- 564 (rito breve: 565- 571; forma breve:

572). 21 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Benedizionale, LEV, 1992, 630.22 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Benedizionale, LEV, 1992, 591-604 (forma breve: 605). 23 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Benedizionale, LEV, 1992, 587. 24 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Benedizionale, LEV, 1992, 252-255 (rito breve: 256- 260; forma breve:

261). 25 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Benedizionale, LEV, 1992, 255.

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La Chiesa di frontealle situazioni matrimoniali

irregolari e difficilimons. Angelo Amati

a definizione di matrimonioviene espressa nel canone 1055del Codice di Diritto Canonico,

sulla scorta del Concilio Vaticano II (GS, n.48), che recita: “Il patto coniugale con cuil’uomo e la donna stabiliscono tra lorouna comunità di tutta la vita, per sua na-tura ordinata al bene dei coniugi e allaprocreazione ed educazione della prole,fra i battezzati è stato elevato da Cristo Si-gnore alla dignità di sacramento”.Il Cristo, “in contrasto con una società ecultura che ammetteva il divorzio, riven-dica con forza l’autentica natura della do-nazione personale totale e definitiva deiconiugi e, superando ogni decadenzamorale, la riconduce all’originario pro-getto di Dio creatore: ‘Non sono più due,ma una carne sola. Dunque non osi sepa-rare l’uomo ciò che Dio ha congiunto’ “(Mt 19,6).La vocazione al matrimonio dunque èiscritta nella natura stessa dell’uomo.L’accelerato processo dei mutamenti hamesso in crisi l’uomo moderno, il qualedifficilmente riesce a coniugare la tradi-zione con l’evoluzione. Sono messi in crisianche i valori religiosi e appare arduo ar-

monizzare e regolare l’impetuoso emer-gere delle diverse soggettività: “Non esistepiù una logica di riferimento collettivo, reli-gioso, di nazione, di cultura, di storia”, comesembra “non esistere più una verità, matante verità” (G. De Rita).Molteplici cause tendono a infrangere larealtà monolitica del matrimonio: di tiposociale, economico, politico e culturale.Emerge nelle nuove generazioni un altotasso di egoismo ed edonismo, una fugada responsabilità e impegni duraturi, ungrande desiderio di riappropriarsi dellapropria libertà, una fragilità ed un preca-riato affettivo, una scarsa condivisione deiprincipi della Chiesa in materia di matri-monio, essendosi ingenerata una radicatamentalità che una coppia regge finchédura l’amore. Quasi mai i fidanzati si con-frontano sul fattore fondamentale fede.Tutti questi elementi spiegano i fallimentidella coppia, per la profonda e sostanzialedistanza dei convincimenti, della visionee degli stili di vita, con consequenzialemancato raggiungimento della naturalecomplementarietà, illudendosi che l’af-fetto valga a coprire tutte le carenze so-stanziali di un legame.

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Il testo del Direttorio di Pastorale Familiare(CEI, 1993), parla ripetutamente di situa-zioni matrimoniali “irregolari o difficili”, inconsiderazione di due distinte tipologie,derivando da esse, per i fedeli, conse-guenze diverse per la partecipazione siaalla vita della Chiesa sia ai sacramenti.In sintesi:si trovano in situazione matrimoniale dif-ficile: i separati e i divorziati non risposati;in situazione matrimoniale irregolare: i di-vorziati risposati, gli sposati solo civil-mente, i conviventi. A volte le due diverse situazioni sono in-dicate congiuntamente (cf. nn. 189, 190,191, 194, 196, 203, 207), altre volte è indi-cata soltanto la prima (situazioni matri-moniali irregolari: cf. nn. 197, 200, 201,202, 204). La «Familiaris consortio» (n. 45) ricordache per i cattolici l’unico matrimonio va-lido che li costituisce marito e moglie da-vanti al Signore è quello sacramentale. IlBattesimo, infatti, impegna i cristiani a ce-lebrare ed a vivere l’amore coniugale nelSignore.Al fine di cercare di dissipare sull’argo-mento una certa confusione o falsa tolle-ranza, riportiamo un profilo delle variesituazioni, utilizzando alcuni documentidel Magistero della Chiesa.

1. Premesse importantia. I fedeli divorziati risposati non sono

scomunicati e non è messa in discus-sione la loro appartenenza alla Chiesa,che si fonda sul battesimo; essi hannoconservato la fede, rimangono mem-bri del popolo di Dio, anche se il loro

stato di vita non permette loro di vi-vere la pienezza della comunione ec-clesiale.

b. I sacerdoti non devono prestarsi neiconfronti dei divorziati a celebrazioniche potrebbero indurli in errore; essisono ministri della Chiesa e non di sestessi.

2. I conviventi o unione libere di fatto“Sono le persone che convivono coniu-galmente (more uxorio), senza che il lorovincolo abbia un pubblico riconosci-mento né religioso né civile” (Direttorio,nn. 227-230).Per i cristiani queste unioni sono in con-trasto con il senso profondo dell’amoreconiugale, non comportando il dono to-tale di sé all’altro e sottraendosi alle re-sponsabilità proprie del vincolomatrimoniale. Varie sono le motivazioni che possono in-durre a questa scelta, intesa da alcunicome fase di maggiore conoscenza o dipassaggio, da altri come situazione per-manente o rigetto del matrimonio comeistituzione pubblica.“E’ evidente che sino a quando i convi-venti permangono in questa situazione divita non possono ricevere i sacramenti(Confessione, Comunione e Cresima,come ricoprire anche alcuni incarichi ec-clesiali), mancano, infatti, di quella fonda-mentale ‘conversione’ e coerenza perottenere la Grazia del Signore” (cfr. Pasto-rale dei divorziati risposati, n. 36). Qualora un convivente volesse far preva-lere la sua visione soggettiva a riguardo,“i pastori e i confessori, date la gravità

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della materia e le esigenze del bene spi-rituale della persona e del bene comunedella Chiesa, hanno il grave dovere diammonirlo che tale giudizio di coscienzaè in aperto contrasto con la dottrina dellaChiesa. Essi sono tenuti a ricordare anchequesta dottrina a tutti i fedeli loro affi-dati”.

3. I cattolici sposati solo civilmenteS’intendono quei coniugi che, pur nonavendo alcun impedimento a celebrare ilmatrimonio in Chiesa, scelgono voluta-mente il rito civile (Dir. nn. 221-226);.Non si può misconoscere che, nel caso, viè una certa volontà di impegnarsi, matale situazione non può essere accettatadalla Chiesa perché “per il cristiano catto-lico l’unico matrimonio valido è quellosacramentale” (FC. n. 45).Fino a quando i cattolici sposati solo ci-vilmente rimangono in questa situazione“non possono essere ammessi alla con-fessione e comunione eucaristica e nean-che alla cresima, né possono ricoprireincarichi o servizi che richiedono unapiena testimonianza cristiana e di appar-tenenza alla Chiesa”… “I sacramenti in-fatti presuppongono una vita che vogliaessere e sia di fatto fedele alle esigenzedel battesimo”. Come i divorziati risposati, anche questisiano invitati a prendere parte alla vitadella Chiesa nei limiti che la loro condi-zione consente, mostrando la comunitàcristiana la propria vicinanza, cercandodi far superare con un affettuoso dialogola loro situazione e ricondurli alla coe-renza della fede battesimale.

4. I separatiSono quei cristiani che hanno celebrato ilmatrimonio in Chiesa e che, “per motivid’incomprensione e di grave difficoltà,decidono di interrompere la convivenzaconiugale rimanendo però fedeli al vin-colo matrimoniale che resta indissolu-bile”. Anche la Chiesa di per sé ammette la se-parazione fisica degli sposi qualora si ve-rifichino le condizioni previste dal Codicedi diritto canonico (cann. 1152-1153), es-sendo la convivenza divenuta pratica-mente impossibile (Dir. n. 208). Ciò èpermesso nei casi estremi, inteso il di-stacco temporaneo come periodo di ve-rifica e di riflessione al fine di ricomporreil vincolo matrimoniale (Catechismo dellaChiesa Cattolica, 1649). Partendo dal presupposto che la separa-zione non è di per sé assimilabile al divor-zio, questa situazione non nega aiconiugi la possibilità di accostarsi ai sacra-menti (Confessione, Eucaristia, fungereda padrino o madrina nel Battesimo eCresima), purché “adempiano i doveri ge-nerali della vita cristiana, mantenganoviva l’esigenza del perdono propria del-l’amore, e s’interroghino sinceramentesulla disponibilità o meno di riprendere lavita coniugale”.In fondo la loro condizione di separati èancora proclamazione dell’indissolubilitàmatrimoniale e li impegna ad essere sin-ceramente pronti al perdono e disponibilia riprendere la vita coniugale.

5. I divorziati non risposati “Sono coloro che dopo tre anni di separa-

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zione consensuale o giudiziale ricevonodallo Stato la “cessazione degli effetti civili(divorzio) del loro matrimonio celebratoin Chiesa, ma ciò non vuol dire affatto chesia cancellato il sacramento, che rimaneper sempre”. Qui occorre distinguere due casi, perchédiversa è la responsabilità morale (Dir. nn.210-212):a) il primo, riguarda il coniuge che ha su-

bito il divorzio, perché costretto dagravi motivi, e non si é lasciato coin-volgere da una nuova unione.In questo caso “non ci sono particolariproblemi per l’ammissione ai sacra-menti: l’aver semplicemente subito ildivorzio non costituisce colpa; signi-fica piuttosto aver ricevuto una vio-lenza ed un’umiliazione, che rendononecessaria, da parte della Chiesa, la te-stimonianza del suo amore”.

b) il secondo, riguarda il coniuge che hachiesto ed ottenuto il divorzio, anchesenza passare a nuove nozze civili. “Lasituazione di chi ha chiesto il divorzio,anche se non si é risposato, rende diper sé impossibile la recezione dei sa-cramenti (Confessione ed Eucaristia), ameno che questi non si penta sincera-mente e concretamente ripari il malecompiuto”.In particolare, egli deve far consape-vole il confessore che, pur avendo ot-tenuto il divorzio civile, si consideraveramente legato a Dio dal vincolomatrimoniale, ma nel contempo è im-possibilitato per motivi moralmentevalidi a riprendere la convivenza co-niugale (cfr. Pastorale dei divorziati, n.

48). Solo a queste condizioni può rice-vere l’assoluzione sacramentale e lacomunione eucaristica.

6. I divorziati risposatia Sono coloro che (sposati in chiesa)

passano ad una nuova unione (civile),dopo aver ottenuto il divorzio dalloStato. Per la Chiesa essi si trovano inuna situazione che contraddice ogget-tivamente l’indissolubilità del matri-monio (Dir. nn. 213-220). “Di fronte a tale situazione, la Congre-gazione per la Dottrina della fede ri-chiama la dottrina e la disciplina dellaChiesa in materia. “Fedele alla parola di Gesù Cristo, laChiesa afferma di non poter ricono-scere come valida una nuova unione,se era valido il precedente matrimo-nio. Se i divorziati si sono risposati ci-vilmente, essi si trovano in unasituazione che oggettivamente con-trasta con la legge di Dio e perciò nonpossono accedere alla Confessione ealla Comunione eucaristica, per tuttoil tempo che perdura tale situazione,mancando una volontà di conversionee di penitenza”. Inoltre non è loro per-messo di svolgere i servizi liturgici,come quelli di lettore, di catechista, diministro straordinario della Comu-nione, di padrino o madrina, né di par-tecipare ai Consigli Pastorali.Questa norma non ha affatto un carat-tere punitivo o comunque discrimina-torio verso i divorziati risposati: “Sonoessi a non poter esservi ammessi, dalmomento che il loro stato e la loro

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condizione di vita contraddicono og-gettivamente a quell’unione diamore tra Cristo e la Chiesa, signifi-cata e attuata dall’Eucaristia. C’è inol-tre un altro peculiare motivopastorale; se si ammettessero questepersone all’Eucaristia, i fedeli rimar-rebbero indotti in errore e confusionecirca la dottrina della Chiesa sull’in-dissolubilità del matrimonio”. Qualora la loro situazione appaia irre-versibile, per l’età avanzata o per ma-lattia, la Chiesa può ammetterliall’assoluzione sacramentale e allaComunione eucaristica se, sincera-mente pentiti, s’impegnano ad inter-rompere la loro reciproca vitasessuale e a trasformare il loro vincoloin amicizia, stima e aiuto vicendevole. In questo caso possono ricevere i sa-cramenti in una chiesa dove nonsiano conosciuti per evitare lo scan-dalo (FC, n. 48).Anche se i battezzati e divorziati, perla loro situazione di vita, non godonodella piena comunione ecclesiale, tut-tavia sono tenuti a partecipare al-l’ascolto della Parola di Dio, alla S.Messa, a perseverare nella preghieraed a condurre un’esistenza moraleispirata alla testimonianza della ca-rità.Riguardo alla funzione di testimoni dinozze: se il matrimonio è concordata-rio, si deve seguire la legge italiana equindi può essere ammesso chiun-que, se invece è solo canonico, allorabisogna avere tutti i requisiti richiestiper i padrini.

b Un caso particolare: “I fedeli divorziatirisposati che sono convinti soggettiva-mene della invalidità del loro matri-monio precedente, devono regolare laloro situazione in foro esterno”, cioè difronte al Tribunale ecclesiastico, che èl’unico competente per l’esame dellavalidità del matrimonio dei cattolici.Infatti il matrimonio non è il frutto diuna semplice decisione privata e nep-pure di una decisione che le due per-sone prendono direttamente con Dio;ma ha una rilevanza pubblica ed ec-clesiale. Per questo la persona nonpuò decidere in coscienza l’esistenza omeno del matrimonio precedente e ilvalore della nuova relazione”.La strada più normale è quella di rivol-gersi in prima battuta al proprio par-roco - che a sua volta li invierà pressopersone esperte in materia affinché -qualora siano rinvenuti i requisiti ne-cessari per una dichiarazione di nullitàsecondo la normativa canonica - pos-sano intraprendere la via processuale.Sotto questo aspetto purtroppo vi èscarsa informazione e sono presentiancora troppi luoghi comuni. E’ ovvioche non rimane alcuna possibilità didichiarare finito un matrimonio che siastato contratto validamente.

7. Matrimonio di battezzati non cre-simati

Accade sempre più spesso che i giovaninel corso dell’adolescenza si allontaninodalla pratica religiosa e non sentano l’im-portanza di riaffermare in prima personaquella fede battesimale che fu donata

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loro dai genitori e padrini.Alcuni di essi, in prossimità del matrimo-nio tendono a riscoprire il valore dellafede e chiedono di prepararsi alla cresima;altri arrivano al sacramento del matrimo-nio privi della Cresima.Il can.1065 del CIC recita:“I cattolici che non hanno ancora ricevutoil sacramento della Confermazione, lo ri-cevano prima di essere ammessi al matri-monio, se è possibile farlo senza graveincomodo”. Come conciliare allora l’obbligatorietàdella Cresima per il matrimonio con la si-tuazione di alcuni giovani? Nel caso di richiesta di Cresima (che nondeve rappresentare il passaporto per ilmatrimonio) il discorso di fede va rianno-dato addirittura dove fu lasciato.Circa la dicitura: “Se è possibile farlo senzagrave incomodo”, essa dovrebbe essereinterpretata anzitutto come rispetto perchi si trova in crisi di fede, non obbligan-dolo ad esibire il «certificato di Cresima»privo di valore spirituale. Qualora vi fossel’insistenza per la celebrazione dellenozze, esse non possono essere rifiutatein virtù del battesimo e dell’appartenenzaalla Chiesa, fatta salva la condivisione daparte dei contrahendi delle proprietà es-senziali del matrimonio cattolico.Quando due giovani vivono in situazioneconiugale irregolare (conviventi o sposatisolo civilmente), in questi casi la Cresimanon può precedere il matrimonio-sacra-mento, “mancando quella fondamentaleconversione che è condizione necessariaper ricevere la grazia del Signore” (cfr. Pa-storale dei divorziati risposati, n. 36).

E’ importante in questi casi un’amorevolee personale accoglienza da parte del sa-cerdote, per facilitare un’apertura e capirele cause che provocarono l’allontana-mento dalla Chiesa e capire la ragionedella richiesta del matrimonio-sacra-mento.Sia la preparazione alla Cresima sia al ma-trimonio possono costituire un’ottima oc-casione per far riscoprire la bellezza ed ilsignificato della fede.

8. Matrimonio di battezzati non cre-denti

E’ la situazione di alcuni giovani battezzatinella Chiesa cattolica, che chiedono il ma-trimonio religioso, ma che dimostrano dinon essere pienamente disposti a cele-brarlo con fede, accedendovi per altri sva-riati motivi (tradizione, coreografia,richiesta della donna, spinta delle fami-glie, ecc) o indifferenti alla fede, o addirit-tura dichiarando esplicitamente di noncredere. In questi casi, la Chiesa, pur es-sendo consapevole che vi sono gradi di-versi di fede (FC, n. 68), non devetralasciare ogni tentativo per far riaffio-rare almeno una traccia di fede battesi-male. A questo dovrebbe mirare lapreparazione al matrimonio. Non basta ildiritto naturale per sposarsi in chiesa, maè necessaria la fede che permetta di ca-pire e di vivere il mistero dell’amore salvi-fico di Cristo (Dir. n.202).Quando purtroppo tutti i tentativi per ot-tenere un segno di fede risultassero vani,e i nubendi mostrassero dì rifiutare inmodo esplicito e formale ciò che la Chiesaintende compiere quando celebra il ma-

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trimonio dei battezzati, solo allora sirende inevitabile la dolorosa decisione dinon ammetterli al sacramento. Si tratta diun gesto di coerenza e di rispetto per chisi dichiara non credente, con la speranzache un cammino di maturazione possa ri-condurli ad un serio apprezzamento dellavita cristiana e del sacramento.

9. Sacramenti per i figli“Nel contesto dell’opera educativa sipone, per i credenti, il problema dei sacra-menti per i figli. Il battesimo, comunionee cresima potranno essere celebrati, no-nostante la situazione irregolare dei geni-tori, purché “[ambedue] o almeno uno diessi o chi tiene legittimamente il loroposto, vi consentano” (can. 868, n.1 CIC);“che vi sia la fondata speranza che il bam-bino sarà educato nella religione catto-lica; se tale speranza manca del tutto, ilbattesimo venga differito” (n.2).In caso di dubbio o di incertezza dei ge-nitori, si rende maggiormente necessariovalorizzare il ruolo dei padrini, scelti conattenzione e oculatezza. Questa preoccu-pazione della Chiesa si giustifica con ilfatto che i sacramenti dei figli, ancora in-capaci di giudizio e di una decisione au-tonomi, sono celebrati nella fede dellaChiesa, fede che può sopravvivere inqualche modo nei genitori, nonostante laloro situazione irregolare. Occorre peròfar rilevare la contraddizione tra la richie-sta del battesimo per i figli ed il loro rifiutodel sacramento del matrimonio.

10. Funerali religiosiPer i fedeli che al momento della morte si

trovano in una situazione coniugale irre-golare, la Chiesa non vieta il funerale reli-gioso, purché si verifichino duecondizioni: primo, che il defunto nonabbia manifestato in vita una opposi-zione orale o scritta; secondo, che il ritodelle esequie non costituisca scandaloper gli altri fedeli. La celebrazione del fu-nerale è concessa per il fatto che le esè-quie cristiane sono un ringraziamento alSignore del dono del battesimo, una im-plorazione della comunità cristiana dellamisericordia di Dio che solo conosce ilcuore umano, una professione di fedenella risurrezione ed un rinnovato annun-cio della speranza cristiana. Anche almomento del distacco terreno la Chiesanon cessa di mostrarsi madre amorevoleche affida a Dio i suoi figli.

11. Matrimoni misti e interreligiosi (di-sparità di culto)

a. I matrimoni misti sono quelli celebratitra una parte cattolica e una parte bat-tezzata in altre confessioni cristiane.(Sono validi: i battesimi degli Orto-dossi, Valdesi, Metodisti, Anglicani,Battisti, Luterani, in genere quelli am-ministrati nel Nome della SS.ma Tri-nità. Non sono validi i battesimi deiTestimoni di Geova e dei Mormoni,non avendo il riferimento trinitario). Nell’affrontare il matrimonio i contra-enti devono conoscere. le differenzeesistenti tra le due confessioni reli-giose nonché delle difficoltà che po-tranno sorgere in una vita coniugale(FC, n. 78).

b. I matrimoni interreligiosi o con dispa-

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rità di culto sono quelli celebrati trauna parte cattolica ed una apparte-nente a religioni non cristiane (nonbattezzata). L’illusione che l’amorepossa far superare ogni ostacolo nonsi rivela un dato realistico. Il Direttorio di Pastorale Familiare ri-serva una particolare attenzione aimatrimoni tra cattolici e persone ap-partenenti alla religione islamica, perle difficoltà connesse con “gli usi, co-stumi, mentalità e cultura del mondomusulmano, per la condizione delladonna nei confronti dell’uomo e per laconcezione stessa della famiglia mu-sulmana in contrasto con quella cri-stiana”. Si cerca di dissuadere taliunioni, perché non solo non sono sa-cramento (il sacramento è solo tra duebattezzati: can. 1055), ma esso è espo-sto ad un facile fallimento del coniu-gio, come l’esperienza dimostra. Ladetta difficoltà si verifica in ordine al-l’educazione dei figli che devono se-guire la religione del padre, che è ilpadrone (dominus) della famiglia,

spesso sottraendoli alla madre e ripor-tandoli nel suo Paese d’origine.

12. ConclusioneIl quadro sintetico fornito ha un’ottica

piuttosto giuridico-pastorale e tende a ri-solvere delle situazioni operative. Amonte però si pone il problema morale,che spesso appare inesistente in virtùdella cosiddetta ‘coscienza soggettiva’. Unuomo di periferia, dando uno sguardoalla suesposta casistica, si è domandatodove sta più la presenza dei Comanda-menti e il senso del peccato, come ancheil significato dei sacramenti, intesi qualisegni efficaci della Grazia per la salvezzadell’uomo!Sono del tutto fuori di questo contesto lepressioni del mondo laico, che legge il mi-stero della Chiesa come fosse una sem-plice elargitrice di servizi.È ovvio che la morale specifica dellaChiesa è la fedeltà al suo Fondatore ed alVangelo, da cui scaturisce la sua fisiono-mia.

Per la traccia offerta ci siamo giovati specialmente dei documenti del Magistero; precisamente:- del capitolo VII della Esort. Ap. Familiaris consortio di Giovanni Paolo II (1984);- CEI, Direttorio di Pastorale Familiare per la Chiesa in Italia, cap. VII (1993), che riprende un precedente Documento

della CEI del 1979;- Lettera della Congr. della Dottrina della fede ai vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della Comu-

nione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati (1994);- Discorso di Giovanni Paolo II all’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia (1997);- Discorso di Giovanni Paolo II, del 14.10.2000, durante il Giubileo delle famiglie.

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SOLENNITÀ DELLA SS. TRINITÀ - B3 giugno 2012

Dt 4,32-34.39-40Sal 32R/ Beato il popolo scelto dal SignoreRm 8,14-17Mt 28,16-20

1. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica(CCC) ci sono due affermazioni che il cre-dente ricorda quando egli parla di Dio. Laprima riguarda il linguaggio: “Essendo la no-stra conoscenza di Dio limitata, lo è anche ilnostro linguaggio su Dio” (CCC 40). Ciò do-vrebbe portarci a preferire la contemplazionedi Dio. Il ragionamento, pur utile e necessa-rio, viene dopo. La seconda riguarda la capa-cità che la parola ha di dire Dio: “Le paroleumane restano sempre al di qua del Misterodi Dio” (CCC 42). San Tommaso d’Aquinoaffermava: “Dio si onora col silenzio non per-ché non si parli affatto o non si indaghi perniente su di lui, ma perché prendiamo co-scienza che rimaniamo sempre al di qua diuna sua comprensione adeguata”. Alloradella Trinità non si parla? La risposta vieneda S. Agostino: “Non c’è altro argomento aproposito del quale l’errore sia più pericoloso,la ricerca più ardua, la scoperta più feconda”.La riflessione umana, dunque, non è mortifi-cata, ma è collocata nella sua dimensione di

comprensione non adeguata. Di Dio si può esi deve parlare con quel senso di consapevo-lezza che la ragione umana giunge ad affer-mare che Dio c’è, ma che è arduo per essaandare oltre e dire chi Dio sia. Abbiamo bi-sogno che Dio stesso ci dica chi è. Abbiamobisogno della rivelazione perché Dio è oltreogni nostro pensiero. Per questo motivo i mi-gliori ingegni del cristianesimo hanno tentatola ricerca con risultati alterni, alle volte difficilida comprendere, altre volte chiarissimi e lu-cidi. Sempre, però, incapaci di scalfire il mi-stero. La liturgia è pienamente consapevoledella fatica, ricca di fede, posta in atto dal-l’uomo nell’avvicinarsi al mistero divino econtemporaneamente è consapevole che ilmistero di Dio uno e trino si contempla e siesperimenta, ma non si spiega. Nel NuovoTestamento non si trova la parola “Trinità”,ma il Nuovo Testamento chiama per nomele tre divine persone - Padre e Figlio e SpiritoSanto - presentandole nella loro operositàamorosa e salvifica nei confronti dell’uma-nità.

2. Il testo di Mt 28,16-20 costituisce il branofinale del vangelo di Matteo, una specie dibrano che in qualche modo riassume il primovangelo. Il testo biblico e il testo biblico-litur-

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La Parola di Dio celebratamons. Renato De Zan

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gico coincidono, fatto salvo per il solito incipitliturgico (“In quel tempo”). Sotto il profilo let-terario, il testo si suddivide in due parti: laprima è narrativa (Mt 28,16-18a), mentre laseconda è discorsiva (Mt 28,18b-20). La partenarrativa presenta i destinatari delle parole diGesù. Sono “undici”, non più “dodici” e vi-vono ancora un momento di forte perplessitàdi fronte al Risorto: essi dubitarono. Il tempodel verbo greco potrebbe indicare un dubbiotemporaneo. La seconda parte, invece, è co-stituita dalle parole di Gesù ai suoi. Gesù ma-nifesta la Signoria del Risorto (Mt 28,18b).Da questa Signoria che Gesù ha ricevuto dalPadre proviene il comando di missione (Mt28,19-20a) dato alla Chiesa, rappresentatadagli “undici”. Tale missione si adempie nelfar fare l’esperienza sacramentale trinitaria enel trasmettere l’insegnamento del Maestro.Chiude la parte discorsiva la promessa del Ri-sorto di essere sempre con i suoi fino alla finedella storia (Mt 28,20b); promessa che vela-tamente manifesta che sia Gesù, il Dio connoi, l’Emmanuele. Gesù indica un monte conosciuto bene daidiscepoli e dalla comunità nascente. Viene,infatti, chiamato “il” monte. In quel monteGesù si manifesta e la reazione dei discepoliè difficile da coordinare. Essi vivono il mo-mento di adorazione, in greco prosekùnesan, edi dubbio, in greco edìstasan. Si tratta dell’ado-razione di coloro che nel dubbio vivono unostimolo a cercare e non a rifiutare. Gesù offreloro come risposta a quel dubbio tre cose: ilpotere totale che ha ricevuto dal Padre, l’invioin missione, dove potranno esperimentarecome Egli opererà insieme alla parola annun-ciata (cfr Mc 16,20) e la promessa di esseresempre con loro.

L’invio in missione ha un obiettivo. Gesùvuole che tutti i popoli diventino suoi disce-poli. Va notato come il cristiano non sia di-scepolo di quel santo o di quel tal personaggiodella Chiesa, ma primariamente ed essenzial-mente di Cristo. In 1 Cor 1,12-2,33 spiegache non è corretto dire “Io sono di Paolo”,“Io invece sono di Apollo”, “E io di Cefa”.Nessuno di questi è morto e risorto per gli uo-mini, mentre Cristo Signore, sì.La missione consiste nel far toccare con manoad ogni uomo la realtà trinitaria di Dio attra-verso l’esperienza sacramentale. Dio, uno etrino, non è un “concetto”, ma una realtà daaccogliere e dalla quale lasciarsi accogliere,come l’acqua battesimale del battistero vienescelta dal catecumeno e accoglie il catecu-meno per renderlo creatura nuova, figlio diDio. L’esperienza di Dio, però, non basta.Gesù chiede al proprio discepolo l’obbe-dienza a tutto ciò che il Maestro ha coman-dato. Di fronte al mistero di Dio, il credentenon può avere una fede “fai da te”, ma è chia-mato a riproporre nella propria vita, pur neilimiti della propria umanità, la mentalità e leazioni del Maestro.

3. Il testo eclogadico di Dt 4,32-34.39-40 èfacilmente suddivisibile in due unità. Laprima è caratterizzata da tre preposizioni in-terrogative (Dt 4,32-34), precedute dall’invito“interroga”. La prima domanda è un invitoa rileggere la storia della salvezza. La secondadomanda si concentra sulla vita e sul dialogocon Dio. La terza domanda, invece, ruota at-torno al tema dell’incontro con Dio attraversogli avvenimenti (Dio sceglie e salva il suo po-polo).La seconda unità (Dt 4,39-40) è, invece, ca-

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ratterizzata dal duplice comando: “sappi”(v.39) e “osserva” (v.40). Si tratta di aver chiaroil fondamento della fede ebraica (il monotei-smo assoluto) e il fondamento della moraleebraica (osservanza delle leggi e dei comandidell’alleanza). In altre parole, questa secondaunità è in qualche modo ripresa da Dt 6,4-5:“Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio,unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuoDio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e contutte le forze”.Nel Salmo responsoriale, Sal 32,4-5;6-7;18-19;20-22, vengono toccati tre grandi temi: laParola di Dio (vv. 4-5;6-7), l’occhio di Dio (vv.18-19), la grazia di Dio (vv.20-22). La Parolaè contemplata nella sua valenza profetica (v.4), morale (v.5) e creatrice (v. 6-7). L’ultimastrofa (v.20-22) fa parlare gli oranti ponendoin bocca loro una confessione di fede: Dio èaiuto e scudo.La Colletta generale è profondamente se-

gnata da una preoccupazione teologico-dog-matica nella petizione e nello scopo. Nell’am-plificazione, Dio appare il mittente di dueinviati, Gesù e lo Spirito. Uno, perché sia Pa-rola di verità, l’Altro, perché santifichi. NellaColletta particolare, invece, si trova la teologiatrinitaria dinamico-salvifica della seconda let-tura, traduce in preghiera l’opera salvifica delPadre, del Figlio e dello Spirito, nel credente.

4. Il testo della seconda lettura (Rm 8,14-17)è chiaramente trinitario. Nell’oggi dellaChiesa il discepolo di Gesù esperimenta loSpirito che gli dona la propria guida nel cam-mino verso Dio, visto come “Papà”. In questomodo il discepolo scopre la sua identità di fi-glio chiamato alla risurrezione come Gesù. Ilmistero della Trinità, dunque, non è esternoal credente, ma egli ne è coinvolto piena-mente.

SOLENNITÀ DEL SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO - B10 giugno 2012

Es 24,3-8Sal 115R/ Alzerò il calice della salvezza e invo-cherò il nome del SignoreEb 9,11-15Mc 14,12-16.22-26

1. Nel sec. XIII si sviluppò nel nord Eu-ropa, precisamente nella zona del Brabantee delle Fiandre, una profonda venerazione

eucaristica (cfr Odilia di Liegi, Cristina diS. Trond, Ida di Lovanio, ecc.). Nel 1209Giuliana di Liegi ebbe una visione chia-mata la “visione del disco della lunapiena”. In questa visione Giuliana vide unaluna piena tutta particolare e dentro adessa vide un punto oscuro: era la mancanzadi una festa particolare in onore dell’Euca-ristia. Nel 1247 il vescovo Roberto (o Ru-perto) di Thorote, vescovo di Liegi, dispose

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per la sua diocesi la festa speciale in onoredel Santissimo Sacramento, festa che il car-dinale Ugo di S. Cher, legato pontificio, ePietro Capocio si erano premurati di dif-fondere in Germania. Più tardi Giuliana diLiegi confidò il sogno al suo confessore,l’arcidiacono Jakob Pantaleon, che divennepapa Urbano IV. Egli istituì la solennità del“Ss.mo Corpo e Sangue di Cristo” con labolla Transiturus de hoc mundo (11.09.1264).La festa dell’Eucaristia viene inizialmenteaccolta solo dalla Transilvania, dall’Unghe-ria e da alcune diocesi del Basso Reno edella Francia. Il Concilio di Vienne (1311-1312) cercò di allargare il consenso, mainutilmente. Cinquant’anni dopo la bollaTransiturus de hoc mundo, Clemente V inserìil documento di Urbano IV nelle Costitu-zioni clementine del Corpus Juris, pubblicateda Giovanni XXII nel 1317. Sembra siastata la prassi della “processione eucari-stica” a far entrare nella sensibilità popo-lare la festa dell’Eucaristia. La processioneha avuto luogo per la prima volta a Colonianel 1277 e a Benediktbeuren nel 1286. Neilibri ufficiali della liturgia romana comparesolo dopo il 1600.Papa Urbano IV aveva stabilito la festa ilgiovedì, dopo la festa della Trinità, per le-gare ancora di più tale festa al misterodell’Ultima Cena. La festa dell’ottava, pre-scritta da Urbano, venne cancellata nellariforma del 1955.Qualche studioso ipotizza che il formulariodella messa risalga a S. Tommasod’Aquino. La cosa non è del tutto certa.Certo è che il formulario si ispira allaSumma Theologica (III, q.73,c.4). Il testocompleto del formulario si trova nelle fonti

del sec. XIV (cfr Ordo di Strasburgo 1315-1318). Oggi, con la riforma liturgica del VaticanoII, la celebrazione viene fatta tenendo pre-sente tre angolature diverse del Mistero.Nell’anno A il tema biblico-liturgico del-l’Eucaristia celebrata è “la Parola di Dio,diventata carne, dà vita”. Nell’anno C iltema biblico-liturgico assume un taglio unpo’ più statico: l’Eucaristia come “Pane cheè Cristo”, assunto come vero cibo e verabevanda e annunciato fino al suo ritorno.Nell’anno B, invece, viene sottolineato iltema dell’Eucaristia come “Liturgia del-l’Alleanza”.

2. La pericope biblico-liturgica di Mc14,12-16.22-26 è stata impoverita dei vv.17-21 rispetto alla pericope biblica origi-nale. L’esegesi ci avverte che i vv. 18-21 (ildialogo tra Gesù e i suoi sull’identità e la fi-gura del traditore) apparterrebbero a unatradizione diversa da quella rappresentatadai vv. 22-25 (le due tradizioni sarebberostate accostate dall’opera redazionale diMarco). Si tratta, dunque, di versetti che inqualche modo esorbitano dal tema pa-squale dell’Eucaristia che viene chiara-mente evidenziato dai vv. 12-16. La sceltadella Liturgia suggerisce, dunque, di con-centrare l’attenzione sul mistero eucaristicovisto nell’orizzonte della Pasqua-Alleanza.Il testo biblico-liturgico del vangelo, data lasua fisionomia di testo eclogadico, può es-sere diviso in due unità distinte: la prepa-razione della cena (vv. 12-16) e la cenastessa (vv. 22-26). Il testo di Mc 14,12-16 per ben tre volte ri-corre il vocabolo “Pasqua”. Chiaramente

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per l’evangelista Gesù ha voluto mangiarela cena pasquale con i suoi discepoli. La Pa-squa è la festa principale dell’A.T. Con essanasce il culto veterotestamentario, dove laParola si lega al banchetto dell’agnello percelebrare la vita risparmiata da Dio. Gesùha voluto fare dell’ultima cena la celebra-zione anticipata della sua Pasqua (Morte eResurrezione), dove la Parola annuncia ciòche il Corpo-pane e il vino-Sangue adem-piono: “Chi mangia la mia carne e beve ilmio sangue ha la vita eterna e io lo risusci-terò nell’ultimo giorno” (Gv 6,54).La salvezza avviene a causa dell’alleanzaeterna tra Dio e l’umanità credente, realiz-zata nella Morte e Resurrezione di Gesù,dove l’uomo peccatore esperimenta la sal-vezza senza il castigo (cfr Ger 31,31-34:“Ecco verranno giorni - dice il Signore - neiquali ….. io concluderò una alleanzanuova…..tutti mi conosceranno…. poichéio perdonerò la loro iniquità e non mi ri-corderò più del loro peccato”). In questa al-leanza entrano tutti coloro che accedono alcorpo dato per gli uomini e al sangue dellanuova alleanza.Le parole di Gesù sul pane e sul vino di-cono chiaramente la presenza reale, ma di-cono anche di più. L’Eucaristia è un pastosacrificale di alleanza: “Questo è il mio san-gue (, il sangue) dell’Alleanza, (che è) ver-sato per molti”. Per sancire l’alleanza conDio, nel mondo biblico bisognava offrireun sacrificio. La carne di quel sacrificioveniva consumata in parte da Dio (consu-mata dal fuoco) e in parte dai rappresen-tanti del popolo eletto, attraverso un pastodi comunione. L’Eucaristia è sacrificio e co-munione perché è il pasto sacrificale della

nuova alleanza. I credenti sono, infatti,chiamati a instaurare con il sacrificio euca-ristico un legame verticale con Dio (diven-tare una cosa sola con Cristo e, quindi, suoiimitatori) e con la comunione un legameorizzontale con il prossimo (nuovi modi direlazionarsi con gli altri e nuovi stili di vita).

3. Il testo della prima lettura (Es 24,3-8)narra il rito dell’Alleanza sinaitica. Si trattadell’alleanza bilaterale tra Dio e il suo po-polo, con la mediazione di Mosè. Il rito ini-zia con la proclamazione del documentodell’alleanza contenente le clausole, cuisegue il rito del sangue. Questo sanguesparso sugli Ebrei aveva un significato di“vincolo” e anche di “purificazione-rivita-lizzazione”. La Liturgia legge Es 24,3-8come profezia e come “tipo” della nuovaAlleanza (annunciata, successivamente daiprofeti Geremia ed Ezechiele), sancita nelsangue di Gesù. Non va dimenticato chenella Nuova Alleanza le clausole si identi-ficano con il Maestro stesso, con tutto ciòche ha detto e ha fatto. Il salmo responsoriale (Sal 115,12-13;15 e16bc; 17-18) pone al centro dell’attenzionedell’assemblea orante il calice della salvezza(cfr il ritornello). L’assemblea orante siidentifica con il “servo, figlio dell’ancella”e l’unica cosa che può offrire a Dio comeatteggiamento di riconoscenza è l’Eucari-stia, in qualche modo allusa dall’espressio-ne veterotestamentaria “sacrifici di lode”.La Colletta generale riprende il tema del-l’Alleanza anche se in modo indiretto, at-traverso l’accenno al “memoriale dellapasqua” del Signore e attraverso il tema dei“benefici della redenzione”. La Colletta

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particolare, invece, risponde meglio alla te-matica sviluppata dalla Liturgia della Pa-rola, ponendo in primo piano il “sacrificiodella nuova alleanza” e il tema escatologicodella “pasqua eterna della Gerusalemmedel cielo”

4. Nella sezione dottrinale di Eb 7,1-10,l8intende dimostrare la superiorità del sacer-dozio di Gesù su quello veterotestamenta-

rio. Il brano della seconda lettura (Eb 9,11-15) costituisce il testo centrale. Dopo averillustrato tipologicamente il valore di alle-anza che possiede il Sacrificio di Cristo (eattuato dall’Eucaristia), il testo illustra la su-periorità dell’alleanza compiuta da Gesùnei confronti dell’alleanza antica. Gesùviene presentato come nuovo Mosè, comeServo e come donatore dell’eredità eterna.

SOLENNITÀ DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ - B15 giugno 2012

Os 11,1.3-4.8c.9Is 12Rit/ Attingeremo con gioia alle sorgentidella salvezzaEf 3,8-12.14-19Gv 19,31-37

1. La devozione del popolo di Dio per ilSacro Cuore di Gesù viene da lontano. Leprimissime testimonianze di tale devozionerisalirebbero ai sec. XIII e XIV. Inizialmentesi sviluppò nelle Fiandre e in Germania. InItalia, S. Angela da Foligno (morta nel 1309)scriveva nel libro delle sue visioni: “Fui rapitain sogno in un luogo dove mi fu mostrato ilCuore di Cristo ed intesi queste parole: Eccoil luogo senza menzogna, dove tutto è ve-rità”. Dopo un periodo di affievolimento, ladevozione riprese per opera di S. GiovanniEudes (1601-1680). Ben presto si sviluppa intutta la Francia e, successivamente in Italia.

Le apparizioni di Paray-le-Monial a S. MariaMargherita Alacoque generarono una rifles-sione profonda. In questo periodo giunseroalla S. Sede le prime petizioni per una festauniversale. L’esito fu negativo. Nella secondametà del sec. XVIII, però, la festa venne con-cessa alla Polonia e solo nel 1856, per deci-sione di Pio IX, a tutta la Chiesa. Il temafondamentale della festa liturgica era la glo-rificazione della carità di Cristo che per gliuomini aveva istituito l’Eucaristia, era mortoin croce ed era risorto. Nel 1899 Leone XIIIconsacrerà tutto il genere umano al SacroCuore. La Liturgia, nell’anno B, ha scelto l’icona,umanamente tenerissima e teologicamenteprofonda, di Gesù crocifisso con il fiancosquarciato da cui esce sangue e acqua. Que-sta immagine rivela in modo inequivocabileagli uomini di ogni tempo e di ogni luogol’amore infinito, universale, “da sempre e per

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sempre”, attivo e operoso di Dio per la sal-vezza dell’umanità. L’amplificazione dell’in-vocazione della prima Colletta trasformaquesta contemplazione in preghiera: “nelCuore del tuo dilettissimo Figlio ci dai lagioia di celebrare le grandi opere del tuoamore per noi”.

2. Il testo biblico-liturgico di Gv 19,31-37 èidentico al testo biblico e la sua delimitazioneè esegeticamente corretta. Il testo è lettera-riamente suddivisibile in due unità. Laprima, Gv 19,31-34, narra l’avvenimento (ri-chiesta di spezzare le gambe ai crocifissi, ese-cuzione della richiesta, apertura del costatodi Gesù con la fuoriuscita di sangue edacqua), mentre la seconda, Gv 19,35-37, pre-senta una riflessione testimoniale (testimo-nianza oculare perché altri credano) eteologica (due citazioni bibliche di adempi-mento).L’unità narrativa è presentata con una caricateologica notevole. Anche se dispiace, biso-gna tralasciare in questa sede le problemati-che storiche dell’avvenimento e le allusioniteologiche all’agnello pasquale e di tutto ciòche ruota attorno ad esso (nuovo esodo,nuova pasqua, liberazione dal peccato e dallamorte, ecc.). Va evidenziato, invece, sullaspinta del contesto celebrativo, il contenutoteologico di Gv 19,34: “Uno dei soldati conuna lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscìsangue e acqua”. La tradizione sinottica equella paolina hanno tramandato le paroledi Gesù, nell’ultima cena, sia sul pane sia sulcalice. Il calice contiene il sangue di Gesù,che è il sangue dell’alleanza versato perl’umanità. Lo squarcio del costato, operatodalla lancia, completa ciò che il martirio

della croce aveva già abbondantemente ma-nifestato. Gesù dona la sua vita per gli uo-mini (nella solidarietà con essi, nel perdonodei peccati come Servo di Yhwh, nella re-denzione come strumento di espiazione [cfrRm 3,25], nella maledizione assunta su di séper una nuova ed eterna alleanza, nel su-premo gesto di obbedienza al Padre, ecc.).Amore, Sacrificio della Croce ed Eucaristiasono realtà intimamente congiunte e insepa-rabili. Giovanni aggiunge molto, narrandol’episodio dello squarcio del costato., da cuisgorgò sangue ed acqua. Gesù, parlando dell’acqua, intese parlaredello Spirito (cfr Gv 7,37-39). Si tratta delloSpirito che esce dal suo seno (Gv 7,37) e dalsuo costato (Gv 19,34). Lo Spirito viene de-finito da Gesù come Consolatore e Spirito diVerità (Gv 14,16-17). Il dono dello Spirito èstrettamente legato al Battesimo(-Conferma-zione). Anche di fronte all’acqua che sgorgadal Cuore di Gesù il credente vede l’Amoredi Dio, lo Spirito, strettamente legato al-l’esperienza sacramentale di tipo battesimale.I Padri della Chiesa (cfr Giovanni Criso-stomo) hanno visto in quel costato squar-ciato, da cui sgorga sangue ed acqua, il donodel Battesimo e dell’Eucaristia. Inoltre, comeEva nacque dal costato di Adamo, così dalcostato di Cristo nacque la Chiesa. L’amoredi Dio, dunque, non è qualche cosa di nebu-loso, ma è qualche cosa di concreto. Egli, inCristo, dona se stesso, lo Spirito e i sacra-menti della salvezza.Nella seconda unità letteraria (Gv 19, 35-37),lo scrittore ispirato si dice testimone “vero”e diretto di ciò che ha appena scritto.L’amore divino, dunque, non è frutto di unadeduzione del pensiero, ma è ciò che ha

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“visto”. Si tratta dell’esperienza concreta ri-letta con gli occhi della fede. Il testo sottoli-nea due dati, già narrati: le ossa di Gesù nonfurono spezzate e dal costato aperto fluironosangue ed acqua.Le ossa non spezzate sono l’adempimentodel Sal 34,21 e Es 12,46. Non c’è solo unadempimento “profetico” sui generis della pro-tezione e del rispetto profondo del Corpo diCristo, ma c’è soprattutto l’adempimento“profetico” sui generis di Gesù con il veroAgnello Pasquale. L’autore sacro procede an-cora nella sua riflessione teologica. Il colpodi lancia che squarcia il costato viene rilettoalla luce di Zc 12,10. Si tratta di un branoprofetico che vede nella morte del Trafittoun fatto escatologico e, quindi, definitivo, disalvezza.

3. Nel testo eclogadico della prima lettura(Os 11,1.3-4.8c-9) Dio viene presentatocome un genitore amorevole e premurosoche si occupa della propria creatura (Israele).L’amore paterno di Dio si ritrova in altri testiveterotestamentari (cfr Dt 8,5). Il contesto ce-lebrativo invita a prestare attenzione Os 11,8: “Il mio cuore si commuove dentro di me,il mio intimo freme di compassione”. I ter-mini usati appartengono all’esperienza emo-zionale umana. L’esperienza umana dellagenitorialità affettiva, dunque, aiuta a com-prendere l’amore di Dio. È un invito a guar-darsi nel profondo per capire Dio. L’amoreche Dio manifesta porta con sé il messaggiodi un’attenta cura divina per il suo popolo edi un’apertura alla misericordia senza con-fini: Dio si avvicina al suo popolo peccatorenon per dar sfogo alla sua ira, ma conl’amore che crea una risposta di amore e

confidenza filiale. Dove c’è l’amore - dicel’agiografo della prima lettera di Giovanni(1Gv 4,18) - non ci può essere l’atteggia-mento ostile all’amore.Il Salmo responsoriale è tratto da un brano in-nico del libro di Isaia (Is 12,2.4-6) che aiutal’assemblea orante a professare la sua fiducia,senza alcun timore, in questo Dio amoroso.Con gioia l’assemblea testimonia come il Santosi sia mostrato grande in mezzo al popolo.Particolare attenzione merita la Colletta pro-pria dell’anno B. Il vocabolario scelto appar-tiene all’area del mondo delicato e dolcedell’amore. Dio, infatti, viene definito come“Padre di infinita bontà e tenerezza”. La co-munità orante, a sua volta, consapevole diesistere perché il Padre provvede ad essa,chiede di poter attingere dal Cuore di Cristola sublime conoscenza dell’amore divino perportare agli uomini, con la forza dello Spi-rito, le ricchezze della redenzione.

4. Il testo eclogadico della seconda lettura (Ef3,8-12.14-19) è tratto da un passo conosciu-tissimo, dove il tema centrale è la conoscenzadell’amore di Cristo che supera ogni cono-scenza. Questa conoscenza si attua perché icredenti si possono avvicinare in piena fidu-cia a Dio per la fede in Gesù Cristo. Cristo,infatti, è colui che fa da ponte tra Dio el’umanità. La conoscenza dell’amore di Cri-sto, poi, non è una conoscenza facile.L’amore di Cristo, infatti, “supera ogni co-noscenza”. Adoperando le categorie dellospazio, l’autore sacro descrive l’amore divinonella sua ampiezza, lunghezza, altezza e pro-fondità (coppie binarie). Questo mistero in-finito, però, non è lontano dall’uomo perchélo inabita.

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XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – B17 giugno 2012

Ez 17,22-24Sal 91.R./ È bello rendere grazie al Signore2Cor 5,6-10Mc 4,26-34

1. Il Regno dei cieli per certi aspetti è unodei temi più articolati e conosciuti. IlNuovo Testamento contiene molti testi a ri-guardo. Tuttavia il Regno dei cieli resta,per molti aspetti, un mistero. Ai farisei chegli chiedevano quando sarebbe venuto ilRegno, Gesù rispose: «Il regno di Dio nonviene in modo da attirare l’attenzione, enessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Ec-colo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è inmezzo a voi!» (Lc 17,20-21). D’altra parte,Gesù stesso insegna ai suoi discepoli il Padre

nostro, dove la preghiera chiede al Padre:«Venga il tuo Regno». Se questo aspetto èdifficile da comprendere, c’è un secondoaspetto che non è meno facile da cogliere.La piccolezza degli inizi del Regno contra-sta notevolmente con la sua maturità. Esi-ste, infatti, un contrasto notevole tra ilpiccolo seme di grano e la spiga matura, trail piccolo seme di senape e il grosso arbustoche ne scaturisce (Vangelo, Mc 4,26-34), trail ramoscello e il magnifico cedro che, comel’arbusto di senape, serve come rifugio agliuccellini (1° lettura, Ez 17,22-24). Dio se-mina a piene mani il germe della verità edella grazia nel cuore dei credenti. Come,

poi, questo dono cresca e come giunga allasua maturità è un mistero. Il Regno, dun-que, è una realtà dove l’umiltà degli inizicontrasta con la magnificenza della matu-rità, mentre la crescita resta sempre e co-munque un evento inspiegabile in mano alSignore.

2. Il brano evangelico di Mc 4,26-34, ri-porta delle parole di Gesù rivolte ai disce-poli (cfr 4,10: “I suoi insieme ai Dodici lointerrogavano sulle parabole. Ed egli disseloro...”; 4,13: “Continuò dicendo loro”;4,21: “Diceva loro”; 4,26: “Diceva”; 4,30:“Diceva”). Il brano biblico-liturgico, invece,inizia così: “In quel tempo, Gesù dicevaalla folla...”. Il cambiamento ha un doppioeffetto. Da una parte semplifica la com-prensione di Mc 4,33 (“Con molte para-bole di questo genere annunziava loro laparola secondo quello che potevano inten-dere. Senza parabole non parlava loro; main privato, ai suoi discepoli, spiegava ognicosa”) perché attribuisce alle parabole il va-lore di messaggio per la folla. Dall’altra to-glie consistenza al significato dello stessoversetto, qualora si voglia comprenderloalla luce del suo parallelo in Mc 4,10-11(“Quando poi fu solo, i suoi insieme ai Do-dici lo interrogavano sulle parabole. Ed eglidisse loro: «A voi è stato confidato il mi-stero [= gr. è stato dato il segreto/mistero)del regno di Dio; a quelli di fuori invece

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tutto viene esposto in parabole....»”]. Iltesto di Mc 4,10-11 e, conseguentementeanche il nostro Mc 4,33, intende eviden-ziare come Gesù confidi ai dodici e ai suoiche esiste un “mistero”, un “segreto”. Glialtri, “quelli di fuori”, non si rendono nep-pure conto che tale segreto esiste. Il testo sisuddivide in tre unità: la parabola del semeche cresce da solo (Mc 4,26-29), la para-bola del seme di senape (Mc 4,30-32) el’annotazione finale (Mc 4,33).L’immagine del seme va letta, avendo sullosfondo la parabola del buon seminatore.L’uomo che getta il seme allude a Gesù e ilseme stesso simboleggia la parola. L’impo-stazione dell’immagine è di tipo escatolo-gico, dove prevale la gioia: il chicco è pienonella spiga. La frenesia degli zeloti, dunque,la critica dei farisei o il dubbio di chi noncrede non hanno fondamento perché lapresenza di Gesù nella storia della salvezzaè una “presenza irresistibile” e non c’è cheda attendere i frutti.Lo stesso messaggio si coglie nell’immaginedel granello di senapa. Ci sono, però, inquesta figura delle allusioni bibliche note-voli, dove, appare l’opera misteriosa di Dio:la fede nazionale ebraica non è una fede na-zionalistica, ma universalistica e gli uccellidel cielo, simbolo dei popoli pagani, si rifu-giano nell’opera di Dio perché anch’essichiamati alla salvezza. Il granello di senapetrasformato in albero (in Palestina l’arbustodi senape poteva raggiungere anche i tremetri d’altezza) non nasconde solo il mi-stero delle piccole origini che si trasformanoin qualche cosa di grandioso, ma anche ilmistero del chicco, che diventato albero, sitrasforma in qualche cosa di ospitale.

Il mistero del Regno viene trasmesso daGesù in modo figurato, “intuitivo” e sa-pienziale per tutti o per adattarsi alle capa-cità mentali dei suoi uditori o per superarel’ “incapacità di accoglienza” di ordine mo-rale, dovuta a scorrette disposizioni inte-riori. Il mistero del Regno, invece, viene“liberato”, “sciolto” oppure “spiegato”,“interpretato” (tale è il significato del verbogreco epilyo) solo nell’intimità con Cristo.

3. Il testo della prima lettura, Ez 17,22-24,in qualche maniera alluso dal testo evange-lico (immagine del granello di senape). At-traverso le immagini delle due aquile e delcedro, il profeta narra la triste sorte del po-polo ebraico all’epoca dell’esilio babilo-nese. Presenta, però, anche la potenzasovrana di Dio nel restaurare e rinnovare ilsuo popolo. All’interno del testo si notanole riletture, facilmente riassumibili. L’ora-colo inizialmente serviva a rafforzare lasperanza del ritorno nella Terra promessacon una dinastia davidica rinnovata. Suc-cessivamente il testo viene letto come unaprofezia messianica, che il brano evange-lico di Mc 4,26-34 indica come adempiutanel mistero del Regno. Il salmo responsoriale, Sal 92,2-3;13-14;15-16, invita l’assemblea orante ad annunziarel’amore e la fedeltà di Dio (v.3) e la sua ret-titudine e giustizia (v. 16). Queste si mani-festano nel far fiorire il giusto come palmae a farlo crescere come cedro del Libano.La rilettura liturgica del Salmo dice che ilRegno non è “fuori”, ma “dentro” al-l’uomo. La Colletta generale non entra in facile sin-tonia con l’aspetto particolare del mistero

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di Cristo presentato nella Liturgia della Pa-rola. La Colletta particolare, invece, ri-prende il tema di Dio “seminatore”(vangelo e 1° lettura) e il tema del Regno.Nell’eucologia il regno è ridetto con l’im-magine del “germe della verità e della gra-zia”. L’assemblea orante chiede (fine dellapetizione) al Padre di poter accogliere ilgerme del Regno, di coltivarlo e farlo frut-tificare.

4. La seconda lettura, 2Cor 5,6-10, prose-gue con la lettura semicontinua dell’epi-stola paolina. Il brano illustra l’antitesi tra

l’esistenza nel corpo terreno e l’esistenzanel Signore. La morte, che è una realtà an-tidivina (cfr 1 Cor 15,26.54-56), non vienemenzionata perché dopo la risurrezione diCristo non ha più potere sull’uomo.Prende, invece, importanza il corpo del cre-dente. Per mezzo del corpo, infatti, il cri-stiano opera il bene o il male. Il giudizio diDio farà luce su questa realtà (bene/male)attraverso il giudizio che stabilirà, con il cri-terio della giustizia proporzionale, la ricom-pensa adeguata.

SOLENNITÀ DELLANATIVITÀ DI S. GIOVANNI BATTISTA24 giugno 2012

Messa vespertina della vigiliaGer 1,4-10Sal 70.R./ Dal grembo di mia madre sei tu ilmio sostegno1Pt 1,8-12Lc 1,5-17

Messa del giornoIs 49,1-6Sal 138.R./ Io ti rendo grazie: hai fatto di meuna meraviglia stupendaAt 13,22-26Lc 1,57-66.80

Giovanni Battista - oltre la Vergine Maria -

è l’unico santo di cui si celebra sia la nascitatra gli uomini, sia la nascita al cielo. La datadella solennità odierna si colloca esattamentetre mesi dopo l’Annunciazione e sei mesiprima di Natale, secondo le notizie datecidall’evangelista Luca. Perché viene riservatoal Battista questo privilegio? Gesù stesso offrela risposta. Giovanni Battista è “più che unprofeta” e “tra i nati di donna non è sortouno più grande” di lui (cfr Mt 11,9.11). GiàCostantino nel sec. IV gli dedica una basilicaad Ostia, una seconda ad Albano, e il batti-stero del Laterano. La sua festa natalizia del24 giugno era gia celebrata all’epoca di Ago-stino. Per la solennità della natività di Gio-vanni Battista la Chiesa celebra la messadella vigilia e la messa del giorno.

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1. La messa vespertina della vigilia

a. Nella Messa vespertina della vigilia iltesto biblico di Lc 1,5-17 si apre, presen-tando una situazione enigmatica. I genitoridi Giovanni sono “giusti davanti a Dio”perché osservavano in modo irreprensibiletutte le leggi e le prescrizioni del Signore.Sono, tuttavia gravati da una maledizionenon spiegabile: non hanno figli. L’AnticoTestamento conosce questa situazione. Eragià stata vissuta da Abramo e Sara, maanche e in modo diverso da Elkana e daAnna, genitori di Samuele. Solo l’inter-vento di Dio rovescerà la situazione. Ilbambino che nasce diventa il segno di Dioche interviene nella storia al di là della vo-lontà e della forza dell’uomo.L’annuncio dell’angelo a Zaccaria è riccodi gioia umana e spirituale: umana, perchéil marchio della maledizione viene tolta adue persone irreprensibili in una età dovenon c’era più speranza; spirituale, perchéle parole dell’angelo avvengono durante ilmomento più sacro, il sacrificio, e perchéesse indicano in Giovanni uno che sarà ina-bitato dallo Spirito, avrà un compito pro-fetico ed è associato ad Elia di cui erediteràlo spirito e la forza. Giovanni, infatti, è ilprecursore del Messia e il suo ruolo profe-tico ha come scopo la preparazione del po-polo ad accogliere il Messia.

b. La prima lettura (Ger 1,4-10) è propostadalla Liturgia come lettura accomodatizia.Leggendo la vocazione di Geremia si com-prende la vocazione di Giovanni, che findal seno materno è appartenuto totalmentea Dio. La seconda lettura (1Pt 1,8-12), in-vece, presenta le figure dei profeti veterote-

stamentari, compreso quindi Giovanni,come ministri “di quelle cose che ora visono state annunziate”. Giovanni, in questomodo, insieme agli altri profeti, viene a farparte integrante della storia della salvezzache vede in Cristo il centro e la realizza-zione.

c. L’eucologia della messa vespertina è ca-ratterizzata da una Colletta che vede nelBattista la guida “per andare con serena fi-ducia incontro al Messia da lui predetto”.Giovanni, guida del suo popolo nell’attesadel Messia incarnato, è invocato comeguida, nella via della salvezza, per l’incon-tro con la parusia del Messia.

2. La Messa del giorno

a. Nella Messa del giorno, il testo evange-lico di Lc 1,57-66.80, pur essendo compo-sito, presenta in modo unitario la gioiadella nascita del Battista. Questa nascitaevidenzia la grande misericordia di Dio (“IlSignore aveva esalato in lei [Elisabetta] lasua misericordia”) verso l’anziana madre.Al momento dell’imposizione del nome ècomprensibile che tutti pensino al nome diZaccaria (Zakàr - Yah = Dio si è ricordato)perché Dio si è ricordato di questi vecchigenitori. L’insistenza, prima della madre epoi del padre, sul nome di Giovanni (Yo -

hannan = Dio ha fatto grazia) è, invece, pro-fetica. Zaccaria, dopo aver scritto il nomedel proprio figlio riceve la grazia di poterparlare nuovamente: da scettico è ritornatocredente. Giovanni, poi, è visto come donoassoluto, che porta in sé la missione di an-nunciare che il tempo della grazia è vicinoe presente.

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I vicini sono sconcertati. Quando Dio in-terviene, infatti, l’uomo resta sempre pro-fondamente colpito perché esperimentache la propria vita e il proprio destino nonsono solo in mano sua, ma che entrano indialogo con il Trascendente che li visita. Lariflessione susseguente manifesta l’atteggia-mento biblico: l’avvenimento è un messag-gio divino da decifrare, tanto più quandosupera l’ordinarietà del quotidiano.

b. La prima lettura (Is 49,1-6: secondocarme del servo di Yhwh) è stata scelta conlo stesso criterio con cui è stato scelto ilbrano di Ger 1,4-10 per la messa vigiliare.Si tratta di una lettura accomodatizia. InGiovanni si manifesta la forza di Dio cheprotegge e guida, come ha già fatto per ilServo di Yhwh. Nelle parole di Giovanniscorre la salvezza di Dio, come nelle parole

del Servo. La seconda lettura (At 13,22-26)presenta le parole di Paolo ad Antiochia diPisidia. Nell’omelia sinagogale l’apostoloricorda ai suoi ascoltatori le parole di Gio-vanni Battista, affermando che quelle pa-role non sono chiuse nel passato, legateall’avvenimento storico dell’inizio dell’apo-stolato pubblico di Gesù, ma si tratta di unaparola di salvezza mandata a noi. Paolo af-ferma il valore attuale delle parole di Gio-vanni. Anche per oggi.c. L’eucologia della messa del giorno è ca-ratterizzata da una Colletta che, in modoindiretto chiede l’intercessione del Battista,capace di preparare un popolo ben dispo-sto. La Chiesa, infatti, sente il bisogno diessere un popolo ben disposto: per questochiede di avere l’abbondanza dei doni delloSpirito e di essere guidata sulla via della sal-vezza.

SOLENNITÀ DEI SANTI PIETRO E PAOLO29 giugno 2012

Messa vespertina nella vigiliaAt 3,1-10Sal 18.R./ Per tutta la terra si diffonde il loroannuncioGal 1,11-20Gv 21,15-19

Messa del giornoAt 12,1-11Sal 34.

R./ Il Signore mi ha liberato da ognipaura2Tm 4,6-8.17-18Mt 16,13-19

Nel sec. XIX e per un buon tratto diquello successivo, c’è stata tra gli stu-diosi una corrente di pensiero che ve-deva in P ie t ro e in Pao lo dueantagonisti. Il primo sarebbe stato de-tentore del tradizionalismo, mentre il se-

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condo sarebbe stato detentore del pro-gressismo. Le tensioni fra queste duepersonalità avrebbero realizzato unasintesi che si chiamò chiesa cattolica.Questo modo di pensare, ancorato apresupposti della filosofia idealista, ècompletamente errato a diversi livelli:biblico, storico, teologico. Al concilio diGerusalemme, infatti, Pietro fu il soste-nitore delle tesi progressiste. La scuolapetrina riconobbe una sapienza partico-lare data da Dio al “carissimo fratelloPaolo” (2Pt 3,15-16). Il rimprovero diPaolo a Pietro (Gal 2,11-14) è indicedella estrema serietà con cui gli apostolisapevano adoperare la libertà interioreper perseguire la verità teologica e com-portamentale. La Chiesa, poi, fin dalleorigini, ha venerato i due apostoli in-sieme perché - secondo l’antica tradi-zione romana - i due apostoli furonomartirizzati nello stesso giorno: Pietrocrocefisso a testa in giù sulla via Trion-fale presso il circo di Caligola in Vati-cano, Paolo decapitato alle Acque Salviesulla via Ostiense.La solennità dei Santi Pietro e Paolo èuna delle celebrazioni più “ecumeni-che” che si trovano nella Chiesa catto-lica e nelle Chiese orientali. La Chiesad’oriente chiama i due apostoli Protóthro-

noi e Protokorypháioi, vocaboli che laChiesa cattolica esprime come “priminella potestà apostolica” e “primi nel-l’annuncio del Vangelo”. La Liturgia cattolica li ricorda insieme:l’eucologia della messa vigiliare e quelladella messa del giorno li accomunasenza distinzione (“predicazione di Pie-

tro e Paolo”; “festa dei gloriosi Pietro ePaolo”; “solennità dei santi Pietro ePaolo”; “tu hai voluto unire in gioiosafraternità i due apostoli”). Il Lezionario,invece, sposta la sua attenzione su Pietroperché del pescatore di Galilea viene ri-conosciuto il primato. Il tema del pri-mato, infatti, è presente nei testievangelici, Gv 21,15-19 (vigilia) e Mt16,13-19 (giorno). Nelle prime letture,At 3,1-10 (vigilia) e At 12,1-11 (giorno),primeggia la figura dell’apostolo Pietrocon un cenno biografico. Nelle secondeletture, invece, domina la figura di Paolosia con un cenno autobiografico (vigilia:Gal 1,11-20) sia con una riflessione teo-logica riguardante l’apostolato conside-rato come atto di culto a Dio (giorno: 2Tm 4,6-8.17-18).

1. Messa della vigilia

a. Nella Messa della vigilia il vangelo,Gv 21,15-19, presenta il dialogo di Gesùcon Pietro. Nel passato si è voluto sotto-lineare che la triplice professione diamore fosse dovuta a una velata ripara-zione di Pietro nei confronti di Gesù.Pietro aveva rinnegato Gesù tre volte,ora per tre volte l’Apostolo confessa ilsuo amore per il Maestro. Oggi si prefe-risce sottolineare il gioco dei verbi greci,che in italiano non è facile rendere nellaloro portata ricca di significato e teolo-gicamente profonda. Nei primi due interventi Gesù chiede aPietro se lo ami di un amore donativo(agapao) e Pietro risponde di amare Gesùdi un amore caratterizzato dalla recipro-cità (fileo). Quanto Gesù, nella terza do-

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manda adopera il verbo fileo (caratteriz-zato dalla reciprocità), Pietro resta ama-reggiato. Aveva capito benissimo.Durante il periodo prepasquale, Pietroaveva presunto di non avere bisognodell’amore di Gesù, ma di essere lui,Pietro, colui che donava a Gesù vici-nanza, fedeltà e abnegazione. Le ultimeesperienze, invece, gli avevano fattocomprendere fosse più aderente alla re-altà accettare che Gesù fosse colui chegli donava vicinanza, fedeltà, abnega-zione e perdono. Pietro si è reso contofinalmente di quanto avesse bisogno diessere amato da Gesù. All’interno diquesta logica il Maestro affida la suaChiesa a Pietro e gli annuncia il marti-rio.

b. La prima lettura, tratta dagli Attidegli Apostoli (At 3,1-10), presenta Pie-tro, accompagnato da Giovanni, allaporta Bella del tempio di Gerusalemme.Lì guarisce lo storpio. Luca, descrivendoil miracolo di Pietro, evidenzia un ele-mento importante: Pietro dona quelloche ha (“Quello che ho, te lo do”). Nelgioco interpretativo presente nel Lezio-nario, il dono di Pietro al paralitico rap-presenta il dono dell’amore di Dio e delprimato alla Comunità credente. IlSalmo responsoriale, con una felice tra-sposizione suggerita dal ritornello, an-nuncia come il cosmo annunci la gloriadi Dio e l’assemblea liturgica “ricom-prende” quell’annuncio come fatto dagliApostoli. La Colletta riconosce che nellapredicazione dei due Apostoli Dio hadato alla Chiesa le primizie della fede

cristiana che ancora oggi guida i cre-denti alla salvezza eterna.

c. Il testo della seconda lettura, trattodalla lettera ai Galati (Gal 1,11-20) pre-senta la figura di Paolo come la figuradell’apostolo autentico: da lui e non dachi apostolo non è, si accoglie il vangelo.Paolo, infatti, è stato chiamato da Dio(scelto fin dal seno materno, come ilprofeta Geremia). Non si può accogliereil vangelo dai “superapostoli” perché illoro vangelo non ha le caratteristichedel vangelo annunciato dall’Apostolo. Ilvangelo di Paolo, infatti, non è “model-lato sull’uomo”. L’apostolo l’ha ricevutodirettamente da Dio.

2. Messa del giorno

a. Nella Messa del giorno il testo evan-gelico di Mt 16,13-19, dove viene illu-strata la confessione di Pietro e vienericordato il primato che Gesù conferì al-l’Apostolo. La domanda che muovel’episodio (Mt 16,13-19) viene posta daGesù in un momento difficile della suavita (ha già, infatti, subito durissimi at-tacchi da parte delle autorità religiose diGerusalemme). “La gente chi dice chesia il Figlio dell’uomo ?”. La risposta di-mostra che le folle hanno intuito inGesù qualche cosa di grande (il Battista,Elia, Geremia, un profeta) perché in Luivedono di volta in volta il predicatoreapocalittico, uno dei due profeti che do-vevano precedere il Messia, un profetache annunciava la fine del silenzio diDio. Nessuna risposta, però, ha colto l’iden-

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tità di Gesù. Molti (purtroppo anche trai “credenti”) hanno tentato di “ridurre”Gesù a un “grande” profeta (o al vero ri-voluzionario, al pacifista universale, alsapiente per eccellenza, all’uomo per-fetto, al sognatore utopico, all’uomo del-l’amore divino, al filantropo vero, ecc.).Nessuna di queste risposte coglie l’iden-tità profonda di Gesù.“Voi chi dite che io sia ?”. Domanda

dura, interpellanza diretta, risposta dif-ficile. Difficile per allora e per oggi. Laconfessione di Pietro (“Tu sei il Cristo,il Figlio del Dio vivente”) non è dettatadalla acutezza umana - lo si sa dallabeatitudine successiva -, ma è frutto diuna rivelazione del Padre. L’interventodi Gesù chiarisce che la “carne e il san-gue” non possono dare risposte ade-guate su di lui. Nella confessione diPietro, sinteticamente, c’è già l’identifi-cazione essenziale del Maestro: Gesù èil Messia ed è l’uomo-Dio (è bene ricor-darsi che proprio il titolo di “Figlio diDio”, ritenuto una “bestemmia”, causòla sentenza di morte, pronunciata dal Si-nedrio). I titoli in quanto tali erano co-nosciuti nel mondo biblico e indicavanonon solo l’amore salvifico di Dio per ilsuo popolo, ma anche l’esperienza salvi-fica e amorevole che il popolo avevafatto con il suo Dio. Pietro viene procla-mato beato come tutti coloro che con-fessano Gesù Cristo: “Poiché seconfesserai con la tua bocca che Gesù èil Signore, e crederai con il tuo cuoreche Dio lo ha risuscitato dai morti, saraisalvo” (Rm 10,9).Il primato petrino nasce all’interno di

una visione di fede. E all’interno diquesta visione va vissuto, compreso e ac-colto. I versetti di Mt 16,18-19 ripor-tano una frase del Gesù prepasquale.Certe insinuazioni, secondo le qualiGesù voleva una comunità e ne è uscitauna Chiesa, sono infondate. Si possonoridiscutere certe forme storiche di pri-mato (lo ha affermato Giovanni PaoloII), ma il primato con ciò che ne conse-gue è fondato sulle parole di Gesù.

b. Sappiamo che gli Atti degli Apostolipresentano fondamentalmente gli Apo-stoli Pietro e Paolo. In genere gli esegetisono concordi nel collocare Pietro comepersonaggio a tutto tondo in At 1-12.Ricomparirà in At 15 (concilio di Geru-salemme) e lascerà definitivamente lascena all’Apostolo Paolo. Il testo dellaprima lettura, At 12,1-11, dunque, pre-senta una delle ultime apparizioni dellafigura di Pietro nel racconto degli Atti.Pietro è arrestato e imprigionato daErode Agrippa. Un angelo, misteriosa-mente e miracolosamente, lo libera. Pie-tro si rende conto come Dio provveda alui, lo strappi non solo dalla prigione,ma anche dalla morte. Agrippa avevaappena ucciso Giacomo (At 11,2) e, percompiacere i Giudei, lo avrebbe anchepresentato al popolo (At 11,4). Già qual-che tempo prima questo popolo avevapreferito Barabba a Gesù. Il Salmo re-sponsoriale, interpretato alla luce del ri-tornello, esprime la gratitudine di Pietroper la cura divina di cui è stato fatto og-getto. La Colletta concentra la sua at-tenzione sulla fedeltà della Chiesa

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all’insegnamento degli apostoli dai qualiè scaturito il primo annuncio della fede.c. Il testo della seconda lettura, 2 Tm4,6-8.17-18, può essere accostato in duemodi. Il primo riguarda la missione diPaolo. L’Apostolo ha la percezione delmartirio che lo attende. Il suo sangue,come il vino e l’olio sui sacrifici ebraici,sta per essere sparso sul sacrificio di Cri-sto. E’ pienamente convinto di avercompiuto fino in fondo la sua missione.Per questo motivo si attende il premio(la corona del vincitore) insieme a tutti

coloro che hanno accolto il vangelo (cfrFil 4,1). Il secondo riguarda la persona-lità di Paolo. Essa è racchiusa in unasemplice frase: “Il Signore però mi èstato vicino e mi ha dato forza perchéper mio mezzo si compisse la proclama-zione del messaggio e potessero sentirlotutti....” (2Tm 4,17). In questa sua mis-sione Paolo fu sostenuto da Dio e dallesue comunità, in particolare dalla comu-nità di Filippi, attraverso la collabora-zione, l’affetto, l’aiuto.

XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – B1 luglio 2012

Sap 1,13-15; 2,23-24Sal 29.R./ Ti esalterò, Signore, perché mi hairisollevato2Cor 8,7.9.13-15Mc 5,21-43 (forma breve: Mc 5,21-24.35b-43)

1. Nella cultura biblica ogni malattia, ba-nale o grave, equivale a una diminuzione,piccola o grande, della vita. Nella personalo spazio occupato dalla malattia è uno spa-zio sottratto alla vita. Lo spazio sottrattoalla vita è occupato dalla morte. Un ma-lato, dunque, è posseduto dalla morte inrapporto alla gravità della sua malattia.Quella parte occupata dalla morte è chia-mata “impurità”. Impura, dunque, è la

donna “affetta da emorragia”e impura è lafiglia di Giairo perché “è agli estremi”.Gesù si misura con l’impurità umana, valea dire con questo potere orrendo che lamorte ha sull’uomo, e ne risulta vincitore.Gesù è venuto a rivelare Dio come il Diodei vivi. Lì dove c’è Lui non può esserci lamorte, entrata nel mondo per “invidia deldiavolo”. Della morte vera “ne fanno espe-rienza coloro che appartengono” al diavolo(1° lettura, Sap 1,13-15; 2,23-24). “Dio hacreato l’uomo per l’incorruttibilità, lo hafatto immagine della propria natura”: que-ste sono le parole con cui si chiude la primalettura (Sap 1,13-14; 2,23-24). Fungono inqualche modo da profezia nei confronti diquanto Gesù compie secondo la narrazioneevangelica (Mc 5,21-43). Dio, infatti, ama

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tutte le cose esistenti e nulla disprezza diquanto ha creato. Se avesse odiato qualchecosa non l’avrebbe neppure creata. Dio, in-fatti, non ha creato la morte (Sap 1,13) per-ché egli è “amante della vita” (cfr Sap11,23-26).

2. Il testo biblico e il testo biblico liturgicosono perfettamente identici, fatto salvo l’in-cipit liturgico (“In quel tempo”). Il testo sisuddivide in tre parti. La prima parte è co-stituita dall’inizio del racconto della risur-rezione della figlia di Giàiro (Mc 4,21-24).La seconda parte consiste nel raccontodell’emorroissa (Mc 4,25-34). La terzaparte, infine, narra la conclusione del rac-conto della risurrezione della figlia diGiairo (Mc 4, 35-43). C’è nel testo un par-ticolare che merita una breve attenzione. Ilnome femminile Thalethi = Talità è statoscoperto in una iscrizione del sec. I d.C.Poiché il Nuovo Testamento di solito poneil nome del defunto, richiamato in vita, al-l’inizio del comando (cfr Gv 11,43: “Laz-zaro, vieni fuori!”; At 9,40: “Tabità,alzati!”), l’esegesi moderna ipotizza chel’espressione aramaizzante “Talità kum”,normalmente tradotta con “Fanciulla (io tidico), alzati”, possa essere invece tradottacon “Talità, alzati”. Talità era il nome dellabambina.Mc 4,21-43 presenta un racconto (emor-roissa) incastrato in un racconto che le fada cornice (la risurrezione della figlia diGiàiro). Nella lettura breve questo testoviene omesso. Sappiamo che il concettoorientale di morte era diverso dal nostro.Per l’orientale la morte iniziava con la ma-lattia e il malato, proprio per questo mo-

tivo, diventava “impuro” (= invaso dallamorte). Se una persona entrava in qualun-que contatto fisico con il malato, la personadiventava “impura” a sua volta. Rileg-giamo due brani dell’A.T. Uno riguardal’episodio dell’emorroissa (“Quando unadonna abbia flusso di sangue, cioè il flussonel suo corpo, la sua immondezza dureràsette giorni; chiunque la toccherà sarà im-mondo fino alla sera... La donna che ha unflusso di sangue per molti giorni, fuori deltempo delle regole, o che lo abbia più delnormale sarà immonda per tutto il tempodel flusso, secondo le norme dell’immon-dezza mestruale. Ogni giaciglio sul quale sicoricherà... ogni mobile sul quale siederàsarà immondo...”: Lv 15,19.25-26) e l’altrol’episodio della figlia di Giàiro (“Chi avràtoccato un cadavere umano sarà immondoper sette giorni”: Nm 19,11). Se, invece, eraDio ad entrare in contatto con il malato, loguariva. Dio, infatti, è il tre volte “pieno divita” (= Santo). Gesù guarisce l’emorroissa,dimostrando di non essere solo uomo, maanche Dio. Ciò fa da premessa al miracolodella risurrezione (sarebbe più preciso par-lare di rivivificazione) della figlia di Giàiro.Questi due “segni” intendono testimoniareche l’eterno è entrato nel tempo, la perfe-zione del Paradiso ha toccato la storia, ilRegno è presente tra gli uomini. La vitaumana è minata dal peccato di Adamo. Èsottoposta al limite e alla morte: “per l’in-vidia del diavolo la morte è entrata nelmondo e ne fanno esperienza coloro che leappartengono” (1° lettura). Quella vitaviene ripristinata in modo straordinario esoprannaturale dall’intervento salvifico diGesù, allora e anche oggi.

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3. Il brano della lettura è un testo compo-sito (Sap 1,13-15; 2,23-24). Le tematicheaffrontate sono due: la creazione ripudia lamorte e l’uomo è creato per l’immortalità.La prima pericope (Sap 1,13-15) è un attodi fede nella bontà della creazione. La se-conda pericope (2,23-24) è un atto di fedesull’immortalità dell’uomo perché è “im-magine” della stessa natura di Dio. Fa espe-rienza di morte solo colui che appartiene aldiavolo, seduttore di tutto l’universo, per-ché è “omicida fin da principio” (Gv 8, 44).Il testo del salmo responsoriale, Sal29,2.4;5-6;11-12a.13b, illustra il tema dellaprova. Nella prova, l’uomo esperimental’intervento salvifico di Dio perché egli ècapace di trarre in salvo anche dalla morte(“mi hai dato vita perché scendessi nellatomba”). La Colletta generale si lega, ma in manieragenerica, all’atto di fede presente nellaprima lettura (“fa’ che...restiamo sempreluminosi nello splendore della verità”). La

Colletta propria si sofferma sul tema dellapovertà e della croce come fondamenti ne-cessari per poter portare il lieto annunciodella vita nuova.

4. La lettura semicontinua della secondalettera ai Corinti passa dal capitolo quintoall’ottavo. Il testo che viene proclamato, in-fatti, è 2Cor 8,7.9.13-15. Il tema di fondoriguarda la colletta in favore della comunitàdi Gerusalemme che Paolo reputa unagrande “liturgia” per il Signore. Il primocriterio del dono nella colletta ha comeesempio la generosità di Cristo che “daricco che era, si è fatto povero”. Il secondocriterio è la responsabilità: nessuno a causadel denaro dato deve trovarsi, poi, nella ri-strettezza. La colletta va vissuta come unoscambio: la comunità di Gerusalemme hadonato i predicatori del vangelo e la comu-nità di Corinto esprime la sua riconoscenzaper questo attraverso un aiuto finanziario.

XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – B8 luglio 2012

Ez 2,2-5Sal 122.R./ I nostri occhi sono rivolti al Si-gnore2Cor 12,7-10Mc 6,1-6

1. Ezechiele è mandato da Dio al popolo

d’Israele, popolo di “ribelli” e di “figli te-stardi e dal cuore indurito” (1° lettura, Ez2,2-5). L’obiettivo è che gli Ebrei sappianoche in mezzo a loro si trova un profeta.Sappiamo quanto Ezechiele abbia faticatoper farsi ascoltare come profeta. La stessasorte è toccata a Gesù, nella sua patria(vangelo, Mc 6,1-6). Il rifiuto di Nazaret è

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un avvenimento penoso del ministero ga-lilaico di Gesù. Tale episodio di rifiuto èmitigato dallo stupore dei compaesani perla sua sapienza e per i suoi prodigi (v. 2) edagli episodi di guarigione operati perl’imposizione delle mani (v. 5). A ben poco,però, è valso il riconoscimento della sua sa-pienza e dei suoi prodigi. Gesù “si meravi-gliava della loro incredulità”. L’episodio diNazaret è rimasto impresso nei suoi disce-poli. Essi hanno imparato a non rimaneredelusi quando sarebbero stati respinti dallepersone che, in un’ottica di giudizio difede, avrebbero dovuto invece accoglierli.Il tema centrale delle letture è chiaro: tragli uomini esiste il rifiuto dell’inviato delSignore.Oggi sia l’esperienza di Ezechiele siaquella di Gesù possono insegnare ai cri-stiani ad avere la consapevolezza della“condivisione con Cristo”, quando sonooggetto di rifiuto in un mondo che è loroostile.

2. Il testo di Mc 6,1-6 è stato inserito daMarco nel contesto del suo vangelo senzaalterare la tradizione da cui lo ha ricevuto.Ha carattere biografico e apologetico. Sin-tatticamente è costruito sulla paratassi(frasi associate dalla congiunzione “e”). Ilbrano, nel contesto del vangelo di Marco,ha come tema dominante l’incredulità deicompaesani di Gesù. Il brano, inserito nelcontesto del Lezionario, ha come tema do-minante la presenza del profeta mandatoda Dio; profeta che resta tale anche se gliuomini lo rifiutano. La fisionomia lettera-ria del testo originale lega l’episodio di Na-

zaret all’episodio della rivivificazione dellafiglia di Giairo (“Partito quindi di là, andònella sua patria”). La fisionomia del branopresente nel Lezionario, invece, lo isola to-talmente (“In quel tempo, Gesù andò nellasua patria”). Ciò significa che sia la “sa-pienza” sia i “prodigi” vanno compresi insenso generale o rifacendosi al solo branodi Mc 6,1-6, senza ricorrere al contesto im-mediato originario evangelico. Il testoevangelico (Mc 6,1-6) si può ripartire inquattro brevi pericopi: la descrizione dellascena del rifiuto (vv.1-2a), la reazione dellagente (vv.2b-3), la reazione di Gesù (vv. 4-6a) e il breve sommario (6b).L’episodio di Nazaret segna l’ultima voltain cui Marco presenta Gesù in una sina-goga. Da qui inizia, infatti, un’incompren-sione e un’opposizione progressive controil Maestro. Gesù viene equivocato dai Na-zaretani così com’è stato equivocato agliinizi della sua predicazione (era fuori di sé:Mc 3,2; operava per mezzo di Beelzebul:Mc 3,22). Il dubbio posto sulla sua sa-pienza e sui suoi prodigi - qualità che sonocaratteristiche di Dio e del Messia (Gb12,13; Is 11,2) - esprime velatamente il ri-fiuto che i Nazaretani compiono nei con-fronti di Dio e del suo Messia. Gesù simeraviglia dell’incredulità, ma continua lasua missione che sa essere caratterizzatadall’incomprensione e dalla solitudinecome quella dei profeti (cfr Mt 5,12: “cosìhanno perseguitato i profeti”; Mt 23,37:“Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidii profeti..”). Dietro al semplice ed elo-quente proverbio di Gesù è presente tuttala consapevolezza sulla sua futura morte.Gesù non appare scoraggiato. Continua a

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proporre il suo “insegnamento”. Eglifonda la sua missione sull’obbedienza aDio e non certamente sul consenso degliuomini.Ciò che Gesù ha detto nella sinagoga diNazaret ha confuso i suoi compaesani. Essisi sono accorti che Gesù è “sapiente” ed ègiunto loro l’eco dei suoi prodigi. Tuttaviala loro capacità di comprensione di Gesùnon va oltre il pettegolezzo (“Non è costuiil carpentiere, il figlio di Maria, il fratellodi Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Si-mone? E le sue sorelle non stanno qui danoi”). Essi non hanno il buon senso di met-tersi in discussione, ma in modo ruvido di-struggono l’oggetto che li imbarazza. Nonè un atteggiamento del passato soltanto.Ancora oggi succede, anche se con modiapparentemente evangelici ed educati. Cisono ancora tra noi dei nazaretani.

3. Il brano della seconda lettura, Ez 2,2-5narra (in parte) la vocazione di Ezechiele.Tre sono i protagonisti della pericope: Dio,il profeta e il popolo. Dio vuole che il pro-feta annunci l’azione di Dio, ricco di bontàe di misericordia. Il profeta, dunque, èchiamato a testimoniare con la sua per-sona e la sua opera (= la sua missione) cheDio intende ancora mantenere con il po-polo d’Israele una relazione di dialogo(“Tu dirai loro: Dice il Signore...”; “Sa-pranno almeno che un profeta si trova inmezzo a loro...”). Israele, purtroppo, è pec-catrice e “ribelle”, ha il cuore indurito enon ascolta. Il salmo responsoriale, Sal 122,1-2ab; 2c-f; 3-4, esprime - in contrapposizione aIsraele con Ezechiele e ai nazaretani con

Gesù - l’atteggiamento dell’ascolto acco-gliente (“I nostri occhi sono rivolti alSignore”) e lo invoca con umile atteggia-mento (“Pietà di noi”).La Colletta generale è la stessa del lunedìdella quarta settimana di Pasqua. E’ un po’difficile associare il tono pasquale del testocon il tema delle letture. Nel mistero dellaPasqua, però, non va dimenticato il temadel rifiuto (i giudei ai piedi della croce; i sa-cerdoti e le guardie di fronte al sepolcrovuoto). La Colletta propria sceglie un temaampio: il dono dello Spirito aiuta i credentia saper vedere oltre la superficie delle cose.Nell’umiltà del Figlio è presente la gloriadel Padre e nell’infermità umana è inopera la risurrezione.

4. Riprende la lettura semicontinua dellaseconda lettera ai Corinti, dopo un salto diquattro capitoli. Il testo di 2 Cor 12,7-10,chiamato il “brano della spina” costituiscela parte finale del “discorso folle” (2 Cor11,1-12,13) dove Paolo espone le propriequalità di fronte ai suoi avversari. Malattiao peccato sono gli ambiti dove viene nor-malmente ritrovata la spina da parte deicommentatori antichi. L’esegesi odiernapercorre una strada diversa. Poiché nel-l’Antico Testamento il vocabolo “spine”indica i “nemici” (cfr. Num 33,55; Ez28,24), ciò a cui allude Paolo sarebbero isuoi oppositori. Di fronte al lamento diPaolo la risposta di Dio è semplice: al-l’Apostolo è sufficiente la “grazia” divina.I Corinzi, infatti, nonostante tutto, cre-dono. Di fronte a questo miracolo Paoloafferma: “Infatti quando sono debole, è al-lora che sono forte”.

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Am 7,12-15Sal 84R./ Mostraci, Signore, la tua misericor-diaEf 1,3-14 (forma breve Ef 1,3-10)Mc 6,7-13

1. La storia di Abramo inizia con una vo-cazione. Da qui, la storia della salvezza pro-segue con infinite e svariatissime chiamate.Le testimonianze dei profeti possono farcomprendere con quale immensa fantasia econ quale profondo rispetto per l’individua-lità della persona, Dio chiami gli uomini adiventare collaboratori del suo progetto sal-vifico. Da sempre e per sempre Dio donaad ogni uomo una vocazione. Questo è unodei misteri più delicati della fede. Ricca,varia, incarnata nella storia, libera da ognicondizionamento legato alle qualità dellapersona, la chiamata di Dio possiede peròsempre alcuni elementi fondamentali e co-stanti che la contraddistinguono. Si tratta di due momenti significativi: l’espe-rienza dell’intimità con Dio e l’invio in mis-sione. Questo è successo ad Amos (primalettura, Am 7,12-15): pastore e incisore disicomori, viene chiamato da Dio e viene in-viato in missione profetica ai credenti delRegno di Israele. La stessa cosa è successaai Dodici: prima vennero chiamati (Mc3,13-18) e, poi, vennero inviati in missione(vangelo, Mc 6,7-13).

2. Il testo biblico della missione dei dodiciè Mc 6,6b-13. Il testo biblico liturgico, in-vece, è Mc 6,7-13 (con l’aggiunta dell’inci-pit “In quel tempo, Gesù…”). L’aperturaoriginale del brano dice: “Gesù percorrevai villaggi d’intorno, insegnando”. Questodato permette al lettore di leggere la mis-sione dei Dodici come continuazione del-l’apostolato del Maestro. La Liturgia,togliendo Mc 6,6b, vuole aiutare l’uditorea concentrarsi solo e unicamente sulla chia-mata e la missione conseguente: “Chiamòa sé i Dodici e prese a mandarli a due adue”. La sequenza verbale di Mc 6,7 haqualche cosa di particolare. La traduzioneitaliana ha livellato i tempi dei verbi (pas-sato remoto: chiamò, incominciò). Ingreco, invece il testo suona così: “Chiama[proskaleitai:presente] i Dodici e incominciòa mandarli [erxato autous apostellein: aoristo]a due a due”. Questa stranezza sembra vo-luta. Il presente (chiama), infatti, lo si ri-trova in Mc 3,13 (proskaleitai), testo chenarra la scelta dei Dodici. Scelta-chiamatae missione formano un unicum nella teolo-gia della vocazione dei Dodici.La dicitura biblica “incominciò a man-darli” indica l’episodio dei Dodici come unsemplice inizio di un fatto che sarebbe pro-seguito (fino ad oggi e oltre). La missione,dunque, è incominciata, ma non è ancorafinita. I Dodici vengono mandati “due adue”: si tratta di una usanza ebraica adot-

XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – B15 luglio 2012

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tata da Gesù e dalla Chiesa nascente (cfrcoppie apostoliche presenti nel catalogo deiDodici in Mt 10,2-4; cfr anche At 13,2). Lamissione è articolata in più compiti: predi-cazione, esorcismo, unzione e guarigionedei malati. Sono tutti elementi che indi-cano la sconfitta del demonio come domi-natore dell’uomo. L’espressione “dava loropotere sugli spiriti impuri”, infatti, va com-presa come frase riassuntiva di qualchecosa di più ampio e completo che non unsemplice “potere esorcistico”. Se, infatti, sileggono le pagine del Testamento di Levi

(18,12) nell’opera Testamento dei dodici patriar-

chi, si trova scritto che il sommo sacerdotedarà ai suoi figli “il potere di dominaresugli spiriti malvagi”. Alla luce deltesto testamentario, Gesù appare come ilSommo Sacerdote e i Dodici come coloroche condividono il potere sacerdotale delMaestro.L’equipaggiamento dei Dodici è quasinullo. Alcuni studiosi affermano che è si-mile a quello dei filosofi itineranti, cinici osofisti. In questo modo diventava impor-tante la dottrina trasmessa (e non la per-sona che la trasmetteva). Se i filosofiitineranti ben presto deviarono da questostile sobrio e ascetico per una brama smo-data di denaro, l’apostolo cristiano per-mane con queste caratteristiche (cfr 1 Ts2,1-12). Anche il comportamento dei Do-dici è ben definito dal Maestro. La perma-nenza in una casa deve esser unapermanenza essenziale (alla fine del primosecolo la Didaché 11,4 proponeva non piùdi due giorni). Nell’unzione dei Dodici glistudiosi hanno visto in radice un legamecon il valore sacramentale dell’unzione pre-

sente in Gc 5,14. Se la predicazione non ve-niva accolta, i Dodici dovevano scuotere lapolvere di sotto ai piedi (cfr Nm 5,17): quelluogo è paragonabile a un territorio paganoe Dio nel giorno del giudizio ne terrà conto.

3. La prima lettura, Am 7,12-15, riporta leparole del profeta Amos ad Amasia,(sommo) sacerdote di Betel e legato al po-tere regio. Amos confessa di non essere un“esperto di profezia” (nabì - profeta) e nem-meno uno che si prepara ad essere esperto(ben nabì - figlio di profeta). Egli era un uomocome tanti. Dio lo ha chiamato, sottraen-dolo alle sue mandrie e alle sue piantagioni.Non ha bisogno del cibo del re per vivere.La missione del profeta come la missionedell’apostolo non rientra negli schemi che ilpotere umano può gestire. Il salmo responsoriale, Sal 84,9abc-10; 11-12; 13-14, collocandosi in bocca all’assem-blea celebrante, esprime l’atteggiamento dicoloro che sono destinatari della missionedei Dodici. Viene ricordato, infatti, l’atteg-giamento di accoglienza con cui è stataascoltata la predicazione: l’ “ascolto” (v. 9)e il “timore” di Dio (v. 10). Su questa stessalinea di preghiera si trova la Colletta gene-rale. Nell’amplificazione dell’invocazione siritrova l’atteggiamento di coloro che accol-gono l’apostolo (“mostri agli erranti la lucedella tua verità”) e sono disposti a conver-tirsi (“possano ritornare sulla retta via”). LaColletta particolare evidenzia il tema dellachiamata-missione. In modo particolare iltema emerge nel secondo fine della peti-zione: gli oranti chiedono lo Spirito per an-nunciare ai fratelli il mistero di Cristo “conla fede e con le opere”.

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4. Con oggi inizia la lettura semicontinuadella lettera agli Efesini. Il testo di Ef 1,3-14 (per la lettura breve Ef 1,3-10) presentail grande cantico di lode, vicino per tantiaspetti alle Hodayot di Qumran. Il tema cen-trale è il piano salvifico di quel Dio che nonviene più visto come il “Dio di Abramo,Isacco e Giacobbe”, ma come il “Dio e

Padre del nostro Signore Gesù Cristo”.Gesù, capo dei credenti, è già in cielo, liprecede e, in un certo modo - a causa delbattesimo che rende i credenti una solacosa con il Cristo risorto - li riassume in sé.La speranza dei credenti, perciò, diventacertezza nell’attesa.

XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – B22 luglio 2012

Ger 23,1-6Sal 22.R./ Il Signore è il mio pastore: nonmanco di nullaEf 2,13-18Mc 6,30-34

1. Dopo l’invio in missione, il ritorno e il ri-poso (Mc 6,30-34). I discepoli danno rela-zione a Gesù di ciò che hanno fatto einsegnato. In Marco il verbo “insegnare (ingreco didàsko) viene normalmente adope-rato per indicare l’insegnamento impartitoda Gesù. Ciò che hanno insegnato i Dodici,dunque, non è altro che il prolungamentodi quanto fatto dal Maestro. C’è, inoltre, danotare come Marco, in questo caso e soloin questo, chiami i Dodici con il nome di“Apostoli” (apòstoloi = mandati). L’insiemedei due dati filologici è interessante: i pre-dicatori del vangelo sono tali “solo e unica-mente” quando sono dei “mandati” (nonagiscono, dunque, per iniziativa propria) ri-

prendono l’insegnamento di Gesù (e non ilproprio) e riproponendolo fedelmente Gesùha un’attenzione particolare per i suoi di-scepoli, appena ritornati dalla loro primamissione in Mc 6,31 Gesù dice loro: «Ve-nite in disparte, in un luogo solitario, e ri-posatevi un po’». Anche nei confronti dellafolla senza guida Gesù manifesta atten-zione (“si commosse”). Il Maestro, dunque,si manifesta attento sia verso quelli che glisono vicini (discepoli) sia verso quelle per-sone anonime che costituiscono la folla.Gesù non è corto o settario di vedute. E’persona attenta verso tutti. Egli incarnal’attenzione di Dio verso i membri del suopopolo affinché non debbano più temerené sgomentarsi (cfr Ger 23,4).

2. Il testo biblico liturgico di Mc 6,30-34 èun testo composito. Il brano di Mc 6,30-31presenta un breve riassunto del ritorno deidiscepoli dalla missione affidata loro daGesù, mentre il brano di Mc 6,32-34 è l’in-

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troduzione del racconto della moltiplica-zione dei pani (Mc 6,32-44). La Liturgia,associando i due testi (Mc 6,30-34), ottieneun brano esegeticamente discutibile, mamolto ricco sotto il profilo tematico-teolo-gico. Il testo evidenzia il tema dell’atten-zione e della preoccupazione di Dio perl’umanità. Il testo biblico liturgico è statoarricchito dell’introduzione classica “Inquel tempo” e, nella sua fisionomia attuale,si può suddividere in tre parti: il ritorno deiDodici (v. 30), il riposo con Gesù (vv. 31-33)e la compassione di Gesù per la folla (v. 34).All’evangelista basta un solo versetto (Mc6,30) per sintetizzare la missione compiutadai Dodici: “Gli riferirono tutto quello cheavevano fatto e insegnato”. Segue l’invitoal riposo (anapàusasthe = riposatevi). Si trattadella stessa terminologia adoperata dal Sal23,1-2: “Il Signore è il mio pastore: nonmanco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa ripo-

sare, ad acque tranquille mi conduce”. E’interessante la motivazione di tale invito alriposo: non potevano più nemmeno man-giare. Ad un attento esame del testo si puònotare come l’evangelista Marco abbia vo-luto presentare Gesù come il divino pastoreche si prende cura della sue pecore per lequali sta per preparare una mensa nuova(cfr la moltiplicazione dei pani di Mc 6,33-44). L’invito al riposo proietta su Gesù l’im-magine del pastore. C’è un secondo dato eriguarda l’espressione “Venite in disparte,voi soli, in un luogo deserto”. Anche Gesù,dopo la sua prima giornata di predicazione,si ritirò “in un luogo deserto” (Mc 1,35). IlMaestro intende aiutare i suoi discepoli apercorrere le sue stesse tappe. C’è da no-tare una similitudine interessante: come

Gesù non ha potuto stare in pace nel luogodeserto (Mc 1,36), così adesso anche i Do-dici con Gesù non possono riposarsi perchéla folla li segue (Mc 6,33-34). Gli apostoli,dunque, stanno vivendo le stesse esperienzedel Maestro. Essere discepoli non è soloimitare il Maestro, ma anche condividerecon il Maestro ciò che Egli ha vissuto.Il riposo che Gesù promette è alquantostrano. Giunti a riva vennero circondatidalla folla che li aveva preceduti. Seguonol’insegnamento di Gesù e il miracolo dellamoltiplicazione dei pani. E il riposo? Ap-parentemente non c’è. Di fatto, l’unico mo-mento di riposo è stato quello dellatraversata. È stato il momento in cui i Do-dici sono rimasti soli con Gesù. Il riposodell’apostolo - sembra suggerire Marco - èstare “con Lui”.Quando la gente chiede, la risposta è l’at-teggiamento di servizio. La commozionemessianica di Gesù ne è la prova. La simi-litudine (“pecore senza pastore”) viene daNm 27,17 e Ez 34,5. In tutt’e due i testi ve-terotestamentari si narra la premura divinaper il suo popolo. In Numeri, al posto diMosé, viene designato Giosué come nuovaguida perché gli Ebrei non siano “come pe-core che non hanno pastore”. In Ezechieleè chiara l’allusione a Dio Pastore del suopopolo. Gli Ebrei, infatti, sono abbando-nati dai pastori terreni e si comportanocome un gregge di pecore sbandate. Gesù,dunque, sarebbe colui che si prende la veracura del gregge di Dio perché egli stesso èil pastore divino che conduce le sue pecore.

3. Il testo della seconda lettura, Ger 23,1-6, esprime la condanna divina verso i pa-

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stori, ovvero i sovrani del popolo di Dio. Ipastori-re non hanno cura d’Israele. Dio,perciò, si assume il compito di guidare ilsuo popolo e promette un vero re-pastore.Si tratta di un discendente (“germoglio”) le-gittimo di Davide. Amministrerà la giusti-zia (ebr. sedaqah) e il diritto e si chiamerà“Yahweh nostra giustizia” (Yahweh sidqenu).L’allusione, in negativo, a Sedecia (Sidqi -

yahu = il Signore mia giustizia”), sovranofallimentare, è evidente. La salvezza, dun-que, viene da Dio e da colui che egli invieràcome “il pastore di Dio”. Il salmo responsoriale, Sal 22,1-23a; 3b-4;5; 6, nella sua prima parte ha come prota-gonista Dio-pastore e quanto descritto al-lude all’esperienza dell’esodo. Nellaseconda parte ha come protagonista Dio-ospite e c’è un’eco della presa di possessodella terra.La Colletta generale spinge l’assemblea ad

aprirsi ai “tesori della grazia” di Dio. Que-sti tesori, alla luce del contesto liturgicodella celebrazione odierna, possono essereidentificati come gli insegnamenti di Gesù.La petizione della Colletta particolarechiede che l’assemblea celebrante “gusti”attraverso l’esperienza delle due mense(“parola” e “pane”) la presenza di Gesùche, come “profeta” e “pastore”, adempieper i credenti quanto descritto nel Sal23(22): guida il suo gregge alle sorgentidella gioia eterna.

4. La seconda lettura continua la lectio semi-

continua della lettera agli Efesini. Il testo diEf 2,13-18 illustra l’azione redentiva diGesù: egli ha abbattuto l’inimicizia traEbrei e pagani. Ha, pure, abbattuto laTorah, letta come pura norma. Pagani edebrei, diventati cristiani, costituiscono ununico tempio di Dio.

XVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – B29 luglio 2012

2Re 4,42-44Sal 144.R./ Apri la tua mano, Signore, e saziaogni viventeEf 4,1-6Gv 6,1-15

1. Per alcune domeniche, esattamentecinque, la Liturgia proclamerà le peri-copi che compongono il capitolo sesto

del vangelo di Giovanni. Si tratta di quelcapitolo che l’evangelista dedica inmodo preminente all’Eucaristia. I testodel quarto evangelista sostituisce il rac-conto parallelo di Marco (Mc 6,33-44),dove viene narrata la moltiplicazione deipani e dei pesci. In qualche modo, dun-que, Gv 6 si innesta nella lettura semi-continua di Marco. Il secondo vangeloverrà ripreso dalla Liturgia nella venti-

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duesima domenica con il testo di Mc 7,che segue il racconto della seconda mol-tiplicazione dei pani.In Gv 6 l’intervento di Gesù prende lemosse dalla fame dell’uomo, da quella fi-sica a quella spirituale. Il pane del mira-colo, infatti, contiene in sé una ricchezzache va oltre la sola capacità di saziare fi-sicamente. È il pane della vita. Questaricchezza di fede è già adombrata neipani di Eliseo (prima lettura, 2 Re 4,42-44): essi sono la risposta alla fame dellagente e l’adempimento della promessadella Parola di Dio.

2. Il testo biblico di Gv 6,1-15 inizia così:“Dopo questi fatti, Gesù passò all’altrariva…”. La Liturgia taglia l’espressioneiniziale e la sostituisce con l’incipit clas-sico “In quel tempo”. L’espressione ta-gliata non dovrebbe essere una granperdita perché gli studiosi affermano cheè una indicazione generica di tempo enon ha nessun riferimento preciso. Loscrittore sacro la adopera semplicementeper aprire una nuova unità letteraria.Anche se a una prima lettura il testosembra omogeneo, di fatto il testo si ar-ticola in sei unità. Si può notare l’intro-duzione narrativa (vv. 1-4), la prova diFilippo (vv. 5-7), il dialogo con Andrea(vv.8-10), il miracolo (v.11), la raccoltadegli avanzi (vv.12-13), il rifiuto della re-galità umana (vv. 14-15). Il miracolo, chenel racconto occupa un solo versetto, vacompreso alla luce di tutto ciò che sta at-torno.Gesù “salì sul monte”. E’ il gesto diMosè. Egli non intende porsi come mae-

stro (cfr Gesù sale sul monte per il di-scorso della montagna: Mt 5,1) o bene-fattore (cfr Gesù sale sul monte percompiere guarigioni: Mt 15,29). Egli salesul monte per porsi come Guida del po-polo verso una nuova Pasqua (“Era vi-cina la Pasqua, la festa dei Giudei”). Difronte alla situazione della folla, Filippoè sottoposto da Gesù alla prova dell’au-tosufficienza e purtroppo non sa uscirne:propone una soluzione impossibile e in-soddisfacente. L’intervento di Andrea èpiù costruttivo di quello di Filippo, mala conclusione pratica è la stessa. Ciò in-duce l’ascoltatore a focalizzare la sua at-tenzione su Gesù. I cinque pani d’orzo ei due pesci secchi sono il cibo dei poverie richiamano il miracolo che Eliseo fececon 20 pani d’orzo per nutrire cento al-lievi profeti (2 Re 4,42-44). La povertàche è capace di condividere, in mano aDio diventa abbondanza per tutti: nelmiracolo di Eliseo e in quello di Gesù ilpane condiviso sazia tutti e ne avanza. Gesù “prende i pani”, “rende grazie” e“distribuisce”. Il miracolo - che alludeall’Eucaristia - è compiuto. L’evangelistadescrive Gesù come unico protagonistadel miracolo e della distribuzione succes-siva. Cristo è l’unico dispensatore di ognigrazia, di ogni messaggio divino e, in-fine, di se stesso (in Gv 6,27.51-52 Gesùinsisterà che “egli darà” il pane della vitae quel pane è la sua carne).Il comando di raccogliere i pezzi avan-zati “perché nulla vada perduto” po-trebbe alludere alla cura che Gesù haperché nessuno di coloro che il Padre gliha dato vada perduto (cfr Gv 6,39: “E

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questa è la volontà di colui che mi hamandato: che io non perda nulla diquanto egli mi ha dato, ma che lo risu-sciti nell’ultimo giorno”). La cura diGesù per l’uomo è la cura della Chiesaverso l’Eucaristia.È difficile capire come la stessa folla chevuole, in seguito al segno del pane, costi-tuire re il “profeta” Gesù, sia la stessache vuole, il giorno dopo, un segno percredere in Gesù (Gv 6,30). Comunquesia, ciò che la folla vuole non collima conle intenzioni di Gesù. Il regno di Gesùnon è di questo mondo. Gesù, perciò, siritira sul monte “lui da solo”: non è statocapito, né lui né la sua opera. È la soli-tudine che equivale all’essere insiemecon il Padre (cfr Gv 8,16; 16,32).

3. La prima lettura, 2Re 4,42-44, narrail miracolo della moltiplicazione delpane compiuto dal profeta Eliseo. Ilpane del racconto profetico è d’orzo,come i pani del vangelo. Le stesse diffi-coltà poste dai discepoli a Gesù vengonoposte al profeta (2Re 4,43: “Come possomettere questo davanti a cento per-sone?”). Il prodotto del miracolo profe-tico è sovrabbondante (2 Re 4,44: “neavanzò”) come quello del miracolo diGesù. La Liturgia vede chiaramente nelmiracolo di Eliseo un anticipo profeticodi ciò che farà Gesù.Il versetto del salmo responsoriale, Sal144,10-11; 15-16; 17-18, è vicino allaprima lettura: Dio dona il cibo a coloroche sono in attesa. Dio sazia ogni vi-vente. Il dono divino del cibo è solo unsegno che manifesta come Dio provveda

(= “giusto è il Signore”) con la sua vici-nanza nei confronti di chi lo invoca “consincerità”.La petizione della Colletta generale evi-denzia il tema dei doni di Dio attraversol’espressione “effondi su di noi la tua mi-sericordia”, mentre il fine della petizioneinvita a valorizzare le realtà di questomondo dando loro un significato cheaiuti i credenti nella ricerca “dei benieterni”.

4. La seconda lettura, Ef 4,1-6, esige dalcristiano un comportamento coerentecon la fede e, quindi, degno della propriavocazione (Ef 4,1). Se uno solo è ilCorpo di Cristo (la Chiesa), se uno soloè lo Spirito che anima la Chiesa, allorauna sola è la sicura speranza dell’ereditàdel credente. Se unica è la fede, dono diDio, attraverso la quale si fa parte del-l’unico Corpo, se unico è il Battesimo incui abbiamo ricevuto il sigillo dello Spi-rito, se uno solo è Dio che è Padre, di-venta semplice accogliere il fatto che unosolo sia il Kyrios che ha l’ultima parolasu tutto ciò che il credente è e fa. Sitratta di una delle pagine più dense cheil Nuovo Testamento ha sul tema del-l’unità.

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Per comprendere la Scrittura

uesta seconda parte dellostudio sulla tradizione e il si-gnificato della Pasqua1 è illu-

minata dalla solenne affermazioneche Paolo rivolge alla comunità diCorinto (1 Cor 5,6b-8):

Non sapete che un po’ di lievitofa fermentare tutta la pasta? To-gliete via il lievito vecchio, peressere pasta nuova, poiché sieteazzimi. Infatti Cristo, nostra Pa-squa, è stato immolato! Cele-briamo dunque la festa non conil lievito vecchio, né con lievito dimalizia e di perversità, ma conazzimi di sincerità e di verità.

Il messaggio di questi versetti costi-tuisce la conclusione di un inter-vento energico con cui l’Apostoloannuncia la sua decisione, presa “conil potere del Signore nostro Gesù”. Sitratta dell’espulsione, dalla comunitàecclesiale, di un cristiano di Corinto,colpevole di una relazione ince-stuosa con la propria matrigna2.L’Apostolo giustifica questo provve-dimento con una domanda retorica(“non sapete che…?”) con la quale

introduce la sentenza: “un po’ di lie-vito fa fermentare tutta la pasta”.Questo detto si presenta come unproverbio (mashal) popolare il cui va-lore argomentativo ha un’evidenzaempirica incontestabile. Al tempostesso, il motivo del lievito consentea Paolo di richiamare la festa degliAzzimi, nella quale era richiesta l’eli-minazione di ogni lievito. Proprioquesto richiamo alla festa degli Az-zimi e, conseguentemente, anchealla Pasqua sta alla base della riccainterpretazione “cristologica” conte-nuta nei nostri versetti.

1. Un esempio di ermeneuticacristiana

Il testo di 1 Cor 5,6b-8 è un esempioevidente che non è possibile com-prendere le pagine del NT se non siha una conoscenza adeguata dellaTorah, dei Profeti e degli altri Scritti,in una parola se non ci si muove allaluce di quell’insieme di testi che perle prime comunità cristiane hannocostituito le “Sante Scritture”. Effetti-vamente la solenne affermazione diPaolo ci permette di constatare l’im-

Q

“Cristo, nostra Pasqua,è stato immolato”

(1 Cor 5,7)

p. Giovanni Odasso, crs

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portanza delle conoscenze dellaPasqua che sono state delineatenella prima parte del nostro stu-

dio.La connessione della Pasqua con lafesta degli Azzimi, che il testo pao-lino suppone, testimonia che la lorounione, real izzata in for za del lariforma di Giosia (640-609 a.C.), è di-ventata ormai un elemento perma-nente della tradizione di Israele. Altempo stesso il carattere proprio chefin dalle loro origini ha contraddi-stinto le due celebrazioni, appareevidente sia dalla riflessione del-l’Apostolo sul significato simbolicodegli Azzimi, sia dalla sua presenta-zione del Cristo risorto come il com-pimento della Pasqua.La festa degli Azzimi, che si celebravaa primavera, in occasione della mie-titura dell’orzo, richiedeva che si evi-tasse ogni forma di lievito per unperiodo di sette giorni, ossia fino allaformazione del nuovo lievito (cf. Es23,15). Il valore profondo di questatradizione arcaica è che l’uomo hasempre davanti a sé la possibilità diuna vita nuova e quindi porta in sé lasperanza di un’esistenza che, proprionel rinnovamento, ritrova la fre-schezza della sua autenticità e labellezza della sua significanza. L’Apo-stolo si connette a questo valoredegli Azzimi, quando scrive che il cri-stiano deve vivere camminando nonsecondo il dinamismo del “vecchiolievito”, che è “il lievito della malizia edella perversità”, ma con gli “azzimi

della sincerità e della verità”. Anche l’espressione “togliete via ilvecchio lievito per essere pastanuova” (v. 7a) si richiama precisa-mente a questo ricco significato dellatradizione degli Azzimi. Al tempostesso, però, l’aggettivo “nuova” la-scia intuire che la “novità” alla qualePaolo si riferisce è quella determinatadalla risurrezione di Cristo e dallapartecipazione dei battezzati alla vitanuova del Risorto. In altri termini,l’esortazione dell’Apostolo si fondasulla consapevolezza che nel Signorerisorto si realizzano, in modo sommoe definitivo, i valori della Pasqua. Questa affermazione è confermatadal fatto che il testo di 1 Cor 5,6b-8 èesplicitamente connesso, a livellolessicale, con la pericope di Es 12,1-14. Una simile connessione è dataanzitutto dalla frase “Cristo, nostraPasqua, è stato immolato”. Essa, in-fatti, richiama l’espressione dellaScrittura nella quale si dichiara, conriferimento all’agnello pasquale, che“tutta l’assemblea della comunità diIsraele lo immolerà al tramonto” (Es12,6) e, inoltre, si precisa che esso “èla pasqua del Signore” (Es 12,11). L’af-fermazione paolina “Cristo, nostra Pa-squa, è stato immolato” supponequindi che Gesù risorto, in quantoMessia, è “il nostro Agnello pasquale”,la “nostra Pasqua”. Tutto orienta a ri-tenere che Paolo ha attinto questacomprensione “pasquale” della fedenel Risorto dalla tradizione delleprime comunità cristiane alla quale

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egli sovente si richiama proprio conla formula “non sapete che…?”3.

Il legame che pone l’affermazionedi 1 Cor 5,6b-8 in rapporto con Es 12è, inoltre, evidenziato dall’esorta-zione “celebriamo la festa” (eortáso-men) (v. 8a), nella quale s’incontraappunto lo stesso verbo greco checostituisce, nella versione della LXX,la solenne conclusione del rito pa-squale descritto in Es 12,1-14: “Que-sto giorno sarà per voi un memoriale;lo celebrerete (eortásete) come festadel Signore: di generazione in gene-razione lo celebrerete (eortásete)come rito perenne”.La connessione della Pasqua con gliAzzimi, presente nella pagina di Es12,1-14, che a sua volta supponequella di Dt 16,1-8, offre, dunque, unorientamento importante per com-prendere la solenne affermazionecontenuta in 1 Cor 5,6b-8. Al tempostesso però, come abbiamo visto, ilcardine dell’esortazione paolina è co-stituito dalla fede nel Signore risorto.Come spiegare la correlazione cheesiste tra la Pasqua e la fede nel Si-gnore risorto? Per rispondere a que-sta domanda è indispensabileesaminare lo sviluppo che la tradi-zione della Pasqua ha conosciutodopo la fase esilica, testimoniata inEs 12,1-14.

2. La tradizione della Pasqua nelperiodo del secondo Tempio

Come abbiamo visto nell’articoloprecedente, la Pasqua del periodo

dell’esilio, descritta in Es 12,1-14, si presenta con i valori dellacomunione di vita, della spe-ranza e del memoriale dell’esodo, va-lori che essa aveva acquisito nelcammino storico della propria tradi-zione. Il valore del sacrificio, che ca-ratterizza la Pasqua a partire dallariforma di Giosia, è invece assentedurante l’esilio perché, secondo la le -g i s l a z i o n e d e u te ro n o m i c a , i lculto sacrificale può essere celebratounicamente nel tempio di Gerusa-lemme. Con il ritorno dall’esilio e la ricostru-zione del tempio di Gerusalemme laPasqua assunse nuovamente il valoredi sacrificio. I calendari liturgici di Lv23,5-8 e Nm 28,16-25, che rispec-chiano l’epoca della redazione finaledella Torah, attestano che la Pasquarimane unita alla festa degli Azzimi econtinua ad essere “festa di pellegri-naggio”4. Da questi due calendari,inoltre, risulta che la Pasqua sta ac-quistando un rilievo particolare inquanto è presentata in modo indi-pendente dalla festa degli Azzimi,anche se è sempre celebrata nellaprima notte della settimana degli Az-zimi. L’importanza crescente della Pasqua,nella tradizione di Israele, appareparticolarmente nell’opera del Croni-sta e nel libro di Esdra. Il Cronista, chescrive sul finire del sec. IV a. C., narrala Pasqua del tempo di Ezechia ( 2 Cr30,15-20) con un chiaro intento di-dattico per il suo tempo5. Dopo aver

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affermato che i leviti “si occupa-vano dell’uccisione degli agnellipasquali per quanti non ave-

vano la purità richiesta per consa-crarli6 al Signore” l’Autore mette inbocca al re Ezechia la seguente pre-ghiera: «Il Signore, che è buono, per-doni chiunque abbia disposto ilproprio cuore a cercare Dio, ossia ilSignore, Dio dei suoi padri, anchesenza avere la purificazione necessa-ria per il santuario» (vv. 18-19). L’af-fermazione che “il Signore ascoltòEzechia e guarì7 il popolo” (v. 20) mo-stra che la celebrazione della Pasquaè messa direttamente in rapportocon l’impegno del popolo a “cercareil Signore”, ossia a orientare la propriavita al Signore vivendo nella fedeltàalle esigenze fondamentali dell’alle-anza8. Nello stesso orizzonte teologico simuove il libro di Esdra, che risentedella concezione del Cronista. Perl’autore di quest’opera fu proprio lacelebrazione della Pasqua a segnarela ripresa del culto nel tempio, rico-struito dopo l’esilio e consacrato nel515 (cf. Esd 6,19-22). Dopo aver spe-cificato che i sacerdoti e i leviti sierano purificati ed “erano tutti puri”9,il testo sottolinea che “immolarono lapasqua per tutti i rimpatriati, per iloro fratelli sacerdoti e per se stessi”(Esd 6,20). In questa breve descri-zione, insieme al motivo del sacrificioe della speranza, appare in primopiano il valore della comunione divita che unisce i partecipanti non

solo tra di loro, ma anzitutto con il Si-gnore, come è indicato dall’annota-zione “tutti erano puri”. Il nesso cheunisce la Pasqua all’autenticità dellafede, e quindi alla comunione con ilSignore, è ulteriormente sottolineatodall’osservazione che l’agnello pa-squale fu mangiato non solo dagliIsraeliti ritornati dall’esilio, ma ancheda “quanti si erano separati dalla con-taminazione del popolo del paese esi erano uniti a loro per cercare ilSignore, Dio di Israele” (Esd 6,21). Lacorrelazione della Pasqua conl’espressione “cercare il Signore”, equindi con l’esigenza del comanda-mento fondamentale, testimoniaeloquentemente che la sua celebra-zione è considerata non come un ritofolkloristico, ma come un segnodell’autenticità del popolo del Si-gnore che orienta la propria esi-stenza al suo Dio in modo totale,esclusivo e permanente.

3. Il “poema delle quattro notti”Il fatto che l’importanza teologicaandò crescendo nella vita di Israelericeve un’indubbia conferma dallaletteratura ebraica coeva al formarsidel Nuovo Testamento, e in partico-lare dalla tradizione targumica10.All’interno di quest’ultima, la testi-monianza più significativa della Pa-squa è contenuta nel cosiddetto“poema delle quattro notti”11. Sitratta di un’ampia parafrasi di Es12,4212, che merita di essere ripor-tata, a motivo della sua importanza:

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Notte predestinata e preparataper la redenzione nel Nome delSignore al tempo in cui feceuscire i figli d’Israele, redenti,dalla terra d’Egitto. In realtàquattro notti sono scritte nellibro dei Memoriali.La prima notte quando il Si-gnore si manifestò sul mondoper crearlo. Il mondo era desertoe vuoto e la tenebra si estendevasulla superficie dell’abisso, ma ilVerbo del Signore era luce e illu-minava. La chiamò notte prima.La seconda notte quando il Si-gnore si manifestò ad Abramoall’età di cent’anni mentre Sara,sua moglie, aveva novant’anni,per adempiere ciò che dice laScrittura: «Abramo genera al-l’età di cent’anni e Sara partori-sce all’età di novant’anni».Isacco aveva trentasette anniquando fu offerto sull’altare. Icieli si abbassarono e disceseroed Isacco ne contemplò le perfe-zioni e i suoi occhi rimasero ab-bagliati per le loro perfezioni. Lachiamò notte seconda.La terza notte quando il Signoresi manifestò contro gli Egizianidurante la notte. La sua manouccideva i primogeniti d’Egitto ela sua destra proteggeva i pri-mogeniti d’Israele per adem-piere ciò che dice la Scrittura:«Israele è mio figlio primoge-nito». La chiamò notte terza.La quarta notte quando il

mondo raggiungerà il suotempo per essere redento. Lesbarre di ferro saranno spez-zate e le generazioni degli empisaranno distrutte. Mosè saliràdal deserto e il Re Messia dal-l’alto. L’uno guiderà alla testadel gregge, l’altro guiderà allatesta del gregge e il suo Verboguiderà in mezzo a loro due. Ioed essi guideremo come unosolo.è la notte della Pasqua nel Nomedel Signore. E’ la notte predesti-nata e stabilita per la redenzionedi tutti i figli d’Israele in ogni lorogenerazione.

La tradizione testimoniata da questotargum collega la notte della vegliapasquale con il ricordo di quattronotti: la notte della creazione, lanotte dell’apparizione del Signore adAbramo, che culmina con la contem-plazione delle perfezioni dei cieli cheIsacco sperimenta nel momentostesso della sua offerta sacrificale, lanotte della liberazione di Israeledall’Egitto, infine la notte della sal-vezza escatologica, quando la media-zione di Mosè e quella del Re Messiarealizzeranno pienamente la lorofunzione sotto la guida salvifica delVerbo del Signore13.

In definitiva questo targum sup-pone che la Pasqua è la meta versocui tende la creazione, costituisce ilsacrificio perfetto14, rinnova nell’esi-stenza storica del popolo del Signore

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il prodigio dell’esodo e tieneviva nel cuore del popolo l’at-tesa della salvezza escatolo-

gica15.

4. “Cristo nostra Pasqua”Il breve sguardo alla tradizione dellaPasqua e ai valori che con il tempohanno configurato la sua celebra-zione, permette di comprendere levirtualità racchiuse nell’affermazionepaolina “Cristo, nostra Pasqua, è statoimmolato”. La fede nel Cristo risorto,unita alla consapevolezza che in lui siè compiuto il disegno del Padre an-nunciato nelle Scritture, ha guidatole prime generazioni cristiane a com-prendere che in Gesù, risuscitato daimorti e costituito Signore e Messia(cf. At 2,36) si sono attuati in pie-nezza i valori propri della Pasqua.Effettivamente nel Cristo si realizza ilvalore della comunione con il Padre(cf. Gv 14,20), che a sua volta fonda larelazione di fraternità fra tutti coloroche formano la famiglia del Messia, lacomunità messianica, “cristiana” (Mt23,8-9). Il Cristo risorto è la fontedella speranza per tutti coloro che,partecipi della sua vita gloriosa, at-tendono il compimento della loropiena trasfigurazione nell’icona delKyrios (Rm 5,1-5) Il Risorto, eterna-mente presente davanti al Padre, è ilmemoriale perenne di quell’esodoche Dio ha realizzato con la risurre-zione del Figlio e che realizza costan-temente nei credenti, rendendolisempre più partecipi della vita del Ri-

sorto (cf. Eb 7,25). Infine, nel Cristo, lacui morte segna il suo esodo da que-sto mondo alla gloria del Padre, sirealizza pienamente il significato delsacrificio che, secondo le Scritture,esprime appunto la condizione del-l’assemblea del popolo del Signoreche è innalzata alla comunione con ilSignore e quindi è resa partecipedella vita divina (cf. Eb 10,1-10).Se si tiene presente che i valori dellacomunione di vita e della speranzanon sono sorti nella tradizione diIsraele, ma sono già riscontrabilinella fase preisraelitica del rito pa-squale, allora una conseguenza si im-pone. Nel Cristo risorto trovanocompimento non solo le promessecustodite dalla fede del popolo delSignore, ma anche i valori autenticipresenti e operanti nei vari popoli enelle loro diverse culture. In questaprospettiva la confessione “Cristo no-stra Pasqua” rende i discepoli del Ri-sorto non solo consapevoli dellapropria salvezza “in Cristo Gesù”, maanche profeticamente attenti al cam-mino dell’umanità, un cammino che,in definitiva, trova il suo compimentonel Cristo risorto. In altri termini, laPasqua del Signore è la “nostra Pa-squa” e diventerà, se non in questomondo certamente in quello futuro(cf. Rm 2,6-11), la Pasqua dell’uma-nità redenta.

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Animazione Liturgica

69

Culmine e Fonte 3-2012

Per comprendere la Scrittura

1 Per la prima parte di questo studio cf. Culmine e Fonte 19 (2012/2), pp. 58-64.2 Paolo configura l’azione di colui che conviveva “con la moglie di suo padre” come “una immoralità (por-

neia) tale che non si riscontra nemmeno tra le genti” (1 Cor 5,1). Effettivamente le relazioni incestuose,condannate dalla Scrittura (cvf. Lv 18,8) e dall’insegnamento rabbinico (Sanhedrin VII,4), erano vietateanche dal diritto romano.

3 Cf., oltre il nostro testo, i seguenti passi: Rm 6,16; 1 Cor 3,6; 6,2.3.9.15.16.19; 9,13. Da questa stessa tra-dizione protocristiana deriva anche la dichiarazione che il quarto Vangelo mette sulle labbra di GiovanniBattista: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29).

4 Come si ricava da Dt 16,1-18, la Pasqua divenne festa di pellegrinaggio quando, con la riforma giosianadella centralizzazione del culto, fu unita alla festa degli Azzimi.

5L’affermazione che “la maggioranza della gente, fra cui molti provenienti da Efraim, da Manasse, da Is-sacar e da Zabulon, non si era purificata” e mangiarono ugualmente la Pasqua riflette i problemi chepotevano presentarsi all’epoca del Cronista, quando era pienamente in vigore la Torah, e quindi era ri-chiesta l’attuazione delle sue norme circa la purificazione.

6 Questo verbo è una chiara testimonianza del valore sacrificale della Pasqua.7 Il verbo “guarire” appartiene al vocabolario proprio della profezia escatologica per indicare la salvezza

definitiva del tempo in cui si compiranno pienamente le promesse del Signore.8 L’espressione “cercare il Signore” rappresenta la formulazione del comandamento fondamentale al-

l’epoca del Cronista. Per il significato del comandamento fondamentale cf. il nostro articolo “Che cosati chiede il Signore, tuo Dio?”, in Culmine e Fonte 19 (2012/1) 60-61. Per l’indicazione cronologica dellevarie formulazioni del comandamento fondamentale cf., nello stesso articolo, la nota 18 a p. 63.

9 Il termine “puro” usato in senso cultuale indica la condizione di chi può partecipare al culto; adoperatoin senso simbolico-teologico connota la condizione di chi vive nella comunione con il Signore. In questotesto l’accento cade sull’aspetto teologico (come risulta dall’espressione “cercare il Signore”).

10 Con il termine “targum” si indica la traduzione della Bibbia ebraica in aramaico, traduzione che in alcuniversetti può apportare delle varianti o delle aggiunte interpretative più o meno ampie. Per una presen-tazione generale della letteratura targumica cf. G. Odasso, “Le Scritture nei Targumim”, in Ricerche StoricoBibliche 29,2 (2007) 83-103.

11 Rimane classico, su questo testo, lo studio di R. Le Déaut, La nuit pascale (Analecta Biblica 42), Roma1963.

12 Il testo di Es 12,42 recita: “Notte di veglia fu per il Signore, quando li fece uscire dalla terra d’Egitto; que-sta sarà notte di veglia in onore del Signore per tutti i figli d’Israele nelle loro generazioni”.

13 Le letture previste per la veglia pasquale (Gen 1; 22; Es 14 e quindi i brani escatologici di Is 54,5-14;55,1-11; Bar 3,9-4,4 ed Ez 36,16-28) lasciano intravedere un influsso della tradizione rappresentata daquesto targum nella liturgia del nostro rito latino.

14 Il sacrificio perfetto, nella prospettiva di Gen 22 e di questo targum, si compie con l’ascolto della vocedel Signore e l’offrire di se stessi nell’adempimento della sua volontà (cf., per il NT, Rm 12,1-2).

15 A questo riguardo è ancora possibile osservare che il motivo della speranza, caratteristico della Pasqua,quando questa si unì alla festa degli Azzimi, si caratterizzò sempre più come attesa della vita nuova equindi come attesa di quel nuovo che la profezia escatologica andò delineando come “nuovo esodo”(Is 43,16-219, “nuova alleanza” (Ger 31,31-34), dono di un “cuore nuovo” e dello Spirito stesso del Signore(Ez 36,24-28), “alleanza eterna” (Ger 32,36-41), “alleanza di pace” (Is 54,4-10). Con il sorgere e lo svilupparsidella fede nella risurrezione l’attesa del nuovo divenne attesa della “nuova creazione”, attesa del “mondoche deve venire”, ossia del mondo della risurrezione, quando si “rivelerà di nuovo il paradiso delle delizie”(IV Esd 13,26). Poiché la venuta del Messia, secondo una grande corrente del giudaismo, era assegnataalla data della Pasqua, si pensò che il mondo della nuova creazione avrebbe avuto inizio nella ricorrenzadel 15 Nisan, nel momento in cui la liturgia celebrava la memoria delle meraviglie salvifiche del Signore.

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Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 3-2012 Pregar cantando

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��Solo

Organo

� � � � �Be a to/il

Fa

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� � � � � � �po po lo, scel to dal Si

Do Sol- Do

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� � �gno re.

Re- Sol- Fa

� � � �� � � �� � �� � � �

- - - - - - -

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sol

Org.

4

� � ��Retta/è/la/ParolaDalla/parola/del/Signore/furonoEcco/l'occhio/del/Signore/è/suL'anima/nostra/attende

del/Sifatti/ichi/loil/Si

gnore,cieli,teme,gnore,

Fa Do Re-

4

� � ���� �

� � ��� � �

� � � ��e/fedele/ognidal/soffio/della/sua/bocca/ognisu/chi/spera/nelegli/é/nostro/aiuto/e

sulo

suono

aroA

stro

opera,schiera,more,scudo,

La- Sol- Do

�� � �� � ��� � �

- --

-- -

��

����

��sol

Org.

6 � � ��Egli/ama/la/giustiziaperchè/Egli/parlò/e/tuttoper/liberarlosu/di/noi/sia/il/tuo/Amo

e/il/difu/credallare/Si

ritto,ato,

morte,gnore,

Sol- La Re-

6 � � ��� � �� ���� �

� � � �dell'amore/del/Signore/è/piecomandò/e/tuttoe/nutrirlo/in/temcome/da/te

nafuponoi

lacomdi

spe

ter.piufaria

Sib Re-

� � � �� � � ��� � ��� �

� � � � �ra.to.me.mo.

Be a to/il

Do

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- - - - -- - -

- -- - - -

SS.ma Trinità - B

G.Proietti

©

(dal Salmo 32)

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Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 3-2012Pregar cantando

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Solo

Organo

� � � �Al ze

Re-

��� � � � �

� � � � � �rò il ca li ce

Sib Do

� � � �� � � � � � �� �

� � � � � �del la sal vez za

Fa La-

� � � � � � � � � �� � � � �� � � � �

� � � � � �e/in vo che rò il

Fa/Re- Sib Fa

� � � � �� � �� � � � � �� � � � �

- - - - - - - - - -

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sol

Org.

5 � � � � � �no me del Si gno

Sol- Re- Sol-

5 � � � � � �� � � � � � � � �

re.

La4/La

� � �

� � ��Che/cosa/renderòAgli/occhi/del/SignoreA/te/offrirò/un/sacrificio/di/rin

alè/pregra

Siziozia

gnore,sa,

mento,

Re- Do

� � ��� �

� � ��� �

� � ��per/tutti/i/beneficila/morte/deie/invocherò/il/nome

chesuoi/fe

del

mi/hadeSi

fatto,li,

gnore,

Sib Sol- La

� � ��� ��

� � ��� � �

- - --- - - -

- - - -

��

sol

Org.

9

� ��alzerò/il/caliceio/sono/tuo/servo/figlio/dellaadempirò/i/miei/voti

della/saltua

al/Si

vezza,schiava,gnore.

Fa Do Fa

9

� �� � ��� � � �

� �e/invocherò/il/nometu/hai/spezzato/ledavanti/a/tutto/il

del/Simie/ca

suo

Sol-

� � � � � �� � � � �

� �gnotepo po

Re- Sib7+

� � �� �

� � �re.ne.lo.

Al ze

La4/La Re-

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- - - -- -

- - -

SS.mo Corpo e Sangue di Cristo - BG.Proietti

©

(dal Salmo 115)

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Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 3-2012 Pregar cantando

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��Solo

Organo

�Do

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� At tin ge re mo con

Fa Do

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� �gio ia,

Sol

� �

� al le sor gen ti,

Re- La-

� � �

del la sal vez

Re- Sol Re-

- - - - - - - - - - -

��

sol

Org.

6 za!

Sol

6

� �Ecco/Dio/è/laAttingerete/acqua/con/gioia/alle/sorgenti/delCantate/inni/al/Signore/perchè/ha/fatto/co

mialase

salsalec

vezza,vezza,celse,

DoFa

� ��

�� �

� �io/avrò/fiducia/non/a

rendete/grazie/al/Signore/e/invocate/ille/conosca/tut

vròsuta

tiola

more,nome,terra,

Mi- DoSol

� �� �

- - -- - -

- - -

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��

��

��sol

Org.

9

canta/ed/esulta/tu/cheproclamate/fra/i/popoperchè/mia/forza/e/mio/

ali

can

bileto

tisuè/il

ineSi

Sion,opere,gnore,

Re- Do Sol

9

�� � ��

� Egli/è/stato/la

fate/ricordare/che/il/suo/nomeperchè/grande/in/mezzo/a/te/è/il/Santo

miaè

d'I

salsusra

vezza.blime.

ele.

Fa Re- Sol

� � ��� �

--

- -- -- -

- -

Sacratissimo Cuore - B

G.Proietti

©

(Is 12,2-6)

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Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 3-2012Pregar cantando

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Solo

Organo

� � � E'

Do Fa

� �� � �� � �

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bel lo ren de re

Do

� � �

� gra zie al Si

Fa Re-

� � � �

� �gno

Fa9

� �� �� �

� re.

Do

� � � �

- - - - - -

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sol

Org.

6

E'/bello/rendere/grazieIl/giusto/fioriràNella/vecchiaia/daranno/an

al/Sicomecora

gnore,palma,frutti,

Do Fa Sol

6

� ��

� �e/cantare/al/tuo/nomecrescerà/comesaranno/verdi/e

ocedro

ri

Aldelgo

tissimo,Libano;gliosi,

Mi- Re Sol

� �

- -

- - -

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��sol

Org.

8 annuciare/al/mattino/ilpiantati/nella/casaper/annunciare/quanto/è/retto

tuo/adel/Siil/Si

more,gnore,gnore,

La- Fa Do

8

��

� la/tua/fedeltà/lunfioriranno/negli/atri/delmia/roccia:in/Lu

gonoi

lastronon

Re- Mi-/Mi

� � � � �

notDic'è mal va gi

La- FA7+

� � te.o.tà.

E'

Sol4/Sol Fa

� � �� � �

- - -- - -- - - - -

XI Domenica Tempo ordinario - B

G.Proietti

©

(dal Salmo 91)

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��Solo

Organo

�Mi-

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�La- Mi-

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�La-

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� � �Dal

Si-4/Si-

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grem bo di mia ma dre sei

Do Sol

- -

sol

Org.

6 tu il mio so ste

La- Si- Do/La-

6

�gno.

Mi-

����

� �In/te/Signore/mi/sono/rifuSii/tu/la/mia/roccia,/una/dimora/sempre/accesSei/tu/mio/Signore/la/mia/speLa/mia/bocca/racconterà/la/tua/giu

giato,sibile,ranza,stizia,

Mi- La-6

� ��

� ��

�mai/sahai/deciso/dila/mia/fiducia/Signore/fin/dallaogni/giorno/la

rò/dedarmi/salmia/giovi

tua/sal

luso,vezza:nezza,vezza.

Mi- Re Sol

� �

- - - - -- -

- -- -

��

��

��

��sol

Org.

10 � �per/la/tua/giustizia/liberami/e/didavvero/mia/rupe/e/mia/fortezza/tusu/di/te/mi/appoggiai/fin/dal/grembo/maFin/dalla/giovinezza/o/Dio/mi/hai/istru

fendimi,sei!

terno,ito,

Si- Mi-

10 � � �

tendi/a/me/il/tuo/oMio/Dio/liberami/dalle/manidal/seno/di/mia/madre/seie/oggi/ancora/proclamo/le

recdeltu/iltue

chiomal

miome

e

sora

La Do

�� �

�salva

vastevi

mi.gio.gno.glie.

Dal

Si- Mi-

- - - -- -

- - -- - - -

Natività S.Giovanni Battista - BG.Proietti

©

Messa Vespertina della Vigilia (dal Sal. 70)

Pregar cantandoCulmine e Fonte 3-2012

Animazione Liturgica

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��Voce

Organo

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� � � � ��� � � � � �

� � � � � � �Io ti rendo gea zie hai

Fa Do

� � � � � � �� � � � � � �

� � � � � � �fat to di me/una mera

La- Sib Do

� � � � � � � �� � � �� �� � �

� � � � �vi glia stupen

Re- Do4/Do Fa

� � � � �� � � � �

da.

- - - - - - - - -

��

�Org.

6

� �Signore/tu/mi/scruti/e/mi/conosci/tu/conosci/quando/mi/siedo/eSei/tu/che/hai/formato/iMeravigliose/sono/le/tue/opere/le/riconosce/pienamente

quando/mimiei

l'anima

alzo,reni,mia,

Fa Do Fa

6

� � � � � �

� � �intendi/da/lontano/i

e/mi/hai/tessuto/nel/gremdo/dinon/ti/erano/mnascoste/le

mieimimi

penae

sieri,madre,ossa,

La- Sol- Do

� � � � � � � � � �

--

-

��

����

��

Org.

8 � �osservi/il/mio/cammino/e/ilio/tiquando/venivo/formato

mio/rirendonel/se

poso,grazie,greto,

Sol- La Re-

8 � � �� � � � � �

� � �ti/sono/note/tutte/le

hai/fatto/di/me/una/meraviricamato/nelle/profondità

migliadel

estula

Sib7/Sib Re- Do

� � � � � �

vi

penter

e.da.ra.

� �

-

--

-

--

---

Natività S. Giovanni Battista - Messa del giornoG.Proietti(dal Salmo 138)

Pregar cantando Culmine e Fonte 3-2012

Animazione Liturgica

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��Voce

Organo

� � � Per

� � � ���

tut ta la terra si dif

Sib Do

� � � �

fon de il lo ro/an

Fa4/Fa Sol- Sib

� ��

� �nun cio.

Fa4/Fa

� �

�� I/cieli/narrano/la/gloria/diSenza/linguaggio/senza/pa

Dio,role,

Fa Do

�� �� ��

- - - - - - --

��

�Org.

6

�� l'opera/delle/sue/mani/annunzia/il/firmasenza/che/si/oda/la/loro

mento,voce,

Re- La-

6

�� �� ��

� il/giorno/al/giorno/ne/af

per/tutta/la/terra/si/diffonde/ilfida/il/rac

loro/anconto,

nuncio,

Sib La Re-

� � � �� �

- - --

��

����

��

Org.

8 � e/la/notte/alla/notte/ne/trae/ai/confini/del/mondo/il

smetlo

tero

nomes

Sol- Do

8

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� �ti

sag

Re- Do Fa

� �� �� �

�� � gio.zia. Per

- --

-- - - - -

- - - -

SS.Pietro e Paolo - VigiliaG.Proietti(dal Salmo 18)

Pregar cantandoCulmine e Fonte 3-2012

Animazione Liturgica

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��Voce

Organo

� � � �Il Si

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� � � � � �gno re mi ha li be

Sol Re Sol4/sol La- Re Do Sol

� � � � � � � � �

� � � � � �ra to da o gni pa

� � � � �� � � � � �

u ra.

� � �

- - - - - - - -

��

�Org.

5 � � �Benedirò/il/Signore/inMagnificate/con/meGuardate/a/Lui/e/sareL'Angelo/del/Signore

oiltesi

gniSiragac

tempo,gnore,gianti,campa,

Sol Re

5 � � ��� �� �

� � �sulla/mia/bocca/sempre/la

esaltiamo/insieme/ili/vostri/volti/non/dovranno

attorno/a/quelli/che/lo/temono

susuare

ao

rosli

lode,nome,sire,

salva,

Mi- Do

�� ��� �

-

----

--- -

��

�����

��

Org.

7

� � �io/mi/glorioho/cercato/il/Signore/miquesto/povero/grida/e/il/Signogustate/e/vedete/com'è/buono

nelhareil

Siri

lo/aSi

gnore,sposto,scolta,gnore,

Si- Mi-

7

� �� � � � �� �

� � �i/poveri/ascoltino/e

e/da/ogni/paura/mi/halo/salva/da/tutte/le

beato/l'uomo/che/in/lui

sili

suesi

ralbeanri

La- Si

� � � � � ��� � �� �

leragofu

gri

Do La- Re

� � �� �

� � �no.to.sce.gia.

Il Si

� � ����

-

----

-----

-- - -- - -- - -

-

SS.Pietro e Paolo - GiornoG.Proietti(dal Salmo 34)

Pregar cantando Culmine e Fonte 3-2012

Animazione Liturgica

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Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 3-2012 Pregar cantando

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Solo

Organo

� � � � �Ti/e sal te

Si- Sol

� �� � � �

�� �

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� � � � �rò Si gno re per

Mi- Sol La

� � � � �� � �� � � � �� � �

� � � � � �chè mi hai ri sol le

Fa#- Sol

� � � �� � � � � � �� � � � � � �� � �

� � �va to.

Re La4/La Re

� � �� � � �� � �� �

- - - - - - - -- - -

��

��

����

sol

Org.

5

� � � Cantate/inni/al/Signore/oAscolta/Signore/abbi/pie

Ti/esalterò/Signore/perchè/mi/hai/ri sollesuoi/fetà/di

vato,deli,me,

Si- Fa#-

5

� � � � �

� � � � �

� � � non/hai/permesso/ai/miei/nemici/di/gioiredella/sua/santità/celebrateSignore/vieni/in

su/diil/ri

mio/a

me,cordo,iuto,

Sol Re Mi-

� � � � � �� � � � � � � �

- -- -

- -

��

��

����

sol

Org.

7 � � �

Signore/hai/fatto/risalire/la/mia/vitaperchè/la/sua/collera/dura/un/istante/la/sua/bontà/perhai/mutato/il/mio/la

daglitutta/la

mento/in

inferi,vita,

danza,

La Fa# Si-

7 � � � � � � � � �� � � � �� �

� � �mi/hai/fatto/rivivere/prchè/non/scendessialla/sera/ospite/è/il/pianto/e/al/matiSignore/mio/Dio/ti/renderò/gra

nelnozie

lala

per

Sol6 La

� � �� � �� � �� �

--

- - - -

��

��

����

sol

Org.

9

� � � � �tomba.gioia.sempre!

Ti/e sal te

Re4/Re Si- Sol

9

� � � � �� � �� � �� �

- -

XIII Domenica Tempo Ordinario - BG.Proietti

©

(dal Salmo 29)

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Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 3-2012Pregar cantando

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��Solo

Organo

� � � � �I no stri

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�� � � � � �oc chi so no ri� �

�� � � � �� � �� � � �� � � � � �� �

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XIV Domenica Tempo Ordinario - B

G.Proietti

©

(dal Salmo 122)

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Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 3-2012 Pregar cantando

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nuncia/lacontre

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pace,ranno,bene,

Re- La-

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� � � per/il/suo/popolo/per/igiustizia/e/bace/sie/la/nostra/terra/darà/il

suoibasu

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deli,ranno,frutto,

Sol- Fa

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teme,terra,lui,

Sol- Fa Do

7

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noràil

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Re-

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XV Domenica Tempo Ordinario - B

G.Proietti

©

(dal Salmo 84)

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Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 3-2012Pregar cantando

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Do

7

� �Il/Signore/è/il/mio/pastore:nonMi/guida/per/il/giusto/cammino/a/motivo/delDavanti/a/me/tu/preSì,bontà/e/fedeltà/mi/sa

manco/disuo

pari/unaranno/com

nulla,nome.mensa,pagne,

Do Do7+

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� �su/pascoli/erbosi/miAnche/se/vado/per/una/valle/oscura/non/temosotto/gli/occhi/deitutti/i/giorni/della

fa/ripoalcun

miei/nemia

sare,male,mici.vita,

Mi-7 Re- Mi-

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sol

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10 � �ad/acque/tranquilleperchè/tuUngi/di/olio/ilabiterò/ancora/nella/caqsa

mi/consei/con

miodel/Si

duce,me.

capo;gnore,

Fa Sol7 Do

10

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�� rinfranca/l'aIl/tuo/bastone/e/il/tuo/vincastro/mi/dannoil/mio/caliper

nisicelun

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Re- Sol

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XVI Domenica Tempo Ordinario - BG.Proietti

©

(dal Salmo 22)

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Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 3-2012 Pregar cantando

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Ti/lodino/Signore/tutte/le/tueGli/occhi/di/tutti/a/te/sono/rivolti/in/at

vie,

opere,tesa,

Fa Do

6

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e/buono/in/tutte/le

e/ti/benedicano/ie/tu/dai/loro/il/cibo/a/tempo

sue

tuoi/feoppor

opere,

deli.tuno.

Sol- Fa Do

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il/Signore/è/vicino/a/chiunque/lo/in

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e/parlino/dellae/sazi/il/desiderio/di/o

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XVII Domenica Tempo Ordinario - BG.Proietti(dal Salmo 144))

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Animazione Liturgica

n questo numero parliamo diun eccezionale pensatore: An-tonio Rosmini. Da alcuni anni

non si fa che parlare del nostro tempocome di un tempo “risucchiato” dal co-siddetto pensiero debole. Non è que-sto lo spazio per elaborare riflessionisulle radici di tutto questo … Si puòsottolineare però che la nostra epoca,se da una parte sembra assistere ad unindebolimento del logos, dall’altra av-verte forte il richiamo a rinsaldare leproprie convinzioni su valori etici e cri-stiani. Ovunque si sente dire che siamo figlidel pensiero debole, sfondo e respiro diun mondo frantumato, senza più meteda raggiungere. “La filosofia moderna -scrive Giovanni Paolo II nella sua letteraenciclica Fides et ratio -, dimenticandodi orientare la sua indagine sull’essere, haconcentrato la propria ricerca sulla cono-scenza umana. Invece di far leva sulla ca-pacità che l’uomo ha di conoscere laverità, ha preferito sottolinearne i limiti ei condizionamenti. Ne sono derivatevarie forme di agnosticismo e di relativi-smo, che hanno portato la ricerca filoso-fica a smarrirsi nelle sabbie mobili di ungenerale scetticismo. Di recente, poi,hanno assunto rilievo diverse dottrine

che tendono a svalutare perfino quelleverità che l’uomo era certo di aver rag-giunto. La legittima pluralità di posizioniha ceduto il posto a un indifferenziatopluralismo, fondato sull’assunto chetutte le posizioni si equivalgono: è questouno dei sintomi più diffusi della sfiducianella verità che è dato verificare nel con-testo contemporaneo”. Ritorniamo albeato Antonio Rosmini profondopensatore - «Una delle sei, sette grandiintelligenze dell’umanità» disse di luiAlessandro Manzoni.

Beato Antonio Rosmini

memoria liturgica 1 luglio

suor Clara Caforio, ef

I

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Nacque il 24 marzo 1797 a Rove-reto, da una ricca famiglia nobile: ilpadre era patrizio tirolese; la madreproveniva dalla famiglia dei conti For-menti di Riva. Dal 1804 al 1814 compì iprimi studi con ottimo profitto, dimo-strando presto notevoli capacità intel-lettuali e introspettive, doti chesaranno per il giovane compagni pertutta la vita.Dopo due anni di studi privati di filoso-fia, matematica e fisica (1814-1816),Antonio Rosmini sostenne gli esami fi-nali nel liceo imperiale ottenendo intutte le materie la qualifica di “emi-nenza” e un giudizio che afferma: “do-tato di acutissimo ingegno”.A diciannove anni si iscrisse a Padovaalla facoltà di teologia qui conobbeNiccolò Tommaseo, a cui sempre lo le-gherà una sincera amicizia. Il 23 giugnoottenne la laurea con ottimi voti; inquesti anni trascorsi all’università ela-borò il progetto di una Enciclopediacristiana italiana, come risposta catto-lica alla Encyclopédie di Diderot ed’Alembert che voleva dimostrare l’inu-tilità di Dio come spiegazione della sto-ria guidata dalla ragione. Nell’opera,Rosmini volle dimostrare il contrario: laragione non cancella Dio, ma portal’uomo a riconoscerne il primato nellastoria. Nel 1817 indossò la veste eccle-siastica e l’anno seguente ricevette latonsura e gli ordini minori. Tornato aRovereto nel 1819 per prepararsi al sa-cerdozio, ricevette a Chioggia l’ordina-zione il 21 aprile 1821 e gli venneassegnato l’incarico di vicario parroc-

chiale a Lizzana.Il rigore e la sobrietà furono i percorsiche privilegiò al punto da redigere persé una “Regola di condotta” basata sulVangelo, costituita di due principi:«I. Pensare seriamente ad emendare mestesso dai miei vizi e a purificare l’animamia dall’iniquità di cui è gravata fin dalnascere, senza andare in cerca d’altre oc-cupazioni od opere a favore del prossimo,trovandomi nell’assoluta impotenza difare da me stesso cosa alcuna in suo van-taggio;II. Non rifiutare i servizi di carità verso ilprossimo quando la divina Provvidenzame li offrisse e presentasse, essendo Iddiopotente di servirsi di chiunque, e anche dime, per le sue opere, e in tal caso conser-vare una perfetta indifferenza a tutte leopere di carità facendo quella che mi èproposta con egual fervore come qua-lunque altra in quanto alla mia libera vo-lontà».Quello che risalta di questa splendidafigura non è solo l’elevatezza dell’inge-gno ma una predisposizione innata allaCarità, habitus di tutti gl’innamorati diDio. San Paolo lo richiama nella sua let-tera ai Corinzi 13… Se anche parlassi lelingue degli uomini ma non avessi la Ca-rità… E’ di certo l’Inno su cui si sonoforgiati uomini e donne di ogni epoca… La Carità: “l’amore è l’adempimentodella legge”. E’ la regola per mettere inpratica tutte le regole, il nuovo coman-damento per osservare tutti i vecchicomandamenti, il segreto della vita cri-stiana svelato da Cristo. San Paolol’aveva imparato; in questo superbo

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Animazione Liturgica

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Animazione Liturgica

Inno egli ci ha dato la più meravigliosae originale descrizione esistente delsummum bonum.Rosmini apprese questo valore fon-dante presto e lo esercitò contempora-neamente al suo ministero. Nell’aprile1823 il patriarca di Venezia LadislaoPyrcher lo volle con sé in un soggiornoa Roma. L’incontro con l’anziano Pio VIIsegnò notevolmente il giovane Ro-smini, dal momento che il Papa lo inco-raggiò non solo a continuare gli studidi filosofia, ma a dedicarsi all’aposto-lato della cultura.Nel 1826 si stabilì a Milano, dove fre-quentò, tra le altre, la casa di Alessan-dro Manzoni, avendo l’occasione dileggere in bozze I Promessi Sposi.L’amicizia con il noto scrittore fu un en-nesimo tratto significativo della suapersonalità che possiamo sintetizzarenella ricerca della Bellezza attraverso lapoesia, la filosofia, il pensiero che cercasenza stancarsi Dio e la Sua Somma Sa-pienza. La via pulchritudinis è da sem-pre la corsia preferenziale su cui moltiscelsero e scelgono di percorrere comerisposta all’Amore dell’Unico Maestro.La Via della bellezza, a partire dall’espe-rienza semplicissima dell’incontro con labellezza che suscita stupore, può aprirela strada della ricerca di Dio e disporre ilcuore e la mente all’incontro col Cristo,Bellezza della Santità Incarnata offertada Dio agli uomini per la loro Salvezza.Essa invita i nuovi Agostino del nostrotempo, cercatori insaziabili d’amore, diverità e di bellezza, ad elevarsi dalla bel-lezza sensibile alla Bellezza eterna e a

scoprire con fervore il Dio SantoArtefice di ogni bellezza (Cf La Via pul-chritudinis,Cammino privilegiato di evangelizza-zione e di dialogo). Antonio Rosmini at-tratto sempre più dall’Eterna Bellezzaaccolse ogni trasferimento con natu-rale obbedienza: lasciò Milano e si sta-bilì nel Piemonte sabaudo. Il mercoledì delle ceneri del 1828 iniziòla Quaresima in solitudine al MonteCalvario sopra Domodossola. Nell’arcodi due mesi scrisse le Costituzioni del-l’Istituto della Carità, la Congregazionereligiosa che avrebbe fondato e di cuigià aveva in mente l’impostazione spi-rituale ed il campo di attività aposto-lica. Fondando poco dopo anche leSuore della Provvidenza.Il 15 maggio 1829 l’amico cardinaleMauro Cappellari - il futuro GregorioXVI - gli procurò un’udienza di cui Ro-smini conserverà perenne ricordo: ilnuovo Papa Pio VIII lo ricevette e loconfermò nella sua duplice missione dipensatore: “Si ricordi, Ella deve attenderea scrivere libri, e non occuparsi degli af-fari della vita attiva; ella maneggia assaibene la logica e noi abbiamo bisogno discrittori che sappiano farsi temere e difondatore; se Ella pensa di cominciarecon una piccola cosa e lasciar fare tuttoil resto al Signore, noi approviamo. Unatale stima e fiducia confermano la cer-tezza di trovarsi dinanzi ad un uomonon solo colto ma anche ricco di donisoprannaturali. Lo Spirito Santo non sirisparmia con quanti fanno spazio allaSua grazia, anzi a chi ha dato sarà dato

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e riceverà cento volte tanto!E il nostro beato si prodigò instancabil-mente in tutti i campi umani e teolo-gici: Pubblicò a Roma, nel 1830, leMassime di perfezione cristiana, un li-bretto di 56 pp. a cui Rosmini rimarràaffezionato fino alla morte: sei propo-sizioni costituiscono questo «manualedel cosa fare per vivere felici in un mondofelice». Sono i principi a cui AntonioRosmini ispirò tutto il suo operare:SANTITÀ: Desiderare unicamente ed in-finitamente di piacere a Dio, cioè di es-sere giusto; CHIESA: Rivolgere tutti ipropri pensieri ed azioni all’incremento ealla Gloria della Chiesa di Gesù Cristo;VOCAZIONE: Rimanersi in perfetta tran-quillità circa tutto ciò che avviene per ladivina disposizione - non solo riguardo asé, ma anche alla Chiesa di Cristo, ope-rando a pro di essa dietro la divina chia-mata; PROVVIDENZA: Abbandonarsitotalmente alla divina Provvidenza;UMILTÀ: Riconoscere intimamente il pro-prio nulla; DISCERNIMENTO: Disporretutte le occupazioni della propria vitacon spirito di intelligenza. Possiamo direche è un’impalcatura solida, una casa co-struita sulla roccia che, sebbene, venticontrari non teme crolli o sussulti sismici.Una vita quella del Beato radicata pro-fondamente nella vita di Cristo e difatti…Ritornato a Domodossola, conclusenel 1832 Delle Cinque Piaghe dellaSanta Chiesa, l’opera più famosa, chesarà pubblicata a Lugano solo nel 1848,senza il nome dell’autore, dopo l’ele-zione di Pio IX al soglio pontificio trat-tasi di una disamina dei mali che

affliggevano la Chiesa cattolica giànella prima metà di quel secolo: “La di-visione del popolo dal clero nel pubblicoculto”; “La insufficiente educazione eformazione del clero”; “La divisione deivescovi”; “La nomina dei vescovi abban-donata al potere temporale”; “I benitemporali che rendono schiavi gli eccle-siastici”. In poche pagine si fatica a te-nere il passo con la mole incredibile diopere scritte e pubblicate. Nel 1837, surichiesta di Papa Gregorio XVI, inviò aRoma le Costituzioni dell’Istituto dellaCarità, che saranno approvate con ilBreve “In sublimi”. Dal 1839 si stabilì aStresa e continuò la pubblicazione diopere che diverranno oggetto - parti-colarmente il Trattato della coscienzamorale (1841) - di accuse e dissapori.Sembra quasi comune che a provadella validità degli scritti e della santitàdebbano sempre sopraggiungere pro-ve, sofferenze… La Croce è suggello diogni vocazione; timbro efficace di san-tità. Al beato Rosmini non vennero ri-sparmiate le critiche. Presto a suoriguardo ebbe inizio quella che pressogli storici va sotto il nome di “QuestioneRosminiana”. Fra gli avversari emerseroalcuni gesuiti, a capo dei quali fu ilPreposito generale della Compagnia,l’austero asceta olandese GerhardRoothan.Tra un’alternarsi di stima e contrarietàa suo riguardo ci fu anche la possibilitàdi essere nominato da Pio IX Segretariodi Stato ma nell’autunno del 1848 co-minciarono a scatenarsi intorno al Ro-smini invidie personali, diffidenze sulle

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Animazione Liturgica

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Animazione Liturgica

sue idee politiche, e dubbi sull’ortodos-sia delle sue ultime pubblicazioni. Nelnovembre il domenicano Giacinto DeFerrari espose in Curia le severe conclu-sioni del proprio esame sul libro leCinque Piaghe; analogo, anche se piùmoderato, il giudizio di mons. GiovanniCorboli-Bussi sulla Costituzione civile se-condo la giustizia sociale. Entrambe leOpere vennero messe all’indice. Non cifu da parte dell’accusato nessundubbio: figlio devoto della Chiesa, im-mediatamente dichiarò la propria sot-tomissione e, proprio in quel climaprima di rientrare in Piemonte, scrisseun testo di alta spiritualità, l’Introdu-zione del Vangelo secondo S. Giovannicommentata.Ma gli avversari ancora di più agguer-riti indussero persino Pio IX a sotto-porre a lungo esame tutte le opere delRosmini. Il 26 aprile 1854 la Commis-sione dichiarò tuttavia che nulla c’erada censurare, ed il 3 luglio il decreto fudi assoluzione piena. “Sia lodato Iddioche manda, di quando in quando, diquesti uomini per la Chiesa”, affermò PioIX. L’illustre filoso, scrittore e fondatore

non resse a lungo il giudizioumano, si ammalò di fegato e dovetteritirarsi a Stresa assistito da amici, be-nefattori, parenti … e persino lo stessoamico Manzoni a cui prima di morirevolle consegnare (e non solo allo scrit-tore) un testamento: Adorare. Tacere.Godere. Morì il 1° luglio 1855, dopo una dolo-rosa agonia di otto ore.Il 26 giugno 2006 Papa Benedetto XVIha autorizzato la Congregazione delleCause dei Santi a promulgare il decretosull’esercizio eroico delle virtù testimo-niate da Antonio Rosmini, e il 1° giugno2007 il decreto sul miracolo attribuitoall’intercessione del venerabile. Il 18novembre dello stesso anno la Chiesalo ha solennemente beatificato e di luiBenedetto XVI disse: «Il suo esempioaiuti la Chiesa, specialmente le comunitàecclesiali italiane, a crescere nella consa-pevolezza che la luce della ragioneumana e quella della Grazia, quandocamminano insieme, diventano sor-gente di benedizione per la personaumana e per la società».

BIBLIOGRAFIARosmini Antonio, Trattato della coscienza morale, Città Nuova, 2011 Rosmini Antonio, Teosofia, Bompiani, 2011 Antonio Rosmini, Sulla felicità, Città Nuova, 2011 Antonio Rosmini, Introduzione al Vangelo secondo Giovanni, Città Nuova, 2009 Dossi Michele, Il Santo proibito, Il Margine, 2008 Rosmini Antonio, Opere / Risposta ad Agostino Theiner, Città Nuova, 2007 Maurizio de Paoli, Antonio Rosmini. Maestro e profeta, Paoline Edizioni, 2007

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Notizie

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Culmine e Fonte 3-2012Notizie

Appuntamenti, notizie e informazioni

SETTIMANE INTENSIVE DI EBRAICO BIBLICO(Docente prof. Giovanni Odasso, biblista)

I corsi hanno l’obiettivo di condurre i partecipanti a una conoscenza pratica e teoricadella lingua ebraica, che consenta di comprendere la Scrittura nella ricchezza teo-logica e spirituale del testo originale. Le sessioni di studio impegneranno solo le mattine dei giorni indicati.

1. Ebraico I - 9-14 luglio 2012

Il corso è destinato a coloro che per la prima volta si accostano all’ebraico biblico.Non è richiesta la conoscenza previa di altre lingue antiche o moderne. Gli elementigrammaticali sono presentati con un approccio progressivo e globale, accompagnatodallo studio del Sal 100 e dalla lettura di alcune espressioni e formule significativenella Sacra Scrittura.

2. Ebraico II - 16-21 luglio 2012

Il corso delinea un quadro sistematico del verbo ebraico e costituisce una tappa fon-damentale per coloro che intendono accostare personalmente i testi narrativi dellaScrittura. Lo studio prevede la lettura esegetica del Sal 15 e di alcuni brani che con-tengono la formula dell’alleanza.

3. Ebraico III - 20-25 agosto 2012

Il corso presenta la funzione dei modi finiti (indicativo, imperativo) e indefiniti (infi-nito e participio) del verbo ebraico e, in particolare, esamina il valore sintattico deicosiddetti “perfetto” e “imperfetto”, orientando a cogliere le conseguenze ermeneu-tiche e teologiche che derivano dalla loro corretta valutazione. Il programma prevedela lettura esegetica del Sal 31 e di Is 50,4-9a (terzo canto del Servo del Signore).

Sede

CASA DI SPIRITUALITà S.RAFFAELLA MARIAAncelle del Sacro Cuore di GesùVia XX Settembre, 65b - Roma

Per informazioni

Rivolgersi alla Segretaria del CIBES,Sig.ra Angela Pak (06.8170961)

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