5. AVVENTURE Della RAGIONE Da Cartesio a Vattimo

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[ www.giovannigrandi.it ] [ pagina 1 [ [email protected] ] [ISSR-TS-StoFilMC-0506.pdf ] Le avventure della ragione (Scorci di storia della losoa moderna e contemporanea) (a. a. 2005-6) ota alla dispensa La dispensa pas sa in rassegna alcuni deg li autori pi signicativi dalla modernità al Novecento a vendo come punto di attenzione il valore e le possibilità conoscitive attribuite alla ragione umana tenendo conto di questo punto di vista si metterà a fuoco sinteticamente lo spirito di ciascuna proposta ed il messaggio che – talvolta n conformità talvolta al di là delle intenzioni degli autori stessi – è rimasto impresso nella cultura losoca. Le schematiche presentazioni degli autori non intendono quindi esaurir ne la presentazione del pensiero (che in molti casi risulta intensamente ar ticolato anche su altr i piani – politico, morale, religioso ...), e vanno intese solo come una raccolta di “medag lioni” p er facilitare la comprensione della par te monograca del corso. Sono esclusi da questa presentazioni quegli autor i (come Jacques Mar itain, Edith Stein, Etienne Gilosn, Cornelio abro e altri ancora) che vanno collocati in una prospettiva diversa, tesa alla valorizzazione della ragione nel contesto di una prospettiva umana che non riuta la dimensione di fede ma si interroga criticamente sulla convenienza – più che sulla distinzione o separazione – di fede e ragione. A questa seconda prospettiva è dedicato l’approfondimento monograco su Jacques Maritain, con particolare attenzione al volume Le paysan de a Garonne. Struttura della dispensa 1. La modernità e la centralità della Ragione: Re nato Car tesio 2. L ’ lluminismo e l’autonomia della Ragione: Immanuel Kant . L dealismo e l’assolutezza della Ragione: Georg Friedrich Hegel . Il arxismo e la materializzazione della Ragione: Karl Marx 5. Il ositivismo e la scientizzazione della Ragione: Auguste Comte 6. Il ichilismo e la dissoluzione della Ragione: Friedrich Nietzsche 7. Il Novecento e le diverse forme di indebolimento della Ragione: a. Edmund Husserl: la fenomenologia b. Martin Heidegger: l’ sistenziali smo. c. Ludwig Wittgenstein: la losoa del linguaggio d. Hans Georg Gadamer: l ’ermeneutica. e. Karl Popper: il azionalismo critico f. Gianni Vattimo: il pensiero debole

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Le avventure della ragione(Scorci di storia della filosofia moderna e contemporanea)

(a. a. 2005-6)

ota alla dispensa

La dispensa passa in rassegna alcuni degli autori pi significativi dalla modernità al Novecento avendo comepunto di attenzione il valore e le possibilità conoscitive attribuite alla ragione umana tenendo conto di questopunto di vista si metterà a fuoco sinteticamente lo spirito di ciascuna proposta ed il messaggio che – talvoltan conformità talvolta al di là delle intenzioni degli autori stessi – è rimasto impresso nella cultura filosofica. Leschematiche presentazioni degli autori non intendono quindi esaurirne la presentazione del pensiero (che in molticasi risulta intensamente ar ticolato anche su altr i piani – politico, morale, religioso...), e vanno intese solo come unaraccolta di “medaglioni” per facilitare la comprensione della par te monografica del corso.

Sono esclusi da questa presentazioni quegli autor i (come Jacques Maritain, Edith Stein, Etienne Gilosn, Cornelioabro e altri ancora) che vanno collocati in una prospettiva diversa, tesa alla valorizzazione della ragione nel

contesto di una prospettiva umana che non rifiuta la dimensione di fede ma si interroga criticamente sullaconvenienza – più che sulla distinzione o separazione – di fede e ragione. A questa seconda prospettiva èdedicato l’approfondimento monografico su Jacques Maritain, con particolare attenzione al volume Le paysan dea Garonne.

Struttura della dispensa

1. La modernità e la centralità della Ragione: Renato Cartesio2. L’ lluminismo e l’autonomia della Ragione: Immanuel Kant. L’ dealismo e l’assolutezza della Ragione: Georg Friedrich Hegel. Il arxismo e la materializzazione della Ragione: Karl Marx

5. Il ositivismo e la scientizzazione della Ragione: Auguste Comte6. Il ichilismo e la dissoluzione della Ragione: Friedrich Nietzsche7. Il Novecento e le diverse forme di indebolimento della Ragione:

a. Edmund Husserl: la fenomenologia

b. Martin Heidegger: l’ sistenzialismo.c. Ludwig Wittgenstein: la filosofia del linguaggiod. Hans Georg Gadamer: l’ermeneutica.e. Karl Popper: il azionalismo criticof. Gianni Vattimo: il pensiero debole

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1. René DescartesLa Haye, 1596 - Berlino, 1650)

a mo ernità e a centralità e a agione

La frase

Mentre volevo pensare che tutto fosse falso, bisognava necessariamente che io, che loensavo, foss qualche cosa. notando che questa ver tà: o penso, dunque sono, era così

erma e cos sicura che tutte le pi stravaganti supposizioni degli scettici non erano capacid scuoterla, g ud ca che potevo r ceverla senza scrupolo come l pr nc p o della loso ache io cercavo»

Discorso del metodo

Le Opere

Discorso del Metodo (1633-1637)

 Meditationes de prima philosophia (1641)

Principia Philosophiae (1644)

Le passioni dell’anima (1649)

Le idee

Il ritorno ad una filosofia capace di conoscenza della realt .La necessità i un metodo per giungere alla verità

Il primato della coscienza e la consapevolezza dell’io (penso, dunque sono).La realtà come composizione di es cogitans e res extensa.

I nodi

Una visione dualista della realt La difficolt del passaggio dalla dimensione dello spirito alla dimensione della realt xtra-mentale.Una rifondazione della teoria della conoscenza priva di organicit .

a figura di Cartesio appare come quella di un pensatore di cerniera tra il mondo tardomedievale e lamodernità: questo ruolo va inteso sotto due profili, quello appunto storico e quello più schiettamententellettuale e filosofico. Dal punto di vista storico, l’opera di Cartesio si colloca in un contesto di grandiovità provenienti dal mondo della fisica: è forte l’impressione destata dalle ricerche di Galileo Galilei1564 – 1642) che sollecitano ad un diverso approccio nelle conoscenza della realtà si avverte la crisi

della filosofia della natura di matrice aristotelica come modalità di conoscenza del funzionamento dellaealtà mentre crescono le aspettative per un’indagine non più qualitativa ma quantitativa del reale. In

questo panorama – comunque problematico, dal momento che la condanna di Galileo suscita moltaapprensione nello stesso Cartesio – vanno collocati due altri riferimenti importanti, che qualificano’epoca e ne segnalano le ambiguità: da un lato è ancora viva e diffusa una visione teologica della realtàdall’altro è in crisi il modello di conoscenza della realtà stessa trasmesso dalla tarda scolastica.

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a visione della realtà è profondamente teologica: non si dubita dell’esistenza di un Dio creatore, nonsi concepisce la realtà se non come creata e retta dalla provvidenza. Lo stesso Galileo ribadirà comea scienza non intenda soppiantare la fede, ma spiegare il funzionamento della realtà: specularmente

 – osserverà – la Scrittura ci istruisce su come si vada in cielo non su come vada il cielo . Ma d’altraarte ecco che la tarda scolastica, il quadro intellettuale dell’epoca, si rivela incapace di rapportarsiositivamente alle nuove scoperte: la rinascita del XIII Secolo è ormai lontana, è smarrita la dinamicità

del pensiero di Tommaso e la filosofia si è ridotta (per lo più ma naturalmente non si può eneralizzare troppo) ad un complesso di sterili dispute che nulla hanno più a vedere con la conoscenza della realtà.Cartesio vive questo dramma: vede un progresso delle scienze, vede nuove possibilità di

conoscenza ma si trova a dover impiegare strumenti intellettuali decaduti ed usurati, si confronta conna filosofia che ha ormai perso il contatto con il complesso del sapere. [Cartesio studiò infatti nel

collegio gesuitico di La Flèche nell’Angiò una delle più celebri scuole del tempo, dove ricevette una solidaformazione filosofica e scientifica, secondo la ratio studiorum del tempo; ratio che comprendeva sei annidi studi umanistici e tre di matematica e di teologia. Ispirato ai principi della filosofia Scolastica, ritenutaa più valida difesa della religione cattolica contro i sempre rinascenti germi di eresia, quell’insegnamento,ur sensibile alle novità scientifiche e aperto allo studio della matematica, lasciò Cartesio insoddisfatto

e confuso. Egli si rese presto conto dell’enorme divario tra quell’indirizzo culturale e i nuovi fermentiscientifici e filosofici che premevano da più parti, e soprattutto percepì presto l’assenza di una seriametodologia, in grado di istituire, controllare e mettere ordine tra le idee esistenti e di guidare alla r icercadella verità. L’insegnamento della filosofia, impartito secondo la codificazione del Suarez, riportava glianimi al passato, alle controversie interminabili dei trattatisti scolastici, riservando poco spazio ai problemidel presente].

Cartesio vive questi drammi in un contesto teologico, un contesto in cui mettere in discussionen’architettura filosofica non significa mettere in dubbio nulla nel campo della fede: tanto lui quanto

Galileo risulteranno biograficamente essere persone dalla fede profonda.

Ora, i punti cruciali dell’opera di Cartesio – vista sotto il profilo della sua portata nelle evoluzioni

della filosofia e della concezione della ragione – si compendiano in due elementi: il primo è la tensioneverso una visione della realtà più essenziale rispetto alla ormai ampollosa architettura proposta dallaseconda scolastica; ciò significa partire nuovamente dai dati di esperienza codificandoli filosoficamentee sviluppando un metodo coerente nell’esplorazione della realtà. Il secondo punto cruciale – cheimarrà qualificante per comprendere lo spirito dell’età moderna – è l’individuazione della coscienza e

dell’evidenza dell’io come punto di partenza per la costruzione di un sistema di pensiero.Quanto al primo elemento Cartesio propone una visione dualista, che intende la realtà secondo una

articolazione bidimensionale: una res cogitans il pensiero e quindi la dimensione mentale e dello spirito,ed una res extensa la realtà materiale. Per la conoscenza della realtà esterna, res extensa occorrerà cheo spirito visualizzi i problemi che questa propone nei loro tratti essenziali, scomponendoli in maniera

analitica e risolvendoli quindi pezzo a pezzo, mediante idee chiare e distinteQuanto al secondo elemento, la proposta di Cartesio intende risolvere due questioni cruciali: a)

come essere garantiti circa l’affidabilità delle idee e – estesamente – della dimensione dello spirito? Equindi, a monte, b) dove trovare il punto di appoggio per fondare il sapere cosicché sia scongiurato ilericolo che il nostro sapere sia un’illusione?

Se gli antichi ed i medievali rispondevano a queste domande ponendo il primato della dimensioneextra-mentale e la ritenevano come fondamento, Cartesio sostiene che il fondamento più solido possaessere solo la consapevolezza dell’io, l’unica cosa di cui possiamo avere evidenza. L’evidenza dell’io vienea Cartesio dalla nota riflessione sul cogito: mi accorgo di avere una serie di idee circa la realtà mi cogliel dubbio che si tratti di il lusione e di inganno; ma tuttavia rimane che di tutto posso dubitare, tranne del

fatto che io stia dubitando. L’esercizio del dubbio è ndiscutibile, e dubitare significa pensare: non solo,ma per poter pensare occorre esserci, occorre esistere: cogito, ergo sum! Penso, dunque esisto; esisto

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come un io pensante, che ha coscienza di sé: ecco allora che la prima evidenza è quella dell’io e dellasua esistenza. Da qui – da questo fondamento inespugnabile – occorrerà allora ripartire per capire laconsistenza e la non illusorietà delle idee che lo spirito – il cogito – si fa circa la realtà esterna.

Cartesio dunque riassembla tutta l’architettura del sapere indicando come punto di partenza delconoscere non l’evidenza della realtà nella sua indipendenza dallo spirito, ma al contrario l’evidenzadella dimensione della coscienza di fronte ad una realtà esterna, che potrebbe anche essere illusoria,

ngannevole.Come guadagnare però non solo l’evidenza della coscienza ma anche l’affidabilità delle idee che lacoscienza impiega nel conoscere la realtà? La soluzione di questo passaggio è rivelatrice del contesto teologico di cui si diceva sopra: poiché vi è un Dio creatore buono, non è ragionevole pensare che abbiacreato l’uomo per farlo vivere nell’inganno; dunque va ritenuto che le idee stesse che attraversano lacoscienza siano affidabili e che siano uno specchio fedele della realtà er ciò che essa è. L’architetturapotizzata da Cartesio regge grazie alla presenza strutturale di Dio nella più generale visione di realtàdell’epoca. Via via sarà proprio questa presenza ad essere rimossa dalla consapevolezza diffusa, e lamodernità si svilupperà non soltanto ponendo la ragione e l’uomo al centro dell’attenzione ma ancheconcependo l’uomo e la ragione come strutturalmente autonomi rispetto alla realtà divina.

Cartesio inaugura, anche al di là elle proprie aspettative ed intenzioni, una stagione nuova nel pensiero:el tempo cadranno gran parte degli elementi della sua prospettiva, primo tra tutti la distinzione tra res

cogitans e res extensa ma così nche le ‘strumentazioni’ intellettuali che prover ad elaborare per chiarirea diversità ra le idee (innate, fattizie e avventizie); ma non cadr d anzi si rinforzer n modo consistentea persuasione che nel decifrare il rapporto tra la dimensione mentale e quella extra-mentale occorra partirealla evidenza della prima e non della seconda, come invece facevano gli antichi. Il soggetto inizialmenteome soggetto pensante, ma via via come soggetto tout court diventer il punto di partenza ed il punto diista della modernità

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2. Immanuel KantKönigsberg, 1724 - 1804)

L’illuminismo e l’autonomia e a agione

La frase

Si è ritenuto sinora, che ogni nostra conoscenza debba regolarsi secondo gli oggetti: tutti tentat v d stab l re su d ess , attraverso concett , qualcosa a pr or , medante cu fosseallargata la nostra conoscenza, caddero tuttavia, dato tale presupposto, nel nulla. Per unavolta s tent dunque, se ne problem d meta s ca poss amo procedere megl o, r tenendoche gli oggetti debbano conformarsi alla nostra conoscenz ».

Critica della Ragion Pura

Le Opere

- De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis (con quest’opera Kant diviene professore

ordinario) (1770);

- Critica della Ragion pura (1781);

- Prolegomeni ad ogni metafisica futura che voglia presentarsi come scienza (1783);

- Critica della Ragion pratica (1788);

- Critica del Giudizio (1790);

- La religione nei limiti della semplice ragione (1793).

Le idee

Non la ragione a doversi adeguare alla realtà, ma la realt doversi adeguare alla ragione.La struttura della realtà va conosciuta secondo l’articolazione di fenomeno e noumeno.Il soggetto non solo il punto di partenza della conoscenza, ma è anche la sorgente delle chiavi interpretativeella realt xtramentale: l’intelligenza crea le strutture con cui conosce la realtà non le riconosce.

I nodi

Il capovolgimento della dinamica conoscitiva.

La frattura tra ontologia e morale.

Il contesto: l’illuminismo

l nome di Kant è associato alla stagione dell’Illuminismo, suo è il motto sapere aude! (sapere,osa!) che esprime la tensione che percorre il suo tempo ed il clima di grandi aspettative rispetto alleossibilità del sapere. Occorre però da subito fare una precisazione: è inaugurata una stagione di grandi

aspettative rispetto al sapere procurato dalle scienze sperimentali, specialmente da quelle scienze – èforte l’impressione per i lavori di Newton (1642 – 1727) – che guadagnano al sapere umano una lettura

matematica della realtà e dei fenomeni fisici. L’illuminismo si nutre quindi di una fiducia nella ragioneche si qualifica come fiducia nella ragione matematico-sperimentale; non hanno altrettanta fortuna altri

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ambiti del sapere, in particolare l’ambito della metafisica e dell’ontologia. Kant stesso ha dinanzi a sé unaserie di riferimenti (Christian Wolff in particolare) che gli trasmettono l’impressione di un sapere ormaincapace di rimanere al passo delle nuove scoperte nel campo delle scienze sperimentali: anche per ant si tratterà – come già per Car tesio – di tentare una rifondazione, una rivoluzione copernicana. Con

questo grande pensatore si approfondisce il solco tra i saperi, in particolare si istituisce una cesura tra ilsapere di ordine teoretico (di qui la Critica della ragion pura), un che in ogni caso marginalizza ormai la

metafisica espellendola dal campo del sapere appunto scientifico e razionale, e l’ordine pratico, ordinemorale (di qui la Critica della ragion pratica). Questa separazione netta degli ambiti del sapere generasempre più l’idea che la morale – di qualunque tipo essa sia, di certo molto esigente nel caso di Kant – sia qualcosa di indipendente dalla visione e dalla conoscenza della realtà nel suo essere. L’essere dellecose non istituisce più un dover essere, rintracciabile quantomeno nei tratti più universali; il dover esseresi fonda autonomamente rispetto ad una ontologia.

Il pensiero

imanendo però nell’ambito del sapere teoretico, in cosa consiste la rifondazione tentata daant? La rivoluzione copernicana da lui proposta è questa: perché dobbiamo pensare che sia la nostrantelligenza a dover in un certo modo rispondere agli oggetti, alle cose? Perché ritenere che vi siaqualcosa (una forma) da trovare nelle cose? Proviamo piuttosto ad invertire le cose – come feceCopernico, facendo girare la terra ed i pianeti attorno al Sole – e a procedere assumendo che sonoe cose a dover rispondere alla nostra intelligenza, e che non vi è ulla da scoprire nelle cose ma soloell’intelligenza: le cose si adattano ai nostri schemi mentali, che sono quindi il punto di par tenza.

ant più oltre proporrà più oltre la figura del trascendentale che non è più il trascendentale insenso classico, ma diventa proprio quella struttura, quello schema indipendente dagli oggetti ma invece tipico dell’intelligenza che consente e fonda la nostra conoscenza.

ant fa dunque un passo in più rispetto a Cartesio, perché rovescia proprio la concezione delmondo: la coscienza e l’intelligenza, il soggetto sono ormai il perno della conoscenza, ma si affievoliscesempre di più non solo il legame, ma anche l’importanza normativa della realtà extramentale. Tutto siioca nella coscienza e la realtà extramentale, a partire dalla realtà sensibile (attenzione, nei suoi aspetti

metafisici non nei sui aspetti empirici) sprofonda sempre pi nell’ombra. Ciò che Kant sosterrà proprioispetto alla realtà sensibile, è che ci è accessibile come fenomeno in ciò che ci appare, ma non comeoumeno in ciò che è in sé. Per accedere al noumeno occorrerebbe possedere un’intuizione intellettuale

che, dice Kant, non è alla portata dell’uomo. C’è dunque un nocciolo delle cose, lo riconosciamo ma nono conosciamo.

Con Kant siamo ormai distanti dalla prospettiva del realismo: cambia la concezione della realt 

ambia la considerazione del funzionamento e quindi delle possibilità ell’intelligenza. Il grande complessoella proposta kantiana è ppeso al valore della sua ‘rivoluzione copernicana’ nel contesto della critica dellaonoscenza: ma questa rivoluzione si fonda ancora una volta sull’ipotesi cartesiana per cui il soggetto e laua dimensione mentale (o della coscienza) sono il punto di partenza. Da Kant in poi – pi he da Cartesiotesso – il realismo si confronta con molte derivazioni della prospettiva kantiana ed impegnato nel mostrareiò per gli antichi era ovvio, la solidità la stabilità ella dimensione extramentale in tutta la sua ampiezza e’effettiva possibilità dell’uomo di conoscere la realt .

 ___________________ 

L’intuizione intellettuale di cui par la Kant non è l’intuizione dell’essere – che, in ogni caso, manca del tutto nella prospet- tiva kantiana –, ma è un’intuizione dell’essenza della cosa specifica che abbiamo dinanzi agli occhi. Si vede come siamo distanti

dalla prospettiva del realismo, che invece riconosce alla ragione proprio la capacità di cogliere l’essenza della cosa, ma non invirtù di una intuizione, bensì in virtù della visione della forma.

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La proposta gnoseologica di Kant, per quanto fortemente suggestiva, va poi incontro a gravi difficoltàuando si vuole integrarla con la visione morale e religiosa: l’aspetto religioso in particolare viene semprei relegato nella sfera dell’intimità ella coscienza tendendo ad una strutturale separazione delle diverseimensioni umane (salvo poi recuperare la figura di Dio per riequilibrare lo scandalo del male sofferto dagli

nnocenti e motivare a compiere il bene a prescindere dalla convenienza). Tuttavia questi ed altri motivi dincompatibilit ella prospettiva kantiana con il realismo e pi ltre con la rivelazione cristiana non devono

scurare il fatto che alla base delle difficoltà el kantismo vi è roprio il problema filosofico del punto diartenza della riflessione dell’uomo sulla realt .

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3. eorg Friedrich Hegel(Stuttgart, 1770 - Berlino, 1831)

L’idealismo e la assolutizzazione e a agione

La frase

Tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è azionale è reale»Scienza della logica

Le Opere

Scienza della logica (1812)

Enciclopedia delle scienze filosofiche (1817)

Lineamenti di filosofia del diritto (1821)

Le idee

La Ragione è la ‘divinità il cui sviluppo genera tutta la realt Una dinamica per comprendere tutta la realtà: la dialettica e l’Aufhebung.Compito della filosofia cogliere i nessi nell’esistente mostrando come tutto risponda al movimento di

viluppo della Ragione.

I nodi

La giustificazione dell’esistente

La perdita di valore del singoloIl supporto ideologico al potere

Il contesto: il romanticismo.

Il romanticismo presenta una certa varietà di volti; si caratterizza anzitutto per un recuperodel valore del sentimento, anche nella dimensione della conoscenza: si aprono nuovi spazi in favoredell’intuizione, della mistica. Si ritrova anche il valore dell’agire e della vita nella sua concretezza. Tuttoquesto è però ervaso da un senso crepuscolare, dalla ricerca dello «struggimento» dalla tensioneverso un senso di infinito.

Ora, occorre rilevare che un primo versante del romanticismo si innesta proprio sulla separazione tra ragione e fede-universo affettivo immaginata da Kant, spostando il favore sul secondo versante;

rende piede una sorta di tensione all’evasione, allo stordimento che trascina al di là di se stessi, al di làdei limiti posti dalla ragione. Progressivamente si consuma un’equazione tra affettivo ed irrazionale cheure era estranea a Kant stesso.

Accanto a questo primo modo di declinare la tensione all’infinito troviamo un secondo filone,che dà voce alla tensione all’infinito esprimendola nel senso della grandezza, nel titanismo. In questaseconda linea non è più il sentimento il punto di leva, ma la ragione stessa. La ragione, via via ipostatizzatacome Ragione assoluta, non si trova più limitata nell’uomo che ragiona, ma viene a costituire il nerbo e la

sostanza di tutta quanta la realtà. Se per Kant la realtà è oscura nel suo cuore, e ne cogliamo la superficiecomunque secondo i nostri schemi), se la realtà poi è faticosa, dolorosa, se l’etica richiede uno sforzo,

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erché c’è uno scarto tra l’essere ed il dover essere, per il nuovo sentire viene meno l’oscurità e loscarto. Per l’idealismo le cose cambiano. La realtà è quello che è non è altrimenti da come dovrebbeessere. La realtà è perfetta così come si presenta, e tutto ciò che occorre è entrare in sintonia, coglierea grandezza di questa perfezione.

Il pensiero

Georg Friedrich Hegel vive in questo contesto, si forma negli anni della rivoluzione francese,nsegna ad Heidelberg e poi a Berlino, si lega a Napoleone e quindi allo Stato prussiano. Lo colpisce il

 titanismo, l’idea della grandezza e concepisce in filosofia il più maestoso tentativo di fare della ragionen assoluto.

Per Hegel la Ragione non è la ragione illuminista, non è la capacità dell’uomo di avvicinare in modoordinato la realtà è invece la razionalità di cui sarebbe pervasa tutta la realtà: l’aforisma che condensa tutta la sua visione recita infatti:“tutto ciò che è razionale è eale, tutto ciò che è reale è razionale”. La

agione non è dunque una facoltà dell’uomo, ma è quasi il divino, l’anima di tutta la realtà.Ora, se la ragione è l’anima della realtà la realtà può soltanto essere secondo ragione. vano

allora credere che vi sia un essere e un dover-essere: l’uomo comune – come già Kant – vede ovunquequesta tensione, vede contraddizione. Invece la filosofia, avendo guadagnato questa intuizione sullaealtà sa che il proprio compito non è quello di concentrarsi su una realtà diversa, da fare, ma piuttosto

quello di cogliere l’intima razionalità della realtà al di là delle apparenti contraddizioni.Hegel concepisce quindi tutta la realtà in termini di dialettica . Dialettica è classicamente il

uogo della discussione, della contraddizione, del confronto. Ma la dialettica di Hegel è diversa: nonè il fronteggiarsi delle posizioni, ma il movimento che risolve la contraddittorietà. Ecco l’ uf hebungl superare-conservando: c’è un movimento inarrestabile di sviluppo della realtà che si nutre dellecontraddizioni tendendo a superarle; emerge allora la dinamica che per il filosofo caratterizza tuttaquanta la realtà e l’esistenza: tesi-antitesi-sintesi . La dialettica è la legge delle cose, del mondo, e lafilosofia, la ragione non ha altro compito se non quello di cogliere questo movimento, di leggere lecontraddizioni nel loro sfociare in una posizione di sintesi che le abbraccia. Nulla rimane escluso, tutto trova il proprio posto. È ossibile costruire allora un sistema.

Nel movimento della realtà movimento in cui la ragione si sviluppa e si ricomprende, Hegeladdirittura elabora l’idea che vi sia una astuzia della Ragione un disegno che sfugge all’uomo comunema in cui ogni sofferenza, ogni assurdità ha un senso, ha uno scopo. Nel contesto di questo dispiegarsidella Ragione tutti sono strumenti: lo sono i popoli, lo sono le persone, comprese quelle figure eccezionaliche Hegel chiama «Uomini cosmico-storici» personalità che imprimono un certo movimento alla storiacome ad es. Napoleone), ma che sono destinate ad essere abbandonate dopo essere servite agli scopi.popoli stessi sono animati dal genio dei popoli, che altri non è se non la Ragione, che se ne serveer il proprio movimento e poi li abbandona come usci vuoti .

Nel geniale disegno di Hegel la Ragione allora un Assoluto: siamo molto lontani dall’idea classica dellaagione come facolt dell’uomo tesa ad indagare una realt he si lascia cogliere ma che rimane sorgente dieraviglia e di mistero. Il sistema di Hegel n tentativo titanico e straordinario di ricomposizione in chiave

azionale di tutta quanta la realt ma si consuma nella sua stessa ambizione: come molti critici rileveranno,l sistema dell’idealismo oncepito per poter rendere ragione a posteriori di ogni evento di ogni situazione ei ogni mutamento, ma agisce appunto come una ideologia e non come una filosofia capace di esplorare laealtà n se stessa. Con l’Ottocento e con Hegel si esaurisce la tensione sistematica nella filosofia, quasi che ilensiero – occidentale per lo meno – si fosse immunizzato contro ogni futuro tentativo di elaborazione di unahiave universale capace di spiegare d’un sol colpo tutta quanta la realt Tuttavia il pensiero di Hegel segna

rofondamente il cammino della filosofia occidentale e consacra in maniera definitiva la filosofia come verticeelle scienze speculative, riducendo la teologia ad una forma del sapere religioso.

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4. Karl MarxTreviri, 1818 - Londra, 1883)

marxismo e a materializzazione e a agione

La frase

Non è a coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza»Ideologia tedesca, I.

Le Opere

Critica della filosofia del diritto di Hegel (1843)

Ideologia tedesca (1945-6, postumo)

 Manifesto del partito comunista (1848)

Il capitale – vol I (1867)

Le idee

L’ambito del pensiero (sovrastruttura) n prodotto delle condizioni di vita (struttura).La religione na filosofia annebbiata nel mitoLiberazione dell’uomo ortarlo a consapevolezza di sé delle leggi che dominano la storia (materialismotorico)Compito della ragione liberare l’uomo dai miti

I nodi

Il materialismo come approccio alla vitaL’inimicizia tra fede e ragioneLo scandalo dell’impiego della religione per scopi estranei alla vita di fede

Il contesto: Destra e Sinistra hegeliana

Gli allievi di Hegel, all’indomani della sua morte, si dividono in due correnti tra loro antagoniste,differenziate per la soluzione che davano al rapporto tra religione e filosofia. Hegel aveva lasciato lacosa quasi in sospeso, risolvendola all’interno della dinamica dell’aufhebung e della dialettica: religione efilosofia avevano per lui lo stesso contenuto, ma rappresentavano due momenti diversi del movimentodella Ragione (dello Spirito), il momento della rappresentazione ed il momento del concetto. Ladistinzione rimaneva aperta a due esiti possibili: o si sottolineava l’identità del contenuto, calcando’accento sull’unità di religione e filosofia, oppure si enfatizzava la diversità del momento, nel qual casoa filosofia risultava essere un’evoluzione (‘inveramento’) della religione, e la religione più che essereconfermata dalla filosofia nei suoi contenuti risultava essere superata dalla crescente consapevolezzadella Ragione.

La sinistra hegeliana segue il secondo itinerario, mentre la destra imbocca il primo – con il comprensibilesupporto dello Stato Prussiano che vedeva di buon grado una dottrina capace di saldare assieme la sfera

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del religioso e quella civile –.La sinistra hegeliana si applica con risolutezza alla critica dei testi biblici, cercando di mettere in luce

a Scrittura sacra come una sorta di filosofia imperfetta, espressa nella forma del mito. Il tentativo piùeclatante in questa direzione è quello di David Friedrich Strass (1808-1874) che nel 1835 pubblica unaVita di Ges : il racconto evangelico ne esce come l’esposizione non di fatti o comunque di esperienze,ma piuttosto delle attese e delle aspettative di una data cultura in un dato contesto storico. Ogni

evento non spiegabile razionalmente diventa, in quest’ottica, mito o leggenda. Ciò che si salva inveceè il ‘contenuto’ del racconto evangelico, che tuttavia viene ridotto – in perfetto stile hegeliano – ad unmessaggio di unità sintesi) tra umano e divino. Cristo stesso diviene uno di quegli uomini cosmicostorici di cui la Ragione si serve nel suo inarrestabile movimento dialettico.

Un tentativo diverso, che pure si iscrive nell’ambito di una prospettiva critica verso la religione, èquello di Ludwig Feuerbach (1804-1872), di cui vanno ricordate L’essenza del cristianesimo (1841)e L’essenza della religione (1845). Per Feuerbach occorre spostare l’attenzione dalla Ragione e dalloSpirito assoluto di Hegel all’uomo, che deve ritornare ad essere il centro della riflessione: nel percorso diquesto recupero antropologico occorre ribaltare il punto di par tenza della dialettica concepita da Hegel:on è la Ragione che pone la natura e la supera nella sintesi; piuttosto è l’uomo il punto di partenza,

colui che – scoprendosi limitato, finito – concepisce l’infinito come aspirazione, come desiderio, comeattesa. Nel contesto di questo ricentramento dell’Aufhebung e della dialettica sull’uomo, la religionediventa la forma imperfetta di esprimere questo anelito di infinito, ed alla filosofia compete la funzione diabbattere questa forma imperfetta e le immagini mitiche di cui si circonda, per approdare alla autenticaconoscenza dell’umano. Non Dio crea dunque l’uomo, ma l’uomo crea Dio ad immagine e somiglianzadel proprio desiderio e delle proprie aspirazioni.

Il pensiero

Karl Marx studia all’Università di Bonn e poi di Berlino, dove segue con entusiasmo l’insegnamentodi Hegel, laureandosi in filosofia. Dal punto di vista dell’impostazione filosofica Marx si riconosce negli‘hegeliani di sinistra’. La sua riflessione filosofica si innesta sulle posizioni maturate da Feuerbach: tuttavia’intensa attività sociale e di pubblicistica di Marx – che lo aveva messo in contatto con le problematichesociali e con i profondi disagi della classe operaia – incide sull’impostazione filosofica e ne determinana energica curvatura verso la prassi Occorre certamente ricollocare l’uomo al centro di tutto e

denunciare la falsità dei miti, delle leggende e della religione; ma occorre anche spostare l’accento dalla teoresi alla prassi: “I filosofi hanno finora soltanto diversamente interpretato il mondo: si tratta oranvece di trasformarlo (Tesi su Feuerbach 11°). Il nuovo punto di vista è quello dell’azione, e dell’azioneivoluzionaria: l’uomo si appropria della realtà e del mondo non penetrandone intellettualmente i segreti,

ma nella prassi rivoluzionaria nel cambiamento delle strutture e della realtà.

Marx si preoccupa allora di raccordare l’interpretazione della realtà alla lotta per il cambiamento, e siadopera per fondare una visione antropologica e sociale capace di mettere in luce le leggi della realtà. Loscopo di questa elaborazione è quello di rimuovere tutto ciò che – nell’ottica di Marx – è illusorio ed èdi impedimento per la conquista di sé da parte dell’uomo. La religione appare sempre pi come uno diquesti impedimenti, mentre occorre mostrare che la storia non è governata affatto – come vorrebbe laeligione – da forze soprannaturali né è legata ad un destino eterno: la storia è fatta dagli uomini viventi,

dalle loro mutevoli condizioni e soprattutto dalle strutture economiche in cui si esprime il lavoro, unicaopera veramente umana. L’unico elemento determinante nella vita degli uomini e nella storia è alloraa struttura economica; tutto il resto, tutto ciò che rientra nelle forme di governo, nel diritto ma anche

ella morale, nella filosofia e nella religione è sovrastruttura: tutte queste cose non hanno storia, nonanno sviluppo, ma gli uomini che sviluppano la loro produzione materiale e le loro relazioni materiali,

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 trasformano, insieme con questa loro realtà anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero. Nonè la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza (Ideologia tedesca I, tr. it. p.23).

Si configura con questo la cifra del pensiero di Marx, che si pone come un materialismo storico,come un approccio alla realtà che vede nella materia, nelle cose e nelle situazioni la sorgente di tutta

’attività speculativa, ideale e di pensiero dell’uomo. Il comunismo si fonda su questo riconoscimento equindi si adopera contro tutte le prospettive che intendono giustificare l’esistente, ed in special modo’organizzazione sociale, in base a ragioni trascendenti o spirituali.

Cosa rimane della filosofia di Hegel nella proposta di Marx? Rimangono alcune ispirazioni moltovigorose, tra cui l’ambizione di elaborare un sistema capace di dominare le dinamiche della realtà e ilfascino di una chiave universale di lettura degli avvenimenti, ovvero la dialettica. Tuttavia la distanza tra idue è molta, e Marx stesso si preoccupa di rilevarla, ponendo l’accento sul diverso punto di partenzadei rispettivi sistemi, la Ragione e lo Spirito nell’uno, la materia nell’altro: Per Hegel, il processo delensiero, che egli trasforma addirittura in soggetto indipendente con il nome di Idea, è il demiurgo del

eale, che costituisce a sua volta solo il fenomeno esterno dell’Idea o processo del pensiero. Per me,viceversa, l’elemento ideale non è altro che l’elemento materiale trasferito e tradotto nel cervello degliomini. La mistificazione alla quale soggiace la dialettica nelle mani di Hegel non toglie in nessun modo

che egli sia stato il primo a esporre ampiamente e consapevolmente le forme generali del movimentodella dialettica stessa. In lui essa è capovolta. Bisogna rovesciarla per scoprire il nocciolo razionale entrol guscio mistico . (Il Capitale prefazione, II ed. 1873). Anche la dialettica però n Marx finisce per subirena torsione, riducendosi ad una sorta di meccanismo del cambiamento permanente: ciò che conta è

ormai porre la necessità del cambiamento, la ‘qualità del cambiamento stesso rimane quasi in subordinee comunque il mondo verso cui ci si dirige rimane un mondo in cui l’uomo, progressivamente, guadagnana razionale e – diremmo qui – glaciale consapevolezza di essere solo un anonimo ingranaggio in una

storia senza destinazione.

Dal punto di vista speculativo la filosofia in Marx rimane lo strumento per elaborare una certa letturaella società della realtà. Tuttavia la filosofia stessa si riduce a metodo, a strumento, dal momento che a suaolta non pu ssere altro che sovrastruttura, prodotto mentale di condizioni determinate e del tutto mutevolicontingenti. Questa prospettiva finisce con l’essere contraddittoria, perché a una parte dichiara l’assoluta

toricit el pensare umano e delle idee e dall’altra pretende di aver individuato un meccanismo universalei funzionamento della realtà stessa, la dialettica. In questo modo o esistono delle conoscenze universali – nelual caso sarebbe fatta salva la dialettica, ma cadrebbe l’idea di sovrastruttura – oppure tutte le idee sono

frutto delle mutevoli condizioni materiali – ed in questo modo sarebbe salva la sovrastruttura ma del tuttonaffidabile la dialettica come chiave di lettura permanente della storia –.

Si vede allora come in Marx interagisca un sicuro amore per la speculazione, sollecitato dal fascino di Hegeldel suo sistema, unito all’attenzione per i problemi del suo tempo, specie quelli delle classi pi overe. Tuttaviaueste due linee si impastano in un modo alquanto scomposto; Marx probabilmente olpito dall’ignoranzaelle classi operaie e disagiate, interpreta la loro inerzia come una mancata coscienza di s ed attribuisceutto ciò lla religione, che egli stesso definisce « ppio dei popoli» un’illusione buona ora per consolare ora, pirammaticamente, per esercitare un controllo oppressivo sulle persone. Questa impressione vivida si uniscelle riflessioni di Feuerbach – per quanto riguarda soprattutto l’origine della religione – ed alla inarrestabileinamica dialettica di Hegel e si condensa nell’idea che la religione sia un ostacolo per la vita dell’uomo e che

ompito della ragione sia precisamente quello di mostrarne l’illusoriet per ottenere la liberazione dell’uomo.L’uomo liberato in questo modo è uttavia l’uomo dell’antropologia materialista, un uomo portato a

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iconoscersi solo come un frammento della societ un uomo la cui dimensione interiore e spirituale nonltro che un caotico rifluire e ricombinarsi di stimolazioni materiali. La risposta marxista alle domande di sensoell’uomo è desolante: le domande di senso semplicemente non hanno senso.

Il materialismo na tentazione ricorrente del pensiero, e si nutre – come in Marx – di una comprensioneella realtà della spiritualit mana (anche solo limitatamente a ci che riguarda le possibilit del sapere

mano) molto macchiettistica e alquanto rozza dal punto di vista filosofico; si tratta di un ottimo (se nonfosse tragico) esempio di come una filosofia errata generi un’antropologia conseguente, rischiando poi di farsitrada nella storia illudendosi di liberare l’uomo ma in realt generando disumane schiavit Il marxismo comeottrina ha promosso il materialismo, ma quest’ultimo si rinnova anche al di là el marxismo, in tutte quellerospettive che riducono la dimensione spirituale e intellettuale ad una pura funzione fisio-chimica.

Ci che tuttavia deve far riflettere – e lo si vedr analogamente anche nella figura di Nietzsche – latraordinaria impressione negativa ed opprimente che la religione, ed in particolare la religione cristiana,iuscita ad instillare in questi pensatori che hanno segnato la storia. In particolare occorre registrare che aartire dall’Ottocento, la gi problematica separazione tra ragione e fede si traduce sempre pi n una radicale

nimicizia e contrarietà ra le due. È una frattura da cui ancora il pensiero non è guarito, ed anche possibilehe stenter a guarire finché gli uomini si serviranno della religione strumentalizzandola per i proprio scopiondani.

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5. Auguste ComteMontpellier, 1798 - Parigi, 1857)

positivismo e a scientizzazione e a agione

La frase

Solo la conoscenza delle leggi dei fenomeni, il cui risultato costante è di farceli prevedere,ò ev dentemente condurc nella v ta att va a mod carl a nostro vantagg o

Corso di filosofia positiva, I.

Le Opere

Corso di filosofia positiva (1830-42)Sistema di politica positiva (1851-54)

Catechismo positivista (1852)

Le idee

Tutta la storia caratterizzata da uno sviluppo progressivo che si realizza secondo tre stadi (teologico,etafisico e positivo).La scienza, come capacità i scoprire leggi e di predire ciò che avverr ’unico sapere razionale.Compito della ragione è ricondurre tutto alla scienza e fondare una nuova religione dell’Umanità he

iconosca all’uomo la centralit ssoluta nella storia.

I nodi

La riduzione della ragione alla razionalit applicata alle scienze empiriche ed all’osservazione dei fenomeniUna concezione ottimistica della storia come progressivo e necessario passaggio di bene in meglio.La dissoluzione dell’individualit mana in un infinito impersonale.

Il contesto: il positivismo

Il positivismo viene considerato come parte integrante del movimento romantico dell’Ottocento,erché si alimenta alla stessa tensione verso l’infinito; ciò che lo caratterizza tuttavia è il fatto diitrovare l’infinito – ovvero il luogo massimo di senso, la chiave di volta della realtà tutta intera – nonel sentimento, né nella ragione filosofica, ma nella scienza. Il positivismo matura questa posizione anche

alla luce dei notevoli passi in avanti che la tecnologia, specie nelle applicazioni industriali, stava facendo; lascienza, come il luogo della spiegazione e quindi del dominio della realtà appare come l’ambito capacedi procurare all’umanità a definitiva conquista di sé e la progressiva conoscenza del mondo. Di pariasso questa linea di pensiero matura una propria avversione verso tutto ciò che propone le ragioni

di un mondo trascendente: ciò che non è dimostrabile o che non rientra nell’ambito dell’osservabilità

va denunciato come fantasia o superstizione; e ciò che si intende salvare perché ritenuto in ogni casomanamente rilevante va ricondotto nell’alveo della scienza e dei suoi metodi.

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Il pensiero

Auguste Comte è considerato il fondatore del positivismo, che egli espone nelle sue linee portantiell’opera Corso di filosofia positiva, uscita in cinque volumi tra il 1830 e il 1842. Comte ebbe una vitaiuttosto travagliata, aspirando – senza mai riuscir vi – ad una carriera accademica; progressivamente egli

concepì il positivismo come una vera e propria religione, come un quadro interpretativo totalizzante incui avrebbe dovuto compiersi il percorso della cultura occidentale.

La parte più rilevante ed effettivamente incisiva dell’opera di Comte va senza dubbio individuataella sua dottrina della scienza; ciò che colpiva profondamente Comte era la capacità della scienza di

elaborare delle leggi capaci di cogliere – anche con grande precisione predittiva – l’andamento dellaealtà ed immagina che ciò sia possibile non solo nel caso dei fenomeni naturali e fisici, ma anche dei

fenomeni storici. Sulla scorta di questa persuasione elabora la legge dei tre stadi ovvero afferma diavvisare una regolarità di sviluppo di tutto il sapere umano secondo tre stati: lo stato teologico o fittizio,o stato metafisico od astratto e lo stadio scientifico o positivo. La dinamica si intuisce con una certafacilità: dapprima lo spirito umano considera i problemi immaginando che alla radice delle cose o della

situazioni vi siano divinità o agenti soprannaturali per lo più ersonificati; poi queste divinità vengonoicompresse sotto la forma di potenze astratte (pensiamo alla Ragione di Hegel) ed infine, riconoscendo’impossibilità di conoscere alcunché secondo questi presupposti, l’uomo mette da parte le domandesull’origine della realtà e si concentra piuttosto nello scovare le leggi che regolano i fenomeni, tramite’osservazione ed il ragionamento.

Comte concepisce anche una forma di gradualità nel giungere allo stadio positivo: immagina cioèche tutto ciò sia più mmediato nelle scienze che hanno a che fare con fenomeni semplici e facilmenteosservabili e che il procedimento diventi sempre pi articolato man mano che la complessità cresce.e scienze si dispongono allora gerarchicamente proprio in ragione della loro maggiore o minore

complessità ed in ragione delle scienze ‘più semplici’ che suppongono ed a cui si alimentano, come adesempio la fisica sociale si fonda sulla fisica organica o fisiologica e la suppone.

Al vertice delle scienze, in qualità di scienza più esaustiva e ampia per orizzonte, Comte pone lasociologia, o fisica sociale, il cui compito è quello di strutturarsi in modo tale da poter elaborare leggi inrado di prevedere gli sviluppi sociali e, di conseguenza, in grado di orientarne il corso con opportuni

accorgimenti. Nella visione di Comte riecheggia qualcosa del sogno hegeliano: l’evolversi della societàe della storia è concepito infatti in maniera progressiva, secondo una legge di sostituzione del menoerfetto con il più perfetto. Ciò che si configura con il positivismo è con Comte è proprio l’idea delrogresso come una dinamica necessaria e pertanto inarrestabile: è una legge delle cose che il buono

sia seguito dal migliore, ma è una legge che appunto riflette, seguendo altre espressioni, l’identità di realee razionale di Hegel: ciò che ora è non è né più né meno di ciò che dovrebbe essere.

Lo stesso spirito anima in fondo il tentativo di Comte e quello di Hegel, ovvero l’ambizione di rinvenire

na chiave di lettura universale che consenta di cogliere la razionalità della realtà il positivismo tuttaviavede nella scienza il caposaldo per guadagnare questa chiave: il punto cruciale consiste nell’obiettivonfatti di esprimere delle leggi che consentano la previsione, perché a previsione consente di impostarecon certezza e successo l’azione. Le leggi però maturano secondo lo stile della scienza, cioè a partiredall’osservazione; tuttavia – evidenzia Comte – la scienza non è legata necessariamente alla dimensioneempirica, lo è fintanto che non perviene all’elaborazione della legge che presiede allo sviluppo ed allosvolgimento del fenomeno empirico considerato.

Comte tuttavia, pur vicino ad Hegel nell’aspirazione, dà al positivismo una curvatura relativistaestranea all’impostazione hegeliana. Mentre questi poneva il centro della storia nella Ragione, Comteon accetta questa impostazione ed invece si avvicina di più a quelle che saranno le posizioni di Marx: il

cen ro è l’uomo che fa scienza. E da questo punto di vista anche l’uomo che fa scienza si iscrive nel piùampio movimento del progresso inarrestabile e subisce quindi i condizionamenti del proprio contesto,

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del proprio tempo, delle proprie disposizioni personali. Ecco allora che le teorie che l’uomo elabora,ur rispondendo all’ambizione di una sempre pi efficace capacità predittiva, non sono mai definitive:

e teorie sono «approssimazioni crescenti di una realtà che non potrebbe mai essere rigorosamenteapprezzata, la migliore teoria essendo sempre a ogni epoca quella che rappresenta meglio l’insieme delleosservazioni corrispondenti (Corso di filosofia positiva VI, pp. 622-23).

Comte elabora in maniera conseguente anche una filosofia della storia, che a sua volta fa perno

sull’idea di progresso unita al movimento dei tre stadi; lo stadio positivo, abbattuto definitivamente lostadio teologico, prevede l’instaurazione di una religione dell’Umanità dove l’Uomo ha finalmente presol posto di Dio. L’Umanità costituisce il «Grande Essere» l’insieme degli uomini e delle popolazioni diogni epoca che nella sua totalità ma soprattutto nella sua continuità nel suo progredire di generazionen generazione.

Il positivismo di Comte non si distanzia quindi molto dal sistema hegeliano, ma si accorda con questoroprio nel cuore dello spirito romantico, uno spirito che anela a cogliere le dinamiche profonde dello sviluppoella realtà e che tende a privilegiare il momento della convergenza di tutte le cose nell’infinito, concepitora secondo la forma dello Spirito Assoluto, ora secondo quella del Grande Essere. Nell’infinito romantico non

’ posto per l’individualit se non come frammento anonimo, piccolo ingrediente di un progetto di ben altreroporzioni.Tuttavia il positivismo ha lasciato una traccia forse pi marcata della filosofia hegeliana (che tuttavia,

on va dimenticato, sopravvissuta drammaticamente tramite il marxismo), inaugurando una visione moltonfatica della scienza e delle scienze sperimentali.

Da questo punto di vista il positivismo cristallizza l’idea che gi i faceva strada con l’illuminismo che vale eonvince ed è ffidabile solo ciò he razionale, ma secondo quella razionalità he non intende mai levarsi al diopra dell’ambito dei fenomeni osservabili empiricamente. La razionalit pesa nell’orizzonte della metafisicadella stessa filosofia della natura – cioè n quegli ambiti che si interrogano sul cuore delle cose (il cosa) e non

i fermano ad interrogarsi solo sul loro funzionamento (il come) – rimane in disparte; accade cioè che questeiscipline cos care ai classici vengano assimilate all’ambito della religione e della superstizione.

Con il positivismo si accentua un grosso equivoco sulla razionalità che viene appunto ridotta alla ragionempiegata nell’ambito delle scienze empiriche. Questa prospettiva rimane ancora oggi molto viva e generafraintendimento sempre più eclatanti, dal momento che si tende ad interrogare la scienza o lo scienzenche circa questioni che vanno al di l delle possibilit del sapere tipico delle scienze sperimentali. Vi sonoioè questioni – e questioni rilevanti per l’uomo, quali la natura e specificit della vita umana, le dinamicheell’intelligenza e della volont e via dicendo – che sono fuori dalla portata della razionalità scientifica, maon per questo fuori dalla portata della razionalit gi el campo della pura opinione, della fede o dellauperstizione. Di tutto questo il positivismo non si accorge, e ci lascia in eredit na concezione della ragioneolto povera e mortificata: la scientizzazione della ragione non la porta a rigore ma piuttosto la debilita ee riduce le capacità

L’altra grande idea che si codifica con il positivismo è quella del progresso concepito come una trionfalearcia verso il meglio: la storia appare proiettata verso le magnifiche sorti e progressive» Quest’idea subir n notevole ridimensionamento soprattutto con la devastazione del primo conflitto mondiale; su scala mondiale

 – una mondialità erto ancora molto europea – si toccher on mano la possibilità per l’uomo di distruggeree ricchezze ed i progressi accumulati nel tempo. Tuttavia l’idea di un progresso inarrestabile non tramontaon l’esperienza drammatica del primo Novecento, ma anzi riemerge con vigore proprio alla fine del Secoloreve» spinta dal vento dello sviluppo tecnologico. Si tratta tuttavia di una concezione del progresso che siiconosce circoscritta ad un ambito molto ristretto, quello appunto della tecnologia. Vi omunque la tentazionei ritenere che anche in quest’ambito i processi siano inarrestabili, e che il progresso sia un meccanismo a stante, sottratto al giudizio dell’umano ed a una valutazione etica. Anche questa possibile deriva troverebbe

uone radici nella prospettiva di filosofia della storia proposta da Comte, qui non lontano da Hegel.

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6. Friedrich Nietzsche(Röcken, 1844 - Weimar, 1900)

nic i ismo e a dissoluzione e a agione

La frase

Il pensiero consapevole, e particolarmente quello del filosofo, è l più svigorito e perciòstesso anche l relat vamente p emperato e p ù qu eto modo del pens ero: è ropr ocos che il filosofo può essere indotto in errore, con la maggior facilità sulla natura delconoscere .

La gaia scienza, § 333

Le Opere

La nascita della tragedia (1873)

La gaia scienza (1882)

Cos arlò Zaratustra (1891)

l di là el bene e del male (1885)

L’anticristo (1888)

La volont i potenza (1889)

Le idee

La vita va accolta nella sua interezza.Occorre dare spazio al principio dionisiaco, all’ebbrezza ed all’irrazionalità ontro ogni morale e vitascetica.La filosofia non porta alcuna conoscenza, ma esprime la biografia del superuomo che vive al di l di ogni

egola.

I nodi

Una concezione macchiettistica del cristianesimo (ma da dove viene? È un interrogativo serio per iredenti).Un pensiero che dissolve la razionalità , cercando invano di cogliere la vita, ne coglie in realtà oltanto

frammenti senza una tessitura di senso.Un pensiero che si fa protesta ed autobiografia, ma sfocia nella letteratura di contestazione più che nella

iflessione filosofica.

L’itinerario intellettuale di Nietzsche inizia innestandosi nello spirito romantico, in particolaredando spazio all’amore per i classici del pensiero greco. Già a 24 anni si distingueva per il suo talentofilologico, cosa che gli valse la cattedra a Basilea. Qui conobbe Richard Wagner, con il quale ebbe

n periodo di intensa amicizia ma da cui presto si allontanò: in Wagner Nietzsche iniziava a vedere’epilogo del romanticismo, che tendeva a ripiegarsi ancora una volta sul cristianesimo abbandonando

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’originaria passione per l’antichità classica e per i luoghi originari della filosofia. Il percorso intellettualedi Nietzsche è segnato tuttavia non solo dal confronto diretto con alcuni degli spiriti più rappresentatividella cultura del suo tempo: è nciso profondamente anche dalle precarie condizioni di salute psichica,che prima lo portano ad abbandonare l’insegnamento a Basilea e quindi a muoversi tra la Svizzera e’Italia settentrionale sempre in preda a profonde inquietudini esistenziali. Gli ultimi dieci anni della suavita furono segnati dalla pazzia e dall’incoscienza e furono proprio gli anni in cui la sua opera cominciò a

diffondersi e gli fruttò quella fama che sempre aveva desiderato ma di cui non poté godere.a critica si è spesso divisa, chiedendosi quanto il dissesto mentale abbia inciso nella produzione diietzsche; indubbiamente la malattia ha segnato profondamente la sua opera, ma in maniera speculare

e sue insicurezze e nevrosi, via via peggiorate, hanno trovato alimento nella concezione della vita e dellaealtà che in lui andava maturando. Attese deluse, illusioni infrante hanno segnato senza dubbio unaiflessione filosofica che sorge e si afferma come un percorso autobiografico e trova in questa cifra tuttaa propria intensità di percorso vissuto, mai teorico.

Nietzsche si muove a partire dal clima romantico: ma è un clima in cui prima di incontrareWagner si confronta con l’opera di Schopenhauer e con un senso cupo dell’esistenza: la vita è dolore,

sofferenza, distruzione, crudeltà e incertezza. Di fronte a tutto questo però la soluzione non è quellarospettata da Schopenhauer, l’abbandono, la rinuncia; questa soluzione è er Nietzsche la via delcristianesimo, al via della morale e della spiritualità cristiana. A questo modo di reagire è possibileopporre una alternativa: l’accettazione della vita così com’è con la sua marcata irrazionalità. Allo spiritocomposto dei platonici e del cristianesimo, che esalta la dimensione apollinea della vita – razionalitàe misura – occorreva opporre lo spirito rimasto in disparte, ma pure originario del mondo greco: lospirito dionisiaco. Dionisio è ’accettazione dell’esistenza, la rinuncia ebbra alla signoria, al controllo: èesaltazione del mondo, è l godere di tutto allontanando ogni morale di rinuncia che prospetti limiti allafruizione del mondo. Tutta la carica polemica di Nietzsche contro il cristianesimo si coglie alla luce diquesta prospettiva più radicale di accoglienza della vita o di rinuncia del vivere pieno, di vita virtuosafatta di regole e impedimenti. La tensione romantica all’infinito si esprime qui in maniera travolgente;

’infinito è la vita stessa, con ciò che capita, con ciò che si desidera ed è limite tutto ciò che pretende didisciplinare questa danza inesauribile.

Alla luce di questa alternativa tra l’accoglienza della vita ed il suo rifiuto Nietzsche sviluppa tuttaa sua opera ed in particolare focalizza la propria avversione al cristianesimo, vista come la morale delisentimento, come la prospettiva di chi – non avendo coraggio di accettare la vita – alla fine si adoperaer vendicarsi di coloro che l’hanno saputa gustare. È proprio questa prospettiva di rinuncia che alla

fine dà forma al nichilismo, unica prospettiva che rimane quando l’astio verso l’esistenza fa dimenticarel mondo reale per trasferire la vita in un mondo immaginario, inesistente: un nulla appunto, che sisostituisce alla vita vera.

Contro questo esito, contro il nichilismo, Nietzsche prospetta una vita intessuta proprio in queivalori che l’apollineo ed il cristianesimo vorrebbero rimuovere in favore di un mondo immaginario:’irrazionale, la violenza, il dominio della sensibilità ma anche lo sfruttamento per se stessi di tutto ciò chesi presenta all’orizzonte.

L’irrazionalità domina in qualche modo tutta la speculazione di Nietzsche: irrazionalità intesacome assenza di senso, assenza di progettualità. Riemerge così a concezione ciclica del tempo l’ideareca dell’eterno ritorno dell’uguale: non c’è una storia, men che meno una storia della salvezza, ma

solo uno scorrere ciclico in cui è saggezza cogliere il proprio attimo e viverlo alla massima intensità. acondizione generale del mondo – scrive – è per tutta l’eternità il caos, non come assenza di necessitàma nel senso di una mancanza di ordine, di struttura, di forma , di bellezza, di saggezza e di quelli che

siano i nostri estetismi umani a Gaia scienza § 109).

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Tra le figure più note proposte da Nietzsche vi è quella del super uomo colui che trionfa in totale libertà di spirito, che si svincola da qualsiasi norma – specie morale – e vive secondo se stesso,secondo la propria volontà e differenziandosi così da tutti gli altri, diventando l’uomo eccezionale maanche il solitario, l’irraggiungibile.

L’opera di Nietzsche si presta ad una gran varietà i letture; il suo stesso stile fatto di aforismi e di

onsiderazione sparse, talvolta contraddittorie lascia ampio spazio all’interpretazione. Indubbiamente ciò hea colpito e affascinato i pi è a veemenza della sua critica al cristianesimo ed alla sua morale, ma unaettura attenta coglie che quella di Nietzsche na visione macchiettistica dell’esperienza cristiana. Unaisione tuttavia molto diffusa, a cui l’opera di questo grande personaggio ha offerto una notevole eco.

Dal punto di vista dell’avventura della ragione Nietzsche rappresenta forse il punto più asso della speculazionefilosofica nei tempi recenti. Punto coscientemente basso peraltro, condensato nell’esplicita esaltazioneell’irrazionale. Il fascino di Nietzsche deve per far riflettere sui nessi tra il pensare ed il vivere: ci he apparei suggestivo nei suoi scritti è l costante tratto autobiografico, la protesta contro una (immaginaria) congiuraei moralismi ai danni della libera espressione della volont ell’individuo. Da questo punto di vista l’operai Nietzsche non pu non catalizzare l’attenzione di chi nel proprio vissuto pone quale massimo valore la

ossibilit i dare sfogo ai propri desideri, sollevando la coscienza da un confronto con il bene ed il male.L’interesse di questo autore è decisamente notevole se ci si pone quest’ottica.Se per ci si interroga sul suo contributo alla filosofia intesa come quel sapere che tende alla verit nelispiegamento delle risorse della ragione, allora l’opera di Nietzsche risulta poco interessante, decisamente

frammentaria, specie se paragonata alle altre proposte filosofiche del suo tempo: a ragione, da questo puntoi vista, Nietzsche non pu che essere considerato un autore minore dell’Ottocento e la sua produzioneappresenta una innegabile dissoluzione della ragione stessa.

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7a. Edmund Husserle a fenomenologia

(Prossnitz, 1889 - Freiburg, 1938)

ovecento e indebolimento e a agione

La frase

La ricerca deve mirare ad una conoscenza scientifica dell’essenza della coscienza»

La filosofia come scienza rigorosa

Le Opere

 Meditazione cartesiane (1873)

Idee per una fenomenologia (1882)La filosofia come scienza rigorosa (1891)

Le idee

Una nuova dignit scientifica per il sapere filosofico.Il ritorno alla conoscenza delle cose stesse»L’« poché» fenomenologica come metodo nel sapere.

I nodi

La separazione tra realtà coscienza (tra ggetto» e « osa»).Una conoscenza approssimativa delle grandi sintesi del passato.L’idea di progresso» in filosofia come rifondazione radicale.

Edmund Husserl è senza dubbio una delle figure che hanno segnato il Novecento filosofico eche continuano ad essere guardate con grande interesse. Alla scuola di Husserl è maturata – pur poirendendone distanza – una delle intelligenze più brillanti del Secolo scorso, che ha portato la luce

del genio femminile nella filosofia contemporanea cristiana: santa Teresa Benedetta della Croce, EdithStein. Nel 1911, nel saggio La filosofia come scienza rigorosa Husserl traccia una sorta di manifestodella fenomenologia un modo nuovo di fare filosofia che conquisterà gran parte del Novecento e checomunque si imporrà come termine di confronto.

L’intenzione di Husserl è quella di reagire ad alcune linee filosofiche molto forti di fine Ottocento,l positivismo, lo storicismo ed il naturalismo. Si tratta in realtà di visioni della realtà strettamenteconnesse tra loro, accomunate dalla grande attenzione ai dati sperimentali delle scienze empiriche e dana concezione del progresso come corso inarrestabile verso il meglio. La natura sensibile e la storia

sono considerate le uniche sorgenti di senso e tutto ciò che si riferisce ad una realtà soprasensibile,on percepibile dai sensi ma neppure frutto della creatività umana, viene visto come un residuo di

superstizioni e credenze del passato.Husserl si preoccupa di mostrare che la filosofia deve uscire da questo vicolo cieco in cui si è

nfilata scimmiottando le scienze empiriche da una parte e le concezioni dello storicismo dall’altra. La

sua proposta allora è quella di ritrovare un metodo per la filosofica che permetta a questo sapere diitornare ad indagare ciò che non appartiene al mondo sensibile ma che d’altra parte ha una dignità

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ropria ed universale e non dipende dalla semplice evoluzione psicologica dell’uomo.Il riferimento per Husserl è nuovamente Cartesio: si tratta cioè di recuperare lo spazio autonomo

della coscienza, differenziando la filosofia dalle scienze della natura che si occupano della realtà esternae sensibile. La proposta di questo grande pensatore suona dunque come un grande tentativo diifondazione della filosofia per ridarle lo spazio di scienza che via via le era stato negato specie alla fine

dell’Ottocento.

Anche Husserl ha una posizione interessante relativamente al tema del conoscere; ecco cosascrive: «Se la teoria della conoscenza intende esaminare i problemi inerenti alla relazione tra coscienzaed essere, essa può avere davanti agli occhi l’essere soltanto come correlatum di coscienza, come un chedi coscienzialmente ‘inteso’, vale a dire come un che di percepito, ricordato, atteso, immaginativamenteappresentato, fantasticato, identificato, distinto, creduto, supposto, valutato ecc. Si comprende allora chea ricerca deve mirare ad una conoscenza scientifica dell’essenza della coscienza, a ciò che la coscienzastessa ‘è’ in base alla sua essenza in tutte le sue forme distinguibili e, nello stesso tempo però, a che essa‘significa’, nonché ai differenti modi in cui, in conformità all’essenza di queste forme, essa intende – oran modo chiaro ora in modo oscuro, presentando o presentificando, in modo signitivo o immaginativo,schietto o mediato dal pensiero, in questo o quel modo attenzionale e così in innumerevoli altre forme

 – un che di oggettuale, ‘mostrando’ eventualmente il suo essere ‘valido’ e ‘reale’» .La prosa di Husserl non è certo delle più facili, ma il cuore della sua proposta è chiaro: lacoscienza e ciò che la attraversa è l’ambito proprio della ricerca filosofica. In particolare egli sottolineeràl carattere intenzionale della coscienza, che è sempre ‘coscienza di-’, e sostenendo quindi che l’oggettodella filosofia sono le essenze, precisamente ciò di cui abbiamo coscienza e che – come già volevaCartesio – si presenta a noi in maniera indubitabile e per canali diversi rispetto ai dati acquisibili tramitee scienze empirico-sperimentali.

Una delle proposte più note del metodo fenomenologico di Husserl va sotto il nome di «epochéo riduzione fenomenologica», la decisione cioè di «mettere tra parentesi» nella conoscenza tutto ciòche la ragione e la coscienza non sono ancora riuscite a riguadagnare: il legame con il dubbio cartesianoè evidente ed esplicito, ma Husserl ritiene si tratti in ogni caso di qualcosa di diverso; non si dubita

dell’uomo e della realtà, semplicemente si rinuncia ad impiegare in filosofia concetti e conoscenze nonancora riconquistati dall’io e dalla coscienza.

Indubbiamente il tentativo di Husserl va nella direzione di una riscoperta della dimensioneoprasensibile, ma ancora una volta il fondamento e punto di partenza rimane l’io e la coscienza. Il rapportoon la realtà esperita e soprattutto con la dimensione dell’esistenza rimane molto vago e poco fondato. Ad 

Husserl è mancata una conoscenza adeguata della storia della filosofia e probabilmente per questo nona potuto cogliere le grandi conquiste filosofiche del passato – che certamente erano ormai in ombra alla

fine dell’Ottocento. Le sue considerazioni sulle epoche che lo precedono sono per lo più sbrigative: «Le svolteecisive per il progresso della filosofia sono quelle in cui la pretesa delle filosofie precedenti di essere scienza

igorosa crolla sotto la critica del loro presunto procedere scientifico ed è la volontà consapevole di r iformareadicalmente la filosofia nel senso della scienza rigorosa a guidare e determinare l’ordine dei lavori. […] Unaimile consapevole volontà di scienza rigorosa domina la svolta socratico-platonica della filosofia e , all’inizioell’età moderna, le reazioni scientifiche contro la scolastica, in particolare la svolta cartesiana» .

più riprese negli scritti di Husserl affiorano giudizi sulla filosofia antica e medievale che rivelano unaonoscenza a dir poco approssimativa dei classici del pensiero e questa ignoranza ha evidentemente inciso,

facendo sì che le sue intuizioni e la sua eccezionale sensibilità filosofica si legassero all’unica tradizione cheveva a disposizione, quella di Cartesio, assumendone lo slancio rinnovatore ma certamente anche gli errorile superficialità.

 ___________________ 

E. Husserl, La filosofia come scienza rigorosa Bari, Laterza, 2001, pp. 25-263 Op. cit., pp. 8-9.

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7b. Martin Heideggere esistenzialismo

(Messkirch, 1889 - 1976)

ovecento e indebolimento e a agione

La frase

uesto es stente che no stess sempre s amo e che ha, tra le altre, la poss b l tà deldomandare, noi lo indichiamo con il termine esserci (Dasein) .

Sein und Zeit § 2

Le Opere

Essere e tempo (1927)

Che cos’è metafisica (1929)

Introduzione alla metafisica (1956)

erso il linguaggio (1959)

Le idee

L’essere dell’uomo (esserci) come il luogo di analisi dell’esistenza.La differenza ontologica tra ente ed essere.

L’impossibilit di cogliere l’essere se non per sua stessa iniziativa.

I nodi

Una conoscenza troppo approssimativa della metafisica classicaUn pensiero astratto e scollegato dalla storiaL’ambizione di una parola finale sul corso dell’ontologia e della scienza dell’essere.

Martin Heidegger è uno dei pensatori che hanno inciso maggiormente nel Novecento filosofico;er molti aspetti il suo pensiero è considerato un punto di riferimento obbligato per tutti coloro che

ntendano ancora cimentarsi con la metafisica (o con quello che ne rimane dopo Heidegger). Heidegger fu allievo di Husserl, insegnò a Marburgo ed a Friburgo dove divenne rettore dell’università. Si tenneer lo più in disparte rispetto al Nazismo, anche se in un discorso del 1933, L’autoaffermazione del-

’università tedesca, emerge la sua adesione al regime. La storiografia si trova ancora divisa sul problemadella sua partecipazione all’ideologia nazista e studi più recenti hanno messo in luce come, al di làdelle dichiarazioni esplicite, la sua opera riflette una certa adesione al terzo Reich. Pesa in ogni casoa responsabilità di un intellettuale che certo non si è speso contro i crimini nazisti e che sembra nonessersi accorto di ciò che stava accadendo.

Dal punto di vista filosofico Heidegger affronta nuovamente ed in maniera diretta il problemadell’essere, intendendo riportare l’attenzione della filosofia su questo luogo d’origine della realtà. Lo

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scopo della sua filosofia è quello di costruire un’ontologia che, partendo dalla vaga comprensionedell’essere che quantomeno suscita la domanda e l’interrogativo sull’essere stesso, possa giungere alsenso dell’essere. Ogni interrogativo, secondo Heidegger, si scompone di fatto in tre versanti: 1. Ciò chesi domanda; 2. Ciò a cui si domanda o che è nterrogato; 3. Ciò che si trova domandato. Nella domandaChe cosa è l’essere ciò che si domanda è l’essere stesso, ciò che si trova è l senso dell’essere, ma ciò

che si interroga non può essere che un ente, giacché l’essere è sempre proprio di un ente. Ecco allora

che il problema principale dell’ontologia è quello di stabilire quale sia l’ente che deve essere interrogato eal quale la domanda deve venir rivolta. Questo ente è proprio l’uomo, l’unico in grado di porsi domande:Questo esistente che noi stessi sempre siamo e che ha, tra le altre, la possibilità del domandare, noi lo

ndichiamo con il termine esserci (Dasein) Sein und Zeit § 2). L’analisi del modo d’essere dell’essercicioè dell’uomo) è essenziale per l’ontologia, perché solo interrogando l’esserci si può avere accesso

all’essere. Il modo d’essere dell’uomo è però l’esistenza: l’analisi di questo modo d’essere sarà allora unaanalitica esistenziale, e sarà la via per giungere al senso dell’essere.

Le ricerche di Heidegger si muovono quindi secondo due coordinate: da una par te l’approccioall’essere attraverso l’esserci, e quindi attraverso l’analisi della vita stessa dell’uomo. Dall’altra la costante

avvertenza di una differenza ontologica tra l’ente e l’essere. Queste due coordinate fruttano ad Heidegger na serie di analisi antropologiche molto suggestive, tra cui quelle delle forme di esistenza inautentica,esistenza superficiale che intende la vita come un semplice essere insieme agli altri. Al contrario la veracifra dell’esistenza è quella del coesistere» del riconoscersi radicalmente uniti, gettati nel mondo glini di fronte agli altri. Tutto ciò dovrebbe far emerger come la cifra dell’uomo sia il prendersi cura delle

cose ed il prendersi cura degli altri. Nell’apertura all’essere e nel riconoscimento quindi dell’esistenza siioca l’esistenza autentica dell’uomo: ascoltare l’essere è ascoltare la voce della coscienza che richiama’uomo alle profondità di se stesso.

L’analitica esistenziale di Heidegger compie qui il suo passaggio caratterizzante: l’esistenza èsempre una possibilità per l’uomo, è l potersi volgere in una od in un’altra direzione. Non è unaossibilità ià qualificata, né una possibilità solo teorica: è un modo d’essere reale. Eppure questo modo

d’essere è per così dire catalizzato dall’evento che lo annulla: la morte. La morte è una possibilitàestrema, qualle che annulla ogni altra possibilità ed è tra tutte, l’unica possibilità certa. Di qui ecco che’esistenza si qualifica radicalmente come un essere per la morte. Essere per la morte non significacercare la morte, ma rendersi conto che se l’esistenza si qualifica come possibilità e se la possibilitàè annullata in sé dalla morte, allora tutta l’esistenza diventa qualcosa di precario, di im-possibile. Daquesta coscienza emerge uno stato preciso: l’angoscia. L’angoscia è lo stato emotivo con cui ’uomo sisente in presenza del nulla, dell’impossibilità ossibile della sua esistenza (Sein und Zeit § 53). Si apreallora la comprensione autentica dell’essere come nulla, come venire dal nulla ed andare al nulla. Il nullaè presente nell’esistenza ordinaria, ma è nascosto, non si lascia cogliere nelle dinamiche dell’esistenzanautentica. Solo una ananlitica esistenziale svela il vero volto della realtà

Tuttavia l’approdo al nulla è ciò che avviene quando ci si interroghi sull’essere a par tire dall’ente,fosse anche quell’ente che è l’essrci. Ciò per Heidegger significa che la metafisica classica si è semprengannata, perché a pensato di giungere all’essere tramite l’ente, mentre si è visto che tramite l’entesi giunge soltanto al nulla. Tutta la metafisica, a partire da Platone, è per Heidegger solidale in questoclamoroso passo falso. Solo gli antichi Greci avevano invece ben inteso che la verità dell’essere è a-etheia, ossia svelamento e non positiva determinazione. L’essere si svela e non può essere raggiuntodall’iniziativa positiva dell’uomo ma al contrario tutto è appeso alla decisione dell’essere stesso di rivelarsi,di disvelarsi. Tuttavia lo svelamento dell’essere non è mai totale , non è mai diretto: è qualcosa che accadeal di là della metafisica e che passa di preferenza attraverso i modi dell’arte ed in special modo dellaoesia: l’essere si svela nel linguaggio, ma sempre si ritrae ad una presa definitiva.

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d Heidegger va attribuito il grande merito di aver ripreso, indubbiamente sulla scia di Husserl e dellafenomenologia, il discorso sulla metafisica e sull’essere. Se dal punto di vista biografico riesce difficile comporree idee sulla necessit egli uomini di prendersi cura gli uni degli altri con la cecità – più meno colpevole

 – verso i crimini nazisti, dal punto di vista filosofico e teoretico il pensiero di Heidegger sollecita una intensa – eeno problematica – riflessione su quale sia il vero volto dell’essere e su quale sia il senso del nulla. Tuttavianche da questo punto di vista vanno segnalate gravi ombre: Heidegger, come gi ltri grandi del passato,

 gnorava larghi capitoli della storia del pensiero. Come osserva acutamente Etienne Gilson, se Heidegger avesseetto qualche pagina di Avicenna si sarebbe accorto di non essere per nulla originale; pi ncora, se avessenteso pi perspcacemente l’opera di Tommaso stesso, avrebbe colto come la differenza ontologica tra ented essere, lungi dall’essere stata travisata da Platone in poi, sia stata invece ben focalizzata. Nella tradizioneetafisica più obusta trovano gi pazio tutti i luoghi cari ad Heidegger: l’essere come altro dall’ente, l’essere

ome luogo orignario che si svela, l’essere come la realt he non si lascia catturare dall’intelligenza umanaa ciononostante non cessa mai di donarsi per un rapporto dialogico. Da questo punto di vista emerge unltro illustre esempio di cosa frutti l’ignoranza del passato (o una conoscenza molto settoriale e superficiale)nita all’ambizione di rifondare tutto quanto il pensiero.

Per quanto le posizioni di Heidegger meritino di essere prese in considerazione, la sua rimane una

roposta che si iscrive nel percorso di indebolimento della ragione, un percorso che nel riconoscere i limitiell’intelligenza umana non riesce tuttavia a vederne le grandi possibilit Occorre ancora rilevare che il giudizioetto di Heidegger sulla metafisica post-platonica grava sul pensiero teoretico del Novecento: molti autoriella sua scia si sono sentiti per questo esonerati a loro volta dallo studio dei classici, limitandosi pigramentei primi autori Greci, ai frammenti di Nietzsche (che Heidegger ha lungamente commentato) ed ai testii Hediegger stesso. Una lettura attenta di questo notevole autore risulta allora istruttiva soltanto avendoaturato quegli strumenti intellettuali focalizzati dal millennario cammino della ricerca filosofica, strumenti

he ad Heidegger sono indubbiamente mancati.

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7c. Ludwig Wittgensteine a filosofia del linguaggio

(Vienna, 1889 - 1951)

ovecento e indebolimento e a agione

La frase

Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere»Tractatus logico-philosophicus

Le Opere

Tractatus logico-philosophicus (1921)

Philosophische Untersuchungen (1945 / 1948-9).

Le idee

La filosofia si struttura come analisi del linguaggio.Il linguaggio è na mappatura della realt (prima posizione)Il linguaggio crea parentele tra le cose (seconda posizione)

I nodi

Una filosofia che parte dal linguaggio ed imposta di conseguenza una ontologia

Una concezione atomizzata e frammentaria del realeL’assenza di collegamento tra la ricerca della verità elle cose e la ricerca della verit dei comportamenti(etica, religione…)

Ludwig Wittgenstein è una delle figure che nel Novecento hanno portato l’attenzione dellafilosofia sul linguaggio. La sua formazione non è tuttavia prioritariamente filosofica: ha al suo attivo studidi ingegneria e di matematica, questi ultimi in particolare in dialogo con Bertrand Russel, un notevolematematico inglese dedicatosi anche alla filosofia e – con esiti molto discutibili – alla pedagogia. Lestesse esperienze di vita di Wittgenstein sono molto variegate: insegnò per molti anni come maestroelementare in Austria e non va dimenticato che gli anni dell’avvio della sua attività filosofica sono quellidel primo conflitto mondiale, che lo vide ovviamente nelle fila dell’esercito austriaco. Wittgenstein èicordato per il suo carattere schivo quanto per il rigore intellettuale; morì di cancro nel 1951.’opera di Wittgenstein viene solitamente letta individuando due periodi, che si legano alle due opererincipali: il Tractatus logico-philosophicus (1921) e la Philosophische Untersuchungen (Ricerche

filosofiche,.Il Tractatus sviluppa in forma di proposizioni una serie di tesi di natura ontologica e quindi di

filosofia del linguaggio. La forma è articolare proprio perché rivela l’approccio di Wittgenstein e delsuo modo di concepire la filosofia in seno a quella linea di pensiero che nel Novecento ha sviluppatona accesa critica ad ogni sapere metafisico rivendicando scientificità solo per il sapere positivamente

determinabile. Nel Tractatus infatti, quali proposizioni fondamentali, troviamo: «Il mondo è tutto ciò cheaccade» (prop. 1), «Ciò che accade, il fatto, è l’esistenza dei fatti atomici prop. 2), «La raffigurazione

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dei fatti è il pensiero (prop. 3), Il pensiero è la proposizione esatta (prop. 4), La proposizioneè na funzione di verità delle proposizioni elementari (prop. 5). Per Wittgenstein la realtà si lasciaappresentare, quasi si trattasse di una mappatura, dalle proposizioni e quindi dal linguaggio: al ogni

elemento costitutivo del reale ne corrisponde uno del linguaggio. Così ogni elemento atomico è unaroposizione che esprime un solo fatto, e proposizioni molecolari sono proposizioni che connettono

 tra loro fatti diversi.

Tuttavia tra le proposizioni, come tra i fatti, non vi è gerarchia: esistono solo collezioni diroposizioni e l’insieme che ne deriva è l’intero sapere. Fin dove si estende allora il sapere? Wittgensteinon ha affrontato risolutamente questo problema; vi sono però elementi per ritenere che, almeno nel

Tractatus, Wittgenstein condividesse la posizione dei neo-positivisti e di Russel, per cui la realtà coincidecon la realtà empirica. In questa prospettiva discende una netta posizione di rifiuto della metafisica (maotremmo dire di tutto quel sapere che si estende al di là dell’empirico), che in Wittgenstein si esplicita

n questi termini: a maggior parte delle proposizioni e delle questioni, che sono state scritte in materiadi filosofia, non sono false ma insensata. A questioni di questo genere perciò non possiamo rispondere,ma soltanto subire la loro insensatezza. La maggior parte delle questioni e proposizioni di filosofiaderivano dal fatto che non comprendiamo la logica del nostro linguaggio. E non c’è da meravigliarsi che

più profondi problemi non siano propriamente dei problemi prop. 4.003). La filosofia si riduca inquesto modo ad attività» non a dottrina e consiste nella delucidazione delle proposizioni, tenendosempre presente l’assunto di partenza, e cioè che di ciò di cui non si può parlare si deve tacere (prop.7). Delle questioni di cui si è occupata tradizionalmente la filosofia – per Wittgenstein – evidentementeon si può parlare, nel senso che non sono questioni che hanno senso. Non hanno tuttavia senso

filosofico: al contrario per Wittgenstein hanno un senso vitale, un senso che non può essere scritto. tica e religione sono per lui precisamente ciò di cui non si può parlare filosoficamente, ma che pureesta fondamentale per l’esistenza. Il neo-positivismo, che si ispirò fortemente al Tractatus fino a farne laropria summa, non volle mai cogliere il valore di questa «dottrina non scritta del filosofo austriaco, cheure si premurò nelle corrispondenze di richiamare l’attenzione su questo fraintendimento del tenore

complessivo del suo pensiero.

Dopo aver completato il Tractatus Wittgenstein ritenne di non avere più nulla da scrivere, avendoesaurito tutto ciò che poteva essere detto. In realtà il silenzio non fu definitivo. Nel 1929 rientrandoall’insegnamento a Cambridge, il filosofo riprese in mano il proprio lavoro allontanandosi dalle tesi delTractatus. Con le Ricerche filosofiche viene superata la teoria del linguaggio come «mappatura» dellaealtà: emerge che con il linguaggio è possibile fare molte cose diverse, per cui il linguaggio rispondeiuttosto ad una attività e molteplici si rivelano le possibili configurazioni, i possibili giochi linguistici

 tra questi ad esempio: comandare, descrivere un oggetto, costruire un oggetto (disegnare), riferiren avvenimento, ipotizzare soluzioni ad un problema, inventare una storia, cantare, recitare, tradurre,

chiedere, pregare, ringraziare…Un aspetto interessante della teoria di Wittgenstein è che, essendo molteplici i giochi e quindi

li usi, occorre abbandonare una visione essenzialistica del linguaggio: i concetti non ci riportano adessenze, ma una famiglia di somiglianze ed il linguaggio stesso struttura la parentela tra gli elementicui si riferisce.

L’importanza di Wittgenstein per il Novecento straordinaria: da lui si diparte quel filone di pensierohe si condenser el neo-positivismo logico e pi oltre – seppur più genericamente – nella cosiddetta ‘filosofianalitica’. Nasce un modo diverso di fare filosofia, un modo di pensare che parte dal linguaggio e non dallaealtà per un verso, ma soprattutto un modo di concepire il pensiero filosofico come analisi stringente dellaealtà elle sue manifestazioni in una misura o nell’altra controllabili. A segnare questo modo radicalmenteuovo di impostare la filosofia a distinzione ancora attuale tra analitici e continentali: i primi legati alla

nalisi del linguaggio come punto di partenza e di critica del sapere, i secondi pi egati alla metafisica oomunque all’ontologia ed all’etica come settori caratterizzanti della filosofia.

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Gli esiti delle ricerche filosofiche e la teoria dei giochi linguistici, per quanto risultino avvincenti, si basanou una ontologia implicita: la realtà è rimane qualcosa di atomico, di frammentario. È ’attività ell’uomo ad stituire collegamenti tra cose che non hanno nulla di sostanziale in comune, ’inventiva dell’uomo ad inventarefamiliarità tra le cose. Questo modo di intendere la realtà non intercetta neppure lontanamente il problemaell’essere, del fondamento e della struttura delle realt n se stesse, al di l dei modi in cui l’intelligenzaell’uomo pu attingere a questo fondamento. Si tratta quindi di un ulteriore versante di indebolimento della

agione, debole non tanto nel suo esercizio – che pure si rivela qui stringente ed impegnativo – ma deboleelle prerogative che le vengono riconosciute: l’uomo non fa altro che raffigurarsi la realt ma cosa sia laealtà quale sia il suo senso e la sua verit tutto ciò rimane inaccessibile.

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7d. Hans Georg Gadamere ermeneutica(Marburgo, 1900 - 2004)

ovecento e indebolimento e a agione

La frase

La scienza non è un’anonima quintessenza di verità ma una posizione umana di frontealla v ta»

Sulla possibilit i un’etica filosofica

Le Opere

ahrheit und Methode (1960)Il problema della coscienza storica (1963)

Ermeneutica e metodica universale (1966-67)

La ragione nell’età della scienza (1976)

Le idee

Ogni prospettiva di sapere suppone un punto di vista e quindi dei pregiudizi.Compito del sapere rendere coscienza dei pregiudizi ed abitarli.L’essere si offre nel linguaggio.

Il primato della riflessione etica.

I nodi

Dalla coscienza della limitatezza dell’uomo all’indebolimento della verità n ambito ontologico.Il ripiegamento sull’etica e l’assenza di un fondamento ontologico.L’assenza di collegamento tra la ricerca della verità elle cose e la ricerca della verit dei comportamenti

(etica, religione…)

Il Novecento, in svariati ambiti del pensiero, porta a consapevolezza alcuni elementi tipici delensiero, già noti agli antichi, ma tuttavia non portati a rigore, non analizzati in maniera approfondita.

Talvolta – occorre osservare – è la semplice ignoranza del passato ad attribuire imprecisione o scarsoapprofondimento ai classici; ma in diversi casi fa invece parte dell’ordinarietà del procedere del pensieroche si aprano nuovi scorci o più penetranti letture relativamente a tematiche in passato solo sbozzate.

Fin dall’antichità era noto che la conoscenza umana fosse in una certa misura interpretazionedi segni: tutto ciò è ntuitivo, se consideriamo che buona parte della vita ordinaria si orienta in basealla decifrazione di segni. Un cielo carico di nubi è segno che pioverà così come il fumo che si fa avantidalla cucina è segno che qualcosa è rimasto troppo a lungo sui fornelli. Tuttavia, di mezzo a questi segniaturali ve ne sono altri convenzionali, e soprattutto vi è un intero universo di informazioni e di elementi

che richiede una attento sforzo di decifrazione: è ’universo del linguaggio e soprattutto del testo scritto.Si qualifica come ‘ermeneutica’ quella linea di riflessione e di pensiero che pone in primo piano il

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roblema e il metodo dell’interpretazione delle fonti e dei testi. A partire dalla modernità troviamovari autori che si sono cimentati con il problema dell’ermeneutica (tra cui Schleiermacher, Kant e allafine dell’Ottocento Dilthey e Nietzsche), ma certamente il tema della comprensione di un messaggio,del rapporto tra il testo, il suo estensore ed il conoscente è stato amplificato da Martin Heidegger efatto proprio da Hans Georg Gadamer, uno degli allievi più brillanti e certamente una delle figure piùsignificative del Novecento.

Hans Georg Gadamer nasce a Marburgo nel 1900. La sua formazione filosofica tocca alcunedelle linee pi rilevanti del Novecento: il neokantismo e la fenomenologia, ma poi anche la riflessione dieidegger, con il quale consegue l’abilitazione nel 1928-29. Rimasto estraneo al nazismo, nel dopoguerra

fu eletto rettore dell’Università di Lipsia, poi insegna a Francoforte e finalmente ad Heidelberg. Aui si deve anche il rientro in Germania di due eminenti studiosi esuli in America durante la Guerra:orkheimer e Adorno.

Tra le opere di Gadamer quella che indubbiamente segna il suo itinerar io e lo pone come snododi tanta par te della speculazione del Novecento è Wahrheit und Methode (1960).’intento della sua ricerca è espressamente filosofico, non si tratta cioè di una riflessione sul metodo, ma sulroblema dell’interpretazione, a cui viene conferito un senso molto ampio: Ermeneutica è un’espressione

o un concetto che aveva in primo tempo un senso molto specifico: l’arte dell’interpretazione dei testi.miei lavori hanno tentato di mostrare che il modello dell’interpretazione di testi è in realtà il modellodella nostra esperienza del mondo in generale. In questo senso l’ermeneutica ha una funzione filosoficaautentica, universale» C. Grossner I filosofi tedeschi contemporanei tra neomarxismo, ermeneutica eazionalismo critico, Roma, 1980, p. 267).

Gadamer invita a riflettere allora precisamente sul problema del conoscere veritativo dell’uomo,sottolineando che esiste un ampio spettro di saperi che pur tendendo ad un’obiettività esulano dallametodologia tipica della scienza. Il tentativo è proprio quello di proporre una visione complessiva su ciòche le scienze dello spirito in realtà sono, al di là della loro autoconsapevolezza metodologica, e su ciòche le unisce alla totalità della nostra esperienza del mondo (Verità e Metodo Milano, 1972, p. 20).

Uno dei temi cruciali che Gadamer mutua da Heidegger è il movimento di autoappropriazione

del sapere, il cosiddetto circolo ermeneutico indagato dal punto di vista ontologico. Un testo – on codice – arricchisce il suo senso grazie al contesto in cui è inserito, ed al tempo stesso costituiscen elemento del contesto. Il contesto libera quelle informazioni che il testo, isolatamente, trattiene. Ma

l gioco dell’interpretazione pone in campo – ecco l’aggancio all’ontologia – una serie di convinzionie di precomprensioni che costituiscono il punto di vista dell’interprete e che già orientano lo sforzoermeneutico. Siamo dinanzi al problema della storicità del conoscere. Non si tratta, per Gadamer, diiberarsi da questo circuito (il circolo ermeneutico), ma di prenderne consapevolezza e di abitarlosottoponendo a critica i nostri stessi punti di vista (e pregiudizi). Dunque non sono i pregiudizi pericolosiel conoscere, ma l’inconsapevolezza della loro presenza ed operatività. Per Gadamer la ragione stessaon è mai libera dai pregiudizi e quindi esiste solo come ragione reale e storica. Il filosofo però recupera

anche il senso dello sforzo dell’uomo nel corso del tempo e riabilita l’idea di una tradizione che nonè affatto in contrapposizione con la ragione ma anzi custodisce e seleziona il sapere contribuendoall’oggettività.

L’itinerario di Gadamer riserva grande attenzione al linguaggio, ed in un certo modo non sisottrae al fascino che il linguaggio stesso ha esercitato nella riflessione di Heidegger: alla resa dei conti,anche per Gadamer l’essere ed il linguaggio sono intimamente correlati, al punto che si può dire nonche l’uomo parli ma piuttosto che è il linguaggio a parlare ( Die Sprache spricht ). L’uomo si affaccia suquesto svelarsi dell’essere nel linguaggio, ma non come colui che – pur immerso nell’essere – si servedi strumenti ben precisi per penetrare il mistero della realtà piuttosto l’uomo è in attesa del sapere,a verità è come già in Heidegger, uno svelarsi dell’essere e l’uomo si scopre inadeguato, nella propria

imitatezza, a costituire un sapere ontologico in senso forte. Di qui ecco una simmetrica rivalutazionedell’etica, come unico sapere a disposizione dell’uomo, in quanto sapere storico, situato, commisurato

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alla vita dell’uomo, un sapere con cui anche le scienze devono fare i conti: a scienza non è un’anonimaquintessenza di verità ma una posizione umana di fronte alla vita Sulla possibilità di un’etica filosofica,n Ermeneutica e metodica universale, Torino, 1963, p. 161).

L’ermeneutica pone senza dubbio alcune questioni ineludibili per il pensiero filosofico, innanzituttouella della limitatezza storica di coloro che fanno filosofia. Da questo punto di vista la lezione dell’ermeneutica

rrinunciabile e pone la parola ‘fine’ a qualsiasi sogno di stampo hegeliano, ossia alla possibile pretesa cheorga un uomo capace di compendiare in una visione sistematica e soprattutto assoluta tutta la conoscenzael reale.

Tuttavia l’ermeneutica non è olo metodo, ma è anche problematizzazione della verità della possibilit dina conoscenza adeguata del reale nelle sue strutture ontologiche. Su questo versante l’ermeneutica deveolto ad Heidegger e patisce ancora una volta l ’enfatizzazione del ruolo del linguaggio, facendo propria una

isione ontologica particolare (si potrebbe a ragione parlare anche in questo caso di un ‘pregiudizio’) che ponel linguaggio stesso sul versante dell’essere anzich – come invece i classici – sul versante dell’umano e dellaua ‘strumentazione’. Ne risulta indebolito proprio lo spazio della riflessione ontologica, ovvero la capacitàell’intelligenza umana di pervenire ad una conoscenza vera in quegli ambiti che non sono passibili di un

ontrollo sperimentale (tipicamente la metafisica e l’ontologia appunto). Occorre infatti osservare che aglintichi ed ai medievali non sfuggiva affatto la limitatezza del conoscere umano (conoscere la verità ononoscere tutta la verit n gnoravano il fatto che il linguaggio stesso costituisse una sorta di medium tra laagione umana e l’essere e che vincolasse l’uomo alla propria esperienza (San Tommaso sottolinea spesso chea conoscenza deve fare i conti con il modus significandi ovvero con espressioni che l’uomo forgia e matura aartire dalla propria esperienza. Accade cos che noi parliamo dell’eternit ervendoci di un linguaggio forgiatoel tempo, e che parliamo di Dio servendoci di un linguaggio forgiato sulla realtà creata). Tuttavia, proprioerch gli antichi ritenevano che l’adeguatezza del linguaggio con cui ci si esprime fosse essenzialmenten problema di strumenti, riconoscevano che una conoscenza veritativa dell’essere ben possibile, a pattoi guadagnare degli strumenti teoretici in grado di tener conto del modus significandi e dei limiti che neerivano.

Occorre allora cogliere che a partire dall’epoca moderna progressivamente si modifica il rapportoell’uomo con la realt : i moderni ed i contemporanei (per lo pi ) non si attendono dalla realt iò he sittendevano gli antichi. Per gli antichi e soprattutto per la tradizione cristiana – per quanto vedessero la realtàome qualcosa di misterioso e non disponessero delle spiegazioni scientifiche di molti fenomeni di cui oggionosciamo ogni dettaglio – la realt non solo non stranea all’intelligenza, ma non le è é ndifferente noncorrente. La realtà è eologica, ed in questa prospettiva – che fa da sfondo anche al pensare filosofico

 – non ha senso raffigurarsi un essere che si burla dell’uomo, o che si ritira in una ostinata incomunicabilit ncora che, se si dà evita proprio le vie dell’intelligenza e della razionalit Tutto ciò nvece diventa uno scenarioossibile una volta che si sia reciso il tessuto teologico della realtà, che familiarizzava – per cos ire – Dio,

’uomo e il mondo. Ed è urioso osservare che proprio la rimozione di uno sguardo teologico sulla realt frutta

’indebolimento della ragione nei suoi approcci alla realt stessa.

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7e. Karl Raimund Poppere i razionalismo critico

Vienna, 1902 – Londra, 1994)

ovecento e indebolimento e a agione

La frase

Tutta la vita è risolvere problemi

Le Opere

La società aperta e i suoi nemici (1945)

Logica della scoperta scientifica (1959)

Congetture e confutazioni (1963)Rivoluzione o riforme? Un confronto (1971)

Le idee

Il criterio di demarcazione tra teorie scientifiche e non a loro falsificabilit Compito del sapere l sottoporre a costante critica le proprie acquisizioni, tenendole sempre per 

rovvisorie.La verit va considerata come un ideale regolativi, mai come una acquisizione definitiva.

I nodi

Una concezione della ragione come funzione critica, ma non come via alla veritàUna articolazione del sapere forgiata sul modello delle scienze sperimentali.

Il dibattito sulla teoria della conoscenza è stato affrontato in vario modo lungo tutto il Novecento,anche se in tempi più recenti non sembra essere tra i principali problemi della comunità scientifica.Tuttavia all’inizio del XX Secolo vi sono stati forti dibattiti proprio relativamente al problema dellaverità e della validità delle conclusioni delle scienze. In particolare occorre osservare che questo tipodi interesse si accentua portando con sé un netto pregiudizio anti-metafisico, proveniente da un certo – forse eccessivo – entusiasmo per i risultati delle scienze sperimentali. La metafisica appare – è questaa posizione del ‘Circolo di Vienna’ – come un sapere ingannevole proprio perché caratterizzato da unaserie di affermazioni non scientifiche, laddove scientifico significa comprovabile, verificabile.

Al di là però di questa particolare curvatura, peraltro incisiva, del Novecento, vi sono una seriedi posizioni di grande rilievo che hanno inteso porre a tema il problema della conoscenza qualificandolocome uno dei fondamentali problemi filosofici. Tra queste troviamo senza dubbio la lezione di Karlopper.

Karl R. Popper studiò matematica e fisica a Vienna, laureandosi però in filosofia nel 1928. Per alcunianni insegnò matematica e fisica alle scuole secondarie inferiori ma con l’avvento del nazismo – essendodi origine ebraica – riparò in Nuova Zelanda. Alla fine della guerra rientrò in Europa, stabilendosi a

ondra ed insegnando alla London School of Economics.opper si è occupato a lungo della conoscenza ed in particolare della conoscenza scientifica; tuttavia il

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suo intento non è quello di sviluppare una filosofia della scienza, ma piuttosto di analizzare il conosceremano tout court partendo da quel settore ‘esemplare’ che è la ricerca scientifica. Ora, la questione

fondamentale risulta allora essere: cosa posso conoscere, e cosa posso conoscere con certezza?Per Popper ci sono tre possibili risposte: nella teoria della conoscenza possiamo, essenzialmente,

distinguere tre punti di vista. 1) Un punto di vista ottimistico: noi siamo in grado di conoscere il mondo.2) Un punto di vista pessimistico: agli uomini è negata la conoscenza. il punto di vista che oggi viene

solitamente designato come scetticismo. 3) Il terzo punto di vista è quello della scepsi (da skeptomai:mettere alla prova, riflettere, ricercare) nel senso originario della Media Accademia. È anche il punto divista del presocratico Senofane: non possediamo nessun criterio di verità nessun sapere certo; eppureossiamo ricercare e col tempo possiamo, ricercando, trovare il meglio. Stando a questa forma di scepsi

dunque è possibile un progresso del sapere . (I due problemi fondamentali, p.p. XVII-XVIII).Secondo Popper la conoscenza umana non è episteme ma doxa sapere congetturale, provvisorio,

sempre riformabile: noi non possediamo alcuna verità ultimativa, ma solo verosimiglianza. Il camminodel sapere è dato da una continua argomentazione razionale, essendo ogni acquisizione pronta adessere messa in discussione e ad essere riformata secondo indicazioni ed acquisizioni non tanto vere mamigliori.

Pur non nascendo direttamente nel confronto con il neo-Positivismo del Circolo di Vienna, laiflessione di Popper si incontra e scontra con questa scuola. Popper contesta la decisione di adottare ilcriterio di verificazione (di una teoria o di una proposizione) come elemento di demarcazione tra saperescientifico e sapere pseudo-scientifico. Il criterio di verificazione voleva che una teoria fosse accolta comescientifica nel momento in cui venissero raccolti elementi in grado di comprovarla. Teorie per le qualion c’era verificazione possibile non dovevano essere considerate scientifiche ed essere rigettate come

falso-sapere. Popper in parte rifiuta il modo di impostare la questione dato dal neo-Positivismo, masoprattutto rifiuta il criterio proposto: Quando sentii per la prima volta, attorno al 1927, che il Circolodi Vienna aveva accettato la verificabilità come criterio di significato, obiettai immediatamente a questarocedura su due basi del tutto diverse: in primo luogo perché assumere la significanza come criterio

di demarcazione voleva dire etichettare la metafisica come balbettio privo di significato: un dogma che

on mi sentivo di accettare; e in secondo luogo perché la verificabilità veniva proposta come criteriodi significato […]: una soluzione del tutto inadeguata, l’opposto di ciò che abbisognava (Poscritto allaogica della ricerca scientifica vol I, Milano, 1984, pp. 191-2).

Di contro al criterio di verificabilità Popper propone – come chiave di demarcazione trascientifico e non scientifico – il criterio di falsificabilità. Per essere scientifica una teoria non deve essereverificabile o verificata, ma falsificabile: Se uno propone una teoria scientifica, deve essere in gradodi rispondere, come fece Einstein, alla domanda: “sotto quali condizioni dovrei ammettere che la mia teoria è nsostenibile?”. In altre parole, quali fatti concepibili accetterei come confutazioni, o falsificazioni,della mia teoria?» La ricerca non ha fine, p. 44). Il criterio di falsificabilità on pretende che una teoriavenga falsificata, ma che abbia i presupposti logici per po er essere – nel momento in cui si dessero certi

elementi – falsificata.Popper osserva infatti che per molte teorie è facile ottenere delle verifiche o delle conferme se

 – appunto – è ciò che andiamo cercando. In particolare egli contestava la scientificità del marxismo edella sicanalisi teorie in grado apparentemente di spiegare ogni cosa e di ricondurre ogni osservazionedentro i propri schemi di lettura. Ma proprio questa elasticità estrema rendeva l’uno e l’altra pi dellefedi, delle Weltanschauungen che delle dottrine scientifiche quali pretendevano di essere. Ecco perchéa falisificabilità è un pregio per una dottrina, mentre non lo è l’inconfutabilità.

Ma se vale solo il principio di falsificazione, che ne è della verità? Si potrebbe infatti pensareche rinunciare alla possibilità di vedere verificata una teoria significhi rinunciare alla verità per affidarsisoltanto alla doxa, ad un sapere sempre congetturale e mai epistemico.

La posizione di Popper qui si fa ar ticolata. In effetti Popper sposa la definizione classica di veritàcome adaequatio ma ciò che osserva è che – per quanto in se stessa una teoria possa essere vera

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 – a noi manca la possibilità di dimostrala come vera. Proprio perché non possediamo una conoscenzaltimativa, dovremmo rimanere sempre in linea di principio aperti alla falsificazione, ad una falsificazione

che può sempre arrivare, e ciò ci impedisce di conoscere una teoria come vera, quand’anche in se stessao fosse.

Popper si rende d’altra parte ben conto che il sapere umano non è omogeneo: con il criteriodi falsificabilità egli vuole tracciare una demarcazione tra teorie empiriche o scientifiche (che sono

falsificabili) e teorie non scientifiche (che non sono falsificabili), senza però negare che queste ultimefacciano parte in qualche modo del sapere. Con la proposta del razionalismo critico Popper estendeallo spettro del sapere la propria metodologia: ciò che conta è scovare gli errori, perché questi cinsegnano le strade da non percorrere. Si tratta di una metodologia di indagine applicabile anche aifondamenti taciti su cui si muove la propria esperienza ed il proprio modo di considerare la realtà per cui la razionalità assolve un ruolo essenzialmente critico e – per quanto non ci consegni mai la veritàn nessun campo, nemmeno nelle scienze empiriche – mantiene la verità come ideale regolativo, come

 tensione asintotica.La proposta di Popper assume allora una valenza altamente pratica: una teoria per essere

scientifica deve poter essere in linea di principio falsificabile. Ma anche una teoria non scientifica può

essere scelta perché efficace nel risolvere i problemi che ci siamo posti. Qui chiaramente l’efficaciaon va intesa nel senso di offrirci una sorta di ‘quadratura del cerchio’ dei problemi, ma nel senso dina prospettiva che ci consenta di muoverci operativamente con successo dinanzi a questioni che ci

sollecitano ma che pure non possono essere annoverate tra i problemi scientifici.

La proposta di Popper risulta molto articolata e risponde in maniera molto pi icca del neo-Positivismol problema di una demarcazione tra ciò he scientifico e ci che non lo . Tuttavia anzitutto occorreibadire che qui la scientificità è iservata all’ambito delle discipline sperimentali. Non n caso che Popper agioni a partire dal confronto tra le teorie fisiche di Newton e di Einstein. Soltanto in seconda battuta egliorr il problema di cosa farsene di tutto quello spettro del sapere che esula dall’ambito delle disciplinempiriche. Certamente, una volta stabilito il carattere strutturalmente opinativo delle scienze sperimentali

isulter molto difficile attribuire un carattere scientifico (nel senso di epistemico-veritativo) a quelle disciplinehe non godono della possibilit i una verifica sperimentale. Di fatto, la proposta di optare per teorie ‘migliori’ itorce potenzialmente il problema in una direzione diversa: una teoria (tra le non scientifiche) igliore din’altra perch isponde maggiormente a ci he mi aspetto? È igliore perch risolve pi problemi, ma ho

l controllo della complessità dei problemi? Non possibile che risolva i problemi di cui mi rendo conto o chei interessano, mentre invece sia ‘peggiore’ di quella che vado a sostituire nell’affrontare altre questioni che ioon reputo rilevanti? 

La curvatura pratico-operativa che assume il razionalismo critico sortisce – da questo punto di vista – un’altra forma di indebolimento della ragione, perché se da una parte conserva, in certi ambiti, la ver ità

ome ideale asintotico e regolativi, pur sempre rimane che in altri campi del sapere anche questo r iferimento

acilla e tende ad essere sostituito dal criterio di efficacia nel risolvere i problemi.

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7f. Gianni Vattimoe i  pensiero debole

(Torino, 1936)

ovecento e indebolimento e a agione

La frase

Quel che appare sempre pi ovvio nel pensiero postmetafisico contemporaneo è chel vero non è anz tutto la corr spondenza della propos z one alla cosa

Il futuro della religione

Le Opere

Le avventure della differenza. Che cosa significa pensare dopo Nietzsche e Heidegger (1980) Il pensiero debole (1983)

La fine della modernit . Nichilismo ed ermeneutica nella cultura post-moderna (1985)

Credere di credere (2000)

Le idee

Occorre rinunciare all’idea classica di verit di oggettivit tutto è interpretazione.È ana ogni ricerca di un fondamento della realt secondo l’itinerario della metafisica; poesia ed estetica

ono piuttosto i versanti attraverso cui raggiungere la realt .La Chiesa cattolica, per non scomparire, dovrebbe aprirsi ad una razionalità debole, rinunciando all’autoritarismoprivilegiando l’istanza della carit 

I nodi

Una concezione mal fondata (meglio non fondata) del rapporto tra metafisica, verit e autoritarismo.Una prospettiva filosofica ridotta a commento delle tendenze culturali, priva di slancio progettuale.

Gianni Vattimo è stato allievo a Torino di Luigi Pareyson; la sua posizione filosofica convergecon la sensibilità postmoderna che, nel campo del pensiero, si caratterizza per lo più con un rifiutodella ragione classica e dei grandi tentativi di ridefinizione moderna della filosofia. A differenza di altriCacciari, ad esempio) che hanno avviato il proprio percorso a partire dal pensiero marxista, Vattimo siicollega alla tradizione ermeneutica e spiritualista, coltivata in Italia appunto da Pareyson. Gli autori a cuiega la propria speculazione sono principalmente Nietzsche e Heidegger.

Vattimo ha designato per qualche tempo con l’espressione pensiero debole e sue posizionifilosofiche, anche se negli ultimi anni preferisce designarle col termine meno impegnativo di «ermeneutica»ntendendo in tal modo collocarle in quella che ha pi volte definito come la koiné del nostro tempo: lacultura filosofica post-moderna, una cultura che pratica una filosofia o post-filosofia derivante propriodalla eredità di Nietzsche e di Heidegger, e che si richiama anche a Gadamer e – pur con accentidiversi – a Paul RIcoeur, a Richard Rorty e a Jacques Derrida. Il tratto chiave di questa filosofia è il suoantifondazionismo, cioè l rifiuto di intendere la ragione nel senso classico e quindi la negazione che vi

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sia la possibilità di un’indagine razionale ad ampio spettro, capace soprattutto di mantenere saldamentel legame tra il sapere e l’essere.

Il pensiero debole assume nei confronti delle posizioni filosofiche precedenti, e in generaleei confronti del passato, un atteggiamento di pietas ed uno sguardo tra l’ammirato e il disincantato:

ciò che è stato ha significato, ma il significato non apre ad un fondamento. Si tratta di un pensieroche vive l’esperienza post-moderna, che appunto non cerca fondamenti, che non intende progettare,

che indebolisce la tradizione della ragione. Il suo è n atteggiamento di ontologia debole che nonimuove l’essere ma rifiuta di indagarlo secondo i percorsi tradizionali che si esprimono in termini diealtà e verità. L’esperienza della post-modernità si qualifica come un’esperienza ermeneutica, che ha a

che fare più con l’esperienza della poesia e della retorica che con quella della storiografia, della filosofiae della scienza. Il pensiero debole si struttura teoricamente come una prospettiva filosofica aperta eluralista, dove l’aspetto interpretativo prende il sopravvento e scalza ogni pretesa di assolutezza: inn certo senso più che una filosofia il pensiero debole addita un atteggiamento filosofico, un modo

iquido – direbbe Baumann – di rapportarsi alla realtà. Da qui si sviluppa anche un atteggiamento eticocaratterizzato dall’accentuazione della tragicità della vita, delle sue insicurezze, delle sue contraddizioni;n atteggiamento che tendenzialmente si converte in una forma di relativismo e di passività icettiva

ispetto a tutto ciò che accade.Gli ultimi sviluppi del pensiero diVattimo segnano una accentuazione dei temi religiosi ed un ritornoalle riflessioni sul cristianesimo, attenzione innestata essenzialmente in quel sentire diffuso che prediligea distinzione tra Cristo e la Chiesa, ammirando il primo e contestando la tradizione rappresentata dallaseconda. In questo senso si possono leggere gli interventi più recenti di Vattimo, che propugna anche per a Chiesa la necessità dell’abbandono delle forme classiche della razionalità pena la propria dissoluzione:

a sola via che le è aperta – alla Chiesa – per non ritornare una piccola setta fondamentalista comeera, necessariamente, ai suoi inizi, e per sviluppare invece la sua vocazione universale, è assumere ilmessaggio evangelico come principio per la dissoluzione delle pretese dell’oggettività. Non è scandalosodire che non crediamo al Vangelo perché sappiamo che Cristo è isorto, ma crediamo che Cristo èisorto perché o leggiamo nel Vangelo. Un rovesciamento di questo genere è indispensabile per sfuggire

al rovinoso realismo, all’oggettivismo ed al suo corollario, l’autoritarismo, che ha caratterizzato la storiadella Chiesa. Una frase del genere diventa possibile, appunto, nell’età dell’interpretazione; quando,cioèalmeno secondo la mia ipotesi, il cristianesimo ha dispiegato tutto il suo effetto antimetafisico e la realtàsi è ridotta, in tutti i suoi aspetti, a messaggio (Il futuro della religione Milano, garzanti, 2005, p. 52).

Tutta la prospettiva di Vattimo fa perno due assunti ben precisi: non si dà na conoscenza oggettiva, non’ verit in senso proprio, ma soltanto interpretazione; l’oggettività la pretesa che vi sia una qualche verit ono sorgente di violenza e di autoritarismo, proprio perché – non contemplando lo spazio dell’interpretazioneoggettiva – finiscono per ingabbiare la vita degli uomini.

Occorre interrogarsi a fondo su questi assunti, perch attraversano non soltanto la filosofia ma l’interaultura occidentale; di fronte a queste prospettive bisogna anzitutto capire non tanto se l’ermeneutica sia unaosizione filosoficamente accettabile, ma piuttosto se sia così scontato ed automatico (necessario, si direbbe

n termini classici) il passaggio dall’oggettivit dalla verità alla violenza ed all’autoritarismo. Il problema dellaalidità dell’ermeneutica passa qui in secondo piano; il grave difetto della visione proposta da Vattimo il fattoi collegare direttamente l’essere al dover-essere (all’azione), e quindi l’ontologia alla morale. Nella tradizionelassica – specie in quella di caratterizzazione tomista – questa necessità non si dà affatto: la traduzioneall’essere al dover essere è empre prudenziale, cosa che in altri termini (e con tutta cautela, in ogni caso)otremmo qualificare proprio come una traduzione di tipo ermeneutico, una traduzione che richiede tutta

a responsabilità del singolo nel raccordare in autonomia e ragionevolmente le grandi coordinate dell’essere

on le condizioni storiche in cui l’azione umana hiamata a dispiegarsi. In altre parole, per salvaguardare’autonomia e la libert el singolo non ffatto necessario rinunciare ad una comprensione della realtà

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trutturata secondo la sapienza metafisica fatta propria anche dalla tradizione cristiana: che realismo(metafisica) ed autoritarismo siano necessariamente correlati è una opinione che Vattimo non si preoccupai argomentare dal punto di vista filosofico e che, sempre da questo punto di vista, riva di fondamento.

Tuttavia non è possibile liquidare la questione fermandosi sul versante speculativo: infatti l’opinione di Vattimorae alimento non sul terreno filosofico, dove risulta inconsistente, ma sul terreno storico. Qui egli proponeuesto ragionamento: la Chiesa ha assunto come quadro di riferimento il pensare metafisico con le categorie

ell’oggettività con la nozione classica di verit la Chiesa si è istinta nella storia per una notevole rigiditàottrinale che – mettendo in primo piano le esigenze dell’oggettivit – ha molto spesso violato la dignità degliomini, giudicandoli secondo certe verità non secondo carit dunque l’adozione di un quadro di razionalit diipo metafisico è premessa per l’autoritarismo, la costrizione ed il misconoscimento delle esigenze della carit 

Questa argomentazione non di nessun rilievo dal punto di vista filosofico, perch videntemente attribuisced un modo di intendere la razionalit istorsioni ed errori di cui gli uomini, e non le filosofie, portano laesponsabilit . La posizione di Vattimo pone dunque seri interrogativi, che per nvestono pi ’immagine cheChiesa offre molto spesso di se stessa che non il quadro di pensiero che la tradizione della Chiesa ha fattoroprio.

Da questo punto di vista si pu llora ben dire che in molti aspetti la filosofia debole di Vattimo si

adica molto pi saldamente nella sua esperienza biografica e nel suo travagliato rapporto con la Chiesatessa che non in un indagine accurata e speculativamente convincente sulla relazione tra essere, verit ealismo e violenza.

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