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CRISI E RISANAMENTO Strumenti, tecniche e soluzioni concorsuali BIMESTRALE zero 2013 Da leggere Sostenibilità e fattibilità dei “piani di risanamento” nelle soluzioni negoziali della crisi d’impresa Concordato preventivo e affitto di azienda Deducibilità delle perdite su crediti e procedure concorsuali La relazione dell’attestatore nel concordato liquidatorio Il ruolo del collegio sindacale nella crisi d’impresa

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CRISI E RISANAMENTOStrumenti, tecniche e soluzioni concorsuali

BIMESTRALEzero 2013

Da leggere

Sostenibilità e fattibilità dei “piani di risanamento” nelle soluzioni negoziali della crisi d’impresa

Concordato preventivo e affitto di azienda

Deducibilità delle perdite su crediti e procedure concorsuali

La relazione dell’attestatore nel concordato liquidatorio

Il ruolo del collegio sindacale nella crisi d’impresa

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Crisi e Risanamento n.0/13

EditorialeScommettiamo sul risanamento

DirittoIl concordato in bianco: le recenti modifiche recate dal Decreto “Fare”Con il Decreto Legge n.69 del 21 giugno 2013 cosiddetto Decreto “Fare”, all’art.81 sono state disposte nuove modalità di presentazione della domanda di concordato in bianco al fine di aumentare la trasparenza di informativa. L’obiettivo ultimo è quello di tutelare maggiormente la massa creditoria. Le modifiche apportate alla Legge Fallimentare possono essere riscontrate nei commi 6,7 e 8 dell’art.161 L.F.

di Paola Mazza

Prededucibilità dei compensi dei professionisti dopo la Legge n.134/12La Legge n.134/12 rappresenta, al momento, l’ultimo intervento legislativo in tema di prededucibilità dei crediti nell’ambito del fallimento. Dopo aver descritto l’excursus normativo della norma di riferimento, l’analisi si sviluppo distinguendo tra crediti professionali nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione del debito.

di Flavia Silla

La relazione dell’attestatore nel concordato liquidatorio: il caso di un pastificioViene riportato un esempio di attestazione in un caso di concordato preventivo con finalità liquidatorie. Il caso tratta di una società a responsabilità limitata che non è stata in grado di avviare un programma di ammodernamento dei macchinari e delle attrezzature, non ha trovato partner strategici ed è stata costretta a cedere tutto per soddisfare i creditori. L’esame dell’attestatore, terzo e indipendente, ha portato a un giudizio di fattibilità. Il Tribunale ha quindi dichiarato aperta con decreto la procedura e il concordato è stato successivamente approvato dai creditori.

di Massimo Conigliaro

Il ruolo del collegio sindacale nella crisi d’impresaNel set delle Norme di comportamento del collegio sindacale in vigore dal 1 gennaio 2012 predisposto a cura del Cndcec è inclusa la Norma n.11 intitolata “Attività del collegio sindacale nella crisi di impresa”. Si tratta nel dettaglio di sei linee guida, ciascuna dedicata a una specifica fattispecie in un crescendo di intensità della fase “patologica” della vita dell’impresa, a cui possono ispirarsi i professionisti che rivestono incarichi in organi di controllo di società che si trovano, o sono in procinto di trovarsi, in stato di crisi, al fine di orientare la propria attività in considerazione della particolare condizione di criticità societaria. Si tratta di situazioni in cui è fortemente accentuato anche il profilo di responsabilità a cui sono esposti gli organi di controllo, con la conseguenza che è quanto mai opportuno che essi adottino preventivamente un modus operandi in linea con la diligenza professionale che è richiesta dalle indicazioni che si traggono dai molteplici spunti giurisprudenziali, e anche allo scopo di poter dimostrare a posteriori di avere agito secondo la legge ed in aderenza agli standard professionali di riferimento.

di Fabio Landuzzi

L’applicazione della regola della “par condicio creditorum”. Tipologie e caratteristiche dei crediti privilegiatiIl Legislatore ha previsto il principio generale della par condicio creditorum ma ha anche individuato alcune fattispecie in cui tale regola non deve essere applicata. Dopo aver delineato le caratteristiche del privilegio, sia esso generale, mobiliare o immobiliare, si analizza il grado dei privilegi stessi. Da ultimo si evidenziano le cause di estinzione del privilegio.

di Andrea Silla

I presupposti della responsabilità degli amministratori e dei sindaci nelle fasi preconcorsualiLa responsabilità degli amministratori e dei sindaci durante lo stato di crisi della società si sostanzia principalmente nell’obbligo, per gli uni, di manifestare e facilitare la verifica della crisi e la procedura liquidatoria, e per gli altri, di vigilare che questi ultimi pongano in essere tutti gli atti necessari alla corretta evidenziazione dell’insolvenza e della conseguente liquidazione patrimoniale.

di Luigi Ferrajoli

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Crisi e Risanamento n.0/13

OperativitàSostenibilità e fattibilità dei “piani di risanamento” nelle soluzioni negoziali della crisi d’impresaNell’utilizzo degli istituti per la composizione della crisi con finalità di risanamento previsti dalla Legge Fallimentare, particolare attenzione dev’essere rivolta alla predisposizione del “piano”, che assume la connotazione di un business plan della crisi. Il piano di risanamento deve evidenziare che i flussi finanziari generati dalla prospettata continuazione dell’attività d’impresa siano “sostenibili”, idonei a realizzare la prefigurata “manovra finanziaria” da negoziare con i creditori (banche, fornitori ed erario), “compatibili” con le peculiarità dello strumento legale in cui s’innesta, e, soprattutto, consentano una migliore soddisfazione dei creditori rispetto all’alternativa liquidazione atomistica dei beni costituenti l’azienda in crisi da risanare.

di Pietro Paolo Papaleo

Concordato preventivo e affitto di aziendaLe novità che nelle opzioni disponibili per la strutturazione del piano di risanamento ha introdotto il D.L. n.83/12, con efficacia dall’11 settembre del 2012, non hanno risolto radicalmente le problematiche connesse all’applicabilità dell’art.2560 c.c. consolidando l’utilizzo dell’istituto dell’affitto di azienda come soluzione più frequentemente adottata per evitare soluzioni di continuità nella gestione e nel contempo fruire della garanzia rispetto al subentro nelle responsabilità patrimoniali del debitore che solo l’acquisto dalla procedura offre. L’affitto di azienda è quindi ancora uno degli strumenti più utilizzati in questi casi, secondo una prassi piuttosto collaudata ed efficiente. Lo scenario peraltro è particolare, e alcune cautele vanno evidenziate.

di Claudio Ceradini

Il rapporto con le banche, le segnalazioni, gli effetti sull’accesso al credito e la valenza informativa della Centrale RischiLa Centrale Rischi è una importante banca dati a disposizione del sistema del credito che si fonda sulle segnalazioni da parte delle banche finanziatrici in merito alla quantità e alla qualità delle esposizioni in essere presso la clientela (tipicamente imprese e famiglie). La lettura delle informazioni in Centrale Rischi orienta le politiche di affidamento delle banche attraverso il peso che questi dati hanno nella costruzione del rating. Le imprese (e spesso molti dei professionisti che le seguono) conoscono e usano poco la Centrale Rischi e tendono conseguentemente ad attribuire poco peso a dati fondamentali quali lo sconfino sulle linee autoliquidanti o a revoca o l’insoluto sulle rate di un mutuo. Il presente lavoro vuole essere un contributo volto a chiarire meglio il funzionamento della Centrale Rischi e come da minaccia possa diventare per le imprese sane ma in transitoria difficoltà finanziaria una opportunità per minimizzare i possibili rischi derivanti dal sistema bancario.

di Massimo Buogiorno e Marco Capra

Ristrutturazione del debito e principio contabile Oic 6Nell’ambito delle ristrutturazioni aziendali, sono sempre più frequenti le operazioni di ristrutturazione del debito, che tipicamente coinvolgono le banche e, in misura inferiore, i fornitori. Il principio contabile Oic 6 tratta gli aspetti contabili e l’informativa di bilancio relativi alla ristrutturazione del debito. L’elemento che differenza un’operazione di rinegoziazione da quella di ristrutturazione è che nella prima non si verificano contemporaneamente le condizioni tipiche di una ristrutturazione ovvero la presenza di una situazione di difficoltà finanziaria unita alla concessione del creditore che produce un beneficio per il debitore, cui corrisponde una perdita per il creditore stesso.

di Roberto Moro Visconti

FiscalitàDeducibilità delle perdite su crediti e procedure concorsualiRilevanza fiscale delle perdite su crediti sotto la lente del Legislatore. Il D.L. n.83/12, convertito, con modificazioni, dalla L. n.134/12, ha introdotto innovazioni riguardanti, tra l’altro, la disciplina riguardante il rapporto tra deducibilità delle perdite su crediti e procedure concorsuali. Già Assonime, con circolare n.15 del 13 maggio 2013, aveva segnalato le principali questioni interpretative e le residue criticità applicative. Gli ultimi due paragrafi della circolare n.26/E/13, forniscono chiarimenti sul regime delle perdite su crediti nel caso in cui il debitore è stato ammesso a procedure concorsuali o ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti, ovvero quando risultano cancellati dal bilancio di un soggetto Ias adopter in dipendenza di eventi estintivi.

di Attilio Romano

Esenzione delle plusvalenze per i beni ceduti nel concordatoNell’ambito del concordato preventivo, la cessione di beni a favore dei creditori non fa sorgere plusvalenze imponibili in capo al contribuente cedente: si tratta di una disposizione i cui contorni non risultano ben definititi e per la quale non è del tutto chiara la portata. I dubbi riguardano anche la possibilità di estenderne l’utilizzo anche ad altre soluzioni di definizione della crisi d’impresa (non menzionate nel testo della norma).

di Fabio Garrini

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OsservatorioProfessionalità, indipendenza e responsabilità dell’attestatore: la Circolare dell’Irdcec n.30/IR/13

di Massimo Conigliaro

Consiglio Notarile dei distretti riuniti di Firenze, Pistoia e Prato: orientamento su «Delibera che approva la domanda di concordato “con riserva” ex art.161, co.6 L.F. e intervento notarile»

di Lorenzo Salvatore e Beatrice Corradini

Sentenza del Tribunale di Genova, Corte d’Appello rep. n.1326, depositata il 27/07/13di Claudio Ceradini

Commento alla sentenza della corte di Cassazione SS.UU. n.1521/13di Paola Mazza

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EDITORE E PROPRIETARIOGruppo Euroconference SpaVIa E. Fermi, 11 - 37135 Verona

DIRETTORE RESPONSABILEFabio Garrini

DIREZIONE E COORDINAMENTO SCIENTIFICOClaudio Ceradini – dottore commercialista in Verona do-cente a contratto Università di Verona

Massimo Conigliaro – dottore commercialista, pubblicista e professore incaricato di diritto tributario SSEF

COMITATO SCIENTIFICOMarco Cavazzutti - direzione generale Restructuring Italy Unicredit Spa

Bruno Conca - giudice delegato sezione fallimentare Tribunale di Torino

Pietro Paolo Papaleo - dottore commercialista e revisore legale, partner Pollio & Associati

Marco Passalacqua - avvocato in Roma, partner Bonelli Erede Pappalardo

Bruno Piazzola – avvocato in Verona

Lorenzo Salvatore - notaio in Verona e professore a contratto presso la Facoltà di Giurisprudenza Università degli Studi di Verona.

REDAZIONEMilena Martini

Registrazione del tribunale di Verona n.1995 del 5 settembre 2013Iscrizione ROC 11 dicembre 2003 n.8249

SERVIZIO CLIENTIPer informazioni su abbonamenti, argomenti tratta-ti, numeri arretrati, cambi di indirizzo telefonare al n.045/8201828 - fax 045/502430e-mail: [email protected]

PERIODICITÀ E DISTRIBUZIONEBimestraleVendita esclusiva per abbonamento

ABBONAMENTO ANNUALE 2014Euro 180 Iva esclusa

Eventuali numeri non pervenuti devono essere reclamati via mail al servizio clienti non appena ricevuto il numero successivo

Per i contenuti di “Crisi e Risanamento” Gruppo Euroconference Spa comunica di aver assolto agli obblighi derivanti dalla normativa sul diritto d’autore e sui diritti connessi. La violazione dei diritti dei titolari del diritto d’autore e dei diritti connessi comporta l’applicazione delle sanzioni previste dal capo III del titolo III della legge 22.04.1941 n.633 e succ. mod.Tutti i contenuti presenti sul nostro sito web e nel materiale scientifico edito da Gruppo Euroconference Spa sono soggetti a copyright. Qualsiasi riprodu-zione e divulgazione e/o utilizzo anche parziale, non autorizzato espressamente da Gruppo Euroconference Spa è vietato. La violazione sarà perseguita a norma di legge. Gli autori e l’editore declinano ogni responsabilità per eventuali errori e/o inesattezze relative all’elaborazione dei contenuti presenti nelle riviste e testi editi e/o nel materiale pubblicato nelle dispense. Gli autori, pur garantendo la massima affidabilità dell’opera, non rispondono di danni derivanti dall’uso dei dati e delle notizie ivi contenute. L’editore non risponde di eventuali danni causati da involontari refusi o errori di stampa.

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EDITORIALEScommettiamo sul risanamento

Una nuova rivista è sempre una scommessa. Per varie ragioni. Il panorama dell’editoria – sia essa cartacea che telematica - appare sempre più affollato. Ogni settore, anche di estrema specializzazione, ha la sua rivista di riferimento. E probabilmente non sfugge a questa regola nemmeno il mondo del diritto fallimentare e della crisi d’impresa. Una sera a cena – come spesso accade in questi casi – abbiamo fatto una considerazione che si è presto trasfor-mata in questa nuova avventura editoriale. Ci siamo chiesti: siamo proprio sicuri che i commercialisti abbiano lo strumento che desiderano per offrire sup-porto e consulenza agli imprenditori in crisi? Forse no è la risposta che ci siamo dati. E abbiamo cominciato a pensare a una rivista dedicata non solo ai professionisti che, avendone fatto un’area di specializzazione, si de-dicano quasi esclusivamente alla materia fallimentare (curatori fallimentari, commissari liquidatori, consulenti) ma anche e soprattutto a chi deve conoscere gli strumenti oggi disponibili e sempre più efficaci per gestire antici-patamente la crisi e “salvare” l’azienda in difficoltà. La crisi generalizzata del sistema economico rende centrale il tema, e la capacità di intervento tempestivo ed efficace, in un ambito peraltro complesso, è oggi irrinunciabile.L’obiettivo è quello di offrire di volta in volta una sintesi ragionata dei diversi aspetti della materia, non soltanto sotto il profilo giuridico, ma anche di pianificazione economica e finanziaria; irrinunciabile è poi la valutazione delle problematiche anche sotto l’aspetto fiscale e tributario. Lo spirito è quello di approfondire modalità e strumenti per intercettare le condizioni di crisi, e cogliere ogni possibile opportunità di risanamento, per evitare quanto più possibile l’esito fallimentare. La parola d’ordine è quindi ottimismo, unito alla concretezza delle possibilità oggi disponibili. Il fallimento è la morte dell’imprendito-re, e deve costituire l’estrema ratio per tutelare la par condicio creditorum, perfetta giuridicamente e come noto inconsistente dal punto di vista sostanziale. Affronteremo ovviamente anche i temi della quotidiana attività di curatori fallimentari e consulenti fiscali delle procedure concorsuali, privilegiando sempre l’aspetto operativo e la soluzione di casi concreti.Ci occuperemo quindi:• di diritto, per evidenziare struttura ed evoluzione sia interpretativa sia di prassi applicativa, professionale e

processuale, degli strumenti disponibili e dei diversi soggetti coinvolti, a vario titolo; • di aspetti operativi, principalmente incentrati sulla costruzione dei piani di risanamento nei suoi aspetti

numerici e verificando la possibilità e l’opportunità di utilizzo delle operazioni straordinarie che si rendono necessarie;

• di aspetti fiscali, analizzando le diverse problematiche che la gestione del risanamento genera, per imposte dirette ed indirette, e con riferimento sia al debitore che ai creditori.

Infine, l’osservatorio includerà costantemente le principali e più significative pronunce giurisprudenziali e gli orientamenti della prassi, provvedendo a un sintetico commento che ne evidenzi la portata e l’impatto sul lavoro quotidiano di chi si occupa di risanamento, direttamente o indirettamente; in sostanza, un po’ di tutti.Un approccio positivo, per far crescere le nostre imprese in crisi: ecco spiegato il motivo per il quale scommettia-mo sul risanamento.

Claudio Ceradini Massimo Conigliaro

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Il concordato in bianco: le recenti modifiche recate dal Decreto “Fare”di Paola Mazza - dottore commercialista e revisore legale

Con il Decreto Legge n.69 del 21 giugno 2013 cosiddetto Decreto “Fare”, all’art.82 sono state disposte nuove modalità di presentazione della domanda di concordato in bianco al fine di aumentarne la trasparenza informativa. L’obiettivo ultimo è quello di tutelare maggiormente la massa creditoria. Le modifiche apportate alla Legge Fallimentare possono essere riscontrate nei commi 6,7 e 8 dell’art.161 L.F.

Il concordato preventivo, anche nella sua eccezione di concordato in bianco, costituisce un istituito pre-visto nell’ambito delle procedure concorsuali che per il fatto stesso di aver recato vantaggi alle imprese de-rivanti dall’accesso alla procedura giudiziale, ha tro-vato un’ampia diffusione, determinando una crescita esponenziale di imprese in crisi che ne hanno fruito. La logica che fu posta alla base dell’introduzione dell’istituto del concordato in bianco (L. n.134/12), e che sussiste tutt’ora, fu quella di consentire sia al de-bitore che al creditore di ridurre il più possibile i dan-ni derivanti dallo stato di crisi economico finanziaria: se, infatti, il debitore utilizzando detto istituto può avere il tempo di predisporre un piano di risanamen-to da presentare ai suoi creditori per il pagamento dei debiti pendenti e quindi per sfuggire al fallimento, i creditori, dall’altro canto, beneficiano del controllo giudiziale posto sull’attività del debitore a garanzia del loro credito. Gli effetti benefici generati dall’ap-plicazione dell’istituto hanno, però, determinato un risultato finale che non fu contemplato in fase di isti-tuzione dello stesso, scaturente dall’utilizzo impro-prio dell’istituto, tanto da richiedere a poco tempo dalla sua introduzione, un intervento legislativo per porre rimedio alle diverse criticità derivanti dalla sua applicazione degenerata che hanno determinato ri-percussioni negative sul mercato economico.

L’istituto del concordato in bianco in breveA grandi linee si rappresenta che la procedura del-la richiesta di ammissione al concordato può essere formulata dall’imprenditore individuale, dalle so-cietà, dalle associazioni o anche da un diverso ente, sempre che sussistano le condizioni previste dalla di-sciplina fallimentare, ossia necessita che il soggetto interessato eserciti un’attività commerciale (dunque sia un soggetto fallibile), versi in uno stato di crisi o di insolvenza (da intendersi come ogni fenomeno di difficoltà economica finanziaria del debitore fra cui

tanto le crisi reversibili che lo stato di insolvenza) ed ecceda le soglie di fallibilità indicate dalla legge.Inoltre, perché possa trovare applicazione il concor-dato preventivo abbisogna che tale accordo sia ap-provato dalla maggioranza dei creditori aventi diritto di voto, maggioranza che va quantificata non in base al numero ma in base al valore. Sembra utile ricordare, poi, che la richiesta del con-cordato, accompagnata da una relazione predispo-sta da un professionista designato dal debitore che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, deve essere omologata dal Tribunale territo-rialmente competente.

Nell’ipotesi in cui sussistano tutti i requisiti ri-chiesti dalla normativa, il procedimento si chiu-de con l’omologa, in caso inverso si chiude con la declaratoria di inammissibilità della proposta ex art.162 L.F..

Se vi è l’omologazione, il concordato diventa obbliga-torio per tutti i creditori anteriori al decreto di aper-tura della procedura di concordato. È previsto, poi, il compito in capo alla cancelleria del Tribunale di rendere pubblico il decreto di omologa, avendo cura di trasmettere l’informazione al Regi-stro Imprese a tutela dei terzi.

Il vecchio istitutoPrima di analizzare le principali novità recate dalla novella, sembra utile soffermarsi sugli aspetti funzio-nali della normativa antecedenti alla sua modifica ed evidenziare le peculiarità dell’istituto.In primis si ricorda che lo strumento concorsuale del concordato preventivo in bianco o con riserva è sta-to introdotto dalla L. n.134/12 (conversione del D.L. n.83/12). Lo stesso, disciplinato dal co.6 dell’art.161 L.F., disponeva la possibilità di depositare, con de-correnza 11 settembre 2012, l’istanza mediante la quale veniva chiesto di potersi avvalere del concor-

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dato preventivo in bianco in modo disgiunto dalla proposta di concordato e dal piano.L’imprenditore quindi, come disposto dalla norma introdotta dal D.L. n.83/12, poteva depositare il ri-corso contenente la domanda di concordato unita-mente ai bilanci concernenti gli ultimi tre esercizi, riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione prevista tra cui:a) un’aggiornata relazione sulla situazione patrimo-

niale, economica e finanziaria dell’impresa;b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e

l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazio-ne dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;

c) l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;

d) il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili;

e) un piano contenente la descrizione analitica del-le modalità e dei tempi di adempimento della proposta.

Fino a poco fa vi era, quindi, la possibilità per un im-prenditore di presentare una domanda di concorda-to in bianco senza fornire alcun’indicazione in merito all’offerta proposta ai creditori, alla tipologia di con-cordato che voleva applicare, alle modalità della sua esecuzione.In altri termini, la procedura era avviata semplice-mente mediante la presentazione dell’apposita do-manda con il differimento del deposito del piano concordatario ma ottenendo di contro un ampio be-neficio, ossia l’immediata protezione del patrimonio del debitore. Come noto, l’imprenditore che si avvale di tale istitu-to concordatario gode degli effetti protettivi tipici del procedimento, avendo il vantaggio di poter sfuggire con la massima tempestività alle azioni esecutive ed a quelle cautelari promosse o proseguite sul patrimo-nio del debitore successivamente alla pubblicazione del ricorso. In conformità a quanto previsto, infatti, dall’art.168 L.F. vige il divieto per i creditori di intra-prendere o di proseguire azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore a decorrere dalla data di pubblicazione del ricorso nel Registro Imprese.Si comprende, quindi, come la procedura concor-dataria si sia prestata al suo uso distorto e abbia fa-vorito gli imprenditori in crisi, consentendo loro di ottenere la protezione da azioni esecutive semplice-mente mediante la presentazione della richiesta di concordato.Da ciò è conseguito, come già evidenziato, che detto istituto è stato utilizzato innumerevoli volte anche

solo in modo strumentale per sfuggire al fallimento o per evitare l’applicazione di procedure esecutive in corso, presentando istanze senza mai farle seguire dal deposito della documentazione necessaria alla precisazione di piano e proposta ai creditori. Dinan-zi a tale quadro si è resa necessaria una parziale re-visione delle disposizioni normative che regolano il concordato in bianco al fine di tutelare in maggior misura la massa creditoria.

Le problematiche nate dall’applicazione del concordato con riservaIn un periodo di forte crisi finanziaria del Paese era-no state previste disposizioni utili a supportare gli imprenditori in difficoltà economica e a prediligere la continuità aziendale per una pronta emersione dalla crisi stessa e con lo scopo ultimo di rilanciare l’im-prenditoria, ed è in tale direzione che fu introdotto il concordato in bianco.Ma la messa in atto delle disposizioni inerenti detto istituto, prevedendo molti fattori utili a favorire le im-prese in difficoltà, ha determinato, nei fatti, un effetto distorsivo del mercato economico avendo più volte gli imprenditori fattone un impiego spregiudicato. Ne è derivato che il concordato bianco, nato per salva-guardare l’assetto di aziende in grado di rimanere in vita, si è trasformato in elemento di forte distorsione del mercato permettendo di attribuire forza contrat-tuale a chi si è comportato peggio. L’uso, o meglio l’a-buso, della norma da parte di debitori insolventi ha richiesto, di conseguenza, interventi legislativi utili a modificare alcuni aspetti della procedura concorda-taria che, pur se nata anche a tutela dei creditori e per permettere ad alcune aziende di poter ripartire, e quindi di poter salvaguardare anche la forza lavoro, ha originato effetti abusivi dell’istituto.

Le modifiche introdotte dal Decreto “Fare”Alla luce di quanto esposto, lo strumento nato per proteggere l’imprenditore nel tentativo di un risa-namento aziendale è stato rinnovato in suoi diversi punti, fissando tra gli obiettivi principali la tutela del-la massa dei creditori.

Con il D.L. n.69/13 cosiddetto Decreto “Fare”, all’art.82 sono state definite nuove modalità di presentazione della domanda di concordato in bianco, aumentando in particolar modo la tra-sparenza informativa.

Con le modifiche introdotte sono stati variati ed integra-ti il sesto, il settimo e l’ottavo comma dell’art.161 L.F..

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Relazione della gestione finanziariaIl Legislatore, con i cambiamenti recati all’art.161 del R.D. n.267/42 (cosiddetta Legge Fallimentare) ha previsto, tra gli aspetti di maggior rilievo, l’obbligo in capo al debitore di fornire periodicamente notizie anche inerenti la gestione finanziaria dell’impresa. L’obbiettivo che si pone tale intervento normativo è quello di evitare l’uso strumentale della procedura da parte di quegli imprenditori che intendono avva-lersene esclusivamente con il fine di dilatare i tempi rispetto alla dichiarazione di fallimento o per prose-guire l’attività esponendosi al rischio di depauperare l’azienda dei beni a danno del ceto creditorio.

Nella nuova formulazione il co.8 dell’art.161, reca una significativa innovazione, prevedendo che il debitore dovrà relazionare con cadenza mensile anche in merito alla gestione finanziaria dell’im-presa e all’attività compiuta dallo stesso ai fini della predisposizione della proposta e del piano.Il debitore deve relazionare con cadenza mensile an-che in merito alla gestione finanziaria dell’impresa.

La situazione finanziaria resa dal debitore mensil-mente deve essere pubblicata al Registro Imprese dal cancelliere entro le ventiquattro ore successive al deposito. L’intento che si pone la novella normati-va vuole essere, per questa ragione, quello di evitare comportamenti che determinino danni al ceto credi-torio, vigilando con costanza sull’andamento dell’at-tività aziendale, e ottenere al contempo gli strumenti per valutare la serietà della domanda concordataria, imponendo obblighi informativi in capo al debitore.

Predisposizione dell’elenco dei creditori Al fine di impedire condotte abusive, e sempre nella logica di tutelare la massa creditoria, le modifiche re-cate alla disposizione normativa prevedono, inoltre, che l’impresa non potrà più limitarsi alla semplice istanza iniziale di concordato in bianco, in quanto è stato previsto l’obbligo di depositare l’elenco dei suoi creditori ossia, in parole più semplici, dei suoi debiti. Infatti, una delle novità più significative, recata dalle modifiche apportate alla disciplina del concordato in bianco, può essere riscontrata nel sesto comma dell’art.161 L.F., il quale ora dispone che

l’imprenditore che depositi il ricorso contenente la domanda di concordato, oltre ai bilanci degli ultimi tre esercizi, sia tenuto a presentare anche l’elenco nominativo dei creditori con l’indicazio-ne dei rispettivi crediti.

Obbligo di depositare unitamente all’istanza anche l’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti.

Nomina del commissario giudizialeLa novella prevede, inoltre, la possibilità di nomina-re da subito un commissario giudiziale con lo scopo precipuo di verificare se l’impresa in crisi si stia ado-perando per predisporre una compiuta proposta di pagamento ai creditori. Il commissario avrà, quindi, funzioni di controllo e di consulenza, assumendo la veste di ausiliario del giudice.

Possibilità di nominare un commissario giudizia-le con funzioni sia di controllore dell’operato del debitore che di consulente del giudice.

Inoltre, ai sensi dell’art.173 L.F., qualora il commis-sario accerti che il debitore abbia occultato o dis-simulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, ha esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, è tenu-to a riferire dell’accaduto al Tribunale; ciò in quanto, nell’ipotesi si riscontrassero atti in frode ai creditori, il Tribunale può disporre la chiusura della procedu-ra, dichiarandone l’improcedibilità ancor prima del-la decorrenza dei termini previsti per la pronuncia dell’ammissibilità o meno del concordato. In tale evenienza viene fissata l’udienza ai sensi dell’art.162 L.F. per la dichiarazione di fallimento del debitore. Nell’ipotesi in cui sia stato nominato, il commissario giudiziale ha altresì l’onere di esprimere il proprio parere in merito agli atti di straordinaria ammini-strazione posti in essere dal debitore. La nuova nor-ma ha, appunto, modificato anche il co.7 del citato art.161, prevedendo che il debitore possa compiere atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del Tribunale, che a sua volta è tenu-to ad acquisire anche il parere del commissario giu-diziale, se nominato.

Il commissario giudiziale ha l’onere di esprimere il proprio parere in merito agli atti di straordina-ria amministrazione posti in essere dal debitore.

Il commissario giudiziale sarà scelto dal Tribunale competente tra i professionisti iscritti negli Albi pro-fessionali degli avvocati, dei dottori commercialisti o dei ragionieri.

Termini deposito documentiLa novella norma non ha recato cambiamenti in me-rito al termine entro il quale deve essere prodotta l’ordinaria documentazione in seguito al deposito

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della domanda di concordato - e cioè la proposta dettagliata, il piano economico con cui si intende che questa venga realizzata e la relazione di attestazio-ne del piano -, che è fissato dal giudice tra 60 e 120 giorni, prorogabili, in presenza di giustificati motivi, di non oltre 60 giorni (nell’ipotesi vi sia in pendenza un procedimento per la dichiarazione di fallimento il termine è necessariamente di 60 giorni).

Il termine entro il quale deve essere prodotta l’ordinaria documentazione in seguito al deposi-to della domanda di concordato è fissato dal giu-dice tra 60 e 120 giorni.

Durante tale arco temporale, ovvero sino a che il Tri-bunale non si sia pronunciato sulla domanda di con-cordato, integrata e completata di tutti gli elementi necessari, l’imprenditore conserva la gestione ordi-naria dell’attività, mentre, per ciò che concerne gli atti urgenti di straordinaria amministrazione, questi, come già riportato sopra, devono essere autorizzati dal Tribunale.Si rileva che non sono state apportate variazioni neppure al comma 5 del testo normativo. Per que-sto motivo sussiste ancora l’onere per il cancelliere di comunicare al Registro Imprese la domanda di concordato entro il giorno successivo al deposito in cancelleria.

Spunti di riflessioneIn conclusione, è possibile affermare che i cambia-menti apportati dal Governo siano stati prevalente-mente indirizzati ad aumentare la trasparenza infor-mativa nella fase di pre-concordato, in quanto tutti tesi alla tutela dei terzi dagli abusi. Basti pensare al fatto che è stata resa obbligatoria la relazione mensi-le sulla gestione finanziaria. Si fa notare, che in virtù della ratio della norma, le modifiche recate dal D.L. n.69/13, non appena en-trate in vigore, sono state applicate dai Tribunali non soltanto ai nuovi ricorsi di concordato ma anche alle procedure già pendenti. In tal modo si è voluto forni-re al Tribunale uno strumento di controllo dell’ope-rato delle società (Tribunale di Terni, 31 luglio 2013, Tribunale di Pavia, 26 giugno 2013). Va, infine, segnalato che un fenomeno che potrebbe scaturire dall’applicazione della nuova normativa è l’aumento di dichiarazioni di fallimento in seguito a denunce da parte dei commissari giudiziali nominati dal tribunale che, alla presenza di rilevazioni di omis-sioni, di omissione di crediti o comportamenti tesi

a frodare i creditori commessi dal debitore, ai sensi dell’art.173 L.F., sono tenuti, come sopra detto, a re-lazionare il Tribunale.

Normativa

Art.161 L.F. Art.162 L.F.Art.173 L.F.

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Prededucibilità dei compensi dei professioni-sti dopo la Legge n.134/12di Flavia Silla - avvocato e dottore commercialista

La Legge n.134/12 rappresenta, al momento, l’ultimo intervento legislativo in tema di prededucibilità dei crediti nell’ambito del fallimento. Dopo aver descritto l’excursus normativo della norma di riferimento, l’analisi si sviluppo distinguendo tra crediti professionali nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione del debito.

L’evoluzione normativaLa Legge n.134/12 rappresenta, al momento, l’ulti-mo intervento legislativo in tema di prededucibilità dei crediti nell’ambito del fallimento.Con la riforma del 2006, l’innovato art.111, co.2, L.F. aveva infatti precisato che sono considerati cre-diti prededucibili “quelli così qualificati da una spe-cifica disposizione di legge e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge”.I crediti sorti in occasione delle procedure concorsua-li sono, dunque, quelli che hanno con la procedura un rapporto di mera contestualità cronologica (a esem-pio le spese sorte in occasione di un concordato pre-ventivo che non avendo avuto buon esito è sfociato nel fallimento); i crediti sorti in funzione delle proce-dure concorsuali sono, invece, quelli collegati ad esse da un nesso strumentale.Fermo restando la formula dell’art.111, co.2 L.F., il D.L. n.78/10 convertito con modificazioni dalla L. n.122/10 ha poi introdotto l’art.182-quater, prevedendo la pre-deducibilità per una serie di specifici crediti. Tra l’al-tro, ha attribuito tale natura ai crediti per i compensi spettanti al professionista incaricato di predisporre la relazione di cui agli artt.161, co.3, e 182-bis, co.1, purché ciò fosse espressamente disposto nel provve-dimento con cui il Tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo o di omologa dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.Successivamente, il D.L. n.83/12 convertito dalla L. n.134/12 ha eliminato dall’art.182-quater il suo co.4 e quindi ogni riferimento alla prededucibilità dei crediti per i compensi spettanti al professionista attestatore.

Il credito per il compenso del professioni-sta: il credito del professionista che assiste il debitore in crisi e il credito del professio-nista attestatoreNel far riferimento al credito del professionista si de-vono considerare due situazioni:

a) il credito del professionista che assiste il debitore in crisi nella predisposizione e nella presentazio-ne della domanda di accesso alla procedura di concordato preventivo o all’istituto di ristruttura-zione dei debiti e

b) il credito del professionista attestatore inca-ricato di predisporre la relazione prevista ex art.161, co.3 L.F. per il concordato preventivo e dall’art.182-bis L.F. per gli accordi.

Si tratta infatti di capire, alla luce dei vari interventi normativi, quale sia la natura dei predetti crediti e precisamente se per essi si possa parlare di prededu-cibilità in caso di successivo fallimento.Come si è accennato, l’introduzione del co.4 dell’art.182-quater L.F. aveva accordato la natura prededucibile ai soli crediti professionali per il com-penso maturato per l’attività di attestatore ai sensi degli artt.161 e 182-bis L.F., senza che nulla fosse sta-to precisato per gli altri crediti professionali. Successivamente il comma era stato abrogato e la relazione all’emendamento presentato in sede di conversione del D.L. Sviluppo aveva precisato che la soppressione era da collegarsi alla circostanza che il credito era, per sua natura, funzionale alle procedure cui si riferiva. Come tale andava ricondotto alla fatti-specie generale dell’art.111, co.2 L.F.; si trattava cioè di un credito sorto in funzione delle procedure con-corsuali che godeva per legge della prededucibilità.Sul punto va peraltro notato che gli accordi di ri-strutturazione dei debiti non costituiscono, per orientamento dominante e ormai consolidato, una procedura concorsuale. Ne consegue che quanto riportato dalla relazione all’emendamento avrebbe valenza solo per il concordato preventivo.

Per giungere a una conclusione circa la natura dei predetti crediti professionali è opportuno sepa-rare i due istituti e procedere prima alla valuta-zione in caso di concordato preventivo.

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I crediti professionali nel concordato preventivoSecondo autorevole dottrina1, con l’abrogazione del quarto comma dell’art.182-quater L.F. si voleva, in realtà, “raggiungere il duplice obiettivo di svincola-re l’attribuzione della prededuzione al credito dell’e-sperto asseveratore proprio dal riconoscimento che ne doveva fare il Tribunale in sede di ammissione al concordato preventivo o all’omologazione degli ac-cordi di ristrutturazione, e di eliminare un possibile ostacolo al riconoscimento della prededuzione in fa-vore di qualunque altro credito professionale ante-riore cui possa predicarsi la funzionalità rispetto alle medesime procedure”.Il quarto comma dell’art.182-quater L.F. nelle ver-sione del D.L. aveva infatti condizionato la qualità di credito prededucibile del compenso del professioni-sta asseveratore ad uno specifico riconoscimento del Tribunale (“purchè ciò sia espressamente disposto nel provvedimento con cui il Tribunale accoglie la do-manda di ammissione al concordato preventivo ov-vero l’accordo sia omologato”). Spettava, cioè, all’or-gano giurisdizionale controllare e valutare il nesso di funzionalità e di utilità tra la prestazione resa dall’at-testatore e l’esito della procedura. Ciò comportava, di conseguenza, un giudizio nel merito della relazio-ne redatta dall’esperto.L’abrogazione del quarto comma, riferito al solo credito dell’attestatore, avrebbe avuto la finalità di escludere ogni differenza tra crediti professionali e, nel contempo quella di rendere prededucibili tutti i crediti dei professionisti anteriori alle procedure che con queste avessero avuto un rapporto di funziona-lità.Per il Lamanna e il Tribunale di Milano, invece, la soppressione del quarto comma dell’art.182-quater L.F. recate dalla L. n.134/12, ingarbugliando la ma-teria, avrebbero in realtà causato l’effetto opposto.Così, se prima della conversione la norma aveva sta-bilito un trattamento migliore (perché prededucibi-le) al credito del professionista attestatore rispetto ai crediti degli altri professionisti2, la successiva eliminazione del quarto comma da parte della L. n.134/12 avrebbe invece indicato la volontà del Le-gislatore di escludere la natura prededucibile, non solo per il credito del professionista attestatore, ma anche per qualsiasi credito professionale anteriore al fallimento.

1 F. Lamanna, “La legge Fallimentare dopo il Decreto Sviluppo”, Officina del Diritto, Milano 2012, pag.26.2 E ciò a causa della natura “parapubblicistica” ad esso riconosciuta per-ché indispensabile per lo svolgimento della procedura.

Per il Lamanna, infatti, “se bastasse sempre e soltan-to il nesso di funzionalità per riconoscere la prede-duzione, non si comprenderebbe perché il secondo comma dell’art.182-quater L.F. abbia ritenuto neces-sario, per poter attribuire la prededuzione ai crediti derivanti da finanziamenti erogati in funzione di con-cordati o accordi, parificarli espressamente ai finan-ziamenti erogati in esecuzione, per di più precisando (…) in via limitativa che il beneficio spetta solo se i finanziamenti siano previsti dal piano e la prededu-zione sia espressamente disposta nel provvedimento con cui il Tribunale accoglie la domanda di ammis-sione al concordato preventivo ovvero l’accordo sia omologato”3.Se dunque è necessario un provvedimento specifico del Tribunale per i finanziamenti posti in essere in funzione del concordato preventivo, ecco allora che, in via generale, per l’art.111 L.F., il nesso di funziona-lità non autorizzerebbe di per sé, sempre e comun-que, la prededucibilità del credito professionale. Occorrerebbe pur sempre una norma specifica che indichi le condizioni del relativo riconoscimento.Diversamente da quello che in prima battuta sem-brava l’obiettivo, con il Decreto Sviluppo e la sua con-versione si sarebbe, quindi, “passati da un’attribu-zione del beneficio limitata all’esperto asseveratore, ma pressoché certa (…), ad un’attribuzione sempre incerta nel quantum, nell’an e nell’estensione sog-gettiva, almeno quanto al concordato (non essendo certo in tal caso che spetti all’esperto asseveratore, né ad altri professionisti) (….)”4.In altre parole, l’abrogazione del comma quarto dell’art.182-quater L.F. avrebbe riconsegnato al Tri-bunale la verifica di conformità di ogni credito profes-sionale ai criteri legislativi della prededucibilità. È il giudice in sede di formazione del passivo fallimentare che dovrebbe constatare se sussistono le condizioni della prededucibilità senza che, a priori, possa par-larsi di credito prededucibile per il compenso dell’at-testatore. Tale credito sarebbe stato riallineato alla condizione di tutti gli altri crediti dei professionisti coinvolti nella predisposizione della domanda di con-cordato preventivo5. La tesi sopra evidenziata, fatta propria, dopo la L. n.134/12, oltre che dal Tribunale di Milano, anche dal Tribunale di Padova6, è stata tuttavia disconosciu-

3 F. Lamanna, op.cit, pag.27.4 F. Lamanna, op.cit, pag.28.5 P. Vella, “Autorizzazioni, finanziamenti e prededuzioni nel nuovo con-cordato preventivo”, in Il fallimento n.6/13, pag.671.6 Decreto 11 febbraio 2013.

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ta di recente dai giudici di legittimità con la sentenza n.8533 dell’8 aprile 2013.Il caso sottoposto all’esame della Cassazione riguar-dava, in particolare, un credito professionale connes-so all’attività svolta per la presentazione del ricorso per l’ammissione al concordato preventivo e per la connessa domanda di transazione fiscale.In sede di verifica del passivo del fallimento dichia-rato successivamente, il giudice delegato aveva ri-conosciuto al credito natura di credito concorsuale privilegiato e non prededucibile.Il Tribunale di Milano, a sua volta, aveva conferma-to in sede di opposizione il provvedimento del G.D. e specificatamente aveva evidenziato che il credito vantato dal professionista per l’assistenza prestata nella predisposizione e nella presentazione della do-manda di transazione fiscale, funzionale all’ammis-sione alla procedura di concordato, non era annove-rabile fra i crediti prededucibili indicati nell’art.111 L.F. né poteva essere compreso nella previsione di cui all’art.182-quater della medesima legge.I giudici di legittimità hanno invece evidenziato quan-to segue:• l’art.111, co.2, L.F. indica come prededucibili i de-

biti così qualificati da una specifica disposizione di legge e quelli sorti in occasione o in funzione di procedure concorsuali;

• i crediti per prestazioni professionali finalizzate all’assistenza e alla redazione di un concordato preventivo sono pertanto prededucibili;

• iI dettato dell’art. 111, co.2, L.F. è “ assolutamen-te chiaro nel prevedere la prededucibilità anche per tutti i crediti sorti in funzione di procedure concorsuali” e l’introduzione del quarto com-ma dell’art.182-quater L.F. (che consentiva di riconoscere la prededuzione solo al credito del professionista attestatore della veridicità dei dati e della fattibilità del piano di concordato preven-tivo a condizione di un espresso riconoscimento del Tribunale) non autorizza “una interpretazio-ne immotivamente restrittiva della disposizione generale fissata dal citato art.111 (tale cioè da annullarne sostanzialmente la portata)”;

• una tale tesi contrasta, infatti, con la lettera del-la legge e con l’intenzione del Legislatore indi-viduabile nell’esigenza di favorire il ricorso alle procedure concorsuali diverse da quella liquida-toria del fallimento, tanto più se si tiene conto della “riscritturazione dell’art.182-quater L.F.” effettuata dalla L. n.134/12 che ha eliminato la “limitazione della prededuzione prevista nella precedente formulazione”.

Alla luce di quanto precisato dalla Suprema Corte ne consegue che sia il credito del professionista che assiste il debitore in crisi nella predisposizione e nella presentazione della domanda di concorda-to preventivo, sia il credito del professionista atte-statore della veridicità dei dati e della fattibilità del piano di concordato preventivo vanno ammessi al passivo del fallimento in prededuzione.

I crediti professionali nell’istituto degli accordi di ri-strutturazione dei debiti ai sensi dell’art.182-bis L.F.A differenza di quanto evidenziato per i crediti dei professionisti funzionali al concordato preventivo, è da ritenere che l’abrogazione del co.4 dell’art.182-quater L.F., a opera della L. n.134/12, abbia escluso la natura di credito prededucibile per il credito del professionista attestatore della veridicità dei dati e dell’attuabilità degli accordi.In assenza di una norma specifica, non è infatti pos-sibile ricondurre tale credito, come ogni altro credito professionale sorto in funzione dell’istituto in parola, nell’alveo dell’art.111, co.2 L.F. e dunque qualificar-lo, secondo la tesi della Cassazione prima evidenzia-ta, come prededucibile perché sorto in funzione di procedure concorsuali.

Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art.182-bis L.F. non rappresentano infatti una procedura concorsuale, con la conseguenza che il credito professionale (sia del professionista atte-statore, sia del professionista che presenta e pre-dispone la domanda di ristrutturazione dei debiti al Tribunale) avranno natura concorsuale in caso di successivo fallimento.

Normativa

Art.111 L.F. Art.161 L.F.Art.182-bis L.F.Art.182-quater L.F.

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La relazione dell’attestatore nel concordato li-quidatorio: il caso di un pastificiodi Massimo Conigliaro – dottore commercialista, pubblicista e professore incaricato di diritto tributario SSEF

Viene riportato un esempio di attestazione in un caso di concordato preventivo con finalità liquidatorie. Il caso tratta di una società a responsabilità limitata che non è stata in grado di avviare un programma di ammodernamento dei macchinari e delle attrezzature, non ha trovato partner strategici ed è stata costretta a cedere tutto per soddisfare i creditori. L’esame dell’attestatore, terzo e indipendente, ha portato a un giudizio di fattibilità. Il Tribunale ha quindi dichiarato aperta con decreto la procedura e il concordato è stato successivamente approvato dai creditori.

RELAZIONE DELL’ATTESTATORE

1. Qualifiche dell’attestatore dichiarazione di non incompatibilità Il sottoscritto dott. …, è stato incaricato in data ........... (cfr. all. 1) dalla ........... Srl (di seguito anche menzionata come “la Società” ovvero “il Debitore”) di redigere la relazione di cui all’art.161, co.3, L.F. (di seguito anche “la Relazione”) nell’ambito della proposta per l’ammissione alla procedura di concordato formulata dalla stessa società (di seguito anche menzionata come “la domanda”, “il piano” o “la proposta” ). Il sottoscritto dichiara preliminarmente di essere nelle condizioni soggettive prescritte per il professionista asse-veratore del piano dall’art.28 L.F., come richiamato dall’art.161, co.3, L.F., e in particolare: a) di essere iscritto alla Sezione A dell’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di … con il n. …;b) di essere iscritto nel Registro dei revisori legali al n. … , giusta Decreto del ........... , pubblicato sul Supplemen-

to Straordinario della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. .... del ........... ;c) che non sussistono in relazione alla sua persona condizioni di incompatibilità per l’espletamento dell’incarico; d) che non si trova in situazioni di conflitto di interesse nei confronti dell’impresa debitrice, dei suoi soci, dei

dipendenti, dei creditori in genere e degli altri soggetti comunque interessati all’esito della procedura;e) che non ha mai ricevuto né sta attualmente espletando alcun incarico professionale da parte della società

interessata alla proposta di concordato, né da società ad essa collegate, né da persone fisiche cui tali società fanno riferimento e di non vantare crediti verso la società ricorrente per il periodo anteriore al conferimento dell’incarico;

f) di essere in possesso dei requisiti previsti dall’art.2399 c.c.;g) di non avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debi-

tore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo della società.

2. Metodologia utilizzataNell’assenza di indicazioni normativa in merito ai criteri e metodi da utilizzare per lo svolgimento dell’attività prodromica alla formazione del giudizio di asseverazione, e preso atto della brevità del periodo di applicazione della disciplina riformata, che impedisce a oggi di poter fare affidamento su consolidati orientamenti giuri-sprudenziali sul punto, il sottoscritto ha ritenuto di conformarsi per l’elaborazione della presente relazione alle indicazioni fornite in argomento dagli organismi professionali e, segnatamente, alle osservazioni sul contenuto delle relazioni del professionista nella composizione negoziale della crisi d’impresa elaborate dalla Commissione di studio crisi e risanamento d’impresa del Cndec.È noto che, per ritenersi integrato il requisito richiesto dalla legge in ordine al giudizio di fattibilità del piano, occorre che l’estensore non si limiti a una semplice indicazione di fattibilità «solo apoditticamente affermata», senza alcuna minima illustrazione delle considerazioni a supporto di tale conclusione, dovendo, al contrario, motivare in modo chiaro e approfondito le ragioni che lo hanno indotto a esprimere un giudizio positivo in rela-zione alla probabile riuscita del piano, non potendo del pari ricorrere a formule esclusivamente di stile; motiva-zione dell’attestazione che dovrà pertanto essere sostanziale ed oggettiva.

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Il giudizio di fattibilità è, infatti, una valutazione di carattere tecnico, fondata su dati analiticamente individuati nella relazione che pur rivestendo carattere prognostico deve comunque essere supportato da idonee motiva-zioni. La fattibilità del piano si traduce, in altri termini, nella “sostenibilità e nella coerenza del programma di azione prospettato dal debitore”, da valutarsi “in relazione alle concrete modalità in cui questo si articola” ed, in partico-lare, alla sua coerenza con la situazione economica, finanziaria e patrimoniale iniziale, la cui effettiva attuabilità deve essere misurata sulla base delle risorse disponibili e di quelle rinvenibili dalla liquidazione dei beni ovvero dalla continuazione dell’attività d’impresa. È opportuno ribadire che il compito dell’esperto non è quello di attestare che l’imprenditore abbia tenuto in ordine la contabilità, dal momento che non è più imposta la verifica del requisito soggettivo di “meritevolezza” ai fini dell’ammissione al concordato; e nemmeno l’attestazione della veridicità complessiva dei dati contabili che emergono dalle scritture contabili, dal momento che queste ultime non devono essere depositate; nello specifico, lo scopo della presente relazione è quello di attestare la veridicità dei dati contabili di cui ai documenti indicati dall’art.161 lett. a), b), c) e d) L.F., in quanto strumentale alla valutazione di fattibilità del piano.Quanto al livello di approfondimento delle verifiche condotte, allo scopo di accertare la veridicità dei dati con-tabili assunti a fondamento del Piano, va considerato che, secondo un condivisibile arresto giurisprudenziale1, le ragioni di urgenza che sempre caratterizzano la redazione di simili documenti “di regola impongono una ten-denziale limitatezza ed incompletezza dei riscontri contabili”. Alla luce delle considerazioni che precedono, nella scelta della metodologia cui fare concreto riferimento per il perseguimento delle finalità or ora illustrate, lo scrivente ha ritenuto di poter individuare un riferimento di mas-sima nei principi di revisione per le piccole e medie imprese, per ciò che riguarda i dati contabili storici assunti a fondamento del piano. Diversamente, per l’incarico di verifica sui dati previsionali è parso opportuno assumere come riferimento di principio l’International Standard on Assurance Engagements (ISAE) 3400 “The Examination of Prospective Fi-nancial Information” emesso dall’IFAC - International Federation of Accountants (di seguito “ISAE 3400”), le cui procedure sono sostanzialmente dirette ad accertare la ragionevolezza delle ipotesi assunte per la predisposi-zione dei dati previsionali e della non irrealisticità delle assunzioni ipotetiche. Quanto infine ai criteri di valutazione, il giudizio di fattibilità sarà improntato al rispetto di un principio rigorosa-mente prudenziale.

3. Documentazione esaminata e rapporti informativi; stato di aggiornamento dei dati L’attività preliminare compiuta dal sottoscritto al fine di produrre la presente Relazione è consistita in un’analisi della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo nonchè della proposta e piano concor-datario, allo scopo di verificare la corrispondenza dei dati contenuti nel piano e nella documentazione ad esso allegata (art.161, co.2, lett. a), b), c) e d) L.F.) alle risultanze delle scritture contabili. A tale scopo il sottoscritto ha provveduto a effettuare controlli presso la sede sociale della ........... Srl, dove ha acquisito tutta la documentazione contabile necessaria richiesta, ivi compresi i documenti di primo grado ritenu-ti utili a condurre verifiche a campione sulla corretta tenuta della contabilità. Ulteriori documenti e notizie sono stati acquisiti mediante invii per posta elettronica da parte dell’azienda e dei propri consulenti.Il ristretto arco temporale concesso al sottoscritto per la stesura della presente relazione tecnica non ha consen-tito la consueta circolarizzazione a clienti e fornitori di lettere volte ad accertare in contraddittorio l’esatta con-sistenza di crediti e debiti commerciali; un’attenta verifica è stata comunque effettuata – e documentalmente riscontrata – per tutti i crediti, che in ogni caso sono stati svalutati in percentuale significativa. I debiti erariali e previdenziali sono stati certificati dall’Agente per la riscossione.La società ha provveduto altresì, in chiara ottica prudenziale, ad azzerare numerose voci dell’attivo anche laddo-ve possa ritenersi è presumibile il realizzo di somme, seppur modeste; in particolare: sono stati azzerati i crediti in contenzioso, sono stati svalutati al 50% i crediti commerciali, è stata eliminata la voce fatture da emettere, sono state azzerate le rimanenze (cartoni, pacchi e imballi prevalentemente a marchio “XXX” e, dunque, diffi-cilmente collocabili), sono stati azzerati i valori di beni usati obsoleti o di difficile collocazione. Il tutto così come

1 Appello Torino, 19/6/07.

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riportato nell’allegata situazione contabile al ..........., che evidenzia il dato di bilancio e nella colonna a fianco il dato rettificato ai fini della proposta concordataria (cfr. all. 2).La società, avendo la forma giuridica di Srl con capitale sociale inferiore a quello minimo previsto per le Spa, è priva del collegio sindacale, non sussistendone le condizioni che ne impongano la nomina ai sensi dell’art.2477 c.c., né tanto meno si è volontariamente dotata di un organo di controllo legale e contabile. Il sottoscritto ha inoltre incontrato il legale rappresentante della società …, sia per il formale conferimento dell’incarico che per avere chiarimenti in merito all’attività aziendale, alle poste di bilancio più significative, alle concrete possibilità di realizzo dei beni immobili e delle attrezzature.Il sottoscritto ha altresì incontrato - a più riprese ed in tempi diversi - il rag. …, consulente fiscale della società, per informazioni di natura tecnico contabile e l’avv. …, professionista incaricato di redigere la proposta di con-cordato, per informazioni di natura legale. Quanto allo stato di aggiornamento dei dati contabili assunti a fondamento della relazione, si rappresenta che la ........... Srl è un’impresa che ha cessato ogni attività e la situazione contabile è stata aggiornata al ........... che corrisponde, per esigenze di omogeneità, a quella esposta dalla società ricorrente nella situazione economica, patrimoniale e finanziaria aggiornata, richiesta dal primo comma dell’art.161 L.F. e unita alla proposta.

4. Struttura e contenuto della relazionePrima di procedere alle verifiche e agli accertamenti descritti analiticamente nei paragrafi successivi, al fine di esprimere una valutazione ponderata sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano concordatario, lo scrivente professionista ha provveduto a:• esaminare la struttura amministrativa aziendale e le procedure seguite per l’acquisizione e la rilevazione dei

fatti di gestione;• prendere visione delle scritture contabili relative agli esercizi precedenti su supporto cartaceo e, per l’anno

......, sugli archivi elettronici;• esaminare la documentazione inerente le posizioni verso l’Erario, gli Enti previdenziali ed assicurativi e il

personale dipendente; a tal proposito il sottoscritto ha acquisito gli estratti di ruolo aggiornati dell’Agente della riscossione per la provincia di …;

• eseguire alcune verifiche a campione sulle voci più significative del bilancio, così come annotate nelle scritture;• esaminare tutta la documentazione a supporto della proposta; • consultare i libri sociali;• esaminare gli ultimi bilanci approvati e i relativi verbali di approvazione;• richiedere informazioni e chiarimenti all’amministratore ottenendo al riguardo risposte esaurienti. Il giudizio di attestazione, dunque, si è basato su un autonomo lavoro svolto dallo scrivente, sulla scorta della documentazione richiesta alla società e messa a disposizione da quest’ultima. Al fine di esprimere un giudizio sulla veridicità dei dati aziendali lo scrivente ha dovuto porre particolare attenzione alla natura e consisten-za delle poste attive e passive esprimenti la situazione patrimoniale alla data di riferimento del concordato, prendendo atto tuttavia come talune poste di bilancio afferenti a crediti sono state opportunamente svalutate prudenzialmente per corrispondere alla più coerente e realistica previsione di realizzo nell’ottica concordataria. Avuto riguardo alle finalità dell’incarico conferito, sulla base della documentazione resa disponibile dalla Società e delle informazioni acquisite mediante l’esecuzione delle verifiche sopra descritte, lo scrivente professionista ritiene che l’impresa abbia tenuto una contabilità idonea a fornire una rappresentazione veritiera e corretta dei fatti aziendali. In forza di tale preliminare verifica, le scritture contabili sono risultate, nel loro complesso, correttamente te-nute e hanno permesso di esprimere un giudizio positivo sull’attendibilità dei dati emergenti dalla contabilità. Detti dati, infatti, trovano sostanziale corrispondenza con quelli esposti nel ricorso ex art.160 L.F. (cfr. situazione contabile al ........... allegata al ricorso e con la ulteriore documentazione prodotta in ottemperanza a quanto stabilito dall’art.161 L.F.).

5. Il piano concordatarioIl piano concordatario predisposto dal legale rappresentante con l’assistenza dell’avv. …, prevede la totale liqui-dazione delle attività al fine di soddisfare le ragioni dei creditori.

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Il piano prevede che tali realizzi potranno consentire:• il pagamento integrale di tutti i creditori privilegiati, dei crediti prededucibili e delle spese di giustizia;• il pagamento integrale dei creditori chirografari;• la parziale restituzione dei crediti (postergati) verso i soci. Il ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo evidenzia inoltre le ragioni della crisi della società ed espone adeguatamente le origini della stessa. La richiesta di accedere alla procedura di concordato preventivo appare atto necessario a salvaguardare le ragio-ni dei creditori, rappresentando la migliore opportunità per la soddisfazione degli stessi, tenuto conto dei tempi e della integrale soddisfazione sia dei privilegiati che dei chirografari.Il piano di concordato proposto ai creditori, essendo di tipo liquidatorio, manifesta le tipiche criticità che sono insite nelle modalità, valorizzazioni e tempistiche di realizzo dell’attivo concordatario, rappresentato essenzial-mente dall’immobile industriale, dall’impianto fotovoltaico, dai macchinari e attrezzature di proprietà dell’im-presa e dai crediti commerciali da incassare in relazione alle forniture poste in essere dalla società.Tali criticità non inficiano la validità della proposta avanzata, essendo pacifico che un’eventuale liquidazione fallimentare non determinerebbe un vantaggio in termini di valore e riduzione delle incertezze dei tempi e del realizzo, anzi tali elementi sarebbero certamente peggiori e a svantaggio del ceto creditorio.

6. L’attivo realizzabile e l’onere concordatarioIl sottoscritto, a fronte dei controlli contabili effettuati e dall’analisi della proposta di concordato oggetto della presente relazione, ha ricostruito analiticamente le rettifiche operate dall’Amministratore Unico per la determi-nazione dei valori dell’attivo e del passivo e che vengono nelle tabelle sottostanti riportate. Il sottoscritto non ha ritenuto di effettuare ulteriori rettifiche, pur manifestando le riserve di cui infra si dirà.

Elementi dell’AttivoVengono si seguito riportate le voci dell’attivo realizzabile, pari ad €6.110.834,00, e i criteri di valutazione delle stesse.

6.1. Immobilizzazioni materiali ed immateriali: €4.985.866,77La società, prevede di poter disporre di un attivo realizzabile per complessivi €4.986.067 attraverso il realizzo delle attività (mediante vendita di beni materiali ed incasso di partite creditorie così come in ricorso). In parti-colare:a) cespiti immobiliari: €3.062.088.Tale valore è supportato dalla perizia tecnica estimativa, giurata in data ........... dall’arch. … (cfr. all. 3). Tale stima è frutto della media aritmetica di tre valori, calcolati come segue: stima a consistenza (€ 2.558.679,00), stima valore a reddito (€ 3.978.000,00) e stima a valore commerciale (€ 2.651.805,00). Il sottoscritto ha esaminato la relazione tecnica estimativa ed ha richiesto chiarimenti al tecnico incaricato; dalla interlocuzione con l’arch. … il sottoscritto ha tratto la convinzione che la stima è stata effettuata con criteri prudenziali e tenendo conto delle difficoltà del mercato immobiliare; è emerso altresì che l’immobile potrebbe essere utilizzato anche a fini diversi da quelli per i quali è attualmente adibito e ciò farebbe ritenere il bene appetibile sul mercato. Il sottoscritto ha ritenuto pertanto di confermare tale valore.Detto cespite è gravato da una iscrizione ipotecaria da parte della Banca …, accesa a fronte dell’erogazione di un mutuo in data 15/1/08, le cui rate scadute e a scadere ammontano ad circa €1.133.907,05 (tenuto conto della stima degli interessi maturati alla data di redazione dello stato passivo rispetto all’ultima rata corrisposta). Come indicato nella proposta, l’ipoteca è afferente a posizioni creditorie privilegiate.

b) macchinari, attrezzature, automezzi e materiali di consumo: €461.400.L’attendibilità di tale valore è supportata dalla perizia di stima del ........... redatta dal dott. ing. …, esperto di ingegneria aziendale (cfr. all. n.4). Tale stima, dettagliata nella rilevazione e descrizione di macchinari e attrezza-ture aziendali, appare redatta con criteri di prudenza e non tiene in alcun conto beni di difficile realizzo ovvero obsoleti. Il sottoscritto ha ritenuto pertanto di confermare tale valore.

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c) impianto fotovoltaico: €1.435.378,77.La società ha realizzato un impianto fotovoltaico su tutta la superficie di copertura dello stabilimento. Tale im-pianto - come si evince dalla “stima” effettuata dalla società (cfr. all.5) – è stato valutato in funzione della red-ditività attesa dallo stesso; in particolare l’azienda ha preso come riferimento il minore dei valori tra quelli della rendita perpetua e della valutazione reddituale pervenendo all’importo di €1.435.378,77. Nel documento fornito dalla società, denominato “Conto Economico azienda fotovoltaico”, non sono indicati i criteri in base ai quali sono valorizzati il tasso atteso di redditività (3%) nonché il tasso di attualizzazione (1%); appare invece pertinente il periodo di attualizzazione. È chiaro che uno scostamento, anche minimo, di tali tassi incide in modo significativo sulla elaborazione della formula applicata, che applica principi generali di matematica finanziaria. Tale valore, in considerazione del grande sviluppo del settore nonché del sostegno normativo alle energie rinno-vabili, è stato confermato seppur con l’osservazione formulata in merito ai tassi applicati.

d) autoveicoli da trasporto: €25.000Trattasi di un furgone modello … targato … (cfr. certificato di proprietà, allegato 6) e di un furgone modello … targato … (cfr. libretto di circolazione e dichiarazione di vendita con riserva di proprietà, allegato n.7) per i quali è stato indicato il valore di presumibile realizzo, tenendo conto del grado di vetusta e manutenzione dei due mezzi.Ai fini del concordato l’importo viene quindi confermato.

e) marchio “XXX”: €2.000,00Nella proposta di concordato viene valutato – seppur in termini modesti - il marchio “XXX”. Tale marchio, regi-strato in data ........... , nella sua storia “ha sempre avuto una percezione commerciale prevalentemente limitata all’ambito territoriale della provincia di … ” tant’è che i tentativi di diffonderne la conoscenza all’esterno dei confini nazionali sono risultati vani.In tale contesto il sottoscritto ha ritenuto di confermare il valore stimato di €2.000,00 , che appare improntato a criteri di prudenza.

6.2 Crediti verso clienti: €189.939,00La società vanta crediti vero innumerevoli clienti, tanti dei quali per piccoli importi (cfr. elenco dettagliato nella situazione patrimoniale al ........... ). I crediti verso clienti indicati in bilancio erano originariamente pari a €1.214.213,25. Da tale importo sono stati detratti – in quanto valorizzati zero – i crediti in contenzioso per €326.000 e le fatture da emettere per €552.345,72. Sui rimanenti crediti è stata applicata una svalutazione forfettaria del 50%, incrementando ad €145.928,50 il fondo di svalutazione. Tale valore è stato appostato dalla società dopo aver operato una svalutazione prudenziale del 50%. Inoltre l’amministratore ha operato compensazioni di partite ormai chiuse depurando, in tal modo, la situazione patri-moniale da posizioni creditorie/debitorie fra medesimi soggetti. Attese le svalutazioni operate, nonché i pareri dei legali in ordine allo stato dei crediti in contenzioso, il sottoscritto ritiene di poter condividere la prognosi di realizzo per il citato importo.Ai fini del concordato l’importo viene confermato.

6.3 Credito v/Erario: €47.798Tale voce è relativa al credito Iva maturato per gli anni ...... e ......, riportato nelle scritture contabili e documen-talmente provato dalla società. Ai fini del concordato l’importo viene confermato.

6.4 Indennizzo … : €375.422La ....… Spa, al netto dei due acconti percepiti dalla società proponente, deve ancora corrispondere alla ........... Srl la somma di €375.420,97, quale saldo della somma di €1.877.104,84. La cronistoria dell’indennizzo dovuto dalla … Spa per l’indennità di esproprio e di occupazione di urgenza è descritto nel dettaglio nella proposta e piano concordatario e presenta tutti i crismi della certezza. Ai fini del concordato l’importo viene confermato.

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6.5 Disponibilità di cassa: €191 L’amministratore unico della società ha esibito al sottoscritto la disponibilità di cassa in banconote e monete in portafoglio. Ai fini del concordato l’importo viene confermato.

6.6 Banche: €495.376La voce relativa alle disponibilità nei conti correnti bancari è stata verificata con gli estratti conto della banca …, banca … e banca … con la quale la società intrattiene rapporti. Il dato riportato coincide con quello contabile.

7. Elementi del passivoIl passivo della società, così come riportato nella proposta concordataria, ammonta ad €5.429.861. La società è gravata principalmente da un’esposizione debitoria rilevante nei confronti degli istituti di credito e, quindi, dei fornitori. Inoltre la società risulta indebitata per finanziamenti infruttiferi erogati dai soci nel corso degli anni. Un passivo meno rilevante si registra nei confronti degli ex dipendenti, per retribuzioni e Tfr. Inoltre la società pre-senta un’esposizione debitoria nei confronti degli Istituti previdenziali ed assicurativi, nonché del fisco, ereditata in larga misura dalla società … Srl, a seguito della fusione per incorporazione. È opportuno rilevare – come evidenziato nel dettaglio nella proposta e piano di concordato – che sono pendenti avanti il Tribunale di … giudizi con alcuni lavoratori già alle dipendenze della … Srl, per differenze retributive.Come rilevato nella parte metodologica, i tempi ristretti dell’incarico non hanno consentito di effettuare la con-sueta circolarizzazione dei questionari volti a verificare con ciascun fornitore l’entità del debito nei confronti dello stesso. Sulla base dello schema sotto riportato che evidenzia analiticamente le posizioni creditorie accertate e che tro-vano coincidenza nella relazione aggiornata sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria di cui al 1° comma dell’art.161 L.F. allegata al ricorso, il totale dell’esposizione debitoria che ammonta complessivamente a €5.429.861, può quindi essere così rappresentato:

Elenco passività assistite da privilegio

Prededuzione: Oneri procedura 100.000 Avv. … 30.000 Dott. … 20.000 …Srl (ex art.167 L.F.) 170.915

totale prededuzione 320.915

Mutuo … 1.133.907 ipotecaDipendenti 156.552 art.2751-bisProfessionisti 27.373 art.2751-bisArtigiani 10.072 art.2751-bis… 20.983 Priv. Legale VenditoreDebiti tributari 132.360 art.2752 e art.2759Debiti previdenziali e assicurativi 7.674 art.2753Debiti tributari e sanzioni a ruolo 178.210 art.2752Debiti previdenziali e assicurativi a ruolo 148.859 art.2753Sanzioni previdenziali a ruolo (50%) 5.936 art.2754Tributi Enti locali a ruolo 59.379 art.2752

Totale passività assistiti da privilegio 1.881.304 Fondo rischi controversie legali (dipendenti ex …) 150.000

Totale passività 2.352.219

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Elenco creditori chirografari

Sanzioni previdenziali (50%) 5.936Debiti vs. banche 1.136.301Debiti vs. fornitori 1.047.737Finanziamenti Infruttiferi Soci 887.668

Totale creditori chirografari 3.077.642

Totale passività 5.429.861

7.1 L’onere concordatarioA fronte di un passivo complessivo di €5.429.861, che comprende €150.000,00 a titolo di accantonamento pru-denziale per rischi su controversie in atto, sono state previste spese giudiziarie di procedura per €70.000,00 e spese ed oneri di funzionamento stimati, per tutta la durata della procedura (massimo 36 mesi), in €30.000,00; il tutto è riepilogato per classi di appartenenza ed indicato in ricorso.

7.2 Trattamento e posizione dei crediti privilegiatiIl sottoscritto ha esaminato la divisione dei creditori privilegiati, ancorchè soddisfatti tutti al 100%, in classi, in funzione dei diversi tempi di soddisfacimento, così come dettagliato in seno al ricorso. Sulla base di quanto sopra la proposta che prevede il soddisfacimento del 100% sia dei creditori privilegiati che dei chirografari. In relazione alla posizione della società verso l’Erario e gli Istituti Previdenziali il sottoscritto ha acquisito copia degli estratti ruolo, per la verifica delle posizioni iscritte a ruolo rispetto i valori contabili sia della ........... Srl che dell’incorporata …Srl. Dall’analisi sono emersi disallineamenti per tributi sanzioni ed interessi, che sono stati recepiti dall’amministratore nella situazione concordataria.

7.3. Trattamento e posizione dei crediti chirografariIl sottoscritto condivide, altresì, la divisione dei creditori chirografari per classi come evidenziate nella proposta concordataria, attribuendo a essi una percentuale di soddisfazione al 100%. Tale livello percentuale, stimato alla data del ..........., qualora venissero accertate in corso di procedura variazioni in diminuzione alle entrate, po-trebbe ragionevolmente ridursi di qualche punto percentuale senza arrecare ai creditori interessati significative penalizzazioni.

8. Schematizzazione della proposta di concordato Alla luce di quanto sopra esposto, la situazione concordataria può essere schematizzata come segue:

Attività Immobilizzazioni materiali nette 4.986.067Rimanenze di magazzino 0Crediti vs. clienti 189.939Crediti tributari 47.798Altri crediti 391.464Cassa contanti 191Banche 495.376Totale Attività 6.110.834

PassivitàDipendenti c/retribuzioni (compreso Tfr) 156.552Fondo rischi controversie legali 150.000Mutui ipotecari 1.133.907

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Mutui chirografari 470.116Debiti vs. banche 666.185Debiti vs. fornitori 1.327.080Debiti tributari non a ruolo 132.360Debiti previdenziali e assicurativi non a ruolo 7.674Riscossione Sicilia c/iscrizioni a ruolo Società 391.294Riscossione Sicilia c/iscrizioni a ruolo Società incorporata 7.026Finanziamenti Infruttiferi soci 887.668Oneri procedura concorsuale 70.000oneri di funzionamento 30.000Totale Passività 5.429.861

Riepilogando, la situazione risulta la seguente:

Totale attivo realizzabile 6.110.834,33Totale passivo concordatario -5.429.861,24Differenza 680.973,09

Da quanto sopra emerge la possibilità di pagare il 100% sia dei creditori privilegiati che dei chirografari. La diffe-renza attiva consentirebbe la parziale restituzione dei finanziamenti infruttiferi dei soci, postergati rispetto agli altri creditori.

9. Elementi di criticitàCosì raggiunto un autonomo convincimento sulla veridicità dei valori e dei dati esposti dalla ricorrente nel pro-prio piano di contenuto essenzialmente liquidatorio, lo scrivente affronta in questo capo i profili relativi alla fattibilità del piano. Per come esposto dal proponente, la società si prefigge di poter disporre dei mezzi finanziari necessari per l’a-dempimento dell’onere concordatario, sostanzialmente attraverso:a) la dismissione delle immobilizzazioni materiali;b) l’incasso di crediti sociali; c) le entrate derivanti dalla produzione di energia mediante l’impianto fotovoltaico di nuova installazione.L’adempimento dell’onere concordatario, pertanto, previsto dalla ricorrente nel termine massimo di 36 mesi dal deposito del decreto di omologazione del concordato, passa attraverso i superiori realizzi e/o incassi, ancorché ragionevoli, ma incerti nei tempi. L’intervallo di 3 anni, oltre ai tempi necessari per giungere al provvedimento di omologazione del concordato, è un tempo congruo che può far ritenere i tempi di realizzo compatibili e coerenti con la proposta.Si tratta, pur sempre, di una mera, ancorché ragionevole, previsione che potrebbe scontare tempi più lunghi.Inoltre i normali “rischi gestionali” (quali i ritardi negli incassi dei crediti, determinati da comportamenti da parte dei debitori tendenti a contestazioni di tipo dilatorio e strumentale) che gravano su tutte le imprese verrebbero, nel contesto patologico nel quale si trova attualmente la società ricorrente, sicuramente più acuiti e meritano di essere tenuti in debito conto. A oggi, comunque, non vi sono elementi per ritenere che detti eventi possano manifestarsi in modo tale da infi-ciare l’attuazione del piano concordatario. Il sottoscritto ha altresì verificato l’impatto di una ulteriore riduzione prudenziale delle stime effettuate dai tecnici incaricati dalla società di valutare gli immobili e gli impianti. In particolare, dall’esame della perizia tec-nica estimativa, giurata in data ........... dall’arch. … emerge che la stima dell’immobile industriale è frutto della media aritmetica di tre valori, calcolati come segue: stima a consistenza (€2.558.679,00), stima valore a reddito (€3.978.000,00) e stima a valore commerciale (€2.651.805,00). I valori così determinati appaiono ragionevoli e la valutazione prudente. Pur tuttavia, il sottoscritto, in considerazione delle difficoltà del mercato immobiliare e della peculiarità dell’impianto - seppur ubicato in una zona potenzialmente appetibile – ha considerato l’impatto

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che una ulteriore svalutazione dell’immobile potrebbe avere, utilizzando in luogo del valore medio, quello più basso corrispondente alla stima a consistenza (pari ad €2.558.679,00), con ciò operando una ipotesi di rettifica in diminuzione di €503.609,00.Anche in merito alla valutazione dell’impianto fotovoltaico, stimato in base al criterio della capitalizzazione €1.435.379,00, il sottoscritto ha considerato l’impatto che una ulteriore svalutazione fino alla percentuale del 13% di tale valore avrebbe sulla fattibilità del piano concordatario; in tale ipotesi l’impianto avrebbe un valore di €1.248.779,73 con una rettifica in diminuzione di €186.600.Anche in tale scenario, operando rettifiche per complessivi €690.209,00, risulterebbero sostanzialmente sod-disfatti tutti i creditori sia privilegiati che chirografari, con l’unica eccezione dei soci per la voce (postergata) di “Finanziamenti infruttiferi soci” accesa per €887.668,00. Ma vi è di più.La ........... Srl in seguito dell’installazione dei pannelli fotovoltaici lungo tutta la superficie del tetto a copertura dello stabilimento industriale, in data ........... ha ottenuto dall’Agenzia delle Dogane la licenza per la produzione di energia per complessivi 40 KW, di cui 20 Kw da cedere alla rete e 20Kw per uso proprio. Considerando zero il fabbisogno di energia della società proponente, in quanto inattiva, il rendimento atteso dal Conto Energia attra-verso la cessione dell’intera produzione è di €185.000,00 annui lordi ed €137.480,00 annui al netto delle impo-ste. I proventi del conto energia maturati e maturandi dalla data di attivazione fino alla vendita dello stabilimen-to, che ipotizzando un arco temporale di 36 mesi, potrebbero produrre liquidità per complessivi €412.440,00 al netto delle imposte. Pur tuttavia, in questa sede, si è ritenuto di non inserire alcuna voce di credito, sia per la ragione della impossibilità di prevedere i tempi di vendita dell’impianto (e dunque di cessazione di tale introito) sia perché eventuali somme in entrata potranno coprire eventuali riduzioni dell’attivo e costituire un margine di sicurezza per la realizzazione del piano.

10. ConclusioniAlla luce di quanto sopra esposto ed ai sensi di quanto richiesto dall’art.161 del R.D. n.267/42, il sottoscritto dott. …

ATTESTA• che i dati aziendali esposti nel piano presentato dalla ........... Srl appaiono corretti ed esprimono in modo

veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società valutata in un’ottica liquidatoria alla data del ........... , così come presentate nel piano contenuto nel ricorso.

• la fattibilità del piano presentato dalla società che appare astrattamente coerente alla prospettazione for-mulata ai creditori e concretamente realizzabile sulla base delle risorse patrimoniali attuali della società e di quelle che ad essa perverranno, in particolare dal realizzo dell’immobile sociale e dall’incasso dei crediti esposti nell’attivo concordatario, tenuto conto degli elementi di criticità evidenziati nel paragrafo preceden-te.

Tanto il sottoscritto doveva in adempimento all’incarico conferito.

In fede.

Luogo, … Dott. …

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Il ruolo del collegio sindacale nella crisi di impresadi Fabio Landuzzi – dottore commercialista e revisore legale

Nel set delle Norme di comportamento del collegio sindacale in vigore dal 1 gennaio 2012 predisposto a cura del Cndcec è inclusa la Norma n. 11 intitolata “Attività del collegio sindacale nella crisi di impresa”. Si tratta nel dettaglio di sei linee guida, ciascuna dedicata a una specifica fattispecie in un crescendo di intensità della fase “patologica” della vita dell’impresa, a cui possono ispirarsi i professionisti che rivestono incarichi in organi di controllo di società che si trovano, o sono in procinto di trovarsi, in stato di crisi, al fine di orientare la propria attività in considerazione della particolare condizione di criticità societaria. Si tratta di situazioni in cui è fortemente accentuato anche il profilo di responsabilità a cui sono esposti gli organi di controllo, con la conseguenza che è quanto mai opportuno che essi adottino preventivamente un modus operandi in linea con la diligenza professionale che è richiesta dalle indicazioni che si traggono dai molteplici spunti giurisprudenziali, ed anche allo scopo di poter dimostrare a posteriori di avere agito secondo la legge e in aderenza agli standard professionali di riferimento.

I doveri del collegio sindacale fra vigilanza di “legittimità” e controllo di “merito”Nei confronti del collegio sindacale sono ipotizzabili due diverse tipologie di responsabilità:• la prima, c.d. “esclusiva”, è relativa alla violazione

degli obblighi di verità delle proprie attestazioni, ovvero dell’obbligo di conservazione del segreto sui fatti e sui documenti di cui il professionista incaricato abbia avuto conoscenza nell’espleta-mento del mandato. Si tratta quindi di una re-sponsabilità che discende da atti commissivi che causino un danno la cui esistenza ed entità deve essere provata da colui che la invoca;

• la seconda, cd. “omissiva”, attiene in linea gene-rale a tutte le violazioni del dovere di vigilanza sugli atti compiuti dagli amministratori.

È rispetto a questo secondo profilo di responsabilità che va condotta l’analisi della disciplina dell’art.2403, c.c.; la vigilanza a cui è chiamato il collegio sindacale (o organo di controllo nelle Srl) è in primis volta alla verifica dell’osservanza della legge e dello statuto e del rispetto, da parte degli amministratori, dei prin-cipi di corretta amministrazione. Non può pertanto estendersi anche all’esame dell’opportunità e della convenienza delle scelte gestionali1. La dottrina è sostanzialmente concorde nell’afferma-re che il merito della gestione, ovvero il contenuto delle scelte manageriali e di conduzione dell’impre-sa, è retto dalla c.d. business judgement rule secon-

1 A. Vicari, “I doveri degli organi sociali e dei revisori in situazioni di crisi di impresa”, in Giurisprudenza commerciale n.1/13.

do cui le operazioni gestorie compiute dagli ammini-stratori non sono sindacabili dal collegio sindacale2. Nello stesso senso si esprime anche il Cndcec nella Norma di comportamento n.3.3 laddove ribadisce che compete al collegio sindacale la vigilanza del ri-spetto dell’obbligo di diligenza degli amministratori nell’espletamento del loro incarico, la verifica degli aspetti afferenti la legittimità delle scelte gestorie e la correttezza del procedimento decisionale adotta-to; questa attività non deve invece riguardare una verifica circa la convenienza e la bontà delle decisio-ni di gestione, in quanto trattasi questa di una com-petenza esclusiva degli amministratori e, se del caso, dei soci3.

“Non è compito dei sindaci verificare la correttez-za delle valutazioni rese dagli amministratori, ma è loro dovere verificare che le valutazioni proposte siano conformi ai criteri dettati dal Legislatore per le operazioni alle quali esse ineriscono”. (Tribunale di Roma, Ordinanza n.2730/12)

Su queste basi non vi sarebbe pertanto alcun appa-rente motivo di ritenere che anche in prossimità, op-pure nel pieno, di una crisi d’impresa, l’estensione

2 D. Fico, “Il controllo sulla gestione del collegio sindacale nelle Spa”, in Diritto e Pratica delle Società, n.22/04.3 Osserva Rodorf che “ai fini dell’eventuale responsabilità dell’ammini-stratore, non rileva tanto ciò che egli fa, quanto il modo in cui lo fa: non quindi il grado di rischio che assume prendendo una determinata inizia-tiva, ma l’eventuale mancata adozione delle verifiche preventive occor-renti per valutare quel rischio in modo professionalmente adeguato”, in “La responsabilità civile degli amministratori di Spa sotto la lente della giurisprudenza”, in Le Società 2008, pag.1195 e ss.

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del dovere di vigilanza dell’organo di controllo debba mutare radicalmente fino a investire aree di control-lo tipicamente afferenti la meritevolezza delle scelte gestorie piuttosto che la loro legittimità. Tuttavia, il punto è che nella pratica è sovente tutt’altro che agevole, e lo è soprattutto a posteriori, tracciare un confine chiaro che possa definire là dove termina la verifica sulla legittimità della scelta gestoria, e là dove invece inizia il giudizio sul merito della stessa; con la conseguenza che, soprattutto in presenza di situazioni di conclamata crisi di impresa che sfoci in insolvenza, gli organi di controllo vedono accresce-re sensibilmente il grado di attenzione e di diligenza che è loro richiesto nell’esecuzione dei controlli e nell’adozione dei poteri-doveri che la legge pone a loro disposizione, per non incorrere in responsabilità civili e anche penali.Può essere di aiuto nel complicato esercizio volto a distinguere fra controllo di legittimità e di merito, individuare dapprima il campo di azione dell’organo amministrativo, ossia il confine di quella che possia-mo indicare come la legittima discrezionalità della scelta gestoria dell’amministratore4. Uno spunto in-teressante viene dalla Corte di Cassazione5 la quale, dopo aver confermato che “non sono sottoposte a sindacato di merito le scelte gestionali discrezionali anche se presentano profili di alea economica supe-riore alla norma”, sottolinea che è altresì “valutabile la diligenza mostrata nell’apprezzare preventiva-mente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, così da non esporre l’impresa a perdite altrimenti imprevedibili”. Tradotto in termini operativi, l’insegnamento che si può trarre da questa sentenza è che:• la diligenza degli amministratori impone loro di

adottare procedure idonee a una preventiva va-lutazione e limitazione dei rischi a cui è comun-que fisiologicamente esposta l’impresa; e, in modo speculare;

• la diligenza dell’organo di controllo impone ad esso di verificare che queste procedure siano idonee a prevenire, ponderare e limitare i rischi, e che le stesse siano in concreto applicate; in po-che parole quella che recente giurisprudenza6

4 Per approfondimenti sul tema: A. Tartarini, “La responsabilità civile de-gli amministratori di società di capitali”, in Bilancio Vigilanza e Controlli n.4/13 e G. Tropeano, “La responsabilità concorrente di amministratori e sindaci”, in La Circolare Tributaria n.44/12.5 Sentenza n.18231/09.6 Tribunale Prato, sentenza 14 settembre 2012. Per un commento, si veda: F. Landuzzi, “Eccesso di direzione e coordinamento di società e do-veri del collegio sindacale”, in Bilancio Vigilanza e Controlli n.12/12.

ha definito con il termine “controllo di legalità sostanziale”, volto a verificare che le scelte ge-storie degli amministratori, che di per sé potreb-bero essere anche formalmente legittime, siano in concreto state assunte in modo ragionato, se-condo delle adeguate procedure decisionali.

“Il collegio sindacale è tenuto a un controllo di le-galità non puramente formale ma esteso al con-tenuto sostanziale dell’attività sociale e dell’azione degli amministratori allo scopo di verificare che le scelte discrezionali non travalichino i limiti della buona amministrazione”. (Cassazione, sentenza n.13081/13)

Graduazione della crisi d’impresa e vigilan-za del collegio sindacale La Norma di comportamento n.11 del Cndcec indi-vidua una sorta di ordine crescente nelle manifesta-zioni della crisi di impresa, e in corrispondenza di ciascun livello o stato descrive le linee di intervento che sono raccomandate al collegio sindacale; in par-ticolare, nella citata Norma di comportamento sono individuate nell’ordine le seguenti fenomenologie:1. prevenzione ed emersione della crisi;2. segnalazione all’assemblea e denunzia al Tribu-

nale;3. adozione di un piano di risanamento ex art.67,

co.3, lett. d), L.F.;4. sottoscrizione di un accordo di ristrutturazione

dei debiti ex art.182-bis, L.F.;5. concordato preventivo ex art.160, L.F.;6. fallimento.

1. Prevenzione ed emersione della crisiSi tratta probabilmente dello stato in cui è richiesto al collegio sindacale il più intenso livello di attenzio-ne e monitoraggio.

La Norma 11.1 prescrive che il collegio sindacale se nello svolgimento della funzione di vigilanza rileva la sussistenza di fatti idonei a pregiudicare la continuità dell’impresa, sollecita gli ammini-stratori a porvi rimedio.

Il Cndcec sottolinea come non esistano nel panorama normativo disposizioni tali da individuare in modo peculiare i comportamenti specifici a cui è tenuto l’organo di controllo in funzione della prevenzione o della tempestiva emersione della crisi di impresa. È rilevante osservare come la Norma di comporta-mento 11.1 si concentri sul tema della “continuità

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aziendale”7, e quindi solleciti il collegio sindacale all’attivazione di quei poteri-doveri di informazione e di monitoraggio sui sintomi ed indicatori che la tec-nica professionale – in primis il Principio di revisione n.570 – suggerisce al fine di valutare le condizioni di effettiva sussistenza dell’impresa in going concern.In questa fase, il collegio sindacale, rilevata l’esisten-za di sintomi di situazioni che potrebbero pregiudi-care la continuità aziendale, deve quindi darne co-municazione agli amministratori richiedendo a essi anche l’approntamento delle misure opportune e, in seguito, dovrà monitorare che le azioni compiute dagli amministratori siano efficaci.Si può allora cogliere un ruolo di sollecitazione a compiere le azioni opportune, ivi inclusa anche la se-gnalazione agli amministratori di valutare l’appron-tamento di strumenti di soluzione della crisi secondo gli istituti contemplati dalla Legge Fallimentare. In tale fase, accresce anche la sensibilità dell’organo di controllo rispetto ad operazioni di gestione che po-trebbero rappresentare episodi di mala gestio degli amministratori, rispetto alle quali un’omissione nella vigilanza potrebbe in seguito far emergere potenziali profili di responsabilità dello stesso organo di con-trollo8.Va sottolineato peraltro che in presenza di un avvi-cendamento nella composizione del collegio sinda-cale, il tema della vigilanza e dei connessi profili di potenziale responsabilità, non interessa solo coloro che erano in carico nel momento in cui le eventuali scelte gestorie azzardate hanno contribuito ad arre-care danno all’integrità patrimoniale dell’impresa, bensì - seppure sotto altro profilo - anche coloro che sono subentrati, nella misura in cui a questi ultimi, ovviamente solo dal momento che assumono l’inca-rico, è richiesto di agire in modo informato, acqui-sendo un chiaro quadro della situazione di crisi d’im-presa e quindi approntando le iniziative opportune.

2. Segnalazione all’assemblea e denunzia al tribuna-leCosa deve fare il collegio sindacale quando, una vol-ta rilevati i sintomi di una crisi dell’impresa, informa-ti gli amministratori e poi sollecitati alla adozione di azioni correttive, dovesse constatare che questi non hanno assunto adeguati provvedimenti, pur non do-

7 Per una completa dissertazione dell’argomento, si veda: A. Soprani, “L’attività del collegio sindacale nella crisi di impresa”, in Bilancio Vigi-lanza e Controlli n.1/12; dello stesso autore, “Le criticità del controllo contabile nell’impresa in crisi”, in Bilancio Vigilanza e Controlli n.12/09.8 Tribunale Milano, 17 gennaio 2007 e Tribunale Milano, 13 novembre 2006.

vendo spingersi il collegio sindacale, come detto, a fornire un giudizio di merito sulle operazioni condot-te dall’organo amministrativo9?La Norma 11.2 del Cndcec risponde a questo in-terrogativo richiamando il potere-dovere del col-legio sindacale di convocare l’assemblea ai sensi dell’art.2406, c.c., previa comunicazione all’organo amministrativo, e in caso di mancato riscontro po-sitivo, se ritiene sussistenti anche i presupposti di “gravi irregolarità”, potrà ricorrere alla denunzia al Tribunale ex art.2409, c.c..

Qualora l’organo amministrativo non provveda tempestivamente all’adozione di opportuni prov-vedimenti, il collegio sindacale può: • convocare l’assemblea, previa comunicazio-

ne all’organo amministrativo, per informarla dell’inerzia degli amministratori e dello stato di crisi;

• ovvero presentare denuncia ex art. 2409, c.c. al Tribunale, ricorrendone i presupposti.

È suggerito da parte della professione che all’assem-blea sia presentata dall’organo di controllo una rela-zione che descriva lo stato di crisi, o i sintomi della sua prossimità, nonché in modo particolare l’indivi-duazione dei fatti ritenuti censurabili che il collegio sindacale ha riscontrato nell’operato degli ammini-stratori, le informazioni acquisite e la documentazio-ne di supporto.Qualora gli strumenti societari approntati (sollecita-zione degli amministratori, richiesta agli amministra-tori di convocazione dell’assemblea, convocazione dell’assemblea) non sortiscano gli effetti attesi, al collegio sindacale non rimane che coinvolgere l’Au-torità giudiziaria10: o esperendo, laddove consen-tito, la via della denuncia ex art.2409 c.c., oppure, quando vi sia già uno stato di insolvenza manifesto, la presentazione di un esposto al Pubblico Ministero affinché questi si attivi per la richiesta di fallimento della società ex art.6, co.1, L.F..Rimedi di questo tipo appaiono necessari anche lad-dove l’organo di controllo dovesse constatare che le azioni, o le omissioni, degli amministratori siano inidonee a rimediare alla manifesta crisi di impresa, ma siano pur tuttavia condivise dai soci; se il colle-gio sindacale ritiene che tale comportamento possa

9 Non spetta al collegio sindacale valutare l’opportunità e la convenien-za delle scelte gestionali, il cui apprezzamento é riservato esclusivamen-te alla competenza degli amministratori e dei soci. Così, Tribunale Mila-no, 5 marzo 2007.10 A. Corsini, “I poteri del collegio sindacale: convocazione dell’assem-blea e denunzia al Tribunale”, in Bilancio Vigilanza e Controlli n.10/12.

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pregiudicare la solvibilità dell’impresa, la via dell’i-stanza al Tribunale pare essere un rimedio adeguato, per non dire necessario quando l’insolvenza grave si fosse già manifestata. In giurisprudenza11 è stato in-fatti osservato che “l’insufficienza dei rimedi interni alla società rende doverosa da parte dei sindaci la denuncia al Pubblico Ministero”.

3. Adozione di un piano ex art.67, co.3, lett. d), L.F.Quando l’azione approntata dagli amministratori si concretizza nella predisposizione di un piano di risa-namento ex art.67, co.3, lett. d), L.F., il collegio sin-dacale è chiamato a vigilare sul fatto che l’attestatore del piano abbia i requisiti di professionalità richiesti dalla legge, e nella successiva fase della adozione del piano, che gli amministratori ne diano corretta ese-cuzione.

Il collegio sindacale deve prendere conoscenza del piano attestato, ma non è tenuto ad espri-mersi sul merito dello stesso.

È opportuno che il collegio sindacale raccomandi ai vari attori del processo il rispetto delle indicazioni contenute nelle “Linee guida per il finanziamento delle imprese in crisi” emanate dal Cndcec. Durante la concreta attuazione del piano, in caso di significa-tivi scostamenti, il collegio sindacale dovrà chiedere spiegazioni agli amministratori e verificare le even-tuali azioni correttive intraprese; anche in questo caso, in mancanza di adeguati chiarimenti da parte degli amministratori, ricorre il potere-dovere di con-vocare l’assemblea dei soci per comunicare le circo-stanze negative riscontrate.

4. Sottoscrizione di un accordo di ristrutturazione ex art.182-bis L.F.Come nel caso del piano attestato, quando l’azio-ne approntata dagli amministratori si concretizza nell’accesso ad un accordo di ristrutturazione del de-bito ex art.182-bis L.F., il collegio sindacale è chiama-to a vigilare sul fatto che l’attestatore dell’attuabilità dell’accordo abbia i requisiti di professionalità richie-sti dalla legge, e nella successiva fase conseguente alla omologazione dell’accordo, che gli amministra-tori ne diano corretta esecuzione.

Il collegio sindacale deve prendere conoscenza dell’accordo di ristrutturazione, ma non è tenuto ad esprimersi sul merito dello stesso.

11 Tribunale Milano, sentenza 5 marzo 2007..

La vigilanza del collegio sindacale si compie quindi sia durante la fase prodromica all’accordo e sia du-rante la sua esecuzione; come nel caso del piano attestato, anche nell’accordo di ristrutturazione, in caso di significativi scostamenti, il collegio sindaca-le dovrà chiedere spiegazioni agli amministratori e verificare le eventuali azioni correttive intraprese; in mancanza di adeguati chiarimenti da parte de-gli amministratori, ricorre il potere-dovere di con-vocare l’assemblea dei soci per comunicare le cir-costanze negative riscontrate e, in caso di inerzia, non rimarrà che ricorrere ai rimedi giudiziari sopra rappresentati.

5. Concordato preventivoAnche in questa particolare fattispecie, la funzio-ne del collegio sindacale si esprime sia nella fase prodromica che in quella esecutiva, seppure in tale caso nella seconda fase la funzione risulti in con-creto più mitigata dalla presenza di un commissario giudiziale e di un controllo da parte dell’Autorità giudiziaria.

Il collegio sindacale deve prendere conoscenza della proposta di concordato preventivo, ma non è tenuto ad esprimersi sul merito dello stesso.

Il collegio sindacale, anche dopo l’omologazione del concordato, conserva le proprie funzioni in quan-to gli organi della procedura si affiancano al ruolo di vigilanza di legittimità che compete all’organo di controllo; ciò, seppure al collegio sindacale non sia richiesta la vigilanza sull’esecuzione del piano con-cordatario e sull’adempimento del concordato, in quanto attività tipica del commissario.In caso di concordato con cessione dei beni, una vol-ta omologato, al collegio sindacale non spetta alcun potere di controllo e ispezione sull’attività svolta dal liquidatore giudiziale12.È infine opportuno che il collegio sindacale attivi un adeguato scambio di informazioni con il commissa-rio giudiziale segnalando allo stesso eventuali irrego-larità riscontrate nella gestione, al fine di consentire al medesimo di attivarsi secondo quanto previsto dalla legge.

6. FallimentoDurante la procedura di fallimento, il collegio sinda-cale entra in uno stato di quiescenza che ne determi-na la sospensione delle funzioni.

12 Tribunale Cassino, sentenza 15 luglio 2003.

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Normativa

Art. 2403 c.c.

Prassi

Norma di comportamento del collegio sindacale del Cndcec n.11Principio di revisione 570 – La continuità aziendaleAssonime Caso n.7/09: Scelte gestionali e diligenza degli amministratoriLinee Guida per il Finanziamento delle Imprese in crisi – Cndcec, Assonime, Università degli Studi di Firenze

Giurisprudenza

Cassazione, sentenza n.13081/13Tribunale Prato, sentenza 14 settembre 2012Corte di Appello di Milano, sentenza n.2209/12Tribunale Roma, ordinanza n.2730/12Cassazione, sentenza n.22911/10Cassazione, sentenza n.18231/09Cassazione, sentenza n.20515/09Tribunale Milano, sentenza 5 marzo 2007Tribunale Milano, sentenza 17 gennaio 2007Tribunale Milano, sentenza 13 novembre 2006Tribunale Cassino, sentenza 15 luglio 2003

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L’applicazione della regola della “par condicio creditorum”. Tipologie e caratteristiche dei crediti privilegiatidi Andrea Silla - avvocato e dottore commercialista

Il Legislatore ha previsto il principio generale della par condicio creditorum ma ha anche individuato alcune fattispecie eccezionali in cui tale regola non deve essere applicata. Dopo aver delineato le caratteristiche del privilegio, sia esso generale, mobiliare o immobiliare, si analizza il grado dei privilegi stessi. Da ultimo si evidenziano le cause di estinzione del privilegio.

La par condicio e le cause legittime di pre-lazioneIl principio della par condicio creditorum viene san-cito dall’art.2741 c.c. e in particolare, tale articolo recita “I creditori hanno eguale diritto ad essere sod-disfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione”. Tale principio, quindi, trova applicazione nel caso in cui esistano più creditori di un unico debitore poi-ché deve essere assicurata la parità di trattamento del ceto creditorio di fronte un unico patrimonio. Il principio della par codicio creditorum, come previ-sto dall’art.2741 c.c. sopra citato, non è assoluto in quanto il Legislatore ha previsto che in presenza di cause legittime di prelazione “il creditore che ne sia titolare (c.d. creditore privilegiato) è preferito, nel riparto del prezzo ricavato dalla vendita forzata dei beni del debitore, rispetto agli altri creditori che non ne possono vantare (c.d. creditori chirografari)1”.

In altre parole i creditori privilegiati sono con-siderati da Legislatore con particolare favore ri-spetto ad altri creditori c.d. “chirografi” che non sono assistiti da cause di prelazione.

Le cause di prelazione sono previste dalla legge e non sono suscettibili di estensione analogica (co-stituiscono un ius singulare) a seguito della loro eccezionalità rispetto al principio della par codicio creditorum2. Costituiscono un “numerus clausus” che esclude qualsiasi autonomia privata che potrà essere esercitata solamente dando vita a privilegi convenzionali già previsti dalla legge. Il Legislatore, infatti, al co.2 dell’art.2741 c.c. ha stabilito che sono cause di prelazione i privilegi previsti dall’art.2745 e ss., il pegno di cui all’art.2784 c.c. e ss. e l’ipoteca di

1 F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, pag.656). 2 cfr. Cassazione, sentenza n.1398/60

cui all’art.2808 e ss. c.c.. Vengono disciplinati anche gli eventuali conflitti tra l’una e l’altra causa.Il presente scritto, ha per scopo quello di illustrare brevemente le tipologie di privilegio e gli elementi che le caratterizzano.

Il privilegioIn via generale il privilegio è la preferenza che viene accordata dalla legge “in considerazione della cau-sa del credito” (art.2745, co.1, c.c.) e nell’ambito dei vari crediti privilegiati l’ordine di preferenza non si basa sull’anteriorità del credito ma è stabilito dal Le-gislatore.Il privilegio normalmente, salvo alcune eccezioni, non è pubblicizzato e quindi non è sempre conosci-bile dai terzi creditori “che possono anche ignorare l’esistenza di ulteriori crediti per loro natura privile-giati e quindi vedersi inaspettatamente pretermessi rispetto ad altri”3.

I privilegi sono previsti dal codice civile, da leggi speciali e dal codice della navigazione e si distin-guono in “generali” e “speciali”, “mobiliari” ed “immobiliari”.

Privilegio generaleÈ il privilegio che si può far valere su tutti i beni mobi-li del debitore: non costituisce per il creditore un di-ritto soggettivo distinto dal credito che ne è assistito ma lo rafforza di una garanzia generica poiché con-sente l’esercizio della preferenza rispetto ad altri cre-ditori in sede di ripartizione del ricavato della vendi-ta dei beni assoggettati all’esecuzione. Il privilegio “è un modo di essere o una qualità del credito e non at-tribuisce il diritto di sequela con la conseguenza che può essere esercitato solo fin tanto che i beni mobili 3 F.Gazzoni, op. cit., pag.659.

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fanno parte del patrimonio del debitore (art.2747, co.1, c.c.)4”. I crediti assistiti da privilegio generale hanno nel fallimento diritto di prelazione per il capi-tale, le spese e gli interessi sul prezzo ricavato dalla liquidazione del patrimonio mobiliare sul quale con-corrono in una unica graduatoria con i crediti garan-titi da privilegio speciale mobiliare in base al grado previsto dalla normativa (art.111-quater L.F.).

Privilegio specialePuò essere esercitato solamente su singoli beni mo-bili o immobili di pertinenza del debitore. Ha natura di diritto reale di garanzia e quindi, a differenza del privilegio generale, può esercitarsi anche in pregiu-dizio dei diritti acquisiti dai terzi posteriormente al sorgere del privilegio stesso (art.2747, co.2, c.c.). In altre parole colui che acquista il bene dopo che sia sorto il privilegio, deve subirlo.

Si deve ricordare che in alcuni casi l’esistenza del privilegio speciale è subordinata alla condizione che il bene mobile sia in un determinato luogo (art.2757, co.2, c.c.) o si trovi in possesso del cre-ditore (art.2756 c.c.).

Vale comunque il principio di buona fede del terzo che acquista la proprietà e gli altri diritti sul bene mobile liberi da diritti altrui se questi non risultano dal titolo (art.1153, co.2, c.c.). I crediti assistiti da pri-vilegio speciale o garantiti da ipoteca o pegno hanno diritto di prelazione per capitale, spese e interessi sul prezzo ricavato dai beni vincolati alla loro garanzia.In ultimo si fa presente che il D.L. n.98/11 converti-to in L. n.111/11 ha abrogato l’art.2771 c.c. che pre-vedeva il privilegio speciale dello Stato per i crediti per imposte sui redditi immobiliari. Tale abrogazione non è stata tuttavia recepita nell’art.2778 c.c. che tuttora lo richiama.

Privilegio mobiliareRiguarda i beni mobili del debitore comprese le ener-gie naturali che hanno valore economico ex art.814 c.c., le universalità dei beni e quindi la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria ex art.816 c.c., i beni mo-bili registrati ex art.815 c.c., gli interessi, i frutti ma-turati e le pertinenze. Tale privilegio può essere sia “generale” che “speciale”.

Privilegio immobiliareViene esercitato solamente sugli immobili, gli acces-4 Torrente, Manuale di diritto privato, pag.424

sori e le relative pertinenze. Esso può essere solo “speciale” in quanto riguarda solamente singoli e specifici beni immobili.

Grado dei privilegiAppare opportuno indicare, una volta esaminati gli elementi che caratterizzano i privilegi, il loro ordine di soddisfazione in rapporto ai beni mobili e ai beni immobili del debitore. Nell’ambito dei crediti assistiti da privilegio sui beni mobili, sono prevede diverse fattispecie mentre per la soddisfazione dei crediti ga-rantiti da privilegi speciali su beni immobili ne ven-gono individuate un numero inferiore.Per chiarezza espositiva appare opportuno indicare preliminarmente l’ordine dei privilegi che si riferisce ai beni mobili e successivamente a quello sui beni immobili.

Crediti assistiti da privilegio sui beni mobili1. crediti per spese di giustizia poste in essere per

atti conservativi o di espropriazione di beni mo-bili nell’interesse comune di creditori e quindi spese che vengono affrontate da chi ha veste di creditore e siano idonee, almeno potenzialmen-te, ad avvantaggiare gli altri creditori (Cassazio-ne, sentenza n.763/80). Il privilegio cade sugli stessi beni (artt.2755 e 2777 co.1 e 2 c.c.);

2. crediti per prestatori di lavoro subordinato per retribuzioni dovute sotto qualsiasi forma e per le indennità dovute alla cessazione di tale rapporto nonché crediti del lavoratore per i danni derivan-ti dal mancato pagamento dei contributi e per i danni subiti a seguito di licenziamento illegittimo (art.2751-bis n.1 c.c.);

3. crediti per retribuzioni dei professionisti e di ogni altro prestatore d’opera dovute per gli ultimi due anni di prestazioni (art.2751-bis n. 2 c.c.) e per provvigioni derivanti da rapporto di agenzia do-vute per l’ultimo anno di prestazione e indennità per la cessazione del rapporto (art.2751-bis n.3 c.c.);

4. crediti del coltivatore diretto, del mezzadro o colono derivanti dal contratto ex art.2765 c.c. (art.2751-bis n.4 c.c.) nonché i crediti dell’impre-sa artigiana o delle società o enti cooperativi di produzione e lavoro per i corrispettivi dei servizi prestati e della vendita dei manufatti (art.2751-bis n.5 c.c.);

5. crediti di società cooperative agricole e dei loro consorzi per i corrispettivi della vendita dei pro-dotti (art.2751-bis n.5 bis c.c.);

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6. crediti delle imprese fornitrici di lavoro tempo-raneo ex L. n.196/97 (cfr. D.Lgs. n.276/03) per gli oneri retributivi e previdenziali addebitate alle imprese utilizzatrici (art.2751-bis n.5-ter c.c.);

7. crediti derivanti dal mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro ad istitu-ti, enti o fondi speciali, compresi quelli sostitutivi o integrativi, che gestiscono forme di assicura-zione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, nonché crediti per i relativi acces-sori, limitatamente al 50% del loro ammontare (artt.2753 e 2778 n.1 c.c.);

8. crediti per prestazioni e spese relative alla con-servazione o al miglioramento di beni mobili. Il privilegio cade sui beni stessi, purché siano an-cora presso chi ha fatto le prestazioni o le spese (artt.2778 n.4 e 2756 c.c.). Rientrano in tale gra-do di privilegio anche i crediti del contraente di un contratto di assicurazione stipulato per conto altrui per il rimborso dei premi pagati all’assi-curatore e delle spese del contratto. Il privile-gio cade sulle somme dovute dall’assicuratore (art.1891 co.4 c.c.);

9. crediti per i compensi dei lavoratori per le opere di coltivazione e di raccolta. Il privilegio cade sui frutti (art.2778 n.5 e art.2757 c.c.);

10. crediti per le somministrazioni di sementi, di fertilizzanti e antiparassitari e di acqua per irri-gazione. Rientrano in tale grado di privilegio an-che i crediti per lavori di coltivazione e di raccolta dell’annata agricola. Qualora tali crediti venga-no in concorso tra loro, sono preferiti quelli di raccolta, seguono quelli di coltivazione e infine vengono considerati gli altri crediti. Il privilegio cade sui frutti alla cui produzione abbiano con-corso (art.2757 e art.2778 n.6 c.c.);

11. crediti dello Stato per i tributi indiretti. Il privile-gio cade sui mobili a cui si riferiscono i tributi e gli altri beni indicati dalle relative leggi. Rientra in tale grado di privilegio anche il credito di ri-valsa verso il cessionario e il committente pre-visti dalle norme Iva. Il privilegio cade sui beni che hanno formato oggetto della cessione o ai quali si riferisce il servizio (art.2758 e art.2778 n.7 c.c.). Assumono sempre l’11° grado di privi-legio i crediti dello Stato per l’Irpef, Ires e per l’I-rap, dovuta per i 2 anni anteriori a quello in cui si procede, limitatamente all’imposta o alla quota d’imposta imputabile al reddito d’impresa. Il pri-vilegio cade sui mobili che servono all’esercizio di imprese commerciali e le merci che si trovano

nel locale adibito all’esercizio stesso o nell’abita-zione dell’imprenditore (art.2759 e art.2778 n.7 c.c.);

12. crediti per contributi dovuti ad istituti ed enti per forme di tutela previdenziale e assistenziale in-dicati all’art.2754 c.c. nonché gli accessori, limi-tatamente al 50% del loro ammontare (art.2754 e 2778 n.8 c.c.);

13. crediti dello Stato e delle altre persone indica-te dal codice penale in conseguenza del reato. Il privilegio cade sulle cose sequestrate (art.2768 e art.2778 n.10 c.c., art.185 c.p., artt.188, 189, 191, 320, 694 c.p.p.);

14. crediti del danneggiato per risarcimento di dan-ni contro l’assicurato nell’assicurazione della re-sponsabilità civile. Il privilegio cade sull’indenni-tà dovuta dall’assicuratore (art.2767 e art.2778 n.11 c.c.);

15. crediti dell’albergatore verso le persone alberga-te. Il privilegio ha effetto anche in pregiudizio dei terzi che hanno diritti sulle cose stesse, a meno che l’albergatore fosse a conoscenza di tali diritti al tempo in cui le cose sono state portate nell’al-bergo. Il privilegio cade sulle cose portate nell’al-bergo e nelle dipendenze e che ivi si trovino an-cora (art.2760 e art.2778 n.12 c.c.);

16. crediti del vettore dipendente dal contratto di trasporto e per le spese d’imposta anticipate dal vettore. Rientrano in tale grado di privilegio anche i crediti del mandatario derivanti dall’e-secuzione del mandato. Il privilegio cade sulle cose del mandante che il mandatario detiene per l’esecuzione del mandato. Assumono sem-pre il 16° grado di privilegio i crediti del deposi-tario derivanti dal deposito o del sequestratario derivanti dal sequestro convenzionale a favore del depositario e del sequestratario. Il privilegio cade sulle cose che questi detengono per effetto del deposito o del sequestro (art.2761 e art.2778 n.13 c.c.);

17. crediti del venditore di macchine derivanti del prezzo di vendita di macchine vendute e conse-gnate, anche se incorporate o congiunte all’im-mobile di proprietà del compratore o di un terzo. Il privilegio dura tre anni dalla data della vendi-ta e ha effetto finché il compratore possiede la macchina, salvo la sua sottrazione fraudolenta. Il privilegio cade sulle macchine stesse a condizio-ne che vendita e credito siano trascritti nell’ap-posito registro (art.1524 c.c.). Rientrano in tale grado di privilegio anche i crediti degli istituti

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creditizi autorizzati all’esercizio di prestiti, che abbiano anticipato al compratore il prezzo per l’acquisto di un macchinario. Se il privilegio dell’i-stituto creditizio concorre con quello del vendi-tore, è preferito il creditore che ha trascritto per primo (L. n.1329/65). Il privilegio cade sul mac-chinario a condizione che il documento che pro-va la sovvenzione sia trascritto e indichi lo scopo, l’ammontare e la scadenza del credito e indichi esattamente il macchinario soggetto al privilegio (art.2762 e art.2778 n.14 c.c.);

18. crediti del concedente per il canone dovuto dall’enfiteuta per l’anno in corso e per il pre-cedente: il privilegio cade sui frutti dell’anno e quelli raccolti anteriormente, purché si trovino nel fondo o nelle sue dipendenze (art.2763 e art.2778 n.15 c.c.);

19. crediti del locatore di immobili:• per pigioni e fitti. Il privilegio sussiste per il

credito dell’anno in corso, dell’antecedente e dei successivi, se la locazione ha data certa. Diversamente per quello dell’anno in corso e del susseguente;

• dipendenti da mancate riparazioni a carico del conduttore e per i danni arrecati all’im-mobile locato e per la mancata restituzione delle scorte e ogni altro credito dipendente da inadempimento del contratto.

Il privilegio cade sui frutti dell’anno e quelli rac-colti anteriormente, nonché tutto ciò che serve a fornire l’immobile o a coltivare il fondo locato (art.2764, art.2765 e art.2778 n.16 c.c.);

20. crediti assistiti da privilegio speciale per i quali la legge non dispone il grado di preferenza. Il privile-gio cade sui beni cui si riferiscono (art.2783 c.c.);

21. le spese funebri necessarie secondo gli usi, le spese d’infermità sostenute negli ultimi sei mesi della vita del debitore e le somministrazioni di vitto, vesti e alloggio, nei limiti della stretta ne-cessità, fatte al debitore per lui e per la sua fa-miglia negli ultimi sei mesi nonché i crediti di alimenti per gli ultimi tre mesi, a favore delle persone a cui sono dovuti per legge (art.2751 e art.2778 n.17 c.c.);

22. crediti dello Stato sia per le imposte che per le sanzioni dovute secondo le norme in materia di Irpef, Ires, Irap e Ilor (art.2752 co.1 e art.2778 n.18 c.c.);

23. crediti dello Stato sia per imposte, pene pecunia-rie e soprattasse dovute in base alle norme Iva (art.2752, co.3 e art.2778 n.19 c.c.);

24. crediti dei Comuni e delle Province per le im-poste, tasse e tributi previsti dalla legge per la finanza locale e dalle norme relative all’imposta comunale sulla pubblicità e ai diritti sulle pubbli-che affissioni subordinatamente a quello dello Stato (art.2752, co.4 e art.2778 n.20 c.c.).

Crediti assistiti da privilegi speciali su beni immobiliPer quanto riguarda i privilegi speciali su beni immo-bili l’ordine di pagamento è il seguente:1. crediti per le spese di giustizia fatte per atti con-

servativi o per l’espropriazione di beni immobili nell’interesse comune dei creditori. Rientrano in tale grado di privilegio anche i crediti dell’ac-quirente di un immobile per le spese fatte per dichiarare l’immobile libero da ipoteche. I privi-legio cade sul prezzo degli immobili (art.2770 e art.2777 co.1 c.c.);

2. crediti per opere di bonifica e di miglioramento. Il privilegio cade sugli immobili che traggono be-neficio dalle opere di bonifica o di miglioramento (art.2775 e art.2780 n.2 c.c.);

3. crediti dello Stato per concessioni di acque (R.D. n.1775/33). Il privilegio cade sugli impianti (art.2774 e art.2780 n.3 c.c.);

4. crediti dello Stato per tutti i tributi indiretti. Il pri-vilegio cade sull’immobile a cui il tributo si riferi-sce. Rientrano nello stesso ordine anche i crediti dello Stato di rivalsa per l’iva sulla cessione degli immobili. Il privilegio cade sull’immobile oggetto di cessione o a cui si riferisce il servizio prestato (art.2772 e art.2780 n.4 c.c.);

5. crediti per l’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili (Ici/Imu). Il privilegio cade sul prezzo degli immobili (art2780 n.5 c.c.);

6. crediti del promissario acquirente per mancata esecuzione del contratto preliminare trascritto. Il privilegio cade sull’immobile oggetto del prelimi-nare purché gli effetti della trascrizione non siano cessati al momento della risoluzione del contrat-to risultante da atto avente data certa o al mo-mento della domanda giudiziale di risoluzione o di condanna al pagamento o al momento della trascrizione del pignoramento o dell’intervento nell’esecuzione promossa da terzi (art.2775-bis e art.2780 n.5-bis c.c.)

7. crediti assistiti da privilegio speciale su beni im-mobili, per i quali la legge non dispone il grado di preferenza. Il privilegio cade sui beni cui si riferi-sce il credito (art.2783 c.c.).

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Interessi generati da crediti assistiti da pri-vilegio generale (art.2749 c.c.). Il Legislatore ha previsto che la prelazione si estenda agli interessi, anche convenzionali, dovuti per l’anno in corso alla data del pignoramento e per l’anno pre-cedente; gli interessi maturati nell’anno successivo godono del privilegio nella misura legale e fino alla data della vendita.La regolamentazione degli interessi in sede fallimen-tare è prevista agli artt.54 e 55 L.F. Più specificata-mente, il co. 1 dell’art.55 recita:

“La dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, da pe-gno o privilegio, salvo quanto è disposto dal terzo comma dell’articolo precedente”. Il terzo comma dell’art.54 dispone che “L’estensione del diritto di prelazione agli interessi è regolata dagli articoli 2749, 2788 e 2855, commi secondo e terzo, del co-dice civile, intendendosi equiparata la dichiarazio-ne di fallimento all’atto di pignoramento. Per i cre-diti assistiti da privilegio generale, il decorso degli interessi cessa alla data del deposito del progetto di riparto nel quale il credito è soddisfatto anche se parzialmente”.

Vengono, pertanto, indicati i criteri di calcolo degli interessi post insolvenza sui crediti assistiti da privi-legio generale nel caso di vendita non contestuale di tutti i beni mobili.Pertanto gli interessi sorti da crediti privilegia-ti possono essere richiesti in base alle previsioni dell’art.2479 c.c. come segue:• in privilegio, con lo stesso grado dei crediti per

capitale gli interessi al tasso convenzionale ma-turati per l’anno in corso alla data del fallimento e nell’anno precedente;

• in privilegio con lo stesso grado dei crediti per capitale gli interessi al tasso legale maturati suc-cessivamente alla data di dichiarazione di falli-mento fino alla data del deposito del progetto di riparto nel quale il credito è soddisfatto anche se parzialmente.

Estinzione del privilegioIl privilegio si estingue nel momento in cui viene meno il credito privilegiato.Esistono, comunque, diverse ipotesi di estinzione e ciò avviene quando:

• si modificano alcune situazioni fattuali (es. credi-to dell’albergatore sulle cose portate in albergo);

• decorso il tempo previsto dalla legge (es. privile-gio del venditore di macchine ex art.2762, co.3);

• si manifesti il perimento totale del bene su cui grava il privilegio;

• sia trasferito il bene sui cui grava il privilegio;• venga effettuata la “prestazione in luogo dell’a-

dempimento” e quindi la sostituzione della prestazione originariamente dovuta con una di natura diversa come previsto dall’art.1197 c.c. (datio in solutum);

• venga a configurarsi l’ipotesi di “confusione” di un debito con un credito e ciò si verifica quando il debitore e il creditore si riuniscono nella stessa persona (art.1253 e ss. c.c.);

• si configuri la “novazione” ex art.1230 c.c. che consiste nello stipulare un contratto con il quale le parti convengono di novare la vecchia obbliga-zione con una nuova che abbia oggetto o titolo diverso e non venga previsto il mantenimento del privilegio per il nuovo credito (art.1232 c.c.);

• si configuri la “compensazione” ex art.1241 e ss. c.c., che consiste nell’elisione dei controcrediti reciproci esistenti tra debitore e creditore, fino a concorrenza degli stessi. A tal proposito si deve evidenziare che l’art.1251 c.c prevede l’ipotesi in cui “chi ha pagato un debito mentre poteva in-vocare la compensazione non può più valersi, in pregiudizio dei terzi, dei privilegi e delle garanzie a favore del suo credito, salvo che abbia ignorato l’esistenza di questo per giusti motivi”.

In via generale, quindi, la determinazione del grado di privilegio è prevista dal Legislatore e non è suscet-tibile di analogia ma un attento esame dei singoli casi permetterà certamente di individuare se il pro-prio credito possa considerarsi chirografario o privi-legiato.

Normativa

Artt.2741, 2745, 2747, 2751-bis, 2753, 2754, 2755, 2756, 2759, 2775, 2777, c.c.Art.111-quater L.F.

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I presupposti della responsabilità degli ammi-nistratori e dei sindaci nelle fasi preconcorsualidi Luigi Ferrajoli - avvocato patrocinante in Cassazione e dottore commercialista

La responsabilità degli amministratori e dei sindaci durante lo stato di crisi della società si sostanzia principalmente nell’obbligo, per gli uni, di manifestare e facilitare la verifica della crisi e la procedura liquidatoria, e per gli altri, di vigilare che questi ultimi pongano in essere tutti gli atti necessari alla corretta evidenziazione dell’insolvenza e della conseguente liquidazione patrimoniale.

Nell’azione di responsabilità il danno da risarcire è, in generale, collegato al tipo di responsabilità a cui sono sottoposti gli organi sociali.Gli amministratori – ai sensi dell’art.2392 c.c. (e dell’art.2476 c.c. per le Srl) – sono responsabili ver-so la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto, do-veri da adempiere con la diligenza richiesta dalla na-tura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.

art.2392 c.c.Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza ri-chiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifi-che competenze. Essi sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni pro-prie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori.In ogni caso gli amministratori, fermo quanto di-sposto dal comma terzo dell’art.2381, cono soli-dalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto po-tevano per impedirne il compimento o eliminare o attenuare le conseguenze dannose.La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adu-nanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del col-legio sindacale.

I sindaci, invece, ai sensi degli artt.2403 e 2407 c.c. devono adempiere i loro doveri con la professiona-lità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico sono responsabili solidalmente con gli amministra-tori per i fatti od omissioni di questi, quando il dan-no non si sarebbe prodotto se essi avessero vigila-

to in conformità degli obblighi della loro carica. In pratica, essi rispondono, in via esclusiva, in ordine all’inosservanza ai doveri di controllo di legittimità sostanziale dell’operato degli amministratori, e in merito alla verità delle proprie attestazioni, nonché, in concorso con gli amministratori, dei danni da que-sti ultimi cagionati nelle ipotesi in cui non abbiano puntualmente adempiuto i propri doveri di vigilanza.

art.2407 c.c.I sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natu-ra dell’incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.Essi sono responsabili solidalmente con gli ammini-stratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigi-lato in conformità degli obblighi della loro carica. […]

La responsabilità degli amministratori e dei sindaci è quindi riferibile all’inosservanza dei doveri a essi imposti dalla legge e dallo statuto comprendendo-vi tutti i danni che ne siano conseguenza diretta. La materia dei danni provocati da singole operazioni il-lecite compiute dagli amministratori è commisurato al principio della causalità: gli amministratori rispon-dono dei danni che siano conseguenza immediata e diretta della loro condotta inadempiente.Passando alla competenza prettamente precon-corsuale, a norma dell’art.2394-bis c.c. per quanto riguarda gli amministratori, e dell’art.2407, ultimo comma, c.c. in ordine ai sindaci, in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazio-ne straordinaria, le azioni di responsabilità nei con-fronti degli amministratori spettano al curatore del fallimento, al commissario liquidatore e al commis-sario straordinario.

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La legittimazione del curatore del fallimento a espe-rire l’azione sociale e quella in capo ai creditori è frutto delle norme di cui agli artt.42 e 43 L.F., per le quali con la dichiarazione di fallimento la legittima-zione sostanziale e processuale per l’esercizio e la tu-tela dei diritti del fallito - e quindi della società verso terzi amministratori - spetta al curatore.È prevalente in dottrina e in giurisprudenza la tesi secondo cui l’azione di responsabilità esercitata dal curatore - legittimato esclusivo, dopo la dichiarazio-ne di fallimento, al suo esercizio - abbia carattere unitario ed inscindibile, poiché le azioni ex artt.2393 e 2394 c.c. confluiscono in un’unica azione sempre finalizzata alla reintegrazione del patrimonio sociale a garanzia dei soci e dei creditori, e assuma in sé sia i presupposti dell’azione sociale che quelli dell’azione dei creditori, dando luogo a un cumulo configurato in modo tale che venendo a mancare i presupposti dell’una, possono comunque esser presenti e soc-correre l’attore i presupposti dell’altra. Come noto, la questione dei soggetti destinatari dell’azione di responsabilità del curatore fallimenta-re non presenta, a livello sostanziale, rilevanti profili distintivi rispetto a quella generale. La condotta “principe” per la quale sia gli ammini-stratori sia i sindaci vengono chiamati a rispondere a seguito dell’intervenuta dichiarazione di insolvenza riguarda principalmente i momenti strettamente pre-cedenti al verificarsi dello stato di crisi della società e agli adempimenti richiesti dalla legge in tal senso.La fattispecie si ravvisa principalmente nell’ipotesi in cui i medesimi organi sociali non abbiano segnalato il verificarsi di una causa di scioglimento della società in seguito fallita, ai sensi dell’art.2485 c.c., ovvero nel caso in cui, accertata una causa di scioglimento, gli ammi-nistratori gestiscano la società in violazione del dovere di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale - che al verificarsi della causa perde la destinazione di realizzazione dell’oggetto sociale - in funzione della suc-cessiva liquidazione, ai sensi dell’art.2486 c.c..

art.2485 c.c.Gli amministratori devono senza indugio accer-tare il verificarsi di una causa di scioglimento e procedere agli adempimenti previsti dal comma 3 dell’articolo 2484. […].Quando gli amministratori omettono gli adempi-menti di cui al comma precedente, il tribunale, su istanza di singoli soci o amministratori ovvero dei sindaci, accerta il verificarsi della causa di sciogli-mento, con decreto che deve essere iscritto a nor-ma del terzo comma dell’art.2484.

art.2486 c.c.Al verificarsi di una causa di scioglimento e fino al momento della consegna di cui all’art.2487-bis, gli amministratori conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell’integri-tà e del valore del patrimonio sociale.Gli amministratori sono personalmente e solidal-mente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori ed ai terzi, per atti od omissioni compiuti in violazione del precedente comma.

Per quanto riguarda gli amministratori, i comporta-menti che maggiormente sono oggetto di integra-zione di responsabilità possono essere riassunti nei seguenti:• gli atti distrattivi di liquidità sociale, ove il dan-

no è pari alla relativa diminuzione patrimoniale subìta dalla società come effetto dell’operazione. Potrebbe essere il caso di una società proprie-taria di un immobile in cui viene svolta l’attivi-tà produttiva che, a scopo di finanziamento, lo aliena alla controllante e lo ottiene in locazione dalla medesima: spesso viene contestato che la vendita sia avvenuta sottocosto o che il canone di affitto stabilito sia troppo elevato;

• l’omesso pagamento di oneri fiscali e contribu-tivi, ove il danno sia pari all’entità delle sanzioni e interessi; nel caso di specie, qualora l’ammini-stratore dimostri che la società non era comun-que in grado di corrispondere tali oneri a causa dello stato di deficit finanziario o patrimoniale, viene a mancare il nesso causale;

• l’alterazione della scritture contabili, violazione di obblighi pubblicitari, contabili o amministra-tivi, falsificazione del bilancio: tali condotte non possono essere assunte, di per sé, quali fonti di diritto al risarcimento ove non venga dimostrata che esse sono state causa di violazioni che han-no prodotto un danno alla società; l’irregolarità contabile, l’occultamento della perdita ad essa connessa e l’omissione dei provvedimenti di rica-pitalizzazione necessari, in sé sono irregolarità:

“non sufficienti a determinare una responsabilità risarcitoria a carico degli amministratori nei con-fronti della società ove non si dimostri che a causa di quelle violazioni la società medesima ha subìto un danno” (Cassazione, sentenza n.3652/97).

Da ciò discende che tali condotte possano essere invocate solamente come presupposti dell’accerta-

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mento di uno stato di scioglimento della società fun-zionale a qualificare come illecita l’attività gestionale successiva se ed in quanto non in linea con la finali-tà conservativa dell’integrità del patrimonio che gli amministratori possono e devono perseguire in una prospettiva liquidatoria.In sintesi, pertanto, i presupposti per l’imputazione di responsabilità di amministratori e sindaci possono essere ricondotti all’avverarsi delle seguenti circo-stanze:• la riduzione del capitale sociale al di sotto del mi-

nimo di legge (art.2447 c.c. e art.2482 c.c.);• la conoscenza, da parte degli amministratori (e

dei sindaci durante svolgimento dell’attività di controllo) di tale circostanza, ovvero conosci-bilità di tale circostanza utilizzando la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze;

• l’omissione, da parte degli amministratori, del-la convocazione senza indugio dell’assemblea di cui all’art.2447 c.c. (oppure agli artt.2482-bis e seguenti c.c. per le Srl) finalizzata alla ricapi-talizzazione o alla trasformazione, ovvero, pur essendosi tenuta l’assemblea, non siano state adottate delibere che consentano la ordinaria prosecuzione dell’attività sociale e, in ogni caso, gli amministratori non abbiano iscritto la cau-sa di scioglimento della società e non l’abbiano messa in liquidazione;

• gli amministratori, pur conoscendo o potendo conoscere la perdita del capitale sociale e non avendo adottato gli adempimenti conseguenti, abbiano compiuto nuove operazioni generati-ve di danno per la società o abbiano proseguito nella gestione dell’attività con modalità e a fini estranei alla mera conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio;

• la prosecuzione dell’attività in ottica non conser-vativa abbia prodotto dei danni alla società e ai creditori, depauperando il patrimonio sociale.

Naturalmente, il limite entro il quale i comporta-menti gestori possono dirsi consentiti ed in cui è do-verosa la conservazione dei valori dell’impresa, resta legato a valutazioni da operare caso per caso: gli am-ministratori, “in sostanza, sebbene non siano ancora chiamati a determinare le linee programmatiche del futuro procedimento di liquidazione, le quali spetta-no all’assemblea e poi ai liquidatori, tuttavia debbo-no tenere conto delle possibili alternative disponibili all’organo di liquidazione, ed adottare per il momen-to soltanto scelte gestionali che non compromettano

l’espletamento di tale attività liquidatoria”1.

“In tema di responsabilità degli amministratori, si deve ritenere che la previsione dell’attuale ar-ticolo 2486, codice civile, il quale dispone che gli amministratori “conservano il potere di gestire la società, ai soli fini della conservazione dell’inte-grità e del valore del patrimonio sociale”, abbia lo scopo di esplicitare un principio già affermatosi in giurisprudenza, la quale, in plurime occasioni, aveva precisato che il divieto in questione doveva riferirsi solo alle operazioni fonte di nuovo rischio di impresa e che erano pertanto consentiti gli atti strumentali alla conservazione del patrimonio ed alla necessità inerenti alla liquidazione” (Tribunale Milano, 18 gennaio 2011)

Si evidenziano altresì le recentissime decisioni del Tribunale di Milano (sentenze n.3463/13, sentenza n.4560/13, sentenza n.9313/13), le quali conferma-no ulteriormente quanto sopra descritto.

CasoNel 2008, la curatela di un fallimento di una Srl (di-chiarato nel 2004) ha proposto azione di responsabi-lità nei confronti degli amministratori in quanto i me-desimi, con le proprie condotte, avrebbero aggravato il dissesto derivato dalla prosecuzione dell’attività dopo la perdita del capitale sociale, perdita che, veri-ficatasi nel 1999, era poi stata occultata mediante la falsificazione dei dati di bilancio per gli esercizi dal 1999 al 2002. La prosecuzione dell’attività consisteva in investimenti effettuati (affitto d’azienda) non in forma conservativa del patrimonio sociale.Il Tribunale, accertata sia la perdita di capitale sia lo stato di scioglimento della società anteriori alla di-chiarazione dello stato di insolvenza, ha ravvisato l’integrazione della responsabilità degli amministra-tori per aver proseguito l’attività provocando un’ul-teriore perdita. (Tribunale Milano, 18 gennaio 2011)Nel caso invece la società dovesse trovarsi in circo-stanze ancora più gravi che potrebbero andare dallo stato di crisi sino all’insolvenza, ovvero all’incapacità per la società di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni, gli obblighi degli amministratori (e dei sindaci) divengono ancora più stringenti: infatti, essi non potranno limitarsi a gestire la società in un’ottica liquidatoria, bensì dovranno tempestivamente inter-rompere l’attività aziendale e chiedere la dichiarazio-1 Così, Galletti, “Brevi note sull’uso del criterio dei “netti patrimoniali di periodo” nelle azioni di responsabilità” in Il caso.it, pag.4.

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ne dello stato d’insolvenza (ovvero predisporre – se possibile nel caso di specie – l’istanza per l’ammissio-ne ad una procedura concorsuale parallela).

“Se non è concretamente e razionalmente prevedi-bile la possibilità di concludere in modo fisiologico un procedimento di liquidazione, anche se del caso mediante la negoziazione di accordi “a stralcio” con i principali creditori, gli amministratori invece debbono instare direttamente per il fallimento del-la società” (Cassazione, sentenza n.2906/02).

Per quanto riguarda i sindaci, proprio in un momen-to così delicato quale è quello di crisi della società, ai fini di un diligente svolgimento dei doveri di vigi-lanza, essi non possono prescindere, oltre che dal controllo sull’operato degli amministratori in ordine ai doveri imposti dalla legge e dallo statuto, da un’at-tenta analisi del bilancio e della documentazione contabile relativi agli esercizi precedenti: è proprio tale tipologia di controllo che consente di eliminare o quanto meno attenuare – in un eventuale giudizio – le irregolarità e, di conseguenza, gli eventuali profi-li di responsabilità che dovessero ravvisarsi.

“Benché non possa ritenersi compito del collegio sindacale verificare la correttezza delle valutazioni poste in essere dagli amministratori, si deve tutta-via ritenere che rientri nei poteri e dei doveri dei sindaci verificare che le valutazioni predisposte a supporto di operazioni straordinarie siano confor-mi ai criteri dettati dal legislatore, verifica, questa, che può essere condotta attraverso richieste di in-tegrazione della documentazione posta a supporto di dette operazioni. Va, inoltre, precisato che la vi-gilanza del collegio non deve limitarsi alla verifica dell’esistenza fisica dei documenti relativi all’ope-razione straordinaria, ma deve estendersi alla ido-neità dei medesimi a fornire quel livello minimo di qualità e quantità informativa necessarie a valuta-re la correttezza dell’intera operazione” (Tribunale Roma, 20 febbraio 2012)

CasoNel 2011, la Curatela di un Fallimento di una Spa ha proposto sequestro conservativo nei confronti degli ex amministratori e dei sindaci prima del fallimento nei cui confronti intendeva instaurare azione di re-sponsabilità. Nello specifico, dato atto delle condot-te di mala gestio imputate agli amministratori (atti distrattivi di finanze, alterazione di scritture contabi-

li, occultamento della realtà patrimoniale), poi con-dannati, è stata ritenuta altresì ravvisabile la respon-sabilità anche nei confronti dei sindaci succedutisi nel tempo per negligente adempimento dell’obbligo di vigilanza della corretta gestione amministrativa e dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo ammini-strativo e contabile adottato dalla società. La motiva-zione statuisce infatti che: “non può dubitarsi che se i sindaci avessero adottato le misure previste dalla legge al fine di impedire il protrarsi dell’irregolare gestione della società, sollecitando la ricapitalizza-zione reale o la messa in liquidazione di essa, i danni derivanti dalla continuazione dell’attività in carenza delle condizioni di legge non si sarebbero verificati, con la conseguenza che essi dovranno rispondere dei pregiudizi, coincidenti con le perdite di esercizio dei relativi periodi”. Aggiunge poi che: “l’inerzia dei di-versi collegi sindacali non può ritenersi giustificata né dall’anteriorità rispetto al loro insediamento dell’illegittimo aumento di capitale posto in essere dai soci e dagli amministratori, né dalla durata limi-tata del mandato, stante il dovere di vigilare sull’esi-stenza e la permanenza delle condizioni per il corret-to svolgimento dell’attività sociale che i sindaci assumono immediatamente, al momento dell’accet-tazione, e l’evidenza dell’irregolarità della situazione gestionale della società”. (Tribunale Roma, 3 novem-bre 2011)

Normativa

Artt.2392, 2394-bis, 2407, 2485, 2486 c.c.Artt.42, 43 L.F.

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OPERATIVITÀ

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Crisi e Risanamento n.0/13

Sostenibilità e fattibilità dei “piani di risa-namento” nelle soluzioni negoziali della crisi d’impresadi Pietro Paolo Papaleo - dottore commercialista e revisore legale

Nell’utilizzo degli istituti per la composizione della crisi con finalità di risanamento previsti dalla Legge Fallimentare, particolare attenzione dev’essere rivolta alla predisposizione del “piano”, che assume la connotazione di un business plan della crisi. Il piano di risanamento deve evidenziare che i flussi finanziari generati dalla prospettata continuazione dell’attività d’impresa siano “sostenibili”, idonei a realizzare la prefigurata “manovra finanziaria” da negoziare con i creditori (banche, fornitori ed erario), “compatibili” con le peculiarità dello strumento legale in cui s’innesta, e, soprattutto, consentano una migliore soddisfazione dei creditori rispetto all’alternativa liquidazione atomistica dei beni costituenti l’azienda in crisi da risanare.

PremessaL’attuale diritto concorsuale (Legge Fallimentare) fa-vorisce il ricorso agli strumenti negoziali di compo-sizione della crisi alternativi al fallimento, segnata-mente: 1. piano attestato di risanamento ex art.67, co.3,

lett. d L.F.; 2. accordo di ristrutturazione dei debiti omologato

ex art.182-bis;3. concordato preventivo ex artt.160 ss. e, per ef-

fetto della riforma del 20121, Concordato con continuità ex art.186-bis.

L’accesso a tali strumenti richiede ex lege:• la “predisposizione” di un piano (liquidatorio e

in continuità) a cura del “debitore”, coadiuvato da un esperto (“advisor”) , nonché - in caso di concordato preventivo - di una proposta di sod-disfazione dei creditori;

• la “validazione” del piano (e del sottostante stru-mento giuridico) a cura di un professionista “in-dipendente” scelto dal debitore (“attestatore”), che deve rilasciare un duplice giudizio; di atten-dibilità dei dati (veridicità) e di probabilità di suc-cesso del piano, ovvero – in caso di concordato preventivo – “possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospettati”2 (fattibilità).

Quando le soluzioni negoziali della crisi sono utilizza-te con finalità di risanamento, il piano deve assumere le connotazioni di un business plan, di conseguenza:• prevedere la prosecuzione dell’attività aziendale,

1 Operata con il D.L. n.83/12 (c.d. “Decreto Sviluppo”), convertito con modificazioni dalla L. n.134/12) .2 Così emergente Cass., SS.UU. n.1521/13

da cui dipende la (proposta di) ristrutturazione del debito;

• incentrare la “manovra finanziaria” sui flussi di cassa generati dalla prosecuzione dell’attività;

• essere soggetto alla “delicata” verifica delle as-sumptions - funzionali al realizzo del risanamen-to e, quindi, al superamento della crisi - da parte del professionista “attestatore”.

I piani in continuità, in particolare, per essere “validati”, devono dimostrare che i flussi finan-ziari generati dalla prospettata continuazione dell’attività dell’impresa siano “sostenibili”, cioè compatibili con il risanamento ed idonei a rea-lizzare il prefigurato programma di soddisfazio-ne dei creditori (o ristrutturazione del debito), secondo le “condizioni” ed i “vincoli” propri del prescelto strumento di composizione della crisi in cui il piano s’innesta.

Ciò richiede che il piano venga costruito su basi “soli-de” e “sostenibili” - fondate sulla (verificata) sussisten-za dei presupposti per la continuazione dell’azienda da risanare - e, soprattutto, consenta di realizzare la migliore soddisfazione dei creditori (anteriori o con-corsuali) rispetto all’alternativa liquidazione atomisti-ca dei beni costituenti l’azienda da risanare.

La “costruzione” del piano di risanamento Il piano di risanamento (o “industriale o “di rilan-cio”) deve prevedere la prosecuzione dell’attività ed illustrare i costi e di ricavi (tradotti in flussi di cassa) derivanti dalla continuità, quale che sia la strada per perseguirla.

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Il risanamento, infatti, può essere alternativamente realizzato:• in modo diretto (risanamento con continuità im-

prenditoriale-soggettiva o “puro”);• in modo indiretto (risanamento con discontinui-

tà imprenditoriale).Il punto cruciale è rappresentato dalla capacità dell’impresa (rectius dell’azienda) risanata di pro-durre adeguati flussi di cassa “netti” da destinare (principalmente e prioritariamente) al servizio del debito (da ristrutturare). Tale “propensione” richiede il recupero delle condizioni di equilibrio economico-patrimoniale e finanziario e, dunque, un intervento di natura prioritariamente “industriale”, incentrato sulla riorganizzazione e razionalizzazione del busi-ness dell’impresa in crisi.Il piano di risanamento formalizza ed esplicita, dun-que, un percorso di turnaround, in cui viene rap-presentata la strategia industriale per giungere al ritorno al valore dell’impresa (in crisi). La sua imple-mentazione richiede sempre la diagnosi dello stato di salute dell’impresa e l’individuazione delle cause della crisi (c.d. “diagnostico”, generalmente basato su un periodo di retro osservazione di 3 – 5 anni).È uno strumento, inoltre, che va “comunicato”3 e, dunque, da redigersi secondo principi di chiarezza, trasparenza, completezza4.Il Piano di risanamento deve possedere “requisiti” minimi di forma e sostanza, quanto a struttura, dura-ta e monitoraggio5.In particolare, il piano può estrinsecarsi in una strut-tura suddivisa in 5 parti:1. situazione di partenza (company profile, conte-

sto di riferimento, business model esistente e rappresentazione risultati raggiunti);

2. strategia futura (assumptions delle variabili ma-cro-economiche e del business specifico) e rap-presentazione del nuovo business model;

3. programma di azione (action plan industriale, societario e finanziario e strategico), con defini-zione di tempistica, impatto economico e stato avanzamento iniziative/trattative;

3 Il piano è sempre comunicato ai creditori (destinatari “naturali”), all’attestatore, al Tribunale e agli organi giudiziali (secondo lo strumento “concorsuale” o “para-concorsuale” in cui esso si inserisce).4 Per la sua redazione occorre rifarsi agli standard professionali vigenti (best practice) ed in particolare alle seguenti (principali) fonti: ෮ “Linee-guida alla redazione del business plan”, predisposte dal CNDCEC; ෮ “Guida al piano industriale” redatta da Borsa Italiana; ෮ “Linee-guida per il finanziamento alle imprese in crisi”, redatte in colla-borazione tra Università di Firenze, Assonime e Cndcec.5 In argomento, cfr. Danovi – Quagli, “Crisi aziendali e processi di risana-mento”, Milano, 2012, passim.

4. piano economico-finanziario (rappresentazione di veri e propri bilanci prospettici), con corredata «manovra finanziaria»;

5. analisi di sensitività (rappresentazione scenari alternativi rispetto alle assumptions del piano, verica impatto sui risultati e prospettazione com-portamenti alternativi per garantire il raggiungi-mento dei risultati).

Il piano deve rappresentare la possibile evoluzio-ne nel breve e medio periodo, obiettivamente prevista, della situazione aziendale, fino al rag-giungimento di un nuovo punto di equilibrio da cui ripartire, anche nell’ottica del futuro rilancio dell’impresa.

Quanto alla durata, l’arco temporale del piano non dovrebbe estendersi oltre i 3/5 anni, quantunque la best practice (in particolare le Linee-guida al fi-nanziamento delle imprese in crisi) precisi che tale termine vada riferito alle sole misure strettamente «industriali» e straordinarie previste nel piano (ces-sione cespiti non strategici, razionalizzazione produ-zione, riorganizzazione risorse), e non anche al rim-borso e/o ristrutturazione del debito, che può essere consolidato e rimborsato a scadenze più lunghe.L’andamento del piano deve essere costantemente monitorato a opera dell’impresa, con l’ausilio degli advisor che eventualmente sono intervenuti e/o hanno contribuito nella predisposizione. È fonda-mentale, infatti, che le scadenze e gli obiettivi indica-ti nel piano (milestones) vengano rispettate e che, in particolare, i flussi finanziari generati dagli interventi industriali e dalla gestione ordinaria siano in grado di garantire (oltre che il ritorno all’equilibrio dell’impre-sa) il rimborso del debito e dei conessi oneri finan-ziari secondo le previsioni del piano stesso.

Il “risanamento” nella Legge FallimentarePrincipalmente, la Legge Fallimentare parla:• di “risanamento” (ma con riferimento alla sola

“esposizione debitoria”) allorquando declina (in via indiretta e poco incisiva) il piano attestato ex art.67, co.3, lett. d;

• di “prosecuzione dell’attività d’impresa” e di “continuità aziendale”, laddove enuclea (in tal caso con maggiori problematiche applicative) la nozione di concordato di risanamento di cui al nuovo art.186-bis, espressamente applicabile “Quando il Piano di concordato (...) prevede la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio in

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OPERATIVITÀ

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Crisi e Risanamento n.0/13

esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova co-stituzione”, anche se il (suddetto) piano preveda “la liquidazione di beni non funzionali all’eserci-zio dell’impresa”, nonché;

• di “prosecuzione dell’attività d’impresa” anche con specifico riferimento agli accordi di ristrut-turazione dei debiti, in punto di individuazione delle condizioni per l’autorizzazione al pagamen-to dei creditori “anteriori” ex art.182-quinquies, u.c..

Il risanamento (diretto o indiretto) può, quindi, esse-re perseguito utilizzando (alternativamente) ciascu-no dei seguenti istituti negoziali: • piano attestato di risanamento ex art.67, co.3,

lett. d L.F. (idoneo per default a realizzare un ri-sanamento puro);

• accordi di ristrutturazione dei debiti ex art.182-bis L.F. (per il risanamento puro o indiretto);

• concordato preventivo con continuità aziendale ex art.186-bis L.F. (per il risanamento puro o in-diretto).

Il risanamento – in senso indiretto – può essere, inoltre, perseguito anche tramite il concordato pre-ventivo c.d. “liquidatorio” ex art.160 ss. L.F., con af-fitto d’azienda e offerta irrevocabile all’acquisto post omologa6.

La “peculiarità” dei piani di risanamento nella Legge FallimentareNell’ambito della Legge Fallimentare, fattore comu-ne a tutti i piani in continuità previsti dalla Legge Fal-limentare è (o dovrebbe essere) la loro idoneità ad assicurare il ritorno dell’impresa (o dell’azienda) da risanare a condizioni di equilibrio finanziario, poiché “dalle situazioni di disequilibrio finanziario più gravi discende l’insostenibilità del debito, sintomatica del-la presenza di uno stato di insolvenza prospettica”7.

Il piano attestato di risanamento Con specifico riferimento allo strumento di cui all’art.67, co.3, lett. d) L.F., la legge richiede che il pia-no “appaia idoneo a consentire il risanamento dell’e-sposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziarie”.

6 Si discute se la fattispecie in esame rappresenti o meno una specie (anche se non espressamente prevista) del genus concordato con conti-nuità aziendale ex art.186-bis. Per un’autorevole analisi della questione, cfr. U. Tombari, “Alcune riflessioni sulle fattispecie del concordato conti-nuità aziendale”, in il Fallimentarista. 7 Così R. Ranalli, “I compiti e le responsabilità dell’esperto attestatore” atti del convegno Paradigma del 11/03/13..

Il piano attestato (rectius attestabile) deve contrad-distinguersi, cioè, per i seguenti elementi:• congruità di azioni ed interventi proposti e ne-

cessari all’impresa per ripartire e superare la cri-si, continuando ad operare nel mercato;

• ragionevolezza delle previsioni sull’andamento futuro dell’attività aziendale.

In termini di “declinazione finanziaria”, il piano deve evidenziare che le future risorse generabili dal programma di risanamento, frutto di un mix d’interventi di natura preminentemente indu-striale, consentano il ritorno all’equilibrio ed il rimborso del debito nei termini e secondo le mo-dalità esplicate nella manovra finanziaria.

In termini operativi, recuperando le indicazioni più significative del principio di revisione internazionale ISAE 3400 (The examination of prospective financial information)8, la fattibilità del piano richiede: • appropriata conoscenza dell’attività svolta dal

debitore al fine di poter considerare ed indivi-duare tutte le ipotesi rilevanti per la formulazio-ne dei dati previsionali;

• analisi e rappresentazione dei principali indica-tori aziendali nel loro andamento storico e pro-spettico, evidenziando eventuali aspetti di vulne-rabilità e variabilità delle ipotesi sottostanti i dati previsionali;

• redazione dei dati previsionali sulla base di prin-cipi contabili omogenei rispetto a quelli utilizza-ti nella redazione dei bilanci storici (going con-cern);

• sviluppo del piano sulla base di assunzioni di ra-gionevole aspettativa e non solo ipotetiche;

• coerenza interna (rispetto ai dati storici) ed esterna (rispetto ai dati medi del settore di riferi-mento e dei competitors);

• adeguata analisi di sensitività riguardo alle più si-gnificative variabili, presentata rispetto a scena-ri più ottimistici e più pessimistici, con evidenza dell’effetto sui dati previsionali relativi;

• appropriata presentazione dei dati previsionali nei prospetti patrimoniali, finanziari ed economici.

Tali principi devono ritenersi estensibili anche ai pia-ni in continuità predisposti nell’ambito di accordi di ristrutturazione e concordati con finalità di risana-mento, soprattutto laddove venga perseguita la con-tinuità imprenditoriale.

8 Che “ispirano” le verifiche dell’attestatore, ma che devono essere fatti propri anche dal “redattore” del piano.

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Gli Accordi di ristrutturazione dei debitiNell’istituto disciplinato dall’art.182-bis L.F., che la ri-forma del 2012 ha reso alternativo e fungibile con il concordato preventivo, l’accordo (e dunque il sotto-stante piano) dev’essere attuabile, “con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei se-guenti termini:a) entro centoventi giorni dall’omologazione, in

caso di creditori già scaduti a quella data;b) entro centoventi giorni dalla scadenza, in caso di

crediti non ancora scaduti alla data di omologa-zione”.

Negli accordi di ristrutturazione, Il piano di risa-namento deve essere idoneo a creare la liquidità necessaria per pagare tutti i creditori, sia gli ade-renti - e quindi dilazionati o pagati in percentuale -, sia i non aderenti e quindi pagati integralmente e nelle tempistiche scandite dalla richiamata di-sposizione concorsuale.

L’attenzione va posta, dunque, sull’aspetto finanzia-rio, senza tuttavia tralasciare i profili industriali - e la necessità di predisporre un business plan della crisi -, laddove il pagamento dei creditori (estranei ed ade-renti) dipenda dalla (capacità di generazione di) cassa derivante dalla prosecuzione dell’attività, sia in conti-nuità imprenditoriale (configurandosi, in tal caso, l’ac-cordo come istituto di risanamento puro), piuttosto che in capo ad altra entità legale (assumendo l’accor-do, in tale fattispecie, connotazione liquidatoria con estinzione del debitore) secondo varie tecnicalità. Laddove l’accordo di ristrutturazione sia configurato come “parzialmente liquidatorio”, nel senso che pre-vede - al fine di garantire l’adempimento dei credito-ri estranei “scaduti” - la generazione di cassa attra-verso la liquidazione di beni aziendali non strategici e/o non funzionali alla prosecuzione dell’attività, nel sottostante piano occorre rappresentare:• la corretta e realistica valutazione dei beni da li-

quidare; • la “congruità” e “capienza” del valore (di realiz-

zo) dei beni rispetto al debito da soddisfare;• i tempi di realizzo dei beni da liquidare, che ov-

viamente non possono superare il periodo di moratoria legale per il pagamento dei creditori estranei, con particolare attenzione alla natura (ragionevole o solo ipotetica) del programmato realizzo9.

9 L’esistenza, ad esempio, di un preliminare di compravendita il cui adem-

Il concordato preventivo con continuità Nella (nuova) procedura concorsuale disciplinata dall’art.186-bis, L.F. – ove il risanamento può essere perseguito sia in modo diretto, sia in modo indiret-to, ed il cui piano (a eccezioni del caso in cui i flus-si di cassa derivanti dalla continuazione dell’attività sono assistiti da “garanzie” da rendere insensibili i creditori “concorsuali” alla prosecuzione dell’attivi-tà) deve avere le (sopra richiamate) connotazione di un business plan o piano di turnaround – il piano deve risultare compatibile con la peculiare disciplina legale dell’istituto, con particolare riferimento (per gli specifici aspetti che qui interessano):• ai contenuti facoltativi e obbligatori del piano,

che “può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa” (co.1), ma “deve contenere” - oltre che “la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempi-mento della proposta” (art.161, co.2, lett. e) - “anche un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’im-presa…, delle risorse necessarie e delle relative modalità di copertura” (co.2, lett. a);

• al trattamento dei creditori prelatizi, per i quali “il piano può prevedere … una moratoria fino a un anno dall’omologazione… salvo che sia previ-sta la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussi-ste la causa di prelazione” (co.2, lett. c);

• al ruolo specifico dell’attestatore, al quale l’in-grato compito di “attestare che la prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di con-cordato è funzionale al migliore soddisfacimento dei creditori” (co.2, lett. b).

Ciò posto, operativamente:

il piano di risanamento deve rappresentare la cassa da destinare al soddisfacimento dei credi-tori concorsuali, con specifico riferimento ai pre-latizi ai quali devono essere “dedicate” specifiche risorse che assicurino il loro pagamento entro l’anno dall’omologazione10.

pimento – nei prospettati tempi- è garantito, conferisce all’assunzione il requisito della ragionevole certezza.10 Si discute se la previsione di legge - eccezion fatta per il caso in cui i prelatizi vengono soddisfatti dal realizzo dei beni costituenti la propria garanzia, ove naturalmente i tempi di soddisfacimento sono funzional-mente collegati alla prospettata monetizzazione della garanzia e, dun-que ai tempi tecnici occorrenti per vendita – possa essere “superata” prevedendo nel piano un moratoria oltre l’anno, purché “bilanciata” dall’attribuzione al creditore privilegiato (pagato per intero ma con dif-ferimento) il diritto di voto. In tal senso, Assonime, “Le nuove soluzione concordate della crisi d’impresa”, circolare n.4/13, pag.23. Per un ap-proccio operativo alla questione – con particolare riferimento ai debiti bancari ipotecari – cfr. F. Venegoni, “Concordato in continuità: alcune riflessioni operative (dalla parte dell’advisor)” in il Fallimentarista.

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In caso di continuità diretta, i flussi di cassa derivano dagli utili che si prevede di realizzare nel periodo di durata del concordato, e/o attraverso apporti di terzi a titolo di finanziamento o di capitale di rischio inve-stito nell’impresa ristrutturata11.In caso di continuità indiretta in capo ad una conferi-taria, i flussi di cassa derivano dal ricavato della ven-dita delle quote/azioni a terzi. Il business plan, per-tanto, è relativo all’azienda (o ramo d’azienda) che prosegue in capo ad un soggetto terzo e deve poter rappresentare/individuare il valore della conferitaria ed il prezzo di realizzo della partecipazione12.In caso di cessione dell’azienda in esercizio, l’atti-vità prosegue in capo a terzi e i creditori vengono soddisfatti attraverso il ricavato della relativa vendi-ta. Si tratta di una forma di concordato liquidatorio ove - se il pagamento del prezzo è dilazionato e non garantito (se non dagli utili derivanti dalla prosecu-zione dell’attività in capo al cessionario), il piano di risanamento dovrebbe dare evidenza della sosteni-bilità dei flussi di cassa in capo al cessionario.

Il piano deve, per le ragioni sopra esposte - ed in particolare per rappresentare la sostenibilità eco-nomico-finanziaria della prosecuzione dell’attività -, indicare in modo analitico i costi ed i ricavi attesi dalla continuazione del business (ristrutturato), le risorse occorrenti e la loro modalità di copertura.

Il business plan, pertanto, deve contenere un ade-guato e analitico piano di tesoreria, strettamente di-pendente dalla previsione e prospettazione dei flussi di ricavi e costi connessi alla continuità dell’attività. Il piano di tesoreria dovrebbe essere rappresentato e sviluppato fino al momento di adempimento della proposta e i flussi di ricavi e costi essere rappresenta-ti sino al momento di raggiungimento dell’equilibrio finanziario13.

Il piano, inoltre, dovrebbe fornire una simulazio-ne del trattamento dei creditori in ipotesi di non prosecuzione dell’attività, per consentire all’at-testatore di formulare il proprio giudizio sul “mi-glior soddisfacimento dei creditori” 14.

In quest’ottica, sarebbe opportuno che nel piano ve-nisse rappresentata una comparazione quantitativa

11 Così Assonime, cit., pag.19. 12 In tal senso. R. Ranalli, op. cit.13 Ancora R. Ranalli, op. cit.14 Tale rappresentazione, invero, dovrebbe essere inserita in tutti i piani di superamento della crisi, anche innestati in strumenti legali con finalità liquidatoria (accordo di ristrutturazione liquidatorio e concordato con cessione di beni).

- relativamente al prospetto del “fabbisogno con-cordatario” e della proposta di soddisfo dei creditori - con l’alternativa della liquidazione atomistica che può essere la liquidazione ordinaria, ovvero quella fallimentare15.

Il concordato liquidatorio con affitto e cessione d’a-ziendaNel concordato liquidatorio con affitto/cessione d’a-zienda, la continuità è perseguita in modo indiretto, attraverso l’affitto temporaneo dell’azienda (general-mente in esercizio o del ramo ancora profittevole) a soggetto terzo, con opzione irrevocabile d’acquisto sospensivamente condizionata all’omologazione del concordato. Secondo tale schema negoziale - larga-mente utilizzato - il prezzo di cessione (di cui il pa-gamento medio tempore dell’affitto rappresenta un “acconto”) viene generalmente “garantito” da fide-iussione bancaria e/o assicurativa a prima richiesta, di tal che i creditori concorsuali restano insensibili alle sorti della prosecuzione dell’attività, restando il loro soddisfacimento (cui concorre il ricavato della vendita in blocco dell’azienda) insensibile ai flussi di cassa derivanti dalla prosecuzione dell’attività in capo all’affittuario – promissario acquirente.In tal caso:

nel piano (che ha natura liquidatoria) non oc-corre rappresentare la sostenibilità del business in capo all’affittuario – promissario acquirente, quanto, soprattutto, evidenziare (in particolare nella proposta) l’idoneità e la capienza della ga-ranzia ricevuta e la solidità patrimoniale del ter-zo, non prima ovviamente di avere indagato ed esclusivo eventi legali o fattuali che impediscano il trasferimento dell’azienda.

Normativa

Art.67 L.F. Art.182-bis L.F.Art.182-quinques L.F.Art.186-bis L.F.

15 Quest’ultima certamente nel caso in cui - nelle more del deposito del piano e della proposta nei termini ex art.161, commi 6 e 10 L.F., siano pendenti istanze di fallimento a carico del debitore.

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OPERATIVITÀ

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Crisi e Risanamento n.0/13

Concordato preventivo e affitto di aziendadi Claudio Ceradini - docente a contratto Università di Verona, dottore commercialista

Le novità che nelle opzioni disponibili per la strutturazione del piano di risanamento ha introdotto il D.L. n.83/12, con efficacia dall’11 settembre del 2012, non hanno risolto radicalmente le problematiche connesse all’applicabilità dell’art.2560 c.c. consolidando l’utilizzo dell’istituto dell’affitto di azienda come soluzione più frequentemente adottata per evitare soluzioni di continuità nella gestione e nel contempo fruire della garanzia rispetto al subentro nelle responsabilità patrimoniali del debitore che solo l’acquisto dalla procedura offre. L’affitto di azienda è quindi ancora uno degli strumenti più utilizzati in questi casi, secondo una prassi piuttosto collaudata ed efficiente. Lo scenario peraltro è particolare, e alcune cautele vanno evidenziate.

PremessaL’articolo 105 L.F., disciplinando il trasferimento di un complesso aziendale nell’ambito delle operazioni di liquidazione dell’attivo fallimentare, esclude la re-sponsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’e-sercizio delle aziende cedute, e quindi l’applicabilità dell’art.2560 c.c.. Lo stesso articolo al co.7 prevede la possibilità per il curatore di conferire in una o più società l’azienda o alcuni suoi rami, godendo della medesimo beneficio. L’art.182 L.F., disciplinando le modalità ed i provvedimenti in caso di cessione di beni nell’ambito del concordato preventivo, esten-de l’applicabilità dell’art.105 L.F. al trasferimento di azienda che intervenga nella sua esecuzione, e quin-di dopo che il decreto di omologa sia divenuto defi-nitivo e non più impugnabile.L’impostazione è ragionevole e comprensibile, sia perché è difficile solo immaginare che alcuno pos-sa acquistare un’azienda o un suo ramo, anche po-tenzialmente convenienti e interessanti, vigendo il canonico regime di corresponsabilità nei debiti pre-esistenti previsto dall’art.2560 c.c., sia perché così operando verrebbe pericolosamente compromessa la par condicio, che costituisce l’architrave del carat-tere concorsuale delle procedure.

Chi acquista da un fallimento o da un concorda-to preventivo non rischia di vedersi validamente sottoporre la richiesta di pagamento di un debito sorto nei confronti della procedura cedente.

Questo aspetto è centrale, poiché assai spesso acca-de che, quando la società presenta sintomi sufficien-temente evidenti di tensione finanziaria, al punto da non consentire ragionevolmente la prosecuzione dell’attività e l’integrale rispetto di obbligazioni e im-pegni per carenza di risorse, e divengono riconosci-

bili gli elementi tipici dello stato di crisi, il risanamen-to presupponga il trasferimento dell’azienda.Ed è qui che la sostanza delle cose nella realtà poco si concilia con il percorso tecnico-legale. Troppo tempo richiede l’esaurimento della procedura con-cordataria con l’omologa, per non parlare del falli-mento in cui peraltro è spesso ben difficile ipotizzare un risanamento. La continuità aziendale verrebbe completamente compromessa se il trasferimento della gestione in capo al terzo potesse realizzarsi, in condizioni di esenzione dagli effetti dell’art.2560 c.c., solo dopo l’omologa. Il rallentamento o addirittura il blocco dell’attività nel frattempo rischierebbero di compromettere la funzionalità dell’azienda. La realtà applicativa delle soluzioni normative introdotte per consentire la continuità del debitore ha dimostrato quanto debbano ancora essere sia ben comprese dagli operatori del mercato, che ne diffidano, sia uni-formemente applicate dai Tribunali.

È necessario quindi individuare lo strumento che consenta di trasferire la gestione nell’attesa del momento in cui dar corso all’acquisto. Tale stru-mento è oggi, ancora, nell’utilizzo più frequente il contratto di affitto di azienda.

Molto spesso dottrina e indicazioni della professio-ne si sono soffermate su altri temi, e con minore frequenza ed intensità si è invece approfondito sia come progettare e realizzare il piano da sottoporre ad attestazione, sfida che dal punto di vista profes-sionale presenta aspetti variegati, sia anche come e con quali cautele strutturare correttamente l’opera-zione, che poggia come si è sinteticamente anticipa-to, sulla concessione in regime di affitto dell’azienda o del ramo di azienda “sano” a soggetto terzo, ot-tenendone l’impegno, condizionato all’omologa del

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concordato, al rilievo di azienda o quote, ad un prez-zo prestabilito.

Le analisi preliminariPossiamo sommariamente individuare i seguenti momenti logici ed operativi:• disegno del ramo di azienda in potenziale con-

tinuità,• verifica del fabbisogno finanziario, • impostazione rapporti contrattuali tra le due so-

cietà.Ognuna delle questioni va analizzata mantenendo sullo scenario di fondo la struttura dell’operazio-ne che si sostanzia nel trasferimento dell’azienda “sana” a favore di un terzo, preesistente o meno, che ne assicuri la continuità e il mantenimento degli intangibles, impegnandosi nel contempo al rilievo, nella forma che il piano prevederà, ma in ogni caso condizionatamente all’omologa del concordato.

Il patrimonio dell’azienda affittata è opportu-no comprenda la parte più significativa possibile dell’attivo concordatario, affinchè per rapidità e consistenza di incasso sia percepibile chiaramente il reale motivo di convenienza che indurrà i creditori ad esprimere voto positivo rispetto al progetto.

È pur vero che il Tribunale non può in via generale, e fatta eccezione per la circostanza di cui all’art.180 L.F., sindacare la convenienza del progetto rispetto a soluzioni alternative, e tuttavia i creditori, ai quali è rimessa nella realtà tale valutazione, non potranno non tenerne conto. In questo quadro di riferimento, la prima delle anali-si va svolta in collaborazione con l’imprenditore per verificare se vi siano aree di attività che consentono di ipotizzare concretamente un rendimento econo-mico compatibile con il rischio di insuccesso e sod-disfacente dal punto di vista quantitativo. Si tratta di un approccio tipicamente economico aziendale, che trae spunto dall’analisi del mercato e dei competi-tors, finalizzata alla verifica concreta delle aspetta-tive dell’imprenditore, e delle misure necessarie per il raggiungimento dei risultati sperati, in termini sia di riduzione di costi che di eventuali investimenti. È in realtà piuttosto raro che tale circostanza non sia verificata, perché quasi tutte le aziende, pur profon-damente indebitate e non remunerative nell’assetto in cui operano, presentano rami più o meno signifi-cativi, che se isolati dal resto esprimono potenzialità interessanti, la cui continuità è la reale sfida profes-sionale e imprenditoriale.

L’approccio peraltro, richiede due momenti separati e successivi. Da un lato la verifica reddituale di so-stenibilità, mediante la quale si accerta la rimunera-tività del ramo di azienda, e immediatamente dopo la stima del fabbisogno finanziario, di cui individuare accuratamente la copertura. Si tratta di questione al-trettanto delicata e fondamentale, talvolta di difficile soluzione.

Il fabbisogno finanziario si compone tipicamente di due elementi, il primo legato al prevedibile svi-luppo del capitale circolante, il secondo al prezzo contenuto nell’offerta di acquisto dell’azienda, che accompagna il contratto di affitto.

Il problema in questo senso nasce proprio dalle mo-dalità di copertura del fabbisogno, in un momento in cui la crisi affrontata dalla società proprietaria dell’a-zienda affittata, e la conseguente falcidia prevedibile in capo ai creditori, rende perlomeno improbabile che il medesimo imprenditore, seppur sotto la di-versa veste giuridica della nuova società conduttrice, possa avere accesso sia al mercato del credito, sia anche alle dilazioni commerciali mediamente offer-te dai fornitori nel settore. Al contrario le dilazioni offerte ai clienti e il livello di giacenze, pur ridotte al minimo, costituiscono normalmente un dato di fatto, generandosi di conseguenza un capitale circolante netto che richiede di essere sovvenzionato. Parzial-mente diverso, e per molti aspetti non solo finanziari preferibile, il caso in cui o possa essere coinvolto un terzo, che consenta l’accesso al credito, o sia già e dotato di affidamenti adeguati ad assorbire il fabbi-sogno che si genererà per effetto della nuova attività recepita. La questione rimane comunque aperta, e costituisce un elemento di estrema delicatezza nella progettazione del piano concordatario, affinchè ab-bia successo. Risolta la questione preliminare della redditività e della copertura del fabbisogno, l’operazione si so-stanzia, come già anticipato, nella concessione in re-gime di affitto dell’azienda, al fine di evitare soluzioni di continuità, al soggetto che si impegni nel contem-po all’acquisto, condizionatamente all’omologa.

Il contratto di affitto di aziendaIn ogni caso, quindi, che il progetto preveda la pura cessione dell’azienda o il suo conferimento con suc-cessiva cessione delle quote, il transito attraverso un periodo in cui l’azienda sia concessa e gestita in regime di affitto è molto frequente, per non dire quasi inelu-dibile. Il contenuto del contratto di affitto dell’azienda

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o del ramo merita grande attenzione. Alcuni aspetti operativi possono, se non gestiti, suscitare problemi o generare difficoltà e responsabilità anche gravi.Un primo aspetto riguarda la previsione o meno della deroga all’art.2561, co.4, c.c.. L’obbligo di re-golazione delle differenze inventariali alla fine del rapporto contrattuale, che è nella normalità rimesso alla libertà negoziale delle parti, diviene in queste circostanze elemento particolarmente delicato, po-tendo ingenerare sospetti, se non fattispecie, anche distrattivi. Deve essere considerato che l’addebito del deperimento all’affittuario, e il conseguente rico-noscimento in capo allo stesso dell’obbligo di com-putazione per competenza del relativo costo, che solo il riferimento fiscale di cui all’art.102, co.8, Tuir ha condotto a definire “ammortamento”, genera in capo allo stesso un potenziale debito, che non può essere ignorato o trascurato, pena la privazione arbi-traria della procedura di quota del suo attivo.

Il deperimento d’uso deve essere remunerato, e l’errore concettuale che in cui spesso si incorre è ritenere che per definizione il canone remuneri sia la disponibilità del patrimonio aziendale che il suo deperimento.

Nulla vieta che si deroghi, ma il canone di affitto deve essere correttamente determinato di conseguenza. Se l’obbligo di regolazione in denaro della differenza inventariale permane, e si aggiunge a quello di ac-quisto dell’azienda, il canone di affitto può limitarsi alla sola remunerazione finanziaria del patrimonio temporaneamente trasferito, che in sede di restitu-zione non avrà modificato la propria consistenza. In caso contrario è necessario che il canone remuneri anche il costo del deperimento, che rimane in capo al concedente, oltre alla componente finanziaria. Nel-lo stesso senso, debbono essere coordinati il prezzo incluso nell’offerta, il canone, e la disciplina della dif-ferenza inventariale, chiarendo documentalmente la costruzione degli importi e la collocazione dei diritti, affinchè si eviti anche solo il sospetto, oltre al rischio concreto, di aver decurtato in modo ingiustificato il provento per il concedente. È del tutto chiaro che le trattative spesso consentono gradi di libertà mode-sti, e tuttavia questi aspetti, se chiari, sono di ausilio per procedere correttamente alla costruzione di im-porti ed impegni.

È assolutamente necessario che i debiti non for-mino parte dell’azienda affittata, rimanendo a carico del concedente.

La tentazione di trasferire alcuni selezionati debiti all’affittuario, per ragioni ipoteticamente anche ri-spettabili e connesse alla funzionalità aziendale (si immaginino utenze, fornitori particolarmente im-portanti, o addirittura strategici, ecc.) non potrebbe che generare l’inammissibilità del successivo ricorso, risultando violata la par condicio. In questo senso vale la pena di segnalare la pronuncia del Tribuna-le di Milano (II Sez. Civile, sentenza del 18 febbraio 2013) che ha giudicato inammissibile un’istanza de-positata ai sensi dell’art.161, co.6, L.F., in presenza di pagamento di debiti antecedenti, proprio perché in lesione della par condicio. La lettura congiunta delle disposizioni fallimentari del resto non può che porta-re a questa conclusione. L’articolo 167 L.F. nel vietare operazioni straordinarie non autorizzate dal Tribuna-le intende salvaguardare l’intero patrimonio sociale alla soddisfazione, pur parziale, dei creditori, non po-tendosi quindi ammettere iniziative isolate a vantag-gio di alcuni di essi. L’articolo 168 L.F. non consente ai creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive nei confronti del debitore, bloccandone l’iniziativa individuale, a favore del concorso regolamentato, di tutti. Appare quindi del tutto incoerente che ciò che il creditore non può ottenere giudizialmente riesca a riceverlo spontaneamente. Infine l’articolo 184 L.F. impone l’obbligatorietà dell’esito concordatario a tutti i creditori, che quindi potranno beneficiare del totale o parziale soddisfazione del loro credito solo omogeneamente, non ammettendosi anticipi o pa-gamenti al di fuori della procedura. E del resto, nello stesso senso, anche la disciplina del pagamento dei creditori strategici nei casi di continuità ex art.186-bis L.F., di cui alle recenti modifiche, prevede tutele e informativa che debbono assicurare, perlomeno nelle previsioni, il vantaggio complessivo del ceto creditorio.Diversamente, i crediti in alcuni casi possono essere parte del patrimonio affittato, e tuttavia la scelta è estremamente delicata, e richiede adeguata garanzia favore del concedente, per gli obblighi di conguaglio dell’affittuario, che dispone a questo punto di quote di patrimonio circolante suscettibili di rapida dissolu-zione, se la gestione non si rivelasse redditizia.

È opportuno che il magazzino, se esistente, non sia incluso nell’azienda, ma trasferito a beneficio dell’affittuario in forza di diverso e separato ac-cordo1.

1 L’istituto tipico utilizzato per detto accordo è prevalentemente quello del contratto estimatorio, ma si presta anche il contratto di somministrazione.

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La ragione di questa precauzione risiede sia nella più agevole gestione contabile, che altrimenti richie-derebbe il carico dei conti d’ordine e il successivo scarico per ogni singola movimentazione, sia anche nella per alcuni aspetti equivoca e certamente scar-na disciplina tributaria, che male alloca gli obblighi procedurali (fatturazione ecc.) in questo caso2. Di contro, questa scelta obbliga il nuovo gestore, che usualmente utilizza i locali del debitore, a mantenere accuratamente distinti gli acquisti di merci o mate-rie che esegue, e che vanno ad alimentare il proprio magazzino, rispetto alle giacenze del debitore, la cui movimentazione e consistenza deve rimanere con-trollabile, anche fisicamente, a cura del commissa-rio, che all’inventario è tenuto ai sensi dell’art.172 L.F.. Solo se tale impostazione fosse effettivamente troppo complessa, e sostanzialmente inapplicabile (si pensi al problema di mantenere distinti due ma-gazzini, con relative codifiche, ed i relativi problemi oggettivi di spazio che tale necessità impone), diver-rebbe operativamente consigliabile includere nel patrimonio oggetto di affitto anche le giacenze, pre-vedendo adeguati canoni di determinazione del re-lativo valore, nell’inventario iniziale e finale, affinchè non sorgano poi problemi valutativi.Nello stesso senso gli obblighi di sostituzione di beni od impianti, per quanto possibile all’interno di uno scenario concorsuale, va gestito e coordinato rispet-to sia al quadro normativo tributario di riferimento3, sia alla eventuale deroga all’obbligo di inventario ed all’offerta di acquisto. In altri termini, ove l’obbligo di sostituzione fosse previsto in capo al concedente, l’offerta di acquisto dovrà ricomprendere anche le addizioni, o alternativamente se eseguite con prov-vista dell’affittuario, è opportuno che trovi conferma convenzionale il diritto dell’acquirente alla compen-sazione del credito al momento del pagamento del prezzo.

Il trasferimento dell’azienda Tornando dunque al quadro generale del piano con-cordatario, il soddisfacimento dei creditori dipende in buona misura, per modalità e tempi definiti anche dal trasferimento dell’azienda, o delle quote in caso di conferimento.Solitamente a tal fine l’affittuario o un terzo sotto-scrivono una proposta irrevocabile di acquisto, indi-cando il prezzo offerto e le altre condizioni, quali il

2 Vedasi a questo proposito, inter alia, circolare n.154/E/95.3 Vedi, oltre alla Circolare di cui alla precedente nota, Risisoluzione DRE 909 – prot. n.16127 del 05/04/02.

termine di validità dell’offerta (a data fissa, ovvero con riferimento ad un certo lasso di tempo succes-sivo al decreto di omologazione), la condizione so-spensiva legata alla approvazione del concordato ed alla sua omologa, le eventuali garanzie ecc.. Alternativamente, la cessione dell’azienda o delle quote può costituire non già una mera possibilità, lasciata poi alle determinazioni successive alla omo-logazione, quanto un’obbligazione già assunta dal debitore che propone il concordato, costituendo l’o-mologazione solo condizione di efficacia dell’obbligo a trasferire.Tali ipotesi sono certamente lecite nella nuova disci-plina del concordato, oramai destrutturato e lascia-to, per molta parte, alla libera modellazione del pro-ponente, e trovano la loro legittimazione:• nell’assenza di poteri di modifica del Tribunale

in sede di omologa, avendo il decreto motivato, che “chiude” la procedura, un contenuto vincola-to (o omologa sulla base della proposta o rigetta) e non potendo quindi apportare modificazioni alla proposta formulata ed accettata dai creditori con il voto da essi espresso, nonchè

• nella locuzione “se il concordato ..... non dispo-ne diversamente” che precede nell’art.182 L.F. la descrizione dei provvedimenti che il Tribunale deve disporre in caso di cessione dei beni, e del-le modalità cui, sempre se non disposto diversa-mente, deve/ono attenersi il/i liquidatore/i.

È quindi sempre al vaglio dei creditori (sotto la “tutela” del Commissario Giudiziale, le cui con-siderazioni svolte in relazione ed all’adunanza ne possono influenzare ed orientare il voto) che è rimessa la sorte della procedura, e quindi se il debitore ha già accettato la proposta di cessio-ne dell’azienda o delle quote ad un determina-to soggetto ed ad un determinato prezzo, quella necessariamente dovrà essere la modalità di ces-sione cui dovrà attenersi la procedura.

Il trasferimento e ruolo del liquidatore giu-dizialeAl liquidatore giudiziale, nominato con il decreto di omologa nell’ipotesi di concordato che preveda la cessione dei beni, possono porsi innanzi varie moda-lità per procedere alla vendita dell’azienda.Senza considerare il caso, più che raro, in cui la ven-dita sia addirittura già avvenuta con l’autorizzazione

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del Giudice Delegato in fase anteriore all’omologa4 (e quindi anche alla nomina del liquidatore giudiziale), il liquidatore:• potrebbe doversi limitare a far constare il verifi-

carsi della condizione sospensiva dell’efficacia di una cessione già stipulata, ma condizionata all’o-mologa, ed accertarsi che il cessionario proceda con gli adempimenti necessari;

• potrebbe doversi attivare solo affinchè il promis-sario acquirente sottoscriva avanti il notaio l’atto definitivo di cessione e versi il saldo del prezzo (questa potrebbe essere una modalità di liquida-zione predeterminata nella proposta);

• potrebbe procedere alla vendita, con l’autoriz-zazione del comitato dei creditori (art.182 L.F.), e ciò previo o meno esperimento di procedura competitiva: si osserva in proposito che il rinvio alle disposizioni delle vendite in sede fallimenta-re regolate dagli articoli da 105 a 108-ter L.F. è fatto con la riserva dell’”in quanto compatibili”, e quindi ben potrebbero non trovare applicazione, con l’autorizzazione del G.D. allorchè altre consi-derazioni, che vengano recepite dal Comitato dei Creditori, possano far ritenere che comunque sia di interesse dei creditori procedere direttamente alla cessione.

Considerazioni finaliUna volta intercettata con sufficiente anticipo la cri-si d’impresa la strutturazione dei piani concordatari che preveda il coinvolgimento di nuovi soggetti at-traverso la concessione in affitto di uno o più rami aziendali costituisce senz’altro uno schema collau-dato ed efficace. È tuttavia importante evidenziare che la contrattualizzazione del rapporto, la redazio-ne della proposta ed il suo deposito costituiscono l’atto finale di un complesso lavoro preparatorio, che coinvolge professionalità di diversa natura, doven-dosi molto rapidamente chiarire le cause della crisi e gli elementi essenziali di rischio per confezionare un progetto di risanamento di cui il concordato preven-tivo in sè costituisce solo un tassello. Devono parte-cipare al progetto quindi esperti sia in campo legale e tributario, ma anche industriale (eventuale riorga-

4 Una simile fattispecie è riportata nel decreto motivato con cui il Tribu-nale di Bergamo ha respinto (i) il reclamo ex art.26 L.F. contro il provve-dimento del Giudice Delegato che aveva autorizzato, ai sensi dell’art.167 L.F. la vendita dell’azienda di una società in concordato preventivo al sog-getto che, a seguito di un invito a presentare offerte pubblicato su un quotidiano economico, era risultato il miglior offerente, e (ii) il provvedi-mento di diniego di sospensione ex art.108 L.F. delle operazioni vendita. Il provvedimento è pubblicato in Il Fallimento, 2012, pag.335, con nota di G. Lo Cascio, “La vendita dell’azienda nel nuovo concordato preventivo”.

nizzazione di alcuni processi eccessivamente dispen-diosi o poco remunerativi), amministrativo (per la gestione delle eventuali autorizzazioni), urbanistico (per la verifica e la qualificazione degli immobili), e così via affinchè il quadro divenga chiaro e preciso nel più breve tempo possibile. L’aspetto più delica-to risiede proprio nella necessità di far convivere la precisione (affinchè il piano non sia poi miseramente sconfessato nell’analisi del commissario, al quale è concesso più tempo in una situazione aziendale or-mai stabilizzata), con la rapidità. È essenziale quin-di che la squadra di professionisti sia nel contempo completa, preparata ed esperta, oltre che collaudata.

Normativa

Art.2560 c.c. Artt.105, 167, 180, 182, L.F.

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Il rapporto con le banche, le segnalazioni, gli effetti sull’accesso al credito e la valenza informativa della Centrale Rischidi Massimo Buongiorno – docente di finanza aziendale, Università Bocconi, Milano e Università Cà Foscari, Venezia di Marco Capra - dottore commercialista e revisore legale

La Centrale Rischi è una importante banca dati a disposizione del sistema del credito che si fonda sulle segnalazioni da parte delle banche finanziatrici in merito alla quantità e alla qualità delle esposizioni in essere presso la clientela (tipicamente imprese e famiglie). La lettura delle informazioni in Centrale Rischi orienta le politiche di affidamento delle banche attraverso il peso che questi dati hanno nella costruzione del rating. Le imprese (e spesso molti dei professionisti che le seguono) conoscono e usano poco la Centrale Rischi e tendono conseguentemente ad attribuire poco peso a dati fondamentali quali lo sconfino sulle linee autoliquidanti o a revoca o l’insoluto sulle rate di un mutuo. Il presente lavoro vuole essere un contributo volto a chiarire meglio il funzionamento della Centrale Rischi e come da minaccia possa diventare per le imprese sane ma in transitoria difficoltà finanziaria una opportunità per minimizzare i possibili rischi derivanti dal sistema bancario.

La Centrale Rischi presso la Banca d’Italia: finalità e funzionamentoLa Centrali Rischi è stata costituita presso la Banca d’Italia nel 1962 ma ha iniziato a operare solamente due anni più tardi e viene considerata la più potente fonte di informazioni sul mondo delle imprese e del-le persone fisiche che il sistema degli intermediari finanziari ha a disposizione.Nel corso del tempo la Centrale Rischi si è venuta via via ritagliando un ruolo sempre più consistente nelle decisioni di affidamento bancario poiché permette di utilizzare informazioni raccolte direttamente dal si-stema bancario e non mediate dal soggetto debitore (come avviene ad esempio per il bilancio di esercizio).

La finalità fondamentale della Centrale Rischi è quella di fornire alla banca finanziatrice un qua-dro il più possibile esaustivo della posizione del debitore rispetto all’intero sistema bancario.

Nel tempo, il contenuto informativo della Centra-le Rischi si è molto arricchito di dettagli inerenti le differenti forme di finanziamento in essere e recen-temente è stata molto migliorata la leggibilità dei documenti forniti dalla Banca d’Italia, come sarà evi-dente nel seguito del presente lavoro.La Centrale Rischi, in estrema sintesi, è un mecca-nismo di monitoraggio degli affidamenti alimentato dalla banche e al servizio delle banche e come tale solamente ad esse riservato. Il debitore non riveste alcun ruolo e non fornisce alcun dato. Ove lo ritenes-

se utile, può solamente richiedere alla Banca d’Italia, compilando il modulo in allegato, la propria Centrale Rischi per verificare la correttezza delle informazioni contenute e ove vi fossero errori chiedere le oppor-tune rettifiche.La Centrale Rischi, come detto, è alimentata dalla banche che forniscono le informazioni richieste in merito alle proprie posizioni secondo il meccani-smo delle segnalazioni (flusso informativo di andata al sistema). Le informazioni vengono elaborate ed aggregate e restituite alle banche segnalanti (flus-so informativo di ritorno dal sistema) in modo tale che queste ultime possano verificare la posizione dei loro clienti anche rispetto alle altre banche, avendo in questo modo un quadro ben più chiaro e detta-gliato. Possono essere fornite le posizioni mensili del cliente fino ad un periodo massimo di 36 mesi. La normativa che regolamenta il funzionamento del-la Centrale Rischi è assai variegata e complessa ed è incardinata nella disciplina del D.Lgs. n.385/93 (Te-sto unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) e del D.Lgs. n.58/98 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) e più in particolare trova definizione nella Circolare n.139 - “Centrale dei rischi. Istruzioni per gli intermediari creditizi” - emanata dalla Banca d’Italia in data 11 febbraio 1991 e successivamente aggiornata per ben 13 volte, l’ultima della quali tuttora vigente in data 4 marzo 2010.

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La circolare è indirizzata alle banche iscritte all’albo di cui all’art.13 Tub e agli intermediari finanziari di cui all’art.106 Tub e iscritti all’albo di cui all’art.64 Tub e all’elenco di cui all’art.107 Tub e impone che:• sia segnalata l’intera esposizione nei confronti

del singolo cliente (persone fisiche, persone giu-ridiche, organismi con autonomia patrimoniale, fondi comuni di investimento) per importi supe-riori a €30.000;

• la segnalazione debba essere effettuata con ri-ferimento agli importi in essere l’ultimo giorno del mese e che i dati pervengano presso la Banca d’Italia entro il 25 giorno dal mese successivo a quello di riferimento. L’obbligo di segnalazione permane anche in assenza di variazioni rispetto al periodo precedente;

• gli istituti di credito sono obbligati a segnalare stan-te il regime sanzionatorio previsto dalla normativa.

Ciascuna esposizione dovrà essere segnalata nella sua completezza, evidenziando gli importi relativi alle diverse forme di finanziamento che sono iden-tificate in modo tassativo, distinguendo preliminar-mente tra crediti di cassa e crediti di firma.Rientrano tra i primi i:• rischi autoliquidanti: vi confluiscono le opera-

zioni caratterizzate da una fonte di rimborso pre-determinata, tipicamente un credito non ancora scaduto che il debitore vanta nei confronti di un cliente e che “porta” all’istituto di credito per l’anticipazione. L’operazione si chiude alla sca-denza del credito quando il pagamento del terzo consente di rimborsare il finanziamento. Nell’i-potesi in cui il terzo non paghi il debitore deve coprire con proprie risorse. Le anticipazioni nelle diverse forme tecniche possibili (anticipi su fattu-re, anticipi s.b.f., sconto di portafoglio commer-ciale, anticipo all’esportazione per citare i più diffusi) vengono concesse a fronte di un importo massimo (accordato) e hanno natura revolving ovvero la chiusura di una operazione ricostitui-sce la capacità di credito per nuove anticipazioni;

• rischi a scadenza: includono le operazioni di fi-nanziamento con scadenza fissata contrattual-mente e prive di una fonte di rimborso prede-terminata. Tipicamente questa tipologia di rischi riguarda i finanziamenti a medio lungo termini quali i mutui o i leasing ma anche le aperture di credito in conto corrente dove l’intermediario fi-nanziario non può recedere prima della scaden-za senza una giusta causa e le anticipazioni sulle importazioni;

• rischi a revoca: vi confluiscono le aperture di cre-dito in conto corrente concesse per elasticità di cassa - con o senza una scadenza prefissata - per le quali l’intermediario si sia riservato la facoltà di recedere indipendentemente dall’esistenza di una giusta causa. Confluiscono, inoltre, tra i ri-schi a revoca i crediti scaduti e impagati derivanti da operazioni riconducibili alla categoria di cen-simento rischi autoliquidanti (c.d. insoluti);

• finanziamenti a procedure concorsuali: inclu-dono i crediti, assistiti da una specifica causa di prelazione, concessi a organi di procedura con-corsuale;

• sofferenze: includono l’intera esposizione della banca verso debitori ritenuti insolventi, a pre-scindere che l’insolvenza sia stata dichiarata giu-dizialmente. Poiché l’appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’interme-diario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamen-to del debito, si concede in questo caso all’istitu-to segnalante una maggior autonomia e discre-zionalità.

I crediti di firma consistono principalmente nelle garanzie che la banca ha concesso a terzi a tutela delle obbligazioni assunte dal cliente. Rientrano tra queste le fidejussioni, gli avalli, gli impegni di pagamento e tutte le altre operazioni similari che trovano applicazione in molteplici business (ad esempio nelle grandi commesse meccaniche).

Sono oggetto di ulteriori segnalazioni:• le garanzie reali e personali ricevute dagli inter-

mediari quali ad esempio ipoteche sui mutui o fidejussioni a fronte di aperture di credito in con-to corrente;

• il fair value dei derivati finanziari stipulati del de-bitore sui mercati over the counter (ovvero non quotati su mercati ufficiali) ove sia favorevole all’intermediario (e quindi a debito per il cliente). Sono esempi di derivati di questo tipo tutti gli In-terest Rate Swap (Irs) stipulati per trasformare un debito da tasso variabile a fisso.

Esiste infine una ultima sezione di natura informativa che comprende dati molto diversificati, il più impor-tante dei quali riguardata l’evidenziazione dei crediti scaduti nel corso del mese e acquisito dall’interme-diario all’interno dei rischi autoliquidanti. In parti-colare si distinguono i crediti pagati regolarmente a scadenza da quelli impagati.

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La lettura della Centrale RischiLe informazioni contenute nella Centrale Rischi con-sentono una lettura molto chiara e dettagliata dello stato di salute del soggetto debitore. Ciò è reso possi-bile, non solamente dall’indicazione dell’ammontare dell’esposizione del cliente rispetto all’intero sistema bancario ma anche da ulteriori informazioni che le banche sono obbligate a segnalare in Centrale Rischi.Le posizioni sono infatti oggetto di classificazione in ragione della localizzazione geografica, della durata originaria e di quella residua, della divisa, della quali-ficazione come export o import ma soprattutto dello stato del rapporto che misura la “qualità” del cliente.Lo stato del rapporto viene classificato in ragione di quanto previsto dalla Matrice dei Conti – Sezione Dati Statistici (Circolare n.272/08) della Banca d’Ita-lia come segue: • sconfino/insoluto: inadempimento rispetto ad

una o più linee di fino, non critico se inferiore ai 90 giorni ma comunque indicativo di una tensio-ne di liquidità. Lo sconfino riguarda tipicamente i rischi autoliquidanti e a revoca e indica un utiliz-zo eccedente l’accordato. L’insoluto indica invece

un mancato pagamento a scadenza; • pass Due: situazione di sconfino/insoluto per un

periodo di almeno 90 giorni consecutivi, se: ෮ la media degli sconfini dell’ultimo trimestre è

superiore al 5% degli utilizzi bancari netti ed ෮ è tale anche al momento della segnalazione;

• incaglio (circolare n.272/08, punto B.2) - situa-zione di sconfino/insoluto per un periodo supe-riore a 150/270 giorni in relazione alla natura del credito se: ෮ la media degli sconfini dell’ultimo trimestre è

superiore al 10% degli utilizzi bancari netti ed ෮ è tale anche al momento della segnalazione;

• ristrutturato: linea di credito con modifiche con-trattuali che comportino una perdita per la ban-ca (confronto flussi attualizzati al tasso conven-zionale).

Nella tabella successiva si riporta un esempio di Cen-trale Rischi nel formato messo a disposizione del de-bitore che distingue le posizioni per singole banche (come detto ciascuna banca riceve la propria esposi-zione e la posizione complessiva del cliente verso il sistema senza distinzione per istituto.

Crediti per cassa - situazione corrente

Categoria Localizzazione Durata Originaria

Durata Residua Divisa Import

ExportTipo

AttivitàStato

RapportoTipo

GaranziaRuolo

Affidato Accordato Accordato Operativo Utilizzato Saldo

MedioImporto

Garantito

RISCHI A SCADENZA 59750 17 18 1 8 32 831 112 0 433.583 433.583 504.026 0 504.026

Categoria Localizzazione Divisa ImportExport

Stato Rapporto

Tipo Garanzia

Ruolo Affidato Accordato Accordato

Operativo Utilizzato Saldo Medio

Importo Garantito

RISCHI A REVOCA 59750 1 8 832 125 0 0 0 169 88 0

La tabella indica che esiste uno scaduto sui rischi a scadenza (ragionevolmente un mutuo) pari a €70.443 (utilizzato – accordato) pari al 14% circa dell’utilizzato. Lo stato del rapporto viene classificato con il codice 831 che indica un incaglio ovvero che lo scaduto permane da almeno 180 giorni.Anche le linee a revoca sono sconfinate (peraltro non sono nemmeno affidate!) ma in questo caso la ban-ca segnalante classifica il rapporto con il codice 832 (nessuna contestazione). Si noti che l’ultima colonna mostra l’importo garantito dal debitore (€504.026) e indicato con il codice 112 (ipoteca interna).Ricostruendo un possibile scenario, è ragionevole as-sumere che lo scaduto sia imputabile a una o più rata di mutuo scaduta e non pagata da più di 180 giorni. Il valore dell’ipoteca è sufficiente capiente per coprire l’intero importo dovuto dal cliente (utilizzato)1 1 Una particolare curiosità può suscitare la differenza tra accordato e accordato operativo. L’accordato rappresenta il credito che gli organi competenti dell’intermediario segnalante hanno deciso di concedere al cliente. L’accordato operativo rappresenta l’ammontare del fido utilizza-bile dal cliente in quanto riveniente da un contratto perfetto ed efficace.

La lettura della Centrale Rischi evidenzia quindi una chiara situazione di tensione finanziaria per il cliente che non è in grado di rispettare gli impegni assunti rispetto al sistema del credito e tale situazione per-dura da almeno 6 mesi. Con ogni probabilità il riequi-librio finanziario richiederà il ricorso a strumenti non ordinari (ad esempio una rinegoziazione/ristruttura-zione del debito).La disponibilità dei dati della Centrale Rischi porta ad una rapida conoscibilità delle criticità evidenziate per tutte le banche esposte con il cliente.

La valutazione della Centrale Rischi ed i suoi effetti sull’accesso al credito delle Pmi.Gli accordi di Basilea 2 e poi 3, finalizzati a garantire maggiore stabilità al sistema del credito, hanno impo-sto alle banche una maggior controllo degli impieghi.

Ad esempio, nelle operazioni di finanziamento per stato di avanzamento dei lavori l’accordato operativo indica la quota di finanziamento effetti-vamente utilizzabile dal cliente in relazione allo stato di avanzamento dei lavori.

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In particolare, si presta attenzione al rischio di perdi-ta ovvero alla probabilità che la banca perda in tutto o in parte il proprio capitale e le remunerazioni pre-viste contrattualmente.Per fronteggiare tale eventualità gli accordi di Basi-lea (o meglio le norme che nei diversi Paesi li han-no recepiti) impongono alle banche di accantonare a capitale proprio una quantità di risorse finanziarie proporzionale al rischio degli impieghi misurato da un indicatore sintetico noto come rating2.A esempio, se una banca presta €500.000 ad un cliente con un rating molto basso (elevato rischio di fallimento) l’accantonamento a capitale di rischio (equiparabile a grandi linee al patrimonio netto della banca) può arrivare a €60.000.Ciò significa che più una banca ha impegni rischiosi, più elevato deve essere il suo patrimonio netto. Ne derivano due conseguenze principali:1. la banca chiederà al cliente un tasso di interesse

in grado di remunerare in maniera sufficiente an-che gli €60.000 che vengono accantonati;

2. se il patrimonio netto non può essere ulterior-mente incrementato, un impiego rischioso può essere sostenuto solo liberando risorse da altri impieghi. Ciò spiega perché spesso la banche non si mostrino disponibili a erogare nuova fi-nanza a clienti in difficoltà.

La tabella successiva mostra la composizione delle fonti informative che vengono utilizzate internamen-te dalle banche per costruire il rating:

Tipologia di impresa

Andamentale interno e

Centrale RischiBilancio Dati

qualitativi

Piccole imprese fino al 90% fino al

10%

revisione di una classe in più o in meno

Media imprese fino al 65% fino al

35%

revisione di una classe in più o in meno

Grandi imprese fino al 50% fino al

50%

revisione di una classe in più o in meno

Si noti che per le piccole imprese il rating si costru-isca prevalentemente sulla base dei dati riguardanti la storia del rapporto, disponibili internamente e ri-cavati dalla Centrale Rischi mentre il bilancio ha una rilevanza assai modesta.

2 Si veda M. Buongiorno, M. Capra, “Il ruolo del rating nelle decisioni di affidamento bancario” in Bilancio, vigilanza e controlli n.1/13.

In sintesi si può ricostruire il seguente percorso che dovrebbe orientare le imprese nei loro rapporti con le banche:• quanto più un impiego viene valutato dalla ban-

ca come rischioso tanto più sarà difficile ottener-lo e costerà caro;

• il rischio viene valutato dalla banche attraverso il rating;

• per le piccole aziende il rating si fonda per lo più sui dati di Centrale Rischi;

• il controllo e monitoraggio costante dei dati di Centrale Rischi aiuta moltissimo a migliorare la qualità e la quantità del credito bancario.

Da quanto sopra seguono alcune riflessioni in merito a come le Pmi possono “gestire” la Centrale Rischi per evitare che un’impresa sostanzialmente possa risultare penalizzata dalle attuali regole del gioco nel mercato del credito.In primo luogo, si riscontra spesso una scarsa atten-zione alla gestione delle esposizioni molteplici. Le piccole imprese aprono posizioni con banche diverse per massimizzare l’accesso al credito ma una volta aperte le posizioni devono essere attentamente mo-nitorate per evitare che una linea su una banca sia sconfinante e le altre possano ancora essere “tirate” in misura significativa. Per quanto questa situazione possa sembrare paradossale è in realtà possibile se una parte considerevole dei pagamenti sistematici mensili (ad esempio i dipendenti) viene appoggiata su una sola banca. Poiché molto spesso è difficile spostare gli incassi dai clienti da una banca all’altra, è inevitabile un attento lavoro sui pagamenti. È in-fine da considerare che un maggiore utilizzo delle linee meno costose è assolutamente ragionevole ma gli impatti negativi di uno sconfinamento sul rating sono molto peggiori dell’aggravio di oneri finanziari dovuto al tiraggio delle linee meno convenienti.Il meccanismo di segnalazione della Centrale Rischi considera un solo valore, ovvero quello dell’ultimo giorno del mese, per cui è importante che a quella data non vi siano sconfini/insoluti. Una criticità rile-vante riguarda i pagamenti automatici di fine mese (noleggi, locazioni, utenze) dei quali non è sempre agevole stimare con precisione gli importi. Per evita-re rischi di sconfino è necessario spostare le scaden-ze da fine mese ad altra data oppure, come eviden-ziato nel caso precedente, a ripartire i pagamenti su più banche.Gli sconfini e gli insoluti creano un immediato pro-blema nei rapporti con il sistema del credito ma un pass due o peggio un incaglio possono portare

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a situazioni difficilmente sanabili senza interventi straordinari. A tale proposito, le Pmi dovrebbero evitare di trovarsi in tali situazioni interrompendo la continuità temporale o trovando le risorse neces-sarie per ridurre gli importi sconfinati o insoluti al di sotto delle soglie percentuali indicate in prece-denza.Infine, i meccanismi di rating attribuiscono mag-gior peso in termini di rischio agli insoluti, per cui una Pmi in condizioni temporanee di difficoltà paga un prezzo minore in termini di rating se paga il mutuo ma sconfina sulle linee autoliquidanti o a revoca.In conclusione pare necessario notare che le regole di comportamento molto operative riportate sopra valgono se la Pmi è sostanzialmente sana ma si trova ad affrontare una tensione finanziaria momentanea e superabile. Se al contrario lo squilibrio presenta caratteri di sistematicità è evidente che si rendono necessari ben altri e più incisivi strumenti di gestione della crisi.

ConclusioniLa Centrale Rischi è uno strumento di antica intro-duzione e ben noto agli intermediari che ne fanno ampio utilizzo. Al contrario le Pmi la conoscono poco e probabilmente la usano ancora meno. Ciò porta ad una notevole difficoltà ad interfacciare le differenti esigenze e spesso ad incomprensioni tra le parte che non giovano ad alcuno.L’irrigidirsi dei meccanismi che mettono in relazione rischiosità degli impieghi, rendimento per le banche e accantonamenti a capitale di rischio rende la diffe-renza di linguaggio tra imprese e banche ancora più critica e spesso causa implicita della tanto deplorata mancanza di sostegno alla crisi da parte degli inter-mediari finanziari.Come si è visto da quanto precede imparare a leggere la Centrale Rischi nella logica della banca è possibile come è possibile orientare alcune scelte operative d’impresa se non per azzerare quanto meno per ri-durre il rischio che un’impresa sostanzialmente sana ma in una transitoria tensione finanziaria possa esse-re eccessivamente penalizzata dal sistema del credito.

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Ristrutturazione del debito e principio contabile Oic 6di Roberto Moro Visconti – dottore commercialista, revisore legale e docente di finanza aziendale nell’Università Cattolica di Milano

Nell’ambito delle ristrutturazioni aziendali, sono sempre più frequenti le operazioni di ristrutturazione del debito, che tipicamente coinvolgono le banche e, in misura inferiore, i fornitori. Il principio contabile Oic 6 tratta gli aspetti contabili e l’informativa di bilancio relativi alla ristrutturazione del debito. L’elemento che differenza un’operazione di rinegoziazione da quella di ristrutturazione è che nella prima non si verificano contemporaneamente le condizioni tipiche di una ristrutturazione ovvero la presenza di una situazione di difficoltà finanziaria unita alla concessione del creditore che produce un beneficio per il debitore, cui corrisponde una perdita per il creditore stesso.

La ristrutturazione del debitoNel corso degli ultimi anni, si è assistito con crescen-te frequenza a situazioni in cui le imprese non sono state in grado di soddisfare i loro debiti, a causa di gravi e durature difficoltà economiche e/o finan-ziarie. Gli accordi per la ristrutturazione dei debiti, quindi, sono divenuti di grande attualità, in quanto consentono di risanare l’esposizione finanziaria del debitore (e, in alcuni casi, di evitare l’assoggettamen-to a procedure concorsuali) e di soddisfare, seppur parzialmente, le ragioni del creditore.

Secondo il par. 3. del principio Oic 6, per ristrut-turazione del debito si intende un’operazione mediante la quale il creditore (o un gruppo di creditori), per ragioni economiche, effettua una concessione al debitore in considerazione delle difficoltà finanziarie dello stesso, concessione che altrimenti non avrebbe accordato1.

Per tali ragioni, il creditore è disposto ad accettare una ristrutturazione del debito che comporti modali-tà di adempimento più favorevoli al debitore.

La concessione del creditore si sostanzia nella rinuncia dello stesso ad alcuni diritti contrattual-mente definiti, che si traducono in un beneficio immediato o differito per il debitore, che trae un vantaggio da tale rinuncia, e in una corrispon-dente perdita per il creditore2.

1 Si veda F. Bongiorni, P. Costanzo, P. Pivato, “Ristrutturazione del debi-to”, Egea, 2010.2 La definizione di “credito ristrutturato” contenuta nella circolare del-la Banca d’Italia n.272 del 30 luglio 2008 è la seguente: “Esposizioni ri-strutturate: esposizioni per cassa e “fuori bilancio” (finanziamenti, titoli, derivati, etc.) per le quali una banca (o un pool di banche), a causa del deterioramento delle condizioni economico-finanziarie del debitore, ac-consente a modifiche delle originarie condizioni contrattuali (ad esem-

Gli effetti di tale rinuncia sono misurati dalla varia-zione negativa (positiva) del valore economico del credito (debito) rispetto al valore contabile del cre-dito (debito) ante-ristrutturazione.Un’operazione di ristrutturazione si configura quando:• il debitore si trova in una situazione di difficoltà

finanziaria3;• il creditore, a causa dello stato di difficoltà finan-

ziaria del debitore, effettua una concessione al debitore rispetto alle condizioni originarie del contratto che dà luogo ad una perdita.

Con la ristrutturazione, le condizioni originarie di un prestito (tassi, scadenze, divisa, periodo di garanzia) vengono modificate per alleggerire l’onere del debi-tore.

La concessione accordata dal creditoreLa concessione accordata dal creditore, ovvero la ri-nuncia dello stesso ad alcuni diritti contrattualmente acquisiti nei confronti del debitore, può assumere differenti forme, a seconda delle modalità attraverso le quali viene realizzata la ristrutturazione del debito.Se la ristrutturazione comporta una modifica dei ter-mini originari del debito, la rinuncia da parte del cre-ditore può riguardare, a esempio:• l’ammontare del capitale da rimborsare (valore a

scadenza del debito);• l’ammontare degli interessi maturati (anche mo-

ratori) e non ancora pagati;• l’ammontare degli interessi che matureranno dal

momento della concessione fino al momento

pio, riscadenzamento dei termini, riduzione del debito e/o degli interessi) che diano luogo a una perdita. Sono escluse le esposizioni nei confronti di imprese per le quali sia prevista la cessazione dell’attività (ad esempio, casi di liquidazione volontaria o situazioni similari)”.3 Si vedano il principio di revisione 570 dei Dottori Commercialisti e Ra-gionieri e il principio contabile Oic 5.

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dell’estinzione dell’obbligazione (interessi matu-randi);

• la tempistica originaria dei pagamenti (a titolo di capitale e/o interessi) che il debitore avrebbe dovuto effettuare, con lo spostamento in avanti delle scadenze; la modifica delle tempistica ori-ginaria dei pagamenti può essere fruttifera o in-fruttifera (interessi maturandi).

Qualora, invece, la ristrutturazione del debito preve-da la cessione di un’attività, la concessione fatta dal creditore al debitore può consistere nell’accettare in pagamento, quale modalità di estinzione parziale del debito, un’attività il cui valore risulti inferiore rispet-to al valore contabile del debito.

I debiti ristrutturatiDi tale aspetto si occupa il principio Oic 6 nel par. 4.

I debiti che solitamente risultano oggetto di ri-strutturazione sono quelli che si originano dall’ac-quisto di beni o servizi (debiti verso fornitori o debiti commerciali) e i debiti sorti per prestiti e finanziamenti ricevuti dall’impresa (debiti verso banche o debiti verso altri finanziatori).

I debiti verso fornitori sono iscritti in bilancio al netto degli sconti commerciali; gli sconti di cassa sono rile-vati al momento del pagamento.Il saldo dei debiti verso banche e dei debiti verso altri finanziatori esprime l’effettivo debito per capi-tale, interessi e oneri accessori maturati alla data di bilancio, anche se gli interessi e gli oneri accessori vengono addebitati/computati per contratto succes-sivamente a tale data.Anche i debiti impliciti ed esigibili per contratti di leasing finanziario stipulati dal debitore/utilizzatore costituiscono a volte debiti oggetto di ristrutturazio-ne. Secondo quanto previsto dal codice civile e dai principi contabili nazionali, anche se tali debiti non sono iscritti tra le passività dello stato patrimoniale, sono tuttavia esposti nella nota integrativa.Alcune tipologie di debiti tributari o previdenziali possono costituire oggetto di ristrutturazione, nei casi in cui la Pubblica Amministrazione rinunci a propri diritti di credito concedendo al debitore, condizioni migliorative che altrimenti non avrebbe accordato; a esempio, una rateizzazione dei debi-ti tributari come quella prevista dall’art.19, co.1, DPR n.602/73, o altre forme di ristrutturazione previste dall’istituto della transazione fiscale ex art.182-ter L.F.

Tipologie di ristrutturazione del debitoCome rileva il principio Oic 6, par. 5., le tipologie di ristrutturazione del debito possono configurarsi nei casi di seguito riportati4:• concordato preventivo, disciplinato dagli artt.160

e segg. L.F.;• accordo di ristrutturazione del debito di cui

all’art.182-bis L.F.;• piano di risanamento attestato di cui all’art.67,

co.3, lett. d) L.F.;• altre forme di ristrutturazione stragiudiziali del

debito.

Concordato preventivo ex artt.160 e segg. L.F.

Il concordato preventivo di cui agli artt.160 e ss. L.F. rappresenta, nell’ambito degli istituti di composi-zione giudiziale della crisi di impresa, una vera e propria procedura concorsuale che vede coinvolti, con ruoli differenti, diversi soggetti: il debitore pro-ponente il piano di ristrutturazione su cui si fonda la proposta di concordato; i creditori che devono votare tale proposta; un commissario giudiziale che, tra l’altro, redige la relazione sulle cause del dissesto ex art.172 L.F., illustra le proposte definiti-ve del debitore in sede di discussione della propo-sta ex art.175 L.F. e predispone il proprio motivato parere ex art.180 L.F.; il Tribunale che verifica l’am-missibilità della proposta ai sensi dell’art.162 L.F. ed omologa, nella fase finale, il concordato.

La legge prevede inoltre la possibilità di presentare una pre-domanda di concordato (art.161, co.6, L.F.) e che il concordato sia in continuità (art.186-bis L.F.).

Accordo di ristrutturazione del debito ex art.182-bis L.F.L’accordo di ristrutturazione del debito si colloca a metà strada tra il concordato preventivo ed il piano di risana-mento attestato di cui all’art.67, co.3, lett.d), L.F..

L’orientamento prevalente ritiene che l’accordo di ristrutturazione sia un contratto di diritto pri-vato concluso dal debitore con uno o più credi-tori che rappresentino una percentuale significa-tiva dei crediti (almeno il 60%); si perfeziona in virtù del semplice consenso espresso dalle parti e non viene previsto alcun coinvolgimento della totalità dei creditori che non compaiono all’inter-no dell’istituto come collettività.

4 In dottrina, si veda anche: M. Rutigliano, “Equilibrio economico e fi-nanziario di impresa, piani di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti, ruolo della banca”, in Rivista dei dottori commercialisti, 1, 2010, pag.133; A. Zorzi, “Il finanziamento alle imprese in crisi e le solu-zioni stragiudiziali”, in Giurisprudenza commerciale, 6, 2009, pag.1236.

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Nel caso in esame, infatti, ciascun creditore interes-sato all’accordo contratta con il proponente (debito-re) e accetta o meno individualmente.A fronte di tale “elasticità” concessa nel trattamento dei creditori aderenti, la legge esprime una assoluta “rigidità” quanto al trattamento che viene riservato ai creditori estranei (coloro che per qualsiasi moti-vo non hanno aderito ovvero, a esempio, i creditori non interessati dal debitore alla contrattazione), che, infatti, devono essere pagati per l’intero entro 120 giorni.Inoltre, va considerato che gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse in esecuzione di un accordo omo-logato sono esenti dall’ambito di applicazione dell’a-zione revocatoria (art.67, lett. e) L.F.); pertanto, in un eventuale fallimento, in caso di mancata realizzazione dell’accordo i creditori estranei vedrebbero significa-tivamente ridotto il patrimonio oggetto dell’esecuzio-ne concorsuale. Si comprende dunque la necessità di soddisfare i creditori estranei con il regolare paga-mento così come precedentemente indicato.L’accordo, unitamente alla documentazione di cui all’art.161 L.F. (relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria, lo stato anali-tico ed estimativo delle attività, elenco dei creditori, piano dei pagamenti …) e alla relazione del profes-sionista che attesti la veridicità dei dati e l’attuabilità dell’accordo stesso - con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei nei termini normativamente previ-sti - vanno depositati presso il Tribunale e, in copia conforme all’originale, pubblicati presso il Registro delle Imprese.

Piano di risanamento attestato ex art.67, co.3, lett. d) L.F.

Il piano di risanamento attestato si differenzia net-tamente rispetto al concordato preventivo. L’isti-tuto, non puntualmente delineato dal Legislatore, prevede infatti la redazione da parte del debito-re di un piano che appaia idoneo al risanamento dell’esposizione debitoria e ad assicurare il riequi-librio della situazione finanziaria dell’impresa.

La veridicità dei dati e la fattibilità di tale piano devo-no essere attestate da un professionista in possesso dei requisiti necessari per svolgere la funzione di cu-ratore, che risulti anche iscritto presso il Registro dei revisori legali dei conti.Il piano di risanamento attestato è connotato come atto negoziale del debitore (e di eventuali creditori

interessati dalla ristrutturazione ed indicati nel pia-no). È assente qualsiasi controllo da parte dell’Auto-rità Giudiziaria e, conseguentemente, qualsiasi rife-rimento ad una procedura tipizzata.Su proposta del debitore, il piano può essere iscritto nel Registro delle imprese.

Altre operazioni di ristrutturazione del debitoNella definizione di ristrutturazione di debito posso-no rientrare anche altre operazioni diverse da quelle esplicitamente previste dalla Legge Fallimentare.

Tra le altre operazioni di ristrutturazione del de-bito possono ricondursi, ad esempio, gli accor-di stragiudiziali raggiunti dal debitore con i suoi creditori che non rappresentano strumenti per la risoluzione della crisi d’impresa e che pertanto non integrano i requisiti di cui all’art.67 L.F..

Aspetti contabili della ristrutturazione del debitoGli aspetti contabili delle ristrutturazioni dei debiti sono trattati nel par. 6. del citato principio contabile Oic 6.

La ristrutturazione del debito è un’operazione che, in molti casi, può richiedere un certo perio-do di tempo tra il momento in cui il debitore e il creditore avviano le contrattazioni e il momento in cui si giunge alla conclusione dell’accordo tra le parti.

Nell’ambito di un’operazione di ristrutturazione vi possono essere, dunque, diversi momenti ed eventi significativi da tenere in adeguata considerazione5. In particolare, la data della ristrutturazione coincide:• in caso di concordato preventivo ex art.161 L.F.,

con la data in cui il concordato viene omologato da parte del Tribunale6;

• in caso di accordo di ristrutturazione dei debiti, con la data in cui l’accordo viene pubblicato pres-so il Registro delle imprese; laddove l’accordo preveda un’efficacia subordinata all’omologa da parte del Tribunale, la data della ristrutturazione coincide con l’omologa;

5 Per gli aspetti fiscali, si rimanda a: G.Gavelli, “Principio contabile Oic n. 6 - Ristrutturazione del debito e aspetti tributari correlati”, in Il fisco, 35, 2011, pag.5665; E. M. Simonelli, A.Tardiola, “La deducibilità delle perdite su crediti nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti”, in Rivi-sta dei dottori commercialisti, 4, 2010, pag.827.6 Si noti invece che, fiscalmente, l’art.101, co.5, del Tuir preveda, come data per l’identificazione della competenza ai fini della deducibilità della perdita su crediti, quella relativa al decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo, che è anteriore a quella di omologa.

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• in caso di piano di risanamento attestato, qualo-ra risulti formalizzato un accordo con i creditori, con la data di adesione dei creditori;

• in caso di altre operazioni di ristrutturazione del debito, con la data di perfezionamento dell’ac-cordo tra le parti.

Le principali modalità attraverso le quali si può rea-lizzare la ristrutturazione del debito sono:1. la modifica dei termini originari del debito, che

consiste in una rettifica alle condizioni originarie del debito esistente quale, a esempio, la modifi-ca del tasso di interesse lungo la vita residua del debito, della data di scadenza, dell’ammontare del capitale da rimborsare oppure una combina-zione di tali elementi;

2. il trasferimento dal debitore al creditore di un’at-tività (o un gruppo di attività) a estinzione par-ziale del debito (a esempio, prevedendo contem-poraneamente: la riduzione del valore contabile debito; lo spostamento dei termini; la cessione di attività; la conversione del debito in capitale).

3. l’emissione di capitale e sua assegnazione al creditore, con estinzione parziale del debito, ad esempio, mediante compensazione con le som-me dovute per la sottoscrizione delle nuove azio-ni o quote (o altre forme di assegnazione).

Nel caso di estinzione totale del debito, quest’ultimo non figura più nello Stato patrimoniale del bilancio e pertanto si ha unicamente un effetto sul Conto Eco-nomico.

La modifica dei termini originari del debito La modifica dei termini originari del debito può ri-guardare una delle seguenti situazioni, o una loro combinazione:• la riduzione dell’ammontare del capitale da rim-

borsare (valore a scadenza del debito);• la riduzione dell’ammontare degli interessi ma-

turati (anche moratori) e non ancora pagati;• la riduzione dell’ammontare degli interessi che

matureranno a partire dal momento della con-cessione fino al momento dell’estinzione dell’ob-bligazione (interessi maturandi);

• la modifica della tempistica originaria dei paga-menti che il debitore avrebbe dovuto effettuare, con uno spostamento in avanti delle scadenze previste per l’adempimento dell’obbligazione sia in termini di capitale che interessi (c.d. rimodula-zione o riscadenziamento dei debiti).

Nel caso in cui la ristrutturazione del debito preveda la rinuncia del creditore a un ammontare del capita-

le da rimborsare e/o degli interessi maturati ma non ancora pagati, alla data della ristrutturazione il debi-tore iscrive un utile da ristrutturazione tra i proventi straordinari del Conto Economico pari alla riduzione del capitale da rimborsare e/o degli interessi matu-rati e non ancora pagati. In contropartita dell’utile, il debitore rileva una riduzione di pari importo del valore contabile del debito iscritto tra le passività.L’iscrizione di un utile è coerente con il principio ge-nerale di prudenza (art.2423-bis c.c.), in quanto si considera un provento realizzato fin dalla data della ristrutturazione.Nei casi in cui la ristrutturazione del debito compor-ti una riduzione dell’ammontare degli interessi che matureranno lungo la vita residua del debito e/o una modifica nella tempistica originaria dei pagamenti, a titolo di capitale e/o interessi, alla data della ristrut-turazione il debitore non rileva alcun utile nel Conto Economico e conseguentemente non riduce il valore contabile del debito iscritto tra le passività.

A seguito delle modifiche intervenute nella tem-pistica dei pagamenti che il debitore effettua in base ai nuovi termini contrattuali, il valore conta-bile del debito può essere riclassificato nel passi-vo dello Stato patrimoniale.

Se la ristrutturazione del debito prevede la rinuncia del socio/creditore ai versamenti effettuati a titolo di finanziamento (iscritti nel passivo dello stato pa-trimoniale, alla voce D.3), il debitore trasferisce il valore del debito a cui il creditore rinuncia, diretta-mente a riserva senza transito nel Conto Economico, fornendo adeguata informativa nella nota integrati-va del bilancio7. Un accordo tra il debitore e il creditore che preveda la sospensione per un determinato periodo nel pa-gamento della quota capitale implicita nei canoni di leasing finanziario comporta una modifica nella tem-pistica originaria dei pagamenti del debito alla sca-denza e il conseguente prolungamento della durata del contratto. In questa ipotesi il debitore non rileva alcun utile al Conto Economico.

Estinzione del debito con cessione di attivitàAlla data della ristrutturazione, la differenza tra il va-lore contabile del debito estinto e il valore contabile dell’attività ceduta va rilevata nel Conto Economi-co tra i proventi o gli oneri straordinari quale utile

7 In linea con quanto previsto dal principio Oic 28 sul Patrimonio netto, la rinuncia da parte del socio/creditore è assimilata a un versamento in conto capitale.

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(o perdita) da ristrutturazione. Il valore del debito iscritto in bilancio viene stornato dal passivo a fronte del valore contabile dell’attività ceduta. Il valore con-tabile dell’attività è considerato al netto di ammorta-menti ed eventuali perdite durevoli di valore.

Estinzione del debito mediante conversione in capi-tale (debt for equity swap)In tale caso, l’aumento del Capitale sociale (e dell’e-ventuale sovrapprezzo) è in genere convenzional-mente pari al valore contabile del debito oggetto di ristrutturazione che viene convertito in capitale. Il debitore non rileva pertanto alcun utile o perdita dalla ristrutturazione8.

Il trattamento contabile dei costi connessi all’operazione di ristrutturazioneUn’operazione di ristrutturazione del debito com-porta, da un lato, effetti economici positivi per il de-bitore che beneficia delle concessioni e/o rinunce operate dal ceto creditorio, ma può produrre anche effetti economici negativi per il debitore.La società debitrice, infatti, oltre a definire commis-sioni che possono essere eventualmente riconosciu-te direttamente al creditore quale contropartita del-le concessioni dallo stesso ottenute, si trova spesso obbligata ad avvalersi del contributo di una serie di soggetti i quali forniscono servizi specializzati, che in alcuni casi determinano il sostenimento di costi rile-vanti.I costi direttamente connessi ad un’operazione di ri-strutturazione del debito rientrano in una delle se-guenti categorie9:• costi di consulenza professionale;• commissioni e oneri per servizi finanziari;• altri costi direttamente collegati all’operazione.

Come rileva il principio contabile Oic 6, par. 6.3., i costi direttamente riconducibili ad un’operazione di ristrutturazione del debito sono rilevati nell’e-sercizio del loro sostenimento e/o maturazione all’interno degli oneri straordinari del Conto Eco-nomico.

8 Si veda anche il principio interpretativo internazionale Ifric 19, “Extin-guishing financial liabilities with equity instruments”.9 A titolo esemplificativo e senza pretesa di esaustività, le principali ti-pologie di costi che il debitore è chiamato a sostenere in caso di ristrut-turazione del debito sono: ෮ le spese legali e notarili; ෮ i compensi professionali per soggetti incaricati della predisposizione del piano; ෮ i compensi dovuti ai professionisti incaricati dell’attestazione della va-lidità del piano; ෮ i compensi per attività di due diligence effettuata sull’impresa.

Se di importo rilevante, tali costi sono separatamente evidenziati all’interno dello schema di Conto Econo-mico, ricorrendo ad un apposito dettaglio informati-vo della voce E.21 (“Oneri derivanti dalla ristruttura-zione”).Tali costi sono spesati direttamente al Conto Econo-mico in quanto si tratta di oneri di cui è assai diffici-le - data anche la situazione di comprovata difficoltà in cui tendono a trovarsi le imprese che ricorrono a queste operazioni - dimostrare la futura capacità di produrre benefici economici futuri e avere quindi la ragionevole certezza di realizzare tali benefici futuri. Informazioni integrative Come rileva il principio Oic 6, par. 7., le informazio-ni relative alla ristrutturazione del debito debbono consentire ai destinatari del bilancio, da un lato, di avere una chiara percezione della situazione di diffi-coltà finanziaria in cui versa l’impresa e, dall’altro, di comprendere i benefici economici e/o finanziari che la ristrutturazione del debito è in grado di produrre sull’economia dell’impresa anche ai fini di valutare tempi e modalità di superamento della situazione di difficoltà finanziaria, con il conseguente ripristino delle condizioni di equilibrio del sistema aziendale.In linea generale, l’informativa integrativa riguarda:• la situazione di difficoltà finanziaria e/o econo-

mica affrontata dall’impresa debitrice nel corso dell’esercizio, le cause che hanno generato tali dif-ficoltà nonché una chiara ed esaustiva rappresen-tazione dell’esposizione debitoria dell’impresa;

• le caratteristiche principali dell’operazione di ri-strutturazione del debito;

• gli effetti che la ristrutturazione del debito è de-stinata a produrre negli esercizi interessati dall’o-perazione sulla posizione finanziaria netta, sul capitale e sul reddito dell’impresa debitrice.

La natura e l’analiticità delle informazioni da fornire nella nota integrativa dipendono dalla necessità di rappresentare in modo veritiero e corretto gli effet-ti sulla situazione patrimoniale e finanziaria nonché sul risultato economico dell’esercizio dell’impresa debitrice10.

10 Cfr. A.Iannucci, “Informativa richiesta per le operazioni di ristruttura-zione”, in Guida alla contabilità & bilancio, 17, 2011, pag.67.

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FISCALITÀDeducibilità delle perdite su crediti e proce-dure concorsualidi Attilio Romano – dottore commercialista, revisore legale, pubblicista

Rilevanza fiscale delle perdite su crediti sotto la lente del Legislatore. Il D.L. n.83/12, convertito, con modificazioni, dalla L. n.134/12, ha introdotto innovazioni riguardanti, tra l’altro, la disciplina riguardante il rapporto tra deducibilità delle perdite su crediti e procedure concorsuali. Già Assonime, con circolare n.15 del 13 maggio 2013, aveva segnalato le principali questioni interpretative e le residue criticità applicative. Gli ultimi due paragrafi della circolare n.26/E/13, forniscono chiarimenti sul regime delle perdite su crediti nel caso in cui il debitore è stato ammesso a procedure concorsuali o ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti, ovvero quando risultano cancellati dal bilancio di un soggetto Ias adopter in dipendenza di eventi estintivi.

Le novità per il debitoreIl Legislatore ha introdotto un regime di detassazio-ne della sopravvenuta insussistenza dei debiti con-seguente ad:• accordi di ristrutturazione di cui all’art.182-bis

L.F.;• piani attestati di risanamento di cui all’art.67,

co.3, lett. d) L.F..

Individuazione delle sopravvenienze attiveLe modifiche introdotte nell’art.88 del DPR n.917/86, sanciscono che l’effetto esdebitatorio conseguente al ricorso agli accordi di ristrutturazione o ai piani atte-stati di risanamento non costituisce sopravvenienza attiva tassabile per il debitore e che comporta, tutta-via, una consumazione delle perdite fiscali correnti e di quelle pregresse.Un primo tema che si è posto, sul piano applicativo, è quello dell’individuazione delle sopravvenienze at-tive soggette alla disciplina in commento. Come noto, gli accordi e i piani possono avere un con-tenuto assai variegato e nella prospettiva del risana-mento dell’impresa e possono prevedere, tra l’altro: • ipotesi di pagamento a stralcio dei debiti; • ipotesi di conversione dei debiti in capitale;• ipotesi di rideterminazione dei termini e delle

modalità di pagamento (con riduzione pro futu-ro del tasso di interesse o con ulteriore dilazione delle rate di restituzione già previste sulla base del tasso di interesse originario).

Esaminiamo le singole situazioni.

Pagamento a stralcio di debitiNella prima eventualità, ossia nell’ipotesi di paga-mento in misura ridotto con effetto estintivo (c.d.

stralcio), la norma si applica, in modo analogo tanto per i soggetti Ias adopter che per le imprese non Ias: in entrambi i casi, infatti, il debitore evidenzia conta-bilmente un provento a Conto Economico che deriva da una riduzione del debito in senso giuridico.

Conversione di debiti in capitaleNell’ipotesi di conversione dei debiti in equity, il fatto che il debitore adotti i principi contabili nazionali o gli Ias/Ifrs ha ricadute significative. Separiamo le due situazioni.• Debitore impresa ITA GAAP: il valore nominale

del debito, secondo quanto previsto dall’Oic 6 – in tema di ristrutturazione del debito e informa-tiva di bilancio – può essere stornato in diretta contropartita di quanto dovuto per l’emissione delle azioni o quote da assegnare al creditore, ivi compreso l’eventuale sovrapprezzo;

• Debitore impresa Ias adopter: in questo caso occorre tener conto delle indicazioni contenute nell’Ifric 19 che ricostruisce l’operazione come una datio in solutum e pertanto, il debito preesi-stente si considera estinto mediante l’attribuzio-ne di una contropartita non monetaria costituita dagli strumenti rappresentativi del capitale pro-prio del debitore. Se il fair value di tali strumenti, come normalmente accade, è inferiore al valore nominale del debito estinto, la differenza viene imputata a Conto Economico.

Rideterminazione dei debiti e modalità di paga-mentoAnche, con riguardo alla terza tipologia di accordi so-pra ipotizzata, la distinzione tra imprese Ias e impre-se non Ias viene ad assumere analoga importanza.

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FISCALITÀ• Soggetti non Ias adopter: questo tipo di rinego-

ziazione non va rappresentata come una riduzio-ne del debito ma l’impresa si limita a rilevare i minori flussi finanziari futuri al momento in cui essi si manifestano.

• Soggetti Ias/Ifrs: se la rinegoziazione comporta modifiche significative rispetto ai termini ori-ginari di pagamento, inquadrano l’operazione come una fattispecie di estinzione della passi-vità preesistente mediante l’accensione di una nuova passività. Anche in questo caso, poiché il fair value della nuova passività è normalmente inferiore rispetto al valore residuo della passività estinta (in quanto il debitore spunta condizioni più favorevoli rispetto a quelle preesistenti e di mercato), la differenza costituisce un provento da rilevare a Conto Economico.

Consumazione delle perdite pregresseCirca le caratteristiche della nuova disciplina, il tratto essenziale è quello della consumazione delle perdite fiscali correnti e pregresse. Tale aspetto, osserva As-sonime nella circolare n.15/13, determina problemi pratici per tutte le imprese, ossia tanto per le impre-se Ias che per le imprese non Ias. L’articolo 88 del Tuir prevede, infatti, che non si con-siderano sopravvenienze attive tassabili le riduzioni dei debiti (c.d. bonus concordatario) che si verificano a seguito di tali procedure. L’intento del D.L. n.83/12, era probabilmente quel-lo di estendere, in qualche misura, questo regime di favore anche agli accordi di ristrutturazione e ai pia-ni attestati di risanamento come da più parti veniva richiesto.

Trattasi di un’assimilazione solo parziale, poiché per gli accordi e i piani attestati la sopravvenien-za attiva è detassata, per espressa previsione normativa, per la sola parte che eccede le perdi-te fiscali pregresse e di periodo. Questo aspetto certamente depotenzia la finalità di incentivazione anche sotto il profilo fiscale di questi nuovi istituti poiché l’eventuale riduzione dei debiti conseguita dal debitore, in caso di ac-cordo o di piano attestato, comporta comunque la consumazione di perdite fiscali altrimenti uti-lizzabili.

Appare ancora più complesso il caso in cui vi siano anche perdite fiscali pregresse che debbano rite-nersi in tutto o in parte consumate per effetto del-la sopravvenienza in questione. L’imponibile andrà

determinato con le regole ordinarie di compensa-zione delle perdite pregresse e la detassazione del-la sopravvenienza opererà dopo aver quantificato l’imponibile con tali regole. Ai sensi dell’art.84 del Tuir per le imprese societarie soggette all’Ires le per-dite riportate a nuovo sono compensabili nei limiti dell’80% dell’imponibile.Circa, infine, la decorrenza delle disposizioni è osser-vato che la detassazione della sopravvenienza attiva derivante dagli accordi di ristrutturazione e dai piani attestati - dovrebbe trovare applicazione in relazione a tutte le sopravvenienze attive correttamente rile-vate o rilevabili a partire dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del D.L. n.83/12 (26 giugno 2012), e, dunque, per le imprese con esercizio coincidente con l’anno solare, a partire dal 2012.

Le novità per il creditoreAspetti generaliLe novità introdotte per il debitore sono state ac-compagnate da analoghe modifiche relative alla po-sizione del creditore, con particolare riguardo alla di-sciplina relativa alla rilevanza fiscale delle perdite su crediti. Sul versante del creditore, tuttavia, il regime di nuova introduzione non è simmetrico rispetto alle ipotesi relative al debitore. Il D.L. n.83/12, infatti, si è limitato a prendere in con-siderazione gli accordi di ristrutturazione ex art.82-bis della L.F. senza menzionare i piani attestati di ri-sanamento.Sulla base della vigente normativa, è ammessa – in-dipendentemente da ogni ulteriore verifica della de-finitività della perdita e degli elementi certi e precisi - la deducibilità della perdita su crediti in presenza di un accordo di ristrutturazione o qualora il debitore sia assoggettato a determinate procedure concor-suali, quali:• il fallimento (R.D. n.267/42, Titolo II);• la liquidazione coatta amministrativa (R.D.

n.267/42, Titolo V);• il concordato preventivo (R.D. n.267/42, Titolo III);• l’amministrazione straordinaria delle grandi im-

prese in crisi (D.Lgs. n.270/99).La circolare n.26/E/13 ha precisato che la disposizio-ne dell’art.101, co.5, del Tuir è applicabile anche alle perdite su crediti verso debitori esteri. Pertanto, nel caso in cui il debitore estero sia as-soggettato a procedura concorsuale, al fine del ri-conoscimento della deducibilità della perdita sarà necessario verificare che la procedura del Paese di

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FISCALITÀappartenenza sia assimilabile ad una delle procedu-re concorsuali elencate nell’art.101, co.5, del Tuir.

Verificarsi degli elementi “certi e precisi”La peculiarità della scelta del Legislatore è stata quella di considerare soddisfatti gli elementi certi e precisi non già al momento della chiusura della pro-cedura concorsuale e in funzione dei suoi esiti (in deroga a quanto avviene, come già osservato, per il caso di esecuzione individuale) ma fin da subito, os-sia al momento della apertura della procedura con-corsuale. Su questo aspetto si è sviluppata una delle questioni interpretative più controverse, cioè se tale partico-lare disciplina inserita nell’art.101, co.5, del Tuir, si proponga o meno di individuare un criterio di com-petenza fisso ed inderogabile per la deduzione della perdita. Il tema è: • se la perdita su crediti debba essere dedotta ne-

cessariamente nel periodo di imposta di apertu-ra della procedura concorsuale;

• oppure se, viceversa, la norma si limiti a prende-re atto di uno status del debitore e a considerare soddisfatta una condizione di legge per attribu-ire rilevanza alle perdite, consentendone la de-duzione in ragione dell’imputazione a bilancio anche in periodi di imposta successivi.

In proposito e in particolare sui mezzi di prova della sussistenza degli elementi certi e precisi sono state avanzate in dottrina e in giurisprudenza opinioni di-scordanti.

La soluzione che Assonime ritiene più equilibra-ta e probabilmente più coerente con le finalità che il legislatore ha inteso raggiungere con l’e-spressione secondo cui gli elementi certi e pre-cisi devono ritenersi sussistenti “in ogni caso” è quella che attribuisce al riconoscimento ex lege degli elementi certi e precisi, in caso di fallimen-to o di altre procedure concorsuali, il significato di rimettere sic et simpliciter la deduzione della perdita su crediti alle rilevazioni e alle determi-nazioni di bilancio.

Pertanto, a partire dal momento in cui si conside-rano soddisfatti i presupposti e i limiti di rilevanza delle componenti valutative previste dalla disciplina fiscale, sembra logico che il quantum e il quando di tali determinazioni venga a dipendere dalle scelte compiute in bilancio, senza la possibilità di ascrivere all’Amministrazione finanziaria un potere di sindaca-

to di tali scelte.

Su tale argomento si registra una tiepida apertu-ra da parte dell’Agenzia delle Entrate che, nella recente circolare n.26/E/13 consente, a deter-minate condizioni, di poter dedurre la perdita su crediti anche in annualità diverse da quella in cui è stata aperta la procedura fallimentare. In altri termini, secondo le Entrate “…l’individuazione dell’anno in cui dedurre la perdita su crediti deve avvenire secondo le ordinarie regole di compe-tenza …”.

Per i soggetti Ias/Ifrs che adottano principi contabili internazionali gli elementi certi e precisi per la dedu-cibilità della perdita su crediti devono ritenersi sus-sistenti, ai sensi del comma quinto dell’art.105 DPR n.917/86, in ciascuna delle ipotesi in cui è possibile effettuare la cancellazione dell’attività finanziaria iscritta in bilanci e cioè:• i diritti contrattuali sui flussi finanziari derivanti

dalla stessa scadono;• l’impresa trasferisce i diritti contrattuali a riceve-

re i flussi finanziari dell’attività finanziaria, realiz-zando il sostanziale trasferimento di tutti i rischi e benefici della proprietà dell’attività finanziaria;

• l’impresa mantiene i diritti contrattuali a ricevere i flussi finanziari dell’attività finanziaria, ma assu-me un’obbligazione contrattuale a pagare i flussi finanziari a uno o più beneficiari, realizzando il sostanziale trasferimento di tutti i rischi e benefi-ci della proprietà dell’attività finanziaria.

Imputazione a Conto Economico e deduzione della perditaAi fini dell’ammissibilità della deduzione delle per-dite su crediti, la dottrina, la prassi e la giurispru-denza sono state sempre unanimi nel ritenere che deve essere rispettato, come per le altre componenti negative, il principio di previa imputazione al Conto Economico di cui all’art.109 del Tuir.La deduzione delle perdite su crediti verso debitori assoggettati a fallimento o ad altre procedure con-corsuali, secondo la dottrina più accreditata può avvenire a fronte di rilevazioni di perdite su crediti, ovvero anche in relazione a componenti rettificative dei crediti contabilizzate ad altro titolo quali le sva-lutazioni.Dello stesso tenore appaiono le argomentazioni formulate dall’Amministrazione finanziaria nella cir-colare n.26/E/13, anch’esse orientate a ritenere de-ducibile la perdita su crediti per ammontare pari a

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FISCALITÀquello imputato a Conto Economico, in particolare nella misura stimata dal redattore del bilancio sulla base di un razionale e documentato processo di va-lutazione conforme ai criteri dettati dai principi con-tabili adottati.Rappresentano documenti idonei a dimostrare la congruità del valore stimato della perdita tutti i documenti di natura contabile e finanziaria redatti o omologati da un organo della procedura, quali a esempio:• l’inventario redatto dal curatore ex art.87, R.D.

n.267/42;• il piano del concordato preventivo presentato ai

creditori ex art.160, R.D. n.267/42;• la situazione patrimoniale redatta dal commis-

sario della liquidazione coatta amministrativa ex art.205, R.D. n.267/42;

• la relazione del commissario giudiziale nell’am-ministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, art.28, D.Lgs. n.270/99;

• le garanzie reali o personali ovvero assicurative.

Accordi di ristrutturazione: problematiche applicativeIl D.L. n.83/12, ha aggiunto gli accordi di ristruttura-zione nel novero delle procedure concorsuali riguar-date dall’art.101, co.5, del Tuir.

Omologa dell’accordo di ristrutturazione quale dies a quo per dedurre la perdita Il momento a partire dal quale possono ritenersi sod-disfatti ex lege gli elementi certi e precisi, per quanto concerne l’accordo di ristrutturazione decorre dal-la data di omologazione dell’accordo medesimo. Il meccanismo applicativo della nuova disciplina segue le stesse regole già enunciate in sede di ricognizione delle modalità applicative dell’art.101, co.5 del Tuir per le altre procedure concorsuali.

In caso di procedure concorsuali il Legislatore considera integrati i requisiti di deducibilità “dal-la data” della sentenza o del provvedimento di ammissione alla specifica procedura o del decre-to di omologa dell’accordo di ristrutturazione.

L’effetto fiscale matura a prescindere da eventuali ef-fetti esdebitatori in favore del debitore o da eventua-li remissioni del debito da parte del creditore.

Creditori che non partecipano all’accordo di ristrut-turazioneTali soggetti vanno soddisfatti per intero e la pre-sunzione di esistenza degli elementi certi e precisi

riguarda le perdite di natura valutativa iscritte in bi-lancio e non gli effetti giuridici dell’accordo.

Disciplina transitoria per le omologhe verificatesi ex postLa nuova disciplina si applica alle perdite che siano rilevate a partire dal periodo di imposta in corso alla data della sua entrata in vigore a fronte di accordi omologati a partire da tale data, ossia in entrambi i casi, normalmente, dal 2012 (mod. Unico 2013).Ragioni di coerenza sistematica suggeriscono di con-siderare deducibili nell’ambito del mod. Unico 2013 anche:• le svalutazioni o rettifiche di valore effettuate in

esercizi precedenti a quello in corso all’entrata in vigore del D.L. n.83/12, ove da tale data vengano conclusi accordi di ristrutturazione;

• le componenti rettificative di crediti rilevate e non dedotte in passato, qualora il debitore, a partire dal periodo d’imposta 2012, sia ammesso ad un accordo di ristrutturazione.

Normativa

D.L. n.83/12, Artt.67 e 182-bis L.F.Artt.88, 101, 106, DPR n.917/86

Prassi

Circolare n.26/E/13Circolare n.42/E/10Circolare Assonime n.15/13

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FISCALITÀEsenzione delle plusvalenze per i beni ceduti nel concordatodi Fabio Garrini – dottore commercialista

Nell’ambito del concordato preventivo, la cessione di beni a favore dei creditori non fa sorgere plusvalenze imponibili in capo al contribuente cedente: si tratta di una disposizione i cui contorni non risultano ben definititi e per la quale non è del tutto chiara la portata. I dubbi riguardano anche la possibilità di estenderne l’utilizzo anche ad altre soluzioni di definizione della crisi d’impresa (non menzionate nel testo della norma).

La norma che si andrà a commentare non è certo di recente introduzione, ma i chiarimenti al riguardo non abbondano. Anzi. Negli ultimi tempi il Legislato-re è intervenuto più volte per affrontare la tematica relativa alle perdite su crediti – anche sotto il profilo del soggetto debitore che beneficia dell’esdebitazio-ne, per rimanere nella prospettiva dal quale si guar-da l’impresa nella presente rivista – da ultimo con il D.L. n.83/12; al contrario la disciplina della cessione dei beni nell’ambito del concordato preventivo è ri-masta inalterata, senza quindi beneficiare del lavoro che negli ultimi tempi il Legislatore fiscale sta met-tendo in atto per cercare di uniformare la disciplina fiscale agli istituti del diritto concorsuale che sono stati rimodulati nel corso degli ultimi anni, spesso con la previsione di nuove soluzioni a disposizione dei contribuenti in difficoltà economica per cercare di addivenire ad una soluzione quanto più possibile bonaria, nei confronti dei propri creditori.

Le plusvalenze nel concordatoLa disposizione su cui occorre ragionare è prevista dall’art.86, co.5 Tuir e prevede che:

“La cessione dei beni ai creditori in sede di concor-dato preventivo non costituisce realizzo delle plu-svalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento.”

Nell’ambito del reddito d’impresa l’art.86 Tuir defini-sce, al primo comma, una nozione davvero ampia di plusvalenza, nei fatti evidenziando come ogni realiz-zo che riguardi beni suscettibili di generare ricavi, va a generare materia imponibile in capo al contribuen-te (ovviamente quando il valore di realizzo risulta superiore al residuo contabile fiscalmente rilevante): questo vale prima di tutto in relazione all’alienazione del bene, ma altresì quando il bene viene meno e

si riceve un risarcimento assicurativo ovvero quando avviene l’autoconsumo del bene.La disposizione richiamata, al contrario, stabilisce uno specifico esonero quando i beni vengono aliena-ti da parte di un’impresa interessata dalla procedura di concordato preventivo e tale cessione avviene a favore dei creditori della società (questo è il punto centrale su cui, tra un attimo, si andrà a ragionare). Tale deroga ha una evidente finalità: cercare di forni-re un concreto incentivo a tale procedura concorsua-le che evita l’incardinarsi di un fallimento, attraverso un alleggerimento del carico tributario che altrimen-ti renderebbe molto più complicato ipotizzarne l’ap-plicazione. Peraltro, risulterebbe davvero singolare che in capo al soggetto che, pur di risolvere la pro-pria posizione si è privato dei beni con i quali svol-ge la propria attività, possa configurarsi un prelievo d’imposta spesso significativo che probabilmente non sarebbe in grado di assolvere.Sul punto conta una posizione dell’Agenzia delle Entrate (si tratta della Risoluzione n.29/E/04) che consente, in qualche modo, di dare più spazio a tale disposizione, ampliandone non di poco il profilo in-terpretativo, estendendone l’applicazione anche alle plusvalenze realizzate tramite vendita a terzi dei beni, purché nell’ambito della procedura di concor-dato preventivo.

Secondo l’Agenzia, malgrado l’apertura della fase di concordato costituisca una fase partico-lare della vita dell’impresa, questa non perde la propria capacità giuridica patrimoniale, né la ti-tolarità dei suoi beni, rimanendo soggetto attivo e passivo delle azioni che ne possano derivare, anche sotto il profilo tributario.

Il debitore concordatario, inoltre, conserva l’ammi-nistrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa: il concordato preventivo con cessio bonorum, infatti,

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FISCALITÀinerisce a una fase gestionale, sia pur straordinaria, di un soggetto imprenditore commerciale e, come tale, soggetto alle norme sulla determinazione del reddito d’impresa contenute nel Testo Unico delle imposte sui redditi. Su questo punto l’Amministra-zione finanziaria evidenzia come la disposizione dell’art.86, co.5 Tuir sia in deroga all’ordinario mec-canismo di tassazione, esonerando dette plusvalen-ze da prelievo Ires. Sin qui nulla di nuovo, rispetto al contenuto della norma.La parte più interessante è quella invece dove ope-ra l’equiparazione dei beni ceduti ai creditori, con i beni ceduti ai terzi, punto sul quale viene peraltro richiamato anche il pensiero della Corte di Cassazio-ne contenuto nella sentenza n.5112/96: la ratio della previsione, infatti, è quella di “ridurre l’onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazio-ne concordataria”. In tale sentenza si conclude affer-mando come tale disposizione, pertanto, “malgrado le ambiguità della sua formulazione (...) riguarda (non la cessione dei beni ai creditori, ma) il trasferi-mento a terzi dei beni ceduti effettuato in esecuzio-ne della proposta di concordato” Di conseguenza, il beneficio dell’esonero da tassazione avrà effetto non solo nei confronti dei plusvalori realizzati in occasio-ne di cessione dei beni ai creditori, ma allo stesso modo potrà essere utilizzata anche quando tali alie-nazioni avvengano nei confronti di terzi acquirenti.

In fin dei conti il concordato preventivo con ces-sione dei beni ai creditori è assimilabile a una liquidazione dell’impresa avente la finalità di ri-partire fra i medesimi il ricavato della vendita dei beni del debitore concordatario: le vendite dei beni ceduti, effettuate nei confronti di terzi dal commissario giudiziale al fine di ricavare i mezzi liquidi necessari per soddisfare i creditori, pre-senta la medesima finalità.

Peraltro, si deve osservare, non è detto che i credi-tori siano interessati ai beni del debitore visto che svolgono attività diverse. Avrebbe davvero poco sen-to offrire il beneficio solo quando i creditori sono gli acquirenti, escludendo invece il caso in cui i beni vengano ceduti a terzi e i creditori siano soddisfatti tramite il ricavato di tale cessione. Se lo scopo, come detto, deve essere quello di agevolare il concordato, era evidente che l’interpretazione corretta doveva essere quella più ampia.Tornando alla sentenza n.5112/96 si leggono anche altri interessanti spunti interpretativi che giustifica-no tale posizione. In particolare si afferma che l’in-

terpretazione restrittiva (ossia limitata alle sole ces-sione a favore dei creditori) renderebbe la norma del tutto superflua: “in passato mai si è dubitato la ces-sione dei beni ai creditori non comporta la realizza-zione di plusvalenze tassabili. Invero, tale operazione, quale particolare modo di attuazione del concordato preventivo, (…) non determina il trasferimento della proprietà dei beni ceduti, ma soltanto l’attribuzione, in favore degli organi della procedura concordataria, della legittimazione a disporre dei beni ceduti e a provvedere alla loro liquidazione al fine di realizzare il soddisfacimento dei creditori nella misura indicata dalla proposta omologata”. In questa situazione non si determinerebbero comunque plusvalenze ai sensi dell’art.86, co.1 Tuir, per cui la disposizione del co.5 sarebbe inutile. L’unico modo per dare senso a tale previsione è che il Legislatore abbia voluto riferirsi alla cessione dei beni nei confronti dei terzi; questa infatti è idonea a generare plusvalenze potenzial-mente imponibili, che invece vengono escluse da tassazione in forza del richiamato art.86, co.5 Tuir.Ulteriore riflessione riguarda l’eventualità che il con-cordato possa chiudersi con un residuo attivo: an-che in questo caso le plusvalenze conseguite dalla cessione dei beni continuerebbero a rimanere del tutto detassate? La norma non fa distinzioni di sor-ta, per cui, almeno in prima battuta, la conclusione parrebbe essere affermativa. In realtà la dottrina ha osservato come la ratio della previsione sia quella di agevolare il concordato, per cui non pare conforme a tale principio ispiratore la conclusione secondo cui la società che si è liberata dei beni e si vede riattri-buire l’eventuale residuo attivo dalla procedura, pos-sa beneficiare di tale detassazione. D’altro canto, se la giurisprudenza, come detto, ha preferito una tesi estensiva in ragione del fatto che la norma è finaliz-zata a consentire di soddisfare i creditori, non con la cessione diretta a loro dei beni, ma tramite la devo-luzione a loro del ricavato della cessione, la parte di ricavato che torna all’impresa non pare certo inqua-drabile sotto tale fattispecie. Quindi, se si condivide questo ragionamento, il residuo attivo dovrebbe es-sere tassato.

Il trattamento ai fini IrapLa risoluzione in commento si spinge però oltre, an-dando anche a verificare il trattamento ai fini Irap. Prima di affrontare tale ulteriore analisi, va notato come, ai fini della determinazione della base imponi-bile del tributo regionale, non esiste una previsione analoga a quella contemplata nell’art.86, co.5 Tuir, in

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FISCALITÀprecedenza commentata. La richiamata Risoluzione n.29/E/04 affermava che, relativamente alla tassa-zione ai fini Irap l’art.5, co.1, D.Lgs. n.446/97 preve-de che “la base imponibile è determinata dalla diffe-renza tra la somma delle voci classificabili nel valore della produzione di cui al primo comma, lettera A), dell’art.2425 del codice civile e la somma di quelle classificabili nei costi della produzione di cui alla let-tera B) del medesimo comma (...)”.Come noto la Finanziaria 2008 è intervenuta in ma-teria di determinazione dell’Irap, in particolare pre-vedendo, per i soggetti Ires, un più stretto principio di derivazione del valore della produzione dal risul-tato di bilancio. Il richiamato passaggio normativo oggi risulta come di seguito formulato: “la base im-ponibile è determinata dalla differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alle lettere A) e B) dell’art.2425 del codice civile”. La differenza sotto questo profilo è del tutto trascu-rabile: oggi come prima del 2008, la base imponibile parte dalla contrapposizione delle voci “ordinarie” del Conto Economico, quindi degli aggregati A e B (comunque, come noto, con esclusione di alcune voci e di alcune tipologie di costi, ma questo tema non interessa la problematica che si sta ora analiz-zando). In definitiva, per capire se la plusvalenza di cui si sta trattando vada o meno interessata dal tri-buto regionale, occorre valutare se essa debba es-sere iscritta tra i proventi ordinari ovvero tra quelli straordinari.Sul punto la Risoluzione n.29/E/04 richiamava la Circolare n.141/E/98, nella quale venne chiarito che rientrano nella voce A.5) del Conto Economico e, quindi, nella base imponibile Irap, le plusvalenze derivanti dall’alienazione di beni strumentali a se-guito della fisiologica sostituzione dei cespiti, con-seguente al deperimento economico-tecnico da essi subito nell’esercizio della normale attività produttiva dell’impresa; non ricorrendo le predette condizioni, la plusvalenza presenta natura straordinaria e deve essere rilevata alla voce E.20) del Conto economico, con conseguente esclusione dalla base imponibile Irap.Esiste comunque anche una pronuncia dell’Agenzia delle Entrate successiva alla commentata modifica entrata in vigore dal 2008: si tratta della Circolare n.27/E/09, nella quale viene ribadito che le plusva-lenze rilevano ai fini Irap solo se riconducibili alla normale attività, escludendo invece quelle straordi-narie, quali quelle derivanti dalla cessione d’azienda (posizione già in precedenza affermata dall’Ammi-

nistrazione Finanziaria). Il discrimine risiede quindi nella demarcazione tra le varie tipologie di plusva-lenza, ovvero valutare se la plusvalenza conseguita deriva da una operazione che va inquadrata quale ordinario atto di gestione o meno. Sul punto è pos-sibile aiutarsi utilizzando il contenuto del Principio Contabile Oic 12, nel quale si afferma che:• “plusvalenze e minusvalenze derivanti da fatti

per i quali la fonte del provento o dell’onere è estranea alla gestione ordinaria”;

• nella voce A5 vanno inclusi i “proventi patrimo-niali, rappresentati da plusvalenze relative alla cessione di beni strumentali impiegati nella nor-male attività produttiva, commerciale o di servizi, alienati in seguito al loro deperimento economi-co-tecnico ed aventi scarsa significatività rispetto alla totalità dei beni strumentali utilizzati per la normale attività produttiva, mercantile o di servi-zi, e comunque di entità tale da non stravolgere il significato tecnico del valore intermedio indicato dal legislatore come differenza tra valore e costo della produzione”;

• nella voce E20 ed E21 vanno iscritte “plusvalenze o minusvalenze derivanti da operazioni o even-ti che hanno un effetto rilevante sulla struttura dell’azienda (p.e. cessioni di rami aziendali o di parte significativa delle partecipazioni, conferi-menti, ristrutturazioni aziendali, altre operazioni che incidono sulla struttura aziendale)”.

Proprio l’indubbia allocazione nell’area straordinaria di tali plusvalori porterebbe a concludere che la plu-svalenza realizzata dall’impresa, configuri provento straordinario classificabile nella voce E.20) del Con-to Economico e, pertanto, escluso dal concorso alla formazione del valore della produzione imponibile ai fini Irap.

L’applicazione alle altre procedure concor-sualiL’ultimo profilo di analisi che occorre promuovere è quello riguardante l’ambito applicativo dell’art.86, co.5 Tuir in relazione alla condizione giuridica del debitore: tale esonero dalla tassazione delle plusva-lenze vale anche in relazione alla cessione di beni avvenute nel corso di altre procedure concorsuali? Ed in particolare può essere sfruttata allorquando il debitore decide di utilizzare gli accordi di ristruttu-razione, nuovo istituto introdotto da pochi anni nel panorama della Legislazione concorsuale e che per alcuni versi può equipararsi al concordato?

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FISCALITÀPurtroppo, se in precedenza si è avuto modo di com-mentare l’ampliamento interpretativo offerto dalla Cassazione e dall’Agenzia delle Entrate, questa volta occorre registrare l’opportunità di non dilatare trop-po la portata applicativa della previsione.La risposta all’interrogativo posto potrebbe arriva-re prima di tutto dall’osservazione che la norma fa esplicito riferimento al solo concordato. Tutti ricor-deranno come vi sia un’analoga previsione riguar-dante le sopravvenienze che si vengono a generare in capo al debitore in conseguenza dell’esdebitazio-ne: è servito un intervento di adeguamento (operato dal D.L. n.83/12) sull’art.88, co.4 Tuir per consentire l’esonero da tassazione di tali componenti reddituali anche nell’ambito degli accordi di ristrutturazione e dei piani attestati.

Pertanto, visto che è si è dovuto attendere una correzione normativa per estendere l’esonero della tassazione delle sopravvenienze, sino a quando non dovesse eventualmente intervenire analogo intervento nell’art.86, l’esonero da tas-sazione delle plusvalenze deve essere limitato alle sole cessioni di beni intervenute nell’ambito di un concordato.

Ma a tale conclusione si deve arrivare anche con una interpretazione ragionata, basata sulla ratio della previsione.In fin dei conti la norma di cui stiamo discutendo è agevolativa, introducendo un’esenzione riguardan-te un provento ritratto in regime d’impresa e, come noto, le norme agevolative e di esenzione vanno in-terpretate in maniera tassativa. Se con riferimento ai soggetti destinatari dei beni l’interpretazione esten-siva era giustificata dal fatto che solo in questo modo è possibile dare effettiva attuazione alla norma, fa-cendogli cogliere l’obiettivo che chiaramente si era prefissato il Legislatore, in questo secondo caso adottare una interpretazione estensiva significhe-rebbe ampliarne la portata, e questo non è possibile.Oltretutto in dottrina si osserva anche come l’agevo-lazione in commento riguarda il caso di concordati con cessione dei beni, escludendo ogni altra forma di concordato (aspetto da considerare attentamen-te) visto che in questo caso le plusvalenze consegui-te non sarebbero nell’ambito di una cessione inte-grale dei beni ai creditori (attraverso la procedura, che provvede a liquidarli e monetizzarli), ma tramite ordinarie cessioni separate di beni che darebbero luogo a ordinarie plusvalenze che confluiscono nella determinazione del reddito d’impresa del debitore.

A maggior ragione, se questa è la (condivisibile) in-terpretazione che occorre assumere, nessun senso avrebbe ipotizzarne l’applicazione alle altre procedu-re concorsuali, compresi gli accordi di ristrutturazio-ne. Salvo, ovviamente, modifiche normative di cui ad oggi comunque non vi è traccia.

Normativa

Art.86 Tuir

Prassi

Risoluzione n.29/E/04Circolare n.141/E/98Circolare n.27/E/09

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OSSERVATORIOProfessionalità, indipendenza e responsabilità dell’attestatore: la Circolare dell’Irdcec n.30/IR/13di Massimo Conigliaro – dottore commercialista, pubblicista e professore incaricato di diritto tributario SSEF

L’istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili nella Circolare n.30/IR/13 approfon-disce le questioni legate al ruolo dell’attestatore nella composizione negoziale della crisi, soffermandosi sui requisiti di professionalità ed indipendenza nonchè sul contenuto della relazione.La rinnovata attenzione sia ai requisiti professionali del soggetto incaricato dell’attestazione dall’impre-sa (individuale o collettiva), sia alle situazioni che potrebbero minarne l’obiettività di giudizio, sono la conseguenza del riconoscimento della centralità del ruolo del professionista attestatore; la novella le-gislativa di cui all’art.33 del D.L. n.83/12, convertito dalla L. n.134/12, ha chiarito alcuni dubbi interpreta-tivi che avevano animato il dibattito sui nuovi istituti all’indomani della Riforma della Legge Fallimentare. Ne è conseguita la qualificazione dell’attestatore come professionista indipendente, la previsione del-la responsabilità penale di quest’ultimo e l’espressa inclusione della veridicità dei dati nei contenuti delle attestazioni.Per quanto attiene il requisito della professionalità viene sottolineato come alcuni significativi cambia-menti potranno riguardare gli incarichi di attestazio-ne assunti da parte di strutture associative o socie-tarie; in particolare tra i soggetti idonei ad assumere l’incarico di curatore occorre ricomprendere sia gli studi professionali associati che le società tra pro-fessionisti. Come è noto, la L. n.183/11 ha istituito il tipo socia-le della società tra professionisti consentendone la costituzione anche a soci non iscritti agli Albi profes-sionali e aprendo il mercato delle professioni alle so-cietà di capitali.In simili ipotesi, la società dovrà avere a oggetto l’e-sercizio in via esclusiva delle attività di una professio-ne regolamentata (o più, se multidisciplinare), i soci professionisti dovranno essere iscritti in uno degli Albi professionali presi in considerazione dall’art.28, lett. a), L.F. e il socio designato per l’espletamento dell’incarico, oltre ad essere un professionista iscrit-to ad uno degli Albi di cui all’art.28, lett. a), risulti

iscritto al registro dei revisori legali di cui all’art.6 del D.Lgs. n.39/10.Un capitolo importante del documento Irdcec è dedicato ai requisiti di indipendenza dell’attestato-re, che non deve, neanche per il tramite di soggetti con il quale è unito in associazione professionale, aver prestato negli ultimi 5 anni attività di lavo-ro dipendente o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione e controllo. Inoltre - con condivisibile previsione ri-gorosa - viene richiesta un’autovalutazione (definita autocensura) in merito ai requisiti di indipendenza del professionista qualora possa risultare compro-messa la propria obiettività di giudizio in ragione di particolari rapporti intrattenuti con l’imprenditore committente (o con gli amministratori, se trattasi di società) ovvero con un creditore.La Circolare n.30/IR/13 si sofferma quindi sul conte-nuto della relazione e sull’attestazione di veridicità dei dati aziendali, tema sempre molto delicato e fo-riero di non poche problematiche. La novella legisla-tiva ha uniformato il contenuto delle attestazioni in ordine alla “veridicità dei dati aziendali” e ha fatto coincidere l’ambito del giudizio prognostico con la fattibilità del piano o l’attuabilità dell’accordo, che deve apparire idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicu-rare il riequilibrio della sua situazione finanziaria. Viene evidenziato che rispetto alla previgente for-mulazione della norma, è evidente la soppressione del criterio della ragionevolezza del piano su cui il professionista era chiamato a esprimersi a favore della fattibilità; la modifica, però, viene definita me-ramente formale in quanto il concetto di ragionevo-lezza era riconducibile in via interpretativa a quello di attuabilità e fattibilità.Nello specifico, viene raccomandata particolare cau-tela nei casi in cui l’attestatore intenda fruire di dati recentemente verificati da un revisore legale o da una società di revisione legale che,comunque, pos-sono rappresentare un valido ausilio ai fini dell’emis-sione del giudizio di veridicità.

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OSSERVATORIOUn capitolo importante è infine riservato alla re-sponsabilità penale dell’attestatore che – è bene ricordarlo – qualora esponga nelle relazioni o atte-stazioni informazioni false ovvero omette di riferire

informazioni rilevanti, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 a 100.000 euro, con pene aumentate sino ala metà se dal fatto consegue un danno per i creditori.

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OSSERVATORIOConsiglio Notarile dei distretti riuniti di Firenze, Pistoia e Prato: orientamento su «Delibera che approva la domanda di concordato “con riser-va” ex art.161, co.6 L.F. ed intervento notarile»di Lorenzo Salvatore - notaiodi Beatrice Corradini - avvocato

“La verbalizzazione Notarile, prevista dal IV com-ma dell’art.161 L.F., della dichiarazione dell’organo societario competente a deliberare la presentazio-ne di una domanda di concordato “in bianco” o “con riserva” ai sensi del VI comma dell’art.161 L.F. deve intendersi riferita alla sola domanda e non (anche) alla proposta, non necessitando quest’ul-tima di autonoma ed ulteriore verbalizzazione ai sensi del III comma dell’art.152 L.F.”

L’Orientamento di cui sopra affronta la questione dell’oggetto della delibera che il notaio è chiamato a ricevere e a iscrivere nel Registro delle Imprese alla luce della novella introdotta dal D.L. n.83/12, conver-tito, con modificazioni, dalla L. n.134/12, in tema di concordato preventivo. Tale novella, com’è noto, ha concesso al debitore la facoltà di depositare presso la cancelleria del Tribunale competente un ricorso contenente esclusivamente una domanda di concordato con la riserva di presentare successivamente (comunque entro il termine fissato dal giudice) la proposta, il piano e l’ulteriore documentazione prescritta dalla legge, beneficiando, nelle more, della tutela nei con-fronti delle azioni esecutive dei creditori, idonee a compromettere il buon esito del piano.Risulta così modificata la fase introduttiva del concor-dato preventivo, che, ante novella, era caratterizzata dalla contestualità di “domanda” e “proposta” per cui il notaio era chiamato a ricevere la dichiarazio-ne degli amministratori (o la delibera assembleare, qualora lo statuto preveda la competenza dei soci ex art.152 L.F.) contenente non solo l’intenzione di presentare la domanda di concordato preventivo ma anche la proposta da formulare ai creditori, quanto meno nelle sue caratteristiche salienti.Alla luce dell’introduzione nell’art.161 L.F. del c.d. concordato con riserva o, secondo altra terminolo-gia, concordato in bianco, si prospettano le seguenti

soluzioni relativamente al contenuto ed al momento dell’intervento del notaio:

• il notaio è chiamato a ricevere la delibera conte-nente la sola domanda di ammissione al concor-dato preventivo con riserva ex art.161, co.6, L.F..

Argomenti a favore: l’art.161, co.4, L.F., nella parte in cui richiama l’art.152 L.F., deve leggersi alla luce del nuovo co.6 del citato art.161, e quindi “come mero richiamo alla forma” della delibera prescritta dall’art.152, co.3, L.F. “e non al resto della disposi-zione che entrerebbe in gioco solo in caso di proce-dimento “tradizionale””, tenendo conto che il con-trollo del notaio, in tale ambito, riguarda le regole di competenza e di formazione della volontà sociale e non il contenuto della proposta e del piano, la cui valutazione è invece rimessa all’autorità giudiziaria;

• il notaio è chiamato a ricevere la sola delibera contenente la proposta.

Argomenti a favore: l’art.161, co.4, L.F., disponendo che la domanda deve essere “approvata e sottoscrit-ta a norma dell’art.152” L.F., rinvia allo stesso art.152 L.F., dal cui tenore letterale emerge che quello che deve essere verbalizzato dal notaio è la proposta, essendo la domanda con riserva un mero adempi-mento tecnico privo di contenuto sostanziale. In tale ottica il richiamo dell’art.161, co.4, L.F. alla doman-da - da approvarsi ai sensi dell’art.152 L.F. – e quindi in forma notarile - “non deve essere sopravvalutato perché quel comma in realtà chiude la parte relativa alla presentazione della domanda in forma “tradi-zionale” e quindi completa anche della proposta, ma non è in grado di influenzare la disciplina dettata dai commi successivi che detterebbero un’eccezione alla regola principale consentendo un’asimmetria tem-poranea tra domanda e proposta”;

• il notaio è chiamato a ricevere sia la delibera relativa alla domanda di ammissione al concor-dato preventivo con riserva ex art.161, co.6, L.F. sia quella contenente la proposta

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OSSERVATORIOArgomenti a favore: l’art.161, co.4, L.F. , disponen-do che la domanda deve essere “approvata e sotto-scritta a norma dell’art.152” L.F., rinvia allo stesso art.152 L.F., che richiede la forma notarile della deli-bera degli amministratori (o dei soci) per l’ammissio-ne alla procedura di concordato, delibera dalla quale devono risultare gli elementi caratterizzanti la pro-posta da formulare ai creditori per cui la domanda e la proposta devono essere intese “come due parti di un intero che per essere completo ha bisogno che

tutte le sue parti sino cristalizzate in forma solenne”.In considerazione di quanto sopra esposto il suddet-to Orientamento del Notariato fiorentino propone di aderire alla tesi di cui alla lettera a) - per cui il notaio è chiamato a ricevere la sola domanda di concordato con riserva ex art.161, co.6, L.F. - ritenendo tale solu-zione “la più coerente con la previsione del legislato-re e con la natura e funzione che la Legge Fallimenta-re riserva all’intervento notarile in questa fase”.

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OSSERVATORIOSentenza del Tribunale di Genova, Corte d’Ap-pello rep. n.1326, depositata il 27/07/13di Claudio Ceradini - docente a contratto Università di Verona, dottore commercialista

Da ultimo il Tribunale di Genova, Corte d’Appello rep.n.1326, depositata il 27/07/13, ma in realtà semprepiù spesso (tra gli altri sia il Tribunale di Cosenza, Sezione Fallimentare, 29/05/13, Tribunale di Torino del 29/05/13 sono seguite alle precedenti Tribuna-le Perugia 16/07/12, Tribunale di Varese 30/06/12, Tribunale di Como 19/01/13) segna la distanza, dalla posizione della Suprema Corte che ha riconosciuto alla norma che disciplina la transazione fiscale, e se-gnatamente l’art.182-ter L.F., valenza interpretativa e generale, indipendente quindi dalla decisione del debitore di utilizzarla o meno. La questione nasce in origine in relazione alla modifica al primo comma dell’art.182-ter L.F. apportata con il D.L. n.185/08 (cui ha fatto seguito l’estensione alle ritenute ad opera del D.L. n.78/10), che esclude la possibilità di prevedere nella proposta di transazione fiscale la ri-duzione del debito per Iva e ritenute non versate. In questo senso due sentenze gemelle della Suprema Corte (Cassazione, sentenza n.22931/11 e sentenza n.22932/11) e un’ulteriore pronuncia successiva, la n.7667/12.La posizione della Corte di Cassazione è la seguente:• i tributi che costituiscono risorse proprie della

Comunità Europea godono di un particolarissi-mo regime di tutela, essendo lo Stato stesso sog-getto a vincoli nella relativa gestione, e

• debbono essere qualificati tributi che costituisco-no risorse proprie dell’Unione non tanto quelli che generano gettito effettivo, ma anche quelli (come l’Iva) che costituiscono mera componente matematica utilizzata per la quantificazione delle contribuzioni comunitarie dei singoli Stati.

Iva e ritenute non potrebbero essere assoggettate a falcidia, in nessun caso. L’impostazione che va maturando e consolidandosi apprezza il carattere di straordinarietà dell’art.182-ter, co.1 L.F,. non estendibile per via analogica ad altri ambiti rispetto a quello per cui è congegnato, conte-nendosi in tal modo l’ampiezza della deroga al tassa-tivo obbligo di rispetto dell’ordine delle prelazioni di cui agli artt.2741, 2777 e 2778 c.c. (par condicio) e trovando maggiore rispetto il tenore letterale della

norma, che riferisce il divieto della falcidia esplicita-mente al contenuto della proposta ex art.182-ter, e quindi alla transazione fiscale, che non è parte obbli-gatoria del procedimento. La deroga alla par condi-cio appare quindi plausibile e sostenibile solo e limi-tatamente all’interno dell’adozione dello strumento che la prevede, e non in via generica. Il ricorso alla transazione fiscale, e ai relativi vantaggi costituiti dal consolidamento della posizione con l’erario, è opzio-ne disponibile al debitore, unico che possa e debba soppesarne vantaggi e svantaggi. Al di fuori di questa ipotesi, la proposta concordataria disporrà condizio-ni di riduzione rispettose delle prelazioni di legge, a tutti i creditori e quindi anche allo Stato, nel presup-posto che sia considerato un debitore qualsiasi, al di fuori dell’ambito di tutela straordinario che l’art.182-ter L.F. gli concede.Del resto è piuttosto anomala la situazione per la quale solo il concordato preventivo, subirebbe il principio di rigorosa tutela del credito Iva, che non potrebbe subire falcidia, sconosciuto invece sia alle altre procedure concorsuali, fallimento e concordato fallimentare, sia anche alle procedure esecutive indi-viduali (fatta eccezione, per quelle in cui il debitore sia ricorso al disciplina del sovraindebitamento). Se così fosse, dovremmo constatare un contrasto evi-dente della norma con i principi di uguaglianza e ra-gionevolezza.La questione della possibilità di prevedere nei piani concordatari, di qualsiasi natura siano, la falcidia del debito per Iva nei confronti dello Stato trova da qual-che tempo, in conclusione, spiragli di operatività più consistenti.

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OSSERVATORIOCommento alla sentenza della Corte di Cassa-zione SS.UU. n.1521/13di Paola Mazza - dottore commercialista e revisore legale

Nell’ambito della disciplina del concordato preventi-vo la definizione dei limiti del potere di indagine del Tribunale in relazione alla sussistenza del requisito di fattibilità del piano ha costituito una delle questioni più controverse.Secondo un orientamento della Corte di Cassazione (sentenza n.13817/11), non rientrerebbe nella com-petenza del Tribunale valutare il merito della propo-sta di concordato (in sede di ammissione e nel corso del procedimento ai fini di una sua eventuale revoca) che verrebbe invece attribuita ai creditori, potendo il giudice intervenire solo in caso di dissidio tra questi, con una propria valutazione di merito, anche in ordi-ne alla fattibilità del concordato.Un orientamento opposto lo si rinviene nella senten-za della Cassazione n.18864/11 che ritiene, invece, il Tribunale competente a rilevare d’ufficio eventuali nullità per illiceità o impossibilità dell’oggetto e che lo stesso è abilitato, dunque, a verificare, anche d’uf-ficio, la non fattibilità del piano.In considerazione del divergente orientamento adot-tato da diverse Sezioni della Cassazione la questione è stata sottoposta all’attenzione della Suprema Corte di Cassazione che a Sezioni Unite si è stata chiamata a esprimersi, in merito ai limiti di valutazione entro cui deve agire il giudice in ordine alla fattibilità del concordato preventivo.Con la sentenza n.1521/13 delle Sezioni Unite, nell’ambito della disamina della specifica questione posta alla sua attenzione, viene finalmente posto un punto fermo al dibattito dottrinale e giurispruden-ziale circa la prospettata ipotesi che il giudice non possa esercitare un suo diretto controllo sulla fattibi-lità del concordato preventivo, ai fini dell’ammissio-ne alla procedura o, anche, nella fase successiva del giudizio di omologazione.Il parere dell’organo supremo in merito è tranciante e dettagliato. Le Sezioni Unite, infatti, riprendendo quanto già affermato in precedenza nella sentenza n.18864/11 della Corte di Cassazione chiariscono che «Il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legit-timità sul giudizio di fattibilità della proposta di con-cordato, non restando questo escluso dall’attestazione

del professionista, mentre resta riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo econo-mico del piano ed i rischi inerenti». Tale valutazione viene quindi rafforzata con la considerazione che «il controllo di legittimità del giudice si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preven-tivo» evidenziando che «il controllo di legittimità si attua verificando l’effettiva realizzabilità della causa concreta della procedura di concordato». La sentenza si esprime anche in ordine alla stessa realizzabilità della procedura di concordato la quale, intesa «come obiettivo specifico perseguito dal pro-cedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabi-le, essendo dipendente dal tipo di proposta formula-ta, pur se inserita nel generale quadro di riferimento, finalizzato al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore, da un lato, e all’assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro».La decisone delle Sezioni Unite della Cassazione in-tende, quindi, chiarire inequivocabilmente che va at-tribuito al giudice un ruolo attivo durante tutte le fasi della procedura, fermo restando che il controllo po-sto in essere dal Tribunale non riguarda l’aspetto eco-nomico, e che la valutazione della fattibilità o meno del concordato resta, invece, riservata ai creditori in via esclusiva in sede di approvazione del concordato.Il controllo del giudice, sulla fattibilità del concordato preventivo è, perciò, limitato alla fattibilità giuridica e quindi nel potere di dichiarare l’inammissibilità della proposta “quando modalità attuative risultino incompatibili con norme inderogabili”.Nella stessa sentenza delle Sezioni Unite viene ripre-so ed evidenziato anche il ruolo del professionista attestatore che viene assimilato a un coadiutore del giudice.Nell’asserire che il presupposto di ammissibilità del concordato è la fattibilità del piano (e non il deposito di una relazione che attesti detta fattibilità) la figu-ra del professionista che attesta il piano di fattibilità

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OSSERVATORIOviene equiparata a quella di un ausiliare del giudice. In tale ottica si comprende come il professionista at-testatore deve avere quale referente ultimo anche lo stesso Tribunale. Da ciò ne deriva che il giudice può discostarsi dal relativo giudizio, così come potrebbe fare di fronte a non condivise valutazioni di un suo ausiliario.Nell’ambito della stessa sentenza n.1521 viene af-frontato un altro tema di profondo interesse che riguarda il rapporto sussistente tra la procedura di fallimento (o meglio l’avvio dell’istruttoria pre-falli-mentare) e la domanda di concordato preventivo.Su tale punto la Corte di Cassazione a Sezioni Uni-te sostiene che la presentazione della domanda di

concordato preventivo non inibisce la dichiarazione di fallimento del debitore e ciò in quanto tra le due procedure concorsuali sussiste un rapporto di conse-guenzialità logica ma non procedimentale. Con tale parere viene quindi superata l’idea condivisa da mol-ti che la presentazione della domanda di concordato blocchi la procedura per la dichiarazione di fallimento. È parere, infine, della Corte a Sezioni Unite che il giudice nel valutare la proposta di concordato e al contempo l’istanza di fallimento promossa da un creditore, ha necessità di privilegiare il fallimento in tutti i casi in cui il concordato “esprima un intento meramente dilatorio e manifesti un abuso di diritto del debitore”.

sentenzaCassazione, sentenza n.1521 del 23/01/13

Svolgimento del processoomissis

Motivi della decisione7. Con il ricorso n.5383/11, proposto contro la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro che aveva rigettato il reclamo contro il provvedimento con il quale era stato dichiarato il proprio fallimento, la .......... ha innanzitutto sollecitato, in via logicamente pregiudiziale, la riunione del procedimento con quello ugualmente pendente fra le stesse parti davanti a questa Corte (R.G. 25898/09), aven-te ad oggetto l’impugnazione avverso il decreto di omolo-ga del concordato preventivo.In proposito va osservato che certamente non è configu-rabile nella specie una ipotesi di riunione obbligatoria dei procedimenti, che trae il suo presupposto nell’esistenza di una pluralità di impugnazioni contro una stessa sentenza (art.335 c.p.c.), laddove l’oggetto delle censure dei ricorsi in esame riguarda due provvedimenti del tutto distinti.Ritiene tuttavia il Collegio che sussistono ugualmente le condizioni per disporre nel senso richiesto, atteso che l’istanza in questione è stata formulata in ragione della pretesa connessione esistente fra i due provvedimenti impugnati e tale presupposto, secondo la consolidata giu-risprudenza di questa Corte, è sufficiente per consentire al giudice - anche in sede di legittimità - di decidere di-screzionalmente per la riunione dei procedimenti quando la trattazione separata prospetti l’eventualità di soluzioni contrastanti, ovvero siano ravvisabili ragioni di economia processuale, ovvero siano configurabili profili di unitarietà sostanziale e processuale della controversia (C. 10/18050, C. 08/16405, C. 02/18072, C. 95/9288), ipotesi quest’ulti-ma all’evidenza riscontrabile nel caso in esame.8. Soffermando quindi l’attenzione sulle doglianze pro-spettate nei due distinti atti di impugnazione, si osserva che con il primo ricorso (vale a dire quello n.25898/09) la

.......... ha rispettivamente denunciato:1) nullità del provvedimento impugnato, perchè recante la sottoscrizione del solo presidente e non anche dell’e-stensore;2) nullità del provvedimento impugnato ex art.134 c.p.c., co.2, art.111 Cost., poichè a suo dire “integralmente ri-calcato su quello del Tribunale Cagliari 20 marzo 2009”, pertanto sorretto da motivazione soltanto apparente, ri-sultante in quanto tale “inidonea a consentire quell’indi-spensabile controllo delle ragioni che stanno a base della decisione”;3) violazione degli artt. 70 n. 5, 158, 161 e 354 c.p.c., L. Fall., artt. 132, 180 e 183, per la mancata partecipazione al giudizio del Procuratore Generale;4) violazione della L.F., art.160, artt.2214, 2217 e 2302 c.c., L.F., artt.28, 169 e 55, art.172, co.1, art.175, co.1, nonchè vizio di motivazione, sotto i seguenti aspetti: a) la Corte di Appello non avrebbe debitamente considera-to che nella specie era stato proposto un concordato con cessione dei beni, rispetto al quale non vi sarebbe obbligo da parte del debitore di garantire una soddisfazione mi-nima o una percentuale di pagamento; b) il commissario giudiziale aveva sostanzialmente espresso un giudizio ne-gativo in ordine alla realizzabilità della proposta concorda-taria nei termini indicati, avendo ritenuto che nel concre-to il soddisfacimento dei creditori sarebbe stato inferiore alla misura percentuale prospettata. Indipendentemente dalla minore o maggiore fondatezza del rilievo questo sarebbe stato tuttavia comunque ininfluente, atteso che al riguardo non era stata sollevata alcuna contestazione da parte del ceto creditorio neppure nel giudizio di omo-logazione, nel quale per l’appunto non era intervenuta alcuna costituzione in opposizione; c) erroneamente il Tribunale avrebbe contrastato il giudizio di fattibilità del concordato, e ciò sotto un duplice aspetto, vale a dire: 1) perchè a torto aveva identificato il parametro valutativo utilizzabile a tal fine nella coincidenza della percentuale di soddisfacimento ricavabile dalla cessione dei beni con

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OSSERVATORIOquella originariamente prospettata; 2) perchè non aveva disposto alcuna indagine a sostegno della decisione adot-tata sul punto; d) alla relazione del professionista allegata alla proposta (che segnatamente avrebbe attestato la sua fattibilità) avrebbe dovuto essere attribuita piena efficacia probatoria relativamente a quanto ivi indicato ove, come nel caso in esame, non specificamente contestata; e) il commissario giudiziale avrebbe errato nella stima sia del passivo (irragionevolmente aumentato) che dell’attivo (a torto ridimensionato), con ciò dando luogo alla formula-zione di giudizi non sorrettì da adeguata motivazione, ed inoltre i commissario giudiziale avrebbe operato violando il principio del contraddittorio per effetto della mancata interlocuzione preventiva con esso proponente e per non essersi costituito nel giudizio di omologazione;5) violazione della L.F., art.172, e vizio di motivazione, per la contraddizione rilevabile fra la prima relazione del commissario giudiziale ed il suo parere motivato, nonchè per la sua costituzione in sede di impugnazione (mentre, come detto, era rimasto contumace nel giudizio di omolo-ga), laddove aveva spiegato anche domande giudiziarie, e ciò in contrasto con il ruolo di parte formale che gli ricono-scerebbe la giurisprudenza di questa Corte;6) violazione dell’art.167 c.p.c., e vizio di motivazione poi-chè, per effetto dell’omessa contestazione da parte del commissario giudiziale e dei creditori in ordine alla do-manda formulata dal debitore nel giudizio di omologazio-ne, il giudice del merito avrebbe dovuto astenersi da ogni controllo probatorio al riguardo e ritenere sussistenti le circostanze di fatto articolate nel giudizio di concordato;7) violazione della L.F., art.160, in relazione all’art.1455 c.c., e L.F. art.173, considerato che in tema di inadempi-mento la risoluzione può essere dichiarata quando, per effetto della condotta di una delle parti, si sia verificato uno squilibrio fra le prestazioni tale da “intaccare l’obbli-gazione primaria ed essenziale del contratto stesso”, ipo-tesi non riscontrabile nel caso di specie, caratterizzato dal fatto che i creditori avrebbero comunque aderito alla pro-posta, pur a fronte di un possibile esito di soddisfacimento del credito limitato al 45% del suo valore;8) violazione della L.F., artt.173, 175 e 186, e vizio di mo-tivazione, atteso che “l’accentuazione della natura con-trattuale dell’istituto concordatario” avrebbe comunque dovuto indurre a ritenere irrilevanti, ai fini della revoca L.F., ex art.173, le condotte non fraudolente, e comunque ad escludere la rilevanza di questioni essenzialmente atti-nenti alla fattibilità del concordato, in quanto tali rimesse all’apprezzamento dei creditori;9) violazione della L.F., artt.28, 55, 161, 162, 169, 175 e 180, artt. 2214, 2217 e 2302 c.c., e vizio di motivazione, con riferimento all’omissione rilevata a proposito dei beni personali del socio illimitatamente responsabile, rilievo che, oltre ad essere stato erroneamente formulato poichè non sorretto da adeguati riscontri, avrebbe dovuto com-portare una rimessione in istruttoria, anzichè il giudizio negativo articolato sul punto;10) violazione dei medesimi articoli indicati sub 9) e ugua-

le vizio di motivazione, in ragione del fatto che la proposta di concordato non sarebbe suscettibile di modifiche dopo l’inizio delle operazioni di voto e non potrebbe altresì es-sere sottoposta ad un controllo da parte del tribunale, per una verifica in ordine alla effettiva prospettiva di realizza-zione dell’attivo nella misura indicata;11) violazione dei medesimi articoli indicati sub 9) e ugua-le vizio di motivazione poichè, in assenza di opposizioni, il giudizio in ordine alla non fattibilità del piano era stato espresso unicamente dal commissario giudiziale (che per di più avrebbe reso un parere contrastante con la prece-dente relazione). Ciò avrebbe dunque determinato la vio-lazione del diritto di difesa di esso ricorrente, in quanto l’esito negativo della domanda di concordato non sarebbe stato conseguente “ad un accertamento di merito con giu-dizio autonomo”, come pur sarebbe dovuto accadere.8.1 - Con il secondo atto di impugnazione (vale a dire quel-lo n.5383/11), l’.......... ha poi rispettivamente denunciato:1) violazione della L.F. artt. 168, 180 e 183, artt.739 e 741 c.p.c., nonchè vizio di motivazione poichè, contrariamen-te a quanto affermato dalla Corte di Appello, il diniego di omologa del concordato preventivo non accompagnato dalla contestuale dichiarazione di fallimento non avreb-be potuto comportare effetti esecutivi immediati, e ciò in quanto la L.F., art.180, co.5, doterebbe di esecutività prov-visoria soltanto il decreto di omologazione del concorda-to, e non anche quello di accoglimento dell’opposizione. Da ciò deriverebbe che la proposizione di una istanza di fallimento, essendo ancora pendente il giudizio relativo al rigetto della domanda di omologa, avrebbe dovuto comportare la sospensione dell’istruttoria prefallimen-tare fino alla definizione del giudizio promosso contro il provvedimento di rigetto della domanda di omologazione del concordato, anzichè una delibazione nel merito della richiesta, come verificatosi;2) violazione della L.F., art.180, artt. 131, 132, 135 e 282 c.p.c., e vizio di motivazione, poichè l’affermazione della Corte di Appello secondo la quale il citato art.180 non richiederebbe, ai fini dell’eventuale dichiarazione di falli-mento, il rigetto della domanda di concordato con sen-tenza passata in giudicato, sarebbe errata, e ciò sia perchè l’articolo in questione prevede che il rigetto della doman-da di omologazione del concordato debba avvenire con decreto e non con sentenza, sia perchè la provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado sarebbe con-figurabile soltanto con riferimento alla diversa ipotesi di “pronunce di condanna suscettibili secondo i procedimenti di esecuzione disciplinati dal terzo libro del codice di rito civile” (pag.67 ricorso);3) violazione della L.F., artt. 16, 162, 168 e 180, e vizio di motivazione, in relazione all’affermazione della Corte di Appello per la quale il ricorso per la dichiarazione di falli-mento non potrebbe essere assimilato ad un’azione ese-cutiva ed essere quindi assoggettato alla disciplina dettata dalla L.F., art.168.Il rilievo tuttavia sarebbe errato atteso che il fallimento sarebbe una esecuzione collettiva, sicchè la domanda di

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OSSERVATORIOfallimento non sarebbe proponibile una volta presenta-to il ricorso per concordato preventivo, preclusione che si protrarrebbe fino alla data della definizione del detto procedimento;4) violazione della L.F., artt. 6 e 7, artt.100 e 623 c.p.c., e vizio di motivazione, con riferimento all’omessa rileva-zione della carenza di legittimazione attiva del Banco di Napoli, unico creditore istante, e alla connessa violazione del divieto della dichiarazione del fallimento di ufficio.Ed infatti il Banco non avrebbe potuto essere considerato creditore, poichè: a) il credito azionato, oltre a non essere munito di esecutività, era stato contestato; b) la pendenza del giudizio in ordine alla sua fondatezza avrebbe preclu-so al giudice fallimentare la possibilità di una delibazio-ne sommaria sul punto; c) gli elementi acquisiti nel corso dell’istruttoria ne avrebbero comunque escluso la sussi-stenza. Per di più il Banco di Napoli non avrebbe avuto comunque interesse alla proposizione del ricorso atteso che, se omologato, il concordato avrebbe dato causa alla cessione dei beni mentre, se non omologato, sarebbe sta-ta in ogni modo proponibile l’istanza di fallimento;5) violazione della L.F., artt.5, 55, 78, 168 e 169, artt. 115 e 167 c.p.c., art.2697 c.c., e vizio di motivazione, consi-derato che l’attivo patrimoniale avrebbe consentito di as-sicurare l’integrale soddisfacimento dei creditori sociali, mentre il contrario giudizio espresso al riguardo sarebbe stato imputabile ad una inadeguata interpretazione della documentazione prodotta, e segnatamente della memo-ria difensiva di esso ricorrente in data 4/11/10, oltre che del contenuto della relazione di consulenza tecnica dispo-sta in sede prefallimentare.9. Per quanto proposto successivamente al ricorso contro il provvedimento confermativo del rigetto del concordato, ritiene il Collegio che debba essere esaminato dapprima quello contro la sentenza dichiarativa di fallimento, risul-tando la relativa decisione assorbente rispetto alle censu-re attinenti alla pretesa erroneità della prima statuizione adottata in sede di omologazione del concordato.Al riguardo occorre rilevare che, come questa Corte ha avuto modo reiteratamente di affermare nella vigen-za della precedente disciplina del concordato, il rigetto dell’omologazione e la dichiarazione di fallimento costi-tuiscono statuizioni fra loro autonome, pur se legate da un rapporto di connessione (C. 97/8323, C. 96/3425, C. 92/660, C. 77/3673).Della configurazione di tale rapporto nel senso indicato si trae poi conferma dal tenore delle modifiche apportate all’istituto del concordato, atteso che se il legislatore ha eliminato l’automatismo della declaratoria di fallimento una volta definito negativamente il giudizio di omologa-zione - e ciò in ragione della avvertita necessità di subor-dinare la fallibilità dell’imprenditore ad istanza di parte (L.F., art.6) -, ha pur tuttavia privilegiato una unicità di so-luzione stabilendo che, se il tribunale in sede di omologa-zione respinge il concordato, ricorrendone i presupposti “dichiara il fallimento del debitore con separata ordinanza emessa contestualmente al decreto”, contestualità poi ri-

badita con riferimento alla previsione del reclamo contro il provvedimento del tribunale (L. F., art.183).Anche la giurisprudenza di questa Corte, formatasi sul-la nuova disciplina del concordato, ha inoltre ribadito lo stretto nesso intercorrente fra l’esito negativo dell’i-stanza di concordato - nelle diverse fasi dell’ammissione e dell’omologazione - e la dichiarazione di fallimento (C. 08/9743), essendo stato segnatamente precisato: che il ricorso contro il decreto del tribunale che neghi l’ingresso alla procedura di concordato preventivo è inammissibile “quando è inscindibilmente connesso.. alla successiva e conseguenziale sentenza dichiarativa di fallimento (an-che non contestuale), dovendo in tal caso farsi valere i vizi del decreto mediante l’impugnazione della sentenza” (C. 11/3586, che a sua volta richiama C. 10/8186); che le que-stioni attinenti al decreto di inammissibilità devono “esse-re dedotte con la stessa impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, in quanto il predetto rapporto si atteggia come un fenomeno di conseguenzialità (eventua-le del fallimento all’esito negativo della prima procedura) e di assorbimento (dei vizi del predetto diniego in motivi di impugnazione della seconda), che determina una mera esigenza di coordinamento tra i due procedimenti” (C. 12/18190, che a sua volta richiama C. 11/3059); che il de-creto di annullamento del concordato preventivo non è autonomamente impugnabile mancando il necessario in-teresse, e ciò in quanto l’eventuale accoglimento dell’im-pugnazione non potrebbe avere alcuna incidenza sulla validità e l’efficacia della sentenza di fallimento, potendo questa essere revocata soltanto all’esito ed in accoglimen-to di apposito reclamo (C. 12/2671).Ed è proprio quest’ultimo profilo che appare di specifico rilievo, atteso che l’indispensabile interesse al ricorso in tema di concordato presuppone inevitabilmente l’esito positivo di quello contro la dichiarazione di fallimento, ri-sultando del tutto inutile in caso contrario l’eventuale ac-coglimento del primo ricorso, non consentendo tale esito alcuna possibilità di incidenza sugli effetti di una non più contestabile sentenza di fallimento.9.1 - Passando dunque all’esame del secondo ricorso si osserva che i primi tre motivi di impugnazione devono es-sere esaminati congiuntamente, poichè sostanzialmente pongono la medesima questione (sia pur rappresentata sotto vari profili), consistente nella individuazione del rap-porto intercorrente fra i due procedimenti di concordato preventivo e di fallimento.La ricorrente ha infatti sostenuto al riguardo che sareb-be stato improponibile il procedimento per dichiarazione di fallimento fino alla data del passaggio in giudicato del provvedimento di rigetto del concordato e che nella specie il giudicato non sarebbe ancora maturato, essendo ancora pendente l’impugnazione contro il detto provvedimento; che la denunciata improponibilità sarebbe risultata anche per altro verso, vale a dire per il fatto che il decreto di rigetto della domanda di concordato sarebbe stato privo di esecutività; che ad analoghe conclusioni avrebbe dovu-to indurre la circostanza, non adeguatamente considera-

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OSSERVATORIOta, che l’istanza di fallimento sarebbe stata equiparabile all’atto introduttivo di una procedura esecutiva, in quanto tale preclusa dal chiaro disposto della L.F., art.168.Secondo la ricorrente, dunque, le concorrenti ragioni so-pra indicate avrebbero dato causa ad un rapporto di inter-dipendenza fra le due procedure in questione, tale cioè da subordinare la trattazione del procedimento per dichiara-zione di fallimento all’avvenuta definizione di quella per concordato preventivo, ove a questa (come nella specie) fosse stato dato corso.L’assunto è infondato.Come già puntualmente rilevato da questa Corte (C. 12/18190), infatti, il “criterio della prevenzione, che all’e-poca correlava le due procedure - di concordato e di fal-limento posponendo la pronuncia di fallimento al previo esaurimento della soluzione concordata della crisi dell’im-presa”, era stato affermato in ragione dell’inciso contenu-to nella precedente formulazione della L.F., art.160, per il quale all’imprenditore veniva concessa facoltà di propor-re il concordato preventivo fino a che il suo fallimento non fosse stato dichiarato.Tuttavia il detto inciso è stato eliminato, e pertanto dal mutamento della formulazione letterale della norma sul punto discende necessariamente l’avvenuto superamen-to di quel principio che sul precedente dettato normativo trovava fondamento.Nè può correttamente dirsi che il principio in questione possa essere altrimenti desunto in via interpretativa, in ragione dei generali principi vigenti in materia.Ed invero non ricorre certamente nella specie un’ipote-si di pregiudizialità necessaria, atteso che: non sono so-vrapponibili le situazioni esaminate nelle due distinte procedure di fallimento e di concordato (C. 11/3059); la, sospensione è istituto eccezionale che incide in termini limitativi rispetto all’esercizio del diritto di azione, e che pertanto può trovare applicazione soltanto quando la situazione sostanziale dedotta nel processo pregiudican-te rappresenti il fatto costitutivo di quella dedotta nella causa pregiudicata (C. 03/14670), ipotesi non ricorrente nel caso in esame; il vigente codice di rito esclude casi di sospensione discrezionale e non prevede inoltre casi di sospensione impropria o atecnica.Al contrario, deve invece ritenersi che il rapporto tra concordato preventivo e fallimento si atteggi come un fenomeno di conseguenzialità (eventuale del fallimento, all’esito negativo della procedura di concordato) e di as-sorbimento (dei vizi del provvedimento di rigetto in motivi di impugnazione del successivo fallimento), che determi-na una mera esigenza di coordinamento fra i due procedi-menti (C. 11/3059).Ne consegue ulteriormente che la facoltà per il debito-re di proporre una procedura concorsuale alternativa al suo fallimento non rappresenta un fatto impeditivo alla relativa dichiarazione (C. 12/18190, C. 09/19214), ma una semplice esplicazione del diritto di difesa del debitore, che non potrebbe comunque “disporre unilateralmente e potestativamente dei tempi del procedimento fallimenta-

re”, venendo così a paralizzare le iniziative recuperatorie del curatore (C. 18190 cit., C. 97/10383) e ad incidere ne-gativamente sul principio costituzionale della ragionevole durata del processo.La conseguenzialità logica tra le due procedure non si traduce dunque anche in una conseguenzialità procedi-mentale, ferma restando la connessione fra l’eventuale decreto di rigetto del ricorso per concordato e la succes-siva conseguenziale sentenza di fallimento, anche se non emessa contestualmente al primo provvedimento, do-vendosi in tal caso farsi valere i vizi del decreto mediante l’impugnazione della sentenza di fallimento (C. 11/3586, C. 08/9743).9.2 - Ad identiche conclusioni di infondatezza deve poi pervenirsi per quanto concerne gli ulteriori motivi di im-pugnazione.Più precisamente, con il quarto motivo di ricorso la ricor-rente ha denunciato il difetto di legittimazione attiva e la carenza di interesse del Banco di Napoli, unico creditore istante, rispettivamente in ragione del fatto che la relativa domanda sarebbe stata supportata da titolo non definiti-vo, oltre che non esecutivo (il giudice ne avrebbe infatti sospeso l’esecutività), e in considerazione del trattamento meno favorevole che la procedura di fallimento avrebbe riservato ai creditori, rispetto a quella di concordato.Entrambi i rilievi sono tuttavia privi di pregio.La L.F., art.6, stabilisce infatti che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, circostanza che non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, nè l’esecutività del titolo, essendo vice-versa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di accertare la legitti-mazione dell’istante (C. 05/21327, C. 86/6856).Ne discende che la contestata statuizione è in sintonia con il dettato normativo e con la giurisprudenza di questa Corte, sicchè non è fondatamente deducibile alcuna riser-va al riguardo. Quanto al merito della decisione, la stessa risulta adeguatamente motivata, essendo stato segnata-mente evidenziato: che il Banco di Napoli figurava nell’e-lenco dei creditori contenuto nella relazione patrimoniale del debitore; che la qualità di creditore risultava inoltre dal contratto di mutuo fondiario e di finanziamento indu-striale; che la sospensione dell’efficacia esecutiva del tito-lo non era da porre in relazione all’esistenza dello stesso, risultante dalla documentazione della società istante oltre che dall’elenco dei debitori. Anche sotto questo riflesso, dunque, la decisione impugnata non appare suscettibile di sindacato da parte di questa Corte.Quanto alla pretesa carenza di interesse l’assunto è incon-sistente, atteso che la sua sussistenza risulta al contrario dall’affermata qualità di creditore (sia pure per effetto di accertamento incidentale) del Banco di Napoli; l’opzione per una o l’altra procedura concorsuale (vale a dire con-cordato o fallimento) sarebbe comunque rimessa alla valutazione del creditore, non essendo a questa sovrap-ponibile l’astratto parametro suggerito dal debitore; la procedura di concordato aveva infine registrato (sia pure in via non definitiva) un esito negativo.

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OSSERVATORIO9.3 - Resta infine il quinto ed ultimo motivo di impugna-zione, incentrato sulla pretesa insussistenza dello stato di insolvenza.Al riguardo la .........., dopo aver premesso di essere stata posta in liquidazione, ha correttamente precisato che, al fine di stabilire se nella specie ricorresse il requisito di cui alla L.F., art.5, il giudice avrebbe dovuto accertare se gli elementi attivi del patrimonio consentissero o meno di assicurare l’integrale soddisfacimento dei creditori sociali.Tuttavia anche la Corte di Appello aveva espressamente rilevato che, versando l’.......... in uno stato di liquidazio-ne, “la valutazione del requisito di cui alla L.F., art.5, va condotta unicamente al fine di accertare se gli elementi attivi del patrimonio consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali”, vale a dire facendo ricorso all’utilizzazione dello stesso parametro la cui applicazione è stata invocata dalla ...........Il dissenso manifestato da quest’ultima nei confronti della contestata decisione adottata non riguarda dunque la cor-rettezza del criterio seguito dal giudice nella formazione e formulazione del relativo giudizio, ma attiene piuttosto al merito della statuizione che peraltro, ove supportata da motivazione sufficiente ed immune da vizi logici, non è sindacabile in questa sede di legittimità. Nel caso in esa-me la Corte territoriale ha dato sufficiente ragione della determinazione assunta sul punto, avendo segnatamen-te accertato, sulla base dell’espletata consulenza tecnica, che lo sbilanciamento fra attivo (€1.435.590,63) e passivo (€1.679.119,23) risultava pari a €243.528,60 - tale quin-di da non consentire il soddisfacimento dei creditori - ed avendo inoltre ritenuto inconsistente la censura prospet-tata dalla ricorrente in ordine alle sopra indicate conclu-sioni del consulente tecnico.L’.......... aveva infatti sostenuto che lo sbilancio passivo di €243.528,60 fosse “pressochè interamente dovuto ad interessi bancari maturati dal 7/10/08 alla data del falli-mento” (pag.12), assunto che tuttavia non sarebbe stato confortato da alcun riscontro (“... non è stato offerto al collegio alcun circostanziato elemento di valutazione dal quale poter desumere tale imputazione della somma di €243.528,60..”), mentre al contrario dall’entità del saldo accertato dal consulente tecnico alla data del 7/10/08 si sarebbe dovuto desumere il mancato computo di interes-si per il periodo successivo.La ricorrente ha per vero censurato le dette considera-zioni, lamentando in particolare: a) l’omesso esame della memoria difensiva di appello, con l’allegata consulenza tecnica di ufficio depositata nel giudizio pendente davanti al Tribunale di Cosenza, da cui sarebbe emersa l’insussi-stenza sia del debito di €139.456,42 nei confronti della Banca di Roma che quello di €85.730,29 nei confronti del-la Carime; b) l’erroneità della statuizione secondo la quale non sarebbero emersi elementi comprovanti la riferibilità dell’accertato sbilancio agli interessi passivi delle banche a far tempo dalla data del concordato fino a quella del fal-limento, assunto che sarebbe smentito dalla consulenza tecnica, oltre che dalla mancata contestazione delle parti

sul punto, e che al contrario troverebbe viceversa confer-ma nella relazione integrativa del consulente tecnico in data 22/7/010.Le doglianze sono tuttavia prive di pregio, in quanto gene-riche e viziate sul piano dell’autosufficienza.La pretesa erroneità della statuizione non appare infatti confortata da una compiuta rappresentazione dei dati idonei ad evidenziare le ragioni per le quali il contesta-to giudizio della Corte di Appello non sarebbe corretta-mente formulato, sicchè la censura non risulta supportata dall’indicazione degli elementi necessari per verificarne la fondatezza e finisce per esaurirsi in una non condivisa va-lutazione di merito della decisione adottata.Inoltre, come detto, la ricorrente ha sostenuto che il con-tenuto della consulenza tecnica sarebbe stato diverso, in alcuni punti, da quello apprezzato dal giudice del merito, ma ha pur tuttavia omesso di riportare analiticamente e compiutamente le indicazioni del consulente, con la con-seguenza di non consentire al giudicante l’esame diretto di quanto da quest’ultimo esattamente accertato e rife-rito e di apprezzare quindi la rilevanza dei singoli profili considerati nell’ambito della relazione (e soprattutto delle relative conclusioni) nel suo complesso.Infine non sembra inutile evidenziare come la delibazione delle doglianze prospettate, richiederebbe inammissibili valutazioni in fatto, in quanto tali non consentite in questa sede di legittimità.10. L’infondatezza del ricorso contro la sentenza dichiara-tiva di fallimento della .......... comporta dunque, per le ra-gioni dianzi precisate sub 9, l’inammissibilità dell’ulteriore ricorso avverso il decreto di rigetto del reclamo contro il diniego di omologazione del concordato preventivo.10.1 - Ritiene tuttavia il Collegio che, come già rilevato con l’ordinanza di rimessione a queste sezioni unite in data 15/12/11, la questione sottoposta al suo esame sia di par-ticolare importanza, e che ciò determini quindi l’oppor-tunità di pronunciare il principio di diritto sulla tematica prospettata, ai sensi dell’art.363 c.p.c., co.3.Più precisamente con la sopra citata ordinanza, come già sinteticamente segnalato nel rappresentare lo svolgimen-to del processo, i profili di particolare rilievo sui quali era-no stati registrati una linea di non totale sintonia nella giu-risprudenza di legittimità, un non sopito contrasto nella giurisprudenza di merito ed un ampio dibattito in dottrina con la prospettazione di soluzioni non coincidenti, sono stati rispettivamente individuati: a) nella rilevanza dell’in-dicazione concernente la misura percentuale di soddisfa-cimento dei creditori nell’economia della proposta con-cordataria, anche sotto il profilo della relativa incidenza sulla sua fattibilità; b) nella necessità di stabilire in quale misura l’eventuale non fattibilità del piano possa determi-nare un’impossibilità dell’oggetto del concordato, e quindi di definire i limiti entro i quali il requisito della fattibilità possa essere suscettibile di sindacato da parte del giudice; c) nell’esigenza di chiarire le conseguenze di un giudizio negativo in ordine alla fattibilità del piano, ove ravvisato un difetto di informazione del ceto creditorio, dovendo-

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OSSERVATORIOsi segnatamente valutare se, e nell’ipotesi positiva entro quali limiti, possa essere disposta nuova convocazione dell’adunanza dei creditori per la rinnovazione delle ope-razioni di voto.11. Al riguardo giova premettere che il non agevole com-pito dell’interprete (indirettamente testimoniato dal nu-mero dei contributi dottrinari e giurisprudenziali e della varietà delle soluzioni prospettate o adottate) è essenzial-mente determinato, oltre che da una non sempre chiaris-sima formulazione letterale del dettato normativo, dalla nuova configurazione che il legislatore ha inteso conferire sia alla più rilevante procedura concorsuale, all’evidenza individuabile nel fallimento (si pensi segnatamente al di-verso ruolo attribuito al giudice delegato, cui competeva dapprima di dirigere e vigilare le operazioni del curatore, mentre ora gli sono attribuite soltanto funzioni di vigilanza e controllo sulla procedura - L.F., art.25 -, essendo affidati al curatore i compiti gestionali - L.F., art.31 -), che all’isti-tuto del concordato preventivo, e ciò fin dall’emanazione del D.L. n.35/05, poi convertito con L. n.80/05, cui hanno poi fatto seguito le ulteriori significative modifiche ricon-ducibili al D.Lgs. n.5/06, al D.Lgs. n.169/07, e da ultimo al D.L. n.83/12, poi convertito con la L. n.134/12.Tale nuova configurazione, che come appare dal numero dei provvedimenti normativi succedutisi nel tempo, dallo strumento legislativo utilizzato (due decreti legge, due de-creti legislativi), dalle indicazioni contenute nelle relazioni accompagnatrici e nella rubrica dei provvedimenti, è stata ispirata da esigenze di economicità, che si è inteso sod-disfare recuperando moduli operativi già adottati in altri ordinamenti, e segnatamente facendo ricorso all’indivi-duazione di misure idonee a snellire le procedure esisten-ti, a valorizzare la posizione del giudice quale tutore del rispetto della legalità, a rafforzare il ruolo propositivo e decisionale delle parti, modifiche tutte che avrebbero do-vuto eliminare (o quanto meno limitare) dispersioni di ric-chezze ed attribuire una maggiore flessibilità al mercato.11.1 - Senza entrare in più specifici dettagli non pertinenti in questa sede, ma venendo al concreto, occorre dunque innanzitutto ribadire che anche la disciplina del concor-dato preventivo appare ispirata dalle sopra indicate esi-genze, e ciò in quanto il conseguimento della migliore economicità realizzabile nelle diverse possibili soluzioni di composizione della crisi di impresa presuppone un’ampia flessibilità della procedura, obiettivo che a sua volta può trovare soddisfacente attuazione - nell’ambito del quadro delineato sul punto dal Legislatore - soltanto se adegua-tamente valorizzati i profili negoziali della stessa. Peraltro le modifiche dettate dall’avvertita necessità di soddisfare la detta esigenza non hanno trovato riconoscimento in un testo legislativo appositamente ridisegnato per il conse-guimento della indicata finalità, ma hanno avuto piutto-sto collocazione nell’esistente corpo normativo, ispirato al raggiungimento di finalità del tutto diverse.Senza voler entrare, neanche a tale proposito, nell’esame di aspetti di carattere generale, solo indirettamente con-nessi alla controversia in esame, è sufficiente rilevare, per

quel che interessa in questa sede, che per quanto sin dalla sua introduzione si discutesse circa la natura dell’istituto del concordato preventivo, essendo questa connotata da profili rilevanti sia sul piano pubblicistico che su quello ne-goziale, non sembra si possa dubitare del fatto che la pre-cedente disciplina fosse più solidamente ancorata ad uno schema di evidente stampo pubblicistico, in cui al giudice era affidato il compito del controllo di legalità e del meri-to della proposta, controllo quest’ultimo sostanzialmente finalizzato ad una verifica circa: a) l’effettiva esistenza di un vantaggio economico per i creditori; b) la ragionevole prospettiva del pagamento del 40% dei debiti ovvero l’e-sistenza di una garanzia in tal senso; c) la meritevolezza dell’imprenditore, sotto il profilo dell’assenza di colpa in ordine all’evento pregiudizievole - e cioè il dissesto - ve-nutosi a determinare.12. Orbene, così delineato il generale quadro di riferimen-to, occorre più specificamente passare all’esame delle disposizioni di interesse in tema di concordato, per stabi-lirne l’esatta portata ai fini dell’individuazione dei compiti assegnati al giudice nella detta procedura e dei termini in cui è consentito o previsto il suo intervento.12.1 - Come considerazione preliminare occorre innanzi-tutto evidenziare in proposito che il nuovo L.F., art.160, (la cui rubrica attualmente recita “presupposti per l’ammis-sione alla procedura”), contrariamente a quanto risultan-te dalla precedente formulazione, riconosce la più ampia libertà di forma (riconoscimento non contrastato, nei suoi termini generali, dalla previsione relativa al concordato con continuità aziendale di cui alla L.F., art.186-bis, intro-dotto con il D.L. n.83/12), limitandosi sostanzialmente a stabilire che l’imprenditore in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano, del quale non è predeterminato il contenuto.Il modulo procedimentale delineato distingue dunque tre elementi, individuabili rispettivamente in una domanda di accesso alla procedura, in una proposta rivolta ai creditori in essa contenuta, nella prospettazione di un piano, indi-cato come lo strumento idoneo a perseguire gli obiettivi delineati.Il piano e la documentazione di supporto relativa: all’ag-giornamento sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa; allo stato analitico ed estimativo delle attività dell’imprenditore (in essi compresi l’elenco dei creditori); all’indicazione dei titolari di diritti su beni del debitore; alla segnalazione del valore dei beni, oltre che dei creditori particolari degli eventuali soci illimitata-mente responsabili; devono essere poi accompagnati dal-la relazione di un professionista, “che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo” (L.F., art.161, co.3).Alla stregua della non equivoca formulazione della disposi-zione da ultimo citata non sembra potersi dubitare del fatto che il legislatore ha inteso demandare esclusivamente al pro-fessionista il compito di certificare la veridicità dei dati rap-presentati dall’imprenditore e di esprimere una valutazione in ordine alla fattibilità del piano dallo stesso proposto.

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OSSERVATORIOTuttavia, considerato che la L.F., art.162, impone al tribu-nale di dichiarare l’inammissibilità della proposta di con-cordato ove constatata l’assenza dei “presupposti di cui all’art.160, commi 1 e 2, e art.161”, in essi compresi quindi anche quelli concernenti la veridicità dei dati indicati e la fattibilità del piano, la questione che problematicamente viene sottoposta all’attenzione del Collegio riguarda l’indi-viduazione del perimetro di intervento assegnato al giudi-ce, al fine di stabilire se sia stato o meno soddisfatto il re-quisito di fattibilità del piano prescritto dal citato art.161.12.2 - In proposito ritiene innanzitutto il Collegio che il piano, proprio perchè strumento realizzativo della propo-sta, non possa essere disgiunto dal contenuto di quest’ul-tima, atteso che la previsione prognostica favorevole del relativo esito è inevitabilmente. connessa, da un punto di vista causale, con la buona riuscita del primo. Posto dunque che la fattibilità del piano, come detto, deve es-sere attestata dal professionista, occorre stabilire se sia o meno configurabile un potere di sindacato del giudice al riguardo e, nell’ipotesi positiva, quali siano i termini del relativo esercizio.A tale scopo va innanzitutto evidenziato come, seppur l’istituto del concordato preventivo sia caratterizzato da connotati di indiscussa natura negoziale (come d’altro canto si desume anche dal nome del procedimento), tut-tavia nella relativa disciplina siano individuabili evidenti manifestazioni di riflessi pubblicistici, suggeriti dall’av-vertita esigenza di tener conto anche degli interessi di soggetti ipoteticamente non aderenti alla proposta, ma comunque esposti agli effetti di una sua non condivisa ap-provazione, ed attuati mediante la fissazione di una serie di regole processuali inderogabili, finalizzate alla corretta formazione dell’accordo tra debitore e creditori, nonchè con il potenziamento dei margini di intervento del giudice in chiave di garanzia.12.3 - Quanto sinora esposto non consente tuttavia di of-frire una tranquillante risposta ai due quesiti sopra for-mulati, essendo viceversa indispensabile stabilire, per la finalità indicata, se il prescritto requisito di fattibilità deb-ba essere inteso in senso oggettivo ovvero debba essere ricavato dalla relativa attestazione resa da un professioni-sta legittimato a farlo secondo la normativa vigente, alter-nativa la cui risoluzione presuppone la corretta configura-zione della nozione di “fattibilità del piano di concordato”.12.4 - Al riguardo va innanzitutto premesso che la fatti-bilità non va confusa con la convenienza della proposta, vale a dire con il giudizio di merito certamente sottratto al Tribunale (salva l’ipotesi di cui alla L.F., art.180, co.4, come modificato dal D.L. n.83/12), così come analogamente non può essere identificata con una astratta verifica in ordine agli elementi dell’attivo e del passivo, anche se in qualche misura da questi possa dipendere.È invece più propriamente da ritenere che la fattibilità si traduca in una prognosi circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospettati, il che implica una ulteriore distinzione, nell’ambito del generale concetto di fattibilità, fra la fattibilità giuridica e quella economica.

Una prima conclusione che si può trarre da questa pre-messa può dunque essere individuata nel fatto che cer-tamente il controllo del giudice non è di secondo grado, destinato cioè a realizzarsi soltanto sulla completezza e congruità logica dell’attestato del professionista.Al detto attestato deve infatti essere attribuita la funzione di fornire dati, informazioni e valutazioni sulla base di ri-scontri effettuati dall’interno, elementi tutti che sarebbe-ro altrimenti acquisibili esclusivamente soltanto tramite un consulente tecnico nominato dal giudice.Ne consegue dunque che, pur non essendo un consulente del giudice - come si desume dal fatto che è il debitore a nominarlo -, il professionista attestatore ha le caratteristi-che di indipendenza (ulteriormente indirettamente raffor-zate dalle sanzioni penali previste dalla L.F., art.236-bis, introdotto con il D.L. n.83/12) e professionalità idonee a garantire una corretta attuazione del dettato normativo.Deve dunque - ritenersi che egli svolga funzioni assimila-bili a quelle di un ausiliario del giudice, come pure si desu-me dal significativo ruolo rivestito in tema di finanziamen-to e di continuità aziendale (L.F., art.182-quinquies, di cui al D.L. n.83/12), circostanza questa che esclude che desti-natari naturali della funzione attestatrice siano soltanto i creditori e viceversa comporta che il giudicante ben possa discostarsi dal relativo giudizio, così come potrebbe fare a fronte di non condivise valutazionì di un suo ausiliario.12.5 - Orbene se non è dubbio che spetti al giudice verifi-care la fattibilità giuridica del concordato e quindi esprime-re un giudizio negativo in ordine all’ammissibilità quando modalità attuative risultino incompatibili con norme inde-rogabili, profili di incertezza viceversa si pongono, laddove entrino in discussione gli aspetti relativi alla fattibilità eco-nomica.Questa è infatti legata ad un giudizio prognostico, che fi-siologicamente presenta margini di opinabilità ed implica possibilità di errore, che a sua volta si traduce in un fattore rischio per gli interessati.È pertanto ragionevole, in coerenza con l’impianto gene-rale dell’istituto, che di tale rischio si facciano esclusivo carico i creditori, una volta che vi sia stata corretta infor-mazione sul punto. Peraltro se, come detto, al giudice non è inibito prestare attenzione alla fattibilità del piano, la questione che ne deriva è individuabile nello stabilire se, una volta verificatane l’assoluta impossibilità di realiz-zazione, egli sia legittimato o meno ad assumere di sua iniziativa una decisione contrastante con le indicazioni ed il giudizio del professionista attestatore.13. Ritiene il Collegio che una corretta configurazione dei margini di intervento del giudice sotto il profilo or ora evi-denziato presuppone la preventiva individuazione della causa concreta del procedimento di concordato sottopo-sto al suo esame, il che equivale a dire l’accertamento del-le modalità attraverso le quali, per effetto ed in attuazio-ne della proposta del debitore, le parti dovrebbero in via ipotetica realizzare la composizione dei rispettivi interessi.In proposito non sembra inutile premettere, in via gene-rale, che, come si desume dalle recenti modifiche della

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OSSERVATORIOdisciplina del concordato (fra le quali particolarmente si-gnificative quelle concernenti la libertà delle forme, il ri-dimensionamento del ruolo del giudice, l’accentuazione degli aspetti negoziali) e dalle connesse relazioni di ac-compagnamento, un primo obiettivo di fondo perseguito dal legislatore è univocamente e incontestabilmente in-dividuabile nel superamento dello stato di crisi dell’im-prenditore, obiettivo ritenuto meritevole di tutela sotto il duplice aspetto dell’interpretazione della crisi come uno dei possibili e fisiologici esiti della sua attività e della ravvi-sata opportunità di privilegiare soluzioni di composizione idonee a favorire, per quanto possibile, la conservazione dei valori aziendali, altrimenti destinati ad un inevitabile quanto inutile depauperamento.Ne consegue dunque che la proposta di concordato deve necessariamente avere ad oggetto la regolazione della cri-si, la quale a sua volta può assumere concretezza soltanto attraverso le indicazioni delle modalità di soddisfacimento dei crediti (in esse comprese quindi le relative percentuali ed i tempi di adempimento), rispetto alla quale la relati-va valutazione (sotto i diversi aspetti della verosimiglianza dell’esito e della sua convenienza) è rimesso al giudizio dei creditori, in quanto diretti interessati.13.1 - La detta valutazione, tuttavìa, perchè venga espres-sa correttamente e determini il giusto esito della instau-rata procedura concordatizia, presuppone che i creditori ricevano una puntuale informazione circa i dati, le veri-fiche interne e le connesse valutazioni, incombenti che assumono un ruolo centrale nello svolgimento della pro-cedura in questione ed al cui soddisfacimento sono per l’appunto deputati a provvedere dapprima il professioni-sta attestatore (rispetto al quale il citato D.L. n.83, oltre a sottolinearne la necessaria indipendenza, ha introdotto pesanti sanzioni nel caso di falsità nelle attestazioni o nel-le relazioni), in funzione dell’ammissibilità al concordato (L.F., art.161), e quindi il commissario giudiziale prima dell’adunanza per il voto (L.F., art.172).13.2 - Se il Legislatore ha dunque incontestabilmente va-lorizzato l’elemento negoziale sotto l’aspetto sopra indi-cato nella procedura oggetto di esame, è pur vero che, come precedentemente già evidenziato, non si è curato di cancellare tutti gli aspetti pubblicistici che caratterizzava-no la procedura prima della riforma, dato questo che non può essere interpretato come casuale, e ciò sotto il dupli-ce profilo del numero di interventi effettuati (circostanza questa che, ove si fosse voluto, avrebbe reso agevole una più radicale riforma) e della significativa rilevanza degli in-teressi sostanziali ancora ritenuti meritevoli di tutela.Si intende cioè fare in particolare riferimento alle forti li-mitazioni e compressioni che il creditore finisce per subi-re per effetto del procedimento di concordato, vedendo vanificato il suo diritto di azione pur costituzionalmente garantito e assistendo alla formalizzazione di una limita-zione del suo credito, per effetto di maggioranze ipoteti-camente non condivise formatesi sul punto.Una limitazione così significativa, dunque, determinata da un’avvertita esigenza di bilanciamento con le sopra richia-

mate esigenze di agevolazione dell’imprenditore nell’usci-re dallo stato di crisi, può trovare concreta giustificazione - al di là della condivisione o meno nel merito dell’opzione effettuata - soltanto ove ricorrano le due seguenti condi-zioni: a) che lo svolgimento del procedimento avvenga nel rispetto delle indicazioni del legislatore, vale a dire con-sentendo ai creditori, dapprima, di votare avendo cono-scenza (o avendo avuto modo di conoscere) di tutti i dati a tal fine necessari e, quindi, di esprimere le eventuali ri-serve nel giudizio di omologazione; b) che la conseguente definizione si realizzi con il raggiungimento della duplice finalità perseguita con l’instaurazione della detta proce-dura, consistenti nel superamento della situazione di crisi dell’imprenditore (che comunque in tal modo così defini-sce la sua parentesi commerciale negativa), da una parte, e nel riconoscimento in favore dei creditori di una sia pur minimale consistenza del credito da essi vantato in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti (significativo in tal senso la L.F., art.181, che stabilisce un breve termine di definizione suscettibile di una sola proroga), dall’altra.Il compito di tutela della legalità del procedimento è all’e-videnza demandato al giudice per il ruolo istituzionale svolto, oltre che per i diversi espliciti richiami in tal senso risultanti dal vigente testo normativo (segnatamente L.F., art.162, co.2, art.173, art.180, co.3).14. Ne consegue, venendo al concreto, che il margine di sindacato del giudice sulla fattibilità del piano va stabilito, in via generale, in ragione del contenuto della proposta e quindi della identificazione della causa concreta del pro-cedimento nel senso sopra richiamato.Peraltro, poichè come detto il Legislatore non ha imposto aprioristiche predeterminazioni in proposito, ne discende che non è possibile stabilire con una previsione generale ed astratta i margini di intervento del giudice in ordine alla fattibilità del concordato, dovendosi a tal fine tener conto delle concrete modalità proposte dal debitore per la com-posizione della propria esposizione debitoria.Avendo poi più specifico riguardo al concordato con ces-sione dei beni, che interessa in questa sede, il controllo va effettuato sia verificando l’idoneità della documentazione prodotta (per la sua completezza e regolarità) a corrispon-dere alla funzione che le è propria, consistente nel fornire elementi di giudizio ai creditori (in tal senso la consolidata giurisprudenza di questa Corte, e segnatamente C. 11/3586, C. 10/21860, C. 09/22927), sia accertando la fattibilità giu-ridica della proposta (si pensi, a titolo esemplificativo, alla cessione di beni altrui), sia infine valutando l’effettiva ido-neità di quest’ultima ad assicurare il soddisfacimento della causa della procedura come sopra delineata.14.1 - Rientra dunque certamente, nell’ambito del detto controllo, una delibazione in ordine alla correttezza del-le argomentazioni svolte e delle motivazioni addotte dal professionista a sostegno del formulato giudizio di fatti-bilità del piano, così come analogamente deve dirsi per quanto concerne la coerenza complessiva delle conclu-sioni finali prospettate (si pensi ad esempio ad un giudi-zio di fattibilità ancorato ad un complesso di dati, la cui

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OSSERVATORIOsommatoria deponesse viceversa in favore di conclusioni di segno opposto) ovvero l’impossibilità giuridica di dare esecuzione (sia pure parziale) alla proposta di concordato (si pensi ancora, ad esempio, alla programmata cessione di beni di proprietà altrui), ovvero la rilevazione del dato, se emergente “prima facie”, da cui poter desumere l’i-nidoneità della proposta a soddisfare in qualche misura i diversi crediti rappresentati, nel rispetto dei termini di adempimento previsti.Su quest’ultimo punto in particolare giova evidenziare come la limitazione del diritto dei creditori e la lievita-zione dei costi di gestione per effetto del protrarsi della procedura trovi un fisiologico bilanciamento nella previ-sione di un ristretto termine di durata della procedura (la L.F., art.181, prevede infatti che l’omologazione del con-cordato debba intervenire nel termine di sei mesi, proro-gabile una sola volta), mentre la L.F., art.137, richiamato dall’art.186 L.F. in tema di risoluzione, stabilisce che il re-lativo ricorso deve proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto nel concordato.Ne consegue la rilevanza del profilo relativo ai tempi di adempimento indicati dal debitore nella proposta e l’in-cidenza di detto aspetto sulla valutazione di quest’ultima nei suoi termini complessivi e quindi, per la parte di spe-cifico interesse, sul giudizio di fattibilità del concordato.14.2 - Altrettanto certamente, al contrario, non rientra nell’ambito del controllo sul giudizio di fattibilità eserci-tabile dal giudice un sindacato sull’aspetto pratico - eco-nomico della proposta, e quindi sulla correttezza della indicazione della misura di soddisfacimento percentuale offerta dal debitore ai creditori.La causa della procedura di concordato sopra richiamata esclude infatti che l’indicazione di una percentuale di sod-disfacimento dei creditori da parte del debitore possa in qualche modo incidere sull’ammissione del concordato e d’altro canto, come questa Corte ha pure avuto modo di precisare con recente decisione, quando si tratti di propo-sta concordatizia con cessione dei beni la percentuale di pagamento eventualmente prospettata non è vincolante, non essendo prescritta da alcuna disposizione la relativa allegazione ed essendo al contrario sufficiente “l’impegno a mettere a disposizione dei creditori i beni dell’impren-ditore liberi da vincoli ignoti che ne impediscano la liqui-dazione o ne alterino apprezzabilmente il valore”, salva l’assunzione di una specifica obbligazione in tal senso (C. 11/13817).D’altro canto, a voler ragionare diversamente (e cioè a ri-tenere sindacabile dal giudice la percentuale di soddisfaci-mento del credito indicata) si verrebbe a determinare una sottrazione ai creditori della valutazione circa la fattibilità della proposta di concordato, e ciò in contrasto con l’in-tenzione del legislatore, oltre che con il contenuto delle modifiche dallo stesso apportate.Deve dunque concludersi, su questo punto, che i desti-natari della proposta di concordato sono i creditori; che ad essi soltanto, pertanto, spetta formulare un giudizio

in ordine alla convenienza economica della soluzione prospettata, che a sua volta presuppone una valutazione prognostica in ordine alla fattibilità del piano; che conse-guentemente a quest’ultima valutazione resta del tutto estraneo il giudice, nelle varie fasi in cui è potenzialmente chiamato ad intervenire (L.F., artt. 162, 173 e 180).15. Tale conclusione, per vero, era stata già rappresenta-ta in precedenti decisioni di questa Corte (segnatamente C. 11/3586, C. 10/21860, C. 09/22927), rispetto alle quali erano stati talvolta sollevati rilievi critici sulla base di con-siderazioni di vario tenore, essenzialmente consistenti: nell’obbligo di verifica, da parte del giudice, in ordine alla completezza ed alla regolarità della documentazione ai fini dell’ammissione alla procedura di concordato (L.F., art.163); nella possibilità, per il tribunale, di concedere al debitore un termine per integrazioni del piano e produzio-ne di nuovi documenti, potere sintomatico dell’assegna-zione di un ruolo potenzialmente critico e al contempo propulsivo attribuito al riguardo; nella incongruenza di una disciplina per la quale si autorizzerebbe la prosecu-zione di una procedura pur a fronte di un prevedibile esito negativo, e ciò in contrasto con un elementare principio di economicità; nella inadeguatezza di un modulo pro-cedimentale, che da una parte richiede la presenza di un giudice in funzione di controllo e dall’altra ne limiterebbe significativamente, fino ad annullarlo, l’effettivo potere di intervento; nella sottovalutazione del dato che il giudice sarebbe comunque “peritus peritorum”, sicchè sarebbe irragionevole precludergli una possibilità di sindacato in ordine alle stime effettuate dal professionista di cui alla L.F., art.161.15.1 - Ad avviso del Collegio i detti rilievi tuttavia, pur evi-denziando aspetti critici dell’attuale disciplinà, non colgo-no nel segno.Ed infatti non è innanzitutto condivisibile la premessa che implicitamente presuppone la formulazione dei detti ri-lievi, premessa consistente nel sostanziale svuotamento della funzione istituzionalmente attribuita al giudice che si verrebbe a determinare, ove si ritenesse che questo fos-se privato del potere di sindacato in ordine alla fattibilità del piano.Si è invero già precedentemente precisato in proposito che la procedura di concordato preventivo ha una natura mista, essendo da una parte basata su una previsione di accordo fra le parti, raggiungibile attraverso la prospetta-zione di una proposta, ma trovando attuazione il detto ac-cordo nell’ambito di una procedura che valga ad assicura-re la puntuale indicazione dei dati da parte del debitore, la corretta manifestazione di volontà da parte dei creditori, l’assenza di atti di frode o comunque illecitamente posti in essere dall’imprenditore.In questo quadro è evidentemente rimessa ai creditori la valutazione in ordine alla convenienza economica della proposta, mentre spetta al tribunale il compito di con-trollare la corretta proposizione ed il regolare andamento della procedura, presupposto indispensabile al fine della garanzia della corretta formazione del consenso.

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OSSERVATORIONon è dunque certamente marginale il ruolo assegnato dal legislatore al tribunale ove si consideri che, pur nel-la valorizzazione dell’elemento negoziale che ha inciso in termini restrittivi e limitativi sui poteri precedentemente attribuiti all’organo giudiziario: l’efficacia del relativo ac-cordo, una volta concluso, è comunque subordinata ad un intervento del giudice, cui spetta verificare “la regolarità della procedura e l’esito della votazione” (art.180, co.3); il Tribunale è titolare di un potere di revoca dell’ammissione al concordato durante l’arco della procedura, ricorrendo le condizioni normativamente previste (L.F., art.173); ai fini della dichiarazione di ammissibilità della proposta al tribunale è conferito al giudice il compito di esaminare cri-ticamente la relazione del professionista che accompagna il piano indicato dall’imprenditore e la documentazione da questi prodotta, consentendogli anche di richiedere in-tegrazioni di contenuto e documentali (L.F., art.162).Tuttavia lo sbilanciamento in favore dell’elemento nego-ziale del nuovo procedimento di concordato, rispetto a quello risultante dalla precedente normativa, determina necessariamente una diversa perimetrazione dei poteri di intervento del giudice che, deputato a garantire il rispetto della legalità nello svolgimento della procedura, deve cer-tamente esercitare sulla relazione del professionista atte-statore un controllo concernente la congruità e la logicità della motivazione, anche sotto il profilo del collegamento effettivo fra i dati riscontrati ed il conseguente giudizio.Peraltro è altrettanto certo che, proprio in ragione della diversità del ruolo del giudice cui si è sopra fatto cenno, questi non può esercitare un controllo sulla prognosi di realizzabilità dell’attivo nei termini indicati dall’imprendi-tore, esulando detta prognosi dalla causa del concordato come precedentemente delineata ed essendo la stessa rimessa alla valutazione dei creditori quali diretti inte-ressati, una volta assicurata la corretta trasmissione dei dati ed acquisite le indicazioni del commissario giudiziale, nell’esercizio delle funzioni di controllo e di consulenza da lui svolte nella veste di ausiliario del giudice.15.2 - Quanto infine ai più specifici rilievi concernenti l’ob-bligo di verifica della regolarità della documentazione, la facoltà di richiedere integrazioni al debitore (innovazione introdotta con il D.Lgs. n.169/07) ed il preteso rapporto di subordinazione funzionale del professionista rispetto al giudice, è sufficiente considerare, sul primo punto, che l’obbligo di verifica ben può essere soddisfatto controllan-do la completezza dei dati, la logicità delle argomentazioni svolte, la congruità delle conclusioni con i profili in fatto oggetto di esame; sul secondo, che la detta facoltà non contrasta con il dovere di controllo della legalità attribuito al giudice e non implica in alcun modo che da ciò debba necessariamente discendere il riconoscimento di un po-tere di controllo di merito; sul terzo, che non appaiono correttamente evocati nel caso di specie principi fissati nel codice di rito e destinati ad operare all’interno del proces-so civile.16. Ulteriore questione che si potrebbe astrattamente porre, e che si sarebbe comunque posta nel caso in esame

ove il ricorso fosse stato ritenuto ammissibile, riguarda la definizione dell’ambito dei poteri del giudice nei tre diver-si momenti di ammissibilità, revoca e omologazione del concordato, e più precisamente lo stabilire se sia o meno configurabile una identità di posizione da parte sua - e pertanto l’utilizzabilità di un medesimo parametro valuta-tivo - nelle differenti fasi sopra indicate, quesito al quale il Collegio ritiene di dover dare risposta positiva.Ed infatti, per quanto concerne il rapporto fra gli artt.162 e 163 (rispettivamente inammissibilità della domanda e ammissione alla procedura) e l’art.173 (revoca dell’am-missione), l’identità del dato testuale (inammissibilità - ammissione e revoca dell’ammissione), l’elencazione delle ipotesi specificamente delineate nell’art.173 (che richiama sostanzialmente atti di frode, il cui esame rien-tra nell’ambito dei controlli esercitati dal giudice ai sensi dei citati artt.162 e 163), il riferimento al venir meno delle “condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato” contenuto nell’art.173, u.c., sorreggono la conclusione sopra formulata. Analogamente deve poi dirsi per quanto concerne il rapporto fra gli articoli sopra indicati e l’art. 180 in tema di giudizio di omologazione, e ciò per i se-guenti concorrenti motivi: nel caso di mancanza di oppo-sizioni, non è demandato al tribunale alcun accertamento o compito peculiare; la verifica in ordine alla regolarità della procedura, il cui obbligo è richiamato nel terzo com-ma dell’articolo citato, deve ragionevolmente essere re-alizzata con la verifica del fatto che anche nel prosieguo della procedura non siano venuti meno quei presupposti la cui mancanza iniziale non avrebbe consentito l’accesso alla procedura; la specifica determinazione dei poteri del giudice va effettuata in considerazione del ruolo a lui attri-buito in funzione dell’effettivo perseguimento della causa del procedimento, ruolo che rimane identico nei diversi momenti ora considerati.17. La valorizzazione poi del dato relativo alla possibilità per il Tribunale di disporre di ufficio mezzi istruttori, nel caso di opposizioni proposte nel giudizio di omologazio-ne (dato interpretato da taluno come ulteriore conferma di un significativo ruolo non solo di controllo, ma anche dinamico e propositivo, conferito al giudice nell’ambito della delibazione della proposta concordataria), non co-glie nel segno.Il potere di integrazione dei mezzi istruttori, fra l’altro non infrequentemente riconosciuto dal legislatore nell’ambito processuale per l’assoluta priorità attribuita alla finalità di giustìzia che il processo è fisiologicamente deputato a realizzare (significativi in tal senso, a tìtolo puramente esemplificativo l’art.507 c.p.p., e art.281-ter c.p.c., che prevedono la possibilità di assumere prove di ufficio nel corso del dibattimento penale e del processo civile), è in-fatti riconducibile, oltre che all’adozione del modello dei procedimenti camerali, alla rilevanza pubblicistica rico-nosciuta alla procedura di concordato, che in quanto tale giustifica un più penetrante controllo del giudice rispetto all’ordinario proprio in vista dell’esigenza di realizzazione dell’interesse pubblico ad essa sotteso, e fa comunque

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OSSERVATORIOescludere che tale facoltà possa essere interpretata come espressione di un potere di sindacato da parte del giu-dice, in relazione al contenuto della proposta formulata dall’imprenditore ai creditori.18. Anche le disposizioni contenute nel D.L. n.83/12, (art.33), in tema di revisione della legge fallimentare fina-lizzata a favorire la continuità aziendale, sono state talvol-ta interpretate nel senso della conferma di un ruolo pro-positivo del tribunale nell’ambito della valutazione della proposta di concordato, ruolo che mal si concilierebbe con i poteri asseritamente limitati che sarebbero conferiti al giudice ove si ritenesse, conformemente a quanto sino-ra sostenuto, che il controllo del giudice fosse circoscritto ai profili concernenti la legalità, con esclusione quindi di ogni riflesso attinente il merito della proposta.In senso contrario deporrebbero infatti la L.F., art.161, co.7, che, nell’ipotesi di presentazione del ricorso per concordato con riserva di successivo deposito della pro-posta, del piano e dei documenti, legittima il debitore a compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione “previa autorizzazione del tribunale, il quale può assume-re sommarie informazioni”; l’art.169-bis, che prevede la possibilità di sospensione dei contratti in corso, nonchè quella del relativo scioglimento subordinatamente all’au-torizzazione del giudice; la modifica apportata all’art.180, co.4, per la quale il giudizio di convenienza del concordato da parte del tribunale, originariamente stabilito soltanto nel caso di contestazione sul punto da parte di un cre-ditore appartenente ad una classe dissenziente, è stato esteso anche nel caso di mancata formazione di classi, a fronte di contestazioni di creditori rappresentanti il venti per cento dei crediti ammessi al voto; l’art.182-quinquies, che prevede la possibilità per l’imprenditore di ottenere finanziamenti prededucibili o di pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se a ciò autorizzato dal tribunale sulla base di attestazione di professionista de-ponente nel senso della essenzialità delle misure per la prosecuzione dell’attività e della migliore soddisfazione dei creditori; l’art.186-bis, disciplinante il concordato con continuità aziendale, il cui presupposto è individuato nel giudizio di idoneità della procedura a realizzare il miglior soddisfacimento dei creditori, secondo quanto attestato con relazione da professionista, e che conferisce al tribu-nale un potere di intervento anche nel corso della proce-dura ai sensi della L.F., art.173, ove constatata la cessazio-ne dell’attività di impresa ovvero ritenuta manifestamente dannosa per i creditori la sua continuazione.18.1 - Anche le sopra richiamate innovazioni normative, tuttavia, ad avviso del Collegio non valgono a modificare le già rappresentate conclusioni.Innanzitutto è utile ricordare in proposito la modifica ap-portata alla L.F., art.179, al quale è stato aggiunto un com-ma, che segnatamente recita “Quando il commissario rile-va, dopo l’approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne da avviso ai credito-ri, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all’udienza di cui all’art.180 per modificare il voto”.

Il dettato normativo, nel caso di specie chiarissimo sul punto, esclude dunque incontestabilmente che il tribuna-le debba avere notizia dell’eventuale mutamento registra-to in ordine alle condizioni di fattibilità, il che lascia impli-citamente intendere che l’organo giudiziario non dovesse essersene occupato prima, solo così potendosi giustificare la sua indifferenza, rispetto a mutamento di dati altrimen-ti potenzialmente rilevanti.18.2 - Quanto agli altri aspetti sopra indicati, non è con-testabile il fatto che le innovazioni in questione abbiano potenziato l’area di intervento dell’organo giudiziario, ma non pare che detto potenziamento possa in alcun modo incidere sul fisiologico ruolo del giudice, quale allo stato designato nell’ambito della procedura di concordato.Alcune misure appaiono infatti all’evidenza riconducibili alla disposta anticipazione degli effetti del concordato alla data del deposito del ricorso (autorizzazione del debito-re al compimento di atti urgenti di straordinaria ammini-strazione, con il riconoscimento della prededucibilita ai crediti da essi derivanti), altre alla nuova configurazione del concordato con continuità aziendale (subordinazione della continuità, sia dei contratti in corso che dell’attività, all’interesse dei creditori), altre infine all’intento di favori-re quanto più possibile la soluzione concordatizia rispetto a quella liquidatoria (previsione della prededucibilità dei finanziamenti).Si tratta dunque di ipotesi tutte caratterizzate dalla ne-cessità di un intervento urgente, finalizzato a dare corso alla possibilità di accesso alla procedura, circostanza in cui l’assenza momentanea di tutti i controlli altrimenti previ-sti impone necessariamente l’intervento di un organo ter-zo in funzione di garanzia dei creditori, organo terzo che per le funzioni svolte nell’ambito della procedura non può non coincidere con quello giudiziario.La stessa modifica dell’art.180, laddove è ampliata la competenza del tribunale in tema di valutazione di con-venienza della procedura (configurata laddove i creditori dissenzienti rappresentino il 20% dei crediti ammessi al voto), non sembra possa trovare ragionevole fondamento nell’intento di ampliare i margini di intervento del giudice nell’ambito della procedura in questione, ma appare piut-tosto un bilanciamento in favore del ceto creditorio, de-terminato dalla modifica apportata alla L.F., art.178, co.4, che, contrapponendosi alla disciplina previgente, ha in-trodotto il principio del silenzio assenso nello svolgimento delle operazioni di voto.19. Conclusivamente, prendendo in esame gli aspetti che per la loro particolare delicatezza hanno dato luogo alla proposta di rimessione della controversia a queste sezioni unite, sembra possa essere correttamente affermato che: a) è irrilevante, nell’economia della proposta concorda-taria e della sua fattibilità economica, l’indicazione della prevedibile misura di soddisfacimento dei creditori; b) il sindacato del giudice in ordine al requisito di fattibili-tà giuridica del concordato deve essere esercitato sotto il duplice aspetto del controllo di legalità sui singoli atti in cui si articola la procedura e della verifica della loro ri-

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OSSERVATORIOspondenza alla causa del detto procedimento nel senso sopra delineato, mentre non può essere esteso ai profili concernenti il merito e la convenienza della proposta; c) agli eventuali difetti di informazione circa le condizioni di fattibilità del piano consegue il rigetto della domanda. Tuttavia, ove espresso da parte dei creditori un giudizio positivo in ordine alla fattibilità del piano e mutate le con-dizioni rappresentate rispetto alle previsioni originarie per eventi non riconducibili a dolose o colpose omissio-ni del debitore, soccorre l’intervenuta modifica della L.F., art.179, che impone al commissario giudiziale la comuni-cazione del relativo avviso ai creditori, ai fini di una loro eventuale costituzione nel giudizio di omologa per l’even-tuale modifica del voto precedentemente espresso.Infine, quanto all’esito dei due ricorsi oggetto di esame, deve essere rigettato quello contro la dichiarazione di fal-limento (R.G. n.5383/11), mentre va dichiarato inammis-sibile il ricorso avverso il decreto di rigetto del reclamo contro il diniego di omologa del concordato preventivo (R.G. n.25898/09), con l’enunciazione del principio di di-ritto formulato in dispositivo.Le spese processuali del giudizio di legittimità devono es-sere da ultimo liquidate secondo il criterio della soccom-benza e quantificate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.Riunisce i ricorsi nn.25898/09 e 5383/11, rigetta il ricorso contro la dichiarazione di fallimento, dichiara inammissi-

bile quello avverso il rigetto del reclamo contro il diniego di omologa del concordato ed enuncia il seguente princi-pio di diritto “Il giudice ha il dovere di esercitare il control-lo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, non restando questo escluso dalla attestazio-ne del professionista, mentre resta riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del pia-no ed i rischi inerenti; il controllo di legittimità del giudice si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo; il controllo di legittimità si attua verificando l’effettiva realizzabilità della causa concreta della proce-dura di concordato; quest’ultima, da intendere come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel genera-le quadro di riferimento, finalizzato al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore, da un lato, e all’assi-curazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro”.Condanna la ricorrente al pagamento delle spese proces-suali, liquidate in €3.800, di cui €3.600 a titolo di compen-so, per ciascuna delle parti costituite, oltre agli accessori di legge.Così deciso in Roma, il 20 novembre 2012.Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2013