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Bimestrale di diritto tributario

In questo numero:

Il conflitto tra capacità contributiva ed equilibrio finanziario dello Stato Enrico De Mita

“Qual vaghezza...?”: considerazioni sui presupposti dell’interpello “qualificatorio” Guglielmo Fransoni

La nuova disciplina degli effetti penali dell’estinzione del debito tributario Giuseppe Melis

I contributi alle aziende di trasporto pubblico locale nell’IRAP: ambiguità normative e lapsus della giurisprudenza Leonardo Perrone

Brevi note sullo stato della giurisprudenza intorno all’art. 20 del T.U. registro Daniele Canè

I decreti delegati della riforma fiscale: passi avanti, qualche passo indietro e molte occasioni mancate Luigi Mazzillo

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P.I. S.p.A. - Sped. Abb. Post. D.L. n. 353/2003(conv. in L. 27/2/2004 n. 46) art. 1 co. 1, DCB Milano

Anno LVISSN 1590-749X

Luglio - Settembre

3/2016

Approfondimenti di diritto tributario

diretta da: Massimo Basilavecchia, Michele Cantillo, Eugenio della Valle, Adriano Di Pietro, Franco Fichera, Giovanni Flora, Guglielmo Fransoni, Franco Gallo, Oliviero Mazza,

Leonardo Perrone, Claudio Sacchetto, Livia Salvini, Salvatore Sammartino, Giuliano Tabet, Francesco Tesauro, Antonio Uricchio, Giuseppe Zizzo

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Trimestrale di diritto tributario diretto da:Massimo Basilavecchia, Michele Cantillo, Eugenio della Valle, Adriano Di Pie-tro,FrancoFichera,GiovanniFlora,GuglielmoFransoni,FrancoGallo,Olivie-roMazza, Leonardo Perrone, Claudio Sacchetto, Livia Salvini, Salvatore Sam-martino,GiulianoTabet, FrancescoTesauro,AntonioUricchio,GiuseppeZizzo

Fondatore di Rassegna Tributaria: Luigi Pietrantonio - Direttore responsabile: Giulietta LemmiRedazione: Via Ostiense, 131/L - 00154 Roma

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Comitato per la valutazione

Andrea Amatucci - Fabrizio Amatucci - Mauro Beghin - Umberto Breccia - BeniaminoCaravita di Toritto - Andrea Carinci - Giuseppe Maria Cipolla - Silvia Cipollina -Andrea Colli Vignarelli - Luigi Paolo Comoglio - Daria Coppa - Roberto CordeiroGuerra - Lorenzo del Federico - Giacinto della Cananea –Gaspare Falsitta - AugustoFantozzi -AndreaFedele -Valerio Ficari -MariaCecilia Fregni -GianfrancoGaffuri -Alessandro Giovannini - Daniel Gutman - Salvatore La Rosa - Maurizio Logozzo -Francesco Paolo Luiso - CorradoMagnani - Enrico Marello - Giuseppe Marini - GianniMarongiu - Giuseppe Melis - Maurizio Sebastiano Messina - Marco Miccinesi -Salvatore Muleo - Salvatore Muscarà - Mario Nussi - Franco Paparella - RaffaelePerrone Capano - Franco Picciaredda - Francesco Pistolesi - Enrico Potito - GiovanniPuoti - Tulio Rosembuj - Roberto Schiavolin - Giuliana Scognamiglio - GiuseppeTinelli - Loris Tosi - Edoardo Traversa - Victor Uckmar - Marco Versiglioni

Regolamento di Autodisciplina di Rassegna Tributaria

La pubblicazione dei contributi della sezione “Dottrina” e della sezione “Profiliistituzionali” è subordinata a due livelli di valutazione da parte della Direzione dellaRassegna e del Comitato per la ValutazioneIl Comitato per la Valutazione è formato da almeno 12 membri, individuati dallaDirezione fra professori ordinari di ruolo o fuori ruolo, indicati in un elenco periodi-camente aggiornato. Il numero dei revisori può essere aumentato fino a 36.I contributi devono essere previamente inviati allaRedazione diRassegna che provvedea trasmetterli ai Direttori anche in forma digitale.Il contributo approvato collegialmente dalla Direzione è sottoposto, in forma anonima,al giudizio di un membro del Comitato per la Valutazione designato a rotazione sullabase delle specifiche competenze in relazione all’argomentodel contributo. Il giudizio ècomunicato entro15giorni.La valutazionepuòessere positiva, negativao subordinata aulteriori interventi da parte degli autori. In quest’ultimo caso, l’autore è tempestiva-mente informato delle indicazioni formulate e degli interventi suggeriti e provvedeall’ulteriore elaborazione; la Direzione, a sua volta, valutata la significatività dell’ulte-riore elaborazione, decide in ordine alla pubblicazione.NelColophondi ciascun numerodiRassegna sono indicati imembri delComitato per laValutazione.Nell’indice di ogni numero diRassegna, i contributi pubblicati a seguito diuna valutazione positiva sono contrassegnati da un asterisco.Ferma restando comunque l’approvazione collegiale della Direzione, possono esserepubblicati contributi che non siano stati sottoposti al giudizio del Comitato per laValutazione entro il limite del 40%.

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INDICE

DOTTRINA

Enrico DeMita - Il conflitto tra capacità contributiva ed equi-librio finanziario dello Stato ..................................................... 563

Guglielmo Fransoni - “Qual vaghezza...?”: considerazioni suipresupposti dell’interpello “qualificatorio”............................... 570

Giuseppe Melis - La nuova disciplina degli effetti penali del-l’estinzione del debito tributario ................................................ 589

Leonardo Perrone - I contributi alle aziende di trasportopubblico locale nell’IRAP: ambiguità normative e lapsus dellagiurisprudenza ............................................................................ 634

Daniele Canè - Brevi note sullo stato della giurisprudenzaintorno all’art. 20 del T.U. registro ............................................. 649

Alessandro Vicini Ronchetti - Regole europee ed incentivifiscali allo sviluppo dei brevetti: prime considerazioni sullaPatent Box .................................................................................... 671

PROFILI ISTITUZIONALI

Luigi Mazzillo - I decreti delegati della riforma fiscale: passiavanti, qualche passo indietro e molte occasioni mancate ....... 701

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GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

Paolo De Quattro - Ricorribilità dell’ingiunzione fiscalee giurisdizione delle Commissioni tributarie ........................... 719

[CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Unite, sentenza n. 29 del5 gennaio 2016, Pres. Rovelli, Rel. Di Palma] .......................... 719

Santa De Marco - L’interpretazione del limite soggettivonell’IVA di gruppo: considerazioni a margine di Cass. SS.UU.n. 1915/2016 ............................................................................... 736

[CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Unite, sentenza n. 1915 del2 febbraio 2016, Pres. Rovelli - Est. Cappabianca] ...................... 736

GIURISPRUDENZA PENALE TRIBUTARIA

Luca Magnanini - L’attenuante del pagamento del debito tri-butario mediante rateizzazione: orientamenti giurispruden-ziali e profili di incostituzionalità ............................................. 761

[CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, sentenza n. 1355del 15 gennaio 2016, Pres. Franco - Est. Di Stasi] ....................... 757

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GIURISPRUDENZA DELLE CORTI EUROPEE

Alberto Franco - Brevi note su aiuti di Stato e selettivitàmateriale alla luce della recente sentenza della Corte diGiustiziaUErelativaallaprescrizionebreveper reati inmateriadi IVA ........................................................................................... 793

[CORTE DI GIUSTIZIA UE, Grande Sezione, causa C-105/14dell’8 settembre 2015 - Pres. V. Skouris - Rel. M. Berger]............. 779

Elisa Midassi - Costruzione artificiosa ai fini IVA e circola-zione interna delle prove............................................................. 804

Carmine Marrazzo - Costruzione artificiosa ai fini IVAe obbligo di cooperazione europea............................................. 817

[CORTE DI GIUSTIZIA UE, Terza Sezione, causa C-419/14 del17 dicembre 2015 - Pres. K. Lenaerts - Rel. E. Jarašiūnas] .......... 804

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Il conflitto tra capacità contributiva ed equilibriofinanziario dello Stato*

Enrico De Mita

Estratto:Lagiurisprudenzacostituzionale.LaCostituzionecome tuttounitario.Laspesa pubblica. Necessità di un tetto. L’emergenza economica e l’equilibrio dibilancio. Effetti delle sentenze di accoglimento. Retroattività e limiti. Fini politicie motivazioni delle sentenze della Corte. Rapporti con altri poteri dello Stato. Irapporti con l’esecutivo.

Abstract: The constitutional case law. The Constitution as a unified whole.Government expenditure. The need for an expenditure ceiling. Fiscal imbalancesand the equilibrium of the public sector balance. Effects of the court rulings ofacceptance. Retroactivity and limits. Political goals and motivations of theConstitutional court rulings. Relationships with the other State powers.Relationships with the executive power.

SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. L’emergenza economica e il rispetto dei principicostituzionali (ivi compreso quello di capacità contributiva) - 3. La politica e ildiritto: il Parlamento di fronte ai principi costituzionali e la Corte delle leggi alleprese con questioni di sostenibile gestione economica e politica.

1. Introduzione -Quandoscrissi che lagiurisprudenzacostituzionalepotevaintrodurre elementi di razionalità, nel sistema tributario AntonioBerlirimiinviò una lettera nella quale mi ammoniva che la Corte non fa teoria marisolvesoloproblemipratici.EdEnricoAlloriodi fronteadunasentenzachecambiava scopertamente tipo di orientamento allo scopo di salvare lasopravvivenza delle Commissioni tributarie definì quella giurisprudenza“giurisprudenza necessitata”. Quasi sempre le sentenze della Corte sono“pro Fisco”, sono, cioè, orientate politicamente. Ma vi sono delle sentenzeche sono politiche nel senso pieno della parola, a tutela dell’interesse digoverno.

Tale è la recente sentenza (n. 10/2015) con la quale laCorte ha affrontatoin termini di pareggio di bilancio, una questione di equilibrio di bilanciodotandosi di uno strumento che vanifica del tutto la tutela dei diritti del

* Il presente articolo è destinato agli scritti in onore del Prof. Franco Gaffuri.

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contribuente. È una grossa novità non sorretta neppure dai precedenticitati. Quando fu dichiarata l’incostituzionalità dell’ILOR il Prof. Paladinnon si pose neppure il problema. La Corte ha dichiarato l’incostituzionalitàdellamaggioranza dell’IRES applicabile al settore petrolifero e dell’energia(art. 81, commi 16, 17, 18 del D.L. 1 12/2008 e successive modificazioni)perché viola gli artt. 3 e 53 Cost., sotto il profilo di capacità contributiva edella razionalità, per incongruità dei mezzi apprestati dal legislatore alloscopo di per sè legittimo perseguito. Ma la Corte nel dichiarare dettaincostituzionalitàha ritenutodiprendere inconsiderazione l’impattodeter-minato su altri principi costituzionali «al fine di valutare l’eventualenecessità di graduare gli effetti temporali della propria decisione sui rap-porti pendenti. La Costituzione va tutelata come un tutto unitario sicchébisogna evitare l’illimitata espansione di alcuni diritti che diventerebbero“tiranno” nei confronti di altre situazioni giuridiche tutelate costituzional-mente. L’applicazione retroattiva determinerebbe una grave violazionedell’equilibrio di bilancio ai sensi dell’art. 81 Cost. L’impatto macroecono-mico della restituzione dei contributi versati connessi alla dichiarazione diincostituzionalità dell’art. 81, D.L. n. 112/2008 determinerebbe uno squili-brio del bilancio dello Stato tale da determinare la necessità» di una “mano-vra finanziaria aggiuntiva”. Sicché la dichiarazione di incostituzionalitàdecorre dalla pubblicazione della sentenza.

La Corte, con una apparente esatta motivazione, non interpreta corret-tamente l’art. 81 Cost., anzi lo ignora del tutto limitandosi ad una valuta-zione gratuita sulla manovra aggiuntiva che non pare rientri nei suoicompiti. Era stato auspicato un tetto alle spese pubbliche, ma nella discus-sione parlamentare era stato sostituito il concetto di pareggio con quello diequilibrio fra entrate e spese. Un giudizio, quindi, che investe l’interaimpostazione del bilancio.

La sostituzione dell’espressione “pareggio di bilancio” con quella di“equilibrio” rappresenta l’intenzione del legislatore di consentire unaflessibilità nella gestione della finanza pubblica che altrimenti sarebbestata preclusa. Va ricordato l’art. 5 della Legge costituzionale n. 1/2002che alla lett. f) prevede “l’attribuzione presso le Camere, nel rispetto dellarelativa autonomia, di un organismo indipendente al quale attribuire com-piti di analisi e di verifica degli andamenti di finanza pubblica e di osserva-zione delle regole di bilancio”.

L’art. 5 citato regola dettagliatamente i criteri che debbono essereosservati e che escludono che la verifica di bilancio possa ridursi alla solaconsiderazione della entità di una imposta.

L’equilibrio di bilancio è un giudizio complessivo che investe, prima ditutto, la spesa e che è diretto, principalmente, al governo. Non può esserelimitato ad una sola voce, quella di una imposta, sia pure elevata, avulsa dauna valutazione complessiva su entrate e spese. Con un giudizio così limi-tato non si può dire che il timore di unamanovra aggiuntiva sia un giudizio

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sull’equilibrio di bilancio. C’è stata una sopravvalutazione della manovraaggiuntiva che non trova riscontro nelle valutazioni correnti sull’economia.

La prova dello squilibrio di bilancio non è stata raggiunta.Nellamotivazione della Corte l’entità della spesa che dovrebbe venire in

considerazione per prima non è rilevata. È arbitrario postulare una legge dibilancio in assenza di bilanci determinati e sconfinare nella demagogiaalludendo alle esigenze di solidarietà sociale con la violazione degli artt. 2e3dellaCostituzione.C’èdipiù: ledisposizionidi cui allaLeggen. 243/2012,operative a partire dall’esercizio relativo al 2014, quindi non vincolano ilgoverno nel 2013,ma nel 2014. Sarà la legge di bilancio ad indicare il valorecui deve corrispondere l’equilibrio per ciascuno degli anni del triennio diriferimento.

Ad una prima lettura della legge si può comunque notare che l’impiantodella riforma italianaproprioper la suanaturadinormanondettagliata,madi principio sembra raggiungere un apprezzabile equilibrio fra due esi-genze: quella di dimostrare tanto ai mercati quanto ai nostri partnerseuropei che la sostenibilitàdelle finanzepubbliche rappresentaunobiettivocondiviso; quella, dall’altra, di non irrigidire eccessivamente il “tessutoomogeneo” della nostra Costituzione. La Corte, invece, si è mossa con lamannaiaesi èdotatadiunostrumentoperversoched’ora innanzi faràvalereper ogni questione tributaria: se l’imposta controversa è di grossa entità laCorte negherà la retroattività se di piccola entità la concederà.

Con due recenti sentenze (n. 223/2012; n. 241/2012) la Corte avevaritenuto che neppure l’emergenza economica giustifica la violazione deiprincipi di costituzionalità. E l’emergenza economica è la preoccupazionedellaCorte quandoè venuta in soccorsodel governo, conargomenti chenonrientrano nelle sue funzioni.

Questa volta la politica rischia di travolgere la stessa funzione di equili-brio costituzionale della Corte che noi abbiamo sempre apprezzato.

Viviamo in tempi di esecutivo, ha scritto Gustavo Zagrebelsky.L’esecutivo vorrebbe tutto. Il legislativo e il giudiziario dovrebbero

essere nulla. La Corte si è adeguata.

2.L’emergenzaeconomicae il rispettodeiprincipi costituzionali (ivi compresoquello di capacità contributiva) - Le vicende che hanno accompagnato ladecisione della Corte sulle pensioni (n. 70/2015) sono numerose e com-plesse. Non è la singola questione che viene in considerazione, ma lafunzione stessa della Corte e i limiti che tale funzione incontra. Il che nonè di poco conto.

C’è la preoccupazione del governo perché deve reperire i fondi per larestituzione della parte di pensione non corrisposta. E di conseguenza lapreoccupazione degli operatori economici per l’andamento dell’economia.C’è il richiamo davvero preoccupante e puntuale dell’Europa. “LaCommissione sta aspettando la decisione del governo italiano per applicare

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la sentenza della Corte costituzionale e ne valuterà l’impatto che nondovrebbe avere effetti sull’impegno dell’Italia nell’ambito del patto distabilità. La sostenibilità di lungo periodo delle finanze pubbliche italianedovrebbe restarenelle priorità”. Il chenonpuòaver altro sensocheun invitoalgoverno italianoaneutralizzaregli effettidella sentenza.Qui ilproblemaèpiù grosso del tema specifico, perché si tratta di stabilire l’impatto dellaComunità europea sulla vita delle istituzioni italiane. Il governo dichiara:“stiamo pensando intensamente a misure che minimizzino l’impatto suiconti pubblici nel pieno rispetto della Corte”, ritenendo di spalmare ilrimborso nel tempo e modulando il valore dello stesso in modo inversa-mente proporzionale all’importo delle pensioni.

C’è la difficile situazione della Corte che per la prima volta è costretta asmentire dichiarazioni che non ha fatto (sentenza autoapplicativa senzabisogno di ricorso).

Con un comunicato ufficiale la Corte ha precisato che dalla pubblica-zione della sentenza gli interessati possono adottare le iniziative che riten-gono necessarie e gli organi politici devono adottare i provvedimenticonseguenti nella forma costituzionalmente corrente.

LaCortedeve ripensare forse lapropriagiurisprudenzasecondo laquale“neppure l’emergenza economica giustifica la violazione di principi e dellenorme costituzionali” (n. 223/2012; n. 24/2012).

La decisione (che richiederà una analisi più ampia) si fonda tutta suiprincipi costituzionali a tutela dei lavoratori.

Laparticolareprotezioneper il lavoratorenondevesussisteresoltantoalmomento del collocamento a riposo, ma “va costantemente assicurataanche nel prosieguo in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto dellamoneta.L’art. 36Cost. richiedeuncostanteadeguamentodel trattamentodiquiescenza alle retribuzioni del trattamento attivo”. È un principio conso-lidato che va dal 1979 in poi; la coerenza, e non la propria giurisprudenza, èun punto fermo della nostra Corte costituzionale. Il criterio di ragionevo-lezza circoscrive la discrezionalità del legislatore e vincola le sue scelteall’adozione di soluzioni coerenti con la Costituzione.

Ma ci sono altri principi nella Costituzione con i quali vanno coordinatiquelli relativi alla tutela dei lavoratori. C’è da chiedersi se la decisione dellaCorte violi l’equilibrio di bilancio posto dall’art. 81Cost. Comehadetto altrevolte la Corte, la Costituzione va tutelata come un tutto unitario, sicchébisogna evitare che alcuni diritti diventino “tiranno” nei confronti di situa-zioni giuridiche tutelate costituzionalmente.

Quando c’è conflitto fra i principi costituzionali vanno sacrificati quellimeno rilevanti. Ora non risulta, secondo la Corte, una violazione dell’equili-briodibilancio:“Ladisposizioneconcernente l’azzeramentodelmeccanismoperequativo, contenuta nell’art. 25 comma 24 del D.L. del 2011, si limita arichiamare genericamente la contingente situazione finanziaria, senza cheemerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze

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finanziarie sui diritti oggettodibilanciamento, nei cui confronti si effettuanointerventi così fortemente incisivi. Anche in sede di conversione non è datoriscontrare alcuna documentazione circa le attese maggiori entrate”.

Quindi la Corte non è stata disinvolta rispetto alle esigenze dell’e-quilibrio di bilancio. Va ricordato l’art. 5 della Legge costituzionalen. 1/2002 che alla lett. f) prevede l’“attribuzione presso le Camere, nelrispetto della relativa autonomia, di un organismo indipendente alquale sono attribuiti compiti di analisi di verifica degli andamenti difinanza pubblica e di osservazione delle regole di bilancio”. L’art. 5citato regola dettagliatamente i criteri che debbono essere osservati cheescludono che la verifica di bilancio possa ridursi alla sola considera-zione della entità di una spesa.

Non esistono argomenti per ridurre le pensioni da restituire se nonintroducendo correttivi che non alterino la sostanza dei rimborsi.

Ma il problema resta per il futuro. Bisognerebbe introdurre anchein Italia la prassi della Germania delle sentenze a termine: la Corteavverte il governo che esiste una situazione di incostituzionalità di unadisposizione di legge in materia di spese o in materia di imposte e loinvita a provvedere entro un determinato tempo.Decorso tale termine,senza che il governo abbia provveduto, la Corte dichiaral’incostituzionalità.

3. La politica e il diritto: il Parlamento di fronte ai principi costituzionali e laCorte delle leggi alle prese con questioni di sostenibile gestione economica epolitica -Per inquadrare correttamente nella giurisprudenza costituzionalela sentenza della Corte n. 70/2015 sul blocco della rivalutazione dellepensioni occorre partire da alcune considerazioni di carattere generalesulle quali ha richiamato l’attenzione Sabino Cassese nel suo originalelibro Dentro la Corte, Bologna, 2015.

Le questioni della Corte sono filtrate attraverso il diritto; non si affrontadirettamente il problema politico. LaCorte è davvero un organo giudiziarioche riconduce i conflitti politici o costituzionali ai criteri di razionalitàlogica, alla coerenza.

Molti casi hanno implicazioni politiche o costituiscono decisioni politi-che sia pure a seguito di analisi tecnico-giuridica e sulla base di elementi dirazionalità riconducibili alla ragionevolezza. La Corte “motiva ma nonspiega”. Ecco perché le sentenze della Corte difficilmente sono capitedall’esterno. E tuttavia il peso della Corte dipende dalla forza con la qualei poteri dello Stato la sorreggono. Tutte le sentenze della Corte sono fondatesul precedente. La sentenza n. 70/2015 è frutto di una concatenazione diprecedenti, di riferimenti a decisioni già prese, sicché non è agevole com-prendere il decisum che viene formulato alla fine della decisione.

Lo sforzo delle sentenze, la motivazione, è la dimostrazione della coe-renza della decisione con il precedente.

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Le sentenze vengono istruite sulla base di una collaborazione degliassistenti dei giudici che sono giudici e professionalmente tendono a nonvedere le questioni costituzionali e politiche.

I riferimenti al diritto comune sono fatti con l’adeguamento al “dirittovivente”, alla giurisprudenza dei giudici ordinari, il che può essere un limitealla impostazione in termini costituzionalmente rilevanti della questione.

Complessivamente si può dire che c’è una certa autoreferenzialità, cherende la Corte prigioniera di se stessa.

Le critiche alla sentenza n. 70/2015 sono di carattere esterno e riguar-dano il rapporto con gli altri poteri dello Stato. La motivazione è semplici-stica: la Corte non può fare cose riconducibili al potere politico. È una tesiche prova troppo.

Allora bisogna chiedersi (come disse il presidente Ambrosini nel 1992)che cosa ci stia a fare la Corte se non può stabilire i limiti che incontra ilParlamento nella sua discrezionalità politica, che pure è un altro puntofermo della giurisprudenza costituzionale: il Parlamento può fare tutto ciòche non viola la Costituzione.

La sentenza n. 70/2015 non può essere capita dall’esterno, se la critica ècosì radicale. La ragione è che la Corte non ha saputo spiegare in terminisemplici e chiari che non esisteva il vincolo di bilancio.

Nella sentenza n. 10/2015 il riferimento al principio di bilancio fu unmodo come un altro per giustificare la deroga alla retroattività della deci-sione presa.

La sentenza n. 70/2015 appare un po’ frettolosa, anche se, a parer mio,giuridicamente corretta.

Sta nascendo in Italia un orientamento che non solo critica la Corte,marischia di produrre, come osserva Cassese, un arretramento di due secolinella configurazione dei rapporti della Corte con gli altri poteri. Le Corticostituzionali esistono in quasi tutti i Paesi democratici a cominciare dallaCorte federale degliUSA. I limiti alla competenza delle Corti possono essereindagatidallacomparazionedegli orientamentidellediverseCorti e laCorteitaliana non è certo ultima nell’apprestare una giurisprudenza soddisfa-cente.Ma si sostiene che la Corte e tutti gli altri giudici in specie il TAR sonoun grosso impedimento alla responsabilità politica. Si critica “il peso sem-premaggiore che le decisioni delle varie branche della giurisdizione hannosull’attività di governo”.

E non si manca di rilevare che c’è un potere giudiziario anche inAmerica.

E in soccorso di tale disinvolta teoria viene aggiunto il corollario “ilmodo persecutorio in cui è stata esercitata l’azione penale”. Il che la dicelunga sui limiti auspicati delle diverse giurisdizioni.

Tornando alla sentenza n. 70/2015 essa è sostanzialmente corretta.Forse si poteva guadagnare tempoaspettandoche laCorte fosseal completoo ricorrere a qualche manipolazione con una sentenza additiva. Ma

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l’isolamento della Corte e l’aspirazione alla vanificazione della sua giuri-sprudenza, in nome del primato della politica, sono tentazioni pericolose.

Come ha osservato giustamente Gustavo Zagrebelsky, l’equilibrio dibilancio non deve diventare un automatico lasciapassare al libero arbitriodella politica. Il legislatore deve sempre tener presente “l’eguaglianza nellagiustizia”. Il riferimento ai conti conformi alla richiesta dell’Europa nondeve diventare una super norma costituzionale. Ma non c’è dubbio che ilrispetto degli accordi nella Comunità pone problemi che oggi sono risolticon accorgimenti sbrigativi, perché devono essere affrontati dagli Stati connormative che ancora non esistono. Ma all’esterno è stato rivendicato “ilprimatodellapolitica”. Sembradi sentireTogliatti quandononcapiva comeci potesse essere un altro organo dello Stato che fosse al di sopra delParlamento.

Ora la Corte non è al di sopra del Parlamento, ma giudica dellacostituzionalità delle leggi.

I rapporti tra poteri non possono essere configurati se non come cor-rettezza della propria competenza. E il Parlamento ha tutti gli strumentinella legge costituzionale per dimostrare la costituzionalità delle leggi dispesa.Semmai laCortepuòchiederealParlamentoeal governochiarimentisullequestionidubbie.Quidiventa rilevante il ruolodell’AvvocaturadiStatoche, difendendo la legge, ha l’onere di illustrare come essa non violi ilprincipio dell’equilibrio di bilancio.

ENRICO DE MITA

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“Qual vaghezza...?”: considerazioni sui presuppostidell’interpello “qualificatorio”

Guglielmo Fransoni

Estratto: Dimostrata l’insussistenza di ogni differenza fra “interpretare” e “quali-ficare”, si propone di individuare l’oggetto del c.d. interpello qualificatorio, nellasoluzione dei problemi determinati dalla vaghezza delle norme.

Abstract: Given the absence of any difference between “interpretation” and “qua-lification”, it isarguedthat thesubjectmatterof thesocalled “qualifying” taxruling isthe solution of the problems which are raised by the vagueness in law.

SOMMARIO: 1. Il problema dei presupposti dell’interpello “interpretativo” e diquello “qualificatorio” - 2. L’interpello qualificatorio come rimedio alle ipotesi di“vaghezza” normativa: a) alle origini della disposizione - 3. Segue: b) le diversenozioni di “vaghezza” - 4. Segue: c) Una precisazione in ordine alla vaghezza “darinvio” e alla vaghezza “socialmente tipica” - 5. La vaghezza rilevante quale presup-posto degli interpelli qualificatori - 6. Delimitazione in concreto dell’ambito diapplicazione dell’istituto - 7. Profili disciplinari.

1. Il problema dei presupposti dell’interpello “interpretativo” e di quello“qualificatorio” - L’art. 11, comma 1, lett. a) dello Statuto dei diritti delcontribuente - come novellato dall’art. 1 del D.Lgs. n. 156/2015 - prevedeche il contribuente possa proporre istanza di interpello in due diversesituazioni.

La prima è quella in cui oggetto dell’interpello è la “applicazione delledisposizioni tributarie, quando vi sono condizioni di obiettiva incertezzasulla corretta interpretazionedi tali disposizioni”. La secondaèquella in cuil’interpello riguarda la “corretta qualificazione di fattispecie alla luce delledisposizioni tributarie applicabili alle medesime e ricorrano condizioni diobiettiva incertezza”.

Le due ipotesi di interpello hanno quindi un elemento comune (che,almeno in apparenza, le distingue dalle altre forme di interpello e le acco-muna fra loro), ossia l’esistenza di una condizione di “dubbio”.

Più in particolare, argomentandodall’art. 5, comma1, del D.Lgs. n. 156/2015, tutti gli interpelli hanno ad oggetto una “questione”, ma differiscono

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fra loro in ragione del tipo di “questione” (probatoria, anti-abuso, disap-plicativa). Gli interpelli di cui alla lett. a) dell’art. 11 dello Statuto hanno adoggettounaquestione “interpretativa”, ossiaundubbiorelativoauna(opiù)disposizione (i).

Le formule ricorrenti nell’art. 11, comma 1, lett. a), dello Statuto indi-viduano, però e come si è detto, due tipi di interpelli diversi in ragione di unelemento distintivo: l’oggetto del dubbio.

Apparentemente, tale differenza dovrebbe consistere nel fatto che, nelprimo caso, il dubbio attiene all’interpretazione di una disposizione, nelsecondo, invece, alla qualificazione di una fattispecie1.

Tuttavia, espressa in questi termini, la differenza si riduce a un gioco diformule che, dietro l’apparenza della esplicitazione delle peculiarità delledue forme di interpello, in realtà esprimono, in termini diversi, uno stessoconcetto.

Per rendersene conto è sufficiente svolgere una duplice considerazione.Per un verso, si deve ricordare che il quesito formulato con l’istanza di

interpello“interpretativo”nonèmai,perespressaprevisionenormativa,postoinastratto2.Essoriguarda(rectiusdeveriguardare)una “fattispecieconcretaepersonale” (art. 11, comma 1, dello Statuto) anche perché fra i requisitidell’istanza vi è la “circostanziata e specifica descrizione della fattispecie”(art. 3, comma1, lett. c) del D.Lgs. n. 156/2015)3 la cui assenza nonpuò esseresanata (art. 3, comma 3, del D.Lgs. n. 156/2015) e determina quindi senz’altrol’inammissibilità dell’interpello (art. 5, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 156/2015).Altrimentidetto, ildubbiointerpretativodeveriguardare il“se”e“inchemisura” una determinata norma si applichi una determinata fattispecie4.

Per altro verso, occorre aver presente che la qualificazionenon si risolvemai in “accertamento” della concreta realtà della fattispecie rappresentata.E, inquesto senso, la relazione illustrativa allo schemadiDecreto legislativo

1 In questo senso anche la relazione illustrativa allo schema del Decreto legislativo.2 Diverso, come avremo modo di dire, è invece l’effetto della risposta ad interpello che,

anche qui per espressa previsione normativa, ha carattere di astrazione e, per tale motivi,presenta caratteri tipicamente normativi.

3 Si tratta, di un tipico caso di “ridondanza” sia all’interno della stessa formula (il“concreta e personale” del comma 1, dell’art. 11 e, poi, il “circostanziata e specifica” dell’art.3, comma 1), sia insito nel “combinato disposto” delle due previsioni. Da un punto di vistasemantico il medesimo concetto è ripetuto quattro volte. Da un punto di vista pragmatico,tuttavia, la ripetizione non è inutile essendo volta a sottolineare che l’amministrazione siesprime “allo stato degli atti” e non prende in considerazione situazioni indefinite. Sullaridondanza e sulla distinzione fra ridondanze sintattiche, semantiche e pragmatiche nonchésulla opportunità di talune ridondanze si veda, da ultimo, S. Zorzetto, Repetita iuvant?, Sulleridondanze nel diritto, Milano, 2016, passim.

4 Rileva correttamente F. Pistolesi,Gli interpelli tributari,Milano, 2007, pag. 48 “Norma efatto concorrono quindi ad integrare la condizione di fondata perplessità […] la norma, di persé, potrebbe risultare di chiara e piana applicazione, ma non lo è se messa al cospetto dellacircostanza dedotta”.

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e la successiva circolare n. 9/E/2016 sono giustamente e univocamenteperentorie.

Ma a questa ovvia considerazione si deve aggiungere l’ulteriore rilievoper cui anche per questa tipologia di interpello deve ricorrere l’obiettivaincertezza la quale è esclusa là dove “l’amministrazione ha fornito la solu-zione per fattispecie corrispondenti”. Ebbene, perché questa previsioneabbia un senso si deve ritenere che la “soluzione” al dubbio qualificatoriosia data in “astratto”. È chiaro, infatti, che nessuna “corrispondenza” puòmai sussistere in concreto perché ogni situazione di fatto presenta, ovvia-mente, caratteristiche sueproprie tali da renderla sempre, individualmente,“unica”. Si devenecessariamente concludere, quindi, che la corrispondenzapossaedebbaessere ricercataavendoriguardononalla fattispecieconcreta,ma alla relativa “tipologia”, ossia, appunto, enucleando (e, necessaria-mente, astraendo) le caratteristiche essenziali di ciascun caso individuale.In altri termini, anche la qualificazione riguarda la possibilità di ricondurreuna determinata fattispecie (vista nelle sue caratteristiche essenziali) a unadeterminata norma. Per questo motivo, anche la qualificazione si risolvenella determinazione del “se” e “in che termini”una determinata fattispeciesia riconducibile a una previsione normativa.

In definitiva, le due formule, se non adeguatamente interpretate, sirisolvono nella prospettazione del medesimo dubbio visto da due punti divista diversi o, per così dire, l’uno partendo dalla prospettiva “top down”(ossia volta a verificare se lanormaesaminata sia applicabile alla fattispecierappresentata nell’istanza) e l’altro assumendo una visuale “bottom up”(cioè risolventesi nella questione se la fattispecie rappresentata sia ricon-ducibile alla norma esaminata)5.

Che le cose possano stare in questo modo - sempre che non ci si facciacarico di un approfondimento ulteriore - è dimostrato anche dagli esempiche sono contenuti nella relazione illustrativa secondo la quale un’ipotesi diinterpello qualificatorio sarebbe costituito dalla valutazione della sussi-stenza di una stabile organizzazione all’estero di un soggetto residente aifini dell’applicazionedel regimedi cui all’art. 168-terdel T.U.I.R. 6. In realtà,

5 Si veda al riguardo al perspicua notazione di G. Melis, Lezione di diritto tributario,Torino, 2016, pag. 398 “Si tratta, tuttavia, di una distinzione tutto sommato artificiosa, dalmomento che avendo l’interpello ad oggetto questioni concrete, l’applicazione del diritto sirisolve pur sempre nella sussunzione della fattispecie concreta all’interno di una determinatadisposizione (qualificazione)”.

6 In realtà, nella circolare n. 9/E/2016 sull’interpello si tende a limitare l’esemplificazionecontenuta nella relazione sulla base di un peculiare argomento ossia che la menzione “nellarelazione” della sola ipotesi di cui all’art. 168-ter, porterebbe ad escludere che l’interpelloqualificatoriopossaapplicarsi aldi làdell’ipotesi espressamenteconsiderata.L’idea, insomma,è che “la scelta di un esempio particolarmente circoscritto” (ovvero più specifico) sia espres-sione necessaria dell’inidoneità di un esempio più ampio (cioè più generale) a rientrare nelcampo di applicazione della norma. Si giunge, a mio avviso e per un verso, ad attribuire unavalenza interpretativa alla relazione che eccede quanto le regole interpretative autorizzano a

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se così fosse, la natura dell’interpello dipenderebbe dal modo in cui risultaessere formulata l’istanza. Avremmo un interpello “interpretativo” nell’ipo-tesi in cui l’istante chiedesse se, in relazione a una “fattispecie concreta epersonale” “circostanziatamente e specificamente” descritta, l’art. 162 delT.U.I.R. deve interpretarsi nel senso che l’attività svolta all’estero da unaimpresa possa ricadere nell’ambito di applicazione della disciplina (di cuiall’art. 168-ter del T.U.I.R.) di esenzione degli utili e delle perdite ad essa(attività) relativi; avremmo inveceun interpello “qualificatorio”ove l’istantedomandasse se la medesima fattispecie, sempre “concreta e personale” esempre “circostanziatamenteespecificamente”descritta,possaqualificarsicome stabile organizzazione alla luce dell’art. 162 del T.U.I.R. ai fini del-l’esenzione degli utili e delle perdite estere.

È pacifico, d’altronde, che, per un verso, applicare una disposizione auna determinata fattispecie si risolve, per l’appunto, nella qualificazione o,permeglio dire, nella “sussunzione”della stessa nell’ambito di applicazionedella norma; per altro verso, che la corretta qualificazione di una fattispecieè l’esito della corretta interpretazione della disposizione.

Per rendersene conto, basta richiamare il famoso esempio di Hart delladisposizione che stabilisce: “È vietato l’accesso di veicoli al parco”7.

Dinanziaquesta regola, sipone ilproblemadistabilire seunportatoredihandicappossaomenoaccedere al parco con la carrozzella per invalidi (o sepossaaccedervi lababy sitter con il passegginoecc.)8.E si trattadiundubbioche può essere espresso in due modi, formalmente diversi, ma sostanzial-mente identici: (i) ildivietodiaccessoèapplicabileancheallecarrozzellepergli invalidi?” (nel qual caso si sarebbe dinanzi a un dubbio sulla correttainterpretazione della disposizione) oppure (ii) la carrozzella per invalidi èqualificabile come veicolo alla luce della disposizione ad essa applicabile?”

fare rispetto agli atti preparatori; e, per l’altro verso, si applica l’argomento a contrario aun’esemplificazione giungendosi a una conclusione che, proprio per il carattere esemplifi-cativo della statuizione “interpretata”, non ha il carattere della necessità. Dire che la TourEiffel è un esempio di “alto”, non implica che non possa essere un esempio di “alto” anchel’Empire State Building. A mio avviso, la soluzione indicata dall’Agenzia è il riflesso dellagiusta e comprensibile preoccupazione che il ricorso all’interpello qualificatorio possaassumere una ampiezza eccessiva. Di qui un’interpretazione restrittiva intesa a circoscriverequanto più possibile l’ambito di applicazione dell’istituto. Ferma restando la condivisibilitàdi questa esigenza, è probabile che le considerazioni svolte in questo saggio possanocontribuire al raggiungimento di questo obiettivo sulla base di argomenti meno legati alleintenzioni del legislatore desumibili da una lettura a contrario delle esemplificazioni conte-nute nella relazione illustrativa.

7 Cfr.H.L.A.Hart, “Positivismand the Separation of LawandMorals”, inHarvard L. Rev.,1958, pag. 593 ss.

8 In quanto il termine “veicolo” è “Nome generico di ogni mezzo meccanico guidatodall’uomo (o anche teleguidato) adibito al trasporto di persone, animali o cose” (cfr.Vocabolario Treccani).

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(cosicché saremmo dinanzi a un dubbio sulla qualificazione dellafattispecie).

L’identità della “questione” - al di là della diversità delle formule - nonpuò essere negata nemmeno sulla base delle seguenti due possibiliobiezioni.

La prima obiezione è che la qualificazione come “stabile organizza-zione” - oppure come “ente pubblico” o “ente non economico” o “residente”ecc. - è operazione molto simile a quella di attribuzione di uno statuspiuttosto che alla fissazione della porta applicativa di un norma. A ciò sipuò rispondere osservando che, per l’appunto, gli status non sono altro cheformule riassuntive della riferibilità a un determinato centro di imputa-zione di complessi di discipline. Qualificare “tizio” come cittadino significaaffermare che a tizio si applicano le particolari disposizioni che regolano ilpossesso della cittadinanza e le relative conseguenze, così come qualificareun’attività come “stabile organizzazione”, si risolve nella affermazione cheall’attività medesima si applicano le regole di diritto tributario internazio-nalepropriedella stabileorganizzazione (cosicchésaràsolorispettoaquelleregole che varrà la qualificazione medesima, non potendosi estenderequella operata ai fini dell’art. 162 T.U.I.R. all’IVA o all’IRAP).

Lasecondaobiezioneèche l’art. 360,comma1,n.3, c.p.c. effettivamentedistingue fra violazione della norma e falsa applicazione della stessa e che,quindi, quella distinzione potrebbe vedersi riprodotta nell’alternativa fra“interpretare” e “qualificare”. Tuttavia, neppure questa osservazione parecogliere nel segno, perché la distinzione assume rilievo ex post facto, ossia eper l’appunto, quale “vizio”della decisione e, comunque, si concretizza solonella motivazione della sentenza. In altri termini, quando si lamenta che ilgiudice abbiamale ragionato e si vuole indicare in cosa consista il difettodelragionamento ci si deve confrontare con lamotivazione della sentenza ed èproprio da questo confronto che deriva la conclusione secondo cui il vizio èconsistito, alternativamente, nell’attribuire (o nel negare) alla norma unaporta diversa da quella effettiva, ovvero nel sussumere una situazione difattoprivadei caratteri propri della fattispecie astrattamedesima (mache siassume correttamente determinata). È tuttavia evidente che dal punto divista effettuale il risultato è sempre il medesimo: la situazione di fattoconcreta ha ricevuto un trattamento non conforme a diritto, quindi vi èsempre violazione di legge. Cosicché la distinzione acquista rilevanza soloperché la critica si appunta sul modo in cui il giudice ha motivato la suadecisione. A monte, ossia nel momento in cui la questione viene posta, ladistinzione non c’è o, se vi è, essa consiste appunto solo nella formulautilizzata per esprimere il dubbio, non nella natura stessa del dubbio.

2. L’interpello qualificatorio come rimedio alle ipotesi di “vaghezza”normativa: a) alle origini della disposizione - Quanto si è appena osservatopone l’interprete dinanzi alla seguente alternativa: o si esclude la possibilità

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di differenziare l’interpello qualificatorio dall’interpello interpretativo(o “ordinario”), oppure si fonda questa differenza su un elemento diversodalla (ipotetica) distinzione fra il “correttamente interpretare la norma” e il“correttamente qualificare la fattispecie”.

Quest’ultima è, a mio avviso, una strada che si può proficuamentepercorrere. Si tratta, peraltro, di un tentativo che è necessario esperireperché il normale approccio ermeneutico di chi si pone dinanzi ad unenunciato è dato dal canone del legislatore non ridonante9.

A questo fine può essere utile partire dalle origini della disposizione inesame perché la relazione illustrativa, quando afferma che l’istituto dell’in-terpello sarebbe stato “arricchito di un profilo nuovo”, dice qualcosa di soloparzialmente corretto.

In realtà, la disciplina previgente contemplava già un’ipotesi di inter-pello che, per un verso, non era riconducibile alle altre tipologie oggi“codificate” dalle lett. b) e c) dell’art. 11, comma 1 e dall’art. 11, comma 2,dello Statuto e, per l’altro, era incentrato proprio su un profilo dichiarata-mente “qualificatorio”10.

Infatti, l’art. 21, comma 2 della Legge n. 413/1991 (cui si deve l’originedell’istituto dell’interpello nel suo complesso) consentiva di interpellarel’amministrazione (oltre che per la valutazione della sussistenza di ipotesidi interposizione fittizia di cui all’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973 edi quelle di elusione di cui all’art. 37-bisdelmedesimoDecreto) anche per lacorretta applicazione dell’art. 74 (vecchio testo) del T.U.I.R., ossia per “laqualificazione di determinate spese, sostenute dal contribuente, tra quelledi pubblicità e di propaganda ovvero tra quelle di rappresentanza”.

È questo, a nostro avviso, l’antecedente del nuovo interpello “qualifica-torio” che, oggi, è stato “generalizzato”.

Il punto centrale è che la disciplina delle spese di rappresentanzacostituisce un esempio di disposizione contenente un enunciato “tecnica-mente”vago(nel sensochediremo).Èquindipossibile, almenocomeipotesidi lavoro, proporre di incentrare la differenza fra l’interpello “ordinario” el’interpello “qualificatorio” sulla “qualità” dell’intervento interpretativorichiesto all’amministrazione.

Nell’interpello ordinario il dubbio sarebbe determinato dalla generalitàdelle questioni interpretative che sono il riflesso della complessità delsistema, della oscurità della legge, dello stratificarsi delle disposizioni ecc.

Nel caso dell’interpello qualificatorio il dubbio sarebbe invece ricondu-cibile alla presenza, nell’enunciato normativo, di un termine “vago”.

D’altronde, non casualmente (ancorché forse in modo parzialmenteinconsapevole) la primigenia ipotesi di interpello qualificatorio (ossia

9 Il rinvio è ancora a S. Zorzetto, Repetita iuvant?, Sulle ridondanze nel diritto, cit., pag.113 ss.

10 Conforme la circolare n. 9/E/2016.

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quella contenuta dell’art. 21, comma 2, u.p. della Legge n. 413/1991) eraaffiancata a quell’interpello relativo alla corretta interpretazione dell’art.37-bis del D.P.R. n. 600/1973, ossia a una disposizione che - al pari dell’o-dierno art. 10-bis dello Statuto - offre, come ribadirò più oltre, l’esempioparadigmatico della disposizione (oltre che strutturalmente ridondante,anche) fondata su plurimi sintagmi vaghi11.

È questo un profilo sul quale è opportuno, tuttavia, sospendere per ilmomento il giudizio essendo di preminente importanza chiarire in chesenso e entro quali limiti la “vaghezza” normativa può costituire l’elementocaratterizzante dell’interpello “qualificatorio”.

3. Segue: b) le diverse nozioni di “vaghezza” - La vaghezza non è un genericotermine descrittivo, ma indica precise caratteristiche di taluni termini osintagmi12.

Caratteristiche, che, val la pena puntualizzarlo sin dalla premessa, nonsono necessariamente negative; per meglio dire, da un lato, la vaghezza èunaqualità semanticadi taluni termini che, come tale, nonèperdefinizionené “buona”, né “cattiva”; in realtà, e dall’altro lato, è solo l’inserzione ditermini “vaghi” in enunciati normativi che può “trasmettere” il caratteredella vaghezza ai precetti e si presterebbe, quindi, a formare oggetto di ungiudizio di valore. Ma se questo giudizio deve essere dato in termini “prag-matici” - ossia di effettiva idoneità della norma vaga a trasmettere unsignificato e, così, ad orientare l’azione dei destinatari della comunicazione- si deve dire, come si spiegherà meglio fra breve, che la vaghezza può,talvolta, risolversi in un pregio, piuttosto che in un difetto, del testonormativo13.

Secondo la definizionepiù generale, unpredicato è vagoquando, al di làdi certe ipotesi che rientrano certamente nella estensione del termine e dialtre che invece altrettanto certamente non vi sono ricomprese, esistonoinvece alcune ipotesi che non è possibile dire con esattezza se posseggono omeno la caratteristica indicata con quella espressione14.

11 Sul punto si ritornerà più oltre al par. 6.12 Per laprecisa riferibilitàdell’attributodella vaghezzaai singoli terminio sintagmienon

all’intero enunciato normativo (o disposizione) si veda V. Velluzzi, Le clausole generali.Semantica e politica del diritto, Milano, 2010, pag. 26.

13 Per tutti, cfr., C. Luzzati, La vaghezza delle norme, Milano, 1990 e, fin dal titolo,H. Asgeirsson, “On the instrumental value of vagueness in the law”, in Ethics, 2015, pag. 425ss. Ma la notazione è condivisa dalla dottrina unanime.

14 La letteratura, nell’ambito della filosofia del diritto, è certamente vasta. I contributi deifilosofi analitici italiani sul tema sono particolarmente ricchi. Senza pretesa di completezza,pare d’obbligo il rinvio, innanzi tutto, al saggio di C. Luzzati, La vaghezza delle norme, cit., e alcontributo di V. Velluzzi, Le clausole generali. Semantica e politica del diritto, Milano, 2010,nonché i saggi raccolti nel volume AA.VV., Interpretazione giuridica e retorica forense,M. Manzini e P. Somaggio (cur.), Milano, 2006. Molteplici anche i contributi nella letteraturastraniera, per tutti, anche qui senza alcuna pretesa di completezza, si vedano, con specifico

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Si tratta di termini ai quali, da un punto di vista strutturale, si applica ilparadosso del sorite (se si usa come riferimento il “mucchio”) o del falacro(se si usa come riferimento il “calvo”) secondo il quale, partendo dalladuplice premessa per cui un granello di sabbia non è un mucchio e cheaggiungendo un granello in più a ciò che non è un mucchio questo nondiventa un mucchio, allora si può ripetere l’operazione infinite volte senzache mai l’accumulo di granelli generi un mucchio15. La possibilità di for-mulare questo paradosso dipende dal fatto che il termine “mucchio” noncontiene in sé la individuazionedi unamisura, diun limite, che lo individua.Lo stesso ragionamento, ad esempio, non funzionerebbe sostituendo a“mucchio”, il termine “quintale”16.

Tuttavia, non vi è un’unica accezione di “vaghezza”.Innanzi tutto, occorre distinguere la vaghezza sia dall’ambiguità - che

ricorre quando un medesimo termine può designare oggetti diversi17 - siadalla genericità - che si ha quando un termine può riferirsi indifferente-mente a una pluralità di situazioni - sia, infine, dalla generalità che sussistequandoun termine, di cui nonè inalcunmodo indeterminata l’estensione, èidoneo a designare una pluralità di oggetti con taluni, ma limitati, elementicomuni, cosicché la generalità aumenta mano a mano che il numero deglielementi caratterizzanti la categoria di oggetti designati diminuisce18.

In secondo luogo, restando all’interno del concetto di vaghezza, si suoledistinguere fra vaghezza “di grado”, “combinatoria” e “socialmente tipica”.

La vaghezza “di grado” è quella già descritta con riferimento al para-dosso del sorite ed è una caratteristica moltissimi termini del linguaggio19

che determina un problema interpretativo ordinario e, come tale,

riferimento alla definizione riportata nel testo, G.C. Christie, “Vagueness and legal lan-guage”, Minnesota Law Review, 1964, pag. 885 ss.; J. Waldron, “Vagueness in Law andLanguage: some philosofical issues”, in Cal. Law Rev., 1994, pag. 509; A. Marmor, “Varietiesof vagueness in the law, USC Gould School of Law, Legal Studies Research Paper Series, July18, 2013”, consultabile al sito http://cclp.usc.edu/centers/class/class-workshops/usc-legal-stu-dies-working-papers/documents/12_8_paper.pdf; T. Endicott, “Law and Language”, TheStanford Encyclopedia of Philosophy (Spring 2014 Edition), Edward N. Zalta (ed) consulta-bile al sito http://plato.stanford.edu/archives/spr2014/entries/law-language; H. Asgeirsson,On the instrumental value of vagueness in the law, cit.

15 La prima formulazione del paradosso è attribuita al sofista Eubulide di Mileto.16 Perun inquadramento formaledel problema inunpiùdiretto confronto con la filosofia

del linguaggio, cfr.C.Luzzati, “Ricominciandodal sorite”, in Interpretazione giuridica e retoricaforense, cit., pag. 29.

17 Unesempiodiambiguità (odipolisemia)è fornitopropriodal termine “vaghezza”: oltrea indicare l’indeterminatezza, esso può essere utilizzato per designare il desiderio [come inDante (Purg. XXX) e in Petrarca (Sonetto n. 7 ripreso nel titolo di questo saggio)] oppure labellezza [come in Leopardi (Le ricordanze)].

18 Per queste distinzioni si vedano i ricordati saggi di C. Luzzatti,La vaghezza delle norme,cit., pag. 46 ss. e V. Velluzzi, Le clausole generali, cit., pag. 36 ss.

19 Secondo la definizione di V. Velluzzi, Le clausole generali, cit., pag. 31 la vaghezza di“grado” connota “tutte le parole della lingua naturale che designano cose o fatti, ma non

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ordinariamente risolvibile in base al contesto in cui il termine si colloca(rappresentato dallo stesso enunciato normativo e dal sistema nel suocomplesso) ma, soprattutto, in base alla ratio della norma considerata.

Diversa è la vaghezza “combinatoria”20 che ricorre quando l’estensionedi un termine è definibile sulla base delle molteplici combinazioni di unapluralità di parametri. L’esempio classico è quello della “negligenza”21: ilcomportamento di un genitore verso la prole può risultare negligente indipendenza di vari fattori (l’età, le circostanze ambientali, le condizionieconomiche, le condizioni di salute ecc.)22.

Infine, la vaghezza “socialmente tipica” è una particolarità del linguag-gio normativo.

Si deve ricordare, in particolare, che l’uso intenzionale di termini vaghiimplicanecessariamente laattribuzionediunaparticolare responsabilità aisoggetti cui la norma è diretta23 e, soprattutto, un ampliamento dei poteridel giudice di determinare l’esatto contenuto della norma vuoi per quantoriguarda la fattispecie (la “giusta causa” come presupposto del licenzia-mento individuale), vuoi per quanto riguarda gli effetti (l’obbligo di corri-spondere una retribuzione che assicuri al lavoratore dipendente una vita“libera e dignitosa”).

L’uso di termini vaghi contribuisce, detto altrimenti, a conferire sempreuna certa “elasticità” alla previsione normativa consentendo l’adattamentodelle relative prescrizioni alle particolarità dei singoli casi24.

riguarda i termini numerici e della geometria così come i connettivi (e, o, non, se, allora) e iquantificatori (tutti, alcuni, nessuno)”.

20 Il concetto sembra essere l’equivalente di ciò che la dottrina anglosassone definisce“incommensurable multidimensionality”: cfr. H. Asgeirsson, On the instrumental value ofvagueness in the law, cit., pag. 424 ss. Tuttavia, trattandosi di definizioni convenzionali, leoscillazioni sono inevitabili per una classificazione parzialmente diversa cfr. A. Marmor,Varieties of vagueness in the law, cit., passim che distingue fra ordinary vagueness (che corri-sponde approssimativamente alla nostra vaghezza “di grado”), transparent vagueness (dove, amio avviso, l’accento è posto più sull’elemento intenzionale della scelta di un termine vago chenon sulla tipologia di vaghezza) e extravagant vagueness (che possiede il carattere, appunto,della multidimensionalità).

21 Per un compiuto sviluppo di questo esempio si veda G.C. Christie, Vagueness and legallanguage, cit., passim.

22 Può non essere negligenza far aspettare un ragazzo di quindici anni permezz’ora dopola chiusura della scuola,ma è diverso se il bambino ha dieci anni, o ha unamalattia, o se vi è unforte temporale ecc.

23 Chi soggiacealla prescrizionedi “guidare concautela”deve assumersi la responsabilitàdi determinare qual è la velocità massima consentita sulla base delle proprie capacità, dellecondizioni metereologiche, del fondo stradale ecc. Tale responsabilità non è posta a carico dicolui che soggiace alla prescrizione di “non superare la velocità di 80 km/h”. Sulle implicazionidelle clausole vaghe relativamente alla responsabilità individuale cfr., ad esempio, A.Marmor,Varieties of vagueness in the law, cit., pag. 14.

24 L’utilità della vaghezza normativa, in determinate circostanze, è unanimemente rico-nosciuta negli studi al riguardo. Nella letteratura straniera cfr. G.C. Christie, Vagueness andlegal language, cit., passim; J. Waldron, Vagueness in Law and Language: some philosofical

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Muovendo da questa considerazione generale, vi è largo consenso - siapure espresso in termini non sempre univoci - sul fatto che, a volte, illegislatore impiega termini che attribuiscono alla norma il massimodell’elasticitàpossibilenel sensoche la regoladicomportamentodeveesserecompletata mediante una attività di “integrazione valutativa”.

Secondouna tesiparticolarmenteelaborata - allaqualeper ilmomentoèpossibile attenerci - lanecessitàdell’integrazione valutativa sussiste quandoil legislatore formula enunciati impiegando sintagmi il cui significato nonpuò essere neppure parzialmente determinato se non ricorrendo a criteriextragiuridici desunti dal costume e dalla morale25. Sarebbe questo il casodelle c.d. clausole generali nelle quali, secondo la definizione riferita, risul-terebbe presente questa particolare vaghezza “da rinvio”, perché implica lanecessità, per il soggetto che deve decidere in ordine alla applicazione dellanorma - e, quindi, in primo luogo per il giudice la cui statuizione è dotata di“autorità”26 - di integrarne il contenutomediante il richiamo delle variabilivalutazioni etiche comunemente condivise in un dato momento27.

4.Segue: c)Unaprecisazione inordineallavaghezza “darinvio” eallavaghezza“socialmente tipica” - Come è noto, la nozione di “vaghezza socialmentetipica”qualeelementodistintivodellaclausolegeneralièoggettodidibattitosia fra i giuristi28, sia fra gli stessi filosofi analitici29.

In questa sede, tuttavia, la questione non è direttamente rilevante.Nessuno nega, infatti, l’esistenza di enunciati normativi in cui entra ingioco la vaghezza “socialmente tipica”. Nella prospettiva della teoria delleclausole generali, si discute invecedel ruolo che lanozione riveste agli effettidella definizione della categoria.

issues, cit., pag. 534 ss.; T. Endicott, Law and Language, cit. Una particolare discussione deltema, cui si allude fin dal titolo, in H. Asgeirsson, On the instrumental value of vagueness inthe law, cit., passim, la cui particolare concezione non appare rilevante ai nostri fini.

25 La definizione riprende quella di C. Luzzati, La vaghezza delle norme, cit., pag. 303.26 Che le clausole generali si risolvano in una attribuzione di uno specifico potere

all’autorità giudiziaria è considerazione comune indottrina.Maèovvio che, sia pure inmisuradiversa, la stessa situazione si verifica, in generale, per tutte le norme “vaghe” cfr. A. Marmor,Varieties of vagueness in the law, cit., pag. 13 secondo il quale “the most obvious aspect oflegislating transparently vague standards […] is that the legislator omeffects delegats the decisionsof how to make the standard more specific to courts or to administrative agencies”.

27 Sulle molteplici definizioni di clausola generale si veda, ampiamente, E. Fabiani,“Clausole generali”, in Enc. dir., Ann. V, Milano, 2012, pag. 180 ss.

28 Per i diversi modi in cui, fra i giuristi, è stata sviluppata un’intuizione di K. Engish,Introduzione al pensiero giuridico, trad. it., Milano, 1970 nonché per le distinzioni lessicali conle quali il fenomeno è stato designato, si rinvia allaminuziosa rassegna di E. Fabiani, Clausolegenerali, op. loc. cit.

29 Per taluni rilievi critici sulla idoneità della nozione si veda V. Velluzzi, Le clausolegenerali, cit., pag. 60 ss.

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Il problema che mi propongo di esaminare (secondo l’ipotesi di lavoroprima elaborata) è, più limitatamente, quale sia, fra le forme di vaghezzaprima individuate, quella che integra i presupposti dell’interpelloqualificatorio.

Da questo punto di vista, è necessaria innanzi tutto una precisazione.La nozione di vaghezza “socialmente tipica”, intesa nei termini prima

descritti, risulta, a mio avviso, non del tutto adeguata o, quanto meno,suscettibile di integrazioni.

Detto diversamente, mi sembra che fra la nozione di vaghezza “darinvio” e vaghezza “socialmente tipica” non vi è coincidenza, almeno se enellamisura in cui la vaghezza “socialmente tipica” viene caratterizzata dalrinvio “ai variabili parametri di giudizio e alle mutevoli tipologie dellamorale sociale e del costume”30.

Il punto che mi sembra opportuno sottolineare è che - a meno di nonintendere il termine “costume” in sensomolto ampio - il rinvio operatoper iltramite della vaghezza a elementi di giudizio extragiuridici non è circo-scritto alla “morale sociale”, ma può riguardare, più genericamente, gli“apprezzamenti sociali” ovvero ciò che la comune opinione (al limite diun certo gruppo di operatori: il mercato, le imprese, la famiglia ecc.)apprezza comeconformeauna certanozione (p. es., ritornandoall’esempiodi partenza, ciò che il mercato considera ordinariamente quale “spesa dirappresentanza”).

Per evitare confusioni, potremmo quindi distinguere la vaghezza “darinvio” - intendendo, per tale, tutte le ipotesi in cui il termine vago implica lanecessità di determinare il significato di un enunciato normativo inte-grando la disciplina con un riferimento agli apprezzamenti sociali in gene-rale - dalla vaghezza “socialmente tipica” che costituirebbe unaspecificazione della prima perché il rinvio è operato alle valutazioni socialiattinenti alla morale e al costume.

5. La vaghezza rilevante quale presupposto degli interpelli qualificatori -Fattequeste specificazioni, occorreadessoaffrontare il problema(checostituisceil nucleo dell’ipotesi di lavoro prima delineata) di quale tipo di vaghezzaintegrerebbe la fattispecie degli interpelli qualificatori.

Una conclusione facile è quella di escludere da tale ambito i casi divaghezza “di grado”. Si è già detto, infatti, che secondo l’opinione general-mente condivisa queste ipotesi di vaghezza determinano un problema diordinaria interpretazione, cosicché ammettere che l’interpello qualificato-rio possa essere proposto per risolvere questioni di vaghezza “di grado”condurrebbe, in sostanza, ribadire l’identità di presupposti fra interpelloqualificatorio e interpello interpretativo.

30 Questa è la definizione testuale proposta da C. Luzzati, La vaghezza delle norme, cit.,pag. 303.

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È probabilmente altresì da escludere che il presupposto dell’interpelloqualificatorio sia la (sola) vaghezza “socialmente tipica”, ma ciò per undiverso ordine dimotivi. È necessario avere presente che, qualunque tipo divaghezza si includa fra i presupposti dell’interpello, questa scelta imponelogicamente e a fortiori di ritenere comprese fra i presupposti anche tutte leforme di vaghezza “superiori”: sarebbe illogico, invero, che lo Statutoconsentisse, ad esempio, di presentare istanza di interpello per risolverele questioni di vaghezza “combinatoria” e non per risolvere questioni divaghezza “da rinvio”.

L’esclusione fra i presupposti dell’interpello qualificatorio delle que-stioni di vaghezza “socialmente tipica” (intesa, come si è detto, come quellaparticolare ipotesi di vaghezza “da rinvio” in cui si ineriscono nel sistemarichiamante i criteri della morale sociale) deve intendersi come esclusioneche “solo” questo tipo di vaghezza possa costituire il presuppostodell’interpello.

E la ragione di questa esclusione è abbastanza intuitiva e consiste in ciòche, sebbene un completo censimento delle ipotesi di vaghezza nell’ordina-mento tributario sia difficile (e non possa essere neppure tentato in questasede), dovrebbe essere evidente che sono probabilmente assenti del tutto oassai rare le ipotesi vaghezza “socialmente tipica”31.

D’altra parte, il caso che si è detto paradigmatico (perché costituisceanche l’ipotesi originaria) di vaghezza oggetto di interpello qualificatorio -ossia quello delle spese di rappresentanza - costituisce un esempio divaghezza “da rinvio” ma “non socialmente tipica” (nel senso che si èdetto) e, quindi, limitare l’interpello qualificatorio alle sole ipotesi divaghezza “socialmente tipica” significherebbe escludere dall’ambito appli-cativodell’interpello proprio l’ipotesi intornoalla quale è stata costruita taletipologia.

Il vero dubbio, pertanto, riguarda se includere fra i presupposti dell’in-terpello anche le ipotesi di vaghezza “combinatoria”, oppure se limitarlo aicasi di vaghezza “da rinvio” (anche “non socialmente tipica”).

A mio avviso, il dilemma deve essere risolto nel secondo senso.E la ragione di questa affermazione risiede nel fatto che anche le ipotesi

di vaghezza “combinatoria” pongono problemi che, come quelli originatidalla vaghezza “di grado”, possono definirsi di “ordinaria interpretazione”.

31 Alcuni esempi di vaghezza socialmente tipica nel diritto tributario sono, tuttavia,formulati da G. Melis, L’interpretazione della legge nel diritto tributario, Padova, 2003, pag.531 che li riconduce alle “valide ragioni economiche” nell’ambito della clausola antielusiva,nonché agli “investimenti innovativi”, ai beni di rilevante interesse culturale ecc. A parte ilprimocaso, occorrerebbeverificare se tali ipotesi non siano riconducibili a concetti giuridici dialtri settori. In ogni caso, la limitatezza dell’elenco conferma la estrema limitazione eproblematicità dell’introduzione della categoria nel diritto tributario.

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Si tratta, cioè, di problemi che possono essere risolti sulla base delconfronto con la ratio della disciplina e degli interessi che, tramite la stessa,si intendono tutelare, promuovere o, per converso, reprimere.

La possibilità di recedere da un contratto divenuto “eccessivamente”oneroso ex art. 1467 c.c. pone senz’altro la necessità di verificare caso percaso e tipo contrattuale per tipo contrattuale se, nelle circostanze date,l’equilibrio fra le prestazioni si sia alterato in modo anormale, ma la que-stione si risolve sul piano della valutazione, appunto, della ratio delladisposizione e della identificazione, nell’ambito della disciplina del singolocontratto volta per volta rilevante, del normale punto di equilibrio fra leprestazioni e del grado normale di alea. Il resto è, ovviamente, questione dimero fatto.

Detto altrimenti, e in termini più tecnici, là dove non c’è una vaghezza“da rinvio” l’interprete ha sempre - per definizione - la possibilità di renderepiù determinato il termine vago ricorrendo ai normali criteri giuridici diinterpretazione; l’enunciato normativo è comunque “completo” e non deveessereoggettodella c.d. integrazionevalutativa (realizzata attingendoadatiextragiuridici) che è tipicamente necessaria per i casi di vaghezza “darinvio”. Per queste ipotesi di vaghezza, ove ricorressero condizioni di obiet-tiva incertezza, si potrà ricorrere all’interpello ordinario.

Il proprium dell’interpello qualificatorio - se e nella misura in cui lo sivoglia effettivamente distinguere dall’interpello ordinario - consiste nellasua applicabilità alle ipotesi di incertezza determinate dall’incertezza “darinvio”.

Questa ricostruzione presenta due ordine di riflessi: il primo riguarda ladelimitazione in concreto dell’ambito di applicazione dell’istituto; ilsecondo attiene alle conseguenze sul piano della disciplina.

6. Delimitazione in concreto dell’ambito di applicazione dell’istituto - Leosservazioni che precedono conducono, ove condivise, a ritenere che l’in-terpello qualificatorio potrà essere proposto in tutte le ipotesi in cui vi èvaghezza “da rinvio”.

Scendendo più nel concreto, questa soluzione porta, per esempio, adescludere che sia oggetto di interpello qualificatorio una questione di“inerenza” perché questo termine presenta i caratteri della vaghezza “com-binatoria”, non quelli della vaghezza “da rinvio”.

Esemplificando, è evidente che la spesa per l’acquisto e la gestione di unelicotteropuòessere inerente: (i) tantoperunagrande impresacheper le suedimensioni e per le esigenze relazionali, di sicurezza o privacy dei suoiorgani apicali deve dotarsi di un mezzo di locomozione del tutto “privato”,veloce e “rappresentativo”, (ii) quanto per una piccola impresa impegnatanellamanutenzione di ponti radar collocati in luoghi distanti fra loro e nonfacilmente accessibili. È quindi palese che il giudizio sull’inerenza dipendeda molteplici fattori in varia combinazione fra loro. Ma se la ratio della

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subordinazionedelladeducibilitàdiuncostoall’inerenza (dell’atto) rispettoall’attività è appunto quella di garantire la coerenza fra costi e programmaimprenditoriale, allora la decisione dei diversi casi dipende sempre dallacorretta interpretazione della disposizione in base a elementi del tutto“interni” al sistema dei tributi.

Èquesta ladifferenza fragliordinariproblemidi inerenzaequelli propridelle spese di rappresentanza. Infatti, la questione relativa alla qualifica-zionediunaspesacomerappresentanzanonpuòesseredecisa limitandosiavalutare la coerenza della spesa rispetto al programma imprenditoriale.Perchéèevidente, inbaseall’espressaprevisionenormativa, che se la spesaèdi rappresentanza, allora essa è inerente e deducibile;ma ciò chemanca è lapossibilità di determinare (e definire) la nozione di rappresentanza sullabase degli elementi normativi interni al sistema. E questo dipende dal fattoche le spese di rappresentanza sono collegate all’attività di impresa non daun nesso di diretta strumentalità alla produzione dei risultati o all’organiz-zazione dell’attività, ma un rapporto di “normalità sociale” in quanto ilmercato (o, più in generale, gli stakeholders) apprezzano lo svolgimento dideterminate attività (e il sostenimento del relativo onere) come implicatonell’esistenza stessa dell’impresa e nel suo posizionamento sul mercato inragione delle sue dimensioni, del settore merceologico in cui opera, del-l’occasione, della frequenza, del valore ecc.

L’individuazionedi questa “normalità sociale” è, ovviamente, rimessaalsoggetto chiamatoadecidere e, quindi, inultimaanalisi al giudice.Tuttavia,è coerente con l’assetto del nostro ordinamento tributario il favorire unadecisione anticipata, cui concorrono il contribuente e l’Agenzia nei terminiche esamineremo fra breve.

Da questo punto di vista, è probabile che l’esempio della stabile orga-nizzazione svolto nella relazione illustrativa allo schema di Decreto (eripreso con una certa apprensione dalla circolare n. 9/E)32 non sia deltutto pertinente.

In linea di principio, la disciplina relativa alla stabile organizzazione èdel tutto “autosufficiente” per consentire di decidere, in base alla ratio dellastessa e in chiave sistematica, quando l’esercizio dell’attività d’impresa nelterritorio di uno Stato assuma la consistenza di una presenza stabile. Ilproblema può forse porsi in alcuni casi limite (come è stato quello dei“server” per l’attività di commercio elettronico) dove l’evoluzione dellatecnologia e delle forme di esercizio dell’impresa conduce a ipotesi disvolgimento di attività apprezzate socialmente come collegate al territoriodello Stato. Tuttavia, si deve ammettere che la presenza di una vaghezza “darinvio” nella disciplina della stabile organizzazione appare molto dubbia eche anche le ipotesi “evolutive” cui si è fatto cenno trovano soluzionepiù sul

32 Si veda, retro, nota 4.

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piano delle modifiche normative, che su quello dell’interpretazione“adeguatrice”.

Sembra quindi confermata la cautela che la circolare n. 9/E dimostraverso l’applicazione dell’interpello qualificatorio inmateria di stabile orga-nizzazione;anzi,nellaprospettivaqui sviluppata,apparedubbia finanche lariconducibilità all’ambito di applicazione di tale interpello anche dell’unicocaso nei cui confronti l’Agenzia esprime una posizione di “apertura”.

Viceversa, almeno ad un primo esame, la nozione di “sede dell’ammini-strazione” (costituente, come è a tutti noto, una delle fattispecie rilevanti aifini della determinazionedella residenzadi un soggetto passivodell’IRESaisensi dell’art. 73, comma 3, del T.U.I.R.) può considerarsi connotata da unavaghezza “da rinvio” nella misura in cui, almeno nei gruppi di imprese,l’esercizio di taluni poteri di indirizzo da parte della capogruppo rappre-senta un fenomeno ineliminabile e finanche giuridicamente necessario.Cosicché è rimessa, in definitiva, a una valutazione di “normalità sociale”(intendendo riferirsi, ovviamente, alle prassi comunemente adottate nelmercato, per quel settore merceologico, per quella data dimensione e arti-colazione del gruppo ecc.) l’individuazione del limite oltre il quale tale“ingerenza”nonpuòpiùconsiderarsi ordinariamente ricompresaneipoteridi direzione e coordinamento33.

Come si è anticipato, non è questa certamente la sede per tentare uncensimento degli enunciati normativi presenti nelle leggi tributarie carat-terizzati da vaghezza “da rinvio”.

Gli esempi svolti sembrano sufficienti, per un verso, a fornire qualchecriterio orientativo e, per altro verso, a dimostrare come, per questa via, siriesca a fornire all’interpello qualificatorio un ambito di applicazione chesia, al tempo stesso, specifico (ossia non sovrapposto a quello dell’interpelloc.d. ordinario) e sufficientemente contenuto. Quest’ultima caratteristica, amio avviso, risulta non trascurabile non solo perché tiene conto delleesigenze pratiche sottese alle preoccupazioni che trapelano dalla citatacircolare n. 9/E/2016, ma anche per taluni caratteri propri dell’interpellosui quali mi soffermerò brevemente nel paragrafo successivo.

33 Questa soluzionenon è, a ben vedere in contrasto con la posizione assunta dall’Agenzianella circolare n. 9/E/2016 che è, a mio avviso, da condividersi nelle conclusioni, ma forse inragione di una diversamotivazione (sulla quale si veda, infra, in questo stesso paragrafo). Ivi siafferma, infatti, che la “residenza” non può costituire oggetto di interpello e questo puògiustificarsi con il rilievo che la residenza è l’effetto di plurime fattispecie fra loro concorrenti(cfr., per qualche riferimento al riguardo G. Fransoni, “Sulle presunzioni legali nel dirittotributario”, inRass. trib., 2010,pag.603; , cosicché laproposizionediun’istanzadi interpellosulpunto avrebbe un oggetto del tutto indeterminato. L’ipotesi formulata nel testo, invece, nonimplicherebbe, di per sé, alcuna valutazione in ordine alla residenza,ma riguarderebbe solo lacorretta sussunzione di una specifica fattispecie (la “sede dell’amministrazione”) nella relativadisciplina.

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Prima di passare ai riflessi della nozione di interpello qualificatorio sulpiano della disciplina, occorre rilevare come dovrebbe essere evidente lostretto grado di affinità esistente fra tale interpello e quello anti-abuso34.Entrambi, infatti, sono preposti a pervenire a una definizione anticipatadell’ambito di applicazione di norme caratterizzate dalla presenza di ter-mini connotati da vaghezza “da rinvio”, con la differenza che l’interpelloqualificatorio si applica alla generalità delle disposizioni così conformate(ad esclusione di quella interessata dall’interpello anti-abuso), mentre l’in-terpello anti-abuso si applica solo ove venga in discussione l’art. 10-bisdelloStatuto, una disposizione che, tuttavia, presenta un livello esponenziale divaghezza. Se è vero, infatti, che la vaghezza si predica dei singoli termini esintagmi, si deve ammettere che la disposizione recata dall’art. 10-bisrappresenta, come si è già detto, un caso paradigmatico di questa tecnicanormativa a causa della numerosità di termini vaghi impiegati: “sostanzaeconomica”, “vantaggi fiscali indebiti”, “effetti significativi diversi dai van-taggi fiscali”, “valide ragioni extrafiscali”35, “non marginali”, “migliora-mento strutturale o funzionale dell’impresa”.

Appare immediato riscontrare in queste formulemolte delle tipologie divaghezza indicate in precedenza e tutto questo rafforza la conclusione cui ègià pervenuta la dottrina in ordine alla qualificazione della disciplinasull’abuso come una vera e propria clausola generale36.

Ciò che però premeva evidenziare in questa sede è l’indubbia affinitàtipologica dell’interpello qualificatorio e di quello anti-abuso il che puòavere qualche rilevanza sul piano della interpretazione della relativadisciplina.

In particolare, e per limitarci ad un esempio, questa affinità induce adubitaredella adeguatezzadeimotivi inbaseaiquali la circolaren.9/E/2016perviene alla conclusione37 secondo cui l’interpello qualificatorio nonsarebbe esperibile in tema di residenza a cagione dell’implicazione nellasoluzione di tale questione di “elementi meramente fattuali di cui è

34 Non a caso, la dottrina acutamente qualificava anche l’interpello antielusivo di cuiall’art. 21 della Legge n. 413/1991 come “qualificatorio” cfr. F. Pistolesi,Gli interpelli tributari,cit., pag. 4. L’analogia fra le questioni è altresì rilevata, in termini sufficientemente convergenticon quelli utilizzati nel testo, da E.M. Bagarotto , “L’interpello speciale alla luce della sop-pressione del comitato per l’applicazione delle norme antielusive e degli orientamenti giuri-sprudenziali inmateriadi affidamento eabusodeldiritto”, inAA.VV.,Atti della giornatadi studiin onore di Gaspare Falsitta, Padova, 2012, pag. 384.

35 Cfr., pertinentemente, G. Melis, L’interpretazione della legge nel diritto tributario,Padova, 2003, pag. 531, che riconduce la nozione delle “valide ragioni economiche” allacategoria della vaghezza “da rinvio” nella species della vaghezza socialmente tipica.

36 Inquesto sensoF.Gallo, “Lanuova frontieradell’abusodel diritto inmateria fiscale”, inRass. trib., 2015, pag. 1315, V. Velluzzi, Interpretazione e tributi. Argomenti, analogia, abuso deldiritto, Modena, 2015, pag. 45 ss. nonché, se si vuole, G. Fransoni, “Abuso ed elusione deldiritto”, in Treccani - Il libro dell’anno del diritto 2015, Roma, 2015, pag. 407 ss.

37 Conclusioneche,alla streguadiquantorilevatoretroant.30deveperaltrocondividersi.

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essenziale verificare la veridicità e completezza”. È palese che tale rilevanzasussiste, in misura non inferiore, anche nelle ipotesi di interpello anti-abuso, ciò che non impedisce, appunto, che l’interpello sia esperibile.

Il punto è che, come è sempre stato, le risposte all’interpello vengonorese sotto la condizione “si vera sint exposita” e non hanno validità se i fattirealmente verificatisi, che l’Agenzia può sempre accertare, divergono daquelli esposti nell’istanza.

È vero che, tanto nel caso dell’interpello qualificatorio, quanto nel casodell’interpello anti-abuso, la ricchezza degli elementi fattuali può risolversinell’impossibilità di acquisire un’adeguata conoscenza delle circostanzerilevanti, ma questo si dovrebbe riflettere, come diremo, sul contenutodella risposta all’istanza, non sull’ammissibilità, ex ante e in astratto, del-l’interpello medesimo.

7. Profili disciplinari - La ricostruzione proposta ha ovviamente numeroseconseguenze sul piano disciplinare. Lamancanza di una casistica adeguata(anzi, la mancanza di casistica tout court) impone di limitarsi a qualcheconsiderazione di largamassima e in termini necessariamente provvisori e,in parte, implicitamente dubitativi.

Il primo punto che occorre sottolineare è che, verosimilmente, la rispo-sta a questo interpello, più che quella all’interpello ordinario, presenteràl’attitudine - oggi definitivamente oggetto di disciplina espressa - ad abbrac-ciare tutti “i comportamenti successivi del contribuente riconducibili allafattispecie oggetto di interpello”.

Val quanto dire che la risposta presenterà uno spiccato carattere dinormatività, nella misura in cui è dato rinvenire in essa il requisito dell’a-strattezza, pur nella sua “individualità” applicativa.

Al tempo stesso, è altrettanto ragionevole assumere che proprio lanecessità di “integrazione valutativa” che caratterizza la risposta finiràcon l’accentuare i profili di “consensualità” che sono latamente presentinel complesso della disciplina. Invero, al di là della struttura formale delprocedimento e della scansione “soluzione proposta” - “accettazione moti-vata” (che evidentemente si prestanoa richiamareunmodulo consensuale),il procedimento nel suo complesso appare orientato, in generale, all’indi-viduazione di soluzioni condivise fra l’interpellante e l’interpellato38.

Ma questo è tanto più vero, appunto, nel caso degli interpelli qualifica-tori se, comemi sembraadeguatamenteargomentabile, essi sono finalizzatia operare, in relazione a un caso specifico, l’integrazione valutativa

38 Per un efficace quadro di sintesi delle opinioni della dottrina in ordine al tasso diconsensualità degli interpelli cfr. L. Del Federico, “Autorità e consenso nella disciplina degliinterpelli fiscali”, in AA.VV., Profili autoritativi e consensuali del diritto tributario, (a cura diSalvatore La Rosa), Milano, 2008, pag. 155 ss.

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richiesta, ai finidelladeterminazionedel suosignificato,daunanormavagamediante rinvio a dati extragiuridici.

Da questo inquadramento consegue pure che la “rettifica”della rispostadapartedell’amministrazionedovrebbedipendere (aldi làdeicasidi errore)da una conclamata modifica nella realtà sociale di riferimento. È ipotizza-bile, quindi, che le risposte (ed i relativi effetti) presentinounmaggior gradodi stabilità.

Si tratta di un complesso di caratteri (normatività, consensualità,stabilità) che, se confermati nell’esperienza concreta, certamente rafforze-ranno la necessità di circoscrivere adeguatamente l’ambito di applicazionedell’istituto.

Da un altro punto di vista, si deve evidenziare comeproprio l’affinità giàrichiamata fra l’interpello anti-abuso e quello qualificatorio conferma l’in-tuizione contenuta nella circolare n. 9/E relativa alla differenza che inter-corre fra l’obiettiva condizione di incertezza come requisito dell’interpelloordinario e l’uguale condizione prescritta per l’interpello qualificatorio.

La circolare risolve, infatti, l’obiettiva incertezza (predicatadalla normasenza altre specificazioni) in necessaria “complessità” e “peculiarità” dellafattispecie, il che - tenutocontodel fatto che la fattispecienon formaoggettodi accertamento da parte dell’Agenzia - significa, in sostanza, “complessità”e “peculiarità”della sussunzionedella fattispecieconcreta inquellaastratta.Complessità e peculiarità le quali, a loro volta, non possono che dipenderedal modo in cui la fattispecie astratta è definita normativamente. Sipotrebbe quindi avanzare l’illazione per cui, in presenza di norme vaghe,tale “complessità”e “peculiarità” sussistedipersé, senzabisognodiulteriorispecificazioni. Le esemplificazioni formulate dall’Agenzia sembrerebberoaddirittura ammettere l’esistenza di tali condizioni nel caso di vaghezzacombinatoria (il riferimentoèall’ipotesi dell’inerenza)39, il cheavvalora taleconclusione rispetto ai casi di vera e propria vaghezza “da rinvio”.

Infine, sembra prospettabile, almeno con riferimento agli interpelliqualificatori e anti-abuso un ultimo dubbio che attiene agli esiti dellaistanza. La disciplina menziona solo la declaratoria di inammissibilità40,il provvedimento di accoglimento o di rigetto e il silenzio (che equivale adaccoglimento della soluzione proposta).

Vi è, tuttavia, da chiedersi se non sia prospettabile un provvedimento(certamente motivato) di non liquet.

39 Con questo riferimento, l’Agenzia sembra avallare, sia pure in casi limite, la possibilitàdi presentare interpello anche nelle ipotesi di vaghezza combinatoria. Per i motivi sopraesposti, ci sembra di dover propendere per una soluzione più restrittiva. Ma, in definitiva, leconsiderazioni qui svolte non si modificherebbero in modo sensibile anche adottando unapproccio più estensivo.

40 Sul tema, sia consentito rinviare a G. Fransoni e F. Coli, “L’inammissibilità degliinterpelli”, in Corr. Trib., 2015, pag. 1964.

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Ovviamente, tale soluzione non incontra ostacoli sotto il profilo deiprincipi generali, poiché il divieto del non liquet incombe solo sugli organigiurisdizionali.

D’altra parte è vero che l’amministrazione ha il dovere di esprimersi inrelazione all’istanza (cosicché l’inerzia è sanzionata con l’equiparazione delsilenzio ad accoglimento della soluzione proposta dal contribuente), manon sembra che abbia il dovere di esprimersi indicando comunque unasoluzione positiva o negativa, specie se, come nelle ipotesi in esame, lasoluzione è condizionata da una compiuta conoscenza dei fatti.

Da questo punto di vista, la regola per cui l’amministrazione può chie-dere ulteriori documenti una sola volta (art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 156/2015)41 sembra assolutamente compatibile con l’ipotesi qui formulata:l’esigenza manifestata dalla norma è che si possa pervenire rapidamente auna conclusione, non alla completezza dell’istruttoria. Ma se, per motiviimputabili alla complessitàdel caso, l’istruttoria così configuratanon riescea dare adeguata consapevolezza degli elementi fattuali, la soluzione piùappropriata, sembra essere quella, appunto di una decisione di non liquet.

Invero, quando l’amministrazione reputa di non disporre di tutti glielementi necessari per esprimersi, anziché adottare una pronuncia di nonaccoglimento, che non rifletterebbe comunque l’effettiva posizionedell’autorità, sembrerebbe più congruo (e forse meno pregiudizievole perl’istante) rispondere all’istanza esponendo compiutamente le ragioni - chedevono consistere nell’impossibilità di apprezzare compiutamente la situa-zione di fatto - per le quali non è possibile esprimere alcuna risposta.

Si tratta, peraltro, di un profilo in parte “formale” perché la disciplinadell’inammissibilità evidenzia che anche il rigetto è pronunciato allo statodegli atti, quindi il contribuente potrebbe comunque ripresentare l’istanzasulla base di un apparato informativo più articolato e compiuto.

Cosicché, non ricomprendere la risposta dell’Agenzia, in questi casi,nella categoria delle pronunce di “rigetto”, significherebbe, in sostanza,chiamare le cose con il loro nome.

GUGLIELMO FRANSONI

41 Peraltro, credoche l’unicitàdella richiesta,proprionellaprospettivaqui indicata,possaconsiderarsi “disponibile” da parte del contribuente.

G. FRANSONI - I PRESUPPOSTI DELL’INTERPELLO “QUALIFICATORIO”

588 - Rassegna Tributaria 3/2016

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La nuova disciplina degli effetti penali dell’estinzionedel debito tributario*

Giuseppe Melis

Estratto: Il contributo analizza l’evoluzione delle scelte del legislatore in tema dirilevanza ai fini penali dell’estinzione del debito tributario e, in particolare, lasoluzionedaultimoadottatadalD.Lgs. n. 158/2015, che, nel procedere alla revisionedel sistema sanzionatorio tributario amministrativo e penale in attuazione dellaLegge delega n. 23/2014, ha “sdoppiato” negli artt. 13 e 13-bis, D.Lgs. n. 74/2000 -ciascunodeiquali fontedieffettidiversi - ladisciplinaoriginariamentecontenutanelsoloart. 13edunitaria anchequantoagli effetti dell’avvenutaestinzionedeldebito. Ilcontributo si soffermapoi suunaseriediquestioni teorichee tecniche, relative, tra lealtre, all’ambito di applicazione oggettivo, al rapporto tra il pagamento delle san-zioni amministrative, al principio di specialità e al ne bis in idem sostanziale eprocessuale, agli effetti in sede penale dell’intervenuta definizione anche ai finidella sospensione condizionale della pena e delle misure alternative, ai profiliprocedimentali e al rapporto tra i procedimenti/processi tributario e penale.

Abstract: The article analyses the different legislative choices adopted in the lastdecades in respect of the effects of thepaymentof taxdebts oncriminal trials, havingparticular regard to the solution adopted by the recent Legislative Decree No. 158/2015 regarding the reform of administrative and criminal tax penalties. LegislativeDecreeNo. 158/2015 adopted two different approaches to the criminal effects of thepayment of tax debts, that depends on the kind of crime committed by the taxpayer(whilst the preexisting rules provided for a unique approach). The article alsoexamines a number of points regarding the objective scope of the newly-adoptedprovisions, therelationshipbetweenthepaymentofadministrativepenaltiesandthelex specialisprinciple and the substantive andproceduralnebis in idemprinciple, theconsequences of the payment on the possibility to have the penalties suspended, theprocedural aspects and the relationship not only between the tax and the criminalproceedings but also between the tax and criminal trials.

SOMMARIO: 1. La ricerca di un difficile equilibrio sulla rilevanza ai fini penalidell’avvenuta estinzione del debito tributario: dalla Legge n. 516/1982 al D.L. n. 138/2011 -2.LasoluzionedidoppiobinarioaccoltanelD.Lgs.n.158/2015:nonpunibilità

* L’Autore desidera ringraziare Alessio Persiani, Federico Rasi, Matteo Rubera, PietroSabella e Andrea Tripodi per i preziosi commenti. La responsabilità delle considerazioni quiespresse rimane interamente dell’Autore.

Rassegna Tributaria 3/2016 - 589

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dei reati ed attenuazione della pena - 3. L’ambito di applicazione oggettivo -4. Pagamento delle sanzioni amministrative, principio di specialità e ne bis inidem - 5. Alcune questioni relative agli effetti in sede penale dell’intervenuta estin-zionedeldebito: attenuanteadeffetto speciale, sospensionecondizionaledellapena,misure alternative - 6. I profili procedimentali e il rapporto tra i procedimenti/processi tributario e penale - 7. Conclusioni.

1.La ricercadiundifficile equilibrio sulla rilevanzaai fini penali dell’avvenutaestinzione del debito tributario: dalla Legge n. 516/1982 al D.L. n. 138/2011 -Gli effetti ai fini penali dell’estinzione dei debiti tributari relativi ai fatticostitutivi dei delitti di cui al D.Lgs. n. 74/2000 sono disciplinati dagli artt.13 e 13-bis del medesimo Decreto.

Essi costituiscono il frutto del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, che,come noto, ha provveduto alla revisione del sistema sanzionatorio tributa-rio amministrativo e penale in attuazione della Legge delega n. 23/2014, e lasua novità rispetto al passato risiede nell’avvenuto “spacchettamento” nellecitate disposizioni normative - ciascuna delle quali fonte di effetti diversi -della disciplinaoriginariamente contenutanel solo art. 13 edunitaria anchequanto agli effetti dell’avvenuta estinzione del debito tributario.

Il testo delle richiamate disposizioni, contenuto nell’art. 11 del Decretoattuativo, è tuttavia sensibilmente diverso da quello dell’omologa disposi-zione contenuta nell’iniziale “schema di Decreto legislativo recante dispo-sizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra Fisco e contribuente”;schema che, per la nota “manina” salita agli onori delle cronache, erastato ritirato, da cui l’esigenza di una proroga del termine di scadenza perl’esercizio della delega, originariamente fissato al 27 marzo 2015.

Il citato schema, infatti, aveva operato un vero e proprio “strappo”rispetto all’intervento attuato, solo pochi anni prima, con il D.L. 13 agosto2011,n.138(conv.conmodificazionidallaLegge14settembre2011,n.148),poichéper laprimavolta, siapureper i soli reatidiversamentoedichiarativi,aveva individuato nel radicale effetto “estintivo” del reato la conseguenzadell’avvenuto pagamento del debito tributario indipendentemente dallaformale conoscenza di attività di indagine1, confermando invece, per i

1 Si tratta dell’art. 13 dello SchemadiDecreto legislativo recante “Modifica dell’art. 13 delDecreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, in materia di cause di estinzione e circostanze delreato. Pagamento del debito tributario”, che disponeva quanto segue:

1. All’art. 13, del Decreto legislativo 10marzo 2000, n. 74, i commi 1 e 3 sono sostituiti daiseguenti:

“1. Se i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti di cui al presente Decreto sonostati estinti, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, mediantepagamento, ancheaseguitodelle speciali procedureconciliativeediadesioneall’accertamentopreviste dalle norme tributarie:

a) i reati di cui agli artt. 4, 5, 10-bis, 10-ter sono estinti;

G. MELIS - ESTINZIONE DEL DEBITO TRIBUTARIO: EFFETTI PENALI

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reati caratterizzati da frode, l’effetto della sola diminuzione della pena, siapure aumentandone la misura massima da un terzo alla metà.

Invero, con l’intervento del 2011, il legislatore si era mosso nella logica,diametralmente opposta, di un significativo irrigidimento del trattamentosanzionatorio tributario-penale, procedendo all’abbassamento delle sogliedi imposta evasa, all’abolizione delle fattispecie “attenuate” di cui all’art. 2,comma3, ed8, comma3,D.Lgs.n. 74/2000, all’inapplicabilitàadeterminatecondizioni della sospensione condizionaledella penaeall’allungamentodeitermini di prescrizione2. Non diversa era stata la logica alla base dell’inter-vento sugli effetti penali dell’estinzione del debito tributario, da un latoriducendo dalla metà ad un terzo la diminuzione massima della pena3,dall’altro subordinando la possibilità di accedere al c.d. patteggiamento alprevio pagamento del debito tributario ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 134.

A “parziale” giustificazione dell’effetto “estintivo” del reato propostonello schema di Decreto per i reati di versamento e dichiarativi, militava lasola constatazione,diremmodi “sociologia legislativa”, che labenpiù rigidasoluzione al problema data dal legislatore del 2011 costituiva, a sua volta,l’ennesima tappa di un travagliato percorso del legislatore stesso in ordinealla rilevanzaai finipenalidell’estinzionedeldebito tributario relativoa fatticostitutivi di delitti tributari, che aveva invero oscillato nel tempo tra poliopposti.

Se, infatti, da un lato, l’esistenza di reati tributari, anche emersa suc-cessivamente all’avvenuta definizione, costituiva addirittura causa

b) le pene previste per gli altri delitti di cui al presente Decreto sono diminuite fino allametà, non si applicano le pene accessorie indicate all’art. 12 e le circostanze aggravanti di cui aicommi 3 e 4”.

2 Dal 17 settembre 2011, per effetto di quanto disposto dal D.L. n. 135/2011, i termini diprescrizione, per lamaggior parte dei reati tributari, si sono allungati passando dai precedentisei agli attuali otto anni. Fanno eccezione le violazioni penali relative all’omesso versamento,all’indebitacompensazioneealla sottrazione fraudolenta,per lequali continuanoadapplicarsii precedenti termini (sei anni). Inoltre, ai sensi dell’art. 17, comma 1,D.Lgs. n. 74/2000, il corsodella prescrizione per i delitti tributari è interrotto, oltre che dai normali atti indicati nell’art.160 c.p., anchedal verbale di constatazioneodall’atto di accertamentodelle relative violazioni.Questa interruzione, a norma del codice di rito, non può comunque comportare l’aumento dipiù di un quarto del tempo necessario a prescrivere. Ne consegue che i sei anni e, dal 17settembre 2011, gli otto anni, possono diventare rispettivamente sette anni e mezzo ovverodieci anni (in presenza di cause interruttive).

3 Questo il testo del comma 1 quale risultava a seguito delle modifiche apportate dal D.L.n. 138/2011: “1.Lepeneprevisteper idelitti di cui al presenteDecreto sonodiminuite finoadunterzo e non si applicano le pene accessorie indicate nell’art. 12 se, prima della dichiarazione diapertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delittimedesimi sono stati estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedureconciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie”.

4 2-bis. Per i delitti di cui al presenteDecreto l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444delCodicedi procedurapenale puòessere chiestadalleparti soloqualora ricorra la circostanzaattenuante di cui ai commi 1 e 2.

DOTTRINA

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preclusiva al concordato c.d. di massa (art. 2-bis, D.L. n. 564/1994)5 e,dall’altro, la Legge 7 agosto 1982, n. 516 non prevedeva alcuna rilevanzaai fini penali della suddetta definizione (al più operante sul piano dellecircostanze attenuanti)6, il D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218 aveva completa-mente ribaltato la situazione, disponendo all’art. 2, comma 3 che l’accerta-mento con adesione ai fini delle imposte dirette ed IVA - così come larinuncia all’impugnazione del provvedimento, ma non anche la concilia-zione giudiziale - escludesse la punibilità per i reati relativi a tali tributi7. Vadetto, tuttavia, che tale disposizione trovava applicazione per le sole ipotesi

5 Cass., 29 settembre 2005, n. 19112, che attribuisce rilevanza alla “mera configurabilitàdell’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria per rendere operativa la preclusione”; Cass., 8settembre 2005, n. 17926.

6 Quanto alla questione, sollevata dall’avvenuto pagamento, del rapporto tra art. 62, n. 6(attenuante comune dell’avvenuta riparazione del danno) ed art. 62-bis c.p. (attenuanti gene-riche), ladottrina (F.Antolisei,Manuale didiritto penale - parte generale,Milano, 2000,pag. 463)ritiene, come noto, che la previsione di cui all’art. 62-bis c.p. sia inapplicabile in caso dirisarcimento del danno da parte del reo, in quanto la valutazione delle circostanze attenuantigeneriche deve involgere la valutazione di elementi diversi da quelli espressamente previstidall’art. 62 c.p. Si tratta tuttavia di questione estremamente controversa sulla quale si registraunagiurisprudenza incerta.Limitandocialprofilo tributario, va rilevatocomeprimadelD.Lgs.n. 74/2000 venissero appunto in gioco gli artt. 62 e 62-bis c.p. L’applicabilità in materiatributaria della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p. è stata tuttavia sovente negatadalla giurisprudenza con argomenti fondati sull’individuazione del bene giuridico tutelato neireati tributari e sulla suadiversità rispettoal patrimonio (sulpunto si tornerànelprosieguo,mavale rilevare, inogni caso, cometaleorientamento sia statoaffermato tantoprimadella riformadei reati tributari del 2000 quanto successivamente ad essa; si veda, in proposito, Cass. pen.,Sez. III, 18gennaio1994, inGiust.Pen., 1994, II, pag. 561,Cass.pen., 11aprile2002,n. 13481, inGiur. imp., 2002, pag. 1133 ss. eCass., Sez. III, 19dicembre2007, n. 47068). Pertanto, primadel2000 il pagamento del tributo poteva valere solo ai fini del riconoscimento delle attenuantigeneriche. Si trattava, comunque, di questione dibattuta, sulla quale nonmancavano opinionidiverse in dottrina: si veda, ad esempio, B. Tinti, “Il risarcimento del danno nei processi penaliper reati tributari”, in il fisco, 1998, pag. 4397 il quale, ante riforma, sosteneva l’applicabilitàdella circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p. facendo leva sull’orientamento domi-nante della Cassazione in ambito non tributario in base al quale “l’attenuante prevista dall’art.62,n.6),delCodicepenaleèapplicabileaqualsiasi reato, inquantotrovaragioneunicamente inuna diminuita capacità a delinquere del colpevole, dimostrata dal comportamento successivoal reato ed è del tutto svincolata dall’oggettività giuridica del reato cui va applicata” (così Cass.pen., Sez. VI, 8 ottobre 1993, in Cass. pen., 1995, pag. 1196). Dopo il D.Lgs. n. 74/2000,l’inapplicabilità dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6, c.p. è stata affermata, sia pur in modoindiretto, sulla scorta della cennata specialità rationemateriaedell’attenuante prevista dall’art.13 del D.Lgs. n. 74/2000, rispetto a quella di cui all’art. 62, n. 6, c.p. In questo senso, la recentegiurisprudenza di legittimità ha precisato che il pagamento del tributo rileva “ai fini dellapossibile applicazione delle circostanze attenuanti previste dall’art. 62-bis c.p. o della citataattenuante speciale” di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000 (così Cass. pen., Sez. III, 13 gennaio2011, n. 656).

7 Art. 2, comma 3: “La definizione esclude, anche con effetto retroattivo, in deroga all’art.20 della Legge 7 gennaio 1929, n. 4, la punibilità per i reati previsti dal Decreto legge 10 luglio1982, n. 429, convertito, conmodificazioni, dalla Legge 7 agosto 1982, n. 516, limitatamente aifatti oggetto dell’accertamento; la definizione non esclude comunque la punibilità per i reati dicui agli artt. 2, comma 3, e 4 del medesimo Decreto legge”.

G. MELIS - ESTINZIONE DEL DEBITO TRIBUTARIO: EFFETTI PENALI

592 - Rassegna Tributaria 3/2016

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di tipo contravvenzionale (ad eccezione di quella relativa alla dichiarazionedei sostituti).

Una norma di carattere speciale era inoltre stata introdotta - e sidiscuterà infra sulla questione della sua persistente vigenza, non essendomai stata formalmente abrogata - con l’art. 14, comma5, Leggen. 408/1990,prevedendo lanonpunibilità per i reati di cui allaLeggen. 516/1982nel casodi presentazione di dichiarazione integrativa ex art. 9, D.P.R. n. 600/1973 inmateria di imposte sui redditi, ovvero di regolarizzazione ex art. 48, D.P.R.n. 633/1972 in materia di IVA: in entrambi i casi, con la preclusione(a monte) derivante dall’avvio di attività di accertamento.

Il legislatore della Riforma del 2000 adottò con l’art. 13 una via “inter-media” tra l’irrilevanza tout court dell’estinzione del debito e la nonpunibilità del reato (sia pure, come detto, di portata limitata alle contrav-venzioni), prevedendo la riduzione sino allametà della sanzione penale e lanon applicazione delle pene accessorie. La novità risiedeva, tuttavia,nell’applicabilità della riduzione alle ipotesi delittuose, che peraltro forma-vano ormai oggetto “esclusivo” del D.Lgs. n. 74/2000, privo di ipotesicontravvenzionali.

La Legge delega, in realtà, era estremamente ampia, in quanto l’art. 9,comma 2, lett. e), Legge 25 giugno 1999, n. 205, davamandato all’esecutivodi introdurre “meccanismi premiali idonei a favorire il risarcimento deldanno conseguente alla commissione del reato tributario”.

La soluzione infine scelta - peraltro non in linea con quella della mag-gioranza, quale risulta dai lavori preparatori, incline ad estendere la solu-zione prevista dal D.Lgs. n. 218/1997 a tutte le nuove ipotesi di reato - siriconnetteva all’intenzione del legislatore della Riforma di punire pocheipotesi delittuose di particolare gravità, la cui forza dissuasiva si ritenevasarebbe stata svilita dall’effetto di estinzione del reato e/o di esclusionedellapunibilità conseguentealpagamentodel tributo,dandosi conto,nella stessarelazione di accompagnamento allo schema di Decreto, della preoccupa-zione che la soluzione consistente nell’effetto estintivo del reato, con laconseguente possibilità di monetizzare il rischio della responsabilitàpenale, potesse “sortire un effetto criminogeno”8; ciò senza rinunziare,tuttavia, alla possibilità di riscuotere il tributo tramite la concessione diun abbattimento della sanzione e l’inapplicabilità delle pene accessorie.

Inogni caso, il legislatoredelegato,nel prevedereuna riduzione sinoallametà della sanzione, aveva già compiuto un piccolo “passo in avanti”rispetto allo schema di Decreto legislativo approvato il 5 gennaio 2000 dalConsiglio dei Ministri, che aveva introdotto una circostanza ad effettocomune consistente nella riduzione sino ad un terzo; “passo in avanti”spiegato dalle competenti Commissioni parlamentari con la volontà di

8 In Guida al diritto, n. 14/2000, pag. 40.

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rendere effettivamente appetibile il ricorso alle procedure risarcitorie tra-mite l’incentivazione dell’effetto premiale9.

In questo quadro si era appunto inserito il citato D.L. n. 138/2011 che,nell’ottica dell’ulteriore irrigidimento delle sanzioni penali sopra eviden-ziata, aveva ridotto, come detto, l’abbattimento massimo della sanzionedalla metà ad un terzo, così tornando alla soluzione della circostanza adeffetto comune approntata nel citato schema diDecreto del 5 gennaio 2000.

Lo schema di Decreto legislativo oggetto di ritiro avrebbe dunquenuovamentemodificato - ed inmodo estremamente significativo - il quadrodi riferimento.

Da un lato, infatti, si sarebbe ripristinato l’abbattimentomassimo dellasanzionenellamisuradellametà;all’aumentodell’abbattimentomassimosisarebbe accompagnata, come prima, la non applicazione delle pene acces-soriedi cuiall’art. 12,nonchédellenuovecircostanzeaggravantiprevistedaicommi 3 e 4 (rectius, dalle lett. a) e b) del nuovo comma 3).

Soprattutto, però, lo schemadiDecretoprevedeva l’estinzioneper i reatidi cui agli artt. 4, 5, 10-bis e 10-ter, D.Lgs. n. 74/2000, senza preclusioniderivanti dalla conoscenza di attività di accertamento, andando ben oltre lostesso effetto di non punibilità a suo tempo previsto dal D.Lgs. n. 218/1997.

Si trattava, tuttavia, di una modifica che non avrebbe trovato alcunabase legislativa espressa nell’art. 8 della Legge delega di “revisione delsistema sanzionatorio”10, la quale non contemplava la possibilità di farriferimento ai comportamenti “successivi” del contribuente finalizzati alpagamento del tributo; prevedeva expressis verbis solo “l’efficacia atte-nuante o esimente dell’adesione alle forme di comunicazione e di

9 Vedi P. Rossi, “Gli effetti dei meccanismi premiali sulla punibilità in sede penaletributaria”, in Boll. trib., 2001, pag. 1307 ss.

10 Questo il testo: “1. Il Governo è delegato a procedere, con i Decreti legislativi di cuiall’art. 1, alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di prede-terminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, prevedendo: lapunibilità con la pena detentiva compresa fra unminimo di sei mesi e unmassimo di sei anni,dando rilievo, tenuto conto di adeguate soglie di punibilità, alla configurazione del reato per icomportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documenta-zione falsa, per i quali non possono comunque essere ridotte le pene minime previste dallalegislazione vigente alla data di entrata in vigore del Decreto legge 13 agosto 2011, n. 138,convertito, con modificazioni, dalla Legge 14 settembre 2011, n. 148; l’individuazione deiconfini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e delle relative conseguenzesanzionatorie; l’efficacia attenuante o esimente dell’adesione alle forme di comunicazione e dicooperazione rafforzata di cui all’art. 6, comma 1; la revisione del regime della dichiarazioneinfedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine dimeglio correlare, nel rispetto delprincipiodiproporzionalità, le sanzioniall’effettivagravitàdeicomportamenti; lapossibilitàdiridurre le sanzioni per le fattispeciemenogravi o di applicare sanzioni amministrative anzichépenali, tenuto anche conto di adeguate soglie di punibilità; l’estensione della possibilità, perl’autorità giudiziaria, di affidare in custodia giudiziale i beni sequestrati nell’ambito di proce-dimenti penali relativi a delitti tributari agli organi dell’Amministrazione finanziaria che nefacciano richiesta al fine di utilizzarli direttamente per le proprie esigenze operative”.

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cooperazione rafforzata di cui all’art. 6, comma 1”; contemplava sì “larevisione del regime della dichiarazione infedele”, ma “al fine di megliocorrelare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni all’effet-tiva gravità dei comportamenti”; limitava, infine, “la possibilità di ridurre lesanzioni” a “le fattispecie meno gravi”.

Una lettura “sistematica” delle richiamate norme avrebbe al più con-sentitodi ripristinare l’attenuantedaun terzoallametàodi intervenire sullafattispecie di omesso versamento dell’IVA (per la quale tuttavia, si sarebbeforse dovuto ragionare su una depenalizzazione “a monte”), ma non certa-mente prevedere l’effetto estintivo del pagamento per il reato di infedeledichiarazione o addirittura di omessa dichiarazione tout court, peraltroanche dopo la conoscenza di attività di accertamento; salvo a voler ritenere,con un’operazione interpretativa piuttosto ardita, che questo effetto “estin-tivo” rappresentasse una soluzione di “compromesso” - consistente nell’at-tribuire rilevanza penale anche ai comportamenti non fraudolenti,estinguendo tuttavia il reato a seguito del pagamento del tributo e delleconnesse sanzioni - per ovviare all’ambiguità di una Legge delega che, neldare rilievo “alla configurazione del reato per i comportamenti fraudolenti,simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazionefalsa”, sembrava voler individuare quale elemento distintivo della gravitàdel fatto meritevole di sanzione penale la relativa fraudolenza11.

La soluzione accolta dal legislatore delegato nello schema poi ritirato,dunque, non soltanto non avrebbe trovato un sicuro fondamento nelladelega, ma sarebbe risultata diametralmente opposta alla scelta legislativaoriginariamente trasfusa nel D.Lgs. n. 74/2000, che, come detto, avevaespressamente respinto l’effetto estintivo del reato dell’avvenuta estinzionedel debito tributario per timore dell’effetto “criminogeno” che ne sarebbederivato.

Del resto, per evidenziare l’insostenibilità - a tacer d’altro - della solu-zione proposta, era sufficiente pensare alla seguente “sequenza” che sisarebbe venuta a determinare: i) infedele dichiarazione (penalmente rile-vante)12 - ii) attività di verifica (solo eventuale) - iii) PVC (idoneo, nellapeggiore delle ipotesi, a recuperare l’intero maltolto) - iv) ravvedimentooperoso (esperibile, a seguito della Legge n. 190/2014, sino alla notifica

11 Anche se, in tal caso, l’effetto estintivo avrebbe dovuto riguardare anche il reato di cuiall’art. 10-quater, almeno nella misura in cui non si trattasse di ipotesi fraudolente. Si pensi aicrediti “non spettanti”, che riguardano anche quei crediti che, pur certi nella loro esistenza edammontare, siano, per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabili (o non più utiliz-zabili) in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti tra i contribuenti e l’Erario:così, Cass., Sez. III pen., 26 gennaio 2015, n. 3367.

12 Non si prende in considerazione l’ipotesi di omessa presentazione della dichiarazioneper la quale è dubbio che sia consentito avvalersi del ravvedimento operoso al di fuori del casoespressamente disciplinato dall’art. 13, comma 1, lett. c) D.Lgs. n. 472/1997 di presentazionedella dichiarazione entro 90 giorni dalla scadenza del relativo termine.

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dell’avviso di accertamento), con pagamento delle sanzioni ridotte ad unafrazione del minimo - v) estinzione del reato.

Insomma, avremmo assistito ad una manifestazione “estrema” dellanuova filosofia della “tax compliance” ormai alla base di numerosi e recentiinterventi legislativi13, cheavrebbeaggiunto, aquello cheè statogiàdefinitoda attenta dottrina come un “condono permanente” - per non presupporrepiù il ravvedimento operoso la spontaneità del comportamento del contri-buente successivo alla sua violazione14 - anche l’estinzione del reato.

Né si sarebbe potuto sostenere, a fondamento della scelta del legi-slatore delegato, che una siffatta soluzione conseguisse alla volontà diattuare il principio del ne bis in idem, sia nel suo profilo sostanziale, chein quello processuale15 elaborato dalla Corte EDU16 e dalla Corte di

13 È ben noto che nell’ottica di favorire l’adempimento spontaneo (“tax compliance”) neiconfronti della generalità dei contribuenti, il legislatore ha provveduto a recenti ed incisiviinterventi normativi. Innanzitutto, l’art. 1, comma 634 ss., Legge n. 190/2014 ha previsto unricorso sempre maggiore alle c.d. comunicazioni preventive, al fine di segnalare eventualianomalie risultanti dall’incrocio tra la posizione fiscale dei contribuenti ed i dati presenti nellebanche dati, e ciò anche prima della scadenza dei termini per la presentazione delle dichiara-zioni fiscali. In tal modo, l’Agenzia delle entrate potrà indirizzare la propria attività di accerta-mentonei confrontidiquei soli soggetti chenon intendanocollaborareoravvedersi. Il rapportotra il Fisco e i contribuenti che collaboreranno in modo leale nell’ambito del procedimento diaccertamento si baserà pertanto, sempredi più, su una relazione di tipo “orizzontale”,mentre icontrolli sugli altri soggetti, caratterizzati da unamaggiore “incisività”, resteranno improntatial tradizionale rapporto di tipo “verticale”. Sempre in tale ottica si collocano poi ulterioriinterventi normativi, tra cui, oltre all’ampliamento dei termini e delle modalità per fruire delravvedimento operoso, la revisione (qui in esame) del sistema sanzionatorio amministrativo epenale per garantirne una maggiore conformità ai criteri di proporzionalità e predetermina-zione, la completa rivisitazione della disciplina degli interpelli e l’introduzione della dichiara-zione “precompilata” con le relative conseguenze sul controllo c.d. formale. A ciò siaggiungono, infine, i recenti interventi che hanno interessato quegli istituti che tengono adincentivare il c.d. tax settlement, per definire quanto prima le controversie tributarie con ilFisco. Tra questi, l’avvenuto rafforzamento degli istituti c.d. deflattivi - soprattutto con riferi-mentoallamediazione ealla conciliazionegiudiziale - nonché lapossibilità (purequi in esame)di usufruire della non punibilità di taluni reati o di una significativa riduzione della penaapplicabile nel caso di pagamento dei tributi non dichiarati e/o non versati.

14 A. Giovannini, “Il nuovo ravvedimento operoso: il ‘Fisco amico’ e il ‘condono perma-nente’”, in il fisco, 2015, pag. 315 ss.

15 A. Tripodi, “Il ne bis in idem, si confronta con i suoi ‘limiti’: al vaglio di proporzionalitàdella Corte di giustizia la condizione d’esecuzione prevista dall’art. 54 della Convenzione diapplicazione dell’accordo di Schengen”, in Giur. cost., 2015, pag. 606.

16 La quale muove dalla qualificazione “sostanziale” (secondo i c.d. criteri Engel: quali-ficazione giuridica dellamisura, natura dellamisura, natura e gradodi severità della sanzione)della sanzione (penale o amministrativa), prescindendodalnomenattribuitonella legislazionedi appartenenza. Da ultimo, in materia tributaria, Corte EDU, 20 maggio 2014, Nikaenen c.Finlandia e, in dottrina, G. M. Flick, “Reati fiscali, principio di legalità e ne bis in idem:variazioni italiane su un tema europeo”, inRass. trib., 2014, pag. 939 ss. Analoghi sono i criteriutilizzatidallaCortediGiustiziaUE: ilprimoconsistenellaqualificazionegiuridicadell’illecitonel diritto nazionale, il secondonella natura dell’illecito e il terzonella naturanonchénel grado

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Giustizia UE, privilegiando la sanzione amministrativa su quellapenale17.

In disparte le ben note resistenze della recente giurisprudenza italianaall’applicazionedel principiodi specialità edel principiodelnebis in idemalsistema sanzionatorio tributario18, una siffatta spiegazione sarebbe statainfatti inappagante almeno sotto due profili.

In primo luogo, in quanto l’estinzione avrebbe riguardato solo alcunireati, riservandosi ai restanti il solo effetto attenuante dell’avvenuta estin-zione del debito.

In secondo luogo, in quanto l’estinzione avrebbe riguardato anchequelle ipotesi - disciplinate dal D.L. n. 269/2003 - in cui la sanzione ammini-strativa ricade su un soggetto (la persona giuridica) diverso dall’imputato,richiedendo il ne bis in idem l’identità soggettiva tra persona coinvolta nelprocedimento amministrativo e in quello penale19.

2. La soluzione di doppio binario accolta nel D.Lgs. n. 158/2015: nonpunibilità dei reati ed attenuazione della pena - Come anticipato, con il D.Lgs. n. 158/2015 si è giunti alla soluzione (finale?) di “sdoppiare” l’originariadisciplina contenuta nell’art. 13.

In particolare, tale disposizione “confluisce” nel “nuovo” art. 13-bis,rubricato “Circostanze del reato”, tuttavia con due rilevanti differenzerispetto al passato20.

La prima, che l’attenuante opera adesso “fino alla metà”. Si torna, insostanza, alla situazionequal eraprimadellemodificheattuate con ilD.L.n.138/2011 e, dunque, in sostanza, al testo dell’originario art. 13, D.Lgs. n. 74/2000.

di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere (sentenza 5 giugno 2012,causa C-489/10, Bonda, punto 37).

17 Anche l’inflizione di una sanzione amministrativa definitiva può infatti precluderel’avviodiunprocedimentopenalenei confronti dellamedesimapersona, in relazioneagli stessifatti che le vengono addebitati: Corte EDU, Ruotsalainen c. Finlandia, 16 giugno 2009,n. 13079/03.

18 Ad esempio, Cass., SS.UU., 28 marzo 2013, n. 37425; Cass., 1° ottobre 2014, n. 40526;Cass., 12 marzo 2015, n. 10475.

19 Vedi Cass., Sez. III pen., 30 ottobre 2015, n. 43809.20 Art. 13-bis (Circostanza del reato). “1. Fuori dei casi di non punibilità, le pene previste

per i delitti di cui al presente Decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le peneaccessorie indicate nell’art. 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento diprimogrado, idebiti tributari [relativiai fatti costitutivideidelittimedesimi - incisosoppresso],comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estintimediante integrale pagamentodegli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesioneall’accertamento previste dalle norme tributarie”.

2. Per i delitti di cui al presente Decreto l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 delCodice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo qualora ricorra la circostanzaattenuantedi cuial comma1,nonché il ravvedimentooperoso, fatte salve le ipotesidi cuiall’art.13, commi 1 e 2 (si sono sottolineate le differenze rispetto al testo di cui al D.L. n. 138/2001).

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La seconda, ben più importante, è che l’attenuante di cui all’art. 13-bis,opera adesso “fuori dei casi di non punibilità”, la cui disciplina è contenutanel “nuovo” art. 13, D.Lgs. n. 74/2000, rubricato “Causa di non punibilità.Pagamento del debito tributario”21.

Con tale disposizione, innovando profondamente in materia, il legisla-tore individua un insieme di ipotesi delittuose di carattere tributario cui èpossibile attribuire un trattamento di maggior favore, ulteriormente “gra-duato”a secondache l’accessoaquesto trattamentodi favore siapossibile inogni caso, oppure solo laddove il contribuente non abbia avuto formaleconoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attivitàdi accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

Ne risulta il seguente quadro finale:a) laddove si tratti di fattispecie di omesso versamento e di indebita

compensazione - con l’eccezione della compensazione di crediti inesistenti,inquantoconnotatida frode22 - se i debiti tributari vengonoestinti (sanzionied interessi compresi) prima della dichiarazione di apertura del dibatti-mento di primo grado, i reati non sono punibili;

21 “Art. 13 (Causa di nonpunibilità. Pagamentodel debito tributario). - 1. I reati di cui agliartt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione diaperturadel dibattimentodi primogrado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrativee interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche aseguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dallenorme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.

2. I reati di cui agli artt. 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni einteressi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito delravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine dipresentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché ilravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avutoformale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accer-tamento amministrativo o di procedimenti penali.

3. Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, ildebito tributario sia in fasedi estinzionemediante rateizzazione, ancheai finidell’applicabilitàdell’art. 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso laprescrizione è sospesa. Il giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per nonoltre tremesi, qualora lo ritenganecessario, ferma restando la sospensionedella prescrizione”.

22 Va rilevato, tra l’altro, che sussiste una diversa nozione di credito “inesistente” aseconda che si tratti di sanzioni amministrative o di sanzioni penali. Per le prime, infatti,l’art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997, come modificato dal D.Lgs. n. 158/2015, considerainesistenti quei crediti per iquali nonsolomanchi, in tuttoo inparte, il presuppostocostitutivo,maper iquali la relativa inesistenzanonsia riscontrabilemediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e ter, D.P.R. n. 600/1973, ovvero tramite l’art. 54-bis, D.P.R. n. 633/1972. In altri termini, sel’Erario è in grado di verificare agevolmente,mediante riscontri incrociati con i dati in propriopossesso, l’inesistenza del credito - sicché colui che ha compensato ha di fatto solo beneficiatodi unmero differimento nel pagamento già consapevole di essere poi “scoperto” conmatema-tica certezza - allora si resta nell’ambito degli omessi versamenti sanzionabili con il 30%dell’importo compensato, anziché sconfinare nella sanzione dal 100% al 200% dei creditiutilizzati in compensazione.

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b) laddove si tratti di reati dichiarativi, privi cioèdi elementi fraudolenti,opera parimenti la non punibilità del reato in caso di estinzione del debito,ma a condizione che l’autore del reato non abbia avuto la formale cono-scenza di cui sopra;

c) laddove, infine, si tratti di reati caratterizzati da frode - oppure deireati di cui al punto b), per i quali non sussistano tuttavia oramai più lecondizioni per accedere alla più favorevole non punibilità - trova applica-zione la sola attenuante di cui all’art. 13-bis.

Questo quadro fornisce, ad avviso di chi scrive, una risposta soddisfa-cente alle perplessità sopra evidenziate, dando vita a un sistema tuttosommato “coerente”, articolato sui tre livelli indicati.

Da un lato, infatti, la fraudolenza del fatto (compresa l’indebita com-pensazione di crediti inesistenti) fa da “spartiacque” tra le ipotesi a) e b) daun lato, in cui è possibile accedere alla non punibilità del reato, e quelle,connotate appunto da frode, in cui tale accesso è precluso, residuando lasola attenuante.

Dall’altro ancora, le fattispecie di omesso versamento beneficiano di untrattamento ancora di maggior favore rispetto ai reati dichiarativi, perl’evidente circostanza che nel primo caso, diversamente dal secondo, ilcontribuente ha dichiarato fedelmente le imposte da versare, salvo nonprovvedere, per i motivi più disparati (non di rado, indipendenti dalla suavolontà), al loropagamento.Anzi, poichénelle ipotesi a) e c) il pagamentoditributi, interessi e sanzioni deve avvenire entro il medesimo termine, costi-tuito dalla dichiarazione di apertura del dibattimento, agli omessi versa-menti trova applicazione sempre la causa di non punibilità e mail’attenuazione della sanzione penale.

Quanto alle fattispecie di omesso versamento, l’attuazione del Decretonon si spinge però al punto di depenalizzare tout court tali reati, prevalendopertanto la valutazione di una tutela “rafforzata” del credito erariale sullamancanza non solo di frode,maanche dimera “difformità”dichiarativa nelcomportamento del contribuente. Del resto, il profilomaggiormente criticoconnesso ai reati di versamento, e che maggiormente aveva impegnato igiudici penali, relativo alla possibilità di riconoscere all’illiquidità finanzia-ria efficacia scriminante sulla rilevanza penale delle omissioni tributarie -escludendo l’integrazione dell’elemento psicologico o del rapporto dicausalità - viene fortemente ridimensionato (ma non del tutto annullato)nella sua rilevanza pratica dal lasso di temponormalmente piuttosto ampioche intercorrerà tra tale momento e l’apertura del dibattimento.

Quantoalle fattispeciemeramentedichiarative, il legislatore, nel casodireati dichiarativi, offre comunque al contribuente un’ultima chance peruscire indenne sotto il profilo penale, alla condizione, tuttavia, che di vera“resipiscenza” si tratti, segnando pertanto una “cesura” rispetto alle sceltefatte in tema di ravvedimento operoso sul piano sanzionatorio amministra-tivo in nome della “tax compliance”. Da qui la causa preclusiva dell’avvio di

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accessi, ispezioni e verifiche, invece obliterata nello schema di Decretooggetto di ritiro e che interrompe adesso la sequenza “criminogena”sopra delineata cui la previsione contenuta nel citato schema avrebbedato vita23.

In ambedue i casi, il legislatore, insomma, tiene ferma l’antigiuridicitàdei comportamenti, reputando tuttavia inopportuna l’irrogazione dellapena pur di assicurare un interesse superiore, qui rappresentato dallapiena soddisfazione del debito tributario, secondo una valutazione diopportunità politico-criminale24.

Quel che appare più importante sotto un profilo sistematico è che larilevanza ai fini penali del comportamento “successivo” del contribuente,che non trovava alcun appiglio “diretto” nella Legge delega, finisce adessoper trovarlo, indirettamente,proprio inquella “proporzionalità”della rispo-sta penale (e della correlata “offensività” del comportamento del contri-buente) che la Legge delega assume, in ultima analisi, a fondamentodell’interventodi riforma,di fatto “spostando” sulmeropianosanzionatorioamministrativo, alle condizioni e nei limiti sopra indicati, la rilevanza deifatti (anche) costitutivi dei delitti di cui al D.Lgs. n. 74/2000.

3.L’ambito di applicazione oggettivo -Si è già accennato al fatto che il D.Lgs.19 giugno 1997, n. 218 non avesse esteso l’effetto di esclusione dallapunibilità del reo alla conciliazione giudiziale.

Ciononostante, la giurisprudenza di merito25 aveva attribuito una rile-vanza all’accordo raggiunto in esito alla conciliazione giudiziale nel caso incui esso avesse condotto a fissare l’ammontare dei corrispettivi evasi in unasomma inferiore alla soglia di punibilità stabilita dalla norma incrimina-trice. In particolare, il giudice avrebbe dovuto accertare che l’accordoraggiunto non fosse il frutto di ragioni semplicemente “transattive”, bensìfosse fondato su “considerazioni e rilievi di carattere oggettivo, trasponibilinel contesto del processo penale”, nel senso che siffatti considerazioni erilievi avrebbero condotto “anche nel caso di un dibattimento, ad abbatterein egual modo l’importo dell’evasione, riconducendolo entro limiti di

23 Peraltro, poiché tale preclusione concorre pur sempre a delineare i confini tra il lecito el’illecito penale, il riferimento ivi contenuto ad accessi, ispezioni e verifiche, ma anche a“qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali” appare un po’troppo generico, alla luce dei principi di tassatività e sufficiente determinatezza vigenti inmateria penale. Meglio sarebbe stata, forse, un’elencazione casistica più precisa, soprattuttocon riferimento alle attività amministrative suscettibili di integrare la “formale conoscenza”circa l’avvio di un accertamento.

24 Cfr. M. Romano, Commentario sistematico del Codice penale, sub pre-art. 50, vol. 1,Milano, 2004, pag. 523 ss., ove l’A. precisa che “dietro la generica e atecnica denominazionecodicistica di ‘non punibilità’ stanno qualificazioni legali profondamente diverse le une dallealtre, con importantissimi riflessi teorico-sistematici e non meno considerevoli conseguenzepratiche, data dalla differente disciplina applicabile”.

25 Trib. Verona, 2 dicembre 1999, in il fisco, 2000, pag. 3371, con nota di G. Maccagnani.

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irrilevanzapenale”. Aqueste condizioni, gli esiti potevanorecepirsi anche insede penale ai fini di considerare il fatto comenonprevisto dalla legge comereato.

Torneremo sul punto trattando della relazione tra la definizione in sedeamministrativa e il procedimento penale.

Preme qui soltanto evidenziare che il problema è adesso superatodall’art. 13 e 13-bis, D.Lgs. n. 74/2000, che - ponendosi in continuità conquanto già disposto dall’originario art. 13 - fanno riferimento alle “specialiprocedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle normetributarie” e, pertanto, comprendono certamente la conciliazionegiudiziale26.

Si tratta di un’espressione dotata di ampia latitudine semantica, idoneaad adattarsi ad un quadro normativo in continua evoluzione, come peraltrorilevato dalla stessa relazione governativa al Decreto del 2000, che, conlungimiranza, aveva rigettato l’ipotesi di un’indicazione normativa degliistituti rilevanti, ritenendo che essa avrebbe conferito alla disposizione unanon auspicabile rigidità.

È infatti noto che, a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, illegislatore tributario, nell’ottica di deflazionare il contenzioso, ha avviatoun percorso teso ad introdurre nel nostro ordinamento una serie di istitutiche si caratterizzano per il fatto che il contribuente, trovandosi in unasituazione di lite “potenziale” (o già “in atto”) con gli Uffici, addiviene aversare subito, in tutto o in parte, l’imposta oggetto di contestazione,rinunziando al contenzioso ed accedendo per l’effetto ad una serie divantaggi (quali la riduzione delle sanzioni, la copertura da possibili futuriaccertamenti sulla stessa annualità, il pagamento dilazionato delle sommedovute e via dicendo).

A seguito di ripetuti interventi normativi - da ultimo, con l’art. 1, comma637 e ss., Legge n. 190/201427 - il quadro degli strumenti c.d. deflattivi del

26 Del resto, va ricordato che l’originario art. 48, D.Lgs. n. 546/1992, intitolato “esamepreventivo e definizione della controversia”, fu introdotto al fine di dare attuazione allaspecifica Direttiva della delega contenuta nell’art. 30, comma 1, lett. b), Legge 30 dicembre1991, n. 413, che prevedeva “la facoltà di richiedere, in tutto o in parte, l’esame preventivo e ladefinizione da parte della Commissione tributaria di primo grado del rapporto tributario conconseguenteestinzionedei reati inmateria tributariaper i quali èammessa l’oblazione”: vediP.Selicato, “La conciliazione giudiziale tributaria: un istituto processuale dalle radici procedi-mentali”, in Giust. trib., 2008, pag. 681.

27 Il quale ha soppresso, con effetto dal 1° gennaio 2016, sia l’acquiescenza “rinforzata”(art. 15, comma3,D.Lgs. n. 218/1997); sia l’adesione al processo verbale di constatazione (D.L.n. 112/2008, che aveva introdotto il comma 1-bis all’art. 5 D.Lgs. n. 218/1997); sia, infine,l’adesione al contenuto dell’invito al contraddittorio (D.L. n. 185/2008, che aveva introdottol’art. 5-bis al D.Lgs. n. 218/1997). Nei due ultimi casi, come osserva A. Carinci, “Modifiche alravvedimento operoso: un nuovo modello di collaborazione Fisco-contribuenti”, in il fisco,2014,pag. 4340ss., si trattava, in sostanza, anchedi formedi “acquiescenza”, comportandoessil’accettazione integraledapartedel contribuentedelle richiestedell’Ufficio. La soppressionedi

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contenziosorisultaadoggicosìcomposto: l’accertamentoconadesione(art.1 e ss., D.Lgs. n. 218/1997); l’acquiescenza (art. 15, D.Lgs. n. 218/1997); ilreclamo e la mediazione (art. 17-bis, D.Lgs. n. 546/92); la conciliazionegiudiziale (art. 48, D.Lgs. n. 546/1992).

Tali strumenti - cheoperano tuttinella faseamministrativaadeccezionedella conciliazione giudiziale, che si svolge nella fase contenziosa - presup-pongono il coinvolgimento del contribuente nella fase procedimentaleoppure processuale, come nel caso degli istituti c.d. bilaterali, quali l’accer-tamento con adesione, il reclamo e la conciliazione giudiziale; altre voltenon la richiedono, come nel caso degli istituti c.d. unilaterali, rimessi allavolontà del solo contribuente, quale l’acquiescenza.

Agli istituti deflattivi del contenzioso tributario possono tuttavia ascri-versiancheil c.d. ravvedimentooperoso -comedetto, fortementepotenziatocon la Legge n. 190/2014 mediante l’eliminazione degli originari limititemporali e la limitazione delle cause preclusive connesse all’attività diverifica da parte della Guardia di finanza o dell’Amministrazione finanzia-ria28 - con il quale il contribuente può autonomamente procedere a correg-gere ipropri erroriprevenendocosì futurecontestazioni, salvo il pagamentodelle relative sanzioni in misura ridotta; nonché la definizione delle solesanzioni attraverso cui il contribuente, ricevuto un avviso di accertamento,si riserva di discutere il merito della pretesa tributaria, ma non anche lesanzioni, che definisce mediante il loro pagamento in misura ridotta.

Ebbene, anteriormente al D.Lgs. n. 158/2015, poteva discutersi se l’am-pia latitudine semantica dell’espressione “speciali procedure conciliative odi adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie” fosse teorica-mente idoneaomenoa ricomprendere tutti gli istituti sopra indicati e quellifuturi, ivi compreso il ravvedimento operoso, purché, tuttavia, essi si risol-vessero nell’estinzione mediante pagamento dei “debiti tributari relativi aifatti costitutivi dei delitti medesimi”. Era tuttavia certo che ne restavanoescluse tutte le ipotesi in cui l’oggetto della definizione fosse costituito dallesole sanzioni.

Il nuovo testo contiene adessoun riferimento espressoal “ravvedimentooperoso” nell’art. 13, e ciò sia che si tratti della non punibilità dei reati daomesso versamento (dove il ravvedimento deve intervenire prima delladichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado), sia che si trattidella non punibilità dei reati dichiarativi (dove il ravvedimento deve avve-nireprimadellaconoscenzadell’avviodi controlli odiprocedimentipenali).

tali istituti si collega al potenziamento del ravvedimento operoso, esperibile, come si diràsubito nel testo, senza più limiti temporali e con preclusioni “procedimentali” attenuate.

28 Sia pure limitatamente ai tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate, viene infattimeno la causa preclusiva rappresentata dall’invio di questionari, dall’accessopresso i locali delcontribuente e dalla consegna del PVC. Restano invece le preclusioni derivanti dalla notificadegli atti di liquidazione e di accertamento o dall’invio delle comunicazioni di irregolarità exart. 36-bis e ter D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis, D.P.R. n. 633/1972.

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Non lo contiene, invece, nell’art. 13-bis, sollevando una serie diinterrogativi.

In linea generale, si tratta da un lato di omissione certamente ingiusti-ficata, atteso che il ravvedimento operoso può ormai avvenire indipenden-temente dall’avvio dei controlli, sicché residua un suo spazio operativo nonsoloper i reati di frode (cheè spaziooperativo “pieno”, nonessendo tali reatiinteressati dalla causa di non punibilità), ma anche per i reati meramentedichiarativi, precisamente nella fase che va dalla conoscenza formale dicontrolli o procedimenti penali (che precludono, come detto, l’operativitàdella causa di non punibilità) alla dichiarazione di apertura del dibatti-mento (e fermi restando i limiti intrinseci all’istituto del ravvedimentooperoso); dall’altro, di omissione irrilevante, atteso che l’utilizzo nell’enun-ciato normativo dell’avverbio “anche” prima del riferimento espresso alle“speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previstedalle norme tributarie” attraverso cui può avvenire “l’integrale pagamentodegli importidovuti”, aprecertamentea formeestintivedeldebito tributarioqual è il ravvedimento operoso.

Occorre tuttavia interrogarsi circa il rapporto tra l’art. 13-bis e l’art. 14,comma 5, Legge 29 dicembre 1990, n. 40829, che prevede che la presenta-zione delle dichiarazioni integrative e la regolarizzazione degli adempi-menti escludano la punibilità per i reati (già) previsti dalla Legge n. 516/1982: ciò tenuto conto che, come è stato osservato30, l’art. 25, D.Lgs. n. 74/2000, non include alcun riferimento alla predetta disposizione tra quelleoggetto di abrogazione espressa, che dunque continua formalmente avivere.

Ora, il problema si pone in concreto per il solo art. 13-bis, dal momentoche ove si tratti delle ipotesi di cui all’art. 13, commi 1 e 2, la disposizione dicui al citato art. 14 verrebbe certamente “assorbita” dal nuovo regime, chepure prevede la non punibilità del reato.

Per l’art. 13-bis, il problema si pone in quanto, da un lato l’art. 13-bisprevedeunameraattenuante, e,dall’altro (aseguitodellaLeggen.190/2014)il ravvedimento operoso è adesso esperibile anche laddove siano avvenutiaccessi, ispezioni e verifiche e sino all’emanazione dell’avviso diaccertamento.

La questione è di non poco conto già per i reati dichiarativi, atteso che ilravvedimento operoso effettuato post accessi, ispezioni e verifiche

29 Art. 14, comma 5, Legge n. 408/1990: “La presentazione delle dichiarazioni integrativedi cui all’ultimo comma dell’art. 9 del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre1973, n. 600, e la regolarizzazione degli adempimenti ai sensi del comma 1 dell’art. 48 delDecreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, nei limiti delle integrazioni edelle regolarizzazioni effettuate, escludono la punibilità per i reati previsti dalDecreto legge 10luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 1982, n. 516”.

30 G. Sepio, F.M. Silvetti, “Gli effetti del ravvedimento operoso e degli altri strumentideflativi sulla punibilità del contribuente”, in il fisco, 2016, pag. 854 ss.

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condurrebbe appunto, con l’art. 13-bis, al mero abbattimento della san-zione, mentre con l’art. 14, comma 5 alla non punibilità del reato. Tuttavia,non può ipotizzarsi di “innestare” in un contesto completamente diverso,qual è quello delineatosi a seguito della Legge n. 190/2014 sul piano sanzio-natorio amministrativo e del D.Lgs. n. 158/2015 sul piano sanzionatoriopenale, una disposizione concepita quando il ravvedimento operoso costi-tuiva manifestazione di piena resipiscenza. Se il legislatore ha adessoindividuato nella piena resipiscenza - data dalla mancata formale cono-scenza di accessi, ispezioni o verifiche o di altri atti o attività preclusive - ildiscrimen tra la non punibilità e l’applicazione della mera attenuante neireati dichiarativi, non si può pensare di recuperare tale effetto di nonpunibilità solo perché il ravvedimento operoso tale resipiscenza non pre-suppone più sul piano sanzionatorio amministrativo. In altri termini, lasoluzione individuata dalla Legge n. 408/1990 si giustificava con la pienaresipiscenza del reo, e, per questo motivo, risulta certamente inapplicabilenel nuovo contesto.

Ove si tratti di reati di frode, la soluzione negativa appare certamenteindubitabile per il ravvedimento post accessi, ispezioni e verifiche, e ciò pergli stessi motivi appena delineati con riferimento ai reati dichiarativi: per ilfatto, cioè, che la non punibilità contrasterebbe con la complessiva ratio delD.Lgs. n. 158/2015 che, si ribadisce, attribuisce alla formale conoscenza diindagini amministrative e penali effetti preclusivi ai fini della nonpunibilità.

Del resto, la Corte costituzionale, chiamata a suo tempo a valutare lalegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5, nella parte in cui fissa (va)un limite temporale per correggere gli errori materiali contenuti nelladichiarazione, la ha dichiarata manifestamente infondata, traducendosila pretesa di procedere a tale correzione sino almomento dell’accertamentodefinitivo del maggior reddito in un sistema elusivo delle sanzioni predi-sposte dal legislatore per l’inosservanza delle disposizioni relative alladichiarazione dei redditi31.

Ci si potrebbe, invece, interrogare se la non punibilità possa operare peril ravvedimento effettuato prima della conoscenza formale delle indagini,tenuto conto che non sussisterebbero, in linea generale, preclusioni sullatipologia di reati interessati, avendo la giurisprudenza di legittimità affer-mato, sia pure in sentenze risalenti, l’applicabilità dell’art. 14, comma 5, atutti i reati di cui alla Legge n. 516/1982, ivi compresi quelli fraudolenti, invirtù della sua “formula normativa estremamente dilatata”32.

Diversamente dal ravvedimento post-preclusioni, l’elemento ostativoalla non punibilità nel caso di ravvedimento ante-preclusioni, si

31 Corte cost., 23 luglio 2002, n. 392.32 Cass.,Sez. IIIpen., 28maggio1996,n.2092.AncheCass.,Sez. IIIpen., 13 febbraio1996,

n. 456.

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collocherebbe qui su un piano logico antecedente, e cioè nella scelta dellegislatore di cui al D.Lgs. n. 158/2015 di riservare la non punibilità ai solireati diversi da quelli di frode, ora prescindendo dalla resipiscenza (reati diversamento), ora presupponendola (reati dichiarativi). Sicché si tratta dicomprendere se prevalga la piena resipiscenza oppure la volontà da partedel legislatore di riservare sempre la sanzione penale, sia pure attenuata, aireati di frode.

Ebbene, pare a chi scrive che l’operatività dell’art. 14, comma 5, debbaescludersi - oltre che per la considerazione di fondo che è il sistema stessocome delineato dal D.Lgs. n. 158/2015 a far propendere per la soluzionenegativa, per via della netta “graduazione” da esso stabilito tra le varie“categorie” di reato (di versamento, dichiarativo, fraudolento) che si èsopra delineata - per almeno altri quattro ordini di ragioni.

In primo luogo, perché la giurisprudenza, a seguito della formale abro-gazione dell’art. 48, D.P.R. n. 633/1972, ha ritenuto applicabile l’art. 14 allesole imposte sui redditi, il che, escludendo la portata generale e “sistema-tica” dell’art. 14 medesimo33, gli attribuirebbe una portata residua tale danon armonizzarla con il sistema ora vigente.

In secondo luogo, in considerazione del riferimento espressamenteoperato ai reati di cui alla non più vigente Legge n. 516/198234, ma ciònon tantopermere ragioni “testuali”, quanto inveceperché l’art. 14, comma5 ènormaormai troppo “lontana”, riferita com’è adun sistemapunitivo cheha perso di attualità, essendo mutati sia il bene giuridico tutelato, sia lacomplessiva ratio del sistema sanzionatorio penale, dapprima con il D.Lgs.n. 74/2000 e poi con lemodifiche ad esso apportate dal D.Lgs. n. 158/201535.

33 Cass., Sez. III pen., 24 marzo 1999, n. 3911.34 Purnonmancandochinehaaffermato laperdurantevigenzaanchedopo ilD.Lgs.n.74/

2000: così,E.Mastrogiacovo,Commentoall’art. 13, in I.Caraccioli, A.Giarda,A. Lanzi,Diritto eprocedura penale tributaria, Padova, 2001, pag. 405.

35 Non vi è dubbio, infatti, che la tramadella Legge n. 516/1982 rivelasse un ampliamentodell’oggetto giuridicodel reato tributario e il tendenziale “arretramento”della salvaguardiadalbene finale costituzionalmente protetto alla funzione amministrativa impositiva (L. DelFederico, Le sanzioni amministrative nel diritto tributario, Milano, 1993, pag. 138, nota 372).Quanto alle sanzioni penali, la Legge n. 516/1982 aveva indubbiamente sacrificato il principiodi offensività del reato, prestandosi a colpire anche inosservanze concretamente innocue sulpiano del prelievo tributario o che addirittura finivano per risolversi in un vantaggio per il fisco(V.Napoleoni, I fondamenti delnuovodiritto penale tributarionelD.Lgs. 10marzo2000,Milano,2000, pag. 9). Il D.Lgs. n. 74/2000 - sia pure con le eccezioni dell’occultamento delle scritturecontabili e dell’emissione o rilascio di falsa documentazione - restaura, invece, il principio dioffensivitàmedesimo, abbandonando lo schema del “reato ostacolo” e concentrandosi sui solifatti correlati, tanto sul versante soggettivo che su quello oggettivo, alla lesione di interessifiscali diversi dalle violazioni “formali” e meramente “preparatorie”. Il D.Lgs. n. 158/2015, nelriformare i reati tributari, ha ulteriormente ridotto l’area di intervento della sanzione penale aisoli casi connotati da un particolare disvalore giuridico e riservato all’impianto sanzionatorioamministrativo le condotte caratterizzate da un disvalore minore (ivi compresa l’elusionefiscale), purnon individuandonella frode ildiscrimen tra sanzionepenale edamministrativa.È

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In terzo luogo, perché sarebbe quantomeno strano che il legislatore siatalmente distratto da dimenticarsi, nell’ambito di una rivisitazione com-plessiva degli effetti penali dell’estinzione del debito tributario - all’interno,peraltro, di una revisione sistematica dell’intero impianto sanzionatoriotributario, amministrativo e penale - di abrogare espressamente l’art. 14,comma 5; se non, appunto, ritenendolo “implicitamente” abrogato. Delresto, ove il ravvedimento operoso conducesse, in ogni caso, alla nonpunibilità, il legislatore avrebbe di fatto (almeno parzialmente) “duplicato”la disciplina dei relativi effetti penali, originando inutili ed illogici problemidi coordinamento normativo.

Infine, per il tenore letterale dell’art. 13-bis, comma 2, laddove prevedeche “Per i delitti di cui al presente Decreto l’applicazione della pena ai sensidell’art. 444 del Codice di procedura penale può essere chiesta dalle partisolo qualora ricorra la circostanza attenuante di cui al comma 1, nonché ilravvedimentooperoso, fatte salve le ipotesi di cui all’art. 13, commi1e2”. Inaltri termini, da un lato viene fatta salva la “non punibilità”, riferendolaesclusivamente ai commi 1 e 2 - e dunque ai soli reati di versamento edichiarativi - e, dall’altro, si include il “ravvedimento operoso” tra le ipotesiche possono giustificare semmai il “patteggiamento”, presupponendo, per-tanto, che il ravvedimento implichi pur sempre la punibilità del reo.

In conclusione, un’operazione di “recupero interpretativo” dell’art. 14,comma 5, apparirebbe non solo anacronistica ma anche difficilmenteargomentabile sotto un profilo sia testuale che sistematico, dovendosipertanto giungere alla conclusione della sua abrogazione (tacita) per rin-novazione della materia, ai sensi dell’art. 15 delle Preleggi36.

Del resto,anche le ragionichesonostateaddotte inpassatoa favoredellasua “conservazione” dopo l’introduzione del D.Lgs. n. 74/2000, non paionopiù attuali almeno dopo il D.Lgs. n. 158/2015. Tra questi, il rischio di auto-denuncia37, visto che il ravvedimento è adesso espressamente previsto

dunque rimasta la rilevanza penale anche della dichiarazione infedele, il cui regime è statotuttavia meglio correlato al principio di proporzionalità, elevando la relativa soglia dipunibilità ed escludendo la rilevanza penale delle operazioni di ordine classificatorio aventiad oggetto elementi attivi e passivi effettivamente esistenti, delle violazioni delle norme intema di competenza ed inerenza, della indeducibilità di elementi passivi reali. Sul punto, siaconsentito rinviare a G. Melis, “Gli interessi tutelati”, in AA.VV. (a cura di A. Di Martino, A.Giovannini ed E. Marzaduri), Trattato di Diritto sanzionatorio tributario, doganale e valu-tario, Milano, 2016, pag. 1293 ss.

36 Come infatti osserva G.U. Rescigno voce “Abrogazione”, in Enciclopedia Treccani online, “L’idea che stadietroquestaprescrizione [vale adire l’art. 15delle preleggi con riferimentoall’abrogazione per nuova disciplina dell’intera materia] è che la ratio della nuova legge ècertamentediversadalla ratiodellavecchia (altrimenti il legislatorenonavrebbe introdottounanuova legge al posto della precedente ma si sarebbe limitato a modificare quella precedentesecondo opportunità), e dunque non si possono aggiungere alla nuova legge disposizioni cherispecchiano una diversa ratio”.

37 E. Musco - F. Ardito, Diritto penale tributario, Bologna, 2013, pag. 104.

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nell’art. 13, D.Lgs. n. 74/2000, poiché conduce per i reati di versamento edichiarativi alla non punibilità, sia pure, in quest’ultimo caso, nell’ipotesi dipiena resipiscenza. L’autodenuncia, in sostanza, sarebbe prevista dallostesso legislatore. Oppure, la circostanza che sia più conveniente per ilcontribuente attendere l’attività ispettiva dell’amministrazione anzichéprovvedere spontaneamente, dalmomento che: a) per i reati di versamento,trattandosi di importi dichiarati ma non versati, l’attività di controllo saràsostanzialmenteautomaticae comunquegli effetti sarebbero imedesimi; b)per i reati dichiarativi, è proprio la resipiscenza a condurre all’effetto piùfavorevole della non punibilità; c) per i reati di frode, questa valutazione di“convenienza”è irrilevantealla lucedallapiùampia “politica”del legislatorepenale tributario, che intende evitare la commissione “a monte” di siffattireati di frode piuttosto che agire ex post sul piano della non punibilità delreato. Ancora, la circostanza che il precedente art. 13 si riferisse espressa-mente alle sole “speciali procedure conciliative o di adesione all’accerta-mento previste dalle norme tributarie”, che appare del tutto irrilevante allaluce della nuova formulazione testuale, come sopra argomentato38. Infine,la naturale “spontaneità” del ravvedimento operoso, oramai venuta menocon la Legge n. 190/2014.

Un secondo profilo riguardante l’ambito di applicazione oggettivo delladisposizione in esame concerne i reati che ne formano oggetto.

Infatti, la circostanza che essa presupponga il pagamento di determi-nate somme, ha indotto parte della dottrina ad escludere dall’ambito diapplicazione quelle fattispecie - quali l’art. 8 (emissione di fatture false) el’art. 10 (distruzione delle scritture contabili), D.Lgs. n. 74/2000 - in cui nonsorgealcundebitodi imposta.Altrapartedelladottrina sostiene, invece, chenon occorra che il debito tributario ristorato sia la diretta conseguenza deldelitto, essendo sufficiente che esso presenti un grado di connessione con lafattispecie e, dunque, ne rappresenti anche una conseguenza indiretta39.Fermo restando, in questo ultimo caso, che è necessario che un debitotributario almeno sorga, circostanza che non si verificherebbe, ad esempio,nel caso in cui le fatture inesistenti non siano state utilizzate daldestinatario40.

4. Pagamento delle sanzioni amministrative, principio di specialità e ne bis inidem - Il comma 2 dell’art. 13 antemodifiche, prevedeva che “il pagamento

38 E. Mastrogiacovo, Commento all’art. 13, cit., pag. 402 ss.39 Sul punto, G.L. Soana, I reati tributari, Milano, 2005, pag. 319.40 SecondoE.Mastrogiacovo, “Commentoagli artt. 13 e 13-bis, D.Lgs. 74/2000”, inAA.V.V.

(a cura di I. Caraccioli), I nuovi reati tributari, Milano, 2016, pag. 272, nulla esclude che ilTribunale possa riconoscere l’attenuante qualora il contribuente abbia definito la violazionesostanziale, nei cui confronti la condotta penalmente rilevante si ponga in un rapporto distrumentalità (come nel delitto di distruzione e occultamento delle scritture contabili) o diconseguenzialità (come nel delitto di sottrazione fraudolenta).

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deve riguardare anche le sanzioni amministrative previste per la violazionedelle norme tributarie, sebbene non applicabili all’imputato a norma del-l’art. 19, comma 1”.

Questa disposizione è adesso venuta meno, mentre il legislatore haaggiunto alla parola “tributo” l’espressione “comprese sanzioni ammini-strative e interessi” quale oggetto necessario di pagamento per accedere aibenefici41.

Si tratta di una questione di non poco conto, perché in effetti la prece-dente disposizione prevedeva due “norme” distinte: la prima, relativa allanecessità di pagare anche le sanzioni amministrative; la seconda, relativaalla necessità di pagamento di dette sanzioni ancorché non applicabiliall’imputato per effetto del principio di specialità sancito dall’art. 19,comma 1.

Il problema, all’evidenza, è quello della possibilità che si verifichi unadoppia risposta sanzionatoria, amministrativa e penale, tanto più se ilpagamento della sanzione amministrativa rappresenti la condicio sinequa non per l’accesso ai benefici sul piano penale.

Questa eventualità, particolarmente sentita nel sistema normativo anteD.Lgs. n. 158/2015 per via della citata “deroga” all’art. 19, ha adesso persoparzialmente rilevanza per effetto della non punibilità prevista dall’art. 13,che elimina alla radice la doppia sanzione, concentrando la risposta san-zionatoria sul solo piano amministrativo.

Il problema rimaneperò attuale per le ipotesi interessate dall’art. 13-bis,richiedendo, altresì, di comprendere la motivazione della soppressione delriferimento all’art. 19.

Va premesso che l’art. 19 è stato introdotto nel sistema del D.Lgs. n. 74/2000 per superare la regola del “cumulo” delle sanzioni nella materiatributaria e allineare il sistema penale tributario al principio generaleespresso dagli artt. 15 c.p. e 9, Legge n. 689/1981, ma la giurisprudenza nehadatouna lettura sostanzialmente “svalutativa”, taleda far riviveredi fattola duplicazione punitiva. A ciò si è aggiunto il “filone” processuale delprincipio del ne bis in idem, previsto sia dall’art. 50 della Carta dei dirittifondamentali dell’Unione Europea, sia dall’art. 4 del Protocollo n. 7 allaConvenzioneEuropeadei diritti dell’uomo, così come interpretato ed appli-cato dalla Corte di Strasburgo.

Si tratta, in linea di massima, di disposizioni operanti su piani diversi:sul piano della fattispecie astratta, senza alcuna valutazione del fatto nella

41 Un problema ulteriore riguarda l’espunzione, dopo l’espressione “debiti tributari”,dell’inciso “relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi”, dal che potrebbe dedursi che illegislatore richieda adesso il pagamento dell’intero debito, non solo di quello che ha datoorigine al rilievo di carattere penale. Sul punto, E.Mastrogiacovo,Commento agli artt. 13 e 13-bis, D.Lgs. 74/2000, cit., pag. 291, che sembrerebbe propendere per la soluzione negativa. Devetuttavia ritenersi implicitouncollegamento tra il debito che si vaadestinguere equellodacui siorigina il reato.

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sua concretamaterialità, opera il principio di specialità - dovendosi dunqueindividuare il concorso apparente di norme sulla base di elementi specia-lizzanti contenuti nell’una fattispecie e non nell’altra, ferma l’identità deirestanti elementi costitutivi (che si risolve, di regola, a favore della rispostapenale, stante la sussistenza del dolo specifico di evasione e/o il supera-mento di soglie di punibilità); sul piano del fatto nella sua concretamaterialità, e non già sul piano della struttura legale astratta della fattispe-cie, opera invece il principio del ne bis in idem42.

Tanto premesso, ci pare utile ragionare su ciascuna delle possibiliipotesi.

Laprima ipotesi è quella del contribuentepersona fisica, che inbaseallaprecedente formulazione, per accedere all’attenuante in esame, avrebbedovuto sicuramente versare, oltre al tributo, la sanzione amministrativaanche ove non dovuta in virtù del principio di specialità43.

Una tale condizione potrebbe, infatti, presentare dei profili diincompatibilità con il principio del ne bis in idem di cui all’art. 4 delProtocollo n. 7 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per comevalorizzato dalla giurisprudenza della Corte EDU, ove si giunga ad esigeredall’imputato il pagamento di una sanzione amministrativa che abbianatura “sostanzialmente” penale in aggiunta a quella penale stricto sensuin esito ad un possibile doppio “procedimento”44; salvo che, a escludere la

42 Da tributarista, non volendo invadere ambiti di studio altrui, mi limito a rinviare peruna recente ed efficace ricostruzione dello stato della questione, a M. Dova, “Ne bis in idem ereati tributari: a che punto siamo?”, in Diritto penale contemporaneo, 2016, reperibile all’indi-rizzowebhttp://www.penalecontemporaneo.it/upload/1455100124DOVA_2016a.pdf, eall’am-pia bibliografia e ai riferimenti giurisprudenziali nazionali, internazionali ed europei iviriportati.

43 Art. 19, comma1: “Quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titoloII e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizionespeciale”.

44 DallagiurisprudenzadellaCorteEDUparrebbe, ineffetti, evincersi chenonoccorrachesi sia aperta una fase stricto sensu “processuale” per attivare la garanzia del ne bis in idem“processuale”, ma solo che vi sia la definitività della sanzione in esito ad un “procedimento”:così accade nella già citata sentenza della Corte EDU 16 giugno 2009, Ruotsalainen v. Finland(Application no. 13079/03), dove la sanzione amministrativa non aveva formato oggetto diimpugnazione e pertanto si era resa definitiva. Come la Corte EDU precisa nella richiamatasentenza, infatti, daun lato “TheaimofArticle 4 §1ofProtocolNo.7 is toprohibit the repetitionofcriminalproceedings thathavebeenconcludedbya final decision” (par. 41), e, dall’altro, “the legalcharacterisation of the procedure under national law cannot be the sole criterion of relevance forthe applicability of the principle of non bis in idemunder Article 4 § 1 of ProtocolNo. 7.Otherwise,the application of this provisionwould be left to the discretion of theContracting States to a degreethat might lead to results incompatible with the object and purpose of the Convention (see, mostrecently, Storbråten v. Norway (dec.), no. 12277/04, ECHR 2007... (extracts), with furtherreferences). The notion of ‘penal procedure’ in the text of Article 4 of Protocol No. 7 must beinterpreted in the light of the general principles concerning the corresponding words ‘criminalcharge’ and ‘penalty’ in Articles 6 and 7 of the Convention respectively” (par. 42). In ogni caso, sulpiano sanzionatorio amministrativo tributario, va rilevato che la conciliazione giudiziale si

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violazione del principio, non valga il rilievo del carattere comunque volon-tario (e, dunque, non coatto) del pagamento, finalizzato a ottenere unbeneficio proprio in sede penale consistente nella riduzione della sanzionepenale stricto sensu che si somma a quella (pure ridotta, anche in modoconsistente) amministrativa45.

Ora, il venir meno dell’espresso riferimento potrebbe ricollegarsi, sottoquestoprofilo, allanuovaconseguenzadella “nonpunibilità”del reatoper leipotesi di cui all’art. 13, dove, come si è detto, un problema di specialità e di“doppio binario” neanche si pone. In questo caso, è pertanto naturale che lasanzione amministrativa sia dovuta per accedere al beneficio, sia perchénon vi è alcuna deroga al principio di specialità (la norma incriminatricepenale è di fatto privata del suo profilo strettamente sanzionatorio), siaperché non si pone alcun problema dine bis in idem (la sanzione applicata èunica).

Il problema permane, invece, laddove si tratti di accedere alla meradiminuzione della pena, atteso che in tal caso, oltre alla sanzione ammini-strativa, trova applicazione anche la sanzione penale, sia pure attenuata.

In effetti, sul piano “sostanziale”, l’espresso riferimento alle “sanzioni”quale oggetto di estinzione necessitata per poter accedere all’attenuante adeffetto speciale, potrebbe certamente essere inteso quale deroga “implicita”alprincipiosancitodall’art. 19, così integrandounnebis in idem sostanziale.Diversa è invece la valutazione sul piano “processuale”, dove non può nonconstatarsi che, così facendo, da un lato non viene scongiurato il rischio diattivare più “procedimenti” e che, dall’altro, la chiusura di quello sanziona-torio “amministrativo”, che è presupposto di operatività del divieto dine bisin idem “processuale”, costituisce nell’impianto legislativo la condicio sinequa non per poter accedere all’attenuante ad effetto speciale e, pertanto,

colloca nella fase strettamente processuale, ancor più dopo la recente rimozione del limitealla sua esperibilità entro la prima udienza di trattazione.

45 A taleriguardo,occorrericordareche laCortedicassazione(Cass. civ.,21gennaio2015,n. 950, in il fisco, 2015, pag. 873 con nota di A. Palasciano, “Rinviata alla Corte costituzionalel’applicazione di sanzioni penali e amministrative per lo stesso fatto”), nell’ordinanza dirimessione con cui ha sottoposto a scrutinio di costituzionalità l’art. 187-ter T.U.F. (sanzioneamministrativa inmateria dimanipolazione delmercato), hamesso in dubbio che la norma siponesse in effettivo contrasto con il principio di ne bis in idem atteso che, nel caso di specie, lasanzione applicata in sede penale era scarsamente afflittiva in quanto “azzerata” dall’indulto.In particolare, con riferimento alla possibilità di ammettere, entro certi limiti, il cumulo disanzioni amministrative e penali (c.d. principio del doppio binario “attenuato”), la Cassazioneaffermache “tali riflessioni sono indottedallaDirettiva2003/6/CE(c.d. ‘MarketAbuseDirective -MAD’) che in materia di abusi di mercato impone agli Stati membri l’obbligo di adottaresanzioni amministrative - ‘effectìve, proportionate and dissuasive’ - lasciando loro la facoltà diprevedere nel contempo anche sanzioni penali - c.d. sistema a doppio binario - in forza delquale, incasodi convergenzadeimedesimi fatti, l’illecitopenaleconcorrecon il corrispondenteillecito amministrativo, con conseguente cumulo delle rispettive sanzioni, in deroga al princi-pio di specialità di cui all’art. 9 della Legge n. 689 del 1981”.

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condurre all’irrogazione definitiva della sanzione penale che di tale atte-nuante tenga conto (in aggiunta a quella amministrativa)46.

La seconda ipotesi è quella in cui il contribuente sia diverso (ad es.,società) dalla persona fisica imputata (ad es., l’amministratore).

Ora, l’attualedisposizione,cosìcomequellaprecedente,nonprevedechidebba provvedere al pagamento delle sanzioni amministrative (e, più ingenerale, delle somme necessarie ai fini dell’accesso all’attenuante), in altritermini se debba provvedervi l’imputato o possa provvedervi anche unaterza persona (nella specie, la società). Si tratta di problema già affrontatodallagiurisprudenzaconriferimentoall’attenuantedicuiall’art.62,n.6,c.p.e risoltonel sensodi ammettere il risarcimentoeffettuatodaun terzo tutte levolte in cui questi ne abbia conoscenza emostri la volontàdi farloproprio47.

La formulazione normativa certamente consente che al pagamentoprovveda anche un soggetto diverso da quello attivo del reato, differenzian-dosi, pertanto, dall’art. 62, n. 6 c.p.48.

Si tratta tuttavia di un profilo da valutare con molta attenzione.Va infatti ricordato che l’art. 19, D.Lgs. n. 74/2000, nell’introdurre al

comma1 il principiodi specialità, haprecisatoal comma2che “permane, inogni caso, la responsabilità per la sanzione amministrativa dei soggettiindicati nell’art. 11, comma 1, del Decreto legislativo 18 dicembre 1997,n. 472, che non siano persone fisiche concorrenti nel reato”. Tale ultimadisposizione, lo si ricorda, prevede a sua volta che “la persona fisica, lasocietà, l’associazione o l’ente nell’interesse dei quali ha agito l’autore dellaviolazionesonoobbligati solidalmentealpagamentodiunasommapariallasanzione irrogata, salvo il diritto di regresso secondo le disposizionivigenti”. Questo quadro normativo si completa, poi, con l’art. 7 del D.L.30 settembre 2003, n. 26949, in base al quale “le sanzioni amministrativerelative al rapporto fiscale propriodi società o enti conpersonalità giuridicasono esclusivamente a carico della persona giuridica”.

Possiamo dunque avere (almeno) i seguenti casi:1) soggetti con personalità giuridica (ex D.L. n. 269/2003), dove sia il

tributo, sia la sanzione sono imputabili al soggetto medesimo;

46 Solleva dubbi sul rispetto del principio del ne bis in idem anche V. Mastroiacovo,“Riflessi penali delle definizioni consensuali tributarie e riflessi fiscali delle definizionibonariedelle vertenze penali”, in Riv. dir. trib., 2015, pag. 167.

47 Cass., Sez. IV pen., 24 gennaio 2013, n. 23663 (risarcimento effettuato dalla società odall’ente nell’ambito del quale opera l’imputato); Cass., Sez. IV, 30 marzo 2009, n. 13870(risarcimento effettuato dalla società assicuratrice); Cass., Sez. IV pen., 11 aprile 2011,n. 14523 (risarcimento effettuato dal comune datore di lavoro di imputato e persona offesa).

48 Come evidenzia E.Mastrogiacovo,Commento agli artt. 13 e 13-bis, D.Lgs. 74/2000, cit.,pag.270, l’estinzioneeffettuatadalcontribuentedeveritenersi idoneaadescludere lapunibilitàper tutti i concorrenti nella commissione del reato. In questo senso, anche P. Fimiani, G. Izzo,“Gli effetti ‘inbonampartem’della riformadei reati tributari”, inDiritto penale contemporaneo,2016, pag. 15.

49 Conv. dalla Legge 24 novembre 2003, n. 326.

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2) soggetti privi di personalità giuridica in cui il tributo è imputabile allapersona fisica (ad es., il socio-amministratore di una società di persone perla maggiore IRPEF accertata) e la sanzione pure;

3) soggetti privi di personalità giuridica il cui il tributo è imputabile alsoggetto medesimo (ad es., la maggiore IRAP accertata per una società dipersone)mentre la sanzione alla persona fisica che per tale diverso soggettoha agito.

Tantopremesso, la relazioneministerialeall’originarioart. 13escludevache si trattasse di una deroga al principio di specialità, motivando laprevisione del pagamento della sanzione amministrativa quale criterio dicommisurazione legale del risarcimento del danno da reato ulteriorerispetto al mero pagamento dell’imposta.

Sennonché, tale prospettiva appariva criticabile sotto più punti di vista:i) non potendosi qualificare di per sé la sanzione quale “danno ulteriore” inmancanza di una sua effettiva ricorrenza, ii) non potendo il danno esserequalificato in via preventiva dalla stessa parte che lo pretende ed, infine, iii)non potendosi fare riferimento ad una somma certamente avulsa dal dannoeventualmente cagionato.

Sembra, dunque, che la ratio risiedesse esclusivamente nella volontà dievitare che la sanzione penale potesse essere preferita a quella amministra-tiva, invece legata all’entità del tributo evaso.

Ciò avrebbe dovuto significare, nel precedente assetto normativo, chedall’imputato non si sarebbe potuto pretendere anche il pagamento dellasanzione amministrativa, almeno nel caso in cui questa fosse esclusiva-mente riferibile ad un soggetto diverso, come nell’ipotesi disciplinata dalcitato D.L. n. 269/2003, posto che tale soggetto diverso avrebbe risposto invia autonoma della sanzione amministrativa, non pregiudicando la posi-zione dell’Erario e potendosi comunque ritenere “eliso” il danno per effettodelmeropagamentodel tributo. Ilpagamentodelle sommenecessarieai finidell’accesso all’attenuante può invero avvenire anche al di fuori delle pro-cedure conciliative50, sicché non necessariamente il pagamento della san-zione si accompagna al pagamento del tributo.

Del resto: i) da un lato, la norma precisava che le sanzioni erano dovute“sebbene non applicabili all’imputato a norma dell’art. 19, comma 1”, equindi, a contrario, ben potevano escludersi quelle non applicabili “ad altrotitolo”, come nel caso della disciplina speciale di cui al D.L. n. 269/2003; ii)dall’altro, nonpotevaprescindersi, in sededi interpretazionedellanormadequa, dalla necessità di tenere conto del principio di personalità dellaresponsabilità penale, evitando, dunque, per quanto possibile - e cioè, losi ribadisce, almeno nell’ipotesi in cui la sanzione amministrativa fosse

50 Si pensi alla società che versi l’IVA, ma non anche le sanzioni, ad esempio in quanto leritenga non dovute per obiettive condizioni di incertezza sull’ambito di applicazione dellanorma.

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esclusivamente imputabile ad altro soggetto - che l’applicabilità dell’atte-nuante dipendesse dal comportamento di un soggetto diversodall’imputato.

In questa situazione, restava naturalmente sullo sfondo la circostanzache, ai fini dell’accesso all’attenuante da parte dell’imputato, fosse necessa-rio il pagamento di un tributo imputabile ad un soggetto diverso dall’impu-tato (ipotesi sub 1 e 3), non superabile neanche con l’adempimentodell’imputato in luogo del debitore - effettuato in ipotesi, nell’inerzia dellasocietà, pur di beneficiare dell’attenuante in parola - atteso che in tal caso,pur determinandosi l’estinzione dell’obbligazione, l’imputato non avrebbeavuto alcun titolo per agire direttamente nei confronti del debitore51.

Ebbene, la soppressione della “deroga” espressa al principio dispecialità finisce purtroppo per sottrarre argomenti validi alla tesidell’applicabilità della sanzione solo se dovuta dall’imputato ab origine,sia perché viene meno la sua funzione “dichiarata” di risarcire un danno(che verrebbe, come detto, comunque “riparato” dalla società tenuta alpagamento delle sanzioni in via esclusiva), sia perché viene meno l’argo-mento a contrario sopramenzionato basato sulla lettera della (ex) “deroga”.

La difficoltà di contrastare efficacemente l’irrazionalità dell’averesubordinato l’attenuante al pagamento di una sanzione dovuta esclusiva-mente da altri, trova infine un ostacolo ulteriore in un passaggio dellasentenza della Corte costituzionale n. 95/2015, di cui si dirà immediata-mente, dove la Corte afferma che “con riguardo ai reati tributari vi è, diregola - anche se non immancabilmente - una diretta correlazione tra entitàdel danno cagionato e risorse economiche del reo (ove questi si identifichinel contribuente persona fisica), o da lui comunque gestite (ove si trattidell’amministratore o del liquidatore di società o enti), posto che il profittoconseguente al reato corrisponde all’imposta sottratta al Fisco”.

Nel caso di cui all’art. 11, comma 1, D.Lgs. n. 472/1997 - si tratta delleipotesi sub 2 e 3 - appariva invece già allora irrilevante, ai fini di escludereche l’imputato potesse non pagare le sanzioni amministrative ove

51 Vedi Cass., SS.UU., 29 aprile 2009, n. 9946, secondo cui l’adempimento spontaneo diun’obbligazione da parte del terzo, ai sensi dell’art. 1180 c.c., determina l’estinzione dell’ob-bligazione, anche contro la volontà del creditore,manonattribuisce automaticamente al terzoun titoloper agiredirettamentenei confronti del debitore, nonessendo in tal caso configurabiliné la surrogazionepervolontàdel creditore, previstadall’art. 1201c.c., néquellapervolontàdeldebitore, prevista dall’art. 1202 c.c., né quella legale di cui all’art. 1203, n. 3 c.c., la qualepresuppone che il terzo che adempie sia tenuto con altri o per altri al pagamento del debito; laconsapevolezza daparte del terzo di adempiere undebito altrui esclude inoltre la surrogazionelegale di cui agli artt. 1203, n. 5 e 2036, comma3, c.c., la quale, postulando che il pagamento siariconducibile all’indebito soggettivo ex latere solventis, ma non sussistano le condizioni per laripetizione, presuppone nel terzo la coscienza e la volontà di adempiere un debito proprio;pertanto, il terzo che abbia pagato sapendo di non essere debitore può agire unicamente perottenere l’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento, stante l’indubbio vantaggio econo-mico ricevuto dal debitore.

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intendesse procedere direttamente al pagamento del tributo dovuto pur dibeneficiare dell’attenuante, la circostanza che il soggetto nel cui interesse siera agito rispondesse in via solidale per una somma corrispondente allesanzioni amministrative. È infatti pur sempre la persona fisica la responsa-bile per le sanzioni amministrative - essendo peraltro previsto un diritto diregresso in capo al soggetto nel cui interesse si è agito - sicché ben avrebbepotuto operare, in linea generale, la “deroga” al principio di specialitàprevista dall’art. 13, comma2: tuttavia, ciò non avrebbe impedito di rilevarei medesimi dubbi di compatibilità con la CEDU già esposti per il caso dicontribuente persona fisica.

Va infine rilevato che le modifiche apportate dal D.L. n. 138/2011avevanoescluso ladiscriminazione rispetto aimeccanismipremiali previstidalla disciplina del processo penale, in primis il patteggiamento, il quale,essendo stato subordinato al pagamento delle somme di cui ai (precedenti)commi 1 e 2, è stato “allineato” alla disciplina prevista per l’estinzione deldebito tributario in sede amministrativa52.

Questa previsione è stata confermata dal D.Lgs. n. 158/2015, con laprecisazione (ovvia) della sua irrilevanza nel caso di operatività dellacausa non punibilità, e quella ulteriore (inutile) della sua operatività nelcaso di ravvedimento operoso.

Va ricordato, peraltro, che la Consulta è stata chiamata a pronunziarsisui limiti di accesso al patteggiamento53, rigettando tuttavia la q.l.c. per unduplice motivo: da un lato, perché le esclusioni dal patteggiamento rien-trano nella discrezionalità del legislatore, il cui esercizio è sindacabile soloove decampi nella manifesta irragionevolezza e nell’arbitrio; dall’altro, inquanto gli oneri patrimoniali che l’accesso presuppone si ricollegano allospecifico interesse alla integrale riscossione dei tributi; dall’altro ancora, inquantonon risulta compromesso l’esercizio di undiritto che laCostituzionegarantisce a tutti paritariamente, non vulnerando la negazione legislativadella facoltàdi chiedere il “patteggiamento” in rapporto adunadeterminatacategoria di reati il nucleo incomprimibile del diritto di difesa (in quantoesclusa per un largo numero di reati). Per completezza, alla citata q.l.c. si

52 Su questa discriminazione, vedi A. Uricchio, “Gli studi di settore: primi risultati eprospettive. Profili sanzionatori e strumenti deflativi dell’accertamento in base agli studi disettore”, in Atti del convegno tenutosi all’Università di Bari il 6 aprile 2001, in allegato a il fisco,n. 34/2001, pag. 11469 ss. Al tempo stesso, però, questa condizione ha sollevato gravi critichenella dottrina penalistica, che ha rilevato come l’avere condizionato il patteggiamento all’ese-cuzione di un comportamento “riparatorio” obliteri la logica ordinaria del patteggiamentostesso, trasformandolo in una sorta di “beneficio grazioso” concesso dal legislatore che deveesseremeritato dal reo. Sul punto,G. Flora, “Le recentimodifiche inmateria penale tributaria:nuove sperimentazioni del ‘diritto penale del nemico’”, in Dir. pen. e proc., 2012, pag. 20.

53 Corte cost., 14maggio 2015, n. 95, su cui si v. T. Ventrella, “L’accesso al patteggiamentopassa per la (ragionevole?) ‘strettoia’ dell’estinzione del debito tributario”, in Innovazione ediritto, n. 1/2016.

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accompagnavaquellaulteriorerelativaallapreclusionedispostadall’art.12,comma 2-bis, D.Lgs. n. 74/2000 alla sospensione condizionale della pena dicui all’art. 163 c.p. nei casi in cui ricorrano congiuntamente le condizioni iviindicate54 - alla quale gli imputati avevano subordinato la richiesta dipatteggiamento - che la Corte ha tuttavia dichiarato inammissibile unavolta esclusa in radice la possibilità di patteggiamento per i reati per cuisi procedeva55.

In ogni caso, essendo il patteggiamento subordinato al pagamento(anche) della sanzione amministrativa, esso solleva i medesimi dubbisopra evidenziati per l’operatività dell’attenuante ex art. 13-bis.

5. Alcune questioni relative agli effetti in sede penale dell’intervenutaestinzione del debito: attenuante ad effetto speciale, sospensionecondizionale della pena, misure alternative - L’art. 13, come modificato dalD.L. n. 138/2011, prevedeva, quale effetto dell’intervenuta definizioneamministrativa, la diminuzione delle pene previste per i delitti di cui alD.Lgs.n. 74/2000 finoadun terzoe lanonapplicazionedellepeneaccessorieindicate nell’art. 12 del Decreto medesimo.

Ilnuovoart. 13-bis ripristina lasituazioneanteriorealD.L.n.138/2011,edunque un’attenuante ad effetto speciale (art. 63, comma 3 c.p., con conse-guente applicazione, in materia di concorso con altre circostanze omoge-nee,delladisciplina ivi stabilita), inquantocomportaunadiminuzionedellapenasuperioreadunterzo,oltreallanonapplicazionedellepeneaccessorie.

Si differenzia, pertanto, dalle attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis,c.p., cui anteriormente alla riforma del 2000 venivano rapportati gli effettipenali del risarcimento del danno derivante da reato tributario.

L’abbattimento sino alla metà previsto dalla precedente disposizioneconduce, anchenell’ipotesi dell’applicazionedella penamassimadi sei anniprevista per talune ipotesi delittuose, alla sospensione condizionale dellapena, sempre che concorrano circostanze attenuanti, come quellegeneriche.

Questo effetto avrebbe potuto non verificarsi in conseguenza dell’atte-nuante così come modificata dal D.L. n. 138/2011, poiché essa cessava diessere speciale, il che aumentava certamente l’effetto intimidatorio.

54 Segnatamente, l’ammontare dell’imposta evasa superiore al 30% del volume di affari el’ammontare dell’imposta evasa superiore a euro 3 mln.

55 Di modo ché l’eventuale rimozione dell’ostacolo alla concessione della sospensionecondizionale, cui la richiestadiaccessoalpatteggiamentoera subordinata, sarebberimastadeltutto ininfluente sulla decisione che il rimettente era chiamato ad adottare. Al riguardo, delresto, la giurisprudenza ha chiarito che il giudice dimerito non può applicare la pena richiestadall’imputato disgiunta dal beneficio della sospensione condizionale, quando quest’ultimo siastato indicato come condizione della richiesta stessa: l’alternativa è tra ratificare in casopositivo l’accordo delle parti, oppure rigettare in toto la richiesta di patteggiamento (Cass.pen., Sez. IV, 21 gennaio 2011, n. 9455 in Cass. pen., 2012, pag. 1461).

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Per quanto riguarda le attenuanti comuni, l’art. 62, n. 6, c.p. restacertamente assorbito dall’art. 13-bis56. Se, peraltro, si accoglie la tesisecondo cui il medesimo articolo non sarebbe applicabile ai reati tributaritrattandosi di reati chenon incidono, senon indirettamente, sul patrimoniodello Stato - ledendo piuttosto il suo diritto costituzionalmente sancito allaimposizione dei tributi, alla loro riscossione ed alla loro successiva distri-buzione per le esigenze della collettività57 - rimarrebbe esclusa anchel’applicazione dell’art. 62, n. 4 relativo ai reati che cagionano un dannopatrimoniale di speciale tenuità, teoricamente applicabile nelle fattispeciein cui manca una soglia di punibilità (artt. 2, 8 e 10).

Il comma 3 dell’art. 13 - adesso non più riprodotto - prevedeva, infine,che “della diminuzione di pena prevista dal comma 1 non si tiene conto aifini della sostituzione della pena detentiva inflitta con la pena pecuniaria anorma dell’art. 53 della Legge 24 novembre 1981, n. 689”.

In altri termini, la diminuzione della pena che conseguiva all’applica-zione dell’attenuante non operava in funzione dei limiti cui si connette lapossibile applicazione delle misure alternative previste dalla disposizionecui il comma 3 rinviava.

Ciò significava che se, per effetto dell’applicazione della riduzione(unitamente, ad esempio, ad attenuanti generiche o con il ricorso a ritialternativi), la sanzione fosse scesa sotto i tre mesi di reclusione, non sisarebbe resaapplicabile la sanzionealternativadellapenapecuniaria.Ciòalfinedi evitare che il contribuentepagasse lamulta in sostituzionedella penadetentiva utilizzando le stesse disponibilità derivanti dall’evasione e, dun-que, di “monetizzare” il reato tributario, riservandosi il beneficio dellasospensione condizionale della pena per altre situazioni.

Tuttavia, occorre rilevare che a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 4,Legge12giugno2003,n.134, il limitedi“conversione”èstatoelevatoaseimesi,che pertanto è raggiungibile, in relazione alle fattispecie di cui agli artt. 4 e 5D.Lgs. n. 74/2000, con le sole attenuanti generiche ed i riti alternativi, dunque,anchesenzacontare leattenuantiregolatedalD.Lgs.n.74/2000.Permanevano,invece, gli effetti ostativiper le fattispeciedi cuiagli artt. 2e3,dalmomentocheesse prevedono una pena minima di 1 anno e sei mesi, poiché le attenuantigeneriche ed i riti alternativi non consentono di scendere sotto i sei mesi58.

In ogni caso, con l’espunzione del comma in esame è venuta definitiva-mente meno la preclusione appena illustrata59.

56 Si veda, al riguardo, la precedente nota 6. Come ha sottolineato la Corte costituzionale(n. 95/2015), la disposizione tributaria si pone in rapporto di specialità rispetto all’art. 62, n. 6,c.p.

57 Cass. pen., 11aprile 2002, n. 13481, inGiur. imp., 2002, pag. 1133 ss.; in sensoconformeanche Cass., Sez. III pen., 19 dicembre 2007, n. 47068.

58 Vedi G.L. Soana, I reati tributari, cit., pag. 317 ss.59 Sulla immediataoperativitàneiprocessi incorsoalladatadel22ottobre2015divigenza

delD.Lgs. n. 158/2015dell’effetto sostanziale di esclusionedel suddetto limite alla praticabilità

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6. I profili procedimentali e il rapporto tra i procedimenti/processi tributario epenale - Per quanto riguarda gli aspetti procedimentali e processuali, pos-sono essere svolte le seguenti considerazioni.

6.1. - Innanzitutto, lanorma individua - siaper l’art. 13, comma1, siaperl’art. 13-bis - un limite temporale nell’apertura del dibattimento di primogrado ex art. 492 c.p.p. Ne consegue che il pagamento dovrà avvenire dopoaver eseguito le formalità relative all’accertamento della regolare costitu-zione delle parti od anche prima, in fase di indagini o durante l’udienzapreliminare, ovvero in concomitanza con la proposizione delle questionipreliminari exart. 491c.p.p.Per i procedimenti che si concludonodinanzi alGUP con riti alternativi, il momento ultimo dovrà individuarsi, per ilpatteggiamento, nella formulazione concordata della richiesta e, per ilrito abbreviato, prima dell’inizio della discussione60.

Si tratta di un limite temporale che, come riportato nella relazione alloschema di Decreto del 2000, ha la finalità di “evitare lunghe sospensioni orinvii del dibattimento in prossimità della decisione o comunque ad istrut-toria avanzata, finalizzate ad iniziative risarcitorie”.

Ciò non toglie che la circostanza del pagamento successivo, ancheparziale, possa essere valutata ai fini del riconoscimento delle circostanzeattenuanti generiche ex art. 62-bis c.p., nonché ai fini della concreta deter-minazione della pena base, ai sensi dell’art. 133 c.p., posto che trattasi,comunque, di una positiva condotta successiva al reato.

Nel caso dei reati c.d. dichiarativi, il termine ultimo non può indivi-duarsi nell’apertura del dibattimento, poiché opera la causa preclusiva

della sostituzione di pena detentiva, vedi P. Fimiani, G. Izzo, “Gli effetti ‘in bonam partem’della riforma dei reati tributari”, cit., pag. 14, i quali richiamano la sentenza della Cortecostituzionale n. 19/1995.

60 Così, daultimo,Cass., Sez. III pen. 4 febbraio 2014, n. 5457, secondo cui “nel caso in cuiil procedimento venga definito con giudizio abbreviato, il pagamento del debito tributario, aifini del riconoscimento della relativa circostanza attenuante, deve aver luogo prima che abbiainizio la discussione”. Con questa sentenza la Cassazione dichiara di superare la precedenteCass., Sez. II pen., 22novembre2012, n. 45629, ove si leggeva che “nel caso che il procedimentovenga definito con il rito del giudizio abbreviato, il risarcimento del danno, tempestivo ai finidel riconoscimento dell’attenuante in parola, deve avvenire prima che sia pronunziata l’ordi-nanza del giudice che dispone il giudizio abbreviato, ex art. 438 c.p.p., comma 4”. Percomprendere la più recente posizione della Cassazione, occorre però prestare attenzionealle vicende che ne sono alla base. Dalla lettura del caso di cui alla sentenza n. 5457/2014,risulta che, prima dell’udienza di discussione, fosse stata solo richiesta l’applicazione dell’at-tenuante inesame,mentreall’udienzadidiscussione fossestataofferta laprovadelpagamento.La sentenza n. 5457/2014 sembrerebbe introdurre la distinzione tra rito abbreviato azionatosullabasediuna “richiesta semplice”percui il giudice si troveràadecidereallo statodegli atti, erito abbreviato azionato sulla base di una “richiesta complessa” per cui il giudice si troverà adecidere all’esitodiun’integrazioneprobatoriadell’imputato.Nellaprima ipotesi il pagamentodeveverificarsialmomentodella richiestadiammissioneal rito;nella seconda ilpagamentodeldebito tributario può avvenire successivamente all’ammissione al rito e la relativa prova puòessere offerta durante la (ridotta) fase istruttoria e sino all’udienza di discussione.

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della “formaleconoscenza”di attivitàdi indagineamministrativaopenale.Quanto alle prime, occorrerà pertanto fare riferimento ai principi elabo-rati dalla prassi in materia, che attribuisce rilevanza alla sola “notifica” dideterminati atti o all’espletamento materiale degli accessi, ispezioni everifiche61, con la precisazione, tuttavia, che la disciplina qui in esame,diversamente da quanto accaduto per le cause ostative alla c.d. voluntarydisclosure, non attribuisce alcuna efficacia preclusiva all’eventuale cono-scenza formale acquisita da soggetti solidalmente obbligati in via tribu-taria o concorrenti nel reato62, di talché la “conoscenza formale” dovràessere riferita al singolo indagato/imputato; quanto alle seconde, essepossono essere desunte dal codice di rito, consistendo nell’informazionedi garanzia, nell’avviso di conclusione e nella richiesta di proroga delleindagini preliminari, nell’invito a comparire per rendere interrogatorio,nella fissazione dell’udienza a seguito di opposizione alla richiesta diarchiviazione, nei decreti di sequestro, nelle ordinanze relative a misurecautelari personali, nelDecretopenaledi condannaenegli atti divocatio injus63.

61 Come infatti evidenziato nella circolare 10 ottobre 2009, n. 43/E (par. 10), ai sensi delcomma 4 dell’art. 13-bis, D.L. n. 78/2009, le operazioni di emersione non producono gli effettiprevisti qualora, alla data di presentazione della dichiarazione riservata, la violazione sia statagià constatata ovvero siano iniziati accessi, ispezioni e verifiche o altre attività di accertamentotributarioecontributivonei confrontidel contribuenteovverosianostati emanatineiconfrontidelmedesimoavvisidiaccertamentoodirettificaoattidicontestazionediviolazioni tributarie,compresi i predetti inviti, questionari e richieste. Al riguardo, affinché vi sia un effettopreclusivo alla regolarizzazione, gli atti menzionati devono essere stati portati formalmentea conoscenza del contribuente. Per formale conoscenza si intende la notifica degli stessi (insenso conforme, circolare n. 52/E dell’8 ottobre 2010). Sempre secondo l’A.F. (circolare, 23novembre 2009, n. 49/E, par. 8.1.), il contribuente che sia stato informato dalla propria bancache l’Amministrazione finanziaria ha chiesto dati e notizie sui suoi rapporti di conto corrente,può procedere all’emersione delle attività detenute all’estero, non essendo ravvisabile qualecausa ostativa all’efficacia dello scudo la “notizia” della richiesta istruttoria che i soggetti terziindicati nell’art. 32, comma 1, n. 7), D.P.R. n. 600/1973 destinatari della stessa, devonoimmediatamente dare al soggetto verificato, in forza del disposto di cui all’ultimo periododella citata disposizione. Si tratta, infatti, di una mera “informativa” che non può ritenersiidonea a soddisfare il requisito della “formale conoscenza” da parte del contribuentedell’attività istruttoria dell’A.F., provenendo da un soggetto da esso diverso, non essendorichiesta alcuna forma specifica per la sua comunicazione al contribuente e non prevedendola norma alcuna conseguenza per l’inosservanza di tale obbligo di comunicazione.

62 Foriera peraltro di problemi di non poca importanza, dal momento che, come eviden-ziato dalla stessa Amministrazione finanziaria (circolare, 16 luglio 2015, n. 27/E), non essen-dovi coincidenza soggettiva tra il soggetto che richiede l’accessoallaprocedurae chihaavuto laformale conoscenza del provvedimento suscettibile di determinare l’inammissibilità allastessa, l’effettiva conoscenza della causa ostativa da parte dell’istante non è certa, potendoessere lo stesso ignaro. Al riguardo, l’A.F. ha ritenuto che, nel rispetto dei principi di lealtà e digaranzia che devono improntare i rapporti tra fisco e contribuente, la norma introduca unapresunzione di conoscenza che non deve essere considerata in senso assoluto.

63 Così, testualmente, la Relazione n. III/05/2015 del 28 ottobre 2015 dell’Ufficio delMassimario, settore penale, della Corte di cassazione, pag. 44.

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6.2. - In secondo luogo, poiché il nuovo sistema non contempla più lasola attenuante, bensì anche la non punibilità, ne vanno esaminati i relativiprofili processuali.

In effetti, sia l’estinzione del reato che la causa di non punibilità condu-cono ad una non punibilità “in concreto” del soggetto agente ma in mododiverso.

L’art. 129 c.p.p. consente la declaratoria di nonpunibilità per estinzionedel reato in ogni stato e grado del processo, sicché, in presenza di un fattoestintivo del reato, il giudice dovrà dichiararlo con immediatezza. Per lecausedinonpunibilità sopravvenute, invece,nonvièun’espressaprevisioneall’interno dell’art. 129 c.p.p., il che significa che il giudice dovrà comunqueaccertare prima l’esistenza di tutti gli elementi costitutivi del fatto di reato.L’esclusione dei casi di “nonpunibilità”dall’alveo applicativo dell’art. 129 c.p.p. vienegiustificata con la circostanzache taledisposizione si riferisceallesole formulecherealmentepossanocondurreadun’immediatadeclaratoriadi non punibilità in ogni stato e grado del processo64. In presenza di unacausa di esclusione della punibilità il giudice penale dovrà pronunciaresentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. durante l’udienzapreliminare, oppure, ex art. 469 c.p.p. nella fase predibattimentale, aseconda del momento in cui sia intervenuta l’estinzione del debito.

È invece dubbia la possibilità di richiedere l’archiviazione ove il PMabbianotiziadell’avvenutaestinzionedeldebitonella fasedelle indagini,dalmomento che l’art. 411 c.p.p. non fa riferimento alcuno alle cause di nonpunibilità, senonalla specifica ipotesidi cuiall’art. 131-bisc.p. (“Esclusionedella punibilità per particolare tenuitàdel fatto”), offrendoanzi in talmodo,a contrario, un argomento a favore della non applicabilità generalizzatadell’archiviazione alle cause di non punibilità. Sarebbe pertanto statoopportuno che il legislatore tributario prevedesse analoga disposizioneanche per le cause di non punibilità di cui all’art. 13, D.Lgs. n. 74/2000,evitando così inutili ulteriori attività procedimentali o processuali.

Va infineprecisatoche inquesta ipotesi nonèapplicabile l’art. 651 c.p.p.che riguarda l’efficacia del giudicato penale di condannanei giudizi civili edamministrativi di danno, dal momento che questa norma fa esplicito rife-rimento alla sola sentenza di condanna e non anche a quella di assoluzione.

Quanto agli effetti che promanano in sede civile della sentenza penaleche assolve per una causa di non punibilità, gli stessi sono diversi da quelliche si avrebbero nel caso di sentenza che dichiara l’estinzione del reato. Inquest’ultimo caso, infatti, l’esistenza del reato verrà comunque valutata dalgiudice civile, nel secondo, invece, la sentenza dibattimentale di nonpunibilità, pur non avendo effetto di giudicato quanto all’accertamentodella sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che

64 E.Marzaduri, “Commento all’art. 129 c.p.p.”, inM. Chiavario (a cura di),Commento alnuovo Codice di procedura penale, Torino, 1990, pag. 117.

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l’imputato lo ha commesso, per la non applicabilità dell’art. 651 c.p., hacomunque pur sempre efficacia di giudicato per ciò che riguarda i fattimateriali oggetto del giudizio penale ai sensi dell’art. 654 c.p.p. cui deveessere riconosciuta l’applicabilità rispettoalleparti chesono intervenutenelgiudizio.

6.3. - In terzo luogo, vi è certamente la possibilità di estinguere il debitomediante compensazione, trattandosi di modalità di pagamento.

Essa è stata peraltro ammessa dalla stessaAmministrazione finanziaria(circolare n. 154/E/2000), fermo restando l’accertamento dell’esistenza delcredito oggetto di compensazione.

6.4. - In quarto luogo, si pone il problema del pagamento rateale.La giurisprudenza, in un caso relativo alla rateazione del pagamento

delle somme risultanti a seguito di accertamento con adesione65, aveva,infatti, precisato che “l’attenuante prevista dall’art. 13, D.Lgs. n. 74/2000, èsubordinata all’estinzione dei debiti tributari mediante pagamento”,anche a seguito dell’accertamento con adesione,ma che “l’atto di adesionenon è condizione sufficiente per l’estinzione dei debiti; questi dovrannoessere integralmente pagati, compresi sanzioni amministrative edinteressi”66.

Questa sentenza intendeva semplicemente rilevare l’inidoneità di unpagamento non ancora integrale per effetto della sua rateazione (peraltroassistita da garanzia fideiussoria) a configurare l’estinzione del debitorichiesta dall’art. 13. Essa ha tuttavia formato oggetto di un’erronea letturada parte della giurisprudenza successiva (e dello stesso Massimario), alpunto da escludere la rilevanza tout court dell’accertamento con adesione,per essere l’attenuante subordinata ... all’integrale estinzione del debitotributario67!

Quanto alla rateazione, la Riforma prevede adesso, all’art. 13, che “3.Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo

65 La giurisprudenza (Cass., Sez. III pen. 5 febbraio 2014, n. 5681 e Cass., Sez. III pen, 15settembre 2014, n. 37748) ha esaminato l’applicabilità dell’attenuante in esame anche in queicasi in cui il contribuente abbia ottenuto la possibilità di pagare ratealmente il proprio debitotributario al di fuori di procedure di accertamento con adesione. Si tratta, in particolare, diquelle ipotesi in cui al contribuente, ai sensi dell’art. 19, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, erastata riconosciuta una dilazione di un “debito di imposta già iscritto a ruolo e indicato nellacartella di pagamento”. Anche in queste sentenze la circostanza che il debito tributario nonfosse stato ancora integralmente estinto, ha precluso al contribuente la possibilità di ottenerel’attenuantedi cui all’art. 13 inquanto “presuppostodella concessionedell’attenuantedequa - èl’avere effettivamente estinto l’intero debito tributario prima della dichiarazione di aperturadel dibattimento di primo grado” (così la sentenza n. 5681 del 2014). Queste sentenze, dunque,confermano l’impostazione restrittiva della Cassazione e la estendono a tutte le forme dipagamento rateale del debito tributario.

66 Cass., Sez. III pen., 14 luglio 2004, n. 30580.67 Cass., Sez. III pen., 23 gennaio 2009, n. 3203 e, di recente, Cass., Sez. III pen., 7 gennaio

2013, n. 176; Cass., Sez. III pen., 19 giugno 2014, n. 26464.

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grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione,ancheai finidell’applicabilitàdell’art.13-bis, èdatounterminedi tremesiper ilpagamentodeldebitoresiduo. Intalcaso laprescrizioneèsospesa. Ilgiudicehafacoltàdiprorogaretaletermineunasolavoltapernonoltretremesi,qualoraloritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione”.

Ebbene, ladottrinaavevabenrilevatocomelarateizzazionenoncostituisseun’arbitraria concessione dell’Amministrazione finanziaria, bensì la meraapplicazione di una previsione normativa, e che (il precedente) art. 13 esigeval’avvenuto pagamento del debito senza porre limiti temporali68; il giudiceavrebbe pertanto potuto subordinare l’adesione alla richiesta della difesa alpreventivopagamentodelle rateaventi scadenzesuccessiveaquelle scaduteedonorate. E, del resto, la rateazione riguarda specialmente i debiti tributari diimporto ingente, sicché si sarebbe negata l’operatività dell’art. 13 proprio inquelle ipotesi in cui è massimo l’interesse dello Stato all’operatività di ognimeccanismo, anche premiale, che favorisca il pagamento del tributo. Se poi siconsidera pure la discriminazione che da una siffatta interpretazione sarebbederivato tra chidisponedelle capacità economicheperprovvedereall’integralepagamento e chi ne è inveceprivo69, ne conseguiva che essa era evidentementedovuta a ragioni pratiche correlate alla durata assai estesa che il periodomassimo di rateazione può, almeno in alcuni casi, avere70, il che rinvierebbein sostanza il processo penale alle calende greche.

68 Sul punto, diffusamente, S. Capolupo, “Accertamento con adesione e responsabilitàpenale”, in Corr. Trib., 2011, pag. 4018 ss.

69 Qualche “apertura” in tal senso poteva in effetti leggersi da Cass., Sez. III pen., 15gennaio2015,n.1738, relativaallapossibilità (negata)di revocare il sequestropreventivoexart.321 c.p.p. nel caso di ammissione al pagamento rateale e non solo nel caso di già avvenutaestinzione del debito. Dinanzi alla prospettazione della difesa che, altrimenti opinando, siincorrerebbe in illegittimità incostituzionale per irragionevolezza/diseguaglianza, discrimi-nando tra il soggetto che ha le risorse per adempiere integralmente in un’unica soluzione il suodebito tributario rispetto a quello che economicamente può avvalersi soltanto della rateizza-zione, laCortenonesclude inprincipiosiffattadiscriminazione, limitandosiadaffermareche ilcontribuentenonaveva “dimostrato che l’utilizzazionedelpagamento rateale sia stato fruttodiunasua inadeguatezzaeconomicaenonpiuttostodiunasuasceltagestionaledelle risorsedellasuaditta” e, inoltre, non si trattavadella “immobilizzazione sotto il vincolodella cautela penaledi tutto il patrimonio e non risulta quindi dimostrato che il ricorrente non abbia più nella suadisponibilità risorse sufficienti per procedere nell’adempimento, tra l’altro rateizzato, dell’ob-bligazione tributaria”.

70 Ferme restando le diverse discipline in materia di rateazione dei debiti tributariattualmente vigenti nel nostro ordinamento - e per le quali l’art. 6, comma 4, lett. c) dellaLegge delega n. 23/2014 prevede una omogeneizzazione: sul tema si veda A. Carinci, “Lariforma della rateazione in materia di tributi erariali nella Legge delega”, in il fisco, 2014,pag. 2368 ss. - ricordiamocheper le sommedovute inbase adavvisi di accertamento esecutivi ilcontribuente, in funzione della propria situazione economica come calcolata sulla base diappositi parametri, può richiedere un piano di rateazione ordinaria fino ad un massimo disettantadue rate mensili ovvero, al ricorrere di particolari circostanze, un piano di rateazionestraordinaria fino ad un massimo di centoventi rate mensili. In caso di peggioramento dellasituazione economica del contribuente, è possibile richiedere una proroga del piano di

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È in quest’ottica che si colloca il nuovo art. 13, tenuto anche conto che,nel frattempo, laConsulta, chiamataapronunciarsipropriosulla legittimitàcostituzionale - oltre che, come visto, in linea generale, sull’esclusione deireati dal “patteggiamento” - anche della specifica condizione per la rimo-zione di tale esclusione, costituita dall’avvenuta estinzione dei debiti tribu-tari, che il giudice remittente aveva posto con riferimento agli artt. 3(irragionevole disparità tra imputati in considerazione delle loro capacitàeconomiche) e 24 Cost. (limitazione del diritto di difesa dell’imputato nonabbiente), aveva dichiarato la questione infondata. Ciò sulla base dell’argo-mentazione - già richiamata sopra - della “normale”, ancorché non inde-fettibile, diretta correlazione tra entità del danno cagionato e risorseeconomiche del reo (ove persona fisica) o da lui gestite (ove amministratoreo liquidatore di società)71.

Il legislatore, infatti, tiene ferma l’integrale estinzione del debito, rico-noscendo soltanto, nel caso di rateizzazione in corso, la proroga “auto-matica” di tre mesi per il pagamento del debito residuo, termine durante ilquale la prescrizione del reato è sospesa, nonché l’ulteriore facoltà delgiudice di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi,qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione dellaprescrizione.

Già si registrano, tuttavia, le prime reazioni della giurisprudenza dimerito, con particolare riferimento al difetto di coordinamento con lanormativa riguardante il concordato fallimentare e la transazione fiscale,che non consente di effettuare pagamenti per debiti anteriori che si disco-stinodalpianoomologato, traducendosiciò inun irragionevole trattamentodeteriore per coloro che hanno avuto accesso a tali istituti, sostanzialmenteimpedendo loro di fruire della causa di non punibilità, con violazione degliartt. 3 e 24 Cost.72.

rateazione fino ad un massimo di ulteriori settantadue o centoventi mesi (art. 2, D.M. 6novembre 2013).

71 Corte cost., n. 95/2015. Osserva peraltro la Corte che si tratta di una questione analoga,mutatis mutandis, a quella riscontrabile in rapporto al delitto di insolvenza fraudolenta, di cuiall’art. 641c.p., rispettoal quale l’adempimentodell’obbligazionehaaddirittura effetti estintividel reato.

72 Trib. Treviso, Sez. pen., 23 febbraio 2016, che evidenzia come dopo l’ammissione allaprocedura del concordato preventivo non siano consentiti pagamenti lesivi della “par condiciocreditorum”, nel senso che i debiti devono essere pagati nell’ordine, nella misura, nei tempi econ le modalità previste nel piano concordato, nell’ambito di una procedura propria di unistituto di carattere prevalentemente pubblicistico. Non mancano, tuttavia, nella stessa giuri-sprudenza penale, impostazioni “contrattualistiche” del concordato preventivo, che non con-sentirebbe pertanto di “elidere obblighi giuridici, specie quelli aventi rilievo pubblicistico,come laprevisionedel versamentodell’IVAalla scadenzadi legge, la cuiomissioneè sanzionatapenalmente”: Cass., Sez. III pen., 14 maggio 2013, n. 44283. Sull’ordinanza del Tribunale diTreviso, v. ancheE.DeMita, “Concordati lunghi, ilFisco ‘intralcia’ l’esenzionepenale”, in IlSole- 24 Ore del 22 maggio 2016, pag. 19. È interessante evidenziare al riguardo che secondo un

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Quanto all’accertamento con adesione, avvilisce dover constatarecome si rinvengano tuttora recenti pronunzie di legittimità che riten-gono che l’attenuante di cui si discute non possa essere riconosciuta nelcaso di accertamento con adesione, di cui, al più, potrebbe tenersiconto ai fini della “dosimetria sanzionatoria”, “semmai anche mediantel’ambito discrezionale concesso al giudice ex art. 62-bis c.p.”73; fortu-natamente se ne contrappongono altre che, correttamente, consideranocome “indubbia” l’applicabilità del beneficio previsto dall’art. 13, D.Lgs.n. 74/200074.

Quanto al termine di tre mesi (prorogabili fino a sei) fissato dall’art. 13,comma 3 ai fini dell’estinzione del debito residuo - pur comprendendosi leragioni relative all’imposizione di un lasso cronologico così breve (i.e.evitare una lunga sospensione del processo penale, in attesa che il paga-mento rateale sia completato) - un termine “a mesi” appare comunquedistonico. Da un lato, un così breve iato temporale pare incoerente con itempi normalmente accordati per il pagamento rateale del tributo (fino adieci anni); dall’altro, il termine de quo sembra eccentrico rispetto alladurata media di un procedimento penale, che non pare giustificare tantafretta. In sedeapplicativa,qualora lacausadi esclusionedellapunibilitànonpotesse operare perché il debito tributario residuo non è stato estinto neibrevi termini di legge previsti, appare dunque doveroso dare rilievo ad unapuntuale esecuzione del piano di rateazione, comunque avvenuta entro laconclusione del procedimento penale, almeno ai fini di cui agli artt. 62-bis e133 c.p.

6.5. - In quinto luogo, sempre in tema di pagamento, si ritiene che lostesso non sia ripetibile in caso di sentenza di assoluzione, diversamente daquanto previsto dall’art. 14, D.Lgs. n. 74/2000 in tema di estinzione perprescrizione - rimasto invariato con la Riforma - ove una tale possibilità èespressamente prevista.

Come correttamente rilevato75, si tratta di una conseguenza del c.d.doppio binario che fa sì che la sommacorrisposta per l’estinzione del debitotributario nonpossa essere considerata indebito e, dunque, essere restituitaa colui che l’abbia corrisposta, anche qualora l’imputato sia stato assolto o il

orientamento giurisprudenziale di merito, alle società ammesse al concordato preventivonon sarebbero irrogabili neanche le sanzioni amministrative per omesso versamento delleimposte, in quanto opererebbe appunto la sospensione obbligatoria di tutti i pagamenti, sì danon potersi pagare le somme derivanti da obbligazioni anche fiscali se non con le regoleproprie della procedura in essere, di modo da rispettare il principio di parità di trattamentodei creditori: Comm. trib. prov. di Milano, 22 aprile 2016, n. 3675/40/2016.

73 Cass., Sez. III pen., 18 aprile 2013, n. 17706.74 Cass., Sez. III pen., 6 marzo 2014, n. 10814.75 V. Mastroiacovo, Riflessi penali delle definizioni consensuali tributarie e riflessi fiscali

delle definizioni bonarie delle vertenze penali, cit., pag. 161 ss.

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reato risulti prescritto e finanche risulti vittorioso all’esito del giudiziotributario76.

6.6. - In sesto luogo, si pone il problema della prova dell’avvenutadefinizione amministrativa.

Al riguardo, il Decreto del Ministero delle Finanze 13 giugno 2000 haprevisto il rilascio di un’attestazione da parte dell’Ufficio al contribuente diavvenuta estinzione del debito relativo ai reati oggetto del procedimentopenale.

Si tratta, tuttavia, di unatto amministrativoprivodi efficacia vincolantenei confronti del giudice penale, che dovrà valutare la correttezza delpagamento soltanto in conformità alle vigenti leggi.

Conseguentemente, sia che esso sia stato rilasciato, sia che ne sia statonegato il rilascio, il giudice penale conserverà piena libertà diapprezzamento.

6.7. - Ancora, si deve rilevare come la novella in discorso perpetuiquell’uso un po’ “eccentrico” dell’istituto processuale del patteggiamento,già precedentemente invalso e dichiarato comunque legittimo dalla Cortecostituzionale (supra, par. 4 in fine).

Lacircostanzachel’accessoall’applicazionedellapenaconcordatasiastatasubordinata all’avvenuto, integrale pagamento dei debiti tributari, compresesanzioni amministrative e interessi, nonché al ravvedimento operoso (art. 13-bis, comma 3), attribuisce infatti al patteggiamento una funzione di politicacriminale, finalizzataallo stimolodi comportamenti virtuosi (il pagamentodeltributo evaso) ed “inquina” la ratio sottesa allo sconto sanzionatorio di cuiall’art. 444 c.p.p.: ossia, quella di compensare la rinuncia proveniente dall’im-putato al diritto di difesa ed al contraddittorio dibattimentale, con contestualeaccettazione della condanna, in vista della deflazione procedimentale.

6.8. -Ancora, l’art.12-bis, comma2,D.Lgs.n.74/2000, introdottodalD.Lgs.n. 158/2015, limita l’operatività della confisca penale per quella “parte che ilcontribuente si impegna a versare all’Erario anche in presenza di sequestro”.

Il legislatore sembrerebbe voler così risolvere il problema derivantedall’adozione di provvedimenti che abbiano l’effetto di privare il contri-buente della disponibilità finanziaria necessaria ad estinguere tributo,sanzioni ed interessi; e, quindi, ad accedere ai benefici premiali.

Da un lato, tuttavia, si interviene solo sul profilo della confisca e nonanche su quello del sequestro, dove si sarebbe ad esempio potuto prevederela possibilità di un pagamento eseguito direttamente dal custode giudizia-rio, su istanza dell’indagato-contribuente77.

76 M. Di Siena, La nuova disciplina dei reati tributari: imposte dirette ed IVA,Milano, 2000,pag. 195.

77 L’ipotesi in cui l’indagato a cui sono stati sequestrati i beni proponga istanza didissequestro affinché possa provvedere al pagamento tanto del debito tributario, quanto

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Dall’altro, restano aperti una serie di problemi, anche di caratterepratico-operativo, quali l’individuazione del “profitto” oggetto di confisca;nonché la questione relativa alle modalità e forme nelle quali debba mani-festarsi l’impegno del contribuente al pagamento di quanto fiscalmentedovuto, al fine di evitare la confisca.

A tale riguardo già si registrano i primi contrasti: la Corte di cassazione,infatti, ha prima reputato tale programma non preclusivo del sequestro edella successiva confisca, nei limiti degli importi non ancora corrispostiall’Erario78; per poi successivamente ritenere che ilmero impegno a versare(se pure formale) faccia venire meno la necessità della confisca sia diretta,sia per equivalente79.

6.9. - Infine, va esaminato il profilo attinente almomento incui si avvia ilprocedimento penale, che può presentare connotazioni diverse a secondadell’organo che avvia la fase istruttoria. Se l’attività istruttoria è posta inessere dall’Amministrazione finanziaria, questa potrebbe non procedereall’informativa di reato, perché, ad esempio, il procedimento di accerta-mentoconadesioneabbia tempi emodalità tali da ricondurrenell’areadellaliceità penale il comportamento del contribuente (ad esempio, in quanto siscenda al di sotto delle soglie di punibilità), salvo che non intercorra, tra la

della sanzione amministrativa, è certamente di grande rilevanza. Istanze simili pongono nonpochi problemi quando sia stata concessa in sede amministrativa la possibilità di unpagamento rateizzato, il che dovrebbe condurre all’adozione di un provvedimento di disse-questro “condizionato”. Questa tipologia di provvedimento, tuttavia, non trova alcun riscon-tro normativo, sicché queste istanze rischiano di essere rigettate, privando l’indagato/imputato della possibilità di accedere ad un trattamento sanzionatorio per lui più favorevole.A tale ostacolo di carattere “formale” se ne aggiungerebbe inoltre uno di carattere pratico,poiché nel caso in cui i beni dissequestrati non vengano destinati all’adempimento del debitotributario o al pagamento delle sanzioni amministrative, si renderebbe necessaria la richiestaal GIP di un nuovo sequestro. La soluzione potrebbe pertanto essere quella di imporre alcustode giudiziario il pagamento.

78 Cass.,Sez. IIIpen.,11febbraio2016,n.5728, in il fisco, 2016,pag.1076ss., connotadiC.Santoriello. Secondo la Cassazione, infatti, la previsione finale dell’art. 12-bis, comma 2,dimostrerebbe che la funzione del sequestro, pur a fronte di impegno a versare in toto lasomma dovuta (ad es., a seguito di un accordo per il pagamento rateale del debito), sarebbeproprio quella di garantire l’efficacia della confisca una volta constatato l’eventuale inadempi-mento di quanto in precedenza promesso. Ne deriverebbe, pertanto, secondo la Cassazione,che anche in presenza di piano rateale di versamento, la confisca continui ad essere consentitaper gli importi che non siano stati ancora corrisposti, così continuando ad essere consentitoanche il sequestro a detta confisca finalizzato.

79 Cass., Sez. III pen., 7 luglio 2016, n. 28225, secondo cui “l’assunzione dell’impegno, neisoli termini riconosciuti e ammessi dalla legislazione tributaria di settore (accertamento conadesione, conciliazione giudiziale, transazione fiscale, attivazione di procedure di rateizza-zione automatica o a domanda(, è di per sé sufficiente a impedire la confisca (diretta o perequivalente, la norma non fa distinzioni) dei beni che ne sarebbero oggetto poiché ritenutacomunque satisfattiva dell’interesse al recupero delle somme evase (o non versate) chedovrebbero essere ugualmente ottenute dall’esproprio dei beni del contribuente (in caso diconfisca diretta), o dell’imputato, se diverso (in caso di confisca per equivalente)”.

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constatazionee l’accertamentoconadesione,untempotaleda far ipotizzareun’omissione d’ufficio in capo ai verificatori per non aver interessatol’autorità giudiziaria. Ove, invece, l’istruttoria sia condotta dalla Guardiadi finanza e questa si trovi, ai sensi dell’art. 347 c.p.p., nella condizione didover informare, senza ritardo, il Pubblico ministero della notizia di reatoemersa nel corso dell’attività ispettiva, si porrà immediatamente il pro-blema del rapporto tra i procedimenti/processi tributario e penale, doven-dosi poi ragionare sulla rilevanza della successiva attività di accertamentoposta in essere dagli Uffici finanziari80.

Questoprofilo introduce il temadel rapporto tra iprocedimenti, rispettoal quale va rilevato quanto segue81.

Innanzitutto, affinché si producanogli effetti previsti dalla disposizionein commento, occorre che vi sia una corrispondenza tra l’oggetto del con-cordato con adesione o degli altri istituti rilevanti e l’oggetto dell’imputa-zione penale. Questo principio ha trovato applicazione in giurisprudenzacon riferimento sia al concordato dimassa di cui al D.L. 30 settembre 1994,n. 564, conv. in Legge 30 novembre 1994, n. 656, sia all’art. 2, D.L. n. 218/1997 nella parte in cui prevedeva originariamente la non punibilità delreato82.

Il punto più rilevante in tema di rapporti tra procedimenti e tra processiriguarda, tuttavia, il principio secondo cui la determinazione dell’impostaposta in essere dall’Ufficio nella misura in cui risulti confermata in sede dicontenzioso tributario, ovvero come resasi definitiva in esito all’applica-zione degli istituti deflattivi, non vincola il giudice penale.

Inparticolare, conspecifico riferimentoalprofilodel superamentodellesoglie di punibilità, la Cassazione ha rilevato che spetta esclusivamente algiudice penale il compito di procedere all’accertamento dell’avvenuto supe-ramento omeno delle soglie medesime - e, per tale via, alla determinazionedell’ammontare dell’imposta evasa - “attraversouna verifica chepuòvenirsia sovrapporre ed anche ad entrare in contraddizione con quella eventual-mente effettuata dinanzi al giudice tributario non essendo configurabilealcuna pregiudiziale tributaria”83. Ciò significa che se, ad esempio, in sede

80 Sul punto, diffusamente, S. Capolupo, Accertamento con adesione e responsabilitàpenale, cit., pag. 4018 ss.

81 Sul punto, si vedano anche le ampie considerazioni di V. Mastroiacovo, Riflessi penalidelle definizioni consensuali tributarie e riflessi fiscali delle definizioni bonarie delle vertenzepenali, cit., pag. 153ss., laqualeosservache l’introduzioneper ragionidi sistemadel c.d. doppiobinario risulti oggicoerente - inbilanciamentocon ilprincipiodiproporzionalitàdelle sanzioni- con una nuova disciplina che introduce cause di non punibilità, che, sembrerebbe coerente-mente e conseguentemente ad essa imporre di riconsiderare la nozione stessa di tributo qualemero istituto per il riparto delle pubbliche spese in ragione della propria capacità contributiva.

82 Trib. Torino, 26 marzo 1998, in Fisconline, con nota di B. Tinti.83 Cass.,Sez. IIIpen.,18aprile2014,n.17299;Cass.,Sez. IIpen.,28 febbraio2012,n.7739;

Cass., Sez. III pen., 21 giugno 2011, n. 24811; Cass., Sez. III pen., 26 febbraio 2008, n. 21213.

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di adesione si dovesse scendere al di sotto di siffatte soglie, il giudice penalepotrebbe riservarsi di entrare nelmerito della determinazione del quantumdebeatur.

Ii rilievo è senz’altro esatto, se solo si pensa alle sentenze della Consultann. 88 e 89 del 12maggio 1982, le quali hanno dichiarato costituzionalmenteillegittime, rispettivamente: i) ledisposizionidellaLeggen.4/1929nellapartein cui prevedevano che gli accertamenti dell’imposta e della relativa sovraim-posta, divenuti definitivi in via amministrativa, facessero stato nei procedi-menti penali per la cognizione dei reati preveduti dalle leggi tributarie inmateriadi impostedirette,sia inquantoinviolazionedeldirittoalladifesa,siain quanto differenziavano irrazionalmente la condizione degli imputatisecondo che l’imputazione fosse conseguente a un accertamento tributarioo meno e, nell’ambito degli accertamenti amministrativi tributari, fosserelativa a imposte dirette o indirette; e ii) l’art. 58, D.P.R. n. 633/1972, nellaparte in cui disponeva che l’azione penale avesse corso dopo che l’accerta-mento fosse divenuto definitivo anche nelle ipotesi, quali l’emissione difatture false, in cui il reato fosse del tutto indipendente dal relativo ammon-tare o dalla misura, superiore a quella reale, dei corrispettivi indicati.

Tale ultima pronunzia, in particolare, confermando la liceità della pre-giudiziale con riferimento alla determinazione dell’ammontare dell’impostaevasa, spiega il significato dell’attuale sistema, frutto appunto della precipuaabrogazione di quello precedente per effetto della Legge n. 516/1982, che hasancito l’autonomia tra processo penale e processo tributario (c.d. doppiobinario). Autonomiapoi estesa ai rapporti con il “procedimento amministra-tivo tributario” dall’art. 20, D.Lgs. n. 74/2000, che prevede adesso che “ilprocedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario nonpossono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente adoggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende larelativa definizione”, mentre la regola inversa, e cioè che il procedimentopenale non può essere sospeso dalla pendenza di un procedimento o di unprocesso tributario, si ricava dall’art. 3 c.p.p., che consente al giudice disospendere il processo solo “quando la decisione dipende dalla risoluzionedi una controversia sullo stato di famiglia o di cittadinanza”.

Da qui, dunque, la correttezza dell’assunto della giurisprudenza penalesopra evidenziato.

Ciononostante, la giurisprudenza penale hamostrato di non voler igno-rare le risultanzedel processo tributario.Essaha valorizzato, ad esempio, lepercentuali di ricarico applicate nell’avviso di accertamento previa “speci-fica autonoma valutazione degli elementi nello stesso descritti, comparan-doli con quelli eventualmente acquisiti aliunde”84;ma gli esempi di utilizzo,

84 Cass., Sez. III pen., 21 giugno 2011, n. 24811; Cass., Sez. III pen., 18 aprile 2016,n. 15899, che sottolinea che con riferimento alle percentuali di ricarico o alle presunzionilegali occorreche ilgiudicenonsi limiti aconstatarne l’esistenzaea fareunapodittico richiamo

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in ambito ad un tempo processuale penale e tributario, di elementi di provaacquisiti in uno dei due procedimenti, potrebbero essere numerosi85.

In tema di soglie di punibilità, essa ha poi affermato che il principiosancito dall’art. 20, D.Lgs. n. 74/2000, riguarda gli esiti del giudizio tribu-tario, che costituisce profilo distinto dalla pretesa tributariadell’Amministrazione finanziaria che fissa il limite della soglia dipunibilità. Se, infatti, il giudice penale non è vincolato all’accertamentodel giudice tributario, esso non può tuttavia neanche prescindere dallapretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria86. In questo ultimocaso, pur non sussistendo neanche qui un vincolo, il giudice, per discostarsidallapretesa inultimodefinitae riferirsi, ancheai finidel superamentodellesoglie di punibilità, alla pretesa originaria, dovrà disporre di “concretielementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’iniziale quantifi-cazione dell’imposta dovuta”, dovendo altrimenti assolvere l’imputato“perché il fatto non costituisce reato”87.

agli elementi in esso evidenziati, ma proceda a specifica, autonoma valutazione deglielementi nello stesso descritti comparandoli con quelli eventualmente acquisiti aliunde.

85 Vedi S. Golino - B. Lo Giudice, “Principio del doppio binario: interferenze tra conten-zioso tributario e procedimento penale”, in il fisco, 2013, pag. 2729 ss., ove gli esempi delleintercettazioni telefoniche, delle dichiarazioni di terzi e delle sommarie informazioni testi-moniali.Aciòsiaggiungonole interazionichenasconodavicendeparticolariquali il raddoppiodei termini oppure l’indeducibilità dei costi da reato: vedi M. Di Siena, “Doppio binario traprocedimenti tributario e penale: una metafora ferroviaria in crisi?”, in il fisco, 2014, pag.4259 ss.

86 Cass., Sez. III pen., 14 febbraio 2012, n. 5640, inCorr. Trib., 2012, pag. 891 ss., con notadi P. Corso, “Adesione all’accertamento: oneri probatori a carico del PM e poteri del giudicepenale”, e in Riv. dir. trib., 2012, pag. 532 ss. Vedi anche Cass., Sez. III pen., 23 giugno 2011,n. 25213; Cass., Sez. III pen., 18 aprile 2013, n. 17706, che dopo aver premesso la rilevanzametodologica del diverso contenuto dell’obbligazione tributaria e che “il giudice deve soloconsiderare le due diversemotivazioni e aderire a quella delle due che le risultanze processualiindicanocomeprovata”, conferma la sentenza impugnataperavere igiudicidimeritomotivato“in ordine alla veridicità del primo accertamento, alla stregua dei dati e degli elementiunivocamente indiziari come sopra richiamati”; Cass., Sez. IV pen., 18 febbraio 2014,n. 7615, inCorr. Trib., 2014, pag. 1007 ss., connota di I. Caraccioli, “Superato il ‘doppio binario’tributario-penale?”, ove anche un elenco dei settori di intervento in cui si è concretizzato ilfenomeno delle deroghe al c.d. doppio binario; Cass., Sez. III pen., 9 maggio 2014, n. 19138.

87 Il fatto illecito, infatti, esiste, ma non integra una fattispecie penalmente rilevantein quanto l’evasione si colloca al di sotto della soglia di punibilità. Le soglie sono intesedalla giurisprudenza talvolta come “condizione obiettiva di punibilità”, pertanto senzanecessità del dolo dell’autore (mancanza di conoscenza e volontà degli ammontari) e conconseguente riconduzione all’art. 44 c.p.: Cass., Sez. III pen., 23 giugno 2011, n. 25213;Cass., Sez. III pen., 20286/2012; Cass., Sez. III pen., 3 settembre 2014, n. 36703, in il fisco,2014, pag. 3581 ss., con nota critica di C. Beccalli, il quale evidenzia che la stessarelazione governativa al D.Lgs. n. 74/2000 affermava, con nettezza, che le soglie sono“da considerarsi alla stregua di altrettanti elementi costitutivi del reato e che, in quantotali, debbono essere investiti dal dolo”; ed altre volte come elementi costitutivi dell’illecito:Cass., Sez. pen., nn. 10346/2000, 1994/2005 e 42868/2013.

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Si pensi, soprattutto, ai casi in cui l’azione penale prenda lemosse da unprocesso verbale di constatazione della Guardia di finanza, dal quale risultiil superamento delle soglie, ma che l’Ufficio titolare della funzione diaccertamento ritenga di condividere in una misura tale da non determi-narne il superamento. In questo caso si imporrà, dunque, al PMun’indagineparticolareper supportare leconclusionidellaG.d.F. incontrastoconquelleraggiunte dall’Ufficio.

Insomma, la rilevanza dell’accertamento con adesione può andare oltrela mera attenuante ex art. 13-bis, per riflettersi anche sul merito, in quantoformadi definizionedella pretesa tributaria, conducendoadunapronunziadi assoluzione. Viene in tal modo garantita una “circolazione del materialeprobatorio” tra il procedimento tributario e quello penale che, pur nonsacrificando il principio del “doppio binario”, può, a certe condizioni,garantire una certa omogeneità rispetto ai relativi epiloghi.

In tale prospettiva, non sembra potersi condividere quella giurispru-denza penale che ribadisce “la piena autonomia del procedimento penaleper l’accertamento dei reati tributari, rispetto al processo tributario eall’accertamento tributario”,motivandonel senso che “nel diritto tributarioèormai chiara l’aperturaversounavera eproprianegoziabilitàdellapretesatributaria finale”88, almeno per l’accertamento con adesione.

Invero, tra le varie alternative che, allo stato attuale della legislazione edell’evoluzione dottrinaria, si pongono con riguardo all’individuazionedella natura giuridica degli istituti in esame - e in particolare quale: i) attounilaterale della Pubblica amministrazione, con l’assunzione dell’adesionedel contribuente quale condicio iuris per la sua efficacia, ii) contratto ditransazionee iii)accordobilateralenonaventenaturacontrattuale - l’ultimaricostruzione appare certamente quella preferibile.

L’accordo che conduce all’adesione è l’elemento grazie al quale si formaesi conclude l’attoe si supera la res incerta.Tale rilevanza,però,nonè taledatrasformare l’attobilaterale inuncontratto,nédidirittoprivato,nédidirittopubblico perché, mancando la pariordinazione (e, quindi, la possibilità difusione) delle rispettive volontà,manca anche la caratteristica peculiare delcontratto. L’accordo in questione, infatti, non ha una natura dispositiva inbase alla quale la determinazione del debito d’imposta dipende esclusiva-mente dalla volontà comune di ambedue le parti e, quindi, anche da quelladell’Amministrazione finanziaria assunta come espressione di autonomiaprivata.

La determinazione del debito fiscale cui si perviene con l’accertamentocon adesione è il risultato voluto dalla legge di una valutazione critica econcorde di soggetti non pariordinati, volta a superare lo stato di incertezzadella controversia e non a disporre liberamente del debito d’imposta.L’accertamento con adesione si verifica, infatti, in unmomento che precede

88 Cass., Sez. III pen., n. 1256/2013.

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la nascita del debito, e cioè in un momento in cui questo non è ancoradeterminatoe, comunque,puòessere sottopostoaverificagiudiziale in sedecontenziosa (salvo, appunto, che non intervenga l’adesione stessa).

Lo scopo delle parti resta, nella sostanza, quello di individuare consen-sualmente, adeguatamentemotivandola, una soluzione del contrasto inter-pretativo che sia conformealle disposizioni di legge applicabili nella specie.L’eventuale riduzione del debito è la conseguenza dell’applicazione di pre-cise norme tributarie con riferimento alla nuova situazione di fatto e didirittoconcordementeaccertata rispettoaquella incertaprecedenteenonlaconseguenzadiunadiscrezionalitàconeffetti di tipodispositivoespressadasoggetti pariordinati e portatori di comuni interessi89.

Maggiori dubbi si pongono, invece, con riferimento alla conciliazionegiudiziale, atteso che la disciplina contenuta nell’art. 48, D.Lgs. n. 546/1992sembra riconosceremargini di apprezzamentobenpiù ampi e, dunque, ancheaccordi che si pongano in un’ottica transattiva: in altri termini, sembra sacri-ficare sull’altare dell’interesse all’immediata acquisizione delle somme queiprincipidicapacitàcontributivaedieguaglianzachesonoallabasedellagiustaripartizione del carico impositivo e del connesso principio di indisponibilitàdell’obbligazione tributaria. Ed in effetti, nel senso transattivo della concilia-zionesièespressaanchelaCassazionesiacivile90chepenale91,allorquando,sulpresupposto della pariordinazione delle parti, riconosce che “la conciliazionegiudiziale di cui all’art. 48 attiene all’esercizio di poteri dispositivi delle parti”.

7. Conclusioni - Conclusivamente, occorre chiedersi se l’attuale soluzionenormativa - al di là delle criticità di taluni profili tecnico-applicativi sopraevidenziate - configuri un “punto di equilibrio” tra le esigenze, da un lato, dinon neutralizzare il carattere intimidatorio della sanzione penale e, dall’al-tro, di incentivare il contribuente ad eliminare le conseguenze del reatomediante il pagamento del tributo, degli interessi e delle connesse sanzioni.

Probabilmente, un “punto di equilibrio” era stato raggiunto, per stessaintenzione del legislatore, con il D.Lgs. n. 74/2000, ma la situazione erasignificativamente mutata per effetto della diminuzione dell’attenuante ope-ratacon ilD.L.n.138/2011, cheavevacontribuito,unitamentealle altremisurecontenute nel medesimo provvedimento, ad accentuare il carattere intimida-torio, anche se va pur sempre detto che la riduzione di cui al D.Lgs. n. 74/2000era, comunque, “sino allametà”, restando pertanto fermo il potere del giudicedi graduare l’entità della riduzione concessa al reo.

89 F. Gallo, “La natura giuridica dell’accertamento con adesione”, in Riv. dir. trib., 2002,pag. 425 ss.

90 Cass., nn. 9455/2005, 12314/2001 e 21325/2006.91 Cass., n. 9079/2013, ai fini dell’applicazione delle sanzioni ex Legge n. 231/2001 per

corruzione aggravata dall’avere per oggetto la stipulazione di contratti ex art. 319-bis c.p., inrelazione ad un pagamento effettuato ad un funzionario dell’Amministrazione finanziaria peraccettare la conciliazione anziché proseguire nel giudizio.

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A ciò si era aggiunta - ed essa permane a seguito dellemodifiche di cui alD.Lgs. n. 158/2015 - l’impossibilità di accedere al patteggiamento, rima-nendo ferma l’irrilevanzadell’attenuanteai fini delle c.d.misurealternative.

Sembra pertanto possibile affermare che il legislatore del D.L. n. 138/2011aveva puntato tutto sull’effettività della sanzione penale per spingere il con-tribuente a definire senza la “via di uscita” in precedenza costituita dal patteg-giamento; ma forse sarebbe meglio dire che esso aveva puntato tutto perspingereilcontribuenteadadempiere,sindasubito,all’obbligazionetributarianella sua interezza. Il contribuente era, infatti, reso edotto che, ove avessedeciso di non adempiere correttamente, la sanzione penale sarebbe stataeffettiva, non potendo egli contare su una rapida prescrizione del reato92 eche, inognicaso, laddovenonavesseadempiutosindasubitocorrettamente, lascelta si sarebbe risolta tra non pagare in sede amministrativa ed andare indibattimento oppure pagare, aprendosi così la via per un’eventuale applica-zione concordata della pena ed evitando così il dibattimento, fermo restandoche in tal caso l’attenuantemassima sarebbe stata di un terzo della pena, cui sisarebbe aggiunta la riduzione per il rito prescelto. Peraltro, rimaneva comun-que aperta l’evenienza che il contribuente fosse disinteressato all’attenuantedicui al citato art. 13 e preferisse affrontare un processo, confidando nellaprescrizione. La sensazione era, pertanto, che con il D.Lgs. n. 138/2011 fossemutata, ancora una volta, la prospettiva del legislatore: dall’interesse di spin-gere il contribuente adefinire assolutamente il tributo, proprio della soluzionedella non punibilità del reato (contravvenzionale), si era passati attraverso uncontemperamento tra efficacia intimidatoria ed interesse alla definizioneamministrativa, per giungere, infine, alla volontà di indurre innanzitutto ilcontribuente ad adempiere correttamente all’obbligazione tributaria, consi-derando la fase della definizione amministrativa come un passaggio soltantosuccessivo,ma obbligatorio per evitare la fase del dibattimento. Insomma, neldisegno del legislatore penale tributario del D.Lgs. n. 138/2011, l’interesse allariscossionedel tributoparevaessersi spostatodalla fasedegli istitutideflattiviaquella dichiarativa, delineando un disegno rispetto al quale si poneva incontrotendenza l’avvenuto potenziamento, ad opera della Legge n. 190/2014,dell’istituto del ravvedimento operoso che, superando i precedenti limiti dicarattere temporale e (in buona parte) le precedenti preclusioni di carattereprocedimentale al ravvedimento, “sminuisce” al contrario la fase dichiarativastessa. Ebbene, stando così le cose, il disegno di cui al D.Lgs. n. 138/2011sarebbestatodel tuttostravoltodallanormacontenutanell’art.13delloschemadi Decreto legislativo ritirato, potendo confidare il contribuente nell’effetto

92 Sull’estensione del termine prescrizionale, vedi supra, nota 2. La prescrizione non è,dunque, più così facile da “lucrare”, salvo che il processo richieda accertamenti particolar-mente complessi (ad es., una perizia sulle scritture contabili di una società di notevolidimensioni, per determinare il superamento delle soglie di punibilità).

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estintivo del reato del pagamento fatto sino al giorno precedente la notificadell’avviso di accertamento.

Il legislatoredelD.Lgs.n.158/2015,comevisto, faunpassoindietrorispettoa questa soluzione estrema, per “dosare” con equilibrio la sanzione penale aseconda del disvalore del reato nella progressione “reati di versamento - reatidichiarativi - reati di frode” e così fornire una risposta, ad avviso di chi scrive,coerente, con le premesse poste della Legge delega, con le particolari esigenzedei reati di versamento e con la nuova filosofia della “tax compliance”.

Per il resto, l’impianto del sistema penale delineato dal D.L. n. 138/2011rimane fermo, sicché mi pare che la volontà di indurre innanzitutto ilcontribuente ad adempiere correttamente l’obbligazione tributariarimanga fermo con la doppia postilla, come detto, dei reati di versamento(che richiedevano un intervento forse ancor più deciso) e dei reati dichia-rativi, dandosi qui rilievo a quella “resipiscenza” cui si è ormai fatta abiurasul piano sanzionatorio amministrativo.

Naturalmente, venuta meno l’ultima chance della resipiscenza, nella suc-cessiva fase degli istituti deflattivi il contribuente dovrà valutare se l’adesionenonpeggiori ilquadroprobatorioasuocaricoinsedepenalee, inparticolare,sequestanonaumenti laverosimiglianzadifondatezzadeirilievicheglisonostatimossi, sia in sedeamministrativa - determinando l’inoltro della denunciadellanotizia di reato93 - sia in sede penale (ove la denuncia già sia stata inoltrata),provocando almeno un effetto “suggestivo” e, certamente, rendendo più com-plesso per il contribuente prospettare una “versione”diversa da quella oggettodi adesione, salvo che si tratti, ad esempio, di reati commessi da terzi ausiliaridel contribuente, oppure nel caso in cui, come sarebbe potuto accaderenell’adesionealprocessoverbalediconstatazione(invigoresinoal31dicembre2015), questi non indichi le somme dovute, successivamente calcolatedall’Ufficio (e, in ipotesi, determinanti il superamento delle soglie dipunibilità), nel qual caso il contribuente avrebbe bensì aderito, ma non“sulla cifra”94. A ciò si aggiungono i possibili effetti di “trascinamento” sulleannualità successive, nel caso in cui la contestazione per l’annualità oggetto diadesione sia suscettibile di essere contestata anche in relazione ad esse. Talevalutazione dovrà essere ponderata con gli sconti sul tributo, sugli interessi(dovuti su unaminore somma), sulle sanzioni amministrative e sulle sanzionipenali, fermo restando, per queste ultime, che l’autonomia del giudice penale

93 Vedi A.Marcheselli, “Adesioni ai verbali, rischi e vantaggi penali per il contribuente”, inCorr. Trib., 2008, pag. 3520 ss., il quale evidenzia, con riferimento all’adesione ai processi verbalidi constatazione, la mancanza di una norma, invece presente per gli studi di settore (art. 10,comma 6, Legge n. 146/1998), che escluda l’obbligo di denuncia (ferma restandone la facoltà).

94 Rileva sempre A. Marcheselli, Adesioni, cit., pag. 3523, che l’ipotesi “simmetrica” - diricaduta in ambito tributario di scelte strategiche operate sul piano penale - è alla base di quellagiurisprudenza che ha ritenuto di trarre indicazioni probatorie, nel giudizio tributario, dalpatteggiamento sulla ipotesi delittuosa (Cass., 17 gennaio 2001, n. 630, in Dir. prat. trib., 2003,II, pag. 705 ss.).

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nel qualificare il fatto non assicura un risultato certo95. Conclusivamente, ildisegnodel legislatoredelD.L.n.138/2011nonhaavuto il tempodidimostrarela suaefficaciaomenoacontrastare i comportamentipenalmente rilevanti deicontribuenti, anche se qualche legittimodubbio poteva in effetti sorgere sul sel’effettività della sanzione avrebbe potuto realmente essere assicurata dalnuovo sistema tenendopresente l’attuale situazionedel caricodi reati tributarigravanti sui tribunali italiani96.Quel che era logicoattendersi, invece, è che, daun lato, dovesse fare da “pendant” la riduzione, ancora una volta, delle fatti-specie penalmente rilevanti, non a caso alla base dell’art. 8, comma 1, dellaLegge delega per la riforma tributaria n. 23/2014; e che, dall’altro, si dovessenuovamente mutare la filosofia di fondo della disciplina degli effetti penalidell’estinzione del debito tributario per “graduarne” l’applicazione a secondadel tipo di reato interessato e tenere altresì conto della “resipiscenza” delcontribuente, così evitandodigiungere sulpianosanzionatoriopenaleaquelladeriva criminogenache sarebbederivatadalla sostanziale “traslazione”, in talediverso ambito, della disciplina del nuovo ravvedimento operoso97.

GIUSEPPE MELISOrdinario di Diritto Tributario LUISS Guido Carli

95 Oltre che con la possibilità di ottenere lo svincolo di quanto sia stato eventualmentesequestrato ineccesso inviapreventiva finalizzatoalla confisca “perequivalente” exart. 322-terc.p. Basta pensare agli accertamenti basati su presunzioni fiscali che, pur non sufficienti di persé per giungere ad una condanna penale (Cass. pen., n. 10811/2014), possono fondare secondola giurisprudenza l’applicazione di unamisura cautelare reale, richiedendo questa la sempliceprospettazione del fumus del reato, intesa come mera probabilità di effettiva consumazionedell’illecito secondo la prospettazione della pubblica accusa, sulla base dell’indicazione di datifattuali che si configurino coerenti con l’ipotesi criminosa (Cass. pen., n. 18715/2014). Sullarilevanza assunta dall’accertamento con adesione ai fini della riduzione della somma sottopo-sta a vincolo nel caso di sequestro preventivo funzionale alla confisca di valore, in considera-zione del principio di corrispondenza tra l’entità del profitto e il “quantum” del sequestro “perequivalente”, vedi Cass., Sez. III pen., n. 45847/2012; sulla rilevanza, ai medesimi fini, delpagamento rateale, vedi Cass., Sez. III pen., n. 1738/2015.

96 Ed in effetti la dottrina ha constatato quale unica conseguenza del D.L. n. 138/2011“l’incremento delle segnalazioni di reato e del numero dei procedimenti penali, con conse-guente intasamento delle Procure della Repubblica e proporzionale incremento dei casi diestinzione del reato per intervenuta prescrizione, senza alcun reale effetto in termini dideterrenza”: così E. Mastrogiacovo, Commento agli artt. 13 e 13-bis, D.Lgs. 74/2000, cit.,pag. 302.

97 Che avrebbe rischiato, anziché di fare cassa “a valle” - come verosimilmente auspicatodal legislatore delegato dello schemadiDecreto delegato poi ritirato - di provocare una benpiùgrave emorragia “a monte”.

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I contributi alle aziende di trasporto pubblico localenell’IRAP: ambiguità normative e lapsus dellagiurisprudenza

Leonardo Perrone

Estratto: L’argomento del presente articolo è stato piuttosto trascurato dalla dot-trina ed in sostanza lasciato alle interpretazioni delle circolari dell’Amministrazionefinanziariaedallepronuncedeigiudici, inparticolarealle sentenzedellaCassazione.L’argomento è importante poiché riguarda la possibile esclusione, dal concorso allaformazione della base imponibile dell’IRAP, dei contributi erogati dallo Stato e/odalle Regioni alle aziende di trasporto pubblico locale, per coprire le perdite diesercizio determinate da certi costi ed in particolare dai costi del lavoro dipendente.Ladiscussionedel temaè focalizzata sulla natura e sul tipodelle condizioni richiestedalla legge per poter escludere dalla base imponibile dell’IRAP delle aziende l’am-montare dei contributi ricevuti ed erogati in base alla legge statale e/o regionale.Ilproblemaècostituitodal fattoche la legge (art. 11, comma3oraart. 5, comma3delD.Lgs. n. 446/1997) prevede che l’esclusione dall’imponibile IRAP riguarda soltanto icontributi “correlati” ai costi indeducibili dal tributomedesimo e, tra questi costi, a noiinteressano in modo particolare “quelli di lavoro dipendente”. Orbenel’Amministrazione finanziaria e la Cassazione (i giudici delle Commissioni di meritohanno tenuto una posizione equilibrata) hanno seguito un orientamentomolto restrit-tivo, richiedendo per l’esclusione che la legge preveda una formale, specifica e direttaindicazionedella correlazionedel contributoal lavorodipendente.Ladottrinae recentirisoluzioni ministeriali hanno raggiunto una impostazione meno formale e piuttostopermissiva.Daultimo l’Autore criticauna recente ordinanzadellaCassazione che, equivocando suldato normativo, ha negato l’esistenza della “correlazione” anche nel caso di leggi chehanno finanziato il rinnovo di Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro stipulati nelsettore(trascurandoanchela formazionee laconsegnaexpost,dapartedelleaziende,diuna scheda riepilogativa dei costi sostenuti per lavoro dipendente e, dunque, deicontributi spettanti).L’Autore rileva, invece, chenei casi di CCNL (Contratti CollettiviNazionali di lavoro) la“correlazione” è in re ipsa.

Abstract:Thepresentarticleaddressesan issue thathasbeensomewhatneglectedbyauthorsandessentially left tobe interpreted inCirculars issuedby theTaxAuthoritiesandsentenceshandeddownby judges,particularly theCourtofCassation.The issueisimportant since it concerns the possible exclusion from the IRAP tax base of con-tributions paid by the State and/or regional governments to local public transport

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companies tocover losses (attributable tocertaincosts,particularly labourcosts)and/or to cover labour costs. The discussion focuses on the nature and type of conditionslaid down by law in order to exclude these costs from the IRAP tax base. The problemarisesfromthefact thatarticle11,par.3andarticle5,par.3ofLegislativeDecreen.446of1997allowonlycontributions “correlated”withnon-deductiblecoststobeexcludedfrom the IRAP tax base. The costs of particular interest to us are those related toemployee labour costs. The Tax Authorities and the Court of Cassation (the lower taxcourts adopted a balanced stance) assumed a very restrictive approach, requestingthat the law should provide for a formal, specific and direct indication of thecorrelation between the contribution and employee labour costs. Authors and recentMinisterial resolutions have moved to a less formal and more permissive approach.The author concludes by criticising a recent decision issuedby theCourt of Cassationthat misunderstood the regulation and denied the consideration or existence of the“correlation” in cases where laws has financed the renewal of national collectivelabour agreements stipulated in the sector (also introducing the ex post requirementthat the companies draft and submit a summary sheet showing the labour costsincurred and the contributions due).It must be pointed out that in the case of CCNL (national collective labour agree-ments) the “correlation” is self-evident.

SOMMARIO: 1. L’influenza delle circolari dell’Agenzia delle entrate sulla giurispru-denza -2.Lacaotica legislazionee la leggedi interpretazioneautentica -3.L’esclusionedei contributi erogati dallo Stato o dalle Regioni dall’imponibile IRAP, se correlati alcostodel lavoro-4.Lacorrelazionetra icontributiedilcostodel lavoronecessariaper laloro esclusione dall’imponibile IRAP - Orientamenti dell’Agenzia e della Cassazione:critica-5.Lacorretta interpretazionedell’attualeart.5,comma3,delD.Lgs.n.446/1997sui “contributi.... correlati a costi indeducibili” dall’IRAP - 6. Nelle leggi di finanzia-mento dei Contratti Collettivi Nazionali di lavoro la correlazione esiste in re ipsa - 7.Ancheinquestiultimicasistentaa tramontare ilvecchioorientamentodellaCassazioneche nega l’esistenza della correlazione tra contributi erogati e costi indeducibili (e,quindi, la loro esclusione dall’IRAP) - salvo previsione espressa della legge istitutiva.

1. L’influenza delle circolari dell’Agenzia delle entrate sulla giurisprudenza -Nel vasto territorio del diritto tributario esistono zone nelle quali l’inter-pretazione della norma è particolarmente complessa ed in cui, specie neiprimi tempi della sua entrata in vigore, sorgono e a volte si consolidanoorientamenti di matrice ministeriale non sempre molto meditati.

Tali orientamenti hanno il pregio rappresentato dal fatto che rapida-mentemanifestano soluzioni operative ed interpretative, che sono le primead avere una circolazione ufficiale e diffusa, molto utili per le imprese sulcampo, ma possono avere il difetto che, essendo pensate ed elaboratenell’ambito dell’Amministrazione finanziaria, appaiono per lo più sensibilialle istanze, agli interessi ed ai punti di vista dell’ente impositore1.

1 Nel caso di specie c’è un interesse dell’Amministrazione finanziaria molto concreto, inquanto la esclusione omeno dalla base imponibile dell’IRAP dei contributi “correlati” ai costi

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A volte accade che anche i giudici siano attratti da tali norme internedell’amministrazione e tendano ad adagiarsi sulle impostazioni ed inter-pretazioni in esse avanzate, specialmente se si tratta di applicare leggi, dapoco entrate in vigore, che disciplinano materie molto tecniche, partico-larmente complesse e sulle qualimagari il Parlamento continua a legiferaresenza sosta e con scarsa coerenza (come è accaduto nel caso di specie)2.

Non sono rare le situazioni in cui si assiste a ripetute modificazioninormative, di leggi aventi brevissima vita e della cui natura si è dubitato,tantoche,comeavvenutonellaquestione inesame,pervenirneacapoèstatonecessario attendere una sentenza delle SezioniUnite della Cassazione (SS.UU. n. 21749/2009) che, dopo una accurata ricostruzione della caoticalegislazione vigentenellamateria, hamessounpo’d’ordine edhadichiaratola natura di legge di interpretazione autentica (peraltro non da tutti condi-visa) di uno degli atti normativi succedutisi in quegli anni (Legge 27 dicem-bre 2002, n. 289, art. 5, comma 3).

A dir la verità, come espressamente indicato nella stessa sentenza delleSS.UU., la tipologia egli effetti dellaLeggen. 289/2002avevanogià suscitatol’attenzione delle sentenze di Cassazione nn. 4838, 4839 e 4840 del 1°marzo2007 che erano giunte a soluzioni analoghe.

Peraltro, salvo poche argomentate pronunce, è accaduto che i giudici,specie nelle primedecisioni relative anuove questioni, poste danuove leggi,siano influenzati dalle prese di posizione espresse da norme interne

del lavoro dipendente comporta una variazione complessiva del gettito del tributo di moltimilioni di euro ogni anno, tenendo conto di tutte le aziende.

Èunesempio, inproposito, la circolare 26 luglio 2000, n. 148chenel commentare il punto,oggetto di queste nostre note, ribadisce quanto già espresso nella risoluzione 28 gennaio 2000,n. 8/E (in entrambi i casi senza alcuna motivazione) e cioè che i contributi esclusi dall’impo-nibile IRAP, che sono quelli correlati (art. 11, comma 3, ora 5, comma 3, D.Lgs. n. 446/1997) acostiodonerinonammessi indeduzione (dall’IRAPmedesima)quali, adesempio, le speseper illavorodipendenteogli interessi passivi, possonoesserenon inclusi soltanto se la correlazioneèrichiesta dalla legge ed è diretta e tale da individuare e vincolare in modo preciso ed inequi-vocabile la destinazione del contributo erogato.

Orbene, nonostante l’affermazione così tranchant della circolare, non è vero che la legge(l’art. 11, comma 3) richieda qualcosa di più della semplice “correlazione”, che non è ulterior-mente qualificata né vincolata. Le sopraindicate precisazioni e limitazioni sono soltanto ilfrutto di immotivate affermazioni dell’Amministrazione finanziaria tese a restringere l’ambito(voluto dalla legge) della esclusione dei contributi dall’imponibile IRAP. La legge, infatti, parlasoltanto e semplicemente di contributi “correlati a costi indeducibili”, tra cui nell’IRAP, quellidel lavoro dipendente (vedi A. Dodero, “Agenzia delle entrate ed Assonime intervengono sulladeterminazione della base imponibile IRAP”, in Corr. Trib., n. 33/2009, pag. 2714).

2 È la sent. n. 14416/2010 della Cassazione che, con riferimento alla normativa IRAP inesame parla dei “problemi interpretativi nascenti dalla complessa e progressiva legislazione”(Vedi R. Schiavolin, “La Suprema Corte conferma la rilevanza IRAP anche per il passato deicontributi”, in GT - Riv. giur. trib., n. 9/2007, pag. 777 ss.).

Nelle sentenzediCassazionen.4838,4839,4840del2007edaSezioniUniten.21749/2009,sono indicate tutte le norme successive all’art. 11, comma 3, del D.Lgs. n. 446/1997 relativoall’IRAP.Vedi ora l’art. 5, comma3delDecreto legislativomedesimoche, attualmente contienetale testo, in vigore dal 1° gennaio 2008 a seguito della Legge 24 dicembre 2007, n. 244.

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elaborate dall’Amministrazione finanziaria3, prese di posizione che, inqualche caso, finiscono per essere costantemente presenti, con formula-zioni quasi di stile, nelle sentenze relative a tali nuove questioni (senza cheesse siano state sottoposte ad una adeguata analisi critica da parte deigiudici ed al vaglio della dottrina, col rischio di determinare orientamentigiurisprudenziali privi del sostegno di meditate riflessioni e di idoneemotivazioni)4.

Emblematica è la giurisprudenza (nonché la prassi ministeriale), rela-tiva al diritto (negato) di escludere, dalla base imponibile dell’IRAP, l’im-porto dei contributi erogati (alle aziende di trasporto pubblico locale) anormadi legge,purché “correlati”acosti indeducibili per il tributostesso (inbase all’art. 11, comma 3 ora art. 5, comma 3 D.Lgs. 1997, n. 446)5.

2.La caotica legislazione e la legge di interpretazione autentica -La giurispru-denzadellaCortedicassazionequi indicata, infatti, riguarda la tassabilità (omeno) ai fini IRAP dei contributi erogati (prima dallo Stato e poi dalleRegioni) a favore delle aziende di trasporto pubblico locale.

Tali aziende ricevono diversi tipi di contributi: 1) volti a coprire gene-ricamente i disavanzi di gestione (di cui alla Legge n. 151/1981), ovvero 2)

3 Così, ad esempio, si leggeva nelle prime sentenze e si legge ancor oggi (sulla scia dellecircolari ministeriali) che i contributi erogati alle aziende di trasporto possono essere esclusidalla base imponibile IRAP soltanto se la correlazione è prevista dalla legge e se c’è a) unadestinazione certa ed inequivocabile alla copertura di oneri non deducibili ed in particolare aicosti del lavoro dipendente, ovvero b) (se c’è) un’afferenza esclusiva, un nesso diretto edunivoco, ovvero c) se c’è (e questa è la più recente evoluzione) una specifica previsione nellalegge istitutiva dei contributi od in una legge speciale della correlazione univoca ed impre-scindibile, corredata degli eventuali limiti quantitativi tra il contributo ed il costo del lavoro(sent. 4838/2007; 7893/2007; 13160/2010 ecc.). Addirittura, secondo una parte minoritariadella giurisprudenza (senza motivazione) la legge dovrebbe avere una doppia specifica previ-sione: 1) quella della correlazione dei contributi e 2) quello dello specifico costo indeducibilecui il contributo è correlato (così ord. n. 4226/2015, Cass. sent. n. 3771/2013 e Cass. n. 13162/2010 la quale (senza alcunamotivazione) vedrebbe la esclusione dall’IRAP “dei soli contributiquantificatidalla legge istitutivadeicontributi stessi, sullabasediunnessodiretto tra lasommaerogata ed il componente negativo non deducibile”).

4 Tra le sentenze in tema maggiormente citate e più articolate, non si possono nonricordare Cass. n. 4838/2007 e n. 3771/2013. La prima sentenza, nell’ultima parte, tocca iltema specifico della esclusione dall’IRAP dei contributi correlati a costi indeducibili (l’argo-mento è trattato in poche righe ai punti finali nn. 11 e 12). In particolare, al punto 12 (pag. 10)dopoaveraffermatoche tutti i contributi erogati anormadi legge concorronoa formare labaseimponibile IRAP,aggiungesenzaalcunamotivazione “salvoche si trattidi contributiper i qualil’esclusione dalla base imponibile IRAP non sia prevista dalle relative leggi istitutive ovvero daaltre disposizioni di carattere speciale o rispetto ai quali la legge regionale istitutiva abbiaprevisto espressamente la specifica correlazione a determinati componenti negativi nonammessi in detrazione ai fini IRAP”.

5 Con la Legge di stabilità del 2015 (Legge n. 190/2014), per il personale dipendente concontrattoa tempo indeterminato, è stata introdotta ladeducibilità integraledel costodel lavorodall’IRAP.

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specificamente tesi a ristorare le imprese di trasporto dei maggiori costisostenuti inoccasionedei rinnovideiContrattiCollettiviNazionali di lavorodel settore del trasporto pubblico locale (in tal senso, vedi art. 23, comma 1D.L. n. 355/2003, convertito in Legge n. 47/2004; art. 1, comma 2, D.L. n. 16/2005convertito inLeggen. 58/2005; art. 1, comma1230,Leggen. 296/2006).

Ai fini del corretto trattamento fiscale dei contributi in genere, l’art. 11,comma 3 del D.Lgs. n. 446/1997 prevedeva che concorrevano in ogni casoalla formazione della base imponibile (dell’IRAP) i contributi erogati anorma di legge, fatta eccezione per quelli correlati a costi indeducibili daltributo medesimo (come, ad esempio, il costo relativo al personale dipen-dente che per definizione non era deducibile ai fini IRAP).

In riferimento a tale disposizione il legislatore è intervenuto, prima,con il D.L. n. 209/2002, art. 3, comma 2-quinquies (convertito in Leggen. 265/2002) e, poi, con la Legge finanziaria per il 2003 (Legge 27 dicembre2002, n. 289) che le indicate sentenze dellaCassazione hanno qualificato, perquesto tema (art. 5, comma 3), di interpretazione autentica6.

Ed in effetti narra questa legge che “la disposizione di cui all’art. 11,comma 3 del D.P.R. n. 446/1997, secondo la quale i contributi erogati anorma di legge concorrono alla determinazione della base imponibiledell’imposta regionale sulle attività produttive, fatta eccezione per quellicorrelati a componenti indeducibili, deve interpretarsi nel senso che taleconcorso si verifica anche in relazione a quei contributi per i quali siaprevista l’esclusione dalla base imponibile delle imposte sui redditi, sempreche l’esclusione dalla base imponibile non sia prevista dalle leggi istitutivedei singoli contributi ovvero da altre disposizioni di carattere speciale”.

Dal sopra indicato intreccio normativo è emersa una complicata disci-plinasecondocui i contributi erogati anormadi leggeconcorronoa formarela base imponibile dell’IRAP - regola generale - a meno che (eccezione n. 1)non si tratti di contributi “correlati” a componenti negativi di reddito nonammessi in deduzione dall’IRAPmedesima (quali erano, prima della Leggedi stabilità del 20157 tipicamente i costi del lavoro ai fini di quel tributo) ed ameno che (eccezione n. 2) la norma istitutiva degli stessi o altra leggespeciale non ne preveda specificamente l’esclusione, a prescindere dallaloro diretta riferibilità a componenti negativi non ammessi in deduzione(dall’IRAP).

La giurisprudenza di legittimità, con riferimento a contributi a coper-tura (genericamente) di disavanzi di gestione ha sempre confermato la

6 Vedi la sent. Cass. SS.UU. n. 21749/2009 che dalla pag. 6 alla pag. 15 espone chiara-mente l’evoluzione del caotico quadro normativo, nonché la sent. Cass. n. 14415/2010 e sent.Cass. n. 4438, 4439 e 4440 del 2007.

7 Come già accennato con la Legge di stabilità del 2015 (Legge n. 190/2014), per ilpersonale dipendente con contratto a tempo indeterminato, è stata introdotta la deducibilitàintegrale del costo del lavoro dall’IRAP.

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indicata sostanziale tripartizione (contributi soggetti all’IRAPoppure esclusiper effetto delle eccezioni 1 o 2), traendone (exmultis Cass. n. 18505/2010) ilseguente principio di diritto: “A norma del D.Lvo. 24 luglio 1977, n. 446, art.11, comma 3, [...], tutti i contributi erogati a norma di legge, compresi quelliesclusi dalla base imponibile ai fini delle imposte sui redditi [...] debbonoessere inclusi [...] nel calcolo della base imponibile IRAP, salvo che si tratti dicontributi per i quali l’esclusione (daquella base imponibile) non sia stabilitadalle relative leggi istitutiveovverodaaltredisposizionidicaratterespecialeorispetto alle quali la legge [regionale] istitutiva abbia previsto espressamentela specifica correlazione a determinati componenti negativi non ammessi indeduzione ai fini IRAP”8.

3.L’esclusionedei contributi erogatidalloStatoodalleRegionidall’imponibileIRAP, se correlati al costo del lavoro - Alla luce di quanto sin qui esposto, sipuò affermare che, ormai da tempo, l’orientamento della Cassazione,affinché si possano escludere i contributi in questione dall’imponibiledell’IRAP, è nel senso che la “correlazione” (tra i contributi ed i costiindeducibili) deve risultare specificamente dalla legge istitutiva del contri-buto o da altra disposizione di carattere speciale, aderendo così in buonasostanza all’interpretazione espressa dall’Amministrazione finanziaria innumerose sue circolari9.

Tale interpretazione, peraltro, come si vedrà più avanti, restringemoltol’ambito della norma che consente l’esclusione dei contributi dall’imponi-bile IRAP ed, a mio avviso, non è conforme alla legge.

In proposito si deve sottolineare che le indicate caratteristiche dellacorrelazione, sempre richieste dalle circolari e dalla Cassazione comenecessarie per la deducibilità dall’imponibile IRAP dei contributi erogatidallo Stato o dalla Regione, non sono previste dalla legge ma, come detto,sono state “inventate” senza alcuna giuridica motivazione dalle primecircolari ministeriali (al chiaro fine di ridurre l’ambito della esclusionedelladeducibilitàdei contributidallabase imponibile, facendocosì crescereil gettito del tributo) e sono state acriticamente recepite dalla Cassazione10.

8 In senso conforme: Cass. 18506/2010; Id. n. 21303/2010; Id. n. 25593/2010; Id. 13162/2010; Id. n. 13160/2010; Id. n. 27950/2008; Id. 27594/2009; Id. n. 27992/2008; Id. n. 4838/2007;Id. n. 4839/2007; Id. n. 4840/2007; Id. n. 7893/2007; Id. n. 14415/2010; n. 16721/2010; Id. SS.UU.n. 21749/2009; Id. 23 ottobre 2012, n. 18006; Id. 16 maggio 2012, n. 7671.

9 Vedi per tutte risoluzione Min. Fin. n. 8 del 28 gennaio 2000, circolare n. 148/E del 26gennaio 2000 e risoluzione n. 330/E del 21 ottobre 2002, risoluzione Ag. Entrate n. 34/E del 5febbraio 2008 e le sentenze citate alla nota 4.

10 La stessa sentenza n. 4838 del 2007 che affronta funditus, in molte pagine, il diversotema della non tassabilità ai fini IRAP dei contributi non soggetti alle imposte sui redditi (dalpunto 1 al punto 10 per circa 9 pagine), per quanto riguarda la esclusione dall’IRAP deicontributi correlati a costi indeducibili (che è il nostro tema), nella parte finale, dedica soloil punto 11, cioè mezza pagina e si allinea alla acritica posizione ministeriale senza prestareparticolare attenzione al tema specifico e soprattutto senza motivare le ragioni della propria

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Come già detto, l’indicato orientamento ministeriale accolto dallaCassazione, costituisce, a mio avviso, una illegittima interpretazione proFisco della normativa in materia, in quanto pretende l’esistenza di undiverso e più stringente requisito, rispetto a quello previsto e richiesto allalegge, affinché possa escludersi il concorso dei contributi dalla base impo-nibile IRAP: secondo l’orientamento stesso, non è sufficiente (ai fini dell’e-sclusione dall’imponibile IRAP) che “i contributi erogati” siano “correlati acosti indeducibili”, tra cui in particolare il costo del lavoro (così come narrala legge), ma è necessario il ben più vincolante (ma diverso) requisito della“certa, inequivocabile, univocaed imprescindibiledestinazione” (corredatadegli eventuali limiti quantitativi) del contributo stesso al costo del lavoro(previsto dalla legge istitutiva o da altra disposizione di carattere speciale).

Come visto, è questo l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria edella Cassazione: orientamento che limita moltissimo l’ambito della esclu-sione dei contributi dall’imponibile IRAP (facendo lievitare il gettito) mache, peraltro, oltre ad essere illegittimo, non ha trovato sinora (a quantomiconsta), alcuna valida argomentazione a sostegno che lo giustifichi.

In un caso a dire il vero, l’Amministrazione finanziaria si è messa lamano sulla coscienza e, anziché ripetere la solita non legittima e nonmotivata impostazione, ha enunciato la corretta interpretazione.

L’Agenzia delle entrate, infatti, con circolare 5 aprile 2005, n. 13/E, dopoaver affermato che “il comma 3 dell’art. 5 della Finanziaria 2003 contieneuna norma d’interpretazione autentica della disposizione contenuta nel-l’art. 11, comma 3, del D.Lgs. n. 446 del 1997 riguardante la disciplina deicontributi erogati in forza di legge” e dopo aver aggiunto che “la norma inquestionesostituisce il comma2-quinquiesdell’art. 3delD.L.n. 209del2002....”, nella sua ultima parte, finalmente chiarisce e precisa che “sono impo-nibili ai fini IRAP i contributi per i quali non sia prevista dalle leggi istitutivedei singoli contributi o da leggi speciali una specifica esclusione dalla baseimponibile IRAP” e che “fanno eccezione a tale principio i soli contributicorrelati a componenti negativi non ammessi in deduzione, che risultano,comunque, sempre non imponibili”.

In proposito è fondamentale rilevare e sottolineare che in questa circo-lare (5 aprile 2005, n. 13/E) l’Agenzia finalmente riconosce che, anche inbase alla legge di interpretazione autentica, l’art. 11, comma 3 (ora art. 5,comma 3) del D.Lgs. n. 446/1997, assoggetta all’IRAP tutti i contributi per iquali non sia prevista da specifica legge una puntuale esclusione, ma chetuttavia fanno eccezione a tale principio soltanto i contributi correlati acomponenti negativi indeducibili (di cui ci stiamo occupando ora) “cherisultano, comunque, sempre non imponibili”.

impostazione. Lo stesso accade in un’altra importante sentenza in materia e cioè nella sent.n. 3771/2013.

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Alla luce di questa circolare, quindi, sono “comunque, sempre nonimponibili” all’IRAP i “contributi correlati” (tout court, come detta lalegge, senza ulteriori specificazioni o limitazioni del tipo “univocamente,imprescindibilmente” o simili) a componenti negativi non deducibili daltributo medesimo.

Come si può rilevare nell’Amministrazione finanziaria c’è qualche voce,qualche circolare che più di recente rispetto alle precedenti, fornisce un’in-terpretazione assolutamente rispettosa del dato normativo. La giurispru-denza, invece, appare ancora legata alla originaria restrittiva impostazione.

4. La correlazione tra i contributi ed il costo del lavoro necessaria per laloro esclusione dall’imponibile IRAP - Orientamenti dell’Agenzia e dellaCassazione: critica - Non si può far amenodi criticare lamiope e restrittivaposizione che non trova fondamento nella legge e che è espressa (ma nonmotivata) nelle precedenti circolari ministeriali e per lo più nelle sentenzedella Cassazione, secondo cui la correlazione tra i contributi ed i costiindeducibili richiesta dalla norma per l’esclusione dei contributi stessidalla base imponibile (art. 11, comma 3, ora art. 5, comma 3, D.Lgs.n. 446) “deve essere diretta e tale da individuare e vincolare inmodo precisoed inequivocabile la destinazione del contributo erogato”. Secondo questaimpostazione, “deve esistere un rapporto nessiologico - reso esplicito dallalegge istitutiva (o da altra legge specifica) - tra la somma erogata a titolo dicontributo ed il corrispondente componente negativo” (così testualmentecircolare 26 luglio 2000, n. 148/E). Inoltre, in questa norma interna ed inaltre emanate dall’Agenzia si afferma che, affinché il contributo possa esserescluso dall’IRAP, “la correlazione richiesta dalla norma deve essere direttaavincolare inmodoprecisoed inequivocabile ladestinazionedel contributoerogato. Deve esistere, cioè, un rapporto nessiologico - reso esplicito dallalegge istitutiva....”11.

Come già detto, questa interpretazione non è motivata, non ha fonda-mento giuridico, appare eccessivamente severa nei confronti del contri-buente e merita di esser rivisitata.

Infatti, gli indicati specifici requisiti, previsti dalla prassi amministra-tiva e recepiti dallaSupremaCortenelle sue sentenze, nonsonocontemplatidalla legge che, come s’è visto, semplicemente richiede che i contributi,affinché possano essere esclusi dalla base imponibile dell’IRAP, siano “cor-relati” (riferibili o riferiti, cioè che vi sia una relazione qualsiasi) con costiindeducibili dal tributo (quali tipicamente quelli per il lavoro dipendente).

11 Daciòconsegue - secondo laprassiministeriale - chenonrientranonell’esclusionedallabase imponibile IRAP in questione “i contributi la cui quantificazione viene semplicementeparametrata” a determinati elementi negativi ancorché indeducibili ovvero determinata inmodo forfettario o proporzionale, ad esempio nella perdita d’esercizio complessiva rispetto alcosto del lavoro (vedi le circolari indicate alle note 1 e 9).

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L’aggettivo utilizzato dal legislatore senza alcuna ulteriore specifica-zione, in primo luogo, non è particolarmente stringente, in secondo luogo,poi, lascia intendere, a mio avviso, che la esclusione dall’IRAP è possibileallorquando il contributo sia in qualsiasi modo e misura, riferibile (colle-gabile) al costo del lavoro, e non soltanto quando sia ad esso (col)legatostrettamente, specificamente ed esattamente determinato anche nellamisura già in base alla legge istitutiva o speciale.

Non mi pare che il testo e lo spirito della legge militino a favore diun’interpretazione così rigida e restrittiva, come vorrebbe la prassi ammi-nistrativa (con l’encomiabile eccezione della circolare 5 aprile 2005, n. 13/Eampiamente trattata retro al pf. 3), seguita dall’orientamento dellaCassazione, anche perché né l’Amministrazione finanziaria né la giurispru-denzaaffrontanooazzardanoalcunamotivazioneodargomentoa sostengodella loro rigida posizione.

5. La corretta interpretazione dell’attuale art. 5, comma 3, del D.Lgs. n. 446/1997 sui “contributi .... correlati a costi indeducibili”dall’IRAP - Inordine allacorretta interpretazionedelladisposizione inesame(attualeart. 5, comma3ex art. 11, comma3, delD.Lgs. n. 446/1997), nel ricordare che essa narra checoncorrono a formare l’imponibile IRAP “i contributi erogati in base anorma di legge, fatta eccezione per quelli correlati a costi indeducibili....”,si deve sottolineare che non si riesce a capire (né c’è qualcuno che lo spiega)comemai, invia interpretativa,allaparola “correlati” sidebbanoaggiungereaggettivi od avverbi tesi a restringere fortemente il significato e l’ambito diapplicazione della esclusione dei contributi dalla base imponibile IRAP (enon, ad esempio, ad ampliare quell’ambito).

In proposito si deve ricordare che il fatto che la norma tributaria, ed inparticolare quella che prevede agevolazioni, esenzioni od esclusioni, sia “afattispecie esclusiva”, comporta non solo che essa norma non possa esserampliata ed applicata a fattispecie materiali analoghe e/o simili a quellaesclusiva fissata nella legge, ma anche, e per la stessa ragione, che l’ambitodella norma medesima non possa esser compresso, ristretto o limitato ocondizionatodanulladidiversoodipiùrispettoaciòche la leggeprevedee/orichiede.

In particolare, nel caso in esame, non si deve dimenticare che la legge,per attribuire il diritto all’esclusione del contributo dall’imponibile IRAP,pretende soltanto l’esistenza di una “correlazione” tra i due elementi e nonpure un rapporto od un collegamento più stretto. Ed il tenue e labile nessoindicato dal legislatore con l’aggettivo “correlato” non può esser in viainterpretativa cambiato per rafforzarlo o renderlo più stringente.

E ciò specialmente se, come nel caso concreto, né la Cassazione nél’Agenzia delle entrate hannomotivato o tentato dimotivare l’orientamentorigoristico da loro sostenuto.

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Inoltre c’è da chiedersi quale sia la ratio che giustifichi od abbia giu-stificato tale interpretazionerestrittiva. In realtà l’unica “ragione”plausibileappare essere quella del maggior gettito del tributo, determinato dallamaggiore difficoltà per il contribuente di eliminare dalla base imponibiledell’IRAP i contributi erogati in base a norme di legge.

Quindi la stringente interpretazione giova all’ente impositore cui va ilmaggior gettito dell’IRAP.

Ma certo questa non può esser la ratio cioè la giustificazione logico-giuridica della interpretazione restrittiva sopra indicata.

Comesi è vistoai paragrafi precedenti, le primecircolariministeriali e laCassazione(nonpure lagiurisprudenzadimeritoe lacircolare5aprile2005,n. 13/E che hanno per lo più avuto un orientamento equilibrato)12 si sonoespresse a favore di un’interpretazione molto rigida, pretendendo l’esi-stenza di caratteristiche ulteriori rispetto alla semplice “correlazione”richiesta dalla legge per la esclusione dei contributi dalla base imponibileIRAP.

Standoadun’interpretazione letterale, nonsipuò fareamenodi rilevareche la leggecondiziona laesclusionedeicontributidall’imponibile IRAPallapura e semplice correlazionedel contributo ai costi indeducibili e nel nostrocaso al costo del lavoro.

Oltre a quanto detto nelle pagine precedenti, aggiungo che il fatto stessoche il legislatore abbia utilizzato l’aggettivo “correlati” mi fa ritenere cheabbia voluto far riferimento ad un tipo di relazione, di rapporto o dicollegamento tra il contributo ed il costo del lavoro abbastanza tenue,blando (e, quindi, di qualsiasi natura ed intensità) e non particolarmentesevero o stringente come, ad esempio, sarebbe stato se il legislatore avessescritto e richiesto che potevano essere esclusi dall’imponibile IRAP soltantoi contributi erogati da leggi dello Stato o dalle Regioni “vincolati” (noncorrelati) a costi indeducibili quali quelli del lavoro dipendente.

Mi sento, quindi, di poter affermare che la esclusione del contributodall’imponibile IRAP si configura purché ed allorché esso, in qualsiasi

12 La prevalente giurisprudenza di merito, nell’affrontare la tematica, non ha condivisol’interpretazioneministeriale (che pretendeva la sopraindicata previsione nella legge istitutivadel contributo) ed affermava che l’esistenza della correlazione - necessaria fini della esclusionedel contributo dalla base imponibile IRAP - potesse essere dimostrata in concreto attraversol’utilizzo di mezzi probatori idonei (in tal senso, si veda la sentenza n. 481/25/04 del 17settembre 2004 della Comm. trib. prov. di Roma; la sentenza n. 292/1/05 del 18 ottobre 2005della Comm. trib. prov. di Roma; la sentenza n. 521/02/03 del 30 settembre 2003 della Comm.trib. prov. di Cagliari; la sentenza n. 66/05/07 dell’8 giugno 2007 della Comm. trib. prov. diCagliari; la sentenza n. 25/1/03 del 24 ottobre 2003della Comm. trib. prov. di Siena; la sentenzan.24/18/04del5 luglio2004dellaComm. trib. prov.diVenezia; le sentenzen.167/01/2004e168/01/2004 della Comm. trib. prov. di Ravenna; le sentenze n. 16/14/06 e 17/14/06 del 15 marzo2006della Comm. trib. prov. di Bologna; la sentenzan. 59/03/04del 22 luglio 2004dellaComm.trib. prov. diMantova e la sentenza n. 52/12/03 del 25 novembre 2003 della Comm. trib. reg. diMilano).

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forma o modalità o maniera, sia riferibile o collegabile (correlato) al costodel lavoro (oadaltri costi indeducibili) e sia inqualsiasimododeterminabilela sua misura.

Le considerazioni sin qui svolte mi portano in ultima analisi a conside-rare possibile la esclusione dei contributi dall’imponibile IRAP anche nellaipotesi in cui sia necessario procedere ad una imputazione proporzionale(ed addirittura forfettaria) del contributo rispetto al costo del lavoro.

Anche in questi casi, infatti (in particolare in quello dellaproporzionalità), il contributo erogato è “correlato” al costo del lavoro edè comunque riferito o riferibile ad esso, anche se saranno necessarie una opiù operazioni per la determinazione della concreta, proporzionalemisuradel contributoda escluderedall’imponibile IRAP (espressamente contraria,senza alcuna motivazione, alla proporzionale esclusione dei contributidall’IRAP è la sentenza di Cassazione n. 13162/2010).

A quanto appena affermato si può aggiungere che, se le conclusioniindicate nelle pagine precedenti sono condivisibili, le stesse potrebberotrovare applicazione anche in quelle fattispecie in cui la legge istitutivacontempla in modo chiaro che il contributo è erogato alle aziende ma conformule normative omnicomprensive. Formule normative che, pur noncollegando specificamente i contributi ai costi del lavoro, ma a situazionidi più ampio respiro, tuttavia non escludono l’esistenza ed il concorso di talioneri, anzi implicitamente li comprendono nella determinazione dellamisura complessiva della erogazione delle somme richieste.

Mi riferisco inparticolare ai contributi richiesti ed erogati per coperturadi disavanzi di gestione. In questi casi è evidente che le situazioni di crisidelle aziende sono determinate anche dai costi del lavoro dipendente e che icontributi erogati per le sopraindicate esigenze e finalità comprendonoanche una parte destinata a sanare e coprire tali costi.

Ed anche in questi casi, potrebbe essere non impossibile calcolare inquale misura il costo del lavoro ha influito, rispetto a tutti gli altri costi, neldeterminare la perdita di esercizio complessiva: ciò al fine di calcolare estabilire la quota proporzionalmente corrispondente dei contributi daescludere dall’imponibile IRAP.

Ed invece lagiurisprudenzadellaCassazione, ancoracondizionatadallemeno recenti istruzioni ministeriali, è restia in linea di principio (salvoqualche deroga) a riconoscere forme di esclusione del contributo dalla baseimponibile dell’IRAPproporzionalmente o forfettariamente determinabile.

D’altro canto la già citata risoluzione ministeriale n. 8/E/2000 ha evi-denziato che in ipotesi di “destinazione mista” del contributo doveva “rite-nersi ammissibile l’esonero del contributo ai fini IRAP solo per la quotacorrelata a componenti negativi non ammessi in deduzione, qualora dettaquota sia indicata in modo preciso, anche in misura percentuale”.

A ciò si deve aggiungere che esistono alcune leggi regionali, ad esempiola Legge Regionale della Lombardia (n. 13 del 25marzo 1995), nelle quali il

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legislatore nel determinare i costi standardizzati del trasporto pubblicolocale destinati ad essere coperti con l’erogazione dei contributi, ha speci-ficamente determinato la percentuale di incidenza del costo del personalenon deducibile ai fini IRAP sul costo complessivo del trasporto.

Nonostante l’indicata espressa previsione da parte della Legge n. 13/1995 della Regione Lombardia, la questione del riconoscimento proporzio-nale della quota del contributo correlato da escludere dalla base imponibiledell’IRAP, è stata inopinatamente risolta in modo negativo per le aziendedalla Cassazione, con le sentenze n. 15518 e 15519 del 2010 (peraltro,contraddetta dalla sent. n. 13155/2010 più avanti indicata).

In proposito non si può non rilevare che le indicate sentenze diCassazione sono in stridente contrasto con i principi espressi dalle prime,approfondite sentenze della stessa Cassazione, che ha sempre affermato invia generale che i contributi in questione sono pacificamente esclusi dallabase imponibile dell’IRAP, nei casi in cui la correlazione (e la conseguenteesclusione) sianoprevisti dalla legge istitutiva del contributo o da altre leggi(vedi ad esempio sent. n. 4838, 4839 e 4840 del 2007)13.

Infine, anche laLeggeRegionale del Veneton. 25 del 30ottobre 1998, haespressamente previsto la correlazione proporzionale, all’art. 32-bis, affer-mando che i contributi erogati a ripiano dei disavanzi di esercizio sonocorrelati al costo del lavoro dipendente in misura proporzionale alla per-centuale del costo del lavoro rispetto al totale dei costi, come da bilancio.

La Cassazione con sent. n. 13155/2010 ha riconosciuto la legittimità ditale calcolo proporzionale dei contributi esclusi (negando, peraltro, laretroattività della legge).

6. Nelle leggi di finanziamento dei Contratti Collettivi Nazionali di lavoro lacorrelazione esiste in re ipsa - Come accennato, la giurisprudenza sin quirichiamata per lo più ha riguardato contributi genericamente erogati acoperturadeidisavanzidigestionee/operconsentire l’equilibrioeconomicodelle aziende di trasporto urbano che, vendendo i biglietti a prezzi politici,istituzionalmente chiudevano l’esercizio in perdita, perdita che venivaripianata mediante contribuzioni erariali o regionali, spalmando così sul-l’intera collettività locale il maggior costo effettivo del servizio pubblico ditrasporto rispetto ai proventi derivanti dalla vendita dei biglietti.

Alcune volte il concorso della collettività locale per coprire, in partico-lare, i maggiori costi del lavoro dipendente avviene sulla base di leggi chefinanziano le aziende gravate da maggiori costi di lavoro a causa della

13 Si deve rilevare, peraltro, che alcune amministrazioni locali, con molto buon senso,adeguandosi a quanto disposto sul punto specifico dalla risoluzione n. 8/E/2000, nonchéall’orientamento delle citate sentenze di Cassazione, in sede di accertamento con adesione,hannoattribuito rilevanza, ai fini dell’esclusionedall’IRAP, alla Leggen. 13/1995dellaRegioneLombardia.

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stipula di Contratti Collettivi Nazionali di lavoro. Contratti che all’iniziodegli anni duemila hanno comportato costi crescentimettendo in difficoltàle imprese esistenti e scoraggiando la nascita di nuove iniziative produttiveidonee a creare nuovi posti di lavoro.

IlGovernoallorahadecisodi intervenireecon l’art. 23, comma1delD.L.n. 355/2003 conv. nella Leggen. 47/2004ha stabilito (prevedendo, ex ante, invia preventiva, generale ed astratta, anche per consentire controlli piùagevoli) che “al fine di assicurare il rinnovo del contratto collettivo relativoal settore del trasporto pubblico locale è autorizzata la spesa ......”.

Successivamente, con l’art. 1 del D.L. n. 16/2005, convertito nella Leggen. 58/2005, il legislatore ha previsto che “al fine di assicurare il rinnovo delprimo biennio del contratto collettivo 2004-2007 relativo al settore deltrasporto pubblico locale, è autorizzata la spesa ...” (ancora una disciplinaastratta ex ante che contempla genericamente l’erogazione di contributi acopertura del maggior costo del lavoro).

Analogamente, con l’art. 1, comma 1230, la Legge n. 296/2006 ha stabi-lito che “Al finedi garantire il cofinanziamentodelloStatoagli oneri a caricodelle Regioni .... per il rinnovo del secondobiennio economico del contrattocollettivo relativo al settore del trasporto pubblico locale ... è autorizzata laspesa ...”.

Come è agevole rilevare, in questi casi sono le stesse leggi istitutiveappena citate che direttamente e specificamente individuano la destina-zione dei contributi a copertura dellemaggiori spese per lavoro dipendenteche le aziende del settore si trovano a sostenere in relazione ai rinnovi deicontratti collettivi degli autoferrotranvieri.

Laddove esistano leggi (come le ultime tre sopra indicate), cheautorizzano la spesa o prevedono lo stanziamento di risorse finanziarieper sostenere le imprese che, a causa della sottoscrizione di contratticollettivi di lavoro, si trovino gravate da maggiori costi di lavoro dipen-dente, a me sembra che non si possa dubitare della esistenza delrequisito richiesto dalla legge IRAP e cioè della correlazione tra lerisorse stanziate (la “spesa autorizzata”) ed il costo del lavoro con laconseguente applicabilità dell’esclusione dei relativi contributidall’IRAP (ai sensi dell’art. 11 ora art. 5, del D.Lgs. n. 446/1997). E sibadi bene la esistenza della “correlazione” in tali casi non può esseremessa in dubbio neppure se si aderisce alle più restrittive interpreta-zioni (peraltro, infondate, come visto) della norma avanzate dallaAgenzia delle entrate e/o dalla giurisprudenza.

Peraltro, lo stesso legislatore al fine di regolamentare, controllare edevitare abusi, ha previsto, con la stessa legge (art. 23 del D.L. n. 355/2003),l’emanazione di un Decreto interministeriale dei Ministeri delleInfrastrutture e dei Trasporti (n. 578/2004) il quale stabilisce le proceduree le modalità di richiesta dei contributi da parte delle aziende così da poterpoi verificare ex post la misura e la correttezza delle erogazioni.

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In tal modo la legge istitutiva stabilisce ex ante, in via generale edastratta, di finanziare il rinnovo del contratto collettivo di lavoro e nelcontempo prevede che, con disciplina posta dall’apposito Decreto ministe-riale, sianosvolte exposteverificate inconcreto leprocedure, lemodalitàe lemisure della effettiva contribuzione correlata ai costi del lavoro delleimprese di trasporto locale.

La destinazione/correlazione risulta in tali casi anche dai “considerata”nelle premesse del sopra citato Decreto interministeriale n. 578/2004 [diattuazione dell’art. 23 citato] che indica che i contributi costituisconoun “...intervento erariale mirato alla copertura dei maggiori oneri derivanti dalrinnovo del CCNL di categoria...”.

7. Anche in questi ultimi casi stenta a tramontare il vecchio orientamento dellaCassazione che nega l’esistenza della correlazione tra contributi erogati e costiindeducibili (e, quindi, la loro esclusione dall’IRAP), salvo previsione specificadella legge istitutiva - Purtroppo, con delusione, devo rilevare che anche neicasi di contributi previsti ed istituiti dalle tre sopraindicate leggi che auto-rizzanoefinanziano il rinnovodeiContrattiCollettiviNazionalidi lavoro(incui la correlazione tra la legge istitutiva ed il costo indeducibile è in re ipsa e,quindi, non sembra possibile affermare che la legge istitutiva non prevededirettamente la correlazione al costo del lavoro), può accadere che laCassazione continui a seguire, con formule di stile, l’originaria imposta-zione della Amministrazione finanziaria e della giurisprudenza, criticatanelle pagine precedenti e, a mio avviso, non più sostenibile14.

Un esempio molto significativo e recente di quanto appena detto è l’ordi-nanza n. 4226/2015 della SupremaCorte, che ha accolto il ricorso dell’Agenziadelleentrate (peraltro, indifformitàdell’opinionedelRelatore,nellaprocedurain Camera di Consiglio ex art. 380-bis del c.p.c.), che non dedica la dovutaattenzione ed anzi trascura del tutto l’argomento fondamentale, idoneo arisolvere la controversia, e cioè omette di evidenziare che le tre leggi indicate(D.L. n. 355/2003 convertito in Legge n. 47/2004; D.L. n. 6/2005 convertito inLegge n. 58/2005 e Legge n. 296/2006) individuano specificamente la destina-zionedei contributi da esse istituiti a coperturadellemaggiori speseper lavorodipendente che le aziende del settore hanno sostenuto in dipendenza deirinnovi dei contratti collettivi degli autoferrotranvieri (vedi retro paragrafo 6).

Pertanto, è priva di pregio la considerazione svolta nell’ordinanza, alpunto 3 secondo la quale “anche nel caso in esame le leggi istitutive dei

14 Vedi Cass., ordinanza n. 4226 del 2 marzo 2015. I giudici di merito, invece, in molteoccasioni hannomostratomaggiore sensibilità nei riguardi della tematicadecidendonel sensosopraprospettatoecioèche icontributi erogatiper il rinnovodelCCNLautoferrotranvieri sonoin re ipsa correlati al costo del personale dipendente. Così, ad esempio, Comm. trib. reg. diNapoli n. 151/32/2010 del 17 settembre 2011; Comm. trib. reg. di Napoli n. 471/1/2011 del 26settembre 2011; Comm. trib. prov. di Lecco n. 143 del 9 novembre 2009 e Comm. trib. reg. diMilano nn. 129 e 130/44/2011 del 20 giugno 2011.

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contributi non istituiscono l’indicata correlazione tra l’erogazione dei con-tributi e costi non deducibili, segnatamente costi del lavoro”. È di tuttaevidenza che in questa parte dell’ordinanza sono riprodotte le formule distile contenute nelle prime circolari dell’Amministrazione finanziaria enelle prime sentenze della Cassazione che, però, sono del tutto fuoriluogonel casoconcretoall’esamedellaCassazione. Infatti, nel casodi specielacorrelazione tra il contributoed il costodel lavoroera in re ipsapoichéessaera prevista da una legge prodromica al CCNL.

Così i contributi previsti dalle tre leggi indicate al pf. 6, per definizione eper specifica funzione, sono “correlati” al costodel lavoro, in quanto sono1)istituiti dalle leggi e da queste 2) destinati proprio a coprire i maggiori costidi lavoro dipendente sostenuti dalle imprese del settore.

Queste, infatti, sostengono ilmaggior costo e successivamente, secondolemodalitàprevistedalDecretoministerialen. 578/2004 (di attuazionedelle3 leggi), chiedono e previa dimostrazione documentale ottengono il rim-borso del maggior costo sostenuto per il lavoro dipendente.

A me sembra che quanto sopra esposto comporti l’attribuzione certaall’azienda di trasporto del diritto alla esclusione dall’IRAP dei contributiricevuti.

D’altra parte ciò è confermato anche dal fatto che nella motivazionedell’ordinanza si censura la azienda contribuente per non aver “dedotto incausa” la emanazione ed il contenuto del Decreto (ministeriale) “utile averificare la sussistenza del legame indicato”.

Orbene, in primo luogo, questa considerazione conferma la determi-nante rilevanza del Decreto ministeriale n. 578/2004, in quanto dalla moti-vazione dell’ordinanza sembra potersi desumere che se fosse statodepositato sarebbe stato decisivo per rovesciare l’esito del giudizio.

In secondo luogo, poi, si deve ricordare che in base al principio “iuranovit curia”, i giudici avrebbero ben potuto conoscere ed ottenere il Decretoministeriale (che presumibilmente era stato depositato nei gradi di meritounitamente ai prospetti indicativi del maggior costo e delle richieste dirimborso).

Da ultimo si deve rilevare che non appare appropriato quel brano dellamotivazione (anch’esso contenuto nel punto 3), ove si afferma chemanca la“specifica correlazione” in quanto il comma 3 dell’art. 2 del D.L. n. 16/2005,“con riferimento alla consistenza del personale in servizio alla data del30.11.2004”, non ha fatto “alcun puntuale riferimento alla azienda” contri-buente. Inpropositosideveosservareche lecaratteristichedellageneralitàedell’astrattezza della legge evidentemente non potevano e non possonoconsentire che la stessa faccia riferimento specifico ad uno o più soggettidestinatari del provvedimento legislativo.

LEONARDO PERRONEgià Ordinario di Diritto Tributario nell’ Università “Sapienza” di Roma

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Brevi note sullo stato della giurisprudenza intornoall’art. 20 del T.U. registro

Daniele Canè

Estratto: A tre anni dalla sentenza Tamerice, la Corte di cassazione sembra essersiattestata sulla natura non antielusiva dell’art. 20 T.U. registro. Le sentenze delloscorso dicembre confermano questo principio e ne stabilisconoun altro, di notevoleimportanza, secondo il quale l’art. 20, norma d’interpretazione degli atti, non puòessere usata per contrastare condotte abusive, oggi punibili solo ai sensi e nei limitidell’art. 10-bis, Legge n. 212/2000.Tuttavia, residuano perplessità sull’interpretazione dell’art. 20 adottata dallaCassazione, chenonsembracoerentecon lastrutturadell’impostanécon la funzionedella norma, guardata anche in una prospettiva storica.

Abstract: Three years following the Tamerice decision, the Italian Supreme Courtseems tohavedefinitively acknowledged thatArticle 20of the lawon registration taxdoesnot constitute a general anti abuse rule. LastDecember’s decisions confirm thisprinciple of law and go even further by stating that - notably - Article 20 is a simplerule of interpretation. Accordingly, it cannot be used to counteract the abuse of taxrules, which can be only tackled by the new general anti abuse rule laid down inArticle 10-bis of law N. 212 of 2000.However, the SupremeCourt’s interpretation of Article 20 still raises some concernssince it does not appear consistentwith the structure of the registration tax norwiththe history and the rationale of Article 20 itself.

SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. Funzione dell’art. 20 nel tributo di registro -3. L’interpretazione dell’art. 20 nella giurisprudenza di legittimità -3.1. L’interpretazione, oggi recessiva, dell’art. 20 come norma antielusiva -4. Casistica - 5. Il primo corno del dilemma: i limiti dell’interpretazione degli attisoggetti a registrazione - 5.1. (segue) Specialità del procedimento d’interpretazionedegli atti soggetti a registrazione rispetto all’interpretazione dei negozi - 6. Ragioniperunsuperamentodei tradizionali limiti all’interpretazionedegli atti -7. Il secondocorno del dilemma: l’irrilevanza del collegamento negoziale (volontario) nell’impo-sta di registro (ossia, sulla sostituzione di fattispecie imponibili) - 8. Art. 20 e nuovoart. 10-bis, Legge n. 212/2000 - 9. Inapplicabilità dell’art. 10-bis al conferimentoseguito dalla cessione di partecipazioni - 10. Art. 20 e partecipazione del contri-buente all’accertamento - 11. Notazioni conclusive.

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1. Introduzione - Tre anni dopo la sentenza n. 15319 del 19 giugno 2013, laCortedi cassazione sembraessersi attestata - sporadichedeviazioni aparte -sul principio secondo cui l’art. 20 T.U. registro non costituisce una normaantielusiva e, per questo, non può essere utilizzata per censurare condotteabusive o elusive.

I quattro arresti del dicembre scorso1 offrono l’occasioneper riprendereun tema di grande rilevanza pratica e teorica, nel tentativo, qui solo abboz-zato, d’inquadrare i problemi che residuano intorno all’applicazione del-l’art. 20; primo fra tutti, quello del rapporto con la nuova norma generaleantiabuso, introdotta dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128.

Dopo un quadro delle diverse interpretazioni dell’art. 20 T.U. registro, èriportata una tassonomia delle sue principali applicazioni giurispruden-ziali, con speciale riguardoalla fattispecie di conferimentodi beni o aziendeseguito dalla cessione delle partecipazioni.

Infatti, soprattutto nell’ultimo decennio, queste operazioni sono stateregolarmente contestate dagli Uffici e intorno ad esse si è sviluppata unacospicua giurisprudenza.

Si svolgono poi un’analisi critica dell’orientamento giurisprudenzialeprevalente e alcune considerazioni sul rapporto di complementarietà tral’art. 20 e il nuovo art. 10-bis della Legge n. 212/2000.

Nel finale, quasi a mo’ di provocazione, mi chiedo se le esigenze dicertezza nella determinazione del presupposto d’imposta e di garanzia delcontribuente a fronte di accertamenti tanto pervasivi, per altro confermatidallagiurisprudenza,nonrendanoopportunoprevedereunaqualche formadi partecipazione del privato agli accertamenti fondati sull’art. 20 T.U.registro.

2. Funzione dell’art. 20 nel tributo di registro -Regola d’interpretazione degliatti, non a caso è la prima delle disposizioni applicative racchiuse nel TitoloIII del T.U., l’art. 20 è il frutto di una lunga elaborazione - normativa,giurisprudenziale e dottrinaria - non ancora conclusa.

Senza ripercorrerne qui tutte le vicende, è sufficiente ricordare che, inun tributo concepitoper tassare il negozio risultantedal documentoportatoa registrazione, la norma recepiva il principio, di matrice romanistica,secondo il quale nelle convenzioni deve guardarsi alla realtà, nonall’apparenza2.

1 Cass., 11dicembre2015,n. 25001 (Pres.Merone -Rel.Chindemi); Id., 11dicembre2015,n. 25005 (Pres. Merone - Rel. Bruschetta); Id., 18 dicembre 2015, n. 25484 (Pres. Merone - Rel.Cappabianca); Id., 18 dicembre 2015, n. 25487 (Pres. Merone - Rel. Cappabianca).

2 Amplius P. Puri, “Il fantasma dell’art. 20 del T.U.R. sulle cessioni di partecipazioni dicontrollo (riqualificate come cessione di azienda)”, in GT - Riv. giur. trib., 2014, pag. 71 s. Perbibliografia fondamentale, v. V. Uckmar, R. Dominici, “Registro (imposta di)”, in DigestoComm., XII, Torino, 1999, pag. 260; B. Santamaria, “Registro (imposta di)”, in Enc. dir.,XXXIX, Milano, 1988; M.A. Ferrari, “Registro (imposta di)”, in Enc. giur. Treccani, Agg.,

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Vigente l’art. 8 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, che ancora nonspecificava che gli effetti dell’atto cui guardare erano quelli giuridici3, ladottrina tradizionale aveva ritenuto che simile principio, nella logica di untributo sugli atti, servisse a disvelare il negozio (gestum) realmente conte-nutonel documento (scriptum), per impedire il conseguimentodi un rispar-mio fiscale tramite una denominazione dell’atto che nonne rispecchiasse lanatura giuridica e gli effetti.

Inizialmente ristretta ai casi di impropria qualificazione del negozio,l’ampia portata applicativa della norma veniva avvertita soprattutto nellefattispecie di simulazione, ove tipicamente si manifestava quelladiscordanza4.

A costoro si opponeva, da parte della scuola di Pavia, che la normavalesse a colpire il risultato economico degli atti, anche oltre il negoziorappresentato nel documento: si diceva che l’imposta andava applicata nonper il negozio giuridico prescelto dalle parti, ma per quello previsto dallalegge come produttivo del risultato effettivamente raggiunto5.

Questa tesimuoveva inunaprospettiva scientifica, all’epocadiffusa, cheriguardava il registro come tributo sui trasferimenti di ricchezza e adottavacriteri interpretativi di tipo sostanzialistico, al fine di sottrarre all’autono-mia privata un potere creativo dell’obbligazione tributaria (rischio

XXX, Roma, 2006; G. Fransoni, “Il presupposto dell’imposta di registro fra tradizione edevoluzione”, in Rass. trib., 2013, pag. 955 s. Sul rapporto tra art. 20 e divieto di abuso deldiritto, v. G. Girelli, Abuso del diritto e imposta di registro, Torino, 2012.

3 È solo con il D.P.R. n. 634/1972 che compare, nell’art. 19, l’aggettivo «giuridici». Laportata dellamodifica venne subito avvertita (Assonime, circolare n. 48 del 12marzo 1973 e F.Tesauro, “Novità e problemi nella disciplina dell’imposta di registro”, in Riv. dir. fin. sc. fin.,1975, I, pag. 97 s.) e ritenuta da alcuni confermativa di tesi già espresse dalla dottrina (ss. M.Battista, E. Jammarino, Tasse di registro, I, Roma, 1934). Invece, il riferimento a «l’intrinsecanatura e gli effetti degli atti» risale, pressoché immutato, all’art. 7 della Legge 21 aprile 1862, n.585, la prima del Regno d’Italia sulle tasse di registrazione. Va detto che, rispetto ai suoisuccessori, nel diverso sistema del r.d. 3269/1923 l’art. 8 serviva non solo a qualificare gli atti,ma soprattutto a individuare l’aliquota applicabile a quelli non nominati.

4 A. Uckmar, La legge del registro, I, 5a ed., Padova, 1958, pag. 197 s.5 D. Jarach, Principi dell’applicazione delle tasse di registro, Padova, 1937, pag. 41 s.; Id.,

“L’imposta di registro sui contratti in parte a titolo gratuito e in parte a titolo oneroso”, inRiv.dir. fin. sc. fin., 1937, II, pag. 297 s., il quale ravvisò nell’art. 8 una norma generale antielusiva;dello stesso autore, si veda anche Id., “Metodo e risultati nello studio delle imposte di registro”,inDir. prat. trib., 1938, pag. 93 s. La tesi aveva suggestionato altri studiosi della scuola pavese,tra cuiB.Griziotti, “Il principiodella realtà economicanegli artt. 8 e68della l.r.”, inRiv. dir. fin.sc. fin., 1939, II, pag. 202 s.; E. Vanoni,Natura dell’interpretazione delle leggi tributarie, Padova,1932, pag. 133; G. Tesoro, Principii di diritto tributario, Bari, 1938, pag. 249; F.Maffezzoni,Glieffetti giuridici degli atti soggetti all’imposta di registro, Padova, 1947, pag. 4 s.; e non solo: A.D.Giannini, Istituzioni di diritto tributario, 2a ed., Milano, 1941, pag. 114: Id., I concetti fonda-mentali del diritto tributario, Torino, 1956, pag. 166. Contrario, tra gli altri, A. Berliri, “Negozigiuridicionegozieconomiciqualebasedi applicazioneper l’impostadi registro?”, inRiv. it. dir.fin., 1941, I, pag. 175; Id., Le leggi di registro, Milano, 1961, pag. 257.

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particolarmente avvertito in un tributo “calato” nello stampo delle formegiuridiche)6.

Inunaposizione intermediasiponevaquelladottrinache,pur fedeleaglieffetti giuridici, ampliava la visuale dell’interpretazione testuale, esten-dendo la portata della norma alle diverse ipotesi di divergenza fra qualifi-cazione oggettiva del negozio ed effetti ad essa non connaturati7.

Dopo la riformadel 72’ e il TestoUnicodell’86, le posizionidella dottrinarimanevano ancora divise sull’oggetto (mediato) del tributo: per gli uni, erala situazione giuridica; per gli altri, la capacità economica manifestatadall’atto. Ma venivano sostanzialmente a concordare sulla necessità ditraguardare tale oggetto solo attraverso l’atto, escludendo, nell’interpreta-zione, elementi a questo estranei e forme di collegamento funzionale conaltri atti. Si concludeva che il Fisco non potrebbe superare lo schemanegoziale, elemento centrale del presupposto impositivo.

In linea con la concezione di “imposta d’atto”, già la giurisprudenzaprecedente il D.P.R. n. 634/1972, pur non unanimemente, aveva sostenutoche la riqualificazione degli atti presentati alla registrazione dovesse fon-darsi esclusivamente sui loro effetti giuridici, non su quelli economici; e chenon fossero da considerare elementi ad essi estranei o accadimentisuccessivi8.

Il principio per cui gli atti devono essere valutati singolarmente e conrilevanzadei soli elementi infratestuali è stato, però, abbandonatoda tempoin favore di interpretazioni non sempre lucidamente avvertite, anzi spessosovrapposte e non recisamente distinguibili tra loro.

Nell’ultimo decennio, la produzione giurisprudenziale è stata abbon-dante: ad un primo filone che vedeva nell’art. 20 una norma antielusiva,espressione del principio del divieto di abuso del diritto, è poi seguita - e si èconsolidata - un’interpretazione svicolata da dottrine antiabuso, ispirataall’incerto concetto di “causa concreta” e tesa a superare le forme giuridicheper disvelare la situazione di fatto, i “veri” effetti da sottoporre a tassazione.

6 L’interpretazione funzionale delle norme fiscali è stata elaborata negli anni ‘30 daBenvenuto Griziotti, maestro della scuola di Pavia. Per riferimenti, v. G. Girelli, op. cit., pag.63 s.; sulla figura del Griziotti, S. Cipollina, “Enrico Allorio (1914-1994): il carteggio conBenvenuto Griziotti e la rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze”, in Riv. dir. fin.sc. fin., 2014, I, pag. 131 s. Sulla rilevanza del contratto nei vari tributi, cfr. A. Fedele, “Assettinegoziali e ‘forme d’impresa’ tra opponibilità simulazione e riqualificazione”, inRiv. dir. trib.,2010, I, pag. 1093 s.; A. Carinci, “La rilevanza fiscale del contratto tramodelli impositivi, timoriantielusivi e fraintendimenti intrepretativi”, in Rass. trib., 2014, pag. 961 s.

7 F. Batistoni Ferrara, Atti simulati ed invalidi nell’imposta di registro, Napoli, 1969.8 Tra tante, Cass., 16 febbraio 2000, n. 6082 e Id., 16 aprile 1983, n. 2633, ove una

ricostruzione della giurisprudenza precedente. La stessa posizione si ritrova, però isolata, inCass., 20 luglio 2011, n. 15918. Contraria, tra le altre, Cass., 16 ottobre 1980, n. 5563, in Boll.trib., 1981, pag. 888. Altri riferimenti in F. Tesauro, “Elusione e abuso nel diritto tributarioitaliano”, in Dir. prat. trib., 2012, I, pag. 684 s.

D. CANÈ - LA GIURISPRUDENZA INTORNO ALL’ART. 20 DEL T.U.R.

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3.L’interpretazionedell’art. 20nella giurisprudenzadi legittimità -Secondo lagiurisprudenza oggi prevalente, l’art. 20 fissa un criterio di qualificazioneautonomo rispetto a quelli dell’art. 1362 c.c., che consente di considerareunitariamente più negozi, ancorché contenuti in atti separati, quandorisultino funzionalmente collegati per il raggiungimentodiun«preordinatounico risultato9».

Nella importante sentenza Tamerice10, la Corte di cassazione ha ravvi-sato la causadella venditadirettadi immobili nel collegamento tra l’apportodi immobili al fondo, con contestuale accollo liberatorio - da parte dellasocietàdi gestione -del relativo finanziamento, e la successiva cessionedellequote a terzi partecipanti del fondo.

La Corte muove dalla duplice natura dell’art. 20: norma d’interpreta-zione ma anche impositiva o, meglio, di norma che, insieme all’art. 1 T.U.,concorre a individuare l’oggetto del tributo, costituito dagli effetti giuridicidegli atti; effetti che esprimono la capacità contributiva tassabile.

Si ammette che l’art. 20 non costituisce una norma antielusiva in sensoproprio, ma ha solo ratio antielusiva: a differenza del primo tipo di norma,che colpisce fattispecie individuate, espressamente qualificandole comeelusive, l’art. 20 interviene, in fase d’interpretazione, sulla fattispecie impo-sitiva del tributo, per impedire pratiche elusive non codificate11.

Seguendo un ragionamento che si ritroverà anche nella giurisprudenzasuccessiva, la Corte afferma che, nella qualificazione dell’atto, si deveprivilegiare il «dato giuridico reale della effettiva causa negoziale rispettoal relativo assetto cartolare»; ciò consentirebbe di tassare unitariamente inegozi collegati in vista di uno scopo pratico unitario.

Così, si supera anche la differenza tra gli oggetti dei diversi atti (rect.negozi), che sono riguardati come un unico atto sul piano fiscale.

Questo orientamento non è nuovo: già all’inizio degli anni ‘80 la giuri-sprudenza aveva esaminato fattispecie di negozi collegati e indiretti edavvertiva l’esigenza di superare la considerazione isolata dell’atto per ade-guare la struttura di un tributo, ancora incentrato sul concetto di “negozio”,ad una realtà economica che si muoveva per insieme di negozi (ossia per“operazioni”)12.

9 Cass., 29 aprile 2015, n. 8655. In altre occasioni, la giurisprudenza parla indifferente-mente di «scopo pratico» e di «causa reale», indicando il medesimo concetto.

10 Cass., 19 giugno 2013, n. 15319 (Pres. Merone - Rel. Cappabianca), in Giur. it., 2014,pag. 557, con nota di Canè; conff. Id., 5 giugno 2013, n. 14150, inRass. trib., 2013, pag. 870, connota di Zizzo; Id., 14 febbraio 2014, n. 3481; Id., 19 febbraio 2014, n. 3932. Non constano altredecisioni in tema di applicazione dell’art. 20 ad apporti in fondi immobiliari.

11 F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, 12a ed., Milano, 2015, pag.260 s.

12 In verità, già negli anni ’50 la giurisprudenza aveva affermato il potere del fisco ditassare,ai finidell’impostadi registro, lacompravenditadelpacchettoazionario tamquamessettrasferimento del patrimonio societario; la tesi, però, non si fondava sull’art. 8 ma sullasimulazione (V. Uckmar, Il regime impositivo delle società. Le società a ristretta base azionaria,

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Tra i primi casi, risulta quello della donazione di buoni del tesoro dalgenitore al figlio, seguita dalla cessione onerosa di un immobile, sempre dalprimo al secondo, il cui prezzo era pagatomediante retrocessione dei buonidel tesoro. In tal caso, si è dato rilievo al collegamento tra i diversi atti perriqualificare l’operazione come donazione indiretta d’immobile13.

In seguito, la giurisprudenza ha applicato l’art. 20, valorizzando ilcollegamento tra atti, anche al noto caso del conferimento di azienda consuccessiva cessione delle partecipazioni a terzi; e pure alle cessioni frazio-nate di azienda (c.d. cessioni spezzatino).

Diversi e rilevantissimi sono i corollari di questa impostazione teorica:non essendo l’art. 20 una norma antielusiva, è indifferente che il vantaggiofiscale, cui l’atto o il collegamento negoziale danno luogo, sia sostenuto daun’apprezzabile ragione economica14.

Inoltre, il Fisconondeve provare la sussistenzadell’intento elusivo15; néha l’obbligo di instaurare il contraddittorio preventivo con il contribuente,oggi previsto dall’art. 10-bis Legge n. 212/2000 - e, prima, dall’art. 37-bis delD.P.R. n. 600/1973 - per le contestazioni di abuso del diritto16.

3.1. L’interpretazione, oggi recessiva, dell’art. 20 come norma antielusiva -Prima che si consolidasse l’orientamento, oggi prevalente, che nega all’art.20naturaantielusiva,questanormaerastataapplicatapiùvoltecometale17.

In tempi più recenti, questo filone è confluito, confondendovisi, nellanota dottrina dell’abuso del diritto18. Centrale nella giurisprudenza dell’a-buso erano le valide ragioni economiche, concepite come esimente mariguardate, di fatto, come elemento costitutivo della fattispecie. Di talche, l’incapacità del contribuente di giustificare il vantaggio fiscale sul

Padova, 1966, pag. 205 s.). Allora, il “superamento della persona giuridica” era raramenteammesso dalla legge: tra le poche disposizioni, l’art. 27, c. 3, r.d. 3269/1923, per il quale, aifini del registro, le partecipazioni in società in nome collettivo o in accomandita sempliceerano considerate beni mobili o immobili, a seconda della consistenza del patrimoniosociale.

13 App. Milano, 18 giugno 1976, in Giur. it., 1978, I, pag. 99, con nota di Dolfin; Cass., 9maggio 1979, n. 2658, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1982, II, pag. 79, con nota di Jarach, che coniò iltermine «contratti a gradini». V. anche Cass., 16 ottobre 1980, n. 5563.

14 Cass., 11 dicembre 2015, n. 25005; conff. Id., 11 dicembre 2015, n. 25001; Id., 18dicembre 2015, nn. 25487 e 25484; Id., 29 aprile 2015, n. 8655; Id., 14 febbraio 2014, n. 3481.

15 Alle sentenze citate nella nota precedente adde Cass., 29 aprile 2016, n. 8542; Id., 16aprile 2010, n. 9162.

16 Cass. 19 giugno 2013, n. 15319; conf. Cass., 18 dicembre 2015, n. 25484.17 Cass., 23novembre2001, n. 14900 inRass. trib., 2005, pag. 1208, connotadi Farina; Id.,

25 febbraio 2002, n. 2713, in Giur. it., 2003, pag. 193.18 Tra le altre, Cass., 24 luglio 2013, n. 17965.

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piano economico veniva considerata di per sé sufficiente a integrare gliestremi dell’abuso19.

Nonostante le critiche della dottrina20, si è ritenuta elusiva, e riqualifi-cata come cessione di masseria con fabbricato rurale, il conferimentod’azienda agricola con cessione delle partecipazioni medesime, in paridata e con atto separato, alla conferitaria ed ai suoi soci21.

Analogamente, era stata considerata elusiva, ai sensi dell’art. 20 e deldivieto di abuso del diritto, la cessione di azienda realizzata da un’impresaammessa al concordato preventivo con più atti di cessione di beni singoli,siccome avente come unica finalità il risparmio di imposta22.

Ancora,Cass., 28giugno2013,n.1634523hadecisoche lacostituzionedisocietà con conferimento di azienda alberghiera, gravata damutuo fondia-rio, e successiva cessione delle quote (della conferitaria) ad un terzo costi-tuiva elusione della equivalente fattispecie della compravendita; ai finidell’imposta di registro, andava quindi tassata come una cessione diazienda.

Dopo la sentenza Tamerice e numerose altre conformi, la giurispru-denza maggioritaria della Cassazione sembra oggi aver acquisito che l’art.20 non è norma antielusiva in senso proprio e che per essa non possonovalere le regole dell’abuso del diritto.

Va detto che, in alcune pronunce che pure seguono la teoria del colle-gamento negoziale, s’adombra ancora la natura antielusiva dell’art. 20;questi sembrano, però, più il segno d’inavvertite esigenze antielusive chedi un orientamento difforme24.

Questa considerazione appare confermata dalle sentenze deldicembre scorso che, proprio in un caso di conferimento di aziendae cessione delle partecipazioni, hanno correttamente distinto l’art. 20dall’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973.

19 Cass., 21 gennaio 2011, n. 1372, in Corr. Trib., 2011, pag. 678, con nota critica diStevanatoe inGT-Riv. giur. trib., 2011,pag. 286, connotadiBasilavecchia.L’erratapercezionedella convenienza economica quale elemento costitutivo della condotta abusiva emerge anchedalla ratio decidendidiCass., 30dicembre2015, n. 26060, inCorr. Trib., 2016,pag. 904, connotaadesiva di Marcheselli e Costanzo.

20 G. Marongiu, “L’abuso del diritto nella legge di registro tra principi veri e principiasseriti”, inDir. prat. trib., 2013, II, pag. 362; Id., “L’elusione nell’imposta di registro tra l’abusodel ‘diritto’ e l’abuso del potere”, ivi, 2008, I, pag. 1067; G. Corasaniti, “L’interpretazione degliatti e l’elusione fiscale nel sistema dell’imposta di registro”, in Obbl. contr., 2012, pag. 615 s.

21 Cass., (ord.) 19 marzo 2013, n. 6835, in Corr. Trib., n. 16/2013, pag. 1280, con nota diRizzardi.

22 Ossiadidetrarre l’IVAassoltasull’acquistodei singolibeni (Cass., (ord.)21giugno2013,n. 15743).

23 In Corr. Trib., 2013, pag. 3358, con nota di Martinelli e Stancati.24 Cass., 22ottobre2014,n. 22492; Id., (ord.) 13marzo2014,n. 5877, inGT-Riv. giur. trib.,

2014, pag. 494, con nota di Fanni.

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4. Casistica - Nel vasto panorama giurisprudenziale, ricorrono almenoquattro tipologie di fattispecie nelle quali è stata applicata la teoria degliatti collegati.

Come noto, il “grosso” dell’elaborazione giurisprudenziale si è svilup-pato sul conferimento di beni o aziende seguito dalla cessione delle parte-cipazioni, rivenienti dal conferimento, ai soci della conferitaria o a terzi.

Riqualificate le operazioni in una vendita di azienda (o di beni, aseconda del caso), il Fisco richiede alle parti dell’atto di cessione dellepartecipazioni il pagamento delle relative imposte di registro, ipotecariee catastali, calcolate sulla base dei valori di perizia o del corrispettivo divendita delle partecipazioni25, oltre a interessi e, occasionalmente,sanzioni26.

In Cass., 18 dicembre 2015, n. 25487, ad esempio, una società chegestiva centri commerciali conferiva ad altra società, già proprietaria didiversi immobili, un ramo d’azienda esercente l’attività di gestione delcentro, con pagamento dell’imposta di registro fissa. In pari data, laconferente cedeva a una terza società le quote ottenute a seguito delconferimento.

Più articolato è il caso oggetto della coeva Cass., 18 dicembre 2015, n.25484:all’esitodiunaprocedurapubblica,unfondopensionecostituivaunasocietà veicolo, alla quale conferiva il proprio patrimonio immobiliare.L’intera partecipazione nella conferitaria era poi ceduta ad una terzasocietà, interamente partecipata dalla sub-holding che faceva capo allasocietà vincitrice della gara. Infine, quest’ultima incorporava entrambe lesocietà partecipate.

La maggioranza di questi casi riguarda cessioni di partecipazioni tota-litarie o, comunque, di controllo; ma vi sono state anche contestazioni sucessioni di partecipazioni minoritarie27.

Una seconda fattispecie nella quale è stata applicata la teoria degli atticollegati è quelladel conferimentod’immobili gravati damutuo ipotecario esuccessiva cessione delle partecipazioni (operazione attuata specialmenteper beneficiare delle più favorevoli modalità di determinazione della base

25 GliUffici applicano spesso l’aliquotapiù alta tra quelle relative ai diversi beni del plessoaziendale, anche in presenza di separata indicazione del valore dei beni nella perizia diconferimento (secondo Cass., 22 aprile 1991, n. 4338, se, nell’atto di conferimento, sonoseparatamente indicati i valori dei singoli beni, a ogni bene dovrebbe esser applicata lacorrispondente aliquota). Tra l’altro, se la maggiore imposta è qualificata come “principalepostuma”, il ricorso non ne sospende la riscossione.

26 Talora è stata irrogata la sanzione prevista dell’art. 52, comma 1 T.U. registro per gliaccertamenti di maggior valore dei trasferimenti d’immobili e aziende.

27 InCass., 18 dicembre 2013, n. 28259, diverse società dello stesso gruppo conferivano inuna società neo-costituita vari rami d’azienda immobiliare; contestualmente, le partecipa-zioni, acquisite da ciascuna società, venivano tutte cedute alla capogruppo, la quale ne cedevapoi il solo 49%aduna società esterna al gruppo.Quest’ultimaoperazione (cessionedel 49%delcapitale)è statariqualificata invenditadiaziendaai finidelle impostedi registroe ipo-catastali.

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imponibile stabilite per i conferimenti immobiliari)28. Sono state unitaria-mente riqualificate in vendita di terreni agricoli anche la costituzione disocietà con conferimento di terreni agricoli gravati da ipoteca, seguiti dallacessione delle quote a favore della stessa conferitaria29.

In giurisprudenza, ricorre anche il caso della pluralità di vendite dicomponenti aziendali fatte al medesimo soggetto e in un breve intervallodi tempo; valutate unitariamente le cause dei diversi contratti, laCassazione, senza necessità di ricorrere all’abuso del diritto, vi ha indivi-duatounaunitaria cessionedel complessoaziendale, costituitodall’insiemedegli oggetti delle cessioni frazionate30.

Va ancora segnalata una quarta fattispecie, in cui la cessione di fabbri-cati da demolire, seguita, prima della demolizione e subito dopo l’acquisto,dalla richiesta di concessione edilizia da parte dell’acquirente, è stata riqua-lificata in cessione di terreno edificabile31.

5. Il primo corno del dilemma: i limiti dell’interpretazione degli atti soggetti aregistrazione - La giurisprudenza ha fatto uso del negozio collegato e indi-retto per contrastare presunte condotte elusive, nell’intento di superarel’applicazione formale delle norme impositive in nome dell’equa riparti-zione dei carichi pubblici32.

28 Nel conferimento, a differenza della cessione, sono deducibili le passività e gli oneriaccollati alla conferitaria (art. 50T.U. registro).Nel casoTamerice, in realtà, il conferimentodiimmobili beneficiava dell’agevolazione prevista dall’art. 8, comma 1-bis, D.L. n. 351/2001,consistente nell’applicazione delle imposte ipotecarie e catastali in misura fissa. Da annotareinvece che, in Cass., 19 febbraio 2014, n. 3932, l’immobile conferito risultava libero da oneri.Ciò non ha impedito all’Ufficio di riqualificare in vendita d’immobile la successiva cessionedella maggioranza delle quote della conferitaria.

29 Cass., 11 dicembre 2015, n. 25005. Una parte minore della giurisprudenza di merito ècontraria alla teoria della riqualificazione: tra le altre, Comm. trib. prov. di Forlì, 24 febbraio2014,n. 113, inRiv.dir. trib., 2014, II, pag. 109, connotadiMenti;Comm. trib. reg. diMilano, 27giugno2014,n. 3466 inGT-Riv. giur. trib., 2014,pag. 61, annotatadaPuri; Id., 13aprile2015,n.1453 in Corr. Trib., 2016, pag. 30, con nota adesiva di Beghin.

30 Cass., 4maggio2007, n. 10273e16aprile 2010, n. 9162; Id., 24 luglio 2013, n. 17965; Id.,4 febbraio 2015, n. 1955. Curiosamente, in Cass., 10 febbraio 2016, n. 2636 è stato il contri-buente ad invocare l’applicazione della teoria degli atti collegati per ottenere l’annullamentodell’avviso che aveva negato l’esistenza di un’azienda.

31 In ultimo, Cass., 21 novembre 2014, n. 24799.32 Tendenza che riaffiora anche in altri casi, come dimostra l’esperienza dell’abuso del

diritto; v. G. Falsitta, “L’interpretazione antielusiva della norma tributaria come clausolagenerale immanente al sistema e direttamente ricavabile dai principi costituzionali”, inCorr. giur., 2009, pag. 294 s. e A. Giovannini, “Il divieto d’abuso del diritto in ambito tributariocome principio generale dell’ordinamento”, in Rass. trib., 2010, pag. 982 s. S’intravede, nellatesi della Cassazione, il pregiudizio secondo cui, per un dato risultato economico, vi sarebberoforme giuridiche pre-individuate dal legislatore, rispetto alle quali quelle diverse appaionodeviazioni. Non si considera che spesso vi sono più “vie” nel diritto per giungere al medesimorisultatopratico (D.Stevanato, “Elusione fiscaleeabusodelle formegiuridiche, anatomiadiunequivoco”, in Dir. prat. trib., 2015, I, pag. 695 s.).

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Si tratta di tendenze già note, che si acuiscono in periodi storici caratte-rizzati dadissesti finanziarinelbilanciopubblico, comemostra l’esperienzatedesca del primo dopoguerra33.

L’ammissibilità del negozio collegato e indiretto è stata indagatasoprattutto sul piano dell’interpretazione degli atti, senza una medi-tata ponderazione del presupposto d’imposta. La ricostruzione delpresupposto nella sua duplicità, data dagli effetti giuridici potenzialidel negozio e dal fatto della registrazione34, reagisce sul problemadell’interpretazione, che, nel tributo di registro, è principalmente unaquestione di limiti; limiti che la dottrina e la giurisprudenza hannoindividuato nella considerazione isolata degli atti, anche per ragionipratiche dettate dalla peculiare modalità di riscossione del tributo.

Storicamente, la ricchezza era visibile attraverso l’atto, quale manife-stazione indiretta della capacità economica colpita dal tributo, che, inorigine, si connotava essenzialmente come tassa; di qui la nota formula“imposta d’atto”, giunta immutata ai giorni nostri35.

La giurisprudenza tenta oggi di superare questo limite quando affermache l’imposta di registro grava sugli effetti giuridici dei negozi, che sono daconsiderare unitariamente, se collegati36.

5.1. (segue) Specialità del procedimento d’interpretazione degli attisoggetti a registrazione rispetto all’interpretazione dei negozi - Il problemadel limite d’interpretazione degli atti riflette il contrasto tra opposte conce-zioni del rapporto tra diritto tributario e civile nonché, in definitiva, ildifficile bilanciamento tra istanze garantistiche, fedeli alla forma, e istanzeegalitarie, che valorizzano la sostanza dei fatti tassabili.

Ritengo che il problema vada reimpostato partendo dalle norme civili-stiche sull’interpretazione negoziale e che il rapporto tra queste e quellericavabili dall’art. 20 debba esser letto più in termini di specialità-complementarietà che di eccezionalità-autonomia. Tenterò, quindi, unasintesi tra le posizioni dottrinali che hanno escluso l’impiego dei canoni

33 Cfr. W. Schoen, “Interpretation of Tax Statutes in Germany”, in K. Vogel (a cura di),Interpretation of Tax Law and Treaties and Transfer Pricing in Japan andGermany, Kluwer LawInternational, 1972, pag. 69 s.; P. Pistone, Abuso del diritto ed elusione fiscale, Padova, 1995.

34 Cfr. L. Ferlazzo Natoli, “La fattispecie tributaria”, in Amatucci (diretto da), Trattato didiritto tributario, Padova, 2001 e S. Ghinassi, Imposte di registro e di successione. Profilisoggettivi ed implicazioni costituzionali, Milano, 1996, pag. 4. In verità, il presupposto dell’im-posta di registro è stato talora individuato nella formazione dell’atto, tal altra nella suaregistrazione.Perunarassegnadellevarie teorie, v.Lapis,“Presuppostodell’impostadi registroe atto plurimo”, inRiv. dir. fin. e sc. fin., 1969, II, pag. 173 s.; e N. D’Amati (a cura di), La nuovadisciplina sull’imposta di registro, Torino, 1989, pagg. 91-92.

35 Cfr. A. Uckmar, La legge del registro, cit., pag. 188 s. e G. Girelli, op. cit., pag. 74 s.36 È accolta la tesi che attribuiva al registro la duplice natura d’imposta e tassa (cfr. E.

Jammarino, Commento alla legge sulle imposte di registro, Torino, 1962, pag. 5).

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civilistici nell’interpretazione degli atti soggetti a registro37 e quelle che,invece, hanno ritenutodi poter recuperare in toto tali criteri38, valorizzandofinanche il comportamento delle parti posteriore al contratto.

Secondo lo schema norma-fattispecie-effetto, gli effetti giuridici delnegozio scaturiscono dal tipo negoziale, conformato dagli interessi delleparti. Ciò per l’elementare ragione che, da un lato, il legislatore non potevatipizzare tutti gli schemi negoziali; e, dall’altro, il regolamento scelto dalleparti deve, per comune esperienza, rispondere alla loro convenienza pratica.

L’interpretazione dei negozi ricerca, dunque, la «comune intenzione»dei contraenti, fruttodel loroaccordo.Aquesto fine, l’interpretedeve farusodiunaseriedi criteri, ordinati inunoschemagerarchicopreciso:deveprimaaver riguardo al testo e, se residuano incertezze (ossia, se questo divergedalla comune intenzione delle parti), a dati ad esso estrinseci, come i lorocomportamenti precedenti o successivi. In linea con la concezione dichia-rativa del negozio, l’interpretazione ricerca la volontà dei contraenti, noncome fatto psichico,ma comeprecetto espresso dal regolamento negoziale;le intenzioni individuali inespresse (“l’interno volere”) non assumonodignità giuridica39.

Sulla base di questo impianto normativo, l’art. 20 fissa due limiti: ilprimo, interno, ènel tipo (qualificazione) enegli effetti giuridicidelnegozio;il secondo, esterno, è nella registrazione.

Il riferimento all’intrinseca natura e agli effetti giuridici individua ilcriterio di sussunzione dell’atto nelle fattispecie indicate in Tariffa e deli-mita l’oggetto dell’interpretazione, che è diverso dalla comune intenzionedelle parti (è proprio questa duplice valenza ad aver indotto la giurispru-denza ad affermare che l’art. 20 individua anche l’oggetto del tributo)40.

37 Tra gli altri, G.A. Micheli, Corso di diritto tributario, 7a ed., Torino, 1984, pag. 77;F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte speciale, 10a ed., Milano, 2016, pagg. 282-283;N.Dolfin, “L’imposta di registro”, inG. Falsitta,Manuale di diritto tributario. Parte speciale, 11aed., Padova, 2016, pagg. 971 s.; B. Santamaria, op. cit.; M.A. Ferrari, op. cit.; G. Corasaniti,Profili tributari dei conferimenti in natura e degli apporti in società, Padova, 2008, pag. 473.

38 A.D. Giannini, op. cit., spec. pag. 166; A. Uckmar, La legge del registro, cit., pag. 97 s. E’stato da taluno ritenuto che si debba valutare anche il comportamento delle parti posteriore alcontratto (P. Tabellini, L’elusione della norma tributaria, Milano, 1988, pag. 65; G. Ferraro,“L’interpretazionedelnegoziogiuridicoaglieffettidella impostadi registro”, inBoll. trib., 1986,pag. 631 s.).

39 E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, 2a ed. (1a rist.), Napoli, 2002, pagg. 54 s. e346 s. Sull’interpretazione del negozio in generale, v. M. Casella, “Negozio giuridico (inter-pretazione del)”, inEnc. dir., XXVIII, Milano, 1978, pag. 39; G. Alpa, “Contratto”, inDig. priv.,Sez. civ., IV, Torino, 1989, pag. 121; F. Ziccardi, “Interpretazione III) Interpretazione delnegozio giuridico”, in Enc. giur. Treccani, XIX, Roma, 1998; R. Sacco, “Interpretazione delcontratto (I mezzi ermeneutici nell’)”, in Dig. priv., Sez. civ. (on line), 2014.

40 Di diverso avviso M.A. Ferrari, op. cit., pag. 5, secondo la quale la comune intenzionedelle parti e l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti esprimono concetti identici.Dissento, ancheperchépossonoverificarsi effetti giuridici diversi daquelli intesi dalla comune

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L’art. 20 non può rinunciare ai criteri interpretativi comuni; per cui, silimita a circoscriverne l’applicazione alla qualificazione e agli effetti giuri-dici del negozio, fissando anche un criterio speciale d’interpretazione, nonincompatibile con quelli civilistici41, ma che conforma uno speciale proce-dimento interpretativo.

Esso impone di privilegiare il tipo negoziale e i suoi effetti giuridici,come conformati dalla comune intenzione delle parti, rispetto ad altrielementi che, di norma, si considerano quando si interpreta il negozio: adesempio, il comportamento successivo delle parti. In questo, l’art. 20 nonesclude i normali canoni d’interpretazione, i quali ben possono utilizzarsi,specie quelli oggettivi, nella misura in cui consentono di qualificare l’atto edisvelarne gli effetti; né sembrerebbe escludere la possibilità di ricorrereall’interpretazione funzionale per valorizzare il collegamento tra diversinegozi42. Recepisce, anzi, una regola perfettamente identica a quello del-l’art. 1362 c.c., ossia che, quando la forma non rispecchia la sostanza, si hariguardo a quest’ultima.

Ad una lettura più attenta della norma, che consideri anche le altredisposizioni del T.U., emerge, però, il limite esterno dell’interpretazione, ilquale non consente di dar rilievo ad elementi esterni all’atto e che non neformino gli effetti.

Un primo indizio si ricava dalla seconda parte dell’art. 20, che fa riferi-mento agli «atti presentati alla registrazione». Questi sono da considerareisolatamente e per come appaiono alla registrazione, come suggeriscono lenorme che non danno rilevanza a comportamenti o vicende successiviall’atto43 e quelle che prevedono eccezionalmente la registrazione di con-venzioni verbali, che non sarebbero di per sé soggette a tassazione, o di attiper i quali il caso d’uso non si sia verificato (atti, questi ultimi, che sonocomunque tassati in modo autonomo).

Queste norme - tutte - indicano l’autonomia dell’imposta di registrorispetto alle vicende del diritto civile44; autonomia che si coglie in specialmodo nell’accertamento del presupposto.

In questo, l’art. 20 deroga all’art. 1362 c.c., il quale richiede di nonfermarsi al testo, ma di valutare anche il comportamento complessivo

intenzione delle parti. La stessa giurisprudenza mostra di percepire la comune intenzionecome elemento estraneo al negozio in sé o, comunque, altro rispetto ai suoi effetti giuridici.

41 Lanormaspecialenonfissa regole incompatibili conquellagenerale, comefa, invece, lanorma eccezionale (cfr. V. Italia, La deroga nel diritto pubblico, Milano, 1977, pag. 54 s.; S.D’Albergo, “Normaspeciale, eccezionale e comune inuncasodi ‘interpretazioneautentica’”, inForo it., 1956, III, pag. 206).

42 Cfr. G. Vettori (a cura di), II, “Regolamento”, in V. Roppo (diretto da), Trattato delcontratto, Milano, 2006, pagg. 183-184.

43 Sull’irrilevanza dei vizi dell’atto, v. F. Batistoni Ferrara, op. cit.44 Cfr. G. Gaffuri, “Qualificazione tributaria autonoma di un atto civile e imposta di

registro sulla sentenzadichiarativadella simulazione”, inRiv. dir. fin. sc. fin., 1971, II, pag. 50 s.

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delle parti, nella misura in cui sia necessario per stabilire la comune inten-zione (regoladell’interpretazioneglobale).Eviderogaper la ragionepraticache non si può chiedere all’Ufficio del registro d’investigare l’effettivavolontà delle parti45.

Così, prevalgono gli effetti giuridici “oggettivizzati” dal tipo legale,anche se non voluti46; e se, dal comportamento complessivo, emerge unacomune intenzione delle parti diversa da quella che risulta dall’atto, l’impo-sta di registro si applica comunque in base al tipo negoziale e ai suoi effettigiuridici.

6. Ragioni per un superamento dei tradizionali limiti all’interpretazione degliatti -Accanto a questi dati positivi abbastanza univoci, ne sono stati rilevatialtri che induconoadampliare il concettodiattoaquellodioperazione, sìdaconsiderare in modo unitario più negozi.

È stata richiamata la formulazione della Tariffa, che, ai sensi dell’art. 1,concorre ad individuare il presupposto del tributo. In essa, gli atti sonoraggruppati incategorieoclassidieffettigiuridiciovvero,asecondadeicasi,in base al loro autore o all’oggetto, e solo occasionalmente per tipo.

Altre ragioni di sistema che impongono una considerazione unitariadelle operazioni sono state ravvisate nella distinzione del registro rispettoall’imposta sulle successioni e donazioni e nel rapporto di alternatività conl’imposta sul valore aggiunto, incentrata sulle operazioni47.

In generale, poi, la normativa (comune e speciale) e la giurisprudenzatendono a valorizzare l’unità dell’attività negoziale, che si sviluppa oggi perinsiemi di atti (operazioni).

Questa giurisprudenza appare certo incoerente col dato normativo:collega la nascita del debito d’imposta al compimento dell’atto ed ignorala registrazione, che è elemento indefettibile del presupposto. Tuttavia, essaconferma l’inadeguatezza delle tradizionali nozioni di atto e di presuppostod’imposta rispetto alla realtà economica e suggerisce un ripensamentodellestrutture formali e sostanziali di un tributo che, oggi, non sembrapiù adattoad intercettare le manifestazioni di forza economica per le quali è statoconcepito.

7. Il secondo corno del dilemma: l’irrilevanza del collegamento negoziale(volontario) nell’imposta di registro (ossia, sulla sostituzione di fattispecieimponibili) - Se si osservano le conseguenze della teoria della riqualifica-zione, ci si accorge che il collegamento negoziale non è applicabile

45 Già lo rilevavano Cass., 17 ottobre 1904 e Trib. Genova, 31 gennaio 1927 in A. Uckmar,La legge del registro, cit.

46 Cass., 17 dicembre 1988, n. 6092.47 G. Fransoni, Il presupposto, cit.

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all’imposta di registro, poiché comporta l’arbitraria sostituzione di fatti-specie imponibili.

Se, come la giurisprudenza48, si guarda solo al risultato pratico, è facilecadere nella tentazione di equiparare la proprietà del bene di primo grado aquella del bene di secondo grado. In realtà, la cessione delle quote sidistingue recisamente dalla cessione degli immobili: detenere le secondeè cosa ben diversa dal possedere i primi49.

Questa giusta critica aiuta a focalizzare il nocciolo del problema, chemiparequesto: se l’art. 20autorizzi l’interprete, che ravvisi uncollegamento traatti, ad applicare l’imposta di registro a fattispecie che non producono glieffetti giuridici ch’essa dovrebbe colpire, sostituendo una fattispecie realead un’altra presunta.

Se, come afferma la Cassazione, oggetto del tributo sono gli effettigiuridici, ci si dovrebbe chiedere se è giusto che la ricerca della «causareale e della regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita daicontraenti» autorizzi a tassare allo stesso modo il tipo giuridico corrispon-dente allo scopo pratico unitario, che fonda il collegamento tra gli atti (lacessione del bene di primo grado), e quello effettivamente scelto dalle parti(la cessione del bene di secondo grado).

A differenza del diritto civile, dove l’accertamento del collegamentonegoziale è principalmente un problema d’interpretazione del contratto,la diversità di oggetto e di tipo negoziale non può ritenersi indifferentenell’imposta di registro, dove ad ogni classe di negozi corrisponde unaspecifica tassazione. Qui, la fattispecie civilistica è assunta, nelle formedel diritto civile, quale elemento della fattispecie impositiva e modificatasecondo le esigenze del tributo.

I casi nei quali il legislatore ha considerato la situazione di fatto nelladefinizione della norma impositiva, superando la qualificazione giuridicadel diritto comune, sono tassativamente individuati. Così, troviamo normeche introducono fattispecie supplementari, norme che stabilisconopresun-zioni ed altre che danno rilievo al collegamento tra diverse pattuizioni di ununico atto o a più atti.

Queste disposizioni rispondono ora a late finalità antielusive, ora all’e-sigenza di adattare le fattispecie civilistiche al presupposto dell’imposta diregistro.

48 In temadi IVA,CGE, 29ottobre 2009, causaC-29/08, ABSKF, inDir. prat. trib., 2010, II,pag. 333, con nota di Vannini.

49 Proprio inbaseaquestoprincipioCass., 19ottobre2012, n. 17948, inRiv. trim.dir. trib.,2012, pag. 667, commentata da Canè, ha stabilito che vanno tassate separatamente, ai sensidell’art. 21, comma 1, T.U. registro, il contratto di cessione di partecipazioni e le annesseclausole di garanzia riferite alla consistenza economica dell’azienda. Sulla diversità di effetti:E. Della Valle, “L’elusione nella circolazione indiretta del complesso aziendale”, in Rass. trib.,2009, pag. 375 s.; M. Beghin, “Elusione fiscale e imposta di registro tra interpretazione deicontratti e collegamento negoziale”, in Corr. Trib., 2016, pag. 25 s.

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Ad esempio, l’art. 33 T.U. registro disciplina il regime fiscale di alcuninegozi indiretti e prevede che il mandato irrevocabile dall’obbligo di rendi-conto è soggetto all’imposta stabilita per l’atto per il quale è stato conferito.

Un’altra fattispecie supplementare è nella disposizione che, in derogaalla regola dell’art. 31 e al principio di alternatività, assoggetta la cessione dicontratti di locazione finanziaria di immobili strumentali ad un’aliquota diregistro pari alla somma delle aliquote delle imposte ipotecarie e catastalipreviste per la vendita diretta degli immobili50. Ciò, nella considerazioneche la cessione, da parte dell’utilizzatore, del contratto di godimento com-porta il trasferimento anche del diritto di riscatto del bene ed equivale, nellasostanza,aduntrasferimentodellaproprietà (trasferimentoche, se fattopercompravendita, sconterebbe le imposte ipotecarie e catastali del 4%).

Altrenorme, come l’art. 26, stabilisconopresunzioni secundumeventumper limitare possibili arbitraggi tra il tributo di registro e quello sullesuccessioni.

Ancora, l’art. 21dà rilievo ai negozi complessi, disponendo la tassazioneunitaria di più pattuizioni necessariamente derivanti le une delle altre;viceversa, l’art. 3, comma 2 del D.Lgs. n. 218/1997 dispone la definizioneseparata dei rilievi riguardanti disposizioni autonome, ancorché contenutenello stesso atto.Maquestenorme valorizzano il collegamentooggettivo tradisposizioni, che deriva da obiettive esigenze del negozio giuridico, nonquello volontario, cheha inmente laCassazione quandoapplica ai negozi lateoria della riqualificazione; e non si applicano ai negozi collegati51, comedimostra a contrario la presenza di una norma apposita sull’enunciazione.

Quindi, l’attuale impianto normativo non consente di valorizzare ilcollegamento negoziale oltre gli effetti giuridici sostanziali, onde allargarele maglie delle fattispecie impositive oltre i casi che il legislatore ha intesoricomprendervi52.

Allora, si risolve in una petizione di principio quella secondo cui, anchenel tributodi registro, nonèdecisiva, in casodi negozi collegati, la rispettiva

50 Art. 8-bis della Tariffa, Parte I, allegata al T.U. registro, introdotto dall’art. 1 dellaLegge 27 dicembre 2013, n. 147; v. Assonime, circolare n. 1 del 21 febbraio 2014, pag. 14 s.;V. Mastroiacovo, “Imposta di registro proporzionale al 4% sulle cessioni dei contratti dileasing”, in Corr. Trib., 2014, pag. 463 s.

51 Inapplicazionedi questoprincipio,Cass., (ord.) 11 settembre2014,n. 19245hacassatolasentenzadimeritocheavevaritenutosoggettoa tassazioneunica l’attocontenentecessionidipiù quote sociali da più cedenti a più cessionari, riscontrando un semplice collegamentonegoziale tra pattuizioni indipendenti, ciascuna con causa autonoma, e non già un negoziocomplesso, contrassegnato da una causa unica; conf. Cass., 4 maggio 2009, n. 10180, che haescluso la tassazioneunitaria, exart. 21, comma2,degli atti di cessioned’aziendaedei contrattidi locazione dei relativi immobili.

52 IlD.P.R.n.634/1972nonhariproposto ladisposizionedell’art.8,comma2delR.D.n.3269/1923,cheautorizzaval’applicazionedel tributoperanalogia.Cosìcheogginonèpiùammissibile lac.d. analogiadi tariffa.Cfr.G.Fransoni, Il presupposto, cit., pag.966s.; per ladottrina formatasi sulR.D. 3269/1923, v. A. Uckmar, La legge del registro, cit., pag. 88 s.

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differenzadi oggetto; e la teoria della riqualificazione riporta la questione alvero oggetto materiale del tributo di registro (gli effetti giuridici o quellieconomici) e alle secche della querelle che il legislatore della Riformasembrava aver risolto con l’aggiunta, nell’art. 20, dell’aggettivo “giuridici”.

Si vede bene come, nella pratica, la ricerca della causa reale possatravalicare il concetto di causa negoziale per porsi sul piano dei motivi(tra l’altro, i negozi collegatimantengono ciascuno la propria causa, per cuinon è possibile individuarne una unica, ma, semmai, una fattispeciepluricausale)53.

Questa impostazione, insomma, pretende erroneamente di applicare deplano la categoria del collegamento volontario nel tributo di registro efinisce per andare oltre il semplice accertamento del collegamento54 (percui serve non solo il nesso teleologico,ma anche la comunanza intenti tra lepartidei varinegozi, lequalidevonoprefigurarsi l’effetto tipicodi ciascunoeil coordinamento tra essi55).

Una tale comunanza di intenti si può facilmente individuare nei con-tratti reciproci, ossia quando il conferimento è seguito dalla cessione dellequote alla conferitaria o ai suoi soci, ma può mancare in ipotesi di negoziconclusi tra soggetti diversi o, ancora, di meri atti.

Altrettantoproblematicopuòrisultare l’impiegodella figuradelnegozioindiretto, specie nei conferimenti seguiti dalla cessione delle quote a sog-getti diversi dalla conferitaria. Infatti, anche il negozio indiretto richiedeunacerta comunanzadi intenti o che, comunque, ilmotivodel contraentedipervenireadundiverso risultato sianotoall’altroo, almeno, riconoscibile56.

8. Art. 20 e nuovo art. 10-bis, Legge n. 212/2000 - Stabilito che l’art. 20 non èuna norma antielusiva e poggia su presupposti diversi da quelli dell’allora

53 A. Di Majo, “Causa del negozio giuridico”, in Enc. giur. Treccani, VI, Roma, 1988;R. Sacco, “Causa”, in Digesto priv., Sez. civ. (on line), 2014.

54 Per una critica simile, V. Mastroiacovo, “La nuova disciplina dell’abuso del diritto edell’elusione fiscale nella prospettiva dell’imposta di registro”, in Riv. not., 2016, pagg. 32-33.

55 Cass., 21 luglio 2004,n. 13580, inGiur. it., 2005, pag. 925connotadiCassano;Cass., SS.UU., 5 ottobre 2015, n. 19785, in Giur. it., 2016, pag. 33 con note di Viti e Messina; Id., 11settembre 2014, n. 19161. La giurisprudenza civilistica ha ravvisato negozi collegati nellacessione d’immobile, seguita da retro-locazione dello stesso all’alienante (sale and lease back) oda cessione dell’azienda in esso gestita; nella locazione collegata alla concessione in usodell’arredo; nei contratti di credito al consumo finalizzati all’acquisto di beni o servizi ed irelativi contratti di acquisto (Cass., 30 settembre 2015, n. 19522).

56 Cfr. F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, 9a ed., Napoli, 1983,contrario ad attribuire dignità giuridica alla categoria del negozio indiretto; D. Rubino, Ilnegozio giuridico indiretto,Milano, 1937, e T. Ascarelli, “Il negozio indiretto”, inSaggi giuridici,Milano, 1949, II, pag. 149 s., il quale lo utilizzò per riconoscere la validità delle c.d. società dicomodo. Altri riferimenti in G. Scalfi, “Negozio giuridico (Negozio indiretto)”, in Enc. giur.Treccani, XXIII, Roma, 1990. La giurisprudenza civilistica ha applicato il negozio indirettospecialmente a fattispecie di società di comodo, di alienazione a scopo di garanzia e didonazione indiretta (Cass., 21 ottobre 2015, n. 21449, in Notariato, 2015, pag. 599).

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vigente art. 37-bis,D.P.R. n. 600/1973, le sentenze di dicembre risolvono inradice il problema di coordinamento tra le due norme.

Lestesseconclusionidovrebberovalereancherispettoallanuovanormagenerale antielusiva, contenuta nell’art. 10-bis della Legge n. 212/2000.Infatti, l’art. 20 conforma un rimedio interpretativo ordinario nel tributodi registro e, per la natura residuale della tutela antiabuso, prevale suquesta(meglio, la precede). Tra l’altro, le due norme si distinguono per natura,presupposti e funzione57; non può quindi esservi conflitto, quantocomplementarietà58.

L’art. 20 è norma di interpretazione, mentre l’art. 10-bis è norma acontenuto e funzione complessi e, come il previgente art. 37-bis, racchiudedisposizioni di carattere sostanziale e procedurale59.

L’art. 10-bis opera, poi, in base a presupposti differenti, che variano inragione del tipo di tributo applicabile. Esso colpisce le operazioni prive disostanza economica e mira a neutralizzare i vantaggi fiscali indebiti, ossiacontrari ai principi propri - e semprediversi - dei singoli settori impositivi60.

Diversa nelle due norme è anche la fase ricostruttiva, che è volta adefinire come e su quale materia imponibile è applicata l’imposta dopoche è stata decostruita la fattispecie realizzata. L’art. 20, come inteso dallagiurisprudenza, richiede di riqualificare le forme giuridiche utilizzate inaltre che producano effetti economici analoghi (secondo un ragionamentoanalogico). L’art. 10-bis non spiega come procedere nelle situazioni in cui,“cancellati” i fatti, sia necessario individuare una fattispecie imponibile;prevede solo che i tributi devono essere rideterminati in base alle norme e aiprincipi elusi. Richiede quindi al Fisco di ricostruire la fattispecie elusa sulregime legale individuato dalle norme impositive eluse (secondo il normaleragionamento deduttivo)61.

Ancora: le condotte abusive, per definizione, non violano altre disposi-zioni tributarie, nemmeno quelle a ratio espressamente antielusiva (la cuiviolazionedà luogoadevasione).Di conseguenza, tali condotte configuranoun illecito atipico, che si distingue dall’evasione per la diversa tutela rime-diale che l’assiste (di tipo procedimentale e non più interpretativo); epossono essere contrastate solo con l’art. 10-bis.

57 Conf. F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, cit., pag. 261.58 Non può quindi condividersi l’affermazione secondo cui l’art. 10-bis avrebbe implici-

tamente abrogato l’art. 20 T.U. registro (A. Busani, “Regole allineate anche per il registro”, in IlSole - 24 Ore del 21 gennaio 2016, pag. 46; G. Gavelli, “Contratti riqualificati solo con le tuteledell’abuso del diritto”, in Il Sole - 24 Ore del 29 febbraio 2016, pag. 23).

59 G. Falsitta, “Natura delle disposizione contenenti ‘norme per l’interpretazione dinorme’ e l’art. 37-bis sull’interpretazione analogica o antielusiva”, in Riv. dir. trib., 2010, I,pag. 521.

60 Conff. A. Contrino, A. Marcheselli in C. Glendi, A. Contrino, C. Consolo (a cura di),Abuso del diritto e novità sul processo tributario, Milano, 2016, spec. pag. 13 s.

61 Cfr. D. Stevanato, “Elusione fiscale”, cit., pag. 701 s.

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Di contro, non si hanno violazioni dell’art. 20 T.U. registro, quanto, inrealtà, violazioni delle norme impositive che l’art. 20 assiste, le quali dannoluogo ad evasione (non ad elusione)62.

9. Inapplicabilità dell’art. 10-bis al conferimento seguito dalla cessione dipartecipazioni - Risolto nel senso della distinzione il rapporto tra art. 20 eart. 37-bis, e ritenendoapplicabile il primo,nonvi eranecessità, per laCorte,di indagare l’applicabilità della norma generale antielusiva al conferimentoseguito dalla cessione di partecipazioni.

Se,però, sinegache l’art. 20consentadi riqualificare l’operazionedequoin cessionediazienda,potrebbeapplicarsi, anchenell’impostadi registro, lanorma residuale oggi racchiusa nell’art. 10-bis, ove se ne ravvisassero ipresupposti63. Non pare, tuttavia, ch’essa possa applicarsi alla gran partedi questi casi permancanza di uno degli elementi costitutivi della condotta.Difatti, l’art. 10-bis presuppone l’effettuazione di operazioni prive disostanza economica, che realizzino vantaggi fiscali indebiti, i quali, a lorovolta, devono risultare essenziali rispetto agli altri vantaggi conseguiti.Recepisce, così, la concezione oggettiva dell’abuso elaborata dalla giuri-sprudenza comunitaria, nella quale scompare il riferimento alla formulapretoria dell’“uso distorto di strumenti giuridici” (che sembra, semmai,riaffiorare negli indici di cui al comma 2, lett. a).

Non assumono rilevanza i motivi soggettivi64: i vantaggi fiscali sonoinopponibili quando non siano conformi alle finalità e ai principi dellenorme rilevanti o dell’ordinamento65.

62 Conf. S. Fiorentino, L’art. 10-bis ed il coordinamento delle normative antielusive nazio-nali, relazione tenuta al Convegno AIPDT di Napoli, il 14 e 15 ottobre 2015 (reperibileall’indirizzo: http://www.aipdt.it/). A conclusioni analoghe perviene V. Mastroiacovo, Studion. 151-2015/T del Consiglio Nazionale del Notariato - L’abuso del diritto o elusione in materiatributaria: primenotenella prospettiva della funzionenotarile, 27 gennaio 2016, per la quale l’art.20 dovrebbe applicarsi solo a casi di errata interpretazione dell’atto o di difformità tra titolo etipo giuridico (Id., “La nuova disciplina dell’abuso del diritto”, cit.). Va segnalata, sul punto, ladiversa opinione di A. Giovannini (ribadita, in ultimo, in “L’abuso del diritto tributario”, cit.,pag. 908), secondo cui chi abusa del diritto fiscale viola comunque una norma - l’art. 10-bis,appunto - népiùnémenodi chi commette evasione; le due condotte, entrambeanti-giuridiche,esprimerebbero un disvalore simile, tale da non giustificare disparità di sanzioni. L’Autore èperò consapevole del fatto che una simile posizione svaluta, di fatto, la differenza tra evasioneed elusione e, aggiungo, la categoria stessa del “lecito risparmio di imposta”.

63 L’art. 10-bis è, infatti, applicabile a tutti i tributi. Conf. V. Mastroiacovo, “La nuovadisciplina dell’abuso del diritto”, cit. pag. 36 s.

64 Cfr. relazione governativa allo schema di Decreto sulla certezza del diritto del 21 aprile2015.

65 Colgono la centralità del vantaggio fiscale indebito nella fattispecie abusiva, pur condiverse sensibilità, P.Russo, “Profili storici e sistematici in temadi elusioneedabusodel dirittoin materia tributaria: spunti critici e ricostruttivi”, in Dir. prat. trib., 2016, I, pagg. 7-9; D.Stevanato, “Elusione fiscale”, cit., e, già prima, A. Contrino, “Il divieto di abuso del dirittofiscale: profili evolutivi, (asseriti) fondamenti giuridici e connotati strutturali”, in Dir. prat.

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Èproprio il carattere indebitodel vantaggio fiscale che sembramancarenellamaggior parte dei casi di conferimento e cessionedelle partecipazioni.

Dal sistema delle norme sull’imposta di registro, specie da quelle a ratioantielusiva, si trae ilprincipiopercui,quandodivergano,prevale la sostanzagiuridica dell’atto sulla sua forma. Questo principio, però, non comportal’applicazione della medesima tassazione a qualsivoglia fattispecie civili-stica realizzi un dato risultato pratico, che significherebbe sovvertire lastruttura del tributo; né impone una corrispondenza univoca tra scheminegoziali, tipo “normale” (ss. scelto dal legislatore) e un certo risultatopratico, tale da obbligare il contribuente a scegliere schemi negoziali pre-determinati in funzionedi quel risultato.Ciòper ilmotivoche la valutazionedi corrispondenza tra tipo negoziale e sostrato economico - se così si puòdire - dell’operazione è compiuta dal legislatore e, solo in determinatecircostanze, dall’interprete che applica la norma generale antielusiva(come nelle condotte circolari, all’esito delle quali l’unico socio della confe-ritaria si trova a detenere la totalità delle partecipazioni di questa).

10.Art. 20 epartecipazionedel contribuente all’accertamento -Dallanaturadinorma interpretativa dell’art. 20 deriva che, a differenza delle contestazionidi abusodel diritto, nonè richiesta al Fisco laprovadell’intento elusivonédiinstaurare il contraddittorio66 preventivo.

Questasecondamassima(inesplicatanelle sentenzedidicembre,magiàaffermatanella sentenzaTamerice) è conformealprincipio, enunciatodalleSezioniUnitenella sentenza9dicembre2015,n. 24823, secondo il quale,neitributi non armonizzati, non esiste un generico diritto del contribuente dipartecipare alla formazione del provvedimento, né il Fisco ha l’obbligo diprovocarlo, se non nei casi espressamente previsti67. Obbligo che, al

trib., 2009, I, pag. 481 s. In senso parzialmente difforme F. Gallo, “La nuova frontieradell’abuso del diritto in materia fiscale”, in Rass. trib., 2015, pag. 1330; A. Giovannini,“L’abuso del diritto tributario”, in Dir. prat. trib., 2016, I, pag. 906 s. Sull’art. 10-bis ingenerale, v. anche F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte Generale, cit., pag. 250 s.;G. Corasaniti, “Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione nell’ordinamento tributario”, inDir. prat. trib., 2016, I, pag. 465 s.; M.V. Serranò, “Brevi considerazioni sulle prospettive diriforma in tema di “abuso del diritto o elusione fiscale”, in Boll. trib., 2015, pag. 488 s.

66 Con il termine “contraddittorio” indico la partecipazione del contribuente all’attivitàdell’Amministrazione in funzione difensiva, ossia “per rappresentare elementi di fatto e didiritto utili per giungere ad un’obiettiva determinazione della materia imponibile” (L. Salvini,“La ‘nuova’ partecipazione del contribuente (dalla richiesta di chiarimenti allo statuto delcontribuenteedoltre)”, inRiv.dir. trib., 2000, I, pag.13).V.ancheCass., 3agosto2012,n.14026.

67 Confermata dalle successive Cass., (ordd.) 17 marzo 2016, n. 5362 e 12 aprile 2016, n.7137 e commentata da M. Beghin, “Il contraddittorio endoprocedimentale tra disposizioniignorate e principi generali poco immanenti”, in Corr. Trib., 2016, pag. 479 s. e V. Garattini, “Ilprincipio del contraddittorio nel procedimento tributario: brevi riflessioni sull’evoluzionedella giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione”, in Innovazione e diritto,2015, pag. 91 s. In base a questo principio, un accertamento emesso senza previo

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contrario, la dottrina68 e parte della giurisprudenza precedente69, anchecostituzionale70, avevano faticosamente e variamente ricavato dai principidi partecipazione all’azione amministrativa e di collaborazione e buonafede, diretta espressione di quelli costituzionali di difesa, imparzialità ebuon andamento dell’Amministrazione.

Le oscillazioni della giurisprudenza in tema d’intervento del privato nelprocedimento amministrativo (o, mutuando il termine processualistico, di“contraddittorio endoprocedimentale”) riflettono le incertezze sui limiti diapplicazionedi siffattoprincipionelnostroordinamento, sulle sueconcretemodalità di attuazione e sulle conseguenze della sua violazione.

Questi tre profili s’annodano l’un l’altro in un intreccio difficile dasciogliere.

Se è vero, come afferma la Corte costituzionale71, che la mancataprevisione nell’art. 20 del contraddittorio anticipato non è d’ostacolo allasua applicazione, è difficile dire come debba attuarsi tale principio. La suatraduzione pratica può, infatti, variare di caso in caso, perché dipende dallecaratteristiche del procedimento applicabile e dal contemperamento d’in-teressi che l’interprete è chiamato a fare72.

Nel caso dell’art. 20 T.U. registro, ad esempio, in quale modo dovrebbepartecipare il contribuente alla formazione dell’atto? Basterebbe l’invio diun semplice questionario o sarebbe necessario un vero e propriocontradditorio?

La domanda suona più come una provocazione, se si ritiene che lafunzione della norma sia solo d’individuare gli effetti giuridici degli atti eche non hanno peso le ragioni economiche delle operazioni: non sivedrebbe, infatti, l’utilità di un contraddittorio (peraltro, nessuna norma

contraddittorio è stato ritenuto valido per la parte riguardante tributi non armonizzati,invalido per quella relativa a tributi armonizzati (Cass., 30 dicembre 2015, n. 26117).

68 Riferimenti essenziali anche alla giurisprudenza comunitaria in V. Garattini, op. cit.Ricordo solo lemonografie di L. Salvini,La partecipazione del privato all’accertamento, Padova,1990, E.Marello,L’accertamento con adesione, Torino, 2001 eG.Ragucci, Il contraddittorio neiprocedimenti tributari, Torino, 2009.

69 Cass., SS.UU., 29 luglio 2913, n. 18184 in Rass. trib., 2013, pag. 1129, annotata da F.Tesauro; Id., 18settembre2014,n.19667, inGiur. it., 2015,pag.1199connotadiAlbertini.Cass.nn. 406/2015 e 25759/2014 avevano esteso l’obbligo di notifica della richiesta di chiarimentianche a contestazioni di abuso del diritto su fattispecie non contemplate dall’art. 37-bis.Tuttavia, i principi affermati da queste pronunce, oltre ad essere superati dall’arresto delleSezioni Unite, non sembrano estendibili alle contestazioni ex art. 20, perché formulati conriguardo a fattispecie nelle quali le verifiche si erano svolte nei locali dell’impresa, consuccessiva consegna del PVC; quindi, comunque sussumibili nell’art. 12 della Legge n. 212/2000.

70 Cortecost., 7 luglio2015,n.132, inRass. trib., 2015,pag.1201,connotediG.MarongiueRagucci.

71 Sentenza 7 luglio 2015, n. 132, punto 3.1.72 G. Ragucci, “Il principio del contraddittorio nella giurisprudenza della Corte costitu-

zionale”, in Rass. trib., 2015, pagg. 1228 e 1233.

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del T.U. registro impone all’Ufficio un generalizzato obbligo delcontraddittorio).

Sennonché, all’atto pratico, la riqualificazione risulta estremamenteinvasiva per l’impresa, potendo portare inattese e gravi conseguenze finan-ziarie anche adistanzadi anni; tantoda aver indotto certa dottrina financhea interrogarsi sulla possibilità di configurare l’annullabilità degli avvisi diriqualificazione per sviamento di potere73.

Queste riflessioni suggeriscono, insomma, una più informata medita-zione dell’attività valutativa del Fisco, specie nelle operazioni più artico-late74. Esigenze di certezza nella determinazione del presupposto,espressione del principio di legalità, e di bilanciamento della invasivitàdella riqualificazione potrebbero indurre a considerare una forma (obbli-gatoria) di partecipazione-difensiva del contribuente alla formazione del-l’avviso; una partecipazione diretta soprattutto ad instaurare uncontraddittorio, più che a completare il quadro conoscitivo del Fisco (l’im-posta deve comunque applicarsi in base all’atto)75.

Anche a voler ignorare il problemadella formadel contraddittorio, è poidubbio quale sia la conseguenza della violazione di un obbligo ricavato daunprincipio: unobbligo è tale se la sua violazione comporta una sanzione e,nel diritto tributario, questa sanzione può derivare dalla violazione di unanorma di legge o di un principio. Ma deve trattarsi di un principio fonda-mentale (si hanullità in senso forte anchenegli altri casi indicati dall’art. 21-septies, comma 1 della Legge n. 241/1990, nei quali, però, non sembrasussumibile il difetto di contradditorio)76.

Tuttavia, è qui posta in dubbio l’esistenza stessa di una normadi legge77

o di un principio fondamentale, la cui violazione sarebbe causa di nullità.Sul piano delle posizioni soggettive, in fine, l’obbligo di un soggetto

corrisponde al diritto di un altro; diritto che, nella specie, la Cassazione ha(di nuovo) ravvisato nei soli casi previsti dalla legge.

73 G. Girelli, op. cit., pag. 127 s.74 Nel caso esaminato da Cass. 25484/2015, una società e un fondo pensione si sono visti

richiedere oltre 70milioni di euro, a titolo di sola imposta complementare di registro, tre annidopo una complessa operazione da oltre un miliardo di euro.

75 Mi faccio caricodella critica secondo laquale lapartecipazionedelprivato sarebbeoggigià assicurata dalla possibilità di esperire l’accertamento con adesione, una volta ricevutol’avviso. Obbietto che, in realtà, in quel momento l’atto è già formato.

76 Cfr. Cass., 18 settembre 2015, n. 18448. In dottrina, F. Tesauro, “Le nullità dei provve-dimenti tributari”, in Innovazione e diritto, 2015, pag. 30 s.

77 M. Beghin, “Il contraddittorio endoprocedimentale”, cit., ritiene che un generaleobbligo del Fisco di comunicare il processo verbale di constatazione, e attendere per sessantagiorni le osservazioni del contribuente prima di emanare l’avviso, sia desumibile, per inter-pretazione analogica, proprio dall’art. 12, comma 7, Legge n. 212/2000 e dall’art. 24, Legge 7gennaio 1929, n. 4.

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11.Notazioni conclusive -L’abbandonodella tesi che vedevanell’art. 20 unanorma antielusiva propria rappresenta, amio avviso, un passo avanti per lagiurisprudenza. Le clausole generali, come quelle antielusive, determinanoun “innalzamento”dei criteri giudiziali di decisione - dalle normeprecettiveai valori della coscienza sociale78 - e accrescono l’incertezza del sistema.

La posizione della giurisprudenza sull’art. 20 appare coerente con lafunzione che la nuovanormagenerale antielusiva dell’art. 10-bis è destinataa svolgere nel nostro ordinamento. Tuttavia, essa sembra criticabile sottopiù profili.

Sotto il profilo teorico, la teoria degli atti collegati contraddice la ratiodell’art. 20 e contrasta col presupposto del tributo di registro, perché pre-tende di applicarvi de plano le figure civilistiche, ignorandone la specificità.L’avversata tesi tradisce la diffusa e condivisibile esigenza di adeguare lastruttura del tributo al mutato contesto economico, nel tentativo di realiz-zare l’eguaglianza sostanziale nella ripartizione dei carichi pubblici79.Tuttavia, in un ordinamento informato al principio di legalità, nel quale«il potere pubblico si connota in termini di esercizio tipico e formale80»,l’interprete non può alterare le fattispecie impositive, che spetta solo allegislatore di modificare.

Sotto l’aspetto pratico, la teoria della riqualificazione inficia laprevedibilità delle conseguenze giuridiche, comporta l’irrilevanza delleragioni economiche delle operazioni e la negazione del diritto alcontraddittorio.

Così, sembra che il contribuente resti senza argomenti - e, soprattutto,senza garanzie - innanzi a rettifiche tanto invasive. Rimangono, per altro,perplessità sull’utilità che un (eventuale) contraddittorio anticipatopotrebbe avere nell’economia di questi accertamenti.

Queste ragioni inducono a una rimeditazione della teoria degli atticollegati, che confini l’applicazione dell’art. 20 entro il presupposto dell’im-posta di registro e lasci all’art. 10-bis il compito di colpire le condotteabusive, specie quelle realizzate con schemi circolari.

DOTT. DANIELE CANÈDottorando di ricerca in diritto tributarioUniversità degli Studi di Milano-Bicocca

78 N. Irti, “La crisi della fattispecie”, in Riv. dir. proc., 2014, pag. 41 s.79 Per una analisi critica delle teorie egalitaristiche della redistribuzione, v. D. Stevanato,

La giustificazione sociale dell’imposta, Bologna, 2014, pag. 322 s.80 Cass., SS.UU., 26 febbraio 2010, n. 4648.

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Regole europee ed incentivi fiscali allo sviluppo deibrevetti: prime considerazioni sulla Patent Box

Alessandro Vicini Ronchetti

Estratto: La legge riguardante la detassazione degli utili derivanti dallo sfrutta-mentodi talunibeni immateriali, c.d.PatentBox, stimolaalcune riflessioni inmeritoalla compatibilità rispetto alla regole europee. La Patent Box pone riflessioni conriguardo al necessario bilanciamento della regola sul divieto di aiuti di Stato e lanecessitàdi attuarepolitiche economiche europeedi sviluppodi determinati settori.In particolare, la recente evoluzione della Commissione in merito alla nozione diselettività dell’aiuto potrebbe implicare profili di illegittimità della norma.Inoltre, il disposto legislativo di cui alla Legge n. 190/2014 pone alcuni problemiinterpretativi, di non poco conto, che non appaiono essere stati risolti dal Decretoattuativo.

Abstract: The law granting tax benefit in case of certain intangibles income, the socalled Patent Box, involves considerations on the compatibility of said law withregard to European rules. Patent Box implies a balance between the State Aid ruleandtheneed toput inplacespecific economicsEuropeanactionsonstrategic sectorsdevelopment. Inparticular, the recent evolutionof theEuropeanCommissionon theselectivity requirement may lead to affirm that the law n. 190 could be contrary toprohibition of State Aid rule.Inaddition, the lawn.190/2014 includes fewinterpretationmatters thathavenotbeensolved by the Ministerial Decree.

SOMMARIO:1.Premessa -2.LadisposizionedicuiallaLegge finanziariaper il2015(cenni) - 3. Compatibilità del regime “Patent Box” con la legislazione comunitaria -3.1. Premessa - 3.2. Patent Box e libertà fondamentali - 3.3. Patent Box eAiuti di Stato - 3.4. Patent Box ed obiettivi europei di politica economica -4. Peculiarità recate dalla legislazione italiana e regole europee - 4.1. Perditefiscali - 4.2. Deducibilità dei costi - 5. Determinazione del contributo econo-mico alla produzione del reddito.

1.Premessa -LaLeggen.190del23dicembre2014pubblicata sullaGazzettaUfficialen.300del29dicembre2014(Leggedistabilitàper il2015,di seguitoanche “Legge n. 190”) reca, nella versione originaria, all’art. 1, commi 37 eseguenti, la possibilità di optare per un regime fiscale previlegiato ai redditi

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derivanti dall’utilizzo di opere dell’ingegno, da brevetti industriali, da mar-chi d’impresa funzionalmente equivalenti ai brevetti, nonché da processi,formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo indu-striale, commerciale o scientificogiuridicamente tutelabili. Ladisposizionedi cui sopra rappresenta un incentivo all’attività di ricerca già presente, daalcuni anni, in altri Paesi europei.

La legge istitutiva, al comma 43, prevede l’emanazione di un Decreto dinatura non regolamentare volto a disciplinare le disposizioni attuativedell’agevolazionenonché individuare le tipologie dimarchi escluse dall’am-bito di applicazione della norma de qua. Inoltre, l’art. 5 del D.L. 25 gennaio2015, n. 3 convertito nella Legge 24 marzo 2105, n. 331, ha modificato ilcomma 43 eliminando sia il riferimento alla individuazione della tipologiadi marchi esclusa dall’agevolazione sia la specificazione riferita sempre aimarchi cheprevedevache fossero “funzionalmenteequivalenti aibrevetti”2.In ultimo, il comma 148, art. 1 della Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (c.d.Legge di stabilità per il 2016) ha introdotto alcune precisazioni in relazionealla individuazione dei beni agevolabili, senza tuttavia apportaremodifichesistematiche3.

L’opportunitàdi riflettere sudettaagevolazione trova stimoloancheallaluce del dibattito attualmente in essere in ambito europeo sui regimi diincentivazione alla ricerca e sviluppo attraverso agevolazioni di caratteretributario. L’Italia è infatti tra gli ultimi Paesi che hanno adottato unaspecifica legislazione al fine di incentivare la ricerca e l’innovazione attra-verso una disciplina fiscale dedicata4.

L’introduzione di regimi fiscali di favore, sebbene volta ad incre-mentare gli investimenti in attività potenzialmente capaci di arrecareincremento di ricchezza e di produzioni ad alto valore aggiunto, puòtuttavia assumere le caratteristiche di “concorrenza fiscale dannosa”;prassi che sia l’Europa sia l’OCSE sono impegnati a contrastare.Proprio in relazione al regime agevolativo Patent Box, la Germania,attraverso il proprio Ministro delle Finanze, ha formalmente chiesto di

1 Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 70 del 25 marzo 2015.2 Le implicazioni derivanti dall’inclusione dei marchi tra le attività immateriali che

permettonodi goderedell’agevolazionePatentBoxnon sonooggettodi trattazionenel presentescritto.

3 In particolare viene precisato che tra le opere dell’ingegno tutelabili rientra il softwareprotetto da copyright e che qualora più beni appartenenti a un medesimo soggetto, sianocollegati da vincoli di complementarietà e vengano utilizzati congiuntamente ai fini dellarealizzazione di un prodotto o di una famiglia di prodotti o di un processo o di un gruppo diprocessi, tali beni possono costituire un solo bene immateriale.

4 I Paesi che risultano avere una disciplina “Patent Box” sono: Francia, Ungheria, PaesiBassi, Cipro, Regno Unito, Portogallo, Svizzera, Liechtenstein, Irlanda, Cina. I regimi agevo-lativi variano da un’aliquota di tassazione pari a 0% in Malta, al 2% a Cipro, 2,5% inLiechtenstein per giungere al 12% in Spagna e 15,5% in Francia.

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rivedere la legislazione di diversi Stati membri in quanto, secondo laGermania, costituirebbero prassi fiscali che non hanno lo spirito euro-peo ma sono adottate al solo fine di attrarre società garantendo aliquotefiscali fortemente ridotte5. In dettaglio, secondo le osservazioni mossedalla Germania, la Patent Box britannica consentiva di beneficiaredell’agevolazione fiscale anche in caso di attività di ricerca sostanzial-mente effettuata da soggetti residenti in altri Paesi membri; con ciò nonavrebbe permesso di concorrere allo sviluppo dell’economia del Paeseche concede l’agevolazione. Inoltre, la legge sulla Patent Box britannicanon poneva specifici oneri di documentazione/tracciabilità delle spesedi ricerca sostenute. Ciò ha indotto la Germania a chiedere modifiche alregime inglese. Richieste che, dopo un periodo di trattative tra iMinistri delle Finanze dei due Paesi, hanno comportato l’adozione diun accordo formalizzatosi durante le riunione del G20 di Brisbanetenutosi nel novembre 2014. Successivamente, in occasione del G20del febbraio 2015, tenutosi ad Istanbul, i Paesi hanno concordatol’introduzione del c.d. nexus approach al documento BEPS con riferi-mento alle norme di favore riguardanti gli incentivi alla ricerca6. Taleregola statuisce la necessità che l’agevolazione sia concessa, o comun-que sia più efficace, qualora vi sia una collegamento diretto tra le spesesostenute per il bene immateriale e i proventi derivanti dallo sfrutta-mento del bene stesso7.

5 Affermava il Ministro tedescoWolfgang Schaueble: “We have to look at this practice anddiscuss it in Europe. That’s not European spirit. You could get the idea they are doing it just toattract companies” Cfr. dichiarazione del Ministro delle Finanze riportata dall’agenzia distampa Reuters in http://uk.reuters.com/article/2013/07/09/uk-europe-taxes-idUKBRE9680KY20130709. Sempre l’agenzia Reuters riporta: “Governments which offerthem say they encourage innovation and high-value jobs in research and development. Criticssee the scheme as government-sanctioned tax avoidance. Countries offering Patent Box-typeregimes include Belgium, France, Hungary, the Netherlands and Spain, according to tax advisersDeloitte. ‘Patent Box’ schemes can be valuable for companies.

Glaxo Smithkline (GSK.L) has said the UK regime encouraged it to build a new UKpharmaceutical plant in Britain and to bring many patents held overseas back into the UK.Citigroup has estimated GSK’s effective tax rate will fall to 21 percent by 2017, from an estimated24percent in2013asa result of themeasure.U.S.on line travel agency ‘Priceline.com’ said last yearthe ‘innovation box’ break offered in the Netherlands, where its ‘Booking.com’ is based, wouldreduce its tax rate by around fourpercentage points.Belgium,oneof the firstEUcountries to adopta Patent Box type break, is considering imposing limits to the benefits companies can claim, taxadvisers said, after discovering tax revenueswere being cutmore thanexpected.Tax competition isa global issue but the ability of companies to operate in one European market and accessneighbouring ones without barriers means tax competition is most fiercely fought in the bloc,academics say”.

6 Sul temasi vedaP.Arginelli -F.Pedaccini, “Primeriflessioni sul regime italianodiPatentBox in chiave comparata ed alla luce dei lavori dell’OCSE inmateria di contrasto alla pratichefiscali dannose”, in Riv. dir. trib., n. 9/2014, pag. 80 ss.

7 Cfr. Relazione illustrativa al Decreto interministeriale.

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Inoltre, il regime fiscale Patent Box può comportare altre potenzialicriticità. Esso difatti può comportare eventuale violazione del divieto diaiuti diStatoai sensi degli artt. 107 e seguenti delTrattatodi funzionamentodell’UnioneEuropea; eventualeviolazionedel codicedi condotta istituitodaparte dell’ECOFIN nel 1998 nonché possibile violazione delle indicazionicontenute nel documento programmatico dell’OCSE (Base Erosion andProfit Splitting, c.d. BEPS) recentemente sottoscritto dai ministri deiPaesi aderenti al G208. In particolare, con riferimento al documentoOCSE, trattasi di proposte di modifiche ai trattati bilaterali ed alle dispo-sizioni che potenzialmente potrebbero rappresentare misure fiscali dan-nose. I Paesi del G20 hanno difatti concordato un quinto punto (Action n. 5)all’internodel documentoBEPS inbaseal quale il beneficio fiscale concessoai redditi derivanti dall’attività di ricerca e sviluppo dovrà rispettare talunecaratteristiche.

2. La disposizione di cui alla Legge finanziaria per il 2015 (cenni) -L’agevolazione Patent Box recata dalla normativa italiana ricalca, in lineagenerale, le disposizioni già adottate dagli altri Paesi. È prevista una detas-sazione (a regime sarà del 50%) dei proventi derivanti dallo sfruttamento ditaluni beni immateriali. In particolare sono inclusi tra i beni immateriali: leoperedell’ingegno, ibrevetti industriali, imarchinonchéprocessi, formuleeinformazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, com-merciale o scientifico, a patto che siano giuridicamente tutelabili.

La disposizione reca i presupposti soggettivi individuando tutti coloroche esercitanoattività d’impresa, indipendentementedalla formagiuridica.Sono inoltreammessi abeneficiaredel regimeanche i soggetti non residentinel territorio dello Stato ai sensi della lett. d), comma 1, art. 73 T.U.I.R.; inquest’ultimo caso solo qualora i beni immateriali siano attribuibili allastabile organizzazione e sia in vigore con il Paese estero un accordo perevitare le doppie imposizioni che preveda uno scambio di informazionieffettivo. Peculiare caratteristica del regimePatent Box, infine, è l’obbligo siquantificare il contributo diretto dei beni immateriali al reddito comples-sivo, attraverso un accordo con l’Amministrazione finanziaria ai sensidell’art. 8, D.L. 30 settembre 203, n. 269 (articolo ora sostituto con l’art.31-ter,D.P.R.n. 600/1973); requisito, quest’ultimo, che - comedescriveremomeglio nel prosieguo - presenta talune criticità9.

8 Sottoscrittodurante ilG20diLima indata8ottobre2015havisto il contributodioltre60Paesi. Inmerito ricordiamoche ilGovernospagnolohaannunciato il 5agosto2015 l’intenzionedi modificare il regime Patent Box al fine di adeguarlo al contenuto dell’Action 5 on counteringharmful tax practices, emesso dall’OCSE.

9 È inoltre previsto il preventivo accordo con l’Amministrazione finanziaria nel caso diprofitti eligibili per l’agevolazione qualora derivino da transazioni con soggetti appartenenti algruppooqualora laplusvalenzaconnessaalla cessionedelbene,derivi daalienazioneavvenutanei confronti di soggetti appartenenti al gruppo.

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È inoltre concessa un’agevolazione anche nel caso di alienazione delbene immateriale (è prevista una detassazione della plusvalenza realizzata)a condizionechealmeno il 90%del corrispettivoderivantedalla cessione siareinvestito, primadella chiusura del secondoperiododi imposta successivoaquello in cui è avvenuta la cessione, nello sviluppoonellamanutenzionedialtri beni “agevolabili”.

Sebbene il meccanismo agevolativo sia applicato al reddito imponibileattraverso l’esclusione da tassazione di una parte del reddito stesso, lemodalità per la quantificazione dall’ammontare agevolabile si basano sul-l’ammontare dei costi sostenuti. I criteri di determinazione del beneficio, èstato osservato, non si configurano come un semplice incentivo per leaziende nell’intraprendere attività di ricerca e sviluppo ma collocano l’im-piantodi incentivazione suunpianodifferente, allorché l’agevolazione è suiricavi connessi ai costi sostenuti per la ricerca e sviluppo, mentre le incen-tivazioni alla ricerca e sviluppo in precedenza introdotte eranoparametrateesclusivamente sull’ammontare dei costi (incentivo sotto forma di creditod’imposta, quale, adesempio, quellodisciplinatodalD.L. 23dicembre2013,n. 145 recante la concessione di un credito d’imposta parametrato sullespesedi ricercaesvilupposostenute)10. Invero, la legge inquestionehacomeratio il mantenimento dei beni immateriali in Italia nonché favorire ilrientro in Italia di beni immateriali “delocalizzati” in Paesi esteri11.Trattasi, difatti, come evidenziato da attenta dottrina, di beni e di connessiredditi che, oltre a consentire la realizzazione di alto valore aggiunto,possono essere agevolmente trasferiti in Paesi ove vigono regole fiscalipiù favorevoli12.

Il meccanismo di determinazione dell’agevolazione comporta che laquota di reddito o di valore della produzione (l’opzione per il regime ditassazione agevolata dei redditi derivanti dall’utilizzo dei beni immate-riali rileva, oltre che ai fini delle imposte sui redditi, anche ai fini IRAP)che può essere oggetto di agevolazione, è definita in base al rapporto trai costi di attività di ricerca e sviluppo sostenuti per il mantenimento,l’accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale eligibile e i costicomplessivi sostenuti per produrre tale bene. In dettaglio, i costi chesono “privilegiati” per la quantificazione del reddito agevolabile sono

10 Cfr. M. D’Orsogna, A. Sbroiavacca, D. Stevanato, R. Lupi, “‘Patent Box’ tra calcolo deiricavi agevolabili e utilizzazione dei costi come limite al beneficio”, inDialoghi Tributari, n. 1/2015, pag. 5.

11 In questo senso si esprime la relazione illustrativa al disegno di legge come evidenziatoda L.M. Pappalardo, “Alcuni comenti a caldo sul nuovo Patent Box”, inRiv. dir. prat. trib., n. 4/2015, pag. 3.

12 Cfr. S. Cipollina, “I redditi ‘nomadi’ delle società multinazionali nell’economia globa-lizzata”, in Riv. dir. fin. sc. fin., n. 1/2014, pag. 8. Afferma la dottrina citata: “All’interno deigruppi multinazionali, l’allocazione dei costi e dei profitti relativi allo sviluppo dei beniimmateriali spesso non è in linea con il reale processo di creazione del valore”.

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costi afferenti attività svolte direttamente dai soggetti beneficiari; dauniversità o enti di ricerca e organismi equiparati; da società, anche“start up innovative”, diverse da quelle che direttamente o indiretta-mente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllatedalla stessa società che controlla l’impresa. Si può trarre la ratio di talecalcolo nella volontà di incentivare la ricerca e sviluppo effettuata daparte del soggetto che beneficia della misura. Difatti, l’ammontare delreddito agevolabile decresce all’aumentare della spese di ricerca esviluppo rappresentate da addebiti effettuati da società del grupponella misura in cui tali costi non sono, a loro volta, oggetto diriaddebito.

La finalità del meccanismo di calcolo dell’agevolazione è espressa-mente confermata dalla relazione al Decreto ministeriale ove si affermache “il numeratore e il denominatore del rapporto [ergo l’ammontaredell’agevolazione, N.d.R.] non differiscono per natura dei costi iviindicati, ma soltanto per il diverso computo delle spese di R&S deri-vanti da rapporti con consociate e di quelle relative ad acquisizionidegli immateriali13”.

3. Compatibilità del regime “Patent Box” con la legislazione comunitaria

3.1. Premessa - Usualmente i Paesi europei che adottano legislazioni difavore verso redditi derivanti dallo sfruttamento di proprietà intellettuali,suddividono le proprietà immateriali legate alla produzione dei beni comei brevetti e quelle legate al marketing, come i marchi. Le prime sonoproprietà immateriali che solitamente comportano alti rischi ed ingentiinvestimenti; le seconde permettono invece una maggiore diffusione sulmercato dei beni prodotti14. Inoltre, anche le modalità di determinazionedel beneficio fiscale possonoessere suddivise indue tipologiedi gruppi.Daun lato, esistono Paesi in cui la riduzione della tassazione effettiva èconcessa mediante l’esenzione (il nostro legislatore ha adottato il sostan-tivo “esclusione”)dipartedel reddito, altriPaesi concedonounadeduzione(notional deduction) al reddito derivante dalla proprietà intellettuale

13 Proseguequindi la relazione “In ragionedella suddettacomposizionedegli elementidelcoefficiente per la determinazione del reddito agevolabile, risulta pertanto evidente chequalora le spese di sviluppo, mantenimento e accrescimento dei beni intangibili ‘agevolabili’siano solo quelle relative ad attività di ricerca e sviluppo effettuate direttamente dal contri-buente o effettuate da soggetti terzi indipendenti (università, centri di ricerca e soggettiindipendenti), la quota di reddito agevolabile sarà pari all’intero importo del reddito derivantedall’utilizzo di tali beni (infatti, in tale caso il valore del coefficiente risulterà pari a uno)”.

14 Invero, la legislazioneadottatadaiPaesidell’Unioneèmoltopiùarticolata.AlcuniPaesiincludononell’agevolazione fiscale software, formule, knowhow, ricerche commerciali. Cfr. L.Evers, H. Miller, C. Spengel, “Intellectual Property Box Regimes: Effective Tax Rates and TaxPolicy Considerations”, in International Tax and Public Finance, n. 3/2015, pag. 502 ss.

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oggetto di agevolazione. La Francia adotta un regime in base al quale ilreddito derivante dalla proprietà intellettuale è tassato separatamente conun’aliquota ridotta.

3.2.Patent Box e libertà fondamentali - Ildirittocomunitario, intesocomeregole e principi sanciti dal trattato di funzionamento dell’UnioneEuropea,di per sé, non osta alla possibilità di adottare regimi fiscali di vantaggio suredditi derivanti dall’impiegodiproprietà intellettuali apattoche tali regiminon conducano ad una discriminazione o ad una limitazione di una dellelibertà fondamentali statuite dal Trattato stesso15.

Un primo vincolo che condiziona la disciplina della Patent Box è quindilegato all’aspetto della territorialità. L’agevolazione fiscale non può esseresubordinata allo svolgimento dell’attività di ricerca nel Paese ove vieneistituita l’agevolazione. Ad esempio, escludere dal beneficio il reddito pro-dotto dalla società in forza dell’attività di ricerca effettuata dalla propriastabile organizzazioneubicata inunaltroPaesemembro, costituirebbeunaviolazione della libertà sancita dall’art. 49 TFUE. Si prospetta quindi unpotenziale contrasto: da un lato il Paese vuole incentivare un maggioreinvestimento in ricerca e sviluppo, dall’altro, la norma agevolativa nonpuò imporre lo svolgimento dell’attività di ricerca e sviluppo entro i confinidi unPaese16. Si profilanoquindi dirimenti le condizioni a fronte delle qualipuò essere imposta una localizzazione territoriale di un determinato inve-stimento. In primo luogo, ricordiamo che l’eventuale limitazione ad unalibertà può essere ammessa qualora risponda ad esigenze di interessegenerale17.

LaLegge n. 190, nel disciplinare l’agevolazione, non reca alcun espressoregime fiscale differenziato sulla base della localizzazione del sito ove vienesvolta l’attività di ricerca. La norma, difatti, prende a riferimento i proventiriconducibili ai beni immateriali, a prescindere da dove il bene immateriale

15 Sul tema si veda G. Bizioli, “Agevolazioni fiscali e ‘libertà fondamentali’: i criteri dicollegamento dell’imposizione nella giurisprudenza comunitaria”, in Riv. dir. trib. int., n. 2/2001,pag. 349ss.OsservaBizioli chenel contestodella strutturadel “sindacato”comunitarioalfine di evincere o meno la violazione di un libertà fondamentale la verifica deve essere direttaall’accertamento della legittimità, inmodo quasi esclusivo, delle norme che delimitano l’esten-sione del trattamento di favore rispetto ad una data fattispecie. Afferma Bizioli che “In unquadro sintesi, si potrebbe osservare che tale sindacato riguarda le norme nazionali chedelimitano subiettivamente od oggettivamente l’ambito di applicabilità delle agevolazioni(es. Schumacker ed avoir fiscal) ovvero che prescrivano determinati procedimenti formaliper la fruizione (es. Futura Participations e ICI)”.

16 Il temadel bilanciamentodella “ragione fiscale”degli Stati nazionali e i valori europei èaffrontato da P. Boria, Diritto tributario europeo, Milano, 2010, pag. 177 ss.

17 Per una diffusa disamina delle condizioni affinché il regime della Patent Box, purviolando una libertà fondamentale, possa essere ammesso si veda F. Mang, “The (in)Compatibility of IPBoxRegimeswithEULaw, the Code of Conduct and theBEPS initiatives”,in European Taxation, February/March, 2015, pagg. 79-80.

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sia localizzato. In particolare, il meccanismo di calcolo del beneficio distin-gue i costi direttamente sostenuti dell’impresa e costi rappresentati daaddebiti. Nella seconda ipotesi è irrilevante se il canone per l’utilizzo siaaddebitato da un soggetto residente nel territorio ovvero residente all’e-stero18. Al contrario, ilmeccanismoagevolativo èmaggiormente premiantenel caso in cui i costi sianodirettamente sostenuti dall’impresa ovvero sianoaddebitati da università o enti di ricerca e organismi equiparati, ovvero dasocietà, anche start up innovative, che non facciano parte del gruppo a cuiappartiene il soggetto beneficiario19.

Sotto questo aspetto, ci pare che la Patent Box recata dalla Legge n. 190,non presenti profili di contrasto alle libertà fondamentali20.

3.3. Patent Box e Aiuti di Stato - Un ulteriore aspetto che attiene allacompatibilità della norma con il diritto comunitario riguarda la possibileviolazione del divieto di aiuti di Stato21.

L’agevolazione Patent Box di cui alla Legge n. 190 merita approfondi-menticonriferimentoal requisitodellaselettivitàedellacapacitàdi incidereedistorcere laconcorrenza, stante l’indiscussapresenzadel trasferimentodi

18 Ricordiamo in questo senso quanto affermato nella sentenza Compagnie de SaintGobain, causa C-307/97, in particolare par. 43. Sul tema della libertà di stabilimento, inparticolare sul concetto di restrizione al godimento della libertà fondamentale, sia in entratasia in uscita, si veda S. Dorigo,Residenza fiscale delle società e libertà di stabilimento nell’unioneeuropea, CEDAM, Padova, 2012, pag. 131 ss.

19 Trattasi di quella categoriadi costi che inbasealRegolamentoministeriale concorronoa formare il numeratore del rapporto che determina la quota di proventi agevolabili. Cfr. art. 9,lett. 2) del Decreto del Ministero dello Sviluppo economico di concerto con il Ministerodell’Economia.

20 Rilievo che non può essere escluso qualora la legislazione preveda trattamenti diffe-renziati a seconda della residenza del soggetto che effettua la ricerca e sviluppo. Cfr. F. Mang,The (in)compatibility of IP Box Regimes with EU Law, the Code of Conduct and the BEPSinitiatives, cit., pagg. 79-80.

21 Cfr. C.Fontana,Gli aiuti diStato dinatura fiscale, Torino, 2012, pagg. 42-43;G.Fransoni,Profili fiscali delladisciplinacomunitariadegli aiutidiStato, Pacini, 2007.Sempresullanozionediaiuti di Stato, senza pretesa di esaustività, si veda anche L. Salvini (a cura di), Aiuti di Stato inmateria fiscale,CEDAM,Padova, 2007;P.Russo, “Leagevolazionie leesenzioni fiscali alla lucediprincipi comunitari inmateria di aiuti di Stato: i poteri del giudice nazionale”, inRass. trib., n. 1-bis/2003,pag.341ss.;F.Fichera,“GliaiutidiStatonell’ordinamentocomunitario”, inRiv.dir. fin.sc. fin., n. 1/1998, pag. 89 ss.; Id., Le agevolazioni fiscali, CEDAM, Padova, 1992; P. Boria,Dirittotributarioeuropeo,Milano,2010,pag.219ss.;S.Dorigo,“Ilruolodeldirittonell’UnioneEuropea”,in R. Cordeiro Guerra (a cura di), Diritto tributario internazionale, CEDAM, Padova, 2012, pag.167 ss.; E. A. La Scala, I principi fondamentali in materia tributaria in seno alla Costituzionedell’Unione Europea, Milano, 2005, pag. 375 ss.; F. Gallo, “L’inosservanza delle norme comuni-tarie sugli Aiuti di Stato e sue conseguenze sull’ordinamento comunitario interno”, inRass. trib.,2003, pag. 2271 ss.; A. Carinci, “Autonomia impositiva degli enti sub statali e divieto di aiuti diStato”, in Rass. trib., 2006, pag. 1783 ss.; G. Melis, “Vincoli internazionali e norma tributariainterna”, in Riv. dir. trib., 2004, I, pag. 1083.

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risorse statali edel vantaggioeconomico22 a favoredell’impresa cheesercital’opzione23.

Affermal’art.107che “... sono incompatibili con ilmercato interno,nellamisura in cui incidano sugli scambi traStatimembri, gli aiuti concessi dagliStati ..., favorendo talune imprese o talune produzioni”.

Di fatto, la legge non pare porre condizioni di natura selettiva: tutticoloro che esercitano attività d’impresa possono fruire del beneficio a pattodi conseguire reddito che deriva dallo sfruttamento di specifiche attivitàimmateriali. Ad un prima lettura tale incentivo appare coerente alle regoleeuropee; è noto che il divieto di aiuti di Stato non pregiudica il diritto dapartedei singoliStatimembridi adottaremisure fiscali volte aperseguiregliobiettivi di politica economica che ritengano più appropriati, purché sianorivolte a tutte le imprese e a tutte le produzioni.

Occorre quindi applicare la verifica dei c.d. tre test che la Commissioneha elaborato al fine di acclarare la sussistenza di un aiuto non ammesso daltrattato. Sulla base di tale metodologia, è necessario, in primo luogo,verificare quale sia il sistema generale di tassazione previsto per le impresenel territorio dello Stato, in un secondo momento accertare la presenza omeno di un trattamento differenziato rispetto a tale sistema generale ditassazione, quindi verificare la presenza o meno di cause di giustificazioneche permettano di giudicare compatibile con le norme di cui agli artt. 107 e108 la misura fiscale adottata. Ebbene, nel sistema tributario italiano leimprese residenti e le imprese non residenti che svolgono sul territorioattività d’impresa per mezzo di una stabile organizzazione, sono assogget-tate a tassazione sul reddito complessivo prodotto. Sotto questo aspetto, ilregime Patent Box introduce un criterio selettivo in quanto una particolaretipologia di reddito non è assoggettata a tassazione in deroga al criteriogenerale.

Occorre quindi appurare se tale deroga possa essere giustificata. Lagiustificazione di un regime differente rispetto al criterio ordinario ditassazione deve essere effettuata nell’ambito del sistema di tassazione, inparticolare occorre analizzare se tale differente regime tributario sia coe-rente rispetto al sistema fiscale24.

22 Su questo tema la giurisprudenza della Corte diGiustizia è ampia, si veda l’elencazioneindicata da J. Luts, “Compatibility of IP Box Regimes with EU State Aid Rules and Code ofConduct”, in EC Tax Review, n. 5/2014, 260, nota 32.

23 È indubbio che, potenzialmente, la Patent Box, a seguito dell’incremento degli inve-stimenti e quindi dei risultati positivi conseguiti dalle imprese, potrà implicare un effettopositivo per il bilancio dello Stato. Tuttavia, la Corte di Giustizia ha più volte sancito l’irrile-vanza di ciò al fine di determinare la sussistenza del trasferimento delle risorse. Cfr. causeriunite C-182/03 e C-217/03, parr. 129-129. Per la dottrina si veda K. Bacon, European UnionLaw of State Aid, Oxford, Oxford University Press, 2013, pag. 67.

24 Afferma la dottrina che occorre verificare, preliminarmente, quale sia il sistemagenerale applicabile. Successivamente, si potrà valutare se la deroga a tale sistema, o le

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Secondo l’elaborazione giurisprudenziale, la misura selettiva è con-sentita, quindi coerente rispetto all’ordinamento europeo, se trova giu-stificazione nell’ambito del sistema fiscale nel quale è inserita; alcontrario, qualora la selettività della misura risponda ad esigenze eso-gene rispetto al sistema fiscale stesso, essa non potrà trovare acco-glienza secondo i principi comunitari25. Ad esempio, i regimi neiquali l’effetto selettivo è teso a raggiungere finalità del sistema fiscale,quali ad esempio i regimi di favore al fine di eliminare la doppiaimposizione, non costituiscono misure selettive vietate in quanto tesenon ad arrecare benefici a taluni soggetti ma a dare coerenza esistematicità all’ordinamento26. Esempio di tale sistema agevolativo,che trova tuttavia coerenza all’interno del sistema fiscale, è rappresen-tato dall’art. 87 T.U.I.R. Con tale disposizione il legislatore assegnal’esenzione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni,ma tale regime tributario non ha lo scopo di assegnare un regimeagevolativo ma dare coerenza al sistema, evitando che la tassazionedella plusvalenza si aggiunga alla tassazione degli utili conseguiti dallasocietà alienata oltre a realizzare esigenze di coerenza del sistema delleplusvalenze rispetto ai dividendi27. Utili che, in linea di principio, sonogià stati assoggettati ad imposizione o lo saranno in futuro.

Sulla base delle considerazioni sopra svolte possiamo concludere chel’agevolazionePatentBox siadinaturaselettivae, adunaprimaconclusione,non sia giustificabile la deroga al regime ordinario in quanto non sistema-tica e coerente con il sistema tributario di tassazione delle imprese28.

differenziazioni al suo interno, siano giustificate dalla natura o dalla struttura del sistemastesso, ossia se discendano direttamente dai principi informatori o basilari del sistematributario dello Stato membro interessato. Detta deroga viene, infatti, considerata dallagiurisprudenza europea come una forma di selettività della misura adottata in contrastocon la disciplina posta dall’art. 107, n. 3, TFUE. Cfr. F. Amatucci, “Il ruolo del giudicenazionale in materia di aiuti fiscali”, in Rass. trib., n. 5/2008, pag. 1285.

25 Afferma la CGE, nella sentenza Portugal v Commission, causa C-88/03. Unamisura inderoga rispetto all’applicazionedel sistema fiscale generale puòessere giustificatadallanaturae dalla struttura generale del sistema tributario qualora lo Stato membro interessato possadimostrare che tale misura discende direttamente dai principi informatori o basilari del suosistema tributario. In proposito va operata una distinzione fra, da un lato, gli obiettivi chepersegue un determinato regime fiscale e che sono ad esso esterni e, all’altro, i meccanismiinerenti al sistema tributario stesso, necessari per il raggiungimento di tali obiettivi.

26 La Corte di Giustizia ha evidenziato tale peculiarità nel caso Paint Graphos, causeriunite C-78/08 e C-80/08, par. 71.

27 Trattasi di coordinamento necessario che opera con riferimento ai dividendi e alleplusvalenze, inassenzadelquale si verificherebbeuna ingiustadoppia imposizione.Unaprimavolta in capo alla società che ha in concreto esercitato l’attività economica; una seconda voltapresso il soggettochealiena lapartecipazione.Cfr.M.Beghin,Diritto tributario, II ed.,CEDAM,Padova, pagg. 614-621.

28 Sulla nozione di selettività comederoga ai principi del sistema fiscale nazionale si vedaC. Fontana, Aiuti di Stato di natura fiscale, Torino, 2012, par. 3.4.

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Occorre tuttavia svolgere un’ulteriore analisi29. L’aiuto di Stato nonammesso dalle regole europee può infatti essere compatibile sulla basedelle eccezioni di cui ai commi 2 e 3, art. 107 TFUE.

Assuntochenonpossa essereapplicata la causadi compatibilitàdi cui alcomma 230, resta da verificare se possano trovare applicazione le deroghestatuite dal comma 331. Al comma 3 sono previste alcune tipologie di aiutiche, in presenza delle circostanze ivi richiamate, sono considerate compa-tibili.Al finedimegliodefinire le tipologiediaiuti ammessi, laCommissionehaemanatounappositoRegolamentoovesonoprecisate lecategoriediaiuticompatibili con il mercato interno32. Sono ammessi, in maniera espressa,

29 A measure which derogates from the system of reference (prima facie selectivity) may bestill found to benon-selective if it is justified by thenature or general schemeof that system.Such isthe case where a measure results directly from the intrinsic basic or guiding principles of thereference systemorwhere it is the result of inherentmechanismsnecessary for the functioning andeffectiveness of that system. On the contrary, external policy objectives which are not inherent tothe system cannot be relied upon for that purpose.

30 Sono compatibili con il mercato interno:a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano

accordati senza discriminazioni determinate dall’origine dei prodotti;b)gli aiutidestinati aovviareaidanniarrecatidalle calamitànaturalioppuredaaltri eventi

eccezionali;c) gli aiuti concessi all’economia di determinate Regioni della Repubblica federale di

Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari acompensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione. Cinque anni dopo l’entrata invigore del trattato di Lisbona, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare unadecisione che abroga la presente lettera.

31 Possono considerarsi compatibili con il mercato interno:a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle Regioni ove il tenore di vita sia

anormalmente basso, oppure si abbiauna grave formadi sottoccupazione, nonchéquello delleRegioni di cui all’art. 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale;

b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comuneinteresse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Statomembro;

c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune Regionieconomiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria alComune interesse;

d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quandonon alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell’Unione in misura contrariaall’interesse comune;

e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta dellaCommissione.

32 Reg. UE 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014 emanato dalla Commissioneal fine di individuare talune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno, in coerenzarispetto agli artt. 107 e 108del trattato. Ricordiamo che, in generale, i finanziamenti statali chesoddisfano i criteri di cui all’art. 107, paragrafo1, del trattato costituisconoaiuti di Stato e sonosoggetti a notifica alla Commissione a norma dell’art. 108, paragrafo 3. Tuttavia, secondo ildispostodell’art. 109del trattato, ilConsigliopuòstabilire lecategoriedi aiuti chesonoesentatedall’obbligodinotifica. Inconformitàall’art. 108, paragrafo4,del trattato, laCommissionepuòadottare regolamenti concernenti queste categorie di aiuti di Stato. Il Reg. CE 994/98 delConsiglio autorizza la Commissione a dichiarare che, a determinate condizioni, talune

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aiuti per incentivare la ricerca fondamentale, la ricerca industriale, losviluppo sperimentale e gli studi di fattibilità. Restano pertanto esclusi gliinvestimenti aventi natura commerciale.

L’art. 9 del Decreto interministeriale individua ai punti (i) e (ii) le speseche il Regolamento europeo qualifica come “ricerca fondamentale”,“ricerca industriale” e “ricerca applicata”. Nei successivi punti delDecreto - dal punto (iii) al punto (vi) - sono individuate tipologie di speseche non rispettano in pieno le Direttive emanate dalla Commissione33. Lepeculiaritàdelle speseper ricercaesviluppocheesonerano loStatomembrodall’obbligo di notifica sono rappresentate dalla stretta connessione con laricerca e l’innovazione e non alla commercializzazione di prodotti o servizi.In particolare i riferimenti alle ricerche di mercato e alle attività legate almarchio non ricadono tra quelle previste dal Regolamento europeo34.Esprimiamo pertanto perplessità in merito all’inclusione di beni

categorie di aiuti possono essere esentate dall’obbligo di notifica. Trattasi degli aiuti a favoredelle piccole e medie imprese (PMI), degli aiuti alla ricerca e sviluppo, degli aiuti per la tuteladell’ambiente, degli aiuti all’occupazione e alla formazione e gli aiuti conformi alla cartaapprovata dalla Commissione per ciascuno Stato membro per l’erogazione degli sovvenzionia finalità regionale.

33 La Commissione individua: “ricerca fondamentale”: lavori sperimentali o teorici svoltisoprattutto per acquisire nuove conoscenze sui fondamenti di fenomeni e di fatti osservabili,senza che siano previste applicazioni o usi commerciali diretti;

“ricerca industriale”: ricerca pianificata o indagini critiche miranti ad acquisire nuoveconoscenze e capacità da utilizzare per sviluppare nuovi prodotti, processi o servizi o perapportare un notevolemiglioramento ai prodotti, processi o servizi esistenti. Essa comprendela creazione di componenti di sistemi complessi e può includere la costruzione di prototipi inambiente di laboratorio o in un ambiente dotato di interfacce di simulazione verso sistemiesistenti e la realizzazione di linee pilota, se ciò è necessario ai fini della ricerca industriale, inparticolare ai fini della convalida di tecnologie generiche;

“sviluppo sperimentale”: l’acquisizione, la combinazione, la strutturazione e l’utilizzodelle conoscenze e capacità esistenti di natura scientifica, tecnologica, commerciale e di altrotipo allo scopo di sviluppare prodotti, processi o servizi nuovi omigliorati. Rientrano in questadefinizione anche altre attività destinate alla definizione concettuale, alla pianificazione e alladocumentazione di nuovi prodotti, processi o servizi.

Rientrano nello sviluppo sperimentale la costruzione di prototipi, la dimostrazione, larealizzazione di prodotti pilota, test e convalida di prodotti, processi o servizi nuovi o miglio-rati, effettuate in un ambiente che riproduce le condizioni operative reali laddove l’obiettivoprimario è l’apporto di ulteriori miglioramenti tecnici a prodotti, processi e servizi che nonsonosostanzialmentedefinitivi. Lo svilupposperimentalepuòquindi comprendere lo sviluppodiunprototipoodiunprodottopilotautilizzabileper scopicommerciali cheènecessariamenteil prodotto commerciale finale e il cui costo di fabbricazione è troppo elevato per essereutilizzato soltanto a fini di dimostrazione e di convalida.

Lo sviluppo sperimentale non comprende tuttavia le modifiche di routine o le modificheperiodiche apportate a prodotti, linee di produzione, processi di fabbricazione e serviziesistenti e ad altre operazioni in corso, anche quando tali modifiche rappresentinomiglioramenti;

34 IlRegolamento faesclusivoriferimentoa “studidi fattibilità” intesi come lavalutazionee l’analisi del potenziale di un progetto, finalizzate a sostenere il processo decisionale indivi-duando in modo obiettivo e razionale i suoi punti di forza e di debolezza, le opportunità e i

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immateriali di tipo “commerciale” tra quelli che posso permettere un red-dito agevolato.

Sempre con riferimento alla deroga di cui al comma 3, lett. b), èespressamente indicato che deve trattarsi di progetti di comune interesseeuropeoe su tale aspetto sussistono, secondo ladottrina, alcune limitazioni.In particolare, stante la finalità di sostenere la sviluppo e la ricerca all’in-terno dell’Europa, alcuni autori hanno evidenziato che eventuali aiuti allaricerca effettuata fuori dai confini europei sarebbero difficilmentegiustificabili35.

Occorre tuttavia segnalare che, ancorché la legge sia formalmenterivolta a tutti gli operatori economici, può accadere che, dal punto divista sostanziale, la misura di agevolazione sia de facto utilizzata da unaspecifica categoria di soggetti36. Si tratta della c.d. selettività materiale37.Criterio selettivosecondo il quale, sebbene la leggenonrechi limitazioni allepossibilità di fruire dell’agevolazione, agli effetti applicativi risulta che solodeterminate tipologie di soggetti o categorie di produttori di taluni beni,risultano essere i reali beneficiari della disposizione agevolativa38.

rischi, nonché a individuare le risorse necessarie per l’attuazione del progetto e, in ultimaanalisi, le sue prospettive di successo.

35 I. Zammit, “Centralised Intellectual PropertyBusinessModels - Tax ImplicationsofEUPatent Box Regimes”, in Bullettin for International Taxation, n. 9/2015, pag. 548.

36 La Commissione si è espressa nel 2013, con riferimento al regime fiscale di favoreconcesso alle società holding residenti a Gibilterra confermando la necessità di verificare lasussistenza di una selettività sostanziale (de facto selectivity). In particolare, osserva laCommissione: “Selectivity can also be established in cases where the structure of the measureis such that its effects significantly favour a particular group of undertakings (de facto selectivity).In the case at hand, the passive income exemptionmight be foundde facto selective as themeasureseems to significantly favour a group of 529 companies in receipt of passive income, in particularinterests from other companies of the same group or royalties for intellectual property rights. Themeasure therefore seems to favour a specific group of companies, namely companies providingloans to related companies or receiving royalty income for intellectual property rights. Such defacto selectivity is confirmedby thequantitative effectsof themeasure concerning the exemptionofinterest. The figuresprovidedby theUKauthorities for2011 showthat, of the total amountof inter-company loan interests received byGibraltar companies (£ 1400million), the largest part (99.8%)derives from loans granted to foreign (group) companies, in particular from non-EU countries(76%). This seems to demonstrate that the measure would mainly benefit intra-group financingcompanies providing loans to foreign related companies, which can be considered as a privilegedgroup of companies”. Cfr. European Commission, C(2013) 6654, par. 38.

37 La selettività materiale a sua volta può essere selettività settoriale, ove siano avvantag-giate talune attività. Ovvero selettività orizzontale, ove siano avvantaggiate talune tipologie dilavoratori dipendenti, ad esempio.

38 Afferma la dottrina: “… tax provisions disguised as ‘general measures’ which seem topromote unspecific goals policy,maywell aimat the preferential treatment of a single enterprise ora certain branch of enterprises”. W. Schoen, “Taxation and State Aid Law in the EuropeanUnion”, in Common Market Law Review, n. 36/1999, pag. 933. Si veda anche H. Lopez Lopez,“General Thought on Selectivity and Consequences of a Broad Concept of State Aid in TaxMatters”, in European State Aid Law, n. 9/2010, pag. 808.

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Un importante contributo al tema del regime tributario differenziatorispetto a talune categorie di beneficiari (undertakings), è fornito dalla sen-tenza “Gibilterra” ove, pur in assenza di un formale sistema di tassazionedifferenziato, la Corte ha constatato che lo specifico regime di tassazioneprevisto comportava, di fatto, che talune categorie di contribuenti erano ingrado di beneficiare in misura superiore rispetto alle altre tipologie di con-tribuenti, giudicando pertanto selettiva la misura fiscale adottata per lesocietà residenti a Gibilterra39. Invero, proprio la sentenza “Gibilterra”segna un cambiamento in quanto il giudice non pone attenzione solo allacausa o alle finalità della norma - aspetti questi che sono tipicamente verifi-cabili nella selettività formale - ma pone in luce gli effetti che la leggedetermina con riferimento alla platea di contribuenti40. Il passo della sen-tenza Gibilterra è stato infatti ripreso dalla Commissione nella citata comu-nicazione del 2014 ove afferma che la Corte di Giustizia ha constatato che ilsistema di riferimento definito dallo Stato membro interessato (Portogallo),pur se fondato su criteri di natura generale, in pratica compiva una discri-minazione tra imprese che si trovavano in una situazione analoga rispettoall’obiettivo della riforma fiscale, portando adun vantaggio selettivo a favoredelle società offshore residenti a Gibilterra. A questo proposito, la Corte haconstatato che il fatto che tali società non fossero tassate non era unaconseguenza casuale del regime bensì l’inevitabile conseguenza del fattoche le basi della valutazione erano specificamente concepite in modo che lesocietà offshore non avessero una base imponibile41.

39 Cfr. sent. 15 novembre 2011, Gibraltar, cause riunite C-106/09 e C-107/09 ove, neiparagrafi dal 103 al 107 la Corte afferma: “Vero è che, conformemente alla giurisprudenzacitata al punto 73 della presente sentenza, una pressione fiscale differente risultante dall’ap-plicazione di un regime fiscale “generale” non può essere sufficiente, in sé, a dimostrare laselettività di un’imposizione ai fini dell’art. 87, n. 1, CE.

Infatti, per poter essere ritenuti costituire vantaggi selettivi, i criteri d’imposizione pre-sceltidaunregime fiscaledevonoessereanche idoneiacaratterizzare le impresebeneficiarie invirtù delle proprietà loro peculiari quale categoria privilegiata, così da potersi concludere chetale regime favorisce “talune” imprese o “talune” produzioni ai sensi dell’art. 87, n. 1, CE.

Ebbene, ciò è proprio quanto avviene nella fattispecie.Al riguardo, occorreosservare che la circostanzache le società “offshore”nonsiano tassate

non è una conseguenza casuale del regime in causa, bensì il risultato ineluttabile del fatto che icriteri d’imposizione sonoconcepiti precisamente inmodoche le società “offshore”, le quali perloro natura non hanno dipendenti né occupano immobili commerciali, non dispongano dellebasi imponibili prese in considerazione dai criteri previsti dalla proposta di riforma tributaria.

Pertanto, la circostanza che le società “offshore”, che con riferimento ai criteri d’imposi-zioneprevisti nella proposta di riforma tributaria costituisconoungruppodi società, sfugganoall’imposizione, proprio grazie alle caratteristichepeculiari al gruppo, consente di considerareche tali società beneficiano di vantaggi selettivi”.

40 Cambiamento annotato anche dalla dottrina. Cfr. I. Zammit, “Centralised IP businessmodels - tax considerationsandEUPatentBox regimes”, inBullettin for International Taxation,cit., pag. 546.

41 Per una analisi approfondita della sentenza si veda C. Fontana,Gli aiuti di Stato di naturafiscale, cit., pag. 130 ss.

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Passando ad analizzare i casi affrontati dagli organi amministrativi,constatiamo che sono due i precedenti. Un primo caso affrontato dallaCommissione Europea, l’altro dall’Autorità di sorveglianza dell’EFTA42.Nel primo, la Commissione si è espressa sulla Patent Box introdotta nellalegislazione spagnola evidenziando che il beneficio era comunque fruibileda tutti i contribuenti assoggettati all’imposta sulle società, osservando,inoltre, che se non tutte le imprese erano nelle condizioni di poter goderedella suddetta agevolazione, ciò costitutiva una mera conseguenza dellescelte imprenditoriali, le quali non possono influire sul giudizio sulla pre-senza o meno di misure in contrasto con le regole sugli aiuti di Stato43.Peraltro, osserva la Commissione, la categoria di investimenti agevolabili ècaratterizzatadaestremagenericità enonpuòquindi affermarsi che siaunamisura volta a favorire taluni beneficiari44. Inoltre il Governo spagnolo, nelcorso delle audizioni durante lo svolgimento dell’istruttoria riguardante laprocedura di infrazione, ebbe a produrre dati e statistiche da cui risultavache gli investimenti in beni immateriali agevolabili grazie al regime PatentBox, sono stati effettuati da imprese appartenenti a numerosi e differentisettori dell’economia45.

L’altro caso, deciso dalla Commissione EFTA, riguarda il regime PatentBox recato dalla legislazione del Liechtenstein. La fattispecie presenta lemedesimecaratteristichedella legislazione spagnola e l’esito dello scrutinioè stato analogo a quello adottato dalla Commissione46.

In entrambi i casi - affrontati a livello amministrativo e non giurispru-denziale - l’attenzione è posta sugli effetti concreti causati ex post dallanorma e non sulla potenziale applicazione di essa.

3.4. Patent Box ed obiettivi europei di politica economica - La Commissioneha da tempo statuito che non rientrano nella fattispecie “Aiuto di Stato”,purchédestinateallageneralitàdelle impreseedatutte le tipologiediattivitàeconomiche, le agevolazioni volte ad incentivare obiettivi di politica eco-nomica generale, tra i quali rientrano la ricerca e lo sviluppo.

Ricordiamoche la legge introdottarecentemente inItalia, comeperaltrole legislazioni adottate dagli altri Paesi stranieri, non prevedono, formal-mente, alcun criterio selettivo di tipo soggettivo: tutte le imprese che conse-guono redditi riconducibili alla Patent Box, possono goderedell’agevolazione fiscale. Tuttavia, quanto espresso dall’art. 107 TFUE incui prevede che v’è aiuto di Stato ove lamisura sia diretta a favorire “talune”

42 Organismo omologo alla Commissione istituito dallaEuropean Free Trade Associationdi cui fanno parte: Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Svizzera.

43 Decisione della Commissione n. C(2008)467, 13 febbraio 2008.44 Par. 16 decisione.45 Par. 15 decisione.46 Decisione della EFTA Sourveillance Authority n. 177/11/COL., 1° giugno 2011.

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imprese o produzioni, deve essere meglio precisato. Invero, il criterio dellaselettività può essere oggetto di differenti interpretazioni in quanto, comeosserva la dottrina, “la linea di confine tra discipline speciali e disciplinegenerali può risultare assai sfumata se valutata in rapporto alle concreteipotesi applicative e ciò sia perché anche le misure a carattere generalepossono, inalcuni casi, produrre effetti simili aquelli diunaiuto, siaperché,viceversa, il carattere settoriale di un aiuto può risultare solo apparente47”.

Occorre premettere che l’analisi deve tenere conto che, se da un latol’UnioneEuropea vieta aiuti caratterizzati da selettività, dall’altro è la stessaUnione che pone obiettivi quantitativi per talune tipologie di investimenti.La “strategia 2020” proposta dalla Commissione pone come obiettivo per il2020 l’incremento delle spese per ricerca, sviluppo e innovazione (R&D&I)al 3% (dato che oggi si attesta sotto il 2%) del prodotto interno lordodell’Unione; trattasi di un obiettivo peculiare la cui incentivazione, attra-verso disposizioni specifiche, pone, inevitabilmente, un tema diselettività48.

In apparenza parrebbe sussistere un contrasto tra le due finalità: èpressoché inevitabile che la concessione di un’agevolazione per l’attivitàdi ricerca e sviluppo implichi una possibile distorsione al libero mercatoall’interno dell’Unione. La commissione, al fine di meglio definire i criteriapplicabili per determinare la compatibilità delle misure di incentivazionerispetto alla disciplina degli aiuti di Stato, ha individuato le caratteristicheche dovrebbero sussistere affinché l’aiuto possa essere considerato compa-tibile con le regole di cui all’art. 107TFUE. Inparticolare nel documentoperla “Disciplina degli aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo e innovazione”si afferma la compatibilità con il mercato interno se le agevolazioni per-mettono di incrementare le attività di ricerca, sviluppo e innovazione senzaalterare negativamente le condizioni degli scambi in misura contrariaall’interesse comune49. In dettaglio, le condizioni di cui sopra, secondo laCommissione, dovrebbero essere rispettate ove l’agevolazione:

(i) permetta di raggiungere un obiettivo ben definito di interessecomune50;

47 Cfr. G. Fransoni, Profili fiscali della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato, Pacini,Ospedaletto, 2007, pag. 13. Fransoni, nella nota 12 ricorda la Causa 203/82 in cui fu ritenutopresente il carattere della selettività in relazione ad un piano di riduzione dei contributi diassicurazione medica per gli imprenditori in quanto idoneo a favorire impresa con maggiorepresenza femminile.

48 Si veda comunicazione della Commissione Europea 2020, Una strategia per unacrescita intelligente, sostenibile e inclusiva, del 3 marzo 2010, COM(2010) 2020 definitivo.

49 Comunicazione 2014/C 198/01.50 Il documento della Commissione parla di “crescita intelligente, sostenibile ed

inclusiva”.

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(ii) sia concessa in un contesto in cui il mercato non riesce, da solo, aconseguire un risultato efficiente in termini di investimenti in ricerca esviluppo;

(iii) sia adeguata rispetto a possibili strumenti di incentivazionealternativi;

(iv) sia incentivante. In tal senso si intende lo strumento agevolativo chemodifica il comportamento dell’impresa inducendola ad intraprendereattività supplementari che, in assenza dell’aiuto, non avrebbe intrapreso oavrebbe intrapreso in maniera limitata o differente;

(v) sia qualificabile come proporzionale, intendendo con ciò aiuti il cuiimporto sia limitato al minimo necessario per lo svolgimento dell’attivitàche deve essere incentivata (c.d. intensità dell’aiuto);

(vi) abbia limitati effetti negativi indebiti sulla concorrenza e sugliscambi e tali effetti negativi siano controbilanciati dagli effetti positivi intermini di contributo all’obiettivo di interesse comune.

Infine, un’ultima riflessione sui possibili contrasti rispetto al dirittoeuropeo. La quantificazione del beneficio fiscale previsto dalla PatentBox, è demandata, in alcuni casi, ad un accordo “obbligatorio” tra l’impresae l’amministrazione. Premesso che i profili di carattere procedurale con-nessi saranno trattati nelle pagine seguenti, evidenziamo, in questa sede,forti perplessità sulla compatibilità di tale regola rispetto al divieto che unapossibilemisura possa essere concessa secondo un grado di discrezionalitàda parte della Pubblica amministrazione. Invero, sebbene l’accordo di cuisopradovràessere stipulato inapplicazionediquantostabilitodalla legge - enon certo in base ad una valutazione arbitraria da parte dell’Ufficio -l’estrema laconicità e l’incerta disciplina normativa su come debba esserequantificato il reddito agevolabile (nel caso di utilizzo diretto del beneimmateriale), ci portano a ritenere che vi siano evidenti profili diincompatibilità della regola suddetta51.

Possiamo ora tracciare alcune conclusioni sulla compatibilità dellaPatent Box italiana rispetto all’ordinamento europeo. La disposizione intro-dotta con laLeggen. 190èunanormache, senzadubbio, è volta aperseguirefinalità che l’Unione ha definito prioritarie (il citato obiettivo del 2020 ponecome traguardo un robusto incremento degli investimenti in ricerca esviluppo rispetto al PIL di ogni Stato membro), esistono pertanto le argo-mentazioni per sostenere che, pur sussistendo i requisiti dell’aiuto di Stato,esso può essere applicato in deroga al divieto di aiuti di Stati ai sensi di

51 Cfr. causa C-256/1997, 19 giugno 1999, par. 27 ove il giudice osserva: “Per contro,allorché l’ente che concede vantaggi finanziari dispone di un potere discrezionale, che gliconsentedi determinare i destinatari o le condizioni del provvedimento concesso, quest’ultimonon può considerarsi avere carattere generale (v. in tal senso, sentenza 26 settembre 1996,causa C-241/94, Francia/Commissione, Racc. pag. I-4551, punti 23 e 24)”.

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quanto recato dalla lett. c), n. 3, art. 107 TFUE, in quanto volto a realizzareobiettivi di sviluppo di carattere orizzontale52.

Osserviamo tuttavia che non ogni tipologia di aiuto alla ricerca e svi-luppo può essere qualificato ammissibile secondo le regole comunitarie;occorre una proporzionalità tra incentivi per una crescita economica rite-nuta prioritaria e la necessità di evitare che aiuti economici possano com-portareun’ingiustificata violazionedelle regole sulla equaconcorrenzae sullibero accesso almercato53.Un’equaponderazionedi tali finalità può essereindividuata nei requisiti che la Commissione, nella citata comunicazione2014/C 198/01, ha individuato al fine di ritenere ammissibili le sovvenzionialla ricerca e sviluppo. In particolare, crediamo che la Patent Box recatadalla legislazione italiana, può essere giudicata compatibile con il dirittoeuropeo, se essa sarà realmente in grado di indurre una modifica delcomportamento delle imprese inducendole ad intraprendere attività sup-plementari che, in assenza dell’aiuto, non avrebbero intrapreso o avrebberofatto inmaniera limitataodifferente. Tuttavia, ci permettiamodi esprimeresin da subito alcune perplessità che attengono al regime Patent Box ingenerale di essere in grado di comportare un reale incremento delleattività di ricerca e sviluppo, alla luce di uno specifico studio elaboratodalla Commissione europea ove, dopo una esame di tutte le legislazioniPatent Box vigenti in Europa e dei connessi effetti che tali incentivi hannoavuto sull’economia reale si conclude che lamisuradel beneficio fiscalenonha alcuna correlazione con l’attività di ricerca e sviluppo e che si tratta,pertanto, di un provvedimento di esclusiva rilevanza fiscale54.

4. Peculiarità recate dalla legislazione italiana e regole europee

4.1. Perdite fiscali - La Legge n. 190, nulla precisa con riferimento al regimefiscale delle possibili perdite derivanti dall’attività di ricerca e sviluppo,diversamente da quanto avviene negli altri Paesi che adottano un regime diPatent Box.

52 Per un inquadramento del regime degli aiuti concessi in deroga al divieto al fine direalizzare finalità ritenute strategiche dalla Commissione si veda A. Amatucci, “Agevolazionifiscali ambientali, aiuti di Stato e incompatibilità comunitaria”, inRiv. dir. trib. int., 2005, pag.81 ss.

53 Recentedottrinaafferma: “Evenso, this justificationwouldhave to followtheprincipleofproportionality, thereby resulting inadiscussionas towhetherPatentBox regimes gobeyondwhatis necessary to realize the legitimate objective being pursued or whether the objective could beattained by less far-reaching measures”. Cfr. I. Zammit, Centralised IP business models - taxconsiderations and EU Patent Box regimes, cit., pag. 547.

54 “We find that the size of the tax advantage is negatively correlatedwith the local R&D. Thissuggests that the effects of Patent Boxes are mainly of a tax nature”. Cfr. Patent Boxes Design,Patents Location and Local R&D, European Commission Taxation Papers, Working paper, 57/2015, 24, in www.ec.europa.eu/jrc/en/publication/eur-scientific-and-technical-research-reports.

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Occorre svolgere alcune riflessioni preliminari. Nel nostro ordina-mento, l’utilizzodelle perdite fiscali omeglio, lemodalitàdi compensazionedelle stesse, nonsoggiacea limitazioniqualora sianoconseguitenell’ambitodel reddito d’impresa e siano compensate sempre con redditi d’impresa,contrariamente ad altri ordinamenti ove le perdite fiscali possono subirelimitazioni alla compensabilità rispetto alla loro natura (trading losses ecapital losses).

Ad esempio, i regimi Patent Box recati dalla legislazione britannica efrancese prevedono che le perdite possano essere compensate solo conprofitti attinenti l’attività oggetto di agevolazione anche nell’ambito dellatassazione consolidata. Il riporto negli esercizi successivi delle perditederivanti dall’attività Patent Box è soggetto pertanto ad una gestione sepa-rata55. Al contrario, le legislazioni del Liechtenstein, Lussemburgo, Olandae del Cantone svizzero Nidwalden prevedono la deduzione dal redditocomplessivo della perdita derivante dalla Patent Box ma, in tal caso, èposta la condizione che in caso di futuri redditi da Patent Box, essi nonsaranno assoggettabili all’aliquota agevolata.

Tornando all’Italia, in assenza di precisazioni, ed applicando pertanto iprincipi e le regole della legislazione ordinaria, l’impresa che sostieneperdite fiscali durante il periodo di vigenza dell’opzione Patent Box (5anni prorogabili) dovrebbe, in linea di principio, compensarle senza limi-tazioni, fermo restando le regole recate dall’art. 84 T.U.I.R.

L’art. 84 citato, norma che, precisiamo, disciplina l’utilizzo delle perditefiscale formatesi, reca una clausola di coerenza sistematica, essa prevedeche le perdite fiscali riportabili siano diminuite in misura proporzional-mente corrispondente alla quota di esenzione dell’utile. Tale clausola nonpuò però trovare applicazione nel caso che occupa il presente scritto inquanto, il redditoconnessoal regimePatentBoxè, comedetto,parzialmentenon soggetto a tassazione a titolo di esclusione56.

Tuttavia, per assegnare il corretto trattamento delle perdite fiscalioccorre analizzare non solo la norma che ne sancisce l’utilizzo, ergocompensabilità ma anche la norma che ne disciplina la formazione, ergole regole per la determinazione del reddito complessivo. Ebbene, il secondoperiododel comma1, art. 83T.U.I.R. recaunadisposizione chepermette untrattamento fiscale delle perdite coerente con il regimePatentBox57. Invero,

55 Comunicazione emanata dall’organo governativo responsabile delle entrate “HMRevenue Customs” reperibile sul sito del Governo www.hmrc.gov.uk/manuals/cirdmanual/CIRD240100.htm.

56 Regime tributario ampiamente descritto da P. L. Cardella, La perdita di periodo nelsistema di imposizione sul reddito, Giappichelli, Torino, 2012, pag. 94 ss.

57 Si veda in proposito G. Fransoni, “Finanziaria 2008 e modifiche alla disciplina delleperdite” in Riv. dir. trib., 2008, I, pag. 664 ss. Secondo l’autore la norma dovrebbe essereapplicata sullabasediuna lettura costituzionalmenteorientata, tenendocontodei rilievimossidalla Corte costituzionale con la sentenza n. 233 del 13 maggio 1993, in Riv. dir. trib., I, 1994,

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il secondoperiododel comma1,art. 83T.U.I.R. reca: “Incasodiattività chefruiscono di regimi di parziale o totale detassazione del reddito, le relativeperdite fiscali assumono rilevanza nella stessa misura in cui assumereb-bero rilevanza i risultati positivi”. La norma è pertanto coerente rispetto aquantoaffermatoneldocumentoOCSEAction5ovesiprecisa, allanota14,che “Jurisdictions should also use any tax losses associated with the IPincome in a manner that is consistent with domestic legislation and thatdoes not allow the diversion of those losses against income that is taxed at theordinary rate”.

Ai sensi della norma citata, le eventuali perdite provenienti dall’attivitàdi ricerca e sviluppo, non dovrebbero assumere rilevanza fiscale in misuraproporzionale al mancato concorso alla formazione del reddito imponi-bile58. In particolare, dovrebbe trovare applicazione la regola secondo cuil’impresa che consegue una “perdita” Patent Box (i.e. i costi attribuibili albene immateriale sono superiori ai connessi proventi) potrà compensarlocon il reddito dell’attività ordinaria (imponibile) ma limitatamente allapercentuale di imponibilità dei redditi da Patent Box59.

In merito, l’Agenzia delle entrate ha recentemente emesso unacircolare in cui interpreta, in maniera discutibile, il regime delle perditerealizzate nell’ambito Patent Box. Afferma l’Amministrazione finanzia-ria, senza argomentazioni e in assenza di giustificazioni alla tecnicainterpretativa adottata, che “le perdite generate in vigenza del regimePatent Box dovranno essere recuperate, attraverso un meccanismo di‘recapture’ nell’ambito del medesimo regime Patent Box, nel momento incui il bene immateriale comincerà a produrre utili”. Tale tesi ci pareslegata dal dato normativo60. L’interpretazione dell’Amministrazionefinanziaria non poggia, apparentemente, su alcun riferimento

pag. 340 ss. con nota di A. Meloncelli, “L’illegittimità dell’agevolazione che si risolve in unmaggior aggravio”.

58 La disposizione citata afferma: “In caso di attività che fruiscono di regimi di parziale ototale detassazione del reddito, le relative perdite fiscali assumono rilevanza nella stessamisura in cui assumerebbero rilevanza i risultati positivi”.

59 Trattasi di principio espresso dalla dottrina in occasione di commento alle modificheagli artt. 83 e 84 T.U.I.R. introdotte dalla Legge n. 244/1997. Cfr. M. S. Messina, “La disciplinadelle perdite”, in Corr. Trib., n. 46/2007, pag. 3779 ss. Al contrario, in senso critico rispetto alladisposizione in quanto trasformerebbe un regime agevolativo in un regime disincentivante siveda P.L. Cardella, La perdita di periodo nel sistema di imposizione sul reddito, cit., 94 ss.; G.Zizzo,Ladeterminazione del reddito delle società e degli enti commerciali, inG. Falsitta,Manualedi diritto tributario, CEDAM, Padova, 2012, pagg. 319-320M; D. Stevanato, “Prime riflessionisullenuovenormeinmateriadi inutilizzabilitàdelleperdite inpresenzadiesenzionidel redditoo dell’utile”, inDialoghi dir. trib., 545, 2007. Invero, la recente circolare n. 36/E del 1° dicembre2015, emessa dall’Agenzia delle entrate parrebbe tralasciare il contenuto dell’art. 83, limitan-dosi sancire la compensabilità delle perdite solo nell’ambito del regime Patent Box.

60 Osservazioni critiche, in senso analogo, sono mosse da P. L. Cardella, “Perdita daintangible eminusvalenzada sua cessione nel regimediPatentBox: spunti controcorrente”, suln. 2/2016 di questa Rivista alle pagg. 373-374.

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legislativo, tenuto conto che non ci troviamo in un caso di lacuna per ilquale potrebbe profilarsi una possibile interpretazione integrativa oanalogica; ci troviamo invece in un caso ove il diritto positivo vigente- come sopra detto - al secondo periodo, comma 1, art. 83 T.U.I.R., giàprevede le regole applicabili al caso de quo.

4.2. Deducibilità dei costi - Nel contesto europeo, in relazione al regimefiscale dei costi sostenuti nell’ambito dell’agevolazione Patent Box, è diffu-samente adottato il c.d. net approach. Esso comporta l’obbligo di allocare icosti al provento agevolato e solo dopo averli decurtati, il residuo redditosarà tassato all’aliquota ridotta. Tale meccanismo è più coerente rispettoalla genesi della Patent Box in cui, come conferma la definizione stessa, iltermine “box” sta ad indicare un regime a se stante ove vigono aliquote eregole differenziate rispetto a quelle ordinarie. All’interno del metodo “delnetto” alcuni Paesi prevedono ulteriori differenziazioni. Il Regno Unitoconsente la deducibilità delle spese alla minore aliquota ad eccezionedelle spese finanziarie che sono deducibili in base all’aliquota piena61.Malta, al contrario, ammette una esenzione completa dei profitti legatialla Patent Box a condizione che le correlative spese non siano fiscalmentededotte62. Inultimo l’Olanda, proprio con riferimentoal regime fiscale dellespese, ha adottato la deducibilità di esse all’aliquota ordinaria anzichéaliquota ridotta della Patent Box63.

Solo alcuni Paesi adottano il “metodo del lordo” (gross approach)secondo il quale le spese sono deducibili sulla base dell’aliquota ordinaria,ciò provoca una asimmetria a favore del contribuente, nella misura in cuipossiede reddito imponibile. La regola del gross approach è prevista dallalegislazione del Belgio e dell’Ungheria ove, come detto, i costi sono dedu-cibili ad aliquota ordinaria64. Invero, il metodo del “reddito lordo” costitui-sce una prassi non coerente rispetto al documento BEPS Action n. 5, ove alpar. 47 si afferma esplicitamente che, nella determinazione del reddito alquale applicare l’aliquota agevolata, devono essere sottratti i costi attribui-bili aibeni immateriali eligibiliper l’agevolazionesostenutinell’esercizio. Inparticolare, si afferma: “Overall income should instead be calculated by

61 Come detto la Patent Box britannica, dal punto di vista del regime dei costi, è coerente.Sul punto si veda A. Gregory, A. Casley, K. Naish, “The Patent Box Regime”, in InternationalTransfer Pricing Journal, marzo/aprile, 2013, pag. 113, ss.

62 L. Evers, H.Miller, C. Spengel, Intellectual Property Box Regimes: effective tax rates andtax policy considerations, cit., par. 2.3.

63 Cfr. M. Schellekens, “The Netherlands as an Innovative Hub: An Appraisal of theInnovation Box Regime”, in Eur. tax., October, 2015, pag. 527.

64 L. Evers,H.Miller, C. Spengel, “Intellectual PropertyBoxRegimes:Effective TaxRatesand Tax Policy Considerations, Discussion Paper No. 13-070”, in www.ftp.zew.de/pub/zew-docs/dp/dp13070.pdf.

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subtracting IP expenditures allocable to IP income and incurred in the yearfrom gross IP income earned in the year65”.

Tornando all’analisi della disciplina prevista dalla Legge n. 190, eviden-ziamocheessanonapparechiaranella individuazionedel regime fiscaledeicosti connessi ai proventi agevolabili; tanto meno soddisfacente è, a nostroavviso, quanto statuito nel Decreto interministeriale.

È possibile tuttavia ritenere che la legge e successivamente il Decretointerministeriale, ove richiamano i redditi derivanti dalla concessione inuso odall’usodei beni immateriali, debbano essere intesi redditi al netto deiconnessi costi sostenuti per il loro conseguimento. Sarà pertanto oggetto didefinizione in sede di interpello con l’Agenzia delle entrate non solo quali equanti proventi sono agevolabili ma anche i connessi costi che andranno adecurtare il reddito tassabile ad aliquota agevolata.

L’interpretazione di cui sopra discende non solo da un esame esegeticodellanozionedi reddito che, nel contestod’impresaessodeve essereassuntoal netto dei costi, ma anche tenendo conto delle prescrizioni sancite neldocumentoBEPSnonchédiquantoaffermatonelDecreto interministerialeove nell’ultimo periodo del comma 3 art. 12, in relazione alla determina-zionedelcontributoeconomico, si fa riferimentoalnesso traspeseereddito.

5. Determinazione del contributo economico alla produzione del reddito - LaLegge n. 190 dispone che, in caso di utilizzo diretto del bene immateriale, ilreddito al quale applicare la riduzione d’imposta è determinato sulla base diunprevioaccordocon l’Amministrazione finanziariaai sensidell’art. 8,D.L.n. 269/200366 (articolo, come detto, sostituito in occasione di una revisione

65 In particolare l’Action plan n. 5 ai paragrafi 46 e 47 precisa: “Jurisdictions will define‘overall income’ consistent with their domestic laws on income definition after the application oftransfer pricing rules. The definition that they choose should complywith the followingprinciples:

Income benefiting from the regime should be proportionate.Overall income should be defined in such away that the income that benefits from the regime

is not disproportionately high given the percentage of qualifying expenditures undertaken byqualifying taxpayers. This means that overall income should not be defined as the gross incomefrom the IP asset, since such a definition could allow 100% of the net income of qualifyingtaxpayers tobenefit evenwhen those taxpayershadnot incurred100%ofqualifying expenditures”.

66 Il comma 39, secondo periodo della Legge n. 190 citata reca: “In caso di utilizzo direttodei beni indicati, il contributo economico di tali beni alla produzione del reddito complessivobeneficia dell’esclusione di cui al presente comma a condizione che lo stesso sia determinatosulla base di un apposito accordo conforme a quanto previsto dall’art. 8 del Decreto-Legge 30settembre 2003, n. 269, convertito, conmodificazioni, dalla Legge 24 novembre 2003, n. 326, esuccessivemodificazioni. In tali ipotesi la proceduradi rulingha adoggetto la determinazione,in via preventiva e in contraddittorio con l’Agenzia delle entrate, dell’ammontare dei compo-nenti positivi di reddito impliciti e dei criteri per l’individuazione dei componenti negativiriferibili ai predetti componenti positivi. Nel caso in cui i redditi siano realizzati nell’ambito dioperazioni intercorse con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, nesono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, l’agevolazionespetta a condizione che gli stessi sianodeterminati sulla base di un apposito accordo conforme

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generale degli accordi con l’Amministrazione finanziaria per le imprese cheeffettuano attività internazionale, con l’art. 31-ter, D.P.R. n. 600/1973). Talerequisito è richiamato anche nel Decreto interministeriale il quale, all’art.12, individua due fattispecie alle quali assegna differenti regimi: (i) l’ipotesiin cui il reddito sia direttamente prodotto dall’impresa beneficiaria attra-verso l’utilizzo dei beni immateriali rispetto al caso in cui il (ii) redditoagevolabile ovvero la plusvalenza da cessione del bene immateriale, sianoottenuti nell’ambito di operazioni con società appartenenti al gruppo.Precisa inoltre il Decreto che nel secondo caso l’accordo con l’agenzia èopzionale, affermando - implicitamente - che nel primo caso l’accordo conl’Amministrazione finanziariaèobbligatorio. Il comma39,art.1dellaLeggen. 190 richiama, una prima volta, l’accordo di cui al citato art. 8 e, unaseconda volta, il c.d. ruling “che deve avere ad oggetto la determinazione, invia preventiva e in contraddittorio con l’Agenzia delle entrate, l’ammontaredeicomponentipositividi reddito impliciti e i criteriper l’individuazionedeicomponenti negativi riferibili ai predetti componenti positivi”. Apparequindi che il legislatore adotti una certa “disinvoltura”usando i due terminicome sinonimi sebbene, soprattutto nell’esperienza internazionale (preva-lentemente nei Paesi anglosassoni), con l’espressione “ruling” siano indivi-duate due differenti modalità di richiesta di pronuncia da partedell’Amministrazione finanziaria67.

Osserviamo, in primo luogo, che l’ipotesi (i) di cui sopra, non presentaprofili di “internazionalità” - cui invecesi riferisce l’art. 8citato - essaattiene,più semplicemente, alla corretta individuazione del reddito di “pertinenza”delbene immateriale cheè inclusonell’utileonellaperditadell’impresaedeiconnessi costi. Trattasi, verosimilmente, di un’attività che implica valuta-zioni economico-industriali volte a determinare in quale misura il profittodell’impresa è attribuibile all’uso del bene immateriale. Una volta determi-nato tale reddito, esso, per essere assoggettato al regime agevolativo, dovràessere quantificato sulla base del quoziente di cui all’art. 9 del Decreto. Sutale modalità di determinazione del contributo economico del bene, ilDecreto interviene inmaniera laconica, affermando che “è necessario indi-viduare per ciascun bene immateriale oggetto dell’opzione il contributoeconomico da esso derivante che ha concorso algebricamente a formare ilreddito d’impresa o la perdita”. I costi attribuibili al contributo del bene

a quanto previsto dal citato art. 8 del Decreto-Legge n. 269 del 2003, e successivemodificazioni”.

67 Cfr. F. Pistolesi, Gli interpelli tributari, Milano, 2007, pag. 1. Osserva Pistolesi cheesistono due tipologie di ruling: quello teso a consentire al contribuente di ottenere, di regolain viapreventiva il parere dell’Autorità fiscale in ordinead eventi nonagevolmente qualificabilidalpuntodi vista impositivoo sunormedinon facile interpretazione in relazioneadeterminaticasi concreti e quello volto ad individuare una soluzione condivisa dal Fisco e dal soggettopassivo in merito all’attuazione dei rapporti tributari al fine di prevenire future eventualicontroversie.

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immateriale dovranno essere individuati in base al criterio di afferenza,stante l’applicabilità del principio generale della tassazione del reddito alnettodei costi, caratteristica che contraddistingue la categoria reddituale inoggetto.

In data 1° dicembre 2015 il Direttore dell’Agenzia delle entrate haemesso il Provvedimento ai sensi dell’art. 12 del Decreto, al fine di stabilirele modalità di determinazione del contributo economico dei beni immate-riali68. Tale documento, seppur succinto, rimanda agli standard internazio-nali rilevanti elaborati dall’OCSE con particolare riferimento alle lineeguida in materia di prezzi di trasferimento. Il rimando all’art. 8 (ora art.31-bis, D.P.R. n. 600/1973) deve quindi essere inteso, a nostro avviso, noncon riferimento alle tipologie di fattispecie in esso contenute ma alle meto-dologie di determinazione del contributo nonché all’aspetto procedurale;aspetto, quest’ultimo, disciplinato in dettaglio con il provvedimento delDirettore dell’Agenzia delle entrate del 23 luglio 2004.

Tuttavia, il Decreto pone un altro tema: la determinazione del redditoagevolabile di cui al punto (i) deve essere effettuata, come abbiamo detto,obbligatoriamente in accordo con l’Amministrazione finanziaria. La primaosservazione che sovviene, riguarda l’apparente contraddizione: l’accordocostituisce una forma consensuale d’esercizio dell’attività amministrativama proprio il requisito della consensualità, tipico dell’accordo, confliggecon l’obbligo di raggiungerlo69.

Posto quanto sopra ed ammesso che il contribuente possa non trovarel’accordo con l’Amministrazione finanziaria, sorge il problema di stabilirequali possano essere le conseguenze giuridiche sul diritto a poter benefi-ciare dell’agevolazione fiscale oggetto del presente scritto.

Se al mancato accordo con l’Amministrazione finanziaria, dovesseseguire l’impossibilità di godere dell’agevolazione fiscale ne conseguirebbeuna palese lesione dei diritti in capo al contribuente. Conseguenza nonaccettabile, tenuto conto della cornice costituzionale, poiché condurrebbealla determinazione della prestazione patrimoniale vincolata ad un obbli-gatorio accordo con l’Amministrazione finanziaria.

68 Il comma 3, art. 12 del Decreto reca: “Ai fini della determinazione del contributoeconomico di cui al comma 1, punto (i), le microimprese, piccole e medie imprese comedefinite dalla Raccomandazione della Commissione delle Comunità Europee 2003/361/CEaccedono alla procedura di ruling di cui al medesimo comma 1, attraverso modalità sempli-ficate stabilite con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, nel rispetto delprincipio comunitario del contenimento degli oneri amministrativi”.

69 La natura dell’accordo può trovare collocazione sistematica tra i “moduli consensualicon cui Amministrazione finanziaria e contribuente, similmente a quanto accade all’esitodell’accertamento con adesione, definiscono i profili qualitativi e quantitativi della fattispecieimponibile in relazione ad espetti sia di fatto che di diritto dell’operazione di non univocoinquadramento”. Cfr. M. T. Moscatelli, Moduli consensuali e istituti negoziali nell’attuazionedella norma tributaria, Giuffré, Milano, 2007, pag. 256. Sull’accordo amministrativo si veda E.Casetta,Manuale di diritto amministrativo, Giuffré, Milano, 2015, pag. 563 ss.

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L’accordodi cui all’art. 8 è caratterizzatodalla ricostruzione concordatatra Ufficio e contribuente dei criteri applicativi della legge, non v’è un ruolounilaterale daparte dell’Ufficioma l’atto recherà lemodalità applicative perla determinazione del reddito, concordemente definite da ambo le parti.Tale accordo, tuttavia, secondo parte della dottrina non può essere qualifi-cato come atto di disposizione del rapporto impositivo ma rappresenta laricostruzione delle modalità applicative di quanto stabilito dalla legge.Quanto sopra conducea ritenere che l’accordononproduce effetti negozialima meramente dichiarativi, volti ad illustrare con finalità ricognitive lemodalità con cui determinare il contributo del bene immateriale al conse-guimento del reddito o della perdita dell’impresa70.

Occorre quindi stabilire quali siano le conseguenze qualora non sigiunga ad un accordo, sia in caso di mancata condivisione delle modalitàdi determinazione del reddito agevolabile, sia nel caso di possibile atteggia-mento inerziale da parte dell’Ufficio.

L’argomento dell’impugnabilità dei provvedimenti emessi dall’ammini-strazione è da tempooggetto di dibattito. In senso generale, con riferimentoagli interpelli “ordinari”, si afferma che essi non siano atti impugnabili.Secondo una certa impostazione (corroborata dalla posizione assuntadall’Agenzia delle entrate con la circolare n. 7/2009) dovrebbe ritenersipreclusa la possibilità di adire al giudice tributario per ottenere la declara-toriadi illegittimitàdiunarispostanegativaadun interpello, poiché si trattadi atti non ricompresi nell’elenco di cui all’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre1992, n. 546 e perché essi non sono vincolanti per il contribuente. Alcontrario, nel caso di interpello “disapplicativo” ex art. 37-bis, comma 8,D.P.R. n. 600/1973, la giurisprudenza è intervenuta, con più sentenze,sancendo - seppur con percorsi logico-motivazionali differenti -l’impugnabilità della risposta negativa all’istanza presentata dalcontribuente71.

Tuttavia, il caso di specie, non presenta le caratteristiche tipichedell’interpello (ruling); l’accordo ex art. 8 nel contesto del regime PatentBox assume le caratteristiche di atto autorizzatorio, che dovrebbepermettere una autonoma impugnabilità, ordinariamente prevista pergli atti emessi dalla Pubblica amministrazione aventi finalità

70 In tal senso F. Pistolesi, Gli interpelli tributari, cit., pag. 108.71 Sent. Cass., Sez. trib., 27 gennaio 2011 - 15 aprile 2011, n. 8663, inRiv. dir. trib., n. 7-8/

2011, pag. 358 con nota di F. Pistolesi, “Impugnazione della risposta negativa all’istanza diinterpello: condizioni ed effetti”, ivi, pag. 365. Peraltro, l’autore esprime perplessità sullasentenza, egli non condivide la premessa dei giudici, in quanto contesta la doverosità dell’in-terpello disapplicativo, da cui seguono le conseguenze cui giunge la Cassazione. Contrariaall’autonoma impugnabilità dell’atto si esprime anche E. Core, “La natura e ‘impugnabilitàdell’interpello disapplicativo”, in Dir. prat. trib., pag. 2/2014. La citata sentenza è annotataanche da S. Fucile, “Riflessioni in tema di impugnabilità del diniego di disapplicazione di unanorma antielusiva”, in Riv. dir. trib., II, 9, 2011, pag. 421 ss.

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meramente interpretativa72. In particolare, l’accordo de quo, presenta latipiche caratteristiche del provvedimento amministrativo, essendodotato di autoritatività, esecutività ed obbligatorietà e capace di pro-durre conseguenze giuridicamente rilevanti nei confronti dei terzi (con-tribuente). L’accordo è difatti vincolante per le parti; esso costituisceatto con il quale il Fisco esprime il proprio e definitivo convincimento e,in quanto tale, assimilabile agli atti impugnabili nel giudizio tributario.Trattasi quindi di atto che autorevole dottrina qualificava come “veri-ficazioni necessarie73”, ove gli effetti giuridici discendono, senza dubbiodalla legge, ma occorre che sia verificato che i presupposti della leggesiano applicati e che di ciò se ne dia atto.

Anostroavviso, il contribuentepotrà farevalere ildirittoadimpugnare ildiniego all’accordo ovvero il silenzio formatosi, davanti al giudicetributario74.

Quanto sopra trova rinforzo nella giurisprudenza riguardantel’esaustività o meno dell’elencazione degli atti di cui all’art. 19, D.Lgs. n.546/1992. È infatti acclarata l’impugnabilità di atti non compresi in talenoveroma contenenti lamanifestazione di una compiuta e definita pretesatributaria75. È oramai questione piana - a dispetto di quanto sostenutodall’Agenzia delle entrate - il fatto che l’elencazione degli “atti impugnabili”,contenuta nel D.Lgs. n. 546/1992, art. 19, tenuto conto dell’allargamentodella giurisdizione tributaria operato con la Legge n. 448/2001, deve essereinterpretata alla luce delle norme costituzionali di buon andamento dellaPubblica amministrazione e di tutela del contribuente, riconoscendol’impugnabilità davanti al giudice tributario di tutti gli atti adottati dall’enteimpositore che portino, comunque, a conoscenza del contribuente una benindividuata pretesa tributaria, con l’esplicitazione delle concrete ragioni(fattuali e giuridiche) che la sorreggono, senza necessità di attendere che lastessa assuma la forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressa-mente impugnabili dall’art. 19 citato.

Tale principio è stato recentemente confermato dalla Cassazione SS.UU. con ordinanza n. 12759 del 19 giugno 2015 in cui il giudice supremoafferma l’impugnabilità del mancato avvio della procedura amichevole aisensi dell’art. 6 della Convenzione europea sull’arbitrato n. 90/436/CEE del

72 In questo senso F. Tesauro,Manuale del processo tributario, Giappichelli, Torino, 2009,pag. 92.

73 Definizione coniatadalCapaccioli il quale affermava cheper tali atti gli effetti derivanosolodalla leggemasi trattadi constatare ipresupposti previsti dalla leggeeche l’unico requisitodi costitutività può ravvisarsi, semmai, nella necessarietà dell’atto, nel senso che si esso non sipuò prescindere. Cfr. E. Capaccioli, Manuale di diritto amministrativo, I, CEDAM, Padova,1980, pag. 349 ss.

74 In questo senso si veda Cass., sent. n. 7344/2012.75 Si veda Cass., sent. 8 ottobre 2007, n. 21045, inRass. trib., n. 2/2008, pag. 447 nota di G.

Randazzo, “ ‘Avvisi bonari’ ed esercizio informale di funzioni tributarie”.

A. VICINI RONCHETTI - INCENTIVI ALLO SVILUPPO DEI BREVETTI

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23 luglio 1990 ove il supremo giudice afferma che “ogni atto adottatodall’ente impositore che porti, comunque, a conoscenza del contribuenteuna specifica pretesa tributaria, con esplicitazione delle concrete ragionifattuali e giuridiche, è impugnabile davanti al giudice tributario, senzanecessità che si manifesti in forma autoritativa, e tale impugnazione vaproposta davanti al giudice tributario, in quanto munito di giurisdizione acarattere generale e competente ogni qualvolta si controversa di uno speci-fico rapporto tributario76”.

Quanto al merito, il giudice dovrà attenersi alle laconiche regole. Laleggeprevede che l’accordodeve riguardare la determinazionedell’ammon-tare dei componenti positivi di reddito impliciti e dei criteri per l’individua-zione dei componenti negativi riferibili ai predetti componenti positivi esuccessivamente, con normativa di secondo grado, è affermato che taledeterminazione dovrà essere effettuata tenendo conto dei principi OCSE inmateria di determinazione del valore normale dei beni e servizi cedutinell’ambito dei gruppi multinazionali.

Precisiamo, inoltre, che le spese da tenere in considerazione sarannotutte quelle direttamente o indirettamente attribuibili al bene. In partico-lare, la precisazione recata dalDecreto all’art. 9, comma9, secondocui sononon rilevano alcune tipologie di spese77, trova applicazione solo al fine dideterminare il quoziente da applicare alla quota di reddito attribuibile albene immateriale.

ALESSANDRO VICINI RONCHETTI

76 Cass. civ., Sez. V, 11 maggio 2012, n. 7344, inGT - Riv. giur. trib., n. 8-9/2012, pag. 657nota di A. Guidara, “Ragioni e possibili implicazioni dell’affermata impugnabilità delle comu-nicazioni di irregolarità”.

77 Il citato comma 9 esclude la rilevanza, ai fini del computo del quoziente, degli interessipassivi, delle spese relative agli immobili e di qualsiasi costo che non può essere direttamentecollegato ad uno specifico bene immateriale di cui all’art. 6.

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I decreti delegati della riforma fiscale: passi avanti,qualche passo indietro e molte occasioni mancate

Luigi Mazzillo

Estratto: Come era nelle intenzioni, non si è trattato di una riforma organica,ma diunamanutenzione straordinariadel sistema impositivo.Conelementipositivi, passiavanti verso un fisco più semplice, certo e moderno. E con altri, invece, negativi,l’indebolimentodell’effettodideterrenzanella lottaall’evasionee l’ennesimosmaccoai diritti del contribuente. Ma soprattutto con tante questioni che l’incompletaattuazione della delega ha lasciato irrisolte: dal riordino delle agenzie fiscali, conil mancato rilancio dell’obiettivo di superare il modello burocratico a favore di unassetto manageriale, alla razionalizzazione dell’Iva, fino alla revisione dell’Irap edalla riformadelcatasto.Tuttaunaseriedipunti interrogativicheconfermanoancorauna volta la necessità e l’urgenza di proporre e portare a termine una riformastrutturale di un sistema fiscale che si caratterizza per l’elevato peso tributario(44% del PIL, caricato, peraltro, per l’80% sui redditi da lavoro dipendente e dapensione), l’alta incidenzadell’evasione fiscale (120miliardi l’anno, al secondopostonell’UE) ed il groviglio degli adempimenti (500 all’anno).

Abstract: As it was intended to be, legislative innovations adopted do not representan organic reform, but only a sort of extraordinary maintenance intervention toupdate here and there the Italian tax system.With positive aspects – steps forward insimplification,more certainty andmodernity.With other, instead, rather negative –weakening of the deterrence effect as a means to combating tax evasion and thehundredth snub of taxpayer’s charter of rights. Above all, the implementation of thedelegation law leaves unsolved toomany questions: the failure to further advance inovercoming the bureaucratic model of the tax agencies towards a managerial one,the rationalization of VAT, the revision of the regional company tax (IRAP) and thereform of Cadastre. A number of question marks which once more highlight howurgent it is to implement a structural reform of the fiscal system to overcome therelevant weaknesses represented by high fiscal pressure (44% of GNP - as much as80% borne by employees and people on pension) and the tangled mass of taxaccomplishments requested (about 500 in a year).

SOMMARIO: 1. Violazioni dello Statuto dei diritti del contribuente - 2. Peculiaritàdell’iter della Legge delega e della sua attuazione - 3. Incompleta attuazione delladelega - 4. Attuazione della delega anche al di fuori dei Decreti delegati - 5.Manutenzione straordinaria del sistema - 6. Persistente necessità di riforma strut-turale del sistema - 7. Indirizzi di politica fiscale e Decreti delegati: fatturazioneelettronica, trasmissione telematica dei dati IVA ed evasione -8. Incroci banche datie tracciabilità dei pagamenti - 9.Monitoraggio dell’erosione e dell’evasione fiscale -

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10. Sotto-utilizzo della delega per il riordino delle Agenzie fiscali - 11. Misure cheindeboliscono l’effetto deterrenza - 12. Conclusione.

1. Violazioni dello Statuto dei diritti del contribuente - Nel rispetto del temagenerale dell’incontro, voglio iniziare esaminando in quale conto la riformaabbia tenuto le prescrizioni dello Statuto dei diritti del contribuente (Leggen. 212/2000). A tal proposito debbo ricordare che nel 2010, a dieci annidall’introduzione dello Statuto, la Corte dei conti lanciò un allarme docu-mentatosulla sistematicaviolazionedeiprincipiche lostessoavevasancito -con le “deroghe eccessive alle sue regole, con la retroattività delle imposte odei mutamenti procedurali, l’uso massiccio delle proroghe dei termini diaccertamento, il deficit di chiarezza e di trasparenza”. Il ricorso al sempliceincipit della disposizione in deroga - esso stesso non sempre rispettato - erabastato al legislatore per disattendere almeno 400 volte in dieci anni unalegge da tutti fortemente voluta.

La violazione dei principi dello Statuto non è stata senza conseguenzeper quanto riguarda l’entità del carico tributario per le famiglie e per leimprese: è stato stimato che solo dalla violazione del principio diirretroattività nel 2011 è scaturito un maggior gettito di oltre 6 miliardi;entrate che, rispettando lo Statuto, si sarebbero registrate soltanto a partiredal 2012.

Il legislatore delegante ha pertanto cercato di porre un argine allatentazione della retroattività in sede di attuazione della delega fiscale conlaprevisione,contenutanell’art.1delprovvedimento(emendamentoFluvi),che i Decreti legislativi venissero adottati nel rispetto, non solo dei principicostituzionali e del diritto dell’Unione Europea, ma anche di “quelli delloStatuto dei diritti del contribuente di cui alla Legge 27 luglio 2000, n. 212,con particolare riferimento al rispetto del vincolo di irretroattività dellenorme tributarie di sfavore”.

Si tratta, ovviamente, di una prescrizione che non troverà applicazioneoperativa oltre il caso concreto della delega fiscale. Continueranno, per-tanto, a restare in balia delle necessità e delle urgenze del legislatore tutti glialtri provvedimenti per i quali non sarà stato apposto analogo vincolo diesclusione di ogni retroattività. Il fatto è che, non trattandosi di norme dirango costituzionale, lo Statuto del contribuente continua ad essere unalegge scritta sulla sabbia, modificabile in qualunque momento da un’altralegge ordinaria.

Ritornando alla riforma, si è detto del rimedio introdotto per impedirel’adozione di norme retroattive. L’attuazione dei Decreti delegati fa ciono-nostante registrare la sua brava violazione dello Statuto dei diritti delcontribuente con riguardo ad un principio diverso da quellodell’irretroattività, quello dell’art. 2, secondo il quale “le prescrizioni modi-ficative di leggi tributarie debbono essere introdotte riportando il testo

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conseguentemente modificato”. Ebbene, non poche delle disposizioni deiDecreti delegati sono scritte con un riferimento sintetico alla normamodi-ficata individuata con il numero dell’articolo e del comma - con tutti glieffetti di illeggibilità che ne conseguono, non solo per i contribuenti ingenerale, ma per gli stessi professionisti ed i giudici.

2. Peculiarità dell’iter della Legge delega e della sua attuazione - L’origine,l’intestazione e l’iter della Legge delega n. 23 del marzo 2014 e la suasuccessiva attuazione si caratterizzano per una serie di peculiarità chenonsonopassate inosservate.La legge, checonferivaalGovernounadelega,da attuare entro il 26marzo 2015, per la realizzazione di un “sistema fiscalepiù equo, trasparente e orientato alla crescita”, riprendeva i contenuti di undisegno di legge d’iniziativa del Governo della scorsa legislatura (approvatodalla Camera nell’ottobre 2012,ma che non aveva concluso il proprio iter alSenato).

Il disegnodi legge,partitocomeprogettogovernativo, si è trasformato inproposta di iniziativa parlamentare. Esso non è, pertanto, basato su studi,come avvenuto con la Relazione Cosciani per la riforma del 1971, ma suproposte delle Commissioni parlamentari. Ad ulteriormente rafforzare lanatura parlamentare della riforma va evidenziata la circostanza che l’ema-nazione dei Decreti delegati da parte del Consiglio dei Ministri è statapreceduta - soprattutto nella fase iniziale - dall’esame preliminare deglischemi da parte di un “Comitato ristretto informale” delle CommissioniFinanze di Camera e Senato.

Nelle more dell’emanazione dei numerosi Decreti legislativi di attua-zione, il Governo ha ritenuto di chiedere una proroga di sei mesi che,secondoun (poco commendevole anche se tipico) comportamento italiano,è stata inserita in un emendamento all’art. 1 del disegno di legge di conver-sione di un Decreto sull’IMU agricola.

L’emanazione dei provvedimenti attuativi è avvenuta, così, in ritardorispetto al termine inizialmente stabilito. Il tempo impiegato è statodi quasi500 giorni.

Il cammino della riforma si è, dunque, caratterizzato per una lunga ecomplessa attività legislativa in partnership Governo/Parlamento, nonorientata da un disegno complessivo ed esposta alle sollecitazioni dellenecessità contingenti e delle spinte le più diverse. È mancato un disegnoorganicodi riferimento.Nonè,perconverso,mancata l’attenzionepermoltidettagli, spesso trascurati, ma rilevanti sul piano operativo per i contri-buenti: il lungo lavoroparlamentarehasicuramenteconsentitodi far lucesuesigenze apparentemente di minor rilievo e di solito ignorate quando l’at-tenzione è monopolizzata dalla gestione della coerenza di un disegnoglobale.

Il particolare cammino della riforma ha però fatto anche sì che, inviolazione dell’art. 76 Cost., siamancata una chiara distinzione fra principi

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e criteri direttivi di delega, e cioè fra norme fondamentali della disciplina emodalitàdaseguire edobiettivi da raggiungere. Infatti, ci troviamodi frontead un unico elenco di disposizioni Direttive del più vario genere, o vaghe,lacunose e difficili da interpretare, oppure semplicemente enfatiche e deltutto lapalissianeeperciò inutili, comenel casodellamera riproposizionediben noti principi costituzionali.

3. Incompletaattuazionedelladelega -L’attuazionedellaLeggedelegaavrebbedovuto investire praticamente quasi tutto l’ordinamento tributario - dallatassazione del reddito d’impresa all’IRAP, dal contrasto all’evasione all’abusodel diritto ed alle agevolazioni, dall’accertamento al contenzioso tributario,alla semplificazione delle procedure, dal catasto ai giochi - tutti capitoli auto-nomi, pur se legati, come si è già detto, alla finalità del perseguimento degliobiettivi generali dell’equità, della trasparenza e della crescita. Tuttavia, dei 43obiettivi della riforma ne sono stati raggiunti non più del 50%. L’attuazionedelladelegaè stata incompleta.Essendoscaduto il termineper legiferare in viadelegata, sono rimaste inattuate, o soloparzialmente attuate, le disposizioni didelega in tema di:

– revisione del catasto dei fabbricati, con l’eccezione della riforma delleCommissioni censuarie;

– revisione della riscossione degli enti locali;– razionalizzazione dell’imposta sul valore aggiunto e di altre imposte

indirette, fatta salva la revisione delle accise sui tabacchi;– revisione della disciplina dei giochi pubblici e rilancio del settore

ippico;– revisione della fiscalità energetica ed ambientale - ancora una volta

finita nel nulla;– revisione dell’IRAP;–coordinamentodelleobbligazioni tributarieedegliobblighicontabili e

dichiarativi;– poteri in materia tributaria e loro esercizio;– generalizzazione del meccanismo della compensazione.

4. Attuazione della delega anche al di fuori dei Decreti delegati - L’attuazionedella riforma è tuttavia proseguita anche per altre vie: infatti, alcune dellenormedi delega, anche tra le più significative, hanno trovato attuazione conla Legge di stabilità 2015 (Legge 23 dicembre 2014, n. 190).

I commi 26-34 e 54-89 dell’unico articolo della Legge di stabilità delloscorso anno fanno riferimento alla delega in tema di tassazione dei redditid’impresa e di lavoro, introducendodue innovazioni di rilievo. Con la primasi prevede, in via sperimentale, per il periododal 1°marzo 2015 al 30 giugno2018, che i lavoratori dipendenti del settore privato (esclusi i lavoratoridomestici e quelli del settore agricolo), con almeno sei mesi di anzianità diservizio, possano richiedere di percepire mensilmente in busta paga,

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unitamente alla retribuzione, la quota di trattamento di fine rapportomaturata. Con la seconda innovazione si introduce un nuovo regime per icontribuenti minimi, che sostituisce i precedenti regimi di favore, conl’assoggettamento del reddito ad un’unica imposta sostituiva del 15%.

Icommi634-641perseguono l’obiettivodimigliorare i rapporti traFiscoe contribuenti (art. 6 della delega) e, allo scopo di rafforzare la tax-com-pliance, stabiliscono innanzitutto che l’Agenzia delle entrate metta a dispo-sizione di ciascun contribuente le informazioni in suo possesso ad essoriferibili. Ma la norma di maggior rilievo è quella che concerne la revisionesostanziale dell’istituto del ravvedimento operoso, al quale si può ora acce-dere senza limiti di tempo.

I commi 629-633 si ricollegano all’art. 9 della delega, volto all’introdu-zione di norme per il rafforzamento dei controlli fiscali, con l’estensionedell’ambito di applicazione del reverse charge IVA e l’introduzione dello splitpayment.

I commi634-650 fannoinfineriferimentoall’art. 14delladelega, relativoal riordino delle disposizioni in materia di giochi pubblici.

Il pendolarismo e la fungibilità tra delega/Decreti delegati e Legge distabilità evidenzia il radicamento della prassi di procedere a spizzichi ebocconi, e quindi in modo disorganico e disordinato.

Venuta a scadenza la delega, il vizio della normazione disordinata edisorganica in materia tributaria si è, se possibile, ulteriormente accen-tuato. LaLeggedi stabilità 2016 (Legge 28dicembre2015, n. 208) è formata,com’è noto, da un solo articolo di 999 commi (in quella dell’anno prima icommi, sempre dell’unico articolo, erano “solo” 735), che dettano un guaz-zabuglio di disposizioni di ogni genere. Le norme di natura tributaria -messe di qua e di là, senza alcuna coerenza, di difficile individuazione,primaancora che di difficile comprensione - sono almeno240. Per ciascunadisposizione manca la menzione dell’oggetto nel titolo (che non c’è),essendo tali norme, non già raggruppate in un unico capitolo, ma sparpa-gliateunpo’dovunque, senza logica.Con l’aggravante che, ancoraunavolta,in barba ai principi di chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributariesanciti dallo Statuto dei diritti del contribuente, le nuove disposizionitributarie della Legge di stabilità 2016 risultano il più delle volte indecifra-bili. Esse contengono richiami ad altre disposizioni in termini non testuali,ma solo di numeri di articoli e di commi. Questi, a loro volta, spessorimandano ad altre disposizioni anch’esse magari individuate solo connumeri di articoli e commi, e così cripticamente procedendo, in una sortadi caccia al tesoro che non può non lasciare ben presto esausti. È un maremagnum di disposizioni alla rinfusa, popolato da una serie interminabile dirinvii e di richiami, caratterizzato da un linguaggio spesso indecifrabile -disposizioni di sicuro difficilmente accessibili al contribuentemedio, e nonsolo.

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Prima ancora di valutarla nel merito, la riforma tributaria attuata con iDecreti delegati si presenta, quindi, come incompleta, disorganica e didifficile lettura, a dispetto della mole di lavoro governativo e parlamentaresvolto e delle attese alimentate. Ed è stata seguita da un’attività legislativatanto frenetica, quanto disorganica e frammentaria, che rischia di vanifi-care anche parte di quanto di buono i Decreti delegati avevano comunquefatto per razionalizzare il sistema impositivo.

5.Manutenzione straordinaria del sistema -Èstato affermato chenondi unariforma si tratta,ma di una “riformetta”. Io, tuttavia, non sarei così drasticonella valutazione. Direi piuttosto che si è trattato di uno sforzo di manu-tenzione straordinaria del sistema, sia pure incompleta e non sistematica,che ha avuto sicuramente il merito di correggerne alcuni difetti particolar-mente avvertiti e di aggiornarne le modalità di funzionamento. In qualchecaso, però, haavutoanche l’effetto,magari inconsapevole, di confermarneodi aggravarne i limiti.

Diversamentedal più lontano - e benpiù ambizioso, ancorché generico -disegno di Tremonti, la riforma, iniziata con la proposta del GovernoMontidel 18 giugno 2012 e ripresa dal DDL n. 282 del 15marzo 2013 del GovernoLetta, è stata dichiaratamente presentata con l’obiettivo, non già di dise-gnare un’organica riforma del sistema di tassazione, ma di “attuare inter-venti migliorativi del sistema fiscale in termini di equità, certezza delleregole e semplificazione”. La non rispondenza ad un disegno organico diriforma denunciata da autorevoli esperti, con le limitazioni che ne conse-guono, non è, quindi, un incidente di percorso. Essa in realtà risponde adobiettivi consapevolmente perseguiti daGoverno eParlamento. In quest’ot-tica, anche le critiche espresse alla gestione ibrida Governo/Parlamentodella delega possono apparire prive di una reale ragion d’essere, posto chesi è voluto consapevolmente sperimentare una modalità nuova di gestionedel processo di legislazione delegata, con lo scopo di dare soluzione ad unamolteplicità di problemi avvertiti dai contribuenti - persone fisiche edimprese - nel concreto e quotidiano funzionamento del sistema.

6. Persistente necessità di riforma strutturale del sistema - Accontentarsi diunaparzialemanutenzione straordinaria del sistemaè stato probabilmenteun atto di realismo politico, nella constatazione che mancavano le condi-zioni per proporre e portare a termine una riforma strutturale. Della quale,però, c’è sicuramente bisogno. Per convincersene basta considerare chel’ultima organica riforma risale al 1971, quando l’integrazione europea eraappena agli inizi, le multinazionali contavano relativamente poco, la Cinaera un Paese sottosviluppato, la finanziarizzazione dell’economia non eraancora in vista, di Internet non si parlava, mentre in Italia lo Stato erapadrone del 50% dell’apparato produttivo.

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706 - Rassegna Tributaria 3/2016

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Ledistorsioni riconducibili ai ritardinella riformastrutturaledelnostroordinamento tributario possono essere lette in una serie di indicatori a tuttinoti:

– il sesto posto quanto a pressione fiscale - il 44% del PIL - nellagraduatoria dei 28 Paesi dell’Unione Europea;

– una concentrazione - sempre in aumento - del carico tributario suiredditi da lavorodipendente edapensione, passato, tra il 2003ed il 2013, dal75,6 all’80,2%, con un incremento di circa 5 punti percentuali, a fronte diuna riduzione del peso sui redditi da lavoro autonomo, impresa e parteci-pazione, sceso nello stesso periodo di oltre tre punti percentuali - dal 17,35al 14%;

– il secondo posto nell’Unione Europea per evasione fiscale, con oltre120 miliardi di gettito sottratto annualmente all’Erario, che spiega l’ecces-sivo peso tributario gravante sui redditi di lavoro e di pensione, soggetti allanon eludibile tassazione alla fonte;

– un sistema di adempimento delle obbligazioni tributarie fra i piùcomplessi ed i più onerosi: solo per gli ultimi due mesi dell’anno, nelloscadenzario fiscale dell’Agenzia delle entrate si contano oltre 500 adempi-menti, dagli appuntamenti chiave, che chiamano in causa milioni di con-tribuenti, agli obblighi “minori”.

Il principale difetto dell’attuazione della riforma della Legge n. 23/2014sta proprio nel fatto che, in conseguenza del tipo di intervento operato, èstato possibile migliorare il funzionamento del sistema tributario solo conriferimentoaduedegliobiettivipropostisidalla riforma-certezzadeldirittoe semplificazione degli adempimenti.

La maggior certezza è stata perseguita attraverso una più chiara defi-nizione delle fattispecie dubbie (elusione ed abuso del diritto) ed una piùefficace sistematizzazione del dialogo tra contribuente e Fisco con i Decretisull’interpello. Molto tuttavia dipenderà dai concreti comportamentidell’Amministrazione finanziaria e dall’adeguatezza della sua organizza-zione interna: un esempio di problematicità è quello degli interpelli dapresentarsi alle Direzioni Regionali, quando, in particolare se riferiti alruling internazionale, questi dovrebbero essere gestiti da strutture speciali-stiche necessariamente centralizzate.

Gli interventi di semplificazione, ancorché sparpagliati in più Decreti,appaiono incisivi egraditi ai contribuenti e riflettonogliaspettipositividellemodalità di cammino della riforma. Tuttavia, anche il loro successo sulpiano operativo dipenderà dai comportamenti concreti e dall’organizza-zione che l’Amministrazione si darà per gestirli.

Poco, soprattutto, si è realizzato, neppure in via di principio, in terminidi maggiore equità - in particolare con il significativo vulnus arrecato dallamancata riformadel catasto.Molto a tal fine dipenderà dall’efficacia e dalladeterminazione con la quale, come si diràmeglio in seguito, verrà ridefinitae gestita la strategia di lotta all’evasione fiscale.

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Rassegna Tributaria 3/2016 - 707

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7. Indirizzi di politica fiscale e Decreti delegati: fatturazione elettronica,trasmissione telematica dei dati IVA ed evasione - I contenuti dei Decretidelegati possono essere valutati anche alla luce degli indirizzi di politicafiscale annunciati dalMEFper il biennio 2016-2017 e che si concentrano sufatturazioneelettronica, tracciabilitàdeipagamenti emaggiori incrocidellebanche dati.

Il Decreto delegato n. 127/2015 sulla trasmissione telematica dellefatture e dei dati IVA su base volontaria è sicuramente importante perincentivare la diffusione dell’e-invoicing anche nei rapporti business tobusiness. Le sue disposizioni, tuttavia, non bastano per un’effettiva lottaall’evasione dell’IVA: la semplice adozione della fatturazione elettronica traprivati, infatti, non produce di per se alcun rafforzamento dell’attivitàconoscitiva edi controllo ai fini fiscali. Tale rafforzamento lo si puòotteneresolo se l’Amministrazione finanziaria è messa in condizione di acquisire -tempestivamente, compiutamente ed inmodoorganizzato - i dati contenutiin tutte le fatture, tanto elettroniche quanto cartacee, emesse daicontribuenti.

Questo è proprio quello che ha fatto l’Amministrazione finanziariaportoghese con l’E-fatura, entrata a regime con il 1° gennaio 2015, dopoun percorso di avvicinamento graduale di due anni. Qui la fatturazioneelettronicasicuramentec’entra,ma ilpunto importanteèche idatidi tutte lefatture - elettroniche o cartacee che siano - emesse nei confronti dei propriclienti, compresi i consumatori privati e la Pubblica amministrazione,devono essere trasmesse telematicamente all’Agenzia delle entrate, rispet-tandouno standarddi formato (quelloOCSE)euna tempisticadefinitadallalegge. L’Autorità tributariamette a disposizione su un apposito PortaleWeble informazioni acquisite tanto dall’emittente quanto dal destinatario dellafattura, che possono così controllare i dati e chiederne, se necessario, larettifica.

Al consumatore finale è riconosciuta una detrazione del 15% dell’IVAriportata nelle fatture ricevute dai fornitori di beni e dai prestatori di serviziche rientrano in alcune specifiche categorie economiche (ristoranti, par-rucchieri edestetisti, esercizi ricettivi, riparazioneautoemotoveicoli).Ec’èanche la possibilità di partecipare ad una lotteria nazionale.

Il sistema dell’E-fatura sembra aver funzionato: nonostante la riformaabbiaoperato inunperiododiprofondacrisi dell’economiaportoghese, conuna riduzione del PIL del 3,2% nel 2012 e dell’1,4% nel 2013, il gettito IVA ècresciuto senza interruzione, ad un tasso medio annuo di circa l’8%.

La conclusione da trarsi alla luce dell’esperienza portoghese è che, cosìcome è stato architettato, il nostro Decreto delegato sulla fatturazioneelettronica appare come una mezza misura che potrà sortire risultati limi-tati in termini di riduzione dell’evasione IVA, per la quale, com’è noto,deteniamounaposizione di tutto rispetto - collocandoci, fra i Paesi europei,subito dopo la Grecia.

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708 - Rassegna Tributaria 3/2016

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8. Incroci banche dati e tracciabilità dei pagamenti - Rilevanti risultano leconnessioni dei Decreti delegati anche con gli altri due indirizzi di politicafiscale annunciati per il biennio 2016/17:maggiori incroci delle banche datie tracciabilità dei pagamenti.

Per quanto riguarda gli incroci, se ne è già vista l’importanza trattandodella fatturazione elettronica secondo il modello portoghese. Ma se ne puòavere chiara e convincente riprova guardando al monitoraggio dell’appli-cazione del nuovo ISEE, il quale, com’è noto, prevede che solo una parte deidati necessari per il calcolo sia autocertificata. Il resto - tra cui i dati fiscalipiù importanti, come il reddito complessivo - è inserito nella dichiarazionesostitutiva unica direttamente dall’Amministrazione, grazie all’incrociodelle banche dati INPS e Agenzia delle entrate. Ebbene, grazie al controlloa monte, il numero dei soggetti che fino all’anno precedente richiedevanoprestazioni sociali agevolate (esenzione sui ticket sanitari, sconti sulle retteuniversitarie, un posto nell’asilo nido, ecc.) dichiarando un patrimonionullo è sceso dal 74 al 19%, mentre il valore medio dei conti correnti si èpiù che raddoppiato, passando dai 4mila ai 9 mila euro. Non si tratta di unnuovoed inattesomiracolo italianodovutoadunacrescita economica la cuirilevazione era sfuggita all’ISTAT, ma solo dell’impatto sui comportamentidei controlli resi possibili a monte dall’incrocio delle banche dati.

Sicuramente efficace ai fini della lotta all’evasione, segnatamentedell’IVA, sono misure come il reverse charge e lo split payment. Appaiono,invece, contraddittorie con lo stesso indirizzo, riaffermato dal Governo,della maggiore tracciabilità delle transazioni, la decisione di alzare il tettoper l’uso del contante e l’abolizione del divieto di pagare cash i canoni degliaffitti. La Francia si è di recentemossa in tutt’altra direzione, abbassando a1.000 euro il tetto dell’uso del contante, e ciò anche in chiave anti-terroristica.

Da tempo vari studi a rilevanza mondiale sono giunti alla conclusioneche una soglia troppo bassa per il contante può favorire l’evasione ed ilriciclaggio. Il fatto è che,mentre per i pagamenti al di sotto della soglia di 20euro il contanteè impiegatodanoi inmisurapiùomenoequivalenteaquelladegli altri Paesi, come Germania e Spagna - un po’ al di sopra del 90% - giàper i pagamenti fra i 30 e i 100 euro in Italia se ne fa unusobenmaggiore chealtrove: 77% dei casi rispetto al 66% della Spagna, il 20% dell’Olanda ed il15% della Francia. Per i pagamenti fra 200 e 1.000 euro, poi, in Italia si faricorso alle banconote nel 30% dei casi contro il 21% della Germania, l’8%dell’Olanda ed appena il 3% della Francia.

Oltre a favorire, come si è detto, l’evasione ed il riciclaggio, l’uso delcontante ha per il Paese anche un costo economico diretto che è statocalcolato per l’Italia nell’ordine di 8miliardi annui - lo 0,52%del PIL, controuna media UE dello 0,40.

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Rassegna Tributaria 3/2016 - 709

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9.Monitoraggiodell’erosioneedell’evasione fiscale - Importanti epienamentecondivisibili appaiono per converso le disposizioni del D.Lgs. n. 160/2015che intervengono inmodo strutturalmentepositivo sulmonitoraggio e sullarevisione delle agevolazioni fiscali e sulla rilevazione dell’evasione fiscale econtributiva, anche dettandone il coordinamento con le procedure di bilan-cio. Il monitoraggio della spesa fiscale è quindi previsto in termini distrumento di disciplina fiscale, al pari della spesa di erogazione e dellemodifiche strutturali del sistema tributario: la Nota di Aggiornamento delDocumento di Economia e Finanza deve essere annualmente corredata daun rapporto programmatico di interventi per l’eliminazione, la riduzione ola riformadelle spese fiscali,mentrealloStatodiprevisionedell’entratadeveessere allegato un rapporto annuale ricognitivo delle spese fiscali in essere,per la cui redazione è prevista l’istituzione di un’apposizione Commissionedi quindici esperti. Viene specificato che le spese fiscali per le quali sianotrascorsi cinque anni dalla loro entrata in vigore debbano essere oggetto dispecifiche proposte di eliminazione, riduzione o modifica. Interventi ana-loghi vanno effettuati con la Legge di stabilità.

Inserire le spese fiscali all’internodelleproceduredibilancioconsentediridiscuterne periodicamente l’utilità, eliminando o ridimensionandoquelleche - alla luce delle mutate condizioni ed esigenze sociali ed economiche -appaiano, in tutto o in parte, superate, o quelle che costituiscano unaduplicazione non voluta con interventi di spesa di erogazione. I risparmidi spesa fiscale sono attribuiti al fondo per la riduzione della pressionefiscale, comeprevisto dal comma431della Legge 27 settembre 2013, n. 147.

Previsioni in parte analoghe sono dettate per il monitoraggio dell’eva-sione fiscale e contributiva, che è attuato con la presentazione, contestual-mente alla Nota di Aggiornamento del DEF, di un rapporto sui risultaticonseguiti in materia di misure di contrasto dell’evasione fiscale e contri-butiva, corredato da un’esaustiva nota illustrativa delle metodologie utiliz-zate. A tal fine è prevista - anch’essa a cura di un’apposita Commissione diquindici esperti - la redazione di una relazione annuale sull’economia nonosservata e sull’evasione fiscale e contributiva contenente:

– i risultati conseguiti in materia di misure di contrasto all’evasionefiscale e contributiva, distinguendo tra imposte accertate e riscosse, nonchétra le diverse tipologie di avvio delle procedure di accertamento;

– i risultati del recuperodi sommedichiaratedovute enonversate edellacorrezione di errori nella liquidazione sulla base delle dichiarazioni;

– il recupero di gettito fiscale e contributivo attribuibile alla maggiorepropensione all’adempimento spontaneo da parte dei contribuenti;

– le strategie per il contrasto all’evasione fiscale e contributiva, l’aggior-namento ed il confronto dei risultati con gli obiettivi.

Altrettanto importante e positivo è l’aver previsto nel D.Lgs. n. 157/2015che, inaccordoconquantoprevistodalDecretosulmonitoraggio, leAgenziefiscali stabiliscano specifici obiettivi da conseguire per quanto riguarda sia

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l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari, sia il livello di efficaciadell’azione di prevenzione e di contrasto dell’evasione fiscale, delle frodi edegli illeciti tributari (D.Lgs. n. 157/2015, art. 1, comma2), damisurarsi conappositi indicatori della produttività, della qualità e della tempestivitàdell’azione svolta, da una parte, e con indicatori della complessiva efficaciaed efficienza gestionale, dall’altra, gli uni e gli altri definiti in convenzione(D.Lgs. n. 157, art. 1, comma 3).

Queste disposizioni appaiono in tutta la loro rilevanza se le si raffrontacon le osservazioni e le raccomandazioni sviluppate dalla Corte dei contidalla fine degli anni ‘90 in poi nelle sue relazioni annuali ed a conclusione dimolte indagini sulla gestione: i meccanismi di monitoraggio codificati dalDecreto delegato 160/2015 e da quello sul riordino delle Agenzie fiscalisoddisfano appieno gli standard indicati dalla Corte dei conti e sono inlinea con i più avanzati sistemi operanti a livello europeo.

Tutto bene, quindi?La risposta non può essere univoca. Anzitutto perché le norme prima

riepilogate non hanno finora trovato attuazione. A cominciare, per quantone sappia, dalla costituzione delle due Commissioni di esperti, formate, fral’altro, da componenti tutti a titolo gratuito. Il rischio è che, ancora unavolta, le buone intenzioni continuinoa restare a lungo solo sulla carta.Ma larisposta non può essere rassicurante, soprattutto se si tiene conto sia deilimiti e delle contraddizioni prima emersi con riguardo alla fatturazioneelettronica ed al tetto troppo alto per l’uso del contante, sia di quelli relativiagli altri Decreti delegati, oltre che alle politiche concretamente attuate.

10. Sotto-utilizzo della delega per il riordino delle Agenzie fiscali - Resta, inparticolare, il fatto che la delega sia stata ampiamente sotto-utilizzata perquantoriguarda leAgenzie fiscali: l’interventoèstatominimale. Inpratica,aparte quanto di positivo è già stato detto, ci si è limitati a postulare enfati-camente per l’Amministrazione finanziaria la realizzazione di una mag-giore efficienza favorendo l’adempimento degli obblighi tributari ed aprevedere:

– la riduzione di non meno del 10% del rapporto tra personale dirigen-ziale di livello non generale e personale non dirigente;

– la riduzione di almeno il 10% delle posizioni dirigenziali di livellogenerale.

In realtà, l’impressione è che con l’Amministrazione finanziaria si stiaforse perdendo il senso dell’orientamento strategico, con il rischio di com-prometterne il ruolo che si era andato positivamente definendo ed affer-mandoapartiredai primi anni ‘90, primaancoradi precisarsi e consolidarsicon il D.Lgs. n. 300/1999.

Il legislatoredelegatodel1999avevachiaramente riconosciuto lanaturaspecialistica delle Agenzie fiscali e ne aveva sancito la conseguente auto-nomia organizzativa, da esercitarsi attraverso un proprio regolamento di

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organizzazione.Tale regolamento era chiamatoadisporre anche inmateriadimodalità di selezionedel personale dirigente, basandosi sul superamentodel tradizionale modello burocratico-formalistico delle Amministrazionipubbliche italiane, a favore di unmodello di progressione della carriera chepremiasse il risultato, più che la semplice conoscenza nozionistica delleprocedure. Facendo naturalmente salvo l’obbligo dell’ingresso attraversouna procedura concorsuale pubblica, l’iter selettivo prevedeva poi unperiodo di tirocinio teorico-pratico finalizzato a verificare - attraverso unapposito sistema di misurazione e di valutazione delle competenze - ilpossesso delle capacità funzionali all’espletamento dell’incaricodirigenziale.

La felice intuizione del legislatore delegato di allora era stata che un’or-ganizzazione che va avanti per obiettivi definiti in sede convenzionale, e chedeve essere, pertanto, lato sensu remunerata in base al grado di raggiungi-mento degli stessi, non può non adottare un modello di valutazione e diremunerazione/valorizzazione del proprio personale basato sul merito, equindi sui risultati ottenuti sul campo, sulla delicatezza e sulla rilevanzadelle mansioni svolte (si pensi, ad esempio, alle verifiche sui soggetti inter-nazionali o al ruling). Sono ruoli che non possono essere affidati al primovenuto solo per il fatto che abbia superato un concorso aperto a tutti: nelleselezioni per ruoli apicali non può non entrare anche la valutazione curri-culare. Non è un’eresia, ma il modo internazionalmente riconosciuto peravere un’amministrazione che produca i risultati voluti ed attesi.

Se fosse necessario, una conferma di ciò può essere trovata nei risultatidi una ricerca svolta nel 2013 nel Regno Unito sulla Pubblica amministra-zione in30Paesi, compreso il nostro.La ricerca evidenzia il grande sviluppoche negli ultimi anni ha avuto il c.d. New Public Management come formaalternativa per l’affidamento dei servizi pubblici a soggetti che operano inregime totalmente privatistico. Si tratta di una soluzione che ha consentitodi superare le rigidità dei modelli organizzativi burocratici e di portare neimeccanismi di funzionamento delle Amministrazioni pubbliche le innova-zioni - organizzative e gestionali - proprie del settore privato.

Nella grande maggioranza dei Paesi esaminati è stato faticosamentericercato un equilibrio organizzativo accettabile fra autonomia e controllo,fra le strutturepreposte alla regolazioneedal controllodella cosapubblica ele strutture chiamate ad erogare servizi pubblici ad alto valore per lacollettività, fra chi è chiamato a fare scelte politiche ed a verificarne l’attua-zione (policy autonomy) e chi le scelte politiche è chiamato ad attuarle(managerial autonomy).

Il risultato della ricerca è che il modello delle Agenzie, pur non costi-tuendo la risposta ideale, rappresenta la forma organizzativa potenzial-mente più adatta, se gestita con intelligenza, a dare efficienza allaPubblica amministrazione, in unmomento storico di revisione delwelfare,

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712 - Rassegna Tributaria 3/2016

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di spinta alla riduzione del perimetro dell’intervento pubblico ed al conte-nimento del carico fiscale.

La ricerca evidenzia anche - ahinoi! - che il nostro Paese ha vissuto econtinua a vivere ai margini di queste grandi correnti di cambiamentoculturale, ancorato com’è ad una presunta specificità di una tradizionegiuridico-amministrativa fatta di norme e di procedure poste a tutela diastratte garanzie che, però, nei fatti ne impediscono di esprimere le realipotenzialità. Con i connessi risultati di inefficienze, demotivazione, disor-ganizzazione, litigiosità,parassitismo,pernonparlaredi corruzionediffusaedimalaffare, che sono sotto gli occhidi tutti.Nepotevano - enepotrebbero- fare eccezione almeno le Agenzie fiscali. Se, come mi auguro, si arresteràquel processo di loro omologazione alla Pubblica amministrazione allaChecco Zalone.

11.Misure che indeboliscono l’effetto deterrenza -Come si è già in parte visto,aspetti di incoerenza della legislazione delegata con l’obiettivo strategicodella lotta all’evasione sono peraltro rilevabili non solo nel Decreto diriordino delle Agenzie fiscali, ma anche in altri, che pure si propongonola finalità, del tutto condivisibile, di favorire l’adempimento spontaneo,senza infierire sul contribuente, ma facilitandone l’assolvimento degliobblighi fiscali anche fornendogli l’assistenza necessaria. C’è, infatti, unrischiodanonsottovalutare, edè il rischiorappresentatodallavanificazionedell’effettodeterrenzaassociatoadalcunemisurediattenuazionedell’entitàedell’effettivitàdelle sanzioniamministrative tributarie, oltrecheadaltredisemplificazione e di razionalizzazione delle norme in materia di accerta-mento e di riscossione.

Per dirla in termini generali, si ha quasi l’impressione che il legislatoredelegato sia incorso in un eccesso di zelo, spingendosi talvolta nello sforzoper la semplificazione e la facilitazione - sicuramente opportuno e condivi-sibile - al di là del limite che segna l’esaurimento dell’effetto di deterrenzadellanorma. Inunsistematributariocome ilnostro - ricordiamoceloancorauna volta - nel quale per chi non ha il sostituto d’imposta l’adempimento èsolo volontario.

Inquestaottica,nonpocheperplessità sicuramentesuscita lapossibilitàdi nuova rateizzazione dei debiti tributari anche per chi non ha adempiutoalla rateizzazione precedente. È dubbio che versi ora chi non l’ha fattoprima. Mentre è molto probabile, invece, che molti si convincano che nonè il caso di affrettarsi a versare, posto che si può rinviare tutto al prossimogiro. E ciò, in un contesto nel quale, secondo i dati diffusi dall’Agenzia delleentrate, il fenomeno delle imposte dichiarate dovute e non versate staassumendo dimensioni allarmanti: 36,3 miliardi nel quadriennio 2008-2011, di cui 11,5 miliardi nel solo 2013. Si tratterà pure, forse, di unmodo, peraltro alquanto improprio, di finanziare alcune imprese indifficoltà, ma è di tutta evidenza che ci si espone al rischio concreto di

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insolvenza ai danni dello Stato e di compromissione dell’azione diriscossione.

Un sicuro effetto di vanificazione dell’effetto di deterrenza è legato aldisfacimento, operato dal Decreto n. 128/2015 sulla certezza del diritto,dellanormasul raddoppiodei terminiper l’accertamentoamministrativo inpresenza di reati tributari. Questa norma era stata introdotta dal D.L. 4luglio 2006, n. 223, perché l’Agenzia delle entrate non era oggettivamentenelle condizioni di perseguire quei casi più gravi e insidiosi di evasionefiscale connessi a indagini penali e per lopiù riguardantimafia e criminalitàeconomica: di tali casi, infatti, l’Amministrazione finanziaria veniva quasisempre a conoscenza solo quando il termine di quattro anni per l’emana-zione dell’atto di accertamento era già scaduto. Con lemodifiche introdottecon il Decreto delegato in attuazione di quanto stabilito dall’art. 8, comma2dellaLeggedelega, il raddoppiodei termini scatta solo se ladenunciapenaleè presentata entro la scadenza ordinaria dei termini, con l’effetto di portareanche allo stop dei maxi-accertamenti in corso e ad un conseguente con-dono di fatto. Sono tuttavia fatti salvi gli effetti degli atti di controllonotificati entro il 31 dicembre 2015 (la Legge delega faceva salvi solo gliatti già notificati alla data di entrata in vigore dei Decreti).

Il sistema di deterrenza è ulteriormente indebolito, infine, da alcunedisposizioni introdotte dal Decreto che riordina la disciplina delle sanzioniamministrative tributarie, di fatto favorendo chi pianifica comportamentidilatori rispetto a chi osserva le regole e i termini per versare le impostedovute. È vero che importanti correttivi sono stati apportati allo schema dipartenza del Decreto, come è in particolare avvenuto con la rinuncia all’i-potizzataabolizionedi qualsiasi sanzioneper l’indicazione indichiarazionedi un credito d’imposta superiore a quello accertato. Qualche svista signi-ficativa è tuttavia rimasta.

Una prima incoerenza riguarda lo sconto per l’omessa presentazionedelle dichiarazioni dei redditi, IVA e IRAP a favore di coloro che la presen-tano entro il termine previsto per la dichiarazione relativa al periodod’imposta successivo e comunque prima dell’inizio di qualunque attivitàamministrativa di accertamento di cui abbia avuto formale conoscenza(come l’avvio di attività istruttoria esterna, l’invio di questionari ed inviti,l’avvio di indagini finanziarie comunicato dalle banche): essi vengono abeneficiare di un vantaggio rispetto a chi la dichiarazione la presenta entro itermini previsti ed effettua tempestivamente il versamento della relativaimposta.

Una seconda incoerenza attiene agli effetti dell’attenuazione delle san-zioni per l’infedele dichiarazione. In applicazione del principio del favor rei,l’Amministrazione dovrà rivedere tutti gli avvisi di accertamento nonancora definitivi, con una perdita di gettito stimata in 40 milioni (oltre aicosti amministrativi non computati), la cui copertura è stata allo statoprevista per il solo anno 2017.

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Effetti analoghi di applicazione del principio del favor rei, con conse-guente revisione di tutte le pratiche pendenti e necessità di stanziare risorseper la relativa copertura finanziaria, si avranno anche per l’eliminazionedelle maggiorazioni sanzionatorie previste dal D.Lgs. n. 471/1997 (art. 1,commi 2-bis e 2-ter; art. 5, commi 4-bis e 4-ter) e dal D.Lgs. n. 446/1997 (art.32, commi 2-bis e 2-ter) per le infedeli dichiarazioni dei redditi, IVA e IRAPnei casi di omessa presentazione o infedele o omessa indicazione dei datiprevisti nei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’ap-plicazione degli studi di settore. Con l’aggravante che, in questo caso, lemodifiche potrebbero invogliare i contribuenti ad alterare gli studi disettore, posto che l’unica penalità prevista resta quella dell’irrogazione diuna sanzione fissa di 2.000 euro, che, però, può essere definita in viaordinaria versandone 1/3, e cioè appena 667.

12. Conclusione - Molto di più si potrebbe dire a proposito dell’attuazionedella riforma della Legge delega n. 23/2014, ma credo che l’analisi da mecondotta, sia pure sommaria e limitata, sia stata sufficiente a dimostrarel’assunto che i Decreti delegati della riforma abbiano, sì, fatto compiereimportanti passi avanti verso un Fisco più semplice, più moderno e conmaggiori certezze, ma non siano tuttavia scevri sia da violazioni delloStatuto dei diritti del contribuente, sia da effetti, non trascurabili, di inde-bolimento del sistema di deterrenza dei comportamenti evasivi.

LUIGI MAZZILLOPresidente agg. on. della Corte dei conti

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GIURISPRUDENZA

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GIURISDIZIONE CIVILE

1 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Unite, sentenza n. 29 del 5 gennaio2016, Pres. Rovelli, Rel. Di Palma

GIURISDIZIONE CIVILE - Giurisdizione in generale - Difetto di giuri-sdizione - Rilevabilità di ufficio - Giudice adito - Verifica della propriagiurisdizione - Dovere

GIURISDIZIONE CIVILE - Giurisdizione in generale - Difetto di giuri-sdizione - Rilevabilità di ufficio - Questione di giurisdizione e di com-petenza - Pregiudizialità - Deroghe - Condizioni e fondamento

Ogni giudice, anche qualora dubiti della sua competenza, deve sempre verifi-care innanzitutto, anche di ufficio, la sussistenza della propria giurisdizione.La pregiudizialità della questione di giurisdizione rispetto a quella di compe-tenza - fondata sulle previsioni costituzionali riguardanti il diritto alla tutelagiurisdizionale, la garanzia del giudice naturale precostituito per legge, iprincipi del giusto processo, l’attribuzione della giurisdizione a giudici ordi-nari, amministrativi e speciali ed il suo riparto tra questi secondo criteripredeterminati - può essere derogata solo in forza di norme o principi dellaCostituzione o espressivi di interessi o di valori di rilievo costituzionale, come,ad esempio, nei casi di mancanza delle condizioni minime di legalità costitu-zionale nell’instaurazione del “giusto processo”, oppure della formazione delgiudicato, esplicito o implicito, sulla giurisdizione.Il giudice tributario è munito di giurisdizione sulle controversie relative all’in-giunzione fiscale emessa dal Comune per la riscossione dell’ICI, ciò poiché talecontroversia può essere assimilata a quella in cui venga impugnato il ruolo.

Omissis*

Ricorribilitàdell’ingiunzionefiscaleegiurisdizionedelleCommissionitributarie

SOMMARIO: 1. Premessa: le questioni prospettate alle Sezioni Unite ed il pro-blema della ricorribilità dell’ingiunzione fiscale come problema di giurisdizione -2. L’impugnazione dell’ingiunzione fiscale e l’approccio “sostanzialisticamenteorientato” del giudice di legittimità nella risoluzione delle questioni di giurisdi-zione - 3.La pregiudizialità della questione di giurisdizione rispetto alla questione

* Il testo della sentenza è consultabile in banca dati “fisconline”.

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di competenza. Importanza della soluzione nel processo tributario tra diritto didifesa e tutela dell’integrità patrimoniale - 4. La rilevabilità ex officio del difetto digiurisdizione in sede di esame del regolamento di competenza e il problema dellalegittimità (attualità?) del divieto di proposizione del regolamento di competenzanel processo tributario - 5. Considerazioni di sintesi.

1. Premessa: le questioni prospettate alle Sezioni Unite ed il problema dellaricorribilità dell’ingiunzione fiscale come problema di giurisdizione - La sen-tenza che si annota affronta tre aspetti, di cui due attinenti alla teoriagenerale del processo ed uno afferente invece al diritto processuale tribu-tario. Inparticolare, nell’ordinedi esamedelle questioni in sededi decisionedella causa, il rapporto tra giurisdizione e competenza, la rilevabilità offi-ciosa del difetto di giurisdizione in sede di esame del regolamento dicompetenza e la corretta individuazione del giudice per le controversiesull’ingiunzione fiscale. In definitiva, questa sentenza costituisce un ulte-riore spunto per riflettere sul “problema della giurisdizione” delleCommissioni tributarie.

La controversia ha avuto origine dalla notifica di due atti di ingiunzione dipagamento, emessi sulla base di tre avvisi di accertamento e di una sentenzapassata ingiudicatodellaCommissione tributariaprovincialediMantova, coniquali ilComuneprocedevaal recuperodell’impostacomunalesugli immobili,asseritamente non versata dal contribuente per tre periodi di imposta.

Il contribuente proponeva opposizione avverso le due ingiunzioni edincardinava il giudizio dinanzi al giudice ordinario - il Tribunale - in forzadel disposto dell’art. 32, D.Lgs. 1° settembre 2011, n. 150 che, al comma 1,disponeunrinvioalprocedimentoordinariodicognizioneper l’opposizioneavverso le ingiunzioni di pagamento. Il Comune resistente, a sua volta,sollevava questione pregiudiziale di difetto di giurisdizione del Tribunalein favore del giudice tributario, ritenendo che la controversia avesse peroggetto l’accertamento di un tributo, anche in mancanza di un’espressaprevisione dell’ingiunzione fiscale come atto impugnabile. Il Tribunaleemetteva sentenza ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c. con la quale, da unlato, confermava sussistere la giurisdizione del giudice ordinario, riget-tando l’eccezione del Comune,mentre, dall’altro, declinava la propria com-petenza territoriale in favore di altro Tribunale ritenuto competentesecondo i criteri definiti territorialmente.

Avverso questa sentenza il contribuente/attore proponeva istanza perregolamento di competenza in Cassazione, dove la Sezione decidente, conun’articolatamotivazione, disponeva il rinvio alle SezioniUnite, sollevandotre questioni e proponendo, principalmente per le prime due, una possibilesoluzione.

La prima - seguendo l’ordine prospettato nell’ordinanza di rimessione -hacaratteregenerale, concernendo la sussistenzaomenodelpotere, incapo

P. DE QUATTRO - RICORRIBILITÀ DELL’INGIUNZIONE FISCALE

720 - Rassegna Tributaria 3/2016

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al giudice, di decidere su una questione di giurisdizione pur essendoincompetente. Ad avviso della Sezione rimettente, infatti, le questioni dicompetenza dovrebbero rivestire carattere pregiudiziale rispetto a quelle digiurisdizione, sicché laddove il giudice dovesse ritenersi incompetente,dovrebbe limitarsi a statuire sulla competenza, senza poter decidere sullasussistenzadella giurisdizione.Ciò sulla basedell’assunto che il giudice, perdecidere sulla propria giurisdizione, deve primariamente essere compe-tente e, di conseguenza, la statuizione sulla giurisdizione da parte di ungiudice incompetente avrebbe dovuto essere considerata tamquam nonesset.

La secondaquestioneconcerne ilproblemadellaammissibilitàdel rilievoofficioso del difetto di giurisdizione in sede di regolamento di competenza,che nell’ordinanza di rimessione - è il caso di specificarlo e in seguito si vedràperché-vienequalificatocomenecessario(exart.42,c.p.c.).Secondoigiudicirimettenti, infatti, poiché la statuizione sulla giurisdizione non può conside-rarsiefficace, inquantocompiutadaungiudicenoncompetente,nonsarebbeidonea a passare in giudicato e, di conseguenza, dovrà ritenersi ammissibilela rilevabilità d’ufficio del difetto di giurisdizione.

La terza questione - prettamente “processual-tributaria”, si direbbe -riguarda invece l’individuazione della giurisdizione per le controversierelative all’ingiunzione fiscale, tenendo conto dell’intersecarsi con la giuri-sdizione generale sulle controversie tributarie del disposto del citato art. 32,D.Lgs. n. 132/2011, che rinvia al rito ordinario di cognizione con unaformulazione (almeno all’apparenza) generalizzante.

2. L’impugnazione dell’ingiunzione fiscale e l’approccio “sostanzialisticamenteorientato” del giudice di legittimità nella risoluzione delle questioni digiurisdizione - Tutte e tre le questioni presentano non pochi spunti proble-matici ed il giudice di legittimità, in sede di esame del regolamento dicompetenza, ne è ben consapevole. Ciò, peraltro, è provato dal fatto chela Sezione rimettente, pur avendo prospettato, per queste questioni (segna-tamente per le prime due) una propria soluzione, ha ritenuto, comunque,opportuno rimetterle all’esame delle Sezioni Unite.

Particolarmente importante appare, sotto questo profilo, l’ultima delletre questioni, dal momento che la corretta soluzione al problema concer-nente la giurisdizione sulle controversie relative all’ingiunzione fiscaleavrebbeevitato il presentarsi delleulteriori questioni, così comeprospettatenell’ordinanza di rimessione. Se, infatti, l’eccezione di giurisdizione fossestata esaminata alla luce della consolidata giurisprudenza in materia,soprattutto della Cassazione, la soluzione sarebbe stata quella di un pienoriconoscimento della giurisdizione delle Commissioni tributarie.

È toccato invece alla Suprema Corte dover fornire la soluzione alproblema,con lasolaconsiderazione funzionaledell’ingiunzioneassimilataall’iscrizione a ruolo per il Comune fine di riscossione coattiva dei tributi,

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anche inmancanza di un’espressa previsione dell’ingiunzione fiscale tra gliatti impugnabili ai sensi dell’art. 19,D.Lgs. n. 546/1992.Così valorizzando lafunzione di riscossione la Cassazione dimostra di voler definire la visione disistemadella giurisdizione tributaria conprimatodella relativa cognizione.In nome di tale riparto di giurisdizione la Cassazione dimostra di volerescludere l’applicabilità all’ambito tributario della normativa che in unquadro faticosamente unitario (dopo cento anni) aveva voluto ricon-durre nell’unità della giurisdizione ordinaria quella che viene definita intermini generali l’opposizione all’ingiunzione che, ancora regolata dall’art.3, R.D. 14 aprile 1910, n. 639, sarebbe stata disciplinata dalle norme delCodice di procedura civile e, specificamente ai sensi dell’art. 32, comma 1,D.Lgs. n. 150/2011, quelle del processo ordinario di cognizione.

Infatti, secondo il dato testuale del combinato disposto di queste duenorme, il giudice ordinario dovrebbe essere l’unico competente a giudicaresulle opposizioni avverso l’ingiunzione fiscale, anche nel caso in cui si versinel campo della riscossione di entrate tributarie e, segnatamente, di tributilocali. Un’interpretazione, questa, che sarebbe confermata dall’assenzadell’ingiunzione fiscale tra gli atti impugnabili davanti le Commissionitributarie, ai sensi del citato art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, diversamente daquanto disponeva l’art 16, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 6361.

Con la convinzione supportata da questa articolata interpretazione ilcontribuente, nel caso di specie, aveva ritenuto di rivolgersi al giudiceordinario ed il Tribunale adito confermava la correttezza di questa sceltaritenendosi, ancorché incompetente, quantomenomunito di giurisdizione.

Le Sezioni Unite, nel riconoscere invece questa giurisdizione in capo algiudice tributario, affermano, preliminarmente, che il disposto dell’art. 32,D.Lgs. n. 150/2011 si riferisce solo ed unicamente allematerie già assogget-tate alla giurisdizione del giudice ordinario, ciò che, se non altro, è confer-mato dal disposto della Legge delega (art. 54, comma 1, Legge 18 giugno2009, n. 69) che fa riferimento alla riduzione e semplificazione dei (soli)“procedimenti civili di cognizione che rientrano nell’ambito della giurisdi-zione ordinaria e che sono disciplinati da leggi speciali”. Ed in effetti, anchela dottrina ha evidenziato come l’art. 32, come del resto l’intero capo IV delD.Lgs.n.132/2011,abbiaadoggettoqueiprocedimenti chenonpresentano icaratteri che avrebbero consentito di assimilarli al rito laburistico od aquello sommario2. Quanto, invece, al più generale disposto dell’art. 3,R.D. n. 639/1910, che a sua volta rinvia al giudice ordinario quale (unico)

1 Sulleproblematichedelladiversamodulazionedei vizidell’ingiunzione fiscale in sedediimpugnazione, sotto l’abrogato sistema, in forza anchedellemolteplici funzioni di questo atto,cfr. Tomasicchio,Manuale del contenzioso tributario, Padova, 1978, pag. 131; Polano, “sub art.16, D.P.R. n. 636/1972”, in Glendi, Commentario delle leggi sul contenzioso tributario, Milano,1990, pag. 251 ss.; Vacca, Istituzioni di Diritto processuale tributario, Milano, 1990, pag. 108 ss.

2 Cfr. Consolo,Spiegazioni di diritto processuale civile, vol. II, Il processo di primo grado e leimpugnazioni delle sentenze, Torino, 2014, pag. 377 ss. e spec. pag. 389.

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organo munito di giurisdizione sulla impugnazione dell’ingiunzione, leSezioni Unite, conformemente alla precedente giurisprudenza in mate-ria3, ritengono che tale disposizione non sia idonea a derogare allenorme regolatrici della giurisdizione e, quindi, non possa essere invo-cata per estendere la giurisdizione del giudice ordinario anche a rap-porti che, invece, dovrebbero ricadere sotto la giurisdizione speciale,qualunque essa sia4.

A questo si aggiunga la sostanziale svalutazione della mancata previ-sione dell’ingiunzione tra gli atti impugnabili compiuta dalla Cassazioneche ha ritenuto non rilevante il fatto che nell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992,non vi sia alcun riferimento a questo atto5. La Cassazione, facendo riferi-mento alla propria giurisprudenza, dimostra di voler condividere perdefinire la giurisdizione un approccio funzionale6, qualificando l’ingiun-zione fiscalecomeattodi riscossionecoattiva, al paridell’iscrizionea ruoloe riferendola di conseguenza ad un rapporto con oggetto tributario. Cosìviene confermata l’attualità dell’ingiunzione fiscale. Ancorché se nonrivesta più il rilievo che aveva in passato7 né tantomeno presenti gli aspettiproblematici di un tempo8, continua ad espletare i propri effetti nell’ordi-namento vigente, come strumento alternativo, rispetto al procedimento diiscrizione a ruolo, per la riscossione di tributi locali, ai sensi dell’art. 36,comma2,D.L. 31dicembre2007, n. 248e, talvolta, ancheadopinionedella

3 Cfr. p. es. Cass., SS.UU. 8 febbraio 2001, n. 49, che ritiene non rilevante, a livelloprocessuale, il disposto del D.P.R. n. 639/1910 per l’individuazione della giurisdizione, inrelazione alla opposizione avverso l’ingiunzione volta al recupero della sovraimposta localesul redditodei fabbricati; vedasi pureCass., SS.UU. 30gennaio2002, n. 1238, avente adoggettol’ingiunzione di pagamento di diritti doganali.

4 Comenel casodella giurisdizione contabile: cfr. Cass., SS.UU. 29 febbraio2008, n. 5430.5 Del resto, la dottrina ha ormai registrato la svalutazione della predeterminazione

normativa degli atti impugnabili di cui all’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, propendendo senz’altroper una interpretazione estensiva di questa norma: sugli orientamenti giurisprudenziali cfr.Cerioni, “Finedella tassativitàdegliatti impugnabili”, inDir.prat. trib.,n.6/2009,pag.11279ss.;Guidara, “Ragioniepossibili implicazionidell’affermata impugnabilitàdelle comunicazionidiirregolarità”, in GT - Riv. giur. trib., n. 8-9/2012, pag. 657 ss.

6 Coerentemente con l’orientamento volto a dar rilievo al “contenuto sostanziale” del-l’atto, piuttosto che al suo nomen: cfr., per questi orientamenti giurisprudenziali, Vantaggio,“Tassatività degli atti impugnabili”, in Fedele (a cura di), Casi e materiali di diritto tributario,Padova, 1997, pag. 615;Chiarizia, “Gli atti impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie”, inil fisco, n. 26/2009, pag. 4233 ss.

7 In argomento, in generale si veda Cocivera, voce “Ingiunzione”, (dir. trib.), in Enc.Dir.,XXI, 1971, pag. 528 ss.; quanto all’ingiunzione per la riscossione delle entrate tributarie, ed unconfronto rispetto all’istituto generale delle entrate statali, cfr. Berliri, Le leggi di registro,Milano, 1960, pag. 545 ss.

8 Sui quali si rinvia all’ampia trattazionediMondini,La ingiunzione fiscale, Padova, 1970,spec. pag. 23 ss.; Berliri, “Appunti sull’ingiunzione fiscale”, inTemiEmiliana, n. 10/1934, ora inScritti scelti di diritto tributario, Milano, 1990, pag. 13 ss. (da cui si cita); D’Ayala Valva,“Plurimposizione e reiterabilità dell’ingiunzione fiscale”, in Riv. dir. fin., II, 1973, pag. 225ss. e spec. pag. 228 ss.

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giurisprudenza, come atto con una residua funzione di accertamento inspecifici settori, quale quello doganale9. In questo quadro di attuale effi-cacia ladottrinaconsidera l’assenzadell’ingiunzionenel catalogodegli attiimpugnabili imputabile ad un probabile difetto di coordinamento norma-tivo10, rispetto alla riforma della riscossione11, che la Cassazione,mediante la valorizzazione dell’aspetto funzionale dell’atto, dimostradi voler superare condividendo l’orientamento giurisprudenziale12 che,in nome appunto della funzione dell’ingiunzione, ha sempre ritenutol’ingiunzione fiscale quale atto impugnabile nel processo tributario, inquanto assimilabile all’iscrizione a ruolo e comunque riferito ad unrapporto tributario da rimettere come tale alla giurisdizione delleCommissioni.

La soluzione ermeneutica della Cassazione è quindi conforme all’orien-tamento dei giudici di legittimità che, sin dagli anni Ottanta, hanno voluto

9 Sulla attuale natura giuridica dell’ingiunzione si rinvia a Tesauro, Istituzioni di dirittotributario. Parte generale, Torino, 2015, pag. 245. Sulla funzione accertativa dell’ingiunzionefiscale, cfr. Cass., Sez. V, 6 settembre 2006, n. 19194, che equipara l’ingiunzione doganale dicui all’art. 82 dell’abrogato D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, all’ingiunzione fiscale di cui alD.P.R. n. 639/1910; in via ancorpiù esplicita, Cass., Sez. V, 7marzo 2012, n. 3528, secondo cuianche a seguito della riforma della riscossione, l’ingiunzione continua a esplicare legittima-mente la funzione accertativa. Pertanto, è, a livello giurisprudenziale, revocabile in dubbiol’idea che nel campo doganale l’istituto dell’ingiunzione sia scomparso: cfr., sul punto,Cerioni, “Gli atti dell’Agenzia delle dogane e la giurisdizione tributaria”, in Rass. trib., n. 2/2004, pag. 383 ss. e spec. pag. 389.

Peraltro, in passato si discuteva sulla portata effettivamente accertatrice, oltre che esat-tiva, dell’ingiunzione ma il dibattito nasceva da una non netta distinzione tra accertamento eriscossione ed anzi, secondo alcuni proprio questo dibattito è stato alla base della separazionedi queste due fasi: cfr. La Rosa, “Riparto delle competenze e ‘concentrazione’ degli atti nelladisciplinadella riscossione”, inRiv. dir. trib., n. 6/2011, pag. 576 ss. e spec. pag. 578-579, nota 5,ora anche inGlendi - Uckmar (a cura di), La concentrazione della riscossione nell’accertamento,Padova, 2011, pag. 74, nota 5.

10 Sul falso presupposto del legislatore, secondo taluni, che l’intero D.P.R. n. 639/1910fosse stato integralmente abrogato: cfr. Fransoni, “Spunti ricostruttivi in tema di atti impu-gnabili nel processo tributario”, in Riv. dir. trib., n. 11/2012, I, pag. 979 ss. e spec. pag. 992. Siriferisce ad uno “scherzo del destino” Cipolla, “Processo tributario e modelli di riferimento:dall’onere di impugnazione all’impugnazione facoltativa”, in Riv. dir. trib., n. 11/2012, I, pag.957 ss. e spec. pag. 965.

11 A seguito della entrata in vigore del D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, che ha inciso, ex art.68, anche sul sistema di riscossione degli enti locali e, ex art. 130, comma 2, ha abrogato quellenorme che regolano la riscossione coattivamediante rinvio alD.P.R. n. 639/1910. Si noti, però,che,malgrado il riferimento anche alle entrate relative agli enti locali, questa disposizione nonabroga il D.P.R. n. 639/1910, ma solo le norme che vi rinviano, pertanto tale Decreto deveritenersi comunque in vigore e le norme successive (quali il D.Lgs. n. 248/2007) che vi rinviano,devono ritenersi efficaci.

12 Cass., SS.UU., 8 febbraio 2001, n. 49; Cass., SS.UU. 21 gennaio 2005, n. 1240; Cass., SS.UU.ord.25maggio2005,n.10958, inRiv.dir. trib., n. 9/2005,pag.476ss., connotadiRandazzo,“In temadi giurisdizione sulle controversie su ingiunzione fiscale”. In argomento si vedaancheGiordano, “Giurisdizione tributaria e atti impugnabili. La Cassazione ridisegna i confini”, inGiur. it., 2009, pag. 2057 ss.

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innovare le precedenti interpretazioni, riconoscendo la sussistenza dellagiurisdizione delle Commissioni tributarie per tutte le controversie relativeall’ingiunzione fiscale, segnatamente in relazioneallamateriadelle impostedirette13, facendocomunque salva la giurisdizionedel giudice ordinariopertalune fattispecie - riconducibili alla categoria delle imposte indirette - inforza dell’art. 9, c.p.c., che individua la competenza (residuale) delTribunale in materia di imposte e tasse14.

È quindi comprensibile che condividendo tale approccio funzionale laCassazione abbia inteso concentrare la propria attenzione sull’oggetto dellacontroversia andando a scrutinare dunque se il rapporto sottostante fosse, omeno, riconducibile alla giurisdizione delle Commissioni tributarie15. Etrattandosi di una controversia avente ad oggetto la riscossione dell’impostacomunale sugli immobili, la risposta a questo quesito non poteva che essereaffermativa: su questo punto non possono esistere dubbi, poiché, da un lato,l’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 conferma la giurisdizione delleCommissioni tributarie per le controversie relative ai tributi locali, mentre,dall’altro lato, non può contestarsi la natura tributaria dell’ICI16, tanto che ilrelativo contenzioso è esplicitamente regolato, ai sensi dell’art. 15, D.Lgs. 30dicembre 1992, n. 504, dalle norme sul processo tributario, rinviando poi alprevigente D.P.R. n. 636/1972 ma non sembrano sussistere dubbi che quelrinvio debba ad oggi intendersi al D.Lgs. n. 546/1992.

Con tale interpretazione la Corte, peraltro, dimostra di voler superare lastessa ambiguità di quel dato testuale che, combinando l’oggetto dellariscossione delle entrate patrimoniali di cui al R.D. n. 639/1910 e di quelletributarie strictu sensu, di cui al R.D. n. 3269/1923, finiva con l’attribuire alTribunale la giurisdizione per queste ultime, ai sensi dell’art. 9, c.p.c., in

13 In argomento, si rinvia alle considerazioni, ricognitive anche degli orientamenti giuri-sprudenziali, di Consolo, “In tema di giurisdizione a conoscere dei giudizi promossi avversol’ingiunzione fiscale (anche in relazione alla pendenza di procedure concorsuali e soprattuttodell’esecuzione): l’ultima posizione delle Sezioni Unite della S.C. (sent. n. 461/1987) ed altreancora”, in Rass. trib., 1987, I, pag. 463 ss., ed ora in Dal contenzioso al processo tributario,Milano, 1992, pag. 241 ss. e spec. pag. 250 (da cui si cita).

14 Cfr. Cass., SS.UU. 23 novembre 1985, n. 5811, in ordine alla opposizione avversol’ingiunzioneper il pagamento dell’imposta sulle pubblicità; ed ancheCass., Sez. I, 5 novembre1991, n. 11808, per l’ingiunzione fiscale volta al recupero del canone radiotelevisivo.

15 Seguendo dunque la strada tracciata dalla precedente giurisprudenza, la quale, unavolta pervenuta alla conclusione che la giurisdizione spetti alle Commissioni, guardandoall’oggetto, al rapporto controverso, il problema relativo all’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992 èsuperato sostanzialmente di slancio: in questi precisi termini, cfr. Fransoni, Spunti ricostrut-tivi, cit., pag. 992.

16 Che, al di là del non sempre decisivo nomen iuris, presenta i caratteri fisionomici checonsentono di qualificare una data entrata come tributaria, così come scolpiti dalla giurispru-denza costituzionale: doverosità della prestazione, collegamento di tale prestazione alla spesapubblica in riferimentoadunpresupposto economicamente rilevante (cfr., tra le tante,Corte cost.11 febbraio 2005, n. 73, ripresa peraltro pedissequamente da Corte cost. 11 ottobre 2012, n. 223).

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riferimento alle “imposte e tasse”17. Sarebbe stato senz’altro incoerente,dunque, ritenere che, a seguito della novellata disciplina del processotributario, i giudici che par excellence, poiché speciali, giudicano sullecontroversie relative alle imposte e tasse si vedessero sottratta una frazionedi giurisdizione che immotivatamente dovrebbe permanere in capo algiudice ordinario, soprattutto se si considera che l’evoluzione normativain tema di giurisdizione delle Commissioni (art. 2, D.Lgs. n. 546/1992) hacontribuito a marginalizzare il campo di applicazione dell’art. 9, c.p.c.18.

3. La pregiudizialità della questione di giurisdizione rispetto alla questione dicompetenza. Importanza della soluzione nel processo tributario tra diritto didifesa e tutela dell’integrità patrimoniale - Con tale interpretazione consoli-data e convincente il Tribunale non avrebbe dovuto avere dubbi a ricono-scere la giurisdizione delle Commissioni tributarie e non la propria,evitando così che fosse coinvolta la Cassazione nei suoi successivi passaggialle Sezioni Unite, come è invece accaduto.

Al contrario, la conclusionecui ègiunto ilTribunale, cheharitenutononfondata laquestionedi giurisdizione,dando luogo inveceadunastatuizionesulla competenza che poi è sfociata nella proposizione del regolamento, hafatto sorgere in quella sede altre due questioni. Queste, in effetti, attengonoal problema della giurisdizione in generale, problema che però è benestensibile all’ambito del processo tributario, per la primaria ragionedella sussistenza del rinvio alle norme del Codice di procedura civile con-templato nell’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, oltre che per gli effettiindesiderati sull’effettività ed economicità della tutela che saranno esami-nati in seguito.

La prima questione concerne il rapporto sistematico tra le questioni digiurisdizione e quelle di competenza, soprattutto quando si è trattato dicircoscrivere i limiti nazionali della giurisdizione del giudice e, quindi,soltanto relativamente ad un settore (i cc.dd. “limiti esterni”) del temagenerale della giurisdizione19.Ma è evidente comequesto problema involgaanche e soprattutto i confini “interni” della giurisdizione e, cioè, i rapportitra giudice ordinario e giudice specializzato.

La soluzione adottata dal Supremo Collegio in questa sentenza è disegno contrario rispetto a quella prospettata nell’ordinanza di rimessionee, inuncertosenso, èmaggiormentecondivisibile,per ragionidi sistemaedieffettività ed economicità della tutela giurisdizionale. Secondo le Sezioni

17 Cocivera, Ingiunzione, cit., pag. 549.18 Sulla portata generale della giurisdizione delle Commissioni, cfr. Corte cost. 5 febbraio

2010, n. 37.19 Si veda, anche per un quadro ricognitivo delle diverse opinioni dottrinarie, Origoni

Della Croce, “Precedenza della questione di giurisdizione rispetto a quella di competenza odella seconda rispetto alla prima? (Riflessioni di diritto processuale civile internazionale)”, inRiv. dir. civ., 1978, II, pag. 697 ss.

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Unite, pertanto, si ritiene sussistere una pregiudizialità della questione digiurisdizione rispetto a quella di competenza, sicché il giudice, prima dipronunziare sulla questione di competenza, dovrà verificare la sussistenzadella propria giurisdizione, essendo senz’altro inadeguato fondarsi unica-mente sull’assunto secondo cui “ogni giudice è giudice della propria com-petenza”. Ciò a fronte, in particolare, del tessuto normativo che laCostituzione dedica alle garanzie processuali ed all’ordinamento giudizia-rio cui la Cassazione è strettamente ancorata; segnatamente per quantoriguarda la precostituzione per legge del giudice naturale ex art. 25, comma1, Cost. Una disposizione di tal tipo, infatti, intanto può espletare i proprieffetti garantistici in quanto il giudice che pronunzia sul caso di speciedisponga della propria giurisdizione, poiché, diversamente, non potrebbeparlarsi di giudice “naturale”, precostituito per legge. Ciò che viene, peral-tro, confermato anche dalle norme che la Costituzione dedica all’ordina-mento giudiziario e, principalmente, alla distinzione tra le diversemagistrature che, prima d’ogni altra questione, fa emergere il carattereprimario dell’esame della (sussistenza della) giurisdizione. Probabilmentel’assunto della Sezione rimettente secondo cui l’esame della questionedebba precedere quello sulla giurisdizione deriva da un risalente orienta-mento dottrinario, che era orientato ad ascrivere i rapporti tra giudiceordinarioegiudicespecialeaquestionidicompetenzaenondigiurisdizione.Ciò sulla convinzione che il concetto di giurisdizione dovesse attenere allafunzione giurisdizionale nel suo complesso e, quindi, il difetto di giurisdizionesi sarebbe dovuto ravvisare nella esclusione di una determinata lite dallaspettanzadi tutti gli organi giurisdizionali delloStato20. Il Codicedi proceduracivile del 1942 prima e la Costituzione poi hanno superato questo orienta-mento, ascrivendo tali rapporti a questioni di giurisdizione in senso stretto21,ed è a tale impostazione che si rifanno le Sezioni Unite nello sciogliere il nododella questione. Ed infatti, con l’affermata pregiudizialità della questione digiurisdizione, la Cassazione dimostra di voler ricondurre i rapporti tra giudiceordinario e giudice specializzato a questioni di giurisdizione, limitando, peral-tro, l’incidenza della questione processuale tutto a favore del merito. Ciò chespiega se non altro la rilevanza della terza questione (seguendo l’ordine dellasentenza), quale recupero a sistema del problema della giurisdizione sullecontroversiedell’ingiunzione fiscale, evitandocheundifettodicoordinamentonormativoavessel’effettodi limitare, ingiustificatamente, lagiurisdizionedelleCommissioni. Con tale fondamento costituzionale possono peraltro essere

20 In questi precisi termini si esprimeva Allorio, Diritto processuale tributario, Milano,1942, pagg. 375-376. Ed in effetti, l’art. 35, c.p.c. del 1865 si prestava ad interpretazioniambigue, facendo riferimento alla “competenza” dell’Autorità Giudiziaria.

21 Accogliendo, quindi, le istanze di altra illustre dottrina: cfr. Chiovenda,Diritto proces-suale civile, Napoli, 1923, pagg. 368-369. Basti riflettere sull’art. 1, c.p.c., che fa riferimento allagiurisdizione del giudice ordinario rispetto alle altre giurisdizioni disciplinate dalle “specialidisposizioni di legge”.

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revocate in dubbio le recenti istanze dottrinarie che vorrebbero rimodulare laportata della questione di giurisdizione da questione di rito su unpresuppostoprocessualeaquestionedimeritosulladecidibilitàdelladomandagiudiziale22,con il potenziale (ma inevitabile) effetto di rendere, a fortiori, pregiudiziale, inrito, l’esame della sussistenza della (sola) competenza. Al contrario, l’art. 25,comma 1, Cost. impone un primario scrutinio sulla sussistenza della giurisdi-zionedel giudice adito al fine di verificare la “naturalità”di questo giudice, chedovrà statuire sulla controversia dianzi a lui incardinatasi, sicché la questionedi giurisdizione è, e resta, un presupposto (di rito) del processo il cui esame,secondo le Sezioni Unite in commento, non può che precedere qualsiasi altraquestione di rito.

Qualche discordanza avrebbe potuto, semmai, porsi in applicazione delcriterio “della ragione più liquida”, che ha l’effetto di rovesciare l’ordinelogicodellequestioniqualoraunaquestionedigradosuccessivosia idoneaarisolvere l’intera controversia23. Nella sentenza in commento non si inter-viene direttamente su questo punto ma il principio di diritto ivi enunciatosembra essere comunque utile, quando riconosce che la pregiudizialitàdella questionedi giurisdizione rispettoaquelladi competenzapossa trovarderoga soltanto in presenza di interessi di rilievo costituzionale, tra i qualinon sembra rientrare il criterio della ragione più liquida.

Corollario della conclusione cui si giungenella sentenza è, pertanto, cheanche il giudice tributario, in una controversia dianzi a sé prospettata, saràcomunque tenuto a verificare il rispetto dei limiti tracciati dalle normeregolatrici la propria giurisdizione, prima di statuire sulle altre questionidi rito e, segnatamente, sulla competenza. Corollario, questo, che, comeanticipato, non è esente da conseguenze rilevanti, soprattutto in relazioneall’effettività e all’economicità del diritto di difesa del contribuente inconseguenza di una certa mobilità dei (si parlerebbe quasi di incertezzasui) confini della giurisdizione tributaria, dovuta dalla formulazione deci-samente ampia del nuovo art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 che, a seguitodella riforma del 2001, ha generalizzato la giurisdizione delle Commissionitributarie24.

22 Per un riferimento al dibattito, cfr. Recchioni, Diritto processuale cautelare, Torino,2015,pag.241,nota1.Ciòcheconseguirebbealla introduzionedellac.d. translatio iudicii exart.59, Legge n. 69/2009, che avrebbe comportato un mutamento del ruolo della questione digiurisdizione, dapresuppostoprocessuale a condizionedi decidibilità delmerito: cfr.Barbieri,“Translatio iudicii e caducazione dei provvedimenti cautelari nel nuovo codice del processoamministrativo”, in Riv. dir. proc., n. 6/2011, pag. 1457 ss.

23 Ciòchevalenonsoloper i rapporti traquestionidi ritoedimerito,maanchenell’ambitodelle stessequestioni di rito: cfr.Biavati, “Appunti sulla strutturadelladecisione e l’ordinedellequestioni”, in Riv. trim. dir. proc. civ., n. 4/2009, pag. 1301 ss.

24 Comenoto, ladisciplinadella giurisdizionedel giudice tributario èandata incontroallapiù volte richiamata novella dell’art. 12, Legge 28 dicembre 2001, n. 448, a seguito della quale èstata estesaalle controversie relativea “tutti i tributi di ogni genere e specie”.Disposizionepoco

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Se infatti si ritenesse che il giudice incompetente non potesse statuiresulla sussistenza della propria giurisdizione, il giudice tributario, a frontedella impugnazione di un atto, dalmomento che si ritenesse incompetente,non potrebbe verificare i presupposti della propria giurisdizione. Quindi, aseguito della declinatoria della propria competenza, il giudizio verrebbetraslato dinanzi al giudice tributario competente territorialmente.Quest’ultimo, a sua volta, anche a causa della mobilità dei confini dellagiurisdizione tributaria, potrebbe riconoscersi sì competente, ma nonmunito di giurisdizione, procedendo pertanto ad una ulteriore pronunciadi ritochecostringerà laparte (piùdiligente)ariassumere ilgiudiziodinanzial giudice munito di giurisdizione. Malgrado i ben noti tentativi del legi-slatore di ridurre al minimo gli effetti dannosi che potrebbero essere pro-dotti dalla traslazione della domandadauna giurisdizione all’altra, la sceltainnovativa di traslare la translatio iudicii anche nel caso di carenza digiurisdizione di cui all’art. 59, Legge n. 69/2009, finisce con il tutelare soloinparte colui che impugna l’atto. Il relativo ricorso, infatti, nonnecomportaautomatica sospensione. Anzi, dal combinato disposto degli artt. 15, D.P.R.29 settembre 1973, n. 60225 e 68, D.Lgs. n. 546/1992, l’atto continuerà,quantomeno in parte, a produrre i propri effetti nella sfera patrimonialedel contribuente, sicché la successione di una doppia pronunzia di rito (diincompetenza prima; di difetto di giurisdizione, poi) rischierebbe di recareunpregiudizio economicoal contribuente, anche con effetti sull’effettività esull’economicità della difesa costituzionalmente garantito ex art. 24,comma 1, Cost. Per questo si apprezza il capovolgimento dell’esame del-l’ordine delle questioni così come impostato dalle Sezioni Unite, perchéconsente di evitare, quantomeno nel quadro dell’esame delle questioni dirito, il rischio di una eccessiva dilatazione dei termini di risoluzione dellacontroversia.

chiara, a fronte soprattutto del previgente elenco di tributi soggetti a questa giurisdizione,che ha dato luogo a dubbi ermeneutici sulla sua effettiva portata: in argomento si vedaRusso, “I nuovi confini della giurisdizione delle commissioni tributarie”, in Rass. trib., n. 2/2002, pag. 415 ss.; Cantillo, “Aspetti problematici dell’istituzione della giurisdizione generaletributaria”, in Rass. trib., n. 3/2002, pag. 803 ss.; Turchi, “Considerazioni in merito all’uni-ficazione della giurisdizione in materia tributaria”, in Riv. dir. trib., n. 5/2002, pag. 505 ss.;Cipolla, “Le nuove materie attribuite alla giurisdizione tributaria”, in Rass. trib., n. 2/2003,pag. 463 ss. Sulla successiva evoluzione normativa si veda Lovisolo, “Considerazioni sul-l’ampliamento della Giurisdizione delle Commissioni Tributarie”, in Dir. prat. trib., n. 5/2006, pag. 1057 ss. Quanto all’orientamento della Consulta, cfr. Pellegrini, “La Corte costi-tuzionale e la giurisdizione delle Commissioni Tributarie”, in Riv. dir. trib., n. 12/2008, pag.636 ss.

25 Richiamato peraltro nella disposizione disciplinante la c.d. concentrazione dellariscossione nell’accertamento per le imposte reddituali, l’imposta regionale sulle attivitàproduttive e l’imposta sul valore aggiunto: cfr. art. 29, comma 1, lett. a), D.L. 31 maggio2010, n. 78.

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4. La rilevabilità ex officio del difetto di giurisdizione in sede di esame delregolamento di competenza e il problema della legittimità (attualità?) deldivieto di proposizione del regolamento di competenza nel processotributario - Passando all’esame della questione attinente la rilevabilità offi-ciosa del difetto di giurisdizione in sede di esame del regolamento dicompetenza proposto dinanzi alle Sezioni semplici della Cassazione, èopportuno premettere come anche questa problematica assuma rilievonel processo tributario malgrado (ed, anzi, si direbbe a maggior ragioneper) il divieto di proponibilità del regolamento di competenza ai sensidell’art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 546/1992. Due sono le ragioni che militanoper l’importanza di questa questione nel giudizio tributario.

In primo luogo, potrebbe comunque esser proposto regolamento dicompetenza dinanzi al provvedimento con cui il giudice ordinariostatuisce sulla propria competenza ed in questa sede la Cassazioneben potrebbe riscontrare d’ufficio il difetto di giurisdizione di questogiudice, in favore delle Commissioni tributarie. In secondo luogo, ed inun’ottica parzialmente de jure condendo, l’ammissibilità del rilievo offi-cioso in sede di regolamento di competenza sarebbe idonea a dar nuovalinfa alle critiche sollevate contro il divieto di proponibilità di questoregolamento nel processo tributario26. Peraltro, è il caso di osservarecome la Cassazione, pur in presenza di questo divieto, ammetta comun-que il regolamento di competenza, nel giudizio tributario, proposto perimpugnare il provvedimento che dispone la sospensione del processo, aisensi dell’art. 43, comma 3, c.p.c.27. Proprio in sede di impugnazionedel provvedimento di sospensione, in effetti, si è ritenuta sussistente lapossibilità, in capo alla Cassazione, di rilevare d’ufficio il difetto digiurisdizione28, sicché, a fortiori, deve ritenersi che il divieto di unapossibilità generalizzata di proporre regolamento di competenzapotrebbe comportare un serio ostacolo ad un ulteriore, e senz’altro

26 Critiche sia relative al fatto che tale divieto, contenuto nel D.Lgs. n. 546/1992, non troviriscontro nella Legge delega (art. 30, Legge 30 dicembre 1991, n. 413), sicché potrebbe parlarsidi incostituzionalitàpereccessodidelega (cfr.FinocchiaroA. -FinocchiaroM.,Commentarioalnuovo contenzioso tributario,Milano, 1996, pag. 83)ma anche relative alla inopportunità dellaesclusione della possibilità di proporre, da parte del giudice, quantomeno il regolamento dicompetenzad’ufficio (cfr.Malagù, “Spunti critici sullanuovadisciplinadel processo tributariodi cui alD.Lgs. 31dicembre 1992, n. 546, comemodificato dalla Legge 24ottobre 1996, n. 556”,in Boll. trib., n. 14/1997, pag. 1069 ss.).

27 Si veda Cass., Sez. V, ord. 26 maggio 2005, n. 11140, che riconnette la possibilità diimpugnare il provvedimento che sanziona la sospensione con il regolamento direttamenteall’art. 24, Cost., sicché una interpretazione del divieto di proposizione del regolamento cheescluda questa impugnazione esporrebbe l’art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 546/1992 a censure diincostituzionalità. In senso sostanzialmente conforme, cfr. Cass., Sez. V, ord. 2 aprile 2007, n.8129; Id., Sez. VI-5, ord. 25 luglio 2013, n. 18100; Id., Sez. VI-5, ord. 25 luglio 2013, n. 18104.

28 Cfr., p. es., Cass., SS.UU. 7 gennaio 2008, n. 35.

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rilevante, controllo sulla (sussistenza della) giurisdizione del giudicetributario29.

Tanto premesso, deve precisarsi che la possibilità di rilevare d’ufficio ildifettodigiurisdizione, insedediesamedel regolamentoe, comunque, inungrado successivo al primo, potrebbe essere ostacolata dal giudicato forma-tosi sulla statuizione sulla giurisdizione compiuta dal primo giudice, giu-dicato che sine dubio è idoneo ad escludere una nuova statuizione sullagiurisdizione nella ipotesi in cui in primo grado vi sia stata una espressadecisione su questa materia30 ma che, secondo la Cassazione, sarebbeidoneoaformarsianchesulla statuizionemeramente implicita,nella ipotesiin cui il giudice decida immediatamente ilmerito o, comunque, statuisca sualtre questioni, diverse dalla giurisdizione, avendo in ogni caso “già decisodi poter decidere”31. Ciò, malgrado il chiaro disposto, da un lato, dell’art.37, c.p.c. e dall’altro dell’art. 3, D.Lgs. n. 546/1992, che sanciscono il rilievo“in ogni stato e grado” del difetto di giurisdizione32. Pur non prendendo ledistanze da questo orientamento, le Sezioni Unite ritengono ammissibilela rilevabilità officiosa del difetto di giurisdizione in questa particolaresede, con una soluzione afferente alla teoria generale del processo ma chepuò ben applicarsi anche nella ipotesi di giurisdizione tributaria.

In effetti, anche nell’ordinanza di rimessione si è ritenuta ammissibile larilevabilità d’ufficio, sulla base della (ritenuta) pregiudizialità della questionedi competenza rispetto alla questione di giurisdizione. Infatti, in tal caso, ilgiudice incompetente che statuisca sulla giurisdizione non lo fa

29 Parte della dottrina ritiene invece condivisibile la sussistenza di questo divieto, poichéavrebbe l’effetto di ridimensionare la proponibilità delle questioni di competenza (“evitandoinutili remore quoad competentiam”) e consentendounapronunzia in termini piùbrevi nel ritoo nelmerito: cfr. Glendi, “Prime sentenze sulla nuova disciplinadella competenzanel processotributario”, in GT - Riv. giur. trib., n. 5/2001, pag. 397 ss.

30 Ciò in quanto, come si osservava in passato e come ad oggi è del tutto pacifico, ilprincipio della rilevabilità officiosa va comunque coordinato con il sistema delle impugna-zioni: cfr. Satta - Punzi, Diritto processuale civile, Padova, 1996, pag. 32, nota 30.

31 Si veda principalmente Cass., SS.UU. 9 ottobre 2008, n. 24883, con nota di Ricci, “LeSezioni Unite cancellano l’art. 37 c.p.c. nelle fasi di gravame”, in Riv. dir. proc., n. 4/2009, pag.1085ss.;mal’orientamentoèormaiconsolidatoedèstatodi recenterecuperatodaCass.,Sez.V,8 luglio 2015, n. 14243.

32 La dicotomia tra il disposto dell’art. 37 c.p.c. e l’orientamento giurisprudenziale è stataampiamente esaminata dalla dottrina. Si vedano, tra gli altri, Consolo, “Travagli ‘costituzio-nalmenteorientati’delleSezioniUnite sull’art. 37c.p.c., ordinedellequestioni, giudicatodi ritoimplicito, ricorso incidentale condizionato (su questioni di rito o, diversamente operante, suquestionidimerito)”, inRiv.dir.proc., 2009,pag.1141ss.;Monteleone, “Difettodigiurisdizionee prosecuzione del processo: una confusa pagina di anomalie processuali”, in Riv. dir. proc.,2010, pag. 271 ss.; Carpi, “Osservazioni sulle sentenze ‘additive’ delle Sezioni Unite dellaCassazione”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, pag. 587 ss.; Pacilli, “Note in tema di giudicatoimplicito sulla giurisdizione alla luce della recente giurisprudenza di legittimità”, in Riv. dir.proc., 2010, pag. 595 ss. In una prospettiva più ampia, Ragni, “Il giudicato implicito ed ilprincipio della ragione più liquida: i confinimobili del giudicato nella giurisprudenza”, inRiv.trim. dir. proc. civ., n. 2/2015, pag. 647 ss.

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legittimamente e, pertanto, tale statuizione dovrà ritenersi tamquam nonesset, con la conseguenza che nessun giudicato potrà formarsi su codestadecisione e, pertanto, ben potrà considerarsi rilevabile d’ufficio il difettodi giurisdizione. Il rischio invece di un esito completamente diverso secome in questo caso si ritenga sussistente la pregiudizialità della que-stione di giurisdizione rispetto a quella di competenza, poiché la statui-zione (anche implicita) sulla sussistenza della giurisdizione è da ritenersivalidamente compita e, dunque, idonea al giudicato. Per evitare questorischio le Sezioni Unite ritengono erronea la qualificazione del regola-mento di competenza, proposto dal Comune, come “necessario” (ex art.42, c.p.c.), qualificandolo, al contrario, come “facoltativo” (ex art. 43, c.p.c.), poiché ha avuto ad oggetto un provvedimento con il quale non si erastatuito sulla sola competenza, ma anche sul merito, intendendo per“merito” proprio la pronuncia sulla giurisdizione33. Trattandosi di rego-lamento facoltativo, dovrà, pertanto, trovare applicazione il comma 3dell’art. 43, c.p.c., giusta il quale i termini per proporre appello restanosospesi sino alla comunicazione dell’ordinanza che statuisce sul regola-mento, se questo è stato proposto per primo. In forza di tale efficaciasospensiva, che consegue alla proposizione del regolamento, non puòconsiderarsi passata in giudicato la statuizione sulla giurisdizione e,dunque, la relativa questione, quantomeno in sede di regolamento facol-tativo di competenza, dovrà ritenersi rilevabile d’ufficio.

Così però le Sezioni Unite divergono consapevolmente rispetto alle prece-denti decisioni della Suprema Corte34, secondo cui tale rilievo officioso nonsarebbe da ritenersi ammissibile. Una tale conclusione non è infatti condivisadalle Sezioni Unite, soprattutto per evitare la scissione tra l’esame dellaquestione di giurisdizione e di quella di competenza, che aumenterebbe ilrischio che la sentenza sulla prima questione, se di segno negativo e, dunque,declinatoria della giurisdizione del giudice originariamente adito, possa tra-volgere anche la decisione sulla competenza, emessa in sede di regolamento,con conseguente dispendio di tempo e risorse delle parti, del tutto incompa-tibile, anche in questo caso, con l’effettività e l’economicità del diritto di difesa.

5. Considerazioni di sintesi - La sentenza in commento può dunque costi-tuire la quadratura del cerchio sul problema della giurisdizione delle

33 In linea, peraltro, con l’autorevole tesi volta ad interpretare il riferimento al lemma“merito” di cui all’art. 43, c.p.c., nel suo significato più lato, ricomprendendovi anche tuttequelle statuizioni sul rito e che non concernono la competenza: cfr. Calamandrei,“Sopravvivenza della querela di nullità nel processo civile”, in Riv. dir. proc., 1951, pag. 124ss.; più in generale sul tema, cfr. Bongiorno, Il regolamento di competenza, Milano, 1970, pag.174 ss.

34 Ove si è ritenuto di dover contemperare la rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado deldifetto di giurisdizione con la disciplina delle impugnazioni: cfr. Cass., SS.UU. 23 giugno 1995,n. 7086; Cass., Sez. III, 12 novembre 1999, n. 12566.

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Commissioni tributarie che, come si è anticipato nel corso del presentelavoro, è tutt’altrodall’essersi risolto. Tuttora, infatti, sonopresenti notevoliincertezze sul campo di applicazione dell’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992. In particolare, a seguito della riforma del 2001, che ha esteso allecontroversie relative a tutti i tributi di ogni genere e specie, comunquedenominati, la giurisdizione delle Commissioni, si è posto il serio problemadi coordinare una sì ampia formulazione normativa con il disposto dell’art.19, D.Lgs. n. 546/1992. La dottrina, infatti, ha ritenuto, all’indomani dellacitata novella, come una elencazione tassativa degli atti impugnabile benpotesse coordinarsi con una elencazione dei tributi soggetti alla giurisdi-zionedelleCommissioni; dalmomento in cui tale ultimaelencazione è statasostituita da una clausola generale, ecco che il catalogo degli atti impugna-bili rischia di divenire eccessivamente restrittivo, dal momento che talunidei tributi soggetti alla ampliata giurisdizione del giudice tributario pre-sentano profili di eterogeneità, principalmente con riguardo alla denomi-nazione ed alla funzione degli atti del procedimento35.

Con la decisione in epigrafe, dunque, si è in un certo senso istitu-zionalizzato l’orientamento in base al quale non è il nomen juris del-l’atto, ma la sua funzione, a costituire parametro di interpretazionedell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, così un determinato atto, che producaeffetti assimilabili a quelli della riscossione, piuttosto che a quellidell’accertamento, dovrebbe ritenersi comunque impugnabile dinanzialle Commissioni. Ciò a patto che il rapporto sottostante sia di matricefiscale ed abbia, pertanto, oggetto del tributo.

L’importanza di questa sentenza, se non altro, è pertanto quelladell’aver confermato lo spostamento dell’ottica da cui partire, per diri-mere una questione di giurisdizione, dall’atto all’oggetto del giudizio,ma salvando comunque la matrice impugnatoria del processo tributa-rio, poiché, una volta proceduto alla assimilazione ad un atto tipizzatodall’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992 al fine di ritenere l’atto non tipizzatoespressamente come impugnabile, il giudizio sarà comunque orientatoalla legittimità di quell’atto36 37.

35 Cantillo,Aspetti problematici, cit., spec. pag. 809. Ed in effetti, solo una interpretazioneestensivadell’art. 19hapotuto evitareundiniegodi tutela verso tutti quegli atti relativi a tributioriginariamente sottratti alla cognizione delle Commissioni poichénon ricompresi nell’elencodell’originario art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992: per questi rilievi, cfr. Carinci,“Dall’interpretazione estensiva dell’elenco degli atti impugnabili al suo abbandono: le glisse-ment progressifdella Cassazione verso l’accertamento negativo nel processo tributario”, inRiv.dir. trib., n. 10/2010, pag. 615 ss. e spec. pagg. 616-617.

36 Nonèscontataquestaconsiderazione, solchesipensicheanchein tempirecenti la realeestensionedell’oggettodelprocesso tributario, inconnessionecon lequestionidigiurisdizione,è ancora oggetto di incertezze. A titolo di esempio, si consideri la fattispecie della giurisdizioneper le controversie tra sostituto e sostituito in materia di rivalsa successiva: questione assaidiscussa, che sfociò nel paradosso della emanazione di due decisioni della Cassazione,

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E le conclusioni cui le Sezioni Unite sono giunte appaiono tanto piùcondivisibili se si pensa che in quella sede si è deciso di prescindere dalcombinato disposto di due norme (art. 3, D.P.R. n. 639/1910 ed art. 32,D.Lgs. n. 150/2011) che, invece, espressamente sembravano ricondurreal giudice ordinario la giurisdizione per l’impugnazione dell’ingiun-zione. Si è invece preferito dar la precedenza alla coerenza del sistema,recuperando nell’alveo della giurisdizione delle Commissioni questecontroversie quante volte attengano ad un tributo e malgrado l’assenzadi indicazioni di tal tipo nel campo del diritto positivo; sarà stata ancheuna conclusione obbligata, de plano, si direbbe, ma rimane pur sempreuna conclusione assolutamente coerente con il sistema.

Tanto più se si pensa che questa soluzione va coordinata con l’affermatanatura pregiudiziale della questione di giurisdizione rispetto alla questionedi competenza e, di conseguenza, con gli effetti affatto positivi che unasimile pregiudizialità può riverberare sulla durata del giudizio e, dunque,sulla integrità del diritto di difesa del contribuente, parte nel giudiziotributario. La valorizzazione dell’oggetto della lite, da un lato, e, dall’altrolato, l’obbligo per il giudice di indagare sulla propria giurisdizione purquando egli si ritenga incompetente, costituisce senz’altro un ulterioretassello per la tutela della integrità patrimoniale della parte privata, inparticolare se si considera che è incerto se dal vulnus conseguente allaeccessiva durata del processo possa corrispondere una adeguata tutela, inparticolare a livello internazionale, in applicazione della ConvenzioneEuropea dei Diritti dell’Uomo38.

depositate lo stesso giorno ma di segno opposto, poiché l’una (Cass., SS.UU. 26 giugno 2009,n. 15047) riconosceva la sussistenza della giurisdizione del giudice tributario mentre l’altra(Cass., SS.UU. 26 giugno 2009, n. 15031) quella del giudice ordinario, ma questa divarica-zione così plateale avrebbe dovuto andar rimediata alla luce del fatto che il giudiziotributario è, e resta, un giudizio relativo alla impugnazione di un atto dell’amministrazionee non può essere esteso sino a ricomprendere le controversie “tra privati”. Cfr., in argomento,Brighenti, “Le controversie tra sostituto e sostituito: al giudice tributario; anzi no, al giudiceordinario”, in Boll. trib., n. 18/2009, pag. 1384 ss.; Tabet, “Svolta storica in tema di giuri-sdizione tra sostituto e sostituito?”, in GT - Riv. giur. trib., n. 12/2009, pag. 1046 ss. Per unasuccessiva evoluzione del dibattito, cfr. Pini, “La giurisdizione sulla c.d. rivalsa successiva esu altre liti tra sostituto e sostituito”, in Rass. trib., n. 6/2013, pag. 1330 ss.

37 In coerenza con l’intentodel legislatore che, nel configurare il processo tributario comeprocesso a carattere impugnatorio, ancorando l’interesse del contribuente ad agire in giudizioall’emanazione di un atto con il quale l’amministrazione esprime formalmente il proprio vantocreditorio oppure prenda comunque posizione inmerito ad esso: per questi rilievi, cfr. Russo,“L’accertamento tributarionelpensierodiEnzoCapaccioli:profili sostanziali eprocessuali”, inRiv. dir. trib., n. 6/2010, pag. 661 ss.

38 Sul punto, cfr. De Mita, “La ‘durata ragionevole’ del processo tributario tra normeinterneeconvenzionali”, inCorr.Trib., n.16/2002,pag.1442ss.;Marcheselli, “Ilgiustoprocessotributario in Italia. Il tramontodell’ ‘interesse fiscale’?”, inDir.prat. trib., n. 5/2001,pag.793ss. espec. pagg. 800-801.

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Ma il punto nodale è anche un altro, e si riconduce alla terza questione,quella cioè relativa alla rilevabilità d’ufficio del difetto di giurisdizione insede di esame del regolamento di competenza. Riconnettendo anche qui ildiscorso allamobilità dei confini della giurisdizione tributaria, può notarsicome questa rilevabilità officiosa, in capo al giudice di legittimità, costitui-sce, né più, né meno, che un’ulteriore scansione del controllo sulla giuri-sdizione e, quindi, senz’altro va apprezzata nella sua giusta luce, poichécostituisce uno strumento per evitare che il giudicato cali sulla statuizioneimplicita sulla giurisdizione compiuta dal giudice ordinario, anche quandoessa spetterebbe ad altro giudice, segnatamente quello tributario.

Peraltro, come si è affermato, il riconoscimento della rilevabilità offi-ciosa del difetto di giurisdizione costituisce (o quantomeno è idonea acostituire) la base per un ulteriore profilo di criticità del divieto diproponibilità del regolamento di competenza nel processo tributario,criticità che viene senz’altro amplificata dalla considerazione che lapossibilità in capo alla Cassazione di scrutinare, ed eventualmente rilevared’ufficio ildifettodigiurisdizione,è senz’altrounostrumentomoltopiùutiledel c.d. regolamento di giurisdizione che, pur ammissibile nel processotributario (ex art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992), è stato ridotto, in questocome inqualunquealtro giudizio, proprioperchéad istanzadiparte, adunostrumento meramente dilatorio della lite, con conseguente scarsa utilitàpratica39.

In conclusione, le trequestioni vannoesaminate congiuntamente e tuttee tre attengono, o comunque possono attenere, ai problemi di determina-zione, controllo e sindacato dei limiti della giurisdizione delle Commissionitributarie. Ed in una prospettiva quale è quella attuale, caratterizzata piùche mai da una forte incertezza su questi limiti, la soluzione adottata dalleSezioni Unite si pone senz’altro tra quelle maggiormente condivisibili.

PAOLO DE QUATTRODottorando di ricercaUniversità di Bologna

39 Parte della dottrina ha infatti acutamente registrato, in passato, le criticità dell’istitutoed i rischi che il regolamento di giurisdizione si prestasse a manovre dilatorie: per tutti, cfr.Cipriani, Il regolamento di giurisdizione, Napoli, 1981, pag. 187 ss., che può esser definito comeunodeiprincipaliAutori chehamosso labattagliaper la soppressionedel regolamento (si veda,peruna ricognizionegiurisprudenziale edottrinale sul punto, semprediCipriani, “Nuovi limitiall’ammissibilità del regolamento di giurisdizione”, in Giust. civ., n. 6/1996, pag. 1581 ss.).Manovredilatorie,peraltro, stigmatizzateanche ingiurisprudenza, ancorché inunafattispecieattinentenonal giudizioordinariomaal rito (ordinario) laburistico: cfr.Cass.,SS.UU.23aprile1980, n. 2647.

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TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI

2 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Unite, sentenza n. 1915 del 2 febbraio2016, Pres. Rovelli - Est. Cappabianca

TRIBUTIERARIALIINDIRETTI(RIFORMATRIBUTARIADEL1972) -Imposta sul valore aggiunto (IVA) - Obblighi dei contribuenti -Dichiarazioni - In genere - Regime della liquidazione dell’IVA digruppo ex art. 73, D.P.R. n. 633/1972 “ratione temporis” vigente -Società di persone in qualità di società controllante - Applicabilità

Il più favorevole regime di liquidazione dell’“IVA di gruppo” di cui all’art. 73,comma 3, D.P.R. n. 633/1972, nel testo “ratione temporis” vigente, in base alquale l’IVA a credito di una società può essere compensata con gli importidovuti a debito, per la medesima imposta, da altra società appartenente allostesso gruppo, si applica anche se la società controllante sia una società dipersone, senza che rilevi, in senso contrario, quanto indicato dal D.M.n. 11065/1979 del Ministero delle Finanze, gerarchicamente subordinatoalla legge, né, tantomeno, la successiva circolare dello stesso Ministeron. 16/360711, dovendosi ritenere una diversa interpretazione lesiva del prin-cipio di parità di trattamento rispetto a soggetti che operano nel medesimomercato.Omissis*

L’interpretazione del limite soggettivo nell’IVA di gruppo: considera-zioni a margine di Cass. SS.UU. n. 1915/2016

SOMMARIO: 1. La fattispecie e la decisione della Suprema Corte - 2. Confronto tranormativacomunitariaed internasulla soggettivitàpassivadell’IVAdigruppo -3.Laproblematica relativa alla veste giuridica della società controllante - 4. La funzionedel controllo nell’IVA di gruppo - 5. Considerazioni conclusive.

1. La fattispecie e la decisione della Suprema Corte - La sentenza in oggettoesamina, in modo puntuale, i rilevanti dubbi interpretativi ed applicatividell’IVA di gruppo. L’esigenza di recepire in Italia l’IVA di gruppo1, come

*Il testo della sentenza è consultabile in banca dati “fisconline”.1Si veda art. 13 della Legge n. 23 dell’11 marzo 2014, il quale prevede “l’attuazione del

regimedel gruppoai fini dell’applicazionedell’imposta sul valore aggiunto, previstodall’art. 11della Direttiva 2006/112/CE”. Sull’argomento si vedano A. Amatucci, “Brevi note in tema diadattamento dell’ordinamento giuridico italiano alla VI Direttiva CEE in materia di IVA”, inDir. prat. trib., 1980,pag. 652;Comelli, IVAcomunitaria e IVAnazionale, Padova,2000,pag.280;Giorgi, I limiti della normativa nazionale sull’IVA di gruppo sono compatibili con i principicomunitari, in Corr. Trib., 2008, pag. 2280; CGE, sent. 17 settembre 2014, causa C-7/13.

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previsto dalla Direttiva 2006/112/ CE, all’art. 11, comma 1, è sempre piùattuale, soprattutto in considerazione del fatto che le imprese operanofrequentemente in ambito europeo ed internazionale.

Il quid iuris sorge intorno all’applicabilità dell’IVA di gruppo nel caso incui la societàcontrollantesiaunasocietàdipersone, involgendonumeroseedevidenti problematiche sulla soggettività del gruppo, sulla discrasia tracontrollo di cui all’art. 2359 c.c. ed il controllo nell’IVA di gruppo, nonchésul rapporto tra normativa interna e comunitaria. La mancata applicazionedell’IVAdi gruppo, nell’ipotesi in cui la controllata sia una società di persone,non potrebbe che generare possibili violazioni, come vedremo in seguito, delprincipio di uguaglianza, neutralità, proporzionalità e ragionevolezza.

Nel caso di specie ad una srl, a seguito del controllo della dichiarazione,era stata notificata una cartella di pagamento, relativa all’omesso versa-mento IVA, in quanto la suddetta srl risultava controllata per il 98% da unasocietà di persone (snc). L’impugnazione era eccepita sul presupposto chesia il D.M. 13 dicembre 1979, n. 11065 che la C.M. 28 agosto 1986, n. 16/360711, escludono l’applicabilità dell’IVAdi gruppo, quando la controllanteassume la veste di società di persone.

La Commissione adita, nel primo grado di giudizio, respinge il ricorso;in appello la Commissione tributaria regionale chiarisce che la nozione diIVA di gruppo assume un connotato diverso da quello disposto dal Codicecivile di cui all’art. 2359 c.c. e, pertanto, non sussistono delle limitazioniall’applicabilità dell’IVA di gruppo quando la controllante è una società dipersone.

Successivamente, avverso tale decisione, l’Agenzia delle entrate ha pro-posto ricorso alla Corte di cassazione, la quale, con l’ordinanza 11451/2014in relazione alla particolare importanza della questione ed in assenza diprecedenti nella giurisprudenza di legittimità, ha rimesso il ricorso all’e-same delle Sezioni Unite.

L’aspetto centrale intorno al quale ruota la controversia è se “il partico-lare regime IVA previsto dall’art. 73, comma 3, D.P.R. n. 633/1972, conriguardo alla c.d. IVA di gruppo, trovi applicazione solo nell’ipotesi in cui lasocietà controllante sia società di capitali, ovvero, anche nel caso in cui lasocietà controllante sia società di persone”. L’ordinanza, nel rimettere laquestione alle SezioniUnite, evidenzia che “mentre la normativa primaria equella secondariadi riferimento (art. 73, comma3, delD.P.R. n. 633/1972 e iD.M. 13dicembre 1979, n. 11065) sono, in proposito, caratterizzate dall’usodi locuzione “ente o società controllante”, che non si qualifica per la neces-saria esclusione delle società di persone dall’ambito di applicazione dellasua previsione; la C.M. 28 febbraio 1986 n. 16/360711, seguita da alcunerisoluzionidell’Agenzia (nn.22/E/2005e347/E/2002),negadecisamentechel’IVA di gruppo possa trovare applicazione quando la società controllantepresenti la veste di società di persone”.Ma, ovviamente, si tratta di un’inter-pretazione di parte.

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La Suprema Corte, nell’esaminare il ricorso proposto, ha ricostruito lafattispecie, focalizzandosi in particolare:

– sul confronto tra normativa comunitaria e interna, sebbene osservicome la fattispecie debba essere risolta nell’ambito della disciplina interna;

– sulla tassazione di gruppo di cui all’art. 117 T.U.I.R. (consolidatonazionale), la quale non è equiparabile a quello dell’IVA di gruppo;

– sulla nozione di controllo di cui all’art. 2359 c.c. che è stata recepitaparzialmente nell’IVA di gruppo;

– sulla disparità di trattamento, tra società di persone e di capitali, chenon troverebbe alcuna giustificazione “in alcun interesse pubblico da tute-lare”, poichébisognaoperare lastessaparitàdi trattamento trasocietàoentiche svolgono la propria attività nello stesso mercato.

La Suprema Corte, rigettando il ricorso degli Uffici impositori, hasostenuto che “la questione proposta va risolta nel senso che il particolareregime IVA previsto dall’art. 73, comma 3, D.P.R. n. 633/1972, con riguardo“all’IVA di gruppo”, trova applicazione anche nell’ipotesi in cui la societàcontrollante sia società di persone”.

Alla luce dei punti sopra evidenziati, che analizzeremo più dettagliata-mente nel prosieguo, è possibile affermare che tale pronuncia sia partico-larmente interessante per quanto attiene l’accuratezza delleargomentazioni svolte dalla Suprema Corte e per la novità della tematicade qua almeno nella giurisprudenza di legittimità. Le problematiche que-stioni interpretative, sull’applicazione dell’IVA di gruppo nell’ipotesi in cuila società controllante siauna societàdipersone, ci forniscono lo spuntoperelaborare alcune riflessioni.

2. Confronto tra normativa comunitaria ed interna sulla soggettività passivadell’IVA di gruppo -Ci sembra opportuno, preliminarmente, occuparci dellasoggettività passiva del gruppo2 IVA, in ambito comunitario ed interno,aspetto sul quale si è soffermata la stessa sentenza della Corte di cassazione.

2 Sulla disciplina dei gruppi si vedano, tra tutti, Uckmar, “Gruppi e disciplina fiscale”, inDir. prat. trib., 1996, pag. 3;Gallo, “I gruppi d’imprese e il Fisco”, inStudi inOnore diV.Uckmar,Padova, 1997, pag. 585; Tabellini, “Gruppi di società nel diritto tributario”, in Dig. Disc. Priv.Sez. comm., Torino, 1991, pag. 440; Lovisolo, “L’imposizione dei gruppi di società: profilievolutivi”, in L’evoluzione dell’ordinamento tributario italiano”, a cura di V. Uckmar, Padova,2000; Marino, “Contributo allo studio dei rapporti di gruppo attraverso le relazioni di con-trollo”, inRiv. dir. trib., 2004, pag. 545; Id.,La relazione di controllo nel diritto tributario. Analisiinterdisciplinare e ricostruzione sistematica, Padova, 2008; Id., Fantozzi, “La nuova disciplinaIRES: i rapporti di gruppo”, in Riv. dir. trib., n. 4/2004, pag. 489; Ficari, “Gruppo di imprese econsolidato fiscale all’indomani della riforma tributaria”, in Rass. trib., 2005, pag. 1587;Giovannini, “Gruppo di società e capacità contributiva”, in Perrone e Berliri (a cura di),Diritto tributario e Corte costituzionale, Napoli, 2006; Garbarino, “Tassazione dei gruppi”, inDig. disc. priv., Sez. comm., Aggiornam., 2008, pag. 938; Ricci, La tassazione consolidata deigruppi di società, Bari, 2010, pag. 30; Grandinetti, “La Tassazione dei gruppi d’impresa”, in

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È ben noto che, per la pluralità di soggetti coinvolti, la creazione di ungruppo, mediante una fiscal unit, determina il conseguimento di risultatipiù vantaggiosi rispetto a quelli perseguibili singolarmente. A fronte degliinevitabili vantaggi derivanti dall’appartenenza di una società al gruppoperseguendo c.d. sinergie di gruppo3, si rilevano, però, notevoli questionigiuridiche, tra cui la soggettività passiva del gruppo vista in un’otticacomparativa interna e comunitaria4.

In via del tutto generale, ed al fine di chiarire la tematica, evidenziamoche, a livello comunitario, esistonodiversimodelli di tassazioneconsolidatariconducibili a tre diverse modalità applicative quali:

– la fiscal unity;– il group contribution;– il group relief 5.Il modello accolto in Italia è quello della fiscal unity in cui, fermo

restando che ciascuna società controllante possiede autonomasoggettività, la fiscal unity compenetra gli imponibili delle societàcontrollate, operando la compensazione tra poste positive e negativee nel caso specifico dell’IVA di gruppo tra posizioni creditorie edebitorie. La fiscal unity è, infatti, obbligata ad adempiere agli obblighidi determinazione dell’imponibile, liquidazione e versamento deltributo6.

Sacchetto (a cura di), Principi di Diritto Tributario europeo e internazionale, Torino, 2011, pag.245; Dami, I rapporti di gruppo nel diritto tributario, Milano, 2011.

3 Così Tombari, Diritto dei gruppi di imprese, Milano, 2010, pag. 3.4 Il trattamento fiscale dei gruppi nei vari ordinamenti giuridici, assume un ruolo impor-

tante, anche se la mancanza di uniformità impositiva, frequentemente, denota un differenteambito applicativo. Sul punto cfr. Ricci, “IVA di gruppo: la mancanza di soggettività salva lanormativa italiana dalla censura comunitaria”, in Riv. dir. prat. trib., n. 5/2009, pag. 1006, laquale evidenzia che “per la Germania e l’Austria, l’esistenza di una disciplina civilistica chericonosca i gruppi di società come soggetti di diritto ha di certo influenzato la scelta del regimefiscale applicabile; altri Paesi, come la Danimarca, l’Irlanda, i Paesi Bassi, il Regno Unito, laSvezia e la Spagna, pur non prevedendo una disciplina unitaria di gruppo nella legislazionecivilistica nazionale, hanno optato per il regime del soggetto unico”.

5 Permaggioriapprofondimenti suiprincipalimodellidi tassazioneconsolidatasi rinviaaGrandinetti, La Tassazione dei gruppi d’impresa, cit., pag. 254.

6 Ai sensi dell’art. 127T.U.I.R., “la controllante è responsabile: a) per lamaggiore impostaaccertata e per gli interessi relativi, riferita al reddito complessivo globale risultante dalladichiarazione di cui all’art. 122; b) per le somme che risultano dovute, con riferimento allamedesima dichiarazione, a seguito dell’attività di controllo prevista dall’art. 36-ter del Decretodel Presidente dellaRepubblica 29 settembre 1973, n. 600, riferita alle dichiarazioni dei redditipropria di ciascun soggetto che partecipa al consolidato e dell’attività di liquidazione di cuiall’art. 36-bis del medesimo Decreto; c) per l’adempimento degli obblighi connessi alla deter-minazione del reddito complessivo globale di cui all’art. 122; d) solidalmente per il pagamentodi una somma pari alla sanzione di cui alla lett. b) del comma 2 irrogata al soggetto che hacommesso la violazione”.

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In ambito nazionale l’IVA di gruppo è disciplinata dall’art. 73, comma3, del D.P.R. n. 633/1972, che contempla come, al verificarsi di alcunecondizioni, questo particolare regime opzionale di liquidazione dell’im-posta7, volto a compensare la posizione creditoria e debitoria di ciascunasocietà appartenente al gruppo, determina notevoli vantaggi di naturafinanziaria, “con la liquidazione unitaria si evita, infatti, che all’internodello stesso gruppo talune società debbano versare l’imposta a debito edaltre, invece, siano costrette ad attendere i tempi, non celeri, delrimborso”8.

Logico corollario è che, ai fini IVA, il gruppo, nella disciplina dome-stica, costituisce una fictio juris, dove la sostanza economica prevale sullaforma giuridica, avente la finalità di ottenere evidenti vantaggi economicidati dal consolidamento dei debiti e crediti IVA dei partecipanti algruppo9. E, difatti, come affermato nella sentenza de qua, gli effettiprodotti non sono diversi da quelli che assicura la “procedura di rim-borso accelerato”10. In buona sostanza, ogni società controllata apparte-nente al gruppo, mantiene la propria identità giuridica, per cui lacreazione del gruppo è finalizzata alla liquidazione e dichiarazionedell’imposta consentita ai gruppi societari, in cui la fiscal unity procedeunitariamente ad effettuare la liquidazione e i versamenti dell’impostadovuta11.

Per completezza precisiamo che la tassazione di gruppo nelle impostedirette, di cui all’art. 117 T.U.I.R., si differisce dall’imposizione del gruppoIVA, giacché come rilevato anche nella sentenza in esame, involge undifferente settore impositivo e regime applicativo; anche se in tema di

7 Si veda Ficari, “Liquidazione congiunta dell’IVA ex art. 73 D.P.R. 633 e rilevanzatributaria del gruppo di società”, in Riv. dir. trib., 1992, pag. 151.

8 Così Ricci, “IVA di gruppo: lamancanza di soggettività salva la normativa italiana dallacensura comunitaria”, in Riv. dir. prat. trib., n. 5/2009, pag. 1004. Per maggiori approfondi-menti in tema di rimborso si veda Del Federico, “Il rimborso dei tributi incompatibili con laDirettiva”, in AA.VV., Di Pietro (a cura di),Atti societari ed imposizione indiretta. Dalle Direttivecomunitarie alla nuova riforma tributaria, Padova, 2005, pag. 230.

9 Con la finalità di limitare possibili e frequenti fenomeni elusivi, l’art. 1, comma 63,della Legge n. 244 del 24 dicembre 2007 (c.d. Legge finanziaria per il 2008), ha introdottoall’art. 73 del D.P.R. n. 633/1972, il seguente periodo: “non si tiene conto delle eccedenzedetraibili, risultanti dalle dichiarazioni annuali relative al periodo d’imposta precedente,degli enti”. Ciò è stato posto con l’obiettivo di evitare che una società possa acquisire ilcontrollo di soggetti IVA che hanno realizzato crediti IVA e, quindi, finalizzati a com-pensare i debiti della controllante. Si veda risoluzione dell’Agenzia delle entrate del 14febbraio 2008, n. 4.

10 A tal riguardo, si veda tra tutte, la sentenza della Corte di cassazione n. 4843/2015.11 Cfr. Brisacani, “Sul trattamento, ai fini dell’IVA, delle prestazioni di servizi fornite

da una società non residente nell’Unione Europea alla propria stabile organizzazione,apparentemente ad un gruppo IVA in uno Stato membro”, in Dir. prat. trib. int., n. 1/2015, pag. 381.

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soggettività passiva d’imposta12, pervengono comunque allo stesso risul-tato, ossia la mancata soggettività del gruppo13.

Come affermato in dottrina14, il gruppo identifica una formula dellinguaggio e infatti, nella disciplina opzionale del consolidato “la capacitàper così dire del gruppo è la stessa capacità contributiva dei singoli sebbene,in ragionedelconsolidamento, la suaquantificazionesubiscaopossasubiremodificazioni”15.

Quantoal gruppoIVA, ladisciplinacomunitariaha introdottoall’art. 4,par. 4, della Direttiva 2006/112/CE che, previa consultazione del ComitatoIVA16, “ogni Stato membro ha la facoltà di considerare come unico sog-getto passivo le persone residenti all’interno del Paese che siano giuridi-camente indipendenti, ma strettamente vincolate tra loro da rapportifinanziari, economici ed organizzativi”. Dal tenore letterale della norma,

12 Permaggiori approfondimenti in tema di soggettività tributaria, si vedano tra gli altri,Ferlazzo Natoli, Fattispecie tributaria e capacità contributiva, Milano, 1979, pag. 62 ss.; Id., Ilfatto rilevante in diritto tributario, Messina, 1994; Id., “La fattispecie giuridica tributaria”, inAmatucci (a cura di), Trattato di diritto tributario, Padova, 1994, pag. 53 ss.; Giovannini,Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Padova, 1996, pag. 168 ss.; Fedele,“Introduzione”, in AA.VV., Fedele (a cura di), Il regime fiscale delle associazioni, Padova,1998; Gallo, “La soggettività ai fini IRPEG”, in AA.VV., Il reddito d’impresa nel nuovo testounico, Roma-Milano, 1990, pag. 662 ss.; Antonini, La soggettività tributaria, Napoli, 1965, pag.106 ss.; Castaldi, Gli enti non commerciali nelle imposte sui redditi, Torino, 1999, pag. 62 ss.;Ficari, “La soggettività tributaria delle S.R.L. e l’imposizione del reddito delle società dicapitali”, in Ficari - Gianpaolino (a cura di), Trattato delle società a responsabilità limitata,Padova, 2012, pag. 164; Gallo, “L’evoluzione del sistema tributario e il principio di capacitàcontributiva”, in Rass. trib., n. 3/2013, pag. 499; Giovannini, “Ripensare la capacità contribu-tiva”, in Dir. prat. trib., n. 1/2016, pag. 15.

13 Si vedaMarino, “Contributo allo studio dei rapporti di gruppo attraverso le relazioni dicontrollo”, in Riv. dir. trib., n. 4/2004, pag. 557, il quale ha osservato che “La giurisprudenzaitaliana concepisce il gruppo come una costellazione di enti, dotati ciascuno di un propriodistinto interesse e di una propria, distinta soggettività”.

14 Si veda Giovannini, op. ult. cit., pag. 219 ss.15 Si vedanoMarino, Contributo allo studio dei rapporti di gruppo attraverso le relazioni di

controllo, cit., pag. 556, il quale osserva che “è ribadito che il gruppo di imprese non costituisceun soggetto giuridico, ma si aggiunge che esso è un fenomeno di fatto. L’interesse sociale daprendere in considerazione per valutare la sussistenza del conflitto di interessi andrebbeidentificato esclusivamente con riferimento all’autonomia soggettiva delle singole societàdel gruppo”; Giovannini, Gruppo di società e capacità contributiva, cit., pag. 221, il qualegiustamente affermache “è veroche la capacità contributiva, secondo il costanteorientamentodella Corte costituzionale e come ho già ricordato, deve essere riferita al singolo soggetto ecomporta, per ciascuno, la soggezione all’obbligo contributivo in funzione di essa. Quindi,come si è scritto, se anche l’imposizione prende in considerazione il gruppo identificandone ilreddito complessivo, il carico tributario dovrebbe essere ripartito obbligatoriamente in basealla rispettiva attitudine alla contribuzione dei suoi componenti”.

16 Sotto l’aspetto procedurale, l’art. 11, comma 1 della sesta Direttiva, presuppone, comeatto preliminare, il parere del Comitato consultivo IVA, il quale procede alla valutazione dellaneutralità della normativa interna riguardo almercato unico. Si veda la sentenza della CGE22maggio 2008, causa C-162/07, Ampliscientifica e Amplifin, punto 18.

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si evince, quindi, che la disciplina comunitaria “implica il superamentodegli schemi giuridici determinati dalle distinte soggettività17” identifi-cando il gruppo in un unico soggetto passivo d’imposta18 (c.d.Value AddedTax Group).

Tra l’altro, nell’IVA di gruppo comunitaria, attribuendosi soggettivitàpassiva d’imposta al gruppo, le operazioni volte alla cessione di beni e alleprestazioni di servizio tra i soggetti che operano nel perimetro del consoli-damento, sono ininfluenti ai fini IVA19. Si evince pertanto che assumonorilevanzaai fini del tributo, esclusivamente le operazioni poste in essere consoggetti estranei all’area del consolidamento, che fanno sorgere il diritto didetrazione dell’imposta assolta sugli acquisti20.

Da un breve raffronto, tra la disciplina comunitaria ed interna, emergeche, in realtà, il gruppo IVA, nella normativa interna, non sembra aver datopiena attuazione al principio contenuto nella norma comunitaria21, poichéè stata recepita in modo ristretto22, attuando più che altro l’aspetto proce-durale23 e non riconoscendo autonoma soggettività al gruppo24, così comeprevisto in ambito europeo.

17 Così afferma la sentenza in oggetto.18 Si veda la sentenza della CGE 9 aprile 2013, causa C- 85/2011.19 Cfr. Fantozzi - Paparella, Lezioni di Diritto Tributario dell’impresa, Padova, pag. 319.20 Per maggiori approfondimenti si veda Grandinetti, “L’IVA di gruppo: dalla Corte di

Giustizia UE le guidelines per il legislatore delegato nazionale”, inRiv. dir. trib., n. 9/2014, pag.128, il quale a tal riguardo sostiene che “ne consegue che l’istituto dell’IVA di gruppo puòpresentare indubbi vantaggi finanziari in un gruppo IVA a cui partecipano, insieme a soggettipassivi con detrazione piena, altri membri con una detrazione dell’imposta parziale”.

21 Tale precisazione si rileva anche nella Comunicazione comunitaria (2009) n. 325 del 2luglio 2009, in giurisprudenza nella sentenza della CGE, 22 maggio 2008, causa C- 162/07,Cass., sentenza n. 6105/2009, e così come affermato nell’ordinanza n. 11877 del 2 aprile 2014,“L’Italia non è inserita nell’elenco comunitario dei Paesi che hanno applicato la Direttiva”.

22 In proposito la circolare ministeriale n. 16 del 28 febbraio 1986, chiarisce che “Ilprincipio contenuto nella citata norma comunitaria è stato recepito, invero, in termini moltoristretti e con contenuto di carattere procedurale, cioè mantenendo sempre l’autonomia giuri-dica e fiscale delle società interessate, sufficiente a perseguire il fine prefissato che era quello dioffrire alle dette società unmezzo semplificato di recupero delle eccedenze di credito mediantela compensazione tra debiti e crediti d’imposta emergenti dalle liquidazioni e dichiarazioni disocietà facenti parte di un gruppo, soggette al controllo diretto o indiretto di una società chepartecipi, in modo qualificato e consistente, al capitale delle società controllate”.

23 Cfr. Ricci, IVA di gruppo: la mancanza di soggettività salva la normativa italiana dallacensuracomunitaria, cit., pag.1006, laqualeattentamenteosservache “l’opzionalitàdel regimeconosce, però, deroghe non solo in senso restrittivoma anche, al contrario, in senso estensivo:la disciplina britannica, ad esempio, non prevede il principio all in all out, lasciando ampimargini di tax planning ai gruppi, che potrebbero trovare più vantaggioso escludere talunesocietà dall’imposizione unitaria”.

24 Si vedaCass. 7marzo, 2012, n. 3513, con commento diMontanari, “La soggettività IVAdegli entipubblici territoriali alla lucediunrecenteorientamentodellaSupremaCorte”, inRiv.trim. dir. trib., n. 4/2012, pag. 1099.

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In definitiva, riteniamo di dover condividere la posizione affermatadalle Sezioni Unite, giacché, il gruppo IVA, “definito dall’ordinamentonazionale - riducendosi ad una procedura di mera liquidazione del tributo- non si uniforma a quello delineato nel sistema comunitario, che, nellaprospettiva di consolidazione degli imponibili, comporta, invece, ben piùpregnante unificazione a livello soggettivo”.

Certamente, questo mancato allineamento della normativa internarispetto a quella comunitaria, potrebbe “comportare delle distorsioni cheincidono sulla parità di trattamento fiscale e neutralità impositiva, inci-dono, cioè, da un lato sulla libera circolazione dellemerci, dei servizi e dellepersone e dall’altro sulla libera concorrenza”25.

3.La problematica relativa alla veste giuridica della società controllante -Nonci resta che soffermarci sull’ambito soggettivo della società controllante echiederci se quest’ultima può essere una società di persone.

Lacontroversia rimessaall’esamedelleSezioniUnite, va risolta alla lucedellanormativa interna,pur tenendopresente iprincipi comunitari, poiché,come detto precedentemente, l’applicazione dell’IVA di gruppo nazionaleha un ambito di applicazione più ristretto. La mancata trasposizione dellanormativa comunitaria con specifico atto normativo risulta, peraltro, espli-citata anche nella Comunicazione della Commissione Europea del 2 luglio2009, 325, Com (2009), nella circolare del 28 febbraio 1986, n. 16/360711, eribadita da diverse sentenze della Corte di Giustizia europea26. La norma-tiva nazionale disciplina il presupposto soggettivo della predetta liquida-zione IVA di gruppo, all’art. 73, comma 3, D.P.R. n. 633/1972, disponendoche “IlMinisterodelleFinanzepuòdisporreconpropridecreti, stabilendo lerelative modalità, che le dichiarazioni delle società controllate siano pre-sentate dall’ente o società controllante all’Ufficio del proprio domiciliofiscale e che i versamenti di cui agli artt. 27, 30 e 33 siano fatti all’Ufficiostesso per l’ammontare complessivamente dovuto dall’ente o società con-trollanteedalle società controllate, alnettodelle eccedenzedetraibili ....... Siconsidera controllata la società le cui azioni o quote sono possedute dall’al-tra per oltre la metà fin dall’inizio dell’anno solare precedente”.

A dare attuazione a tale disposizione è intervenuto l’art. 2 del D.M. 13dicembre 1979, che in relazione alle società controllanti, utilizza la locu-zione “ente o società controllante”, riproponendo inbuona sostanza quantodisposto nell’art. 73, comma 3, D.P.R. n. 633/1972. Quanto alle societàcontrollate, invece, restringe l’ambito di applicazione alle “società perazioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata”.

25 CosìGiorgi,Detrazione e soggettività passivanel sistemadell’imposta sul valore aggiunto,Padova, 2005, pag. 32.

26 Si veda, tra le tante, CGE, 17 settembre 2014, causa C- 7/13.

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Dal combinatodisposto tra ledisposizioni citate, consegue che, affinchésipossaoptareper l’IVAdigruppo, ènecessariochericorrano ilpresuppostosoggettivo, oggettivo e temporale. In merito al presupposto oggettivo, lasocietà controllante deve detenere una quota di controllo superiore al 50%del capitale delle società controllate, senza prendere in considerazione leazioni o quote prive del diritto al voto. Quanto al presupposto temporale, ilcontrollo deve permanere ininterrottamente per almeno dodici mesi27.Volgendo particolare attenzione al presupposto soggettivo, dall’esame let-terale dell’art. 73, comma 3, D.P.R. n. 633/1972 e dal Decreto attuativo,emerge che entrambe le disposizioni utilizzano l’espressione “ente o societàcontrollante”, ma non specificano la veste societaria che deve assumere lacontrollante. Come giustamente affermato dalla sentenza in oggetto, sia lanorma primaria, sia quella secondaria, “non contempla, ai fini dell’appli-cazione del regime dell’ ‘IVA di gruppo’, alcuna testuale diretta esclusionedelle società di persone dal novero dei soggetti controllanti, giacché egual-mente qualificano la relativa categoria con la non discriminante locuzione‘ente o società controllante’”.

Aquestopunto, ci sorge il dubbiodellamancata applicazionedel regimedi gruppo IVA, nel caso in cui la società controllante sia una società dipersone28. Se la normativa primaria e secondaria specificano che la vestegiuridica di società di capitali è circoscritta alle società controllate, mentreinmerito alle società controllanti, si limita alla generica definizione di “enteo società controllante”, perché allora devono essere escluse le società dipersone? Il terminegenerico “enteo società controllante”non involgeanchele società di persone?

L’esclusionedelle societàdipersonesul sempliceassuntoche “l’art. 2delDecreto 13 dicembre 1979, nel prevedere, al comma 2, che le societàcontrollate (società di capitali) possono assumere agli effetti della norma-tiva in esame, la veste di società controllanti di altre società, lascia chiara-mente intendere che sia le une che le altre debbano essere società dicapitali”29, ci appare molto discutibile ed irragionevole. E come

27 Sull’argomento, la Corte di Giustizia UE, con la sentenza del 22maggio 2008, causa C-162/07, nell’esaminare il limite temporale di un anno, afferma che, è posto in essere con lafinalità di porre rimedio alle costruzioni di puro artifizio.

28 In merito alla disciplina commerciale, si veda tra tutti, Tombari, Diritto dei gruppi diimprese, cit., pag. 136, il quale osserva che “Se elementi costitutivi di una struttura di grupposono normalmente società di capitali, nella realtà imprenditoriale (non solo italiana) sipossono riscontrare anche gruppi composti (in genere non esclusivamente, ma in parte) dasocietà in nome collettivo o in accomandita semplice. È inoltre da rilevare che società dipersone sono presenti non solo in gruppi familiari di ridotta grandezza, ma anche in gruppimultinazionali di notevoli dimensioni”.

29 Così C.M. 28 febbraio 1986, n. 16/360711; sullo stesso orientamento si vedano lerisoluzioni dell’Agenzia delle entrate del 6 novembre 2002, n. 347/E e 21 febbraio 2005,n. 22/E.

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giustamente affermato nella sentenza de qua “tra premessa e conseguenzache se ne trae, manca qualsiasi rapporto di interdipendenza logica”.

Tra l’altro, sotto il profilo dei requisiti soggettivi, non si può accogliere,come abbiamo detto precedentemente, il regime opzionale del consolidatodi cui all’art. 117 T.U.I.R., infatti, esso non può essere equiparato, sotto ilprofilo del prelievo e dei requisiti soggettivi, alla liquidazione dell’“IVA digruppo”, poiché si tratta semplicemente di un consolidamento delle postecreditorie e debitorie delle società controllate, sebbene queste ultimeman-tengano la propria identità giuridica, per cui il consolidamento permanesolo ai fini della liquidazione IVA e della semplificazione degli obblighidichiarativi.

Ai fini dell’applicazionedel tributo indiretto, sia le società di capitali, siaquelle di persone, sono equiparabili e, infatti, l’imposta sul valore aggiunto,indipendentemente dalla veste societaria si applica a tutti i soggetti cheeffettuano cessioni di beni e prestazioni di servizio30, in quanto, gli obblighi(contabili) relativi alla liquidazione del tributo sono identici, per cui l’esclu-sione delle società di persone ci sembra che determini la violazione deiprincipi di proporzionalità, di uguaglianza, oltre che di neutralitàdell’imposizione31.

Tra l’altro, volgendo lo sguardo in ambito comunitario32, con la finalitàdi tutelare il principio di neutralità e la parità di trattamento, la Corte diGiustizia europea sottolinea33 semprepiù l’esigenzadi “ampliare lanozionedi soggetto passivo”34. Nel caso specifico, con le sentenze del 25 aprile 2013,

30 Si vedano, tra le altre, le sentenza della CGE 20 giugno 2013, causa C-219/12; 9 aprile2013, causa C-85/11.

31 Cfr. Sacchetto, “Le libertà fondamentali ed i sistemi fiscali nazionali attraverso lagiurisprudenza della Corte di Giustizia UE in materia di imposte dirette”, in AA. VV.,Uckmar (a cura di), La normativa tributaria nella giurisprudenza delle Corti e nella nuovalegislatura, Padova, 2007, pag. 45;Del Federico,Tutela del contribuente ed integrazione giuridicaeuropea. Contributo allo studio della prospettiva italiana,Milano, 2010;Boria,Diritto TributarioEuropeo, Milano, 2015, pag. 127.

32 Si vedano Lupi, “Concorrenza tra ordinamenti, Comunità europee e prelievo tributa-rio”, inRass. trib., n. 3/2004,pag. 989;Califano, “Lamotivazionedegli atti impositivi tra formaesostanza, principi europei e valori costituzionali”, in Riv. trim. dir. trib., n. 1/2013, pag. 81.

33 Sivedano, tra tutte, le sentenzedellaCGE,causaC-65/11,causaC-86/11,causaC-95/11,causa C- 109/11.

34 Si veda CGE, sentenza del 29 settembre 2015, causa C- 276/14, la quale al punto 27sostieneche “laDirettiva IVAcomprendeuntitolo IIIdedicatoallanozionedi ‘soggettopassivo’.A norma della prima disposizione di tale titolo, vale a dire l’art. 9, paragrafo 1, ‘si considerasoggetto passivo chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attivitàeconomica, indipendentementedalloscopoodai risultatididettaattività’. I terminiutilizzati intale disposizione, in particolare il termine ‘chiunque’, danno una definizione ampia dellanozione di ‘soggetto passivo’, incentrata sull’indipendenza nell’esercizio di un’attività econo-mica nel senso che, come rilevato dall’AvvocatoGenerale ai paragrafi 28 e 29 delle conclusioni,tutte le persone fisiche e giuridiche, sia pubbliche che private, e anche gli enti privi dipersonalità giuridica, che obiettivamente soddisfino i criteri di cui a tale disposizione, sonoconsiderate soggette all’IVA”.

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causa C-480/10, e causa C-74/1135 - sorte da un ricorso presentato dallaCommissionenei riguardidellaSvezia edellaFinlandiache, inapplicazionedella normativa interna, limitavano l’opzione al regime IVA di gruppo,soltanto alle società pubbliche che erogano servizi finanziari e assicurativi- la Corte36 afferma un principio fondamentale: “la violazione del principiogenerale della parità di trattamento può essere contraddistinta, in materiatributaria, da altri tipi di discriminazioni, che incidono su operatori eco-nomici che non sononecessariamente concorrenti,ma versano nondimenoin una situazione comparabile per altri rapporti”.

Riteniamo pertanto che, anche nel caso di applicazione dell’IVA digruppo, tra società di persone e società di capitali, si possa postulare lostessoprincipiodiparitàdi trattamento37.Tra l’altro, così comedisciplinatodall’art. 11 della Direttiva 2006/112/CE, non debbono risultare vantaggiindebiti, ma neanche svantaggi ingiustificati38.

Il principio di neutralità, infatti, vieta che le stesse operazioni poste inessere da soggetti diversi abbiano un trattamento differenziato, giacchéquesto principio presuppone la parità di trattamento fiscale, sia dellemercioggetto di scambio, sia dei soggetti. Come attentamente osservato in

35 La Commissione europea nell’esaminare l’art. 11 della Direttiva 2006/112/CE, harilevato che “ogni Stato membro può considerare come unico soggetto passivo le personestabilite nel territorio dello Stato membro che siano giuridicamente indipendenti, ma stretta-mente vincolate fra loro da rapporti finanziari economici ed organizzativi”. La Corte diGiustizia europea con la causa C-480/10, respinge il ricorso presentato dalla CommissioneEuropea, giacché al punto 41, chiarisce che “è irricevibile nella parte in cui è fondato sullaviolazione del principio di parità di trattamento”.

36 La Corte, nell’esaminare la fattispecie, è giunta alla conclusione che il ricorso dellaCommissione è irricevibile, giacché, fondato sulla violazione del principio di parità di tratta-mento. Segnatamente al punto 18, afferma che “Conseguentemente, deducendo, nell’attointroduttivo del ricorso, che la legge in materia di IVA, nella parte in cui limita la possibilitàdi formare un gruppo IVAalle imprese del settore finanziario e assicurativo, non è compatibilecon il principio di parità di trattamento, laddove nel parere motivato è stato invocato a talriguardo il principio di neutralità fiscale, la Commissione ha ampliato l’oggetto dellacontroversia”.

37 Cfr.Grandinetti,L’IVAdi gruppo: dallaCorte diGiustiziaUE le guidelinesper il legislatoredelegato nazionale, cit., pag. 127.

38 Il notevole interesse da parte degli operatori situati negli Stati membri ha indotto laCommissione Europea a predisporre le linee guida sulla costituzione del gruppo IVA, conte-nute nella Comunicazione n. 325 del 2 luglio 2009, Com (2009), la quale chiarisce che “Ilsecondo paragrafo dell’art. 11 consente inoltre agli Stati membri di adottare i provvedimentinecessari per evitare l’evasione o l’elusione fiscale. Occorre anche ricordare che nella sentenzaHalifax18, la Corte ha chiarito che gli Statimembri dispongono dei poteri necessari per lottarecontro le pratiche abusive. LaCommissione ritiene comunque chedall’attuazionedell’opzionedi IVA di gruppo non debbano risultare vantaggi indebiti, né svantaggi ingiustificati. Tenendoconto degli obiettivi originali dell’opzione di IVA di gruppo, che deve esser consideratasoprattutto unamisura di semplificazione, nessun regime fondato su tale opzione deve falsarelaconcorrenzaocompromettere ilprincipiodineutralità fiscale.Sidevonoevitaresituazioni incui l’opzione di IVA di gruppo è utilizzata per attrarre le imprese in determinati Statimembri ediventa in tal modo motivo di concorrenza fiscale tra di loro”.

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dottrina39 “il principio di parità di trattamento fiscale ed il principio dineutralità impositiva40, tuttavia, presuppongono da un lato che l’impostaabbia il più vasto ambito di applicazione possibile in relazione alla cessionidi beni e prestazioni di servizi e dall’altro che l’imposta sia detraibile nellastessa identica misura per i soggetti che esercitano una medesima attivitàeconomica, che effettuano, cioè, cessioni di beni e prestazioni di servizi cherientrano nella sfera di applicazione dell’imposta”.

Si evince chiaramente che i limiti soggettivi tra società di persone e dicapitali, determinano una chiara disparità di trattamento, ed “un’altera-zione della neutralità impositiva”41 tra soggetti passivi IVA che pongono inessere le medesime operazioni nel medesimo mercato, quindi, tale limita-zione, non trova riscontro “in alcun interesse pubblico da tutelare”.

Quanto al principio di proporzionalità, invece, in via del tutto prelimi-nare, ricordiamo che esso trae origine dal diritto tedesco42, trasmigratosuccessivamente inquello comunitario comporta “la congruitàdelmezzoalfine”, vale a dire, nel caso specifico che l’Erario, nella scelta degli strumentiidonei a raggiungere il fine preposto, dovrebbe scegliere quello che arrecaminor sacrificio al contribuente.

L’IVA di gruppo sorge con la finalità di agevolare coloro i quali appar-tengono al perimetro del consolidamento, consentendo loro innegabilivantaggi mediante la compensazione dei crediti e debiti IVA, rappresen-tando un interessante “strumento di ottimizzazione del carico tributario,anche in termini prettamente finanziari”43. Perché non consentire quindialle società di persone di usufruire di tali benefici?

Accogliere la tesi44 che la contabilità delle società di capitali sia piùrigorosa ed analitica e che pertanto ostacolerebbe fenomeni di piani-ficazione fiscale, ci sembra molto discutibile, poiché riteniamo che nonsia l’analiticità della contabilità che rileva ai fini del tributo, ma

39 Cfr. Giorgi,Detrazione e soggettività passiva nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto,cit., pag. 31.

40 Si veda Greggi, “Frodi fiscali e neutralità del tributo nella disciplina dell’IVA”, in Dir.prat. trib., n. 1/2016, pag. 115.

41 Così Ricci, ult. op. cit., pag. 1012.42 Si veda Serranò, “Il rispetto del principio di proporzionalità e le garanzie del contri-

buente”, in Riv. trim. dir. trib., n. 4/2014, pag. 875, la quale chiarisce che “la genesi di taleprincipio è da attribuirsi al diritto tedesco che individuava tre requisiti (livelli o gradini) dellaproporzionalità: idoneità (Geeignetheit), necessarietà (Erforderlichkeit) e proporzionalità(Verhaltnismabigkeit). Idoneità del mezzo rispetto all’obiettivo perseguito, necessarietà chelamisura adottata sia conforme, appunto, a controllo di proporzionalità e, pertanto, nonesistaun altromezzo efficace nellamedesimamisura (insostituibilità delmezzo); proporzionalità insenso stretto da intendersi come una legittima proporzione fra la limitazione dei diritti deicittadini e le finalità pubbliche perseguite e, dunque, come contemperamento tra interessepubblico e posizione dei privati”.

43 CosìGrandinetti, “LaTassazione dei gruppi d’impresa”, inPrincipi di Diritto Tributarioeuropeo e internazionale, cit., pag. 261.

44 Si veda ordinanza del 24 febbraio 2014, n. 11451.

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semplicemente l’aver posto in essere operazioni imponibili.Affermiamo, quindi, che l’esclusione dell’IVA di gruppo, quando lacontrollante sia una società di persone, ci appare in netto contrastocon il principio di uguaglianza. Non si individuano, infatti, ragionilogiche e giuridiche che possano circoscrivere l’interpretazione allesole società di capitali.

Tale limitazione soggettiva, per essere ammissibile, dovrebbe trovaregiustificazione, così come previsto dalla Direttiva 2006/112/CE, nell’inte-resse dello Stato di adottare misure volte a prevenire l’elusione o l’evasionefiscale. Ma anche in tale circostanza, ci sembra che i limiti temporali postiper l’espletamento dell’IVA di gruppo, siano già una chiara limitazioneantielusiva45, sorta con la finalità di evitare che gruppi legati occasional-mente possano usufruire del beneficio della compensazione dei crediti edebiti IVA in capo alla fiscal unity. Ma, presupponendo che possa ricorrereanchetale ipotesi (evasioneoelusione), l’Amministrazione finanziaria, conidocumenti di prassi, non può accogliere tale limitazione soggettiva sic etsimpliciter, ma dovrebbe ascoltare in contraddittorio il contribuente / fiscalunity46. E, comunque, qualsiasi misura nazionale, volta a recepire talelimitazione, deve tener conto dei principi di proporzionalità e ragionevo-lezza, oltre che della neutralità.

Ebbene, la proporzionalità e la ragionevolezza47, principi ben distinti,dovrebbero rappresentare i parametri di riferimento della Pubblica ammi-nistrazione, il cui operato dovrebbe essere costantemente proporzionatoall’obiettivo perseguito dalla norma, arrecando il minor sacrificio alcontribuente.

45 Nondimeno, è importante sottolineare che, con la finalità di limitare le possibili frodifiscali, i crediti maturati dalle dichiarazioni annuali debbono essere garantiti così comeprevisto dall’art. 38-bis, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972.

46 Cfr. Grandinetti, IVA di gruppo: dalla Corte di Giustizia UE le guidelines per il legislatoredelegato nazionale, cit., pag. 131, propone che si potrebbe prevedere “una istanza di interpelloobbligatoria chenonpermetta di aderire al regimedell’IVAdi gruppoper i soggetti nonpassivi,senza aver ottenuto il parere favorevole dell’Amministrazione finanziaria, potrebbe prospet-tare dei profili di non proporzionalità della disposizione interna rispetto all’obbiettivo che siproporrebbe la disciplina nazionale, vale a dire impedire l’evasione e l’elusione fiscale”.

47 Talvolta, però, il principio di proporzionalità è richiamato dalla giurisprudenza uni-tamente al principio di ragionevolezza, o in alcune circostanze è addirittura utilizzato comesinonimo, invece, così comeprevisto nell’art. 1 della Legge n. 241/1990, si tratta di due principidistinti, e la ragionevolezza rappresenta un canone del principio di proporzionalità. Comegiustamente è stato osservato, in dottrina, Serranò, ult. op. loco cit., pag. 879, sottolinea che cisia “tra la proporzionalità e la ragionevolezza un rapporto tra species e genus, in realtà laragionevolezza pondera la logicità e congruità della scelta operata, laddove il principio diproporzionalità implica una valutazione ed un contemperamento tra interesse pubblicoperseguito e diritto privato”. I principi di proporzionalità e ragionevolezza sottendono allevalutazioni discrezionali operate dalla Pubblica amministrazione, nel rispettodell’imparzialità e del buon andamento (art. 97 Cost.).

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4. La funzione del controllo nell’IVA di gruppo - Il gruppo ed il controllo, puressendo due fenomeni distinti “esprimono l’idea della pluralità nellaunitarietà, riscontrabile nella realtà socio-economica48”. Il controllo,“cioè la posizione di potere”, rappresenta la condizione necessaria manon sufficiente affinché un gruppo si costituisca49.

In altri termini, il gruppo ed il controllo rappresentano “due momentidiversi del fenomeno. Il controllo è la posizione di potere nell’ambito dellesingole organizzazioni che esso esprime, il momento strumentale. Ilgruppo, e cioè il rapporto che ne consegue fra le organizzazioni stesse, ilmomento finale”50.

È importantechiarireche lanozionedicontrollodicuiall’art.2359c.c., èstata recepita nell’IVA di gruppo in modo molto ristretto, generando, cosìcome di seguito esporremo, una significativa divergenza tra nozione civili-stica e fiscale. In via del tutto generale, ricordiamoche, sotto il profilo civile,il controllo disciplinato dall’art. 2359 c.c. presuppone51:

– al comma 1 un controllo interno di diritto in cui la società (control-lante) disponga della maggioranza dei voti esercitabili nell’assembleaordinaria;

–al comma2uncontrollo internodi fatto, in cui la società (controllante)dispone dei voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’as-semblea ordinaria;

– al comma 3 un controllo esterno di fatto, in cui le società hannoun’influenza dominante in relazione a particolari vincoli contrattuali.

Partendo dal dato normativo, è necessario formulare alcune osserva-zioni: nel caso specificodell’IVAdi gruppo, sia l’art. 73T.U.I.R. comma3, siail D.M. 13 dicembre 1979, precisano che “si considera controllata la societàle cui azioni o quote sonopossedute dall’altra per oltre lametà fin dall’iniziodell’anno solare ..... la percentuale è calcolata senza tener conto delle azioni

48 Così Marino, Contributo allo studio dei rapporti di gruppo attraverso le relazioni dicontrollo, cit., pag. 547.

49 Permaggiori approfondimenti sulla distinzione di gruppo e controllo si vedano, tra glialtri,Marchetti, “Note sulla nozione di controllo nella legislazione speciale”, inRiv. soc., 1992,pag. 1; Di Sabato, Diritto delle società, Milano, 2005, pag. 563; Graziani, Minervini, Belviso,Santoro,ManualediDirittoCommerciale, Padova,2013,pag.297;Boggio, “L’organizzazioneedil controllo della gestione finanziaria nei gruppi di società (non quotate)”, in Società, Banche eCrisi D’Impresa, in Campobasso - Cariello - Di Cataldo -Guerrera - SciarroneAlibrandi (direttoda), Liber amicorum Pietro Abbadessa, Torino, 2014, pag. 1481.

50 Così Marino, op. ult. cit., pag. 547.51 Si vedano Fantozzi - Paparella, Lezioni di Diritto tributario dell’Impresa, Padova, 2014,

pag. 302, i quali a tal proposito affermano che “tale impostazione preclude la possibilità diriconoscere al gruppo una dimensione sistematica compiuta nell’ordinamento tributario percui sembra preferibile la conclusione che individua la ratio delle distinte fattispecie in cui essoassume rilievo principalmente nell’esigenza di evitare una penalizzazione alle strutture pluri-soggettive dell’impresa, riconoscendo una particolare rilevanza dell’attività di controllo, didirezione e di coordinamento”.

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prive del diritto al voto”. Ne consegue che, il legislatore, sebbene abbia fattoriferimento alla disciplina civilistica di cui all’art. 2359 c.c., l’abbia recepitasolo parzialmente, giacché la disciplina dell’IVA di gruppo postula unanozione di gruppo differente da quella di cui all’art. 2359 c.c.

A questo punto ci si interroga su quale sia il tipo di controllo acquisitonella disciplinadell’IVAdi gruppoed inparticolare nella fattispecie in esame.

Senza indugiare sull’influenza dominante della società controllante sudiun’altra società, in relazione (alle azioni oquotepossedute) oaparticolarivincoli contrattuali, nel caso specifico ci sembra che il legislatore (nazio-nale) abbia ricostruito ladisciplinadel controllo in ambito IVA, attribuendoparticolare importanza al rapporto patrimoniale, tale da consentire lacompenetrazione degli imponibili.

Adissipare qualchedubbio è intervenuta laC.M. 28 febbraio 1986, n. 16,la quale chiarisce che, tra le varie modalità di controllo, quella di certo nonrecepita dal legislatore tributario è quella del controllo di fatto di cui alcomma 3, dell’art. 2359 c.c.

Ed infatti, tra le diverse forme di controllo, la nozione adottata ai finiIVA, sembrasenz’altro il controllodidirittooorganicochenelcasospecificotrova la sua ratio nell’interesse delle singole società di portare in compensa-zione crediti e debiti IVA e “nonpostula necessariamente la realizzazione diun interesse ulteriore, attraverso l’aggregazione”52.

Come detto precedentemente, l’IVA di gruppo, in ambito nazionale, harecepito solo parzialmente la disciplina comunitaria, poiché, la normativanazionale, pur mantenendo la soggettività passiva d’imposta di ciascunasocietàappartenentealgruppo,consente,conil regimeopzionaledell’IVAdigruppo, in presenza di un rapporto di controllo, di semplificare gli adempi-menti fiscali delle controllate, portando in compensazione i crediti ed idebiti IVA. La compenetrazione degli imponibili, in capo alla società con-trollante, comporta che le controllate, per effetto del consolidamento, nondispongono più dei crediti e debiti IVA, poiché la controllante dovrà liqui-dare e versare all’Erario l’ammontare netto complessivo e gestire le even-tuali eccedenze unitarie53, per cui, in ambito nazionale, l’IVA di gruppoassume il connotato della liquidazione di gruppo.

52 Cfr. Marino, ult. op. loco cit., pag. 549.53 Cfr. Ricci, IVA di gruppo: la mancanza di soggettività salva la normativa italiana dalla

censura comunitaria, cit., pag. 1004, la quale rileva come “la disciplina nazionale, dunque,introduce un regime facoltativo, applicabile solamente in presenza di un rapporto di controllosocietario definito in modo più ristretto rispetto alle nozione civilistica; un regime che noncomporta affatto il superamento della soggettività tributaria delle società controllate e con-trollanti, che conservano la loro autonomia e indipendenza, ma si limita ad offrire un mezzosemplificato di recupero delle eccedenze di credito, mediante la compensazione fra i debiti e icrediti d’imposta emergenti dalle liquidazioni e dichiarazioni delle società legate daparticolarivincoli di controllo. A questo si aggiunge un privilegio di ordine sostanziale, direttamenteattinente al regime fiscale degli scambi interni al gruppo. Per queste operazioni, infatti, viene a

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Ma, affinché si possa parlare di consolidamento, l’art. 3 del Decretoattuativo (D.M. 13 dicembre 1979) chiarisce che la società controllante, nelcomunicareall’Agenziadelle entrate competenteper territorio l’opzioneperil consolidato IVA, dovrà indicare “la sussistenza del requisito di cui alcomma 1 dell’art. 254, specificando la percentuale di possesso, e da qualedata, delle azioni oquotedelle società controllate”.Questebrevi premesse ciinduconoariflettereeachiederci se il termine “possesso”, che rappresenta ilvincolodi partecipazioni di azioni o quotemunite di dirittodi volto per oltreil 50%del capitale sociale, vada inteso congiuntamente al diritto di voto cosìcome sancito al comma 1 dell’art. 2359 c.c., oppure se, nel caso specifico, il“possesso” vada riferito semplicemente alla titolarità dei titoli.

Stante il dato letterale e la ratio della norma tributaria, riteniamo che,nel caso specifico, sia necessario il possesso qualificato delle azioni o quote,congiuntamente al diritto di voto55, pertanto, ai fini del controllo dell’IVAdigruppo, il possesso deve essere circoscritto alle situazioni in cui sussiste latitolarità delle azioni unitamente al diritto di voto56.

Come giustamente affermato in dottrina57, bisogna osservare che “èquindi la natura agevolativa della norma che impone un’interpretazioneristretta del controllo, rispetto alla visione giuscommercialistica estesaanche alle ipotesi di dissociazione tra titolarità delle azioni e diritto divoto”. Nel caso in esame, la creazione del gruppo, attraverso una relazione

realizzarsi un regime di sospensione del tributo, il cui prelievo viene rinviato fino alla fase discambioconil consumatore finale,ocomunque,conunsoggettoesternoalgruppo.Benché taleregime di sospensione non incida direttamente sulla misura del tributo complessivamentedovuto, produce, tuttavia, un notevole beneficio finanziario per il gruppo stesso”.

54 L’art. 2 del D.M. 13 dicembre 1979, così dispone: “si considera controllata la società lecui azioni o quote sono possedute dall’altra per oltre la meta fin dall’inizio dell’anno solareprecedente”.

55 Cfr. Ricci, “La proposta di Direttiva sulla CCCTB: profili soggettivi, base imponibile esuo consolidamento”, in Riv. trim. dir. trib., n. 4/2012, pag. 1031, la quale evidenzia che “conriguardo, ad esempio, al requisito del controllo, l’ammissione al regimedi tassazioneunitaria èsubordinata, in taluni Stati (Regno Unito, Olanda, Francia e Spagna), al criterio della parte-cipazione al capitale sociale; in altri (Italia, Germania e Danimarca), anche all’ulteriorerequisito del controllo dei diritti di voto in assemblea. Negli Stati UE, inoltre, la percentualedi partecipazione varia dal 50% al 100% e il possesso può essere diretto o indiretto”.

56 Si vedanoMarino,La relazione di controllonel diritto tributario. Analisi interdisciplinaree ricostruzione sistematica, cit., pag. 249; Belli Contarini, “Il requisito del controllo rilevante aifini dell’opzione per l’IVA di gruppo”, inRiv. dir. trib., n. 1/2014, pag. 796, il quale sostiene che“diversamente, ai fini IVA, in virtù di un’interpretazione letterale e sistematica, sia a livellodomestico sia comunitario, dalla normativa di riferimento, si può concludere che la possibilitàdi beneficiare del consolidato IVA deve essere riconosciuta in presenza di un preciso ‘vincolo’chedeve collegare ‘strettamente’ la società partecipante con lapartecipata.Ènecessario cioè, ilricorso congiunto, da un lato, del possesso qualificato (oltre lametà del capitale) delle azioni oquote, da intendere nel significato attribuito daCodice civile, dall’altro lato, della disponibilitàdel relativo diritto di voto, senza possibilità di dissociazione tra i predetti elementi”.

57 Così Marino, La relazione di controllo nel diritto tributario. Analisi interdisciplinare ericostruzione sistematica, cit., pag. 249.

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di controllo, non ha come finalità l’eliminazione della doppia imposizione,ma il consolidamento finanziario, realizzando dei benefici maggiori,rispetto a quelli ottenuti singolarmente, “se il fenomeno di gruppo è unfenomenodi aggregazionedi imprese per la realizzazione di unprogrammaeconomico comune e ulteriore rispetto a quello realizzabile attraverso leimprese singole e precisamente un fenomeno di aggregazione che trova ilsuo fondamento in un contratto, da un punto di vista teorico è chiaro che ilfenomeno non è necessariamente legato alle imprese costituite in forma disocietà per azioni”58.

In considerazione delle osservazioni svolte, concordiamo con laSuprema Corte che “la normativa IVA sul fenomeno giuridico di gruppo,così come definito dal D.M. n. 24/1979, ipotizza una nozione di gruppodiversa da quella definita dall’art. 2359 c.c. ... pertanto va disattesa la tesidell’Ufficio per cui la controllante non può essere una società di persone, inquantononobbligata alla tenutadi determinati libri sociali e, quindi, non inpossesso delle prerogative previste per le società controllanti e controllate”.

5. Considerazioni conclusive - Tirando le fila di quanto argomentato, pos-siamo rilevare che la sentenza in oggetto, è molto interessante per l’accu-ratezza e la fondatezza delle motivazioni svolte. Il riconoscimento allesocietà di persone, previa opzione, di poter assumere anche il ruolo disocietà controllante, ha rappresentato un’interessante, sistematica e coe-rente chiave interpretativa dell’applicazione dell’IVA di gruppo.

Tale interpretazione risulta, tra l’altro, in linea con la posizione espressadalla Direttiva 2006/112/CE e dalla giurisprudenza della Corte di GiustiziaUE, in cui l’Avvocato Generale UE, nelle conclusioni rese nella sentenza“Skandia America Corporation USA”59, precisa che nell’art. 11 dellaDirettiva 2006/112/CE, la locuzione “persona”, deve essere interpretata“nel suo senso ordinario, ossia come un ente che gode di personalitàgiuridica, vale a dire una persona fisica o giuridica”.

Certamente non si può accogliere la tesi che la limitazione alle società dicapitali si avrebbe in coerenza con il consolidato fiscale di cui all’art. 117T.U.I.R., poiché, come detto precedentemente, l’IVA di gruppo ha unafinalità meramente liquidatoria ed, inoltre, si differisce anche per ciò cheriguarda l’ambito soggettivo di applicazione, oltre che del prelievo; non sipuòneancheaccettareche lacontabilitàdelle societàdicapitali, essendopiùrigorosa rispetto a quella delle società di persone limiterebbe fenomeni difrode fiscale.

È importante evidenziare che il soggetto passivo ai fini IVA, così comedefinito nell’art. 9, comma 1, della Direttiva 2006/112/CE è “chiunqueesercita, inmodo indipendente e in qualsiasi luogo, una attività economica,

58 Così Marino, Contributo allo studio attraverso le relazioni di controllo, cit., pag. 550.59 Cfr. causa C-7/13, par. 45.

S. DEMARCO - LIMITE SOGGETTIVO NELL’IVA DI GRUPPO

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indipendentemente dallo scopo e dai risultati di detta attività”. Ne consegueche soggetto passivo IVA può essere “chiunque” svolga un’attività econo-mica, indipendentemente dalla veste giuridica prescelta, nel rispetto delprincipio di neutralità del tributo, di uguaglianza, proporzionalità eragionevolezza.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale della Corte UE, i limiti postidalla disciplina nazionale sono plausibili solo se hanno una finalità anti-elusiva. Nel caso in esame, il limite antielusivo posto dalla normativanazionale è il limite temporale, ma non di certo la differenziazione tra isoggetti passivi, in relazione alla veste giuridica assunta; per cui, ai fini dellacorretta applicazione dell’IVA di gruppo, è importante evidenziare che, “ilpresupposto essenziale sarebbe soltanto quello di assicurare l’effettività dellegame tra le società, al finedi escludereche lapartecipazionesia finalizzatasoltanto allo scopo di usufruire della detrazione di crediti IVA”60.

In altri termini, riteniamo che la disparità di trattamento tra soggettipassivi IVA, diversi sotto il profilo della veste giuridica assunta, ma cheoperanonello stessomercato, ponendo in essere operazioni imponibili IVA,non trova alcuna giustificazione in un interesse pubblico da tutelare.

Il principio di non discriminazione61 nell’alveo del principio di ugua-glianza, rappresenta, infatti - come è stato detto - “solo uno strumento dieliminazione delle asimmetrie fiscali che, sul piano soggettivo, si frappon-gono alla realizzazione del mercato interno e all’operare della concorrenzasecondo lo schema liberista”62.

SANTA DE MARCORicercatore t.d. di Diritto Tributario

Università di Messina

60 Così Cass., sentenza 13 marzo 2009, n. 6105.61 Si vedaFicari, “Lanondiscriminazionenella liquidazione IVAdi gruppocomunitario”,

in Corr. Trib., 2003, pag. 788.62 Così Gallo, Le ragioni del fisco, Bologna, 2011, pag. 137.

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

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GIURISPRUDENZA

PENALE TRIBUTARIA

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3 CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, sentenza n. 1355 del 15gennaio 2016, Pres. Franco - Est. Di Stasi

Reati finanziari e tributari (in genere) - Circostanze attenuanti -Circostanza attenuante del pagamento del debito tributario - Art. 13D.Lgs.n.74/2000 (oggiart.13, comma3,eart.13-bisD.Lgs.n.74/2000) -Presupposti - Integrale estinzione del debito d’imposta

Anche in caso di procedure conciliative o di adesione, presupposto dellaapplicabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 13 D.Lgs. n. 74/2000(nella formulazione antecedente allamodifica apportata dal D.Lgs. 24 settem-bre 2015, n. 158, applicabile ratione temporis alla presente fattispecie) èl’intervenuta integrale estinzione del debito d’imposta, non essendo sufficientela mera ammissione al provvedimento di rateazione intervenuta prima delladichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.Omissis.

RITENUTO IN FATTO - 1. Il Tribunale di Chiavari in data 13.11.2012,pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente G.G., lo dichiarava respon-sabile del reato di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 per aver utilizzato, nella qualitàdi legale rappresentante della Imperiale s.r.l., fatture relative ad operazioniinesistenti al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto inrelazione all’anno 2007 e lo condannava alla pena di anni 3 e mesi 6 direclusione, oltre al pagamento delle spese processuali ed alle pene accessoriedi legge.

Con sentenza del 26.3.2014, la Corte d’Appello di Genova, in parzialeriforma della sentenza del Tribunale di Chiavari, appellata dall’imputato, con-cedeva al predetto le attenuanti generiche, riduceva la pena ad anni 1 direclusione ed escludeva la pena accessoria della pubblicazione della sentenzasul giornale (Omissis).

Avverso tale sentenza ha proposto personalmente ricorso per cassazioneG.G., articolando i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessariper la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.:

a. Violazionedell’art. 606, comma1, lett. c) c.p.p. con riferimento al dispostodell’art. 195 c.p.p.

Il ricorrente deduce che la Corte territoriale ha ritenuto pienamente utiliz-zabili le dichiarazioni de relato rese dal teste Maresciallo B. sull’errata afferma-zione che al fascicolo del dibattimento erano stati acquisiti anche atti edichiarazioni di terzi. Argomenta, quindi, che tali atti e dichiarazioni sono statiassunti in violazione dell’art. 195 c.p.p. e sono, pertanto, inutilizzabili, al paridelle dichiarazioni rese dal teste nella parte in cui riferiscono del contenuto diinterrogatori svolti da terzi.

b. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p.

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Il ricorrente deduce che la sentenza impugnata sarebbe priva di motiva-zione, in quanto l’affermazione di responsabilità dell’imputato si basa esclusi-vamente delle dichiarazioni rese dal teste Maresciallo B., dichiarazioniinutilizzabili perché assunte in violazione dell’art. 195 c.p.p.

c. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. a) c.p.p. in relazione all’art. 2,comma 3, D.Lgs. n. 74/2000.

Il ricorrente deduce l’omessamotivazione da parte della Corte territoriale inordine alla falsità delle fatture oggetto di contestazione. Aggiunge che, ove sivolesse ritenere valida l’assunzione delle dichiarazioni de relato rese dal testeB., emergerebbe una violazione che non supera nel massimo il valore di euro154.937,07 e che la condotta, riferibile a fatti relativi all’anno 2007, integrerebbela fattispecie attenuata di cui all’art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 74/2000.

d. Violazione dell’art. 606, comma 1, lett. a) c.p.p. con riferimento all’art. 13D.Lgs. n. 74/2000.

Il ricorrente deduce che prima dell’inizio del dibattimento era intervenutoaccordocon l’Agenziadelle entrateper il pagamento ratealedi unasommasullabase delle speciali procedure previste in via amministrativa e che era statoeffettuato un parziale pagamento della somma concordata.

Invoca, pertanto, l’applicazione dell’art. 13 D.Lgs. n. 74/2000 attraversouna interpretazione estensiva della norma, deducendo che l’intenzione dellegislatore nella predetta previsione normativa “anche a seguito delle spe-ciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dallenorme tributarie” comprenderebbe nel concetto di estinzione anche lo stessopiano di ammortamento concordato con l’Agenzia delle entrate e non sola-mente l’esaurimento o estinzione di tali procedure prima dell’apertura deldibattimento di primo grado.

2. Chiede, pertanto, l’annullamento della decisione impugnata, con leconseguenti statuizioni di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO - 1. È infondato il primo motivo di ricorso.Comeemergechiaramentedalla letturadi pag.1della sentenza impugnata,

il Maresciallo capo B. della Guardia di Finanza di Rapallo ha riferito in dibatti-mento, innanzitutto, circa l’attività d’indagineda lui stesso coordinata e scaturitada una verifica dell’Agenzia Generale delle entrate di Rapallo relativa a diversefatture indicate nel Mod. UNICO 2007 dalla Società Imperiale s.r.l., fatture cherisultavano emesse da soggetti che non avevano rapporti con la predettasocietà e che non risultavano negli elenchi clienti/fornitori.

Una simile deposizione si pone ben al di là dei limiti di operatività del divietodi cui all’art. 195 c.p.p., comma 4, limiti definiti dall’espresso riferimento delladisposizione in parola alle “... dichiarazioni acquisite dai testimoni ...” (cfr. Sez. 2,21 settembre 2010, Miele, n. 36286, Rv. 248536). In altri termini, il summenzio-natoufficiale di polizia giudiziaria, nel riportare le risultanzedelle indagini svolte,non ha esposto il contenuto di “testimonianze” nel senso proprio e tecnico deltermine, ma ha semplicemente portato a conoscenza dell’Autorità giudiziaria

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procedente i dati reperiti a seguito dello svolgimento dell’attività di indaginedelegata.

Del resto, questa Suprema Corte ha già avuto modo di escluderel’applicabilità dell’art. 195 c.p.p., comma 4, alle informazioni trasmesse daaltri agenti o ufficiali di P.G., attivi nello stesso contesto investigativo (cfr. sent.n. 36286 del 2010) affermando il principio di diritto in base al quale il divieto ditestimonianza indiretta previsto per gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziariadall’art. 195, comma 4, c.p.p. non si applica nell’ipotesi in cui il verbalizzanteriferiscasulleattivitàdi indaginesvoltedaaltri ufficiali oagenti diP.G.nellostessocontesto investigativo.

Diversamenteèadirsi per quantoattiene, invece, alle dichiarazioni raccolte,durante l’attività di indagine, dai soggetti titolari delle ditte che risultavanoemittenti le fatture utilizzate dall’imputato.

Tali dichiarazioni non potevano essere utilizzate a fondamento della deci-sione, atteso il divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali e agenti di poliziagiudiziaria di cui al comma 4 dell’art. 195 c.p.p., che si riferisce tanto alledichiarazioni che siano state ritualmente assunte e documentate, quanto aicasi nei quali la polizia giudiziaria non abbia provveduto alla redazione delrelativo verbale (cfr. Sez. F., n. 38560/2014, Rv. 261470).

La decisione impugnata, però, non si fonda su tali dichiarazioni, masull’analisi e valutazione delle fatture acquisite agli atti, sia quelle emessedall’imputato che quelle rinvenute presso le ditte presunte emittenti (cfr.pag. 2 della sentenza impugnata, dove si dà rilievo, al fine di ritenereprovata l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti, alla diversaveste grafica delle fatture, alla non rispondenza tra il numero della fatturautilizzata dall’imputato e quella rinvenuta presso le ditte presunte emittentied emessa verso terzi estranei ed al mancato pagamento delle prestazionida parte dell’imputato).

La censura proposta, pertanto, non merita accoglimento.2. Il secondo motivo di ricorso, basato sull’accoglimento del primo motivo -

già valutato infondato - risulta, conseguentemente, anch’esso infondato.3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.La corte territoriale ha diffusamente argomentato in ordine alla falsità delle

fatture ed all’importo complessivo delle stesse (pag. 2 e 3), con motivazionecongrua e priva di vizi logici e, pertanto, esente da censure in questa sede dilegittimità.

Corretta è anche la motivazione in ordine alla non configurabilità dellaipotesi attenuata prevista dall’art. 2 comma 3 del D.Lgs. n. 74/2000 (commaabrogato dal D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dallaLegge 14 settembre 2011, n. 148 ma in astratto applicabile alla fattispecieesaminata in quanto relativa a reato consumato prima del 17.9.2011) attesol’importocomplessivodelle fattureemesseperoperazioni inesistenti, che risultasuperiore alla soglia di punibilità di euro 154.937,07.

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La critica del ricorrente, inoltre, è sul punto generica emeramente assertivae, quindi, priva di concretezza.

4. È manifestamente infondato il quarto motivo di ricorso.Il D.Lgs. n. 74/2000, prevedendo all’art. 13 (nella formulazione antecedente

allamodifica apportata dalD.Lgs. 24 settembre2015, n. 158, applicabile rationetemporis alla presente fattispecie), la circostanza attenuante speciale delpagamento del debito tributario, ha disposto che le pene previste per i delittidi cui allo stessoDecreto sianodiminuite fino allametà e chenonsi applichino lepene accessorie indicate nell’art. 12, se, prima della dichiarazione di aperturadel dibattimento di primogrado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delittimedesimi siano stati estintimediante pagamento, anchea seguito delle specialiprocedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle normetributarie.

È il dettato stesso della norma, laddove si richiede appunto la estin-zione del debito, a far ritenere che presupposto necessario del trattamentosanzionatorio più favorevole sia l’integrale pagamento di quanto dovutoall’Erario, non essendo, invece, sufficiente la mera ammissione al provve-dimento di rateazione intervenuta prima della dichiarazione di apertura deldibattimento.

Del resto - com’è stato ripetutamente sottolineato da questa Corte dilegittimità (cfr. ex plurimis sent. n. 37748/2014) anche sotto il profilo dellaratio della norma, la condotta meritevole del trattamento premiale è solo quellaeffettivamente idonea ad apportare un beneficio in termini patrimonialiall’Erario, non apparendo significativo sotto tale profilo il mero provvedimentodi ammissione alla rateazione posto che l’interessato, una volta ammesso allarateazione, ben potrebbe restare inadempiente rispetto al pagamento dellesingole rate.

Va, quindi, ribadito il principio di diritto in base al quale anche in caso diprocedure conciliative o di adesione, presupposto della applicabilità della circo-stanza attenuante di cui all’art. 13 D.Lgs. n. 74/2000 (nella formulazione ante-cedente alla modifica apportata dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158,applicabile ratione temporis alla presente fattispecie) è l’intervenuta integraleestinzionedeldebitod’imposta (cfr.Sez.3,n. 30580del13.5.2004,Pisciotta,Rv.229355; conf.Sez. 3, n. 176del 5.7.2012, dep. 7.1.2013,Zorzi,Rv. 254146;Sez.3, n. 5681 del 27.11.2013, Crocco, Rv. 258691; Sez. 3, n. 37748 del 16.7.2014,Rv. 260189; Sez. 3, n. 26464 del 19/02/2014, Rv. 259299; Sez. 3, n. 11352 del10/02/2015, Rv. 262784).

Correttamente, pertanto, nella sentenza impugnata si valutava infondata latesi difensivaaventeadoggetto l’applicabilità della circostanzaattenuantedi cuiall’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000 in questione, stante l’irrilevanza dell’intervenutoaccordo con l’Agenzia delle entrate in considerazione del parziale pagamentodella somma concordata.

5. Il ricorso, pertanto, va rigettato con condannadel ricorrente al pagamentodelle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. - Omissis.

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L’attenuante del pagamento del debito tributario mediante rateizza-zione: orientamenti giurisprudenziali e profili di incostituzionalità

SOMMARIO: 1. Premessa - 2. La circostanza attenuante del pagamento del debitotributario - 3. Gli antecedenti. L’orientamento consolidato della giurisprudenza dilegittimità - 4. Riflessioni sulla compatibilità dell’orientamento giurisprudenzialeconsolidato con la riforma dei reati tributari (D.Lgs. n. 158/2015) e profili diincostituzionalità del nuovo art. 13, comma 3, D.Lgs. n. 74/2000 - 5. Osservazioniconclusive.

1. Premessa - La sentenza della Suprema Corte in esame tratta il temadell’applicazione della circostanza attenuante del pagamento del debitotributario di cui all’art. 13 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (nella formulazioneantecedente alla modifica apportata dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158).In particolare, essa si inserisce nel solco già tracciato dalla stessa giurispru-denza di legittimità in plurime occasioni a far data dall’entrata in vigore delD.Lgs. n. 74/2000, ribadendo, con una motivazione sintetica e di merorichiamo, che, in temadi reati finanziari e tributari, tale attenuante specialenon è applicabile in caso di adesione all’accertamento, nonché nel caso dirateizzazione del debito d’imposta già iscritto a ruolo e indicato nellacartella di pagamento, atteso che il suo riconoscimento è subordinatoall’integrale ed effettiva estinzione dell’obbligazione tributaria mediante ilpagamento, anche in caso di esperimento delle speciali procedure concilia-tive previste dalla normativa fiscale.

Premessa un’analisi della fattispecie nonché dell’orientamento pretorioormai consolidato sul tema, nonostante alcune criticità che il dato norma-tivo potrebbe sollecitare, si tenterà di dimostrare l’attualità della giurispru-denza consolidatasi sotto la vigenzadella normativaprevigente - della qualela pronuncia in esame si occupa -, dalmomento che, per quanto concerne lanostra disamina, il dettatodei nuovi artt. 13 e 13-bisD.Lgs. n. 74/2000, comerisultanti dalla riforma del D.Lgs. n. 158/2015, non muta i termini dellaquestione affrontata.

2.La circostanza attenuante del pagamento del debito tributario -Comenoto,l’art. 131, unitamente all’art. 14, ha rappresentato, dalla sua introduzione

1 Sullecircostanzeattenuantineldirittopenale tributario, inparticolare sull’art. 13D.Lgs.n. 74/2000, cfr. G. Bellagamba - G. Cariti, Il sistema delle sanzioni tributarie. I reati tributari. Lesanzioni amministrative tributarie, 2a ediz., Milano, 2011, pag. 219; G. Caputi, “Le circostanzeattenuanti nel nuovo diritto penale tributario”, in Riv. Guardia Fin., 2000, pag. 2021; A. DiAmato, “Le linee ispiratrici della riforma e la parte generale del diritto penale tributario”, inA.DiAmato -R.Pisano,Trattato di diritto penale dell’impresa,VII, I reati tributari, Padova, 2002,pag. 259; S. Gennai - A. Traversi, I delitti tributari. Profili sostanziali e processuali, 2a ediz.,Milano, 2011, pag. 185;G. Izzo, “Risarcimentodel dannoe riparazionedell’offesanella riformadei reati tributari”, in il fisco, 2000, pag. 7022; A.Martini, “Reati inmateria di finanza e tributi”,

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nell’ordito del D.Lgs. n. 74/2000, l’inveramento della generica previsione di“meccanismi premiali idonei a favorire il risarcimento del danno”2 dettatadall’art. 9, comma 2, lett. e) della Legge delega 25 giugno 1999, n. 205. Afronte dell’ampio margine offerto dalla delega, si è preferito configurare lacondotta risarcitoriacomecircostanzaattenuantediportatacomunea tuttoil diritto penale tributario, anziché elevarla a causa di estinzione del reato oesclusione della punibilità3, nel timore che una tale scelta avrebbe consen-tito al contribuente “di ‘monetizzare’ il rischio della responsabilità penale,barattando, sulla base di un freddo calcolo, la certezza del vantaggio pre-sentecon l’eventualitàdiunrisarcimento futuroprivodi stigmacriminale”4.

L’art. 13 D.Lgs. n. 74/2000, per quanto qui interessa, stabilisce ladiminuzione della pena fino ad un terzo e la non applicazione dellepene accessorie previste dall’art. 12 qualora, prima della dichiarazionedi apertura del dibattimento di primo grado (art. 492 c.p.p.)5, i debititributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi, comprese

in C.F. Grosso, T. Padovani e A. Pagliaro (diretto da), Trattato di diritto penale. Parte speciale,XVII, Milano, 2010, pag. 208; E. Mastrogiacomo, “sub art. 13”, in I. Caraccioli, A. Giarda eA. Lanzi (a cura di),Diritto e procedura penale tributaria (Commentario al Decreto legislativo 10marzo 2000, n. 74), Padova, 2001, pag. 381; E. Musco - F. Ardito, Diritto penale tributario, 2aediz.,Bologna, 2013,pag. 59;G.Pezzuto, “Lecircostanzeattenuanti connessealpagamentodeldebito tributario ed all’equa riparazione dell’offesa (Artt. 13 e 14)”, in E. Musco (a cura di),Diritto penale tributario, 3a ediz., Milano, 2002, pag. 281; M. Pierro, “L’uso premiale dellesanzioni tributarie e la crisi del principio di specialità”, in Riv. trim. dir. trib., 2014, pag. 679;P. Rossi, “Gli effetti deimeccanismi premiali sulla punibilità in sede penale tributaria”, inBoll.trib., 2001, pag. 1307;G.L. Soana, I reati tributari, 3a ediz.,Milano, 2013, pag. 435.V., inoltre, lacircolare del Ministero delle Finanze n. 154/E del 4 agosto 2000, in il fisco, 2000, pag. 10071.

2 Per alcune considerazioni, D. Fondaroli, Illecito penale e riparazione del danno, Milano,1999, pag. 535.

3 In questo senso, v., per tutti, I. Caraccioli, “Attenuanti: la transazione si fa menoappetibile”, inGuida al diritto, n. 14/2000, pag. 85; Id., “L’attenuante del pagamento del debitotributario e la compensazione”, in il fisco, 2000, pag. 11620; Id., “Interpello - Istituti premiali -Specialità fra sanzioni penali e sanzioni tributarie”, ivi, 2001, pag. 4791.

4 Cfr. Relazione ministeriale, in il fisco, 2000, pag. 3164; A. Martini, Reati in materia difinanza e tributi, cit., pag. 214, osserva che “nel caso di specie [… p]revale […] la c.d. ragionefiscale, rispetto ad esigenze che potremmo definire genericamente ispirate alla tutela general-preventiva dell’apparato sanzionatorio”, considerato che “lo specifico strumento politicocriminale dell’attenuante appare evidentemente finalizzato ad invogliare il contribuente adadempimenti tardivi ma comunque preziosi per l’amministrazione finanziaria, anche a costodi riservargli un trattamento preferenziale che non sembra davveromeritato”; E. Musco, voce“Reati tributari”, inEnc. dir.,Annali, I, 2007, pag. 1055, pur condividendo lamotivazione dellaRelazione, precisa che “non si tratta di argomentazioni che giustificano l’esistenza di unacircostanza del reato in senso tecnico-giuridico-penalistico”.

5 Il pagamento deve, cioè, avvenire entro il termine di cui all’art. 491 c.p.p., ovvero almassimo sùbito dopo l’accertamento della regolare costituzione delle parti (cfr., ex plurimis,G.Bellagamba-G.Cariti, Il sistemadelle sanzioni tributarie, cit., pag.225).Tale termine, in lineacon le previsioni di cui all’art. 62, n. 6, c.p., “mira ad evitare lunghe sospensioni o rinvii deldibattimento in prossimità della decisione, o comunque ad istruttoria avanzata, finalizzate adiniziative risarcitorie” (Relazione ministeriale, cit., pag. 3165), nel rispetto dei princìpi di

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sanzioni amministrative ed interessi, siano stati estinti mediante inte-grale pagamento, anche a séguito delle speciali procedure conciliative odi adesione all’accertamento previste dalla normativa fiscale. La for-mula volutamente aperta utilizzata dal legislatore consente l’automaticoadattamento della norma ad eventuali nuovi istituti premiali di futuraintroduzione nell’ordinamento tributario6. Ad oggi, in particolare, pos-sono registrarsi i seguenti: l’accertamento con adesione (o concordato),disciplinato dagli artt. 1 e segg. D.Lgs. n. 218/19977; la rinuncia all’im-pugnazione dell’avviso di accertamento o di liquidazione (o acquie-scenza da parte del contribuente) di cui all’art. 15 D.Lgs. n. 218/1997;la conciliazione giudiziale ex art. 48 D.Lgs. n. 546/1992, così comesostituito dall’art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 218/1997; il ravvedimentooperoso ex art. 13 D.Lgs. n. 472/1997, così come novellato dall’art. 16,comma 1, lett. f), D.Lgs. n. 158/20158.

Tale effetto premiale, secondo la dottrina pressoché unanime9, si confi-gura come una circostanza attenuante speciale, rispetto a quella comune di

concentrazionee immediatezza, che innervano il dibattimentopenale.Se tale limiteoperaper iprocedimenti che seguono il rito ordinario, per quelli che si decidono dinanzi al G.U.P. con ritialternativi cfr. E. Mastrogiacomo, sub art. 13, cit., pag. 410; in giurisprudenza, v., da ultimo,Cass., Sez. III, 4 febbraio 2014, n. 5457, con commento di P. Corso, “Estinzione del debitotributario nei riti speciali”, in Corr. Trib., 2014, pag. 1080. Cfr., altresì, A. Giarda - M. Alloisio,“Lenuovecausedi estinzionedel reatoediesclusionedellapunibilità.Lecircostanzedel reato”,in A. Giarda, A. Perini e G. Varraso, La nuova giustizia penale tributaria. I reati - Il processo,Padova, 2016, pag. 543, i quali, evidenziata “l’importanza della data del pagamento che dovràperentoriamente rispettare i suddetti limiti temporali”, rilevano come “[l]o stesso non [possa]dirsi per la prova del versamento che ben potrà essere prodotta successivamente, logicamente,non oltre il momento in cui il giudicante si ritirerà per la decisione”.

6 In dottrina v., per tutti, A. Di Amato, Le linee ispiratrici della riforma, cit., pag. 275. Inquesto senso, v., inoltre, la Relazioneministeriale, cit., pag. 3165, nonché la circolare n. 154/Edel 4agosto2000, cit., pag. 10071.Perapprofondimenti, si vedanoP.Corso, “Effetti penali degliistituti deflattivi”, in Rass. trib., 2015, pag. 461; V. Ficari - G. Scanu, “Soglie di punibilità,“accordi” deflativi e transazione fiscale”, in Riv. dir. trib., 2014, I, pag. 937.

7 Per approfondimenti si veda S. Capolupo, “Accertamento con adesione e responsabilitàpenale”, in Corr. Trib., 2011, pag. 4018, nonché, in generale, F. Gallo, “La natura giuridicadell’accertamento con adesione”, in Riv. dir. trib., 2002, I, pag. 425.

8 Contra, tuttavia, I.Caraccioli,Attenuanti: la transazionesi famenoappetibile, cit., pag.85;V. Napoleoni, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario, Milano, 2000, pag. 223, i qualiescludono l’applicabilità dell’attenuante in esame al ravvedimento operoso, nonostante essosia specificamente menzionato sia dalla Relazione ministeriale, cit., pag. 3165, che dallacircolare n. 154/E del 4 agosto 2000, cit., pag. 10071. Per approfondimenti in merito alnuovo ravvedimento operoso e alla c.d. voluntary disclosure, v., per tutti, S. Galeazzi, “Ilnuovo ravvedimento oneroso”, in Riv. dir. trib., 2014, I, pag. 995; C. Glendi, “Voluntarydisclosure: le ripideprocedure (per il Purgatoriopiùomeno salvificoo il suicidio sanzionatoriodel peccatore fiscale in via di non sempre spontaneo e totale pentimento)”, in Dir. prat. trib.,2015, I,pag.351; sulneointrodottoregimedic.d.adempimentocollaborativo (oc.d.cooperativecompliance), F. Gallo, “Brevi considerazioni sulla definizione di abuso del diritto e sul nuovoregime del c.d. adempimento collaborativo”, ivi, 2014, I, pag. 952.

9 Si veda, per tutti, A. Di Amato, Le linee ispiratrici della riforma, cit., pag. 265.

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cui all’art. 62, n. 6, prima parte, c.p., ad effetto speciale10, in quanto com-porta ladiminuzionedellapenasinoallametà, estrinseca,poichéè integratadaun comportamentodiverso e temporalmente successivo rispetto a quellocaratterizzante il fatto di reato, e oggettiva, talché trova applicazione ancheladdove il pagamento venga effettuato da un terzo11. Ai fini della suaconcessione deve poi farsi luogo al bilanciamento ex art. 69 c.p. nel casodi concorso eterogeneo.

Da ultimo, la recente riforma attuata dal D.Lgs. n. 158/201512 ha confi-gurato il pagamento del debito tributario quale causa di non punibilità(rectius: causa estintiva)13 di alcuni reati tributari all’art. 1314 o, in

10 Originariamente era ad effetto speciale, poi resa ad effetto comune con l’art. 2, comma36-vicies semel, lett. i), del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 conv., conmodif., in Legge 14 settembre2011,n. 148,ora riconfigurataadeffetto speciale.Sullemodificheoperatedalla c.d.ManovradiFerragosto (2011), v. A. Iorio, “Reati tributari: attenuanti, patteggiamento e condizionale”, inCorr. Trib., 2011, pag. 3357.

11 Relazione ministeriale, cit., pag. 3165.12 In merito ai nuovi artt. 13 e 13-bis D.Lgs. n. 74/2000, cfr. R. Amadeo, “sub art. 13”, in

C.Nocerino -S.Putinati (acuradi),Lariformadei reati tributari.LenovitàdelD.Lgs.n.158/2015,Torino, 2015, pag. 325; F. Colaianni -M.Monza, “Commento agli artt. 13 e 13 bis del D,Lgs. 74/2000 mod. D.Lgs. 158/2015”, in I. Caraccioli (a cura di), I nuovi reati tributari. Commento alD.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, Milano, 2016, pag. 306; G. Gambogi, La riforma dei reatitributari. Commento al Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158, Milano, 2016, pag. 379;A. Giarda -M. Alloisio, Le nuove cause di estinzione del reato e di esclusione della punibilità, cit.,pag. 435; S. Golino, “Cause di non punibilità e circostanze del reato. Pagamento del debitotributario”, in I. Caraccioli (a cura di), I nuovi reati tributari, cit., pag. 325; A. Iorio - S. Mecca,“Nuovi rapporti tra pagamento del debito tributario e reati”, in Corr. Trib., 2015, pag. 4463;E. Mastrogiacomo, “Commento agli artt. 13 e 13 bisD.Lgs. 74/2000mod. D.Lgs. 158/2015”, inI. Caraccioli (a cura di), I nuovi reati tributari, cit., pag. 264; A. Perini, “La riforma dei reatitributari”, inDir. pen. proc., 2016, pag. 33; C. Santoriello - A. Perini,La riformadei reati tributari(D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158), Milano, 2015, pag. 75. Per ulteriori riflessioni,V. Mastroiacovo, “Riflessi penali delle definizioni consensuali tributarie e riflessi fiscalidelle definizioni bonarie delle vertenze penali”, in Riv. dir. trib., 2015, I, pag. 143.

13 G. Gambogi, La riforma dei reati tributari, cit., pag. 380. Cfr., tuttavia, V.Mastroiacovo,Riflessi penali delle definizioni consensuali tributarie, cit., pag. 158, la quale ricorda che ladisposizioneproposta in sededi primabozzaparlava espressamente di “causadi estinzionedelreato”, anziché di “causa di non punibilità”.

14 Inparticolare, ai fini dell’elevazionedel pagamentoa causadi nonpunibilità, i commi1e 2 del nuovo art. 13 D.Lgs. n. 74/2000 prendono in considerazione, rispettivamente, i reati diomesso versamento delle ritenute dovute o certificate (art. 10-bis), omesso versamento di IVA(art. 10-ter) e indebita compensazione (art. 10-quater, limitatamente all’ipotesi di cui al comma1), da un lato, e i delitti di dichiarazione infedele (art. 4) e omessa dichiarazione (art. 5),dall’altro. Inparticolare, inmeritoalle fattispeciedicuiagli artt.4e5, cfr.A.Giarda -M.Alloisio,Le nuove cause di estinzione del reato e di esclusione della punibilità, cit., pag. 450, i quali,considerata laRelazionen. III/05/2015del 28ottobre 2015dellaCorte di cassazione,UfficiodelMassimario,Settorepenale, inwww.cortedicassazione.it,pag.44 -nellaqualesi richiede, in talicasi, al soggetto “un agere tempestivo e anticipatorio rispetto alla formale conoscenza di unaccertamento fiscale o di un procedimento penale” -, si chiedono se “non sarebbe stato piùcorretto inquadrare taleprevisionequale ipotesididesistenzavolontaria, piùchedefinirlaqualecausa di non punibilità” [corsivo degli AA.].

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subordine,quale “tradizionale”circostanzaattenuante - traslandoil vecchioart. 13nelnuovoart. 13-bis, con lasolamodificadell’entitàdella riduzionedipena e l’aggiunta della clausola di riserva -, prevedendo peraltro, perentrambi i casi, la sospensione del procedimento penale nelle more delpagamento del debito tributario (art. 13, comma 3)15.

3. Gli antecedenti. L’orientamento consolidato della giurisprudenza dilegittimità - Come accennato, è costante l’orientamento della III Sezionepenale della Cassazione, deputata alla trattazione della materia penal-tri-butaria, nel sostenere la necessità dell’intervenuta integrale estinzione deldebito tributario, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento diprimo grado, mediante il pagamento, anche in caso di espletamento dellespeciali procedure conciliative o di adesione previste dalla normativafiscale, quale presupposto per il riconoscimento dell’attenuante in esame.Tale circostanza, infatti, non trova applicazione in caso di mera adesioneall’accertamento nonché di rateizzazione del debito d’imposta già iscritto aruolo e indicato nella cartella di pagamento16. La mera ammissione al

15 Tuttavia, si veda anche l’osservazione critica di I. Caraccioli, “Linee generali dellarevisione del sistema penale tributario”, in il fisco, 2015, pag. 2938, secondo il quale con “lenuove disposizioni degli artt. 13 e 13-bis D.Lgs. n. 74/2000, con cui viene ampiamente ridise-gnato il sistema dell’attuale incidenza del risarcimento del danno erariale sulla punibilità deireati […] si è voluto arrivare solo fino ad un certo punto, in quanto nel lungo dibattito che hapreceduto l’approvazione della riforma si era anche ventilata la possibilità che il risarcimentodel danno erariale potesse portare comunque all’estinzione di taluni reati in materia didichiarazione(esclusocomunquequellodicuiall’art. 3). Inrealtà,poi,a tantononsièpervenutiin ogni caso, osservandosi da molti che la previsione dell’estinzione del reato a seguito delrisarcimento del dannopotesse avere un’efficacia addirittura propulsiva verso la commissionedel reato stesso, in applicazione del grossolano concetto: ‘evado, poi se vengo processato pagouna cifra minore in via transattiva e quindi il reato si estingue’. Pertanto il meccanismointrodotto, pur importante, si arresta ad un certo punto”, dal momento che, per i reati di cuiagli artt. 4 e 5, “[n]on si può, quindi, conseguire la non punibilità […] se il pagamento avvienedopo tale draconiano termine della scadenza della dichiarazione per l’anno successivo”.

16 In tal senso, Cass., Sez. III, 18marzo2015, n. 11352,Rv. 262784; Id., 15 settembre 2014,n. 37748, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2014, pag. 997, con nota di G. Salamone; Id., 19 giugno2014, n. 26464, ivi, pag. 525, connotadiG.Salamone; Id., 5 febbraio2014, n. 5681, ivi, pag. 526,connotadiG.Salamone, ed inForo it., 2014, II, col. 270; Id., 7 gennaio2013, n. 176,Rv. 254146;Id., 14 luglio 2004, n. 30580, Rv. 229355; v., altresì, Id., 13 gennaio 2011, n. 656, Rv. 249335,secondo la quale il versamento spontaneo dell’imposta evasa, effettuato successivamente allapresentazione della dichiarazione dei redditi, può rilevare ai fini del riconoscimento dell’atte-nuanteprevista dall’art. 13D.Lgs. n. 74/2000. Indottrina, in tal senso,E.D.Basso -A.Viglione, Ireati tributari. Profili sostanziali e processuali, Torino, 2013, pag. 168; F. Brighenti, “Reatitributari e meccanismi premiali”, in Boll. trib., 2000, pag. 967; G. Caputi, “Le ‘circostanzeattenuanti’ tra luci ed ombre”, in Corr. Trib., 2000, pag. 2167; C. Santoriello, “La rateizzazionedegli acconti IVA non esclude la responsabilità penale per omesso versamento IVA”, in il fisco,2014, pag. 3777; G.L. Soana, I reati tributari, cit., pag. 443. Per alcune interessanti osservazionicritiche, si veda F. Rasi, “L’attenuante del pagamento del tributo”, in Riv. trim. dir. trib., 2015,pag. 421, secondo il quale, sotto unprimoprofilo, le pronunce successive a Cass. n. 30580/2004ne avrebbero “travisato” il significato letterale, affermando che l’attenuante non sia tout court

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provvedimento di rateazione intervenuta primadella dichiarazionedi aper-tura del dibattimento, ancorché garantita da fideiussione, non sarebbesufficiente all’ottenimentodel beneficiode quo, giacché l’avvenutopuntualepagamento dei ratei scaduti non garantisce, di fatto, quello delle successiverate a scadere17.

applicabile in caso di accertamento con adesione. Tuttavia, dai fatti oggetto delle controversiede quibus si evince che la causa della mancata concessione dell’attenuante risiede non “nelricorso all’accertamento con adesione in quanto tale, ma piuttosto nel mancato pagamentointegrale della somma aderita”. Secondo l’A., pertanto, tale equivoco, dovuto ad “una (auspi-cabilmente superata) frettolosità dei giudici di legittimità nel leggere i precedenti e redigere lesentenze”, si risolverebbe nel senso che deve propendersi per la concessione dell’attenuante dequa in caso di ricorso a tutte le tipologie di istituti deflativi, sulla base dell’inequivoco datonormativo. Sotto altro profilo, invece, egli stigmatizza l’orientamento rigoroso della S.C. cherichiede il pagamento integrale della somma, ritenendo insufficiente quello rateale, sulla basedi una duplice argomentazione. Da un lato, facendo leva sul dato testuale, che si riferiscesoltanto alla “misura” del pagamento, non anche al “modo” in cui esso avvenga, deve conclu-dersi che “nell’ottica fiscale perché sia integrato quanto richiesto dal legislatore per concederel’attenuante (ovverosia l’adempimento spontaneo, anche se tardivo, del contribuente) è suffi-ciente il pagamento rateale (il ‘modo’) dell’intero ammontare stabilito in sede di adesione (la‘misura’)”. Dall’altro lato, in forza di un’interpretazione sistematica della disposizione, sievidenzia che l’art. 13, nell’effettuare un rinvio integrale alle “speciali procedure conciliativeodi adesioneall’accertamentoprevistedallenorme tributarie”, nonpuònonrinviareancheallemodalitàprevisteda ciascunadi essenel disciplinare il pagamentodel dovuto.Sarebbepropriotale rinvio ad imporre di dare rilievo a quanto si verifica in tale settore. Peraltro, gli istitutideflativi del contenzioso tributario garantiscono “un adempimento totale dell’obbligazionetributaria e, dunque, in ‘misura’ integrale, pur consentendo che la somma così accertata siacorrisposta in ‘modo’ rateale”. La preoccupazione della giurisprudenza per il caso specifico incui il contribuente paghi la prima rata, ma risulti inadempiente per quelle successive nonvarrebbe, tuttavia, a giustificare tale orientamento restrittivo. Infatti, è esclusivo compito dellegislatore risolvere la situazione patologica in cui il contribuente, dopo aver ottenuto larateazione, interrompa il pagamento delle somme dovute; ma l’operatività dell’attenuante inesamedovrebbeesserepreservatanei casi fisiologici incui le ratevenganoregolarmentepagatealle scadenzepattuite. La soluzione al problema, da adottarsi in prospettivade lege ferenda, nonpotendo la giurisprudenza indebitamente ingerirsi in tale questione, sarebbe - secondo l’A. - ilrilascio di un’adeguata garanzia in caso di pagamento rateale, il ché consentirebbe di contem-perare le esigenze del contribuente, da un lato, e quelle dell’Amministrazione finanziaria,dall’altro.

17 Interessante la recenteCass.,Sez. III, 11 febbraio2016,n. 5728, inGuidaal diritto, n. 10/2016, pag. 56, con commento di G. Amato, “Il pagamento rateale non blocca la misura mariduce l’importo”, nella quale laS.C., affrontandoper laprimavolta lenovità introdotte in temadalD.Lgs. n. 158/2015, ribadisce il consolidatoprincipio secondocui “lameraammissioneaunpiano rateale di pagamento o il parziale pagamento effettuato a tale ultimo titolo” è insuffi-ciente anche ai fini della nonoperatività della confisca ex art. 12-bisD.Lgs. n. 74/2000, essendo,queste, situazioni “che legittimano solo la riduzione del sequestro e/o della confisca nellamisura corrispondente ai parziali pagamenti intervenuti”; infatti, “solo l’integrale pagamentodel debito tributario, in virtù della necessità di evitare la sostanziale duplicazione dello stesso ein contrasto con il principio che l’espropriazione definitiva di un bene non può mai esseresuperiore al profitto derivato, può condurre alla non operatività della confisca e, correlativa-mente, alla revoca del sequestro imposto a tal fine”. In generale, sulla confisca prevista dall’art.12-bisD.Lgs. n. 74/2000, v., ex plurimis, G. Varraso, “La confisca (e il sequestro) e i nuovi reati

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Tale conclusione è corroborata, da un lato, dal dato testuale, il quale fainequivoco riferimento all’intervenuta “estinzione” del debito tributario, e,dall’altro, da una lettura teleologica della norma in esame, in quanto la ratioadessa sottesaèda rinvenirsinella concreta soddisfazionedell’Erario, tantoche è meritevole del trattamento premiale la sola condotta effettivamenteidonea ad apportare a questo un concreto ed effettivo beneficio in terminipatrimoniali.

Sintomatica della (apparente) frizione che può ingenerare un atteggia-mento così rigoroso è stata, tra l’altro, la proposizione della questione dilegittimità costituzionale dell’art. 13 (recte: comma 1) D.Lgs. n. 74/2000“nella parte in cui non prevede l’applicazione della speciale attenuantedell’estinzione del debito anche nell’ipotesi in cui l’imputato stia eseguendol’estinzione mediante pagamento rateizzato del debito fiscale determinatodall’Agenzia delle entrate” in quanto in contrasto con gli artt. 3, 24 e 111Cost.18, cheè stata, tuttavia,dichiaratamanifestamente inammissibiledallaCorte costituzionale19 per omessa descrizione della rilevanza e nonmanife-sta infondatezza.

In effetti, l’inapplicabilità dell’attenuante de qua nell’ipotesi in cui l’im-putato non abbia provveduto all’integrale pagamento dei tributi da luidovuti in quanto la relativa somma, determinata dall’Agenzia delle entrate,è stata oggetto di rateizzazione potrebbe, a prima vista, suscitare qualcheperplessità, che viene tuttavia fugata da un’analisi più attenta.

Le obiezioni, peraltro avanzate dalle difese degli imputati, sono semprestate respinte dalla Suprema Corte. Potrebbe sostenersi che la ratio dellarateizzazione consisterebbe proprio nel pagamento del debito, iscritto aruolo e richiesto per mezzo della cartella di pagamento, attraverso ratemensili, e che la stessa rateazione sarebbe prova della volontà di provvedereal pagamento integrale del debito. Senonché, non può paragonarsi talevolontà all’effettiva estinzione del debito stesso. Il pagamento rateale,infatti, non garantisce l’Erario rispetto all’adempimento complessivo adifferenza di quanto avviene a fronte di un pagamento in un’unicasoluzione.

Laddove la disposizione parla di “estinzione del debito” deve senz’altrointendersi, come detto, un effettivo e concreto adempimento, quale modoappunto di estinzione dell’obbligazione. Con la conseguenza che, ai fini delriconoscimento del beneficio di cui all’art. 13, non rilevano gli eventualiimpegni sostitutivi dell’esatto adempimento esperiti dal reo, quali

tributari”, inA.Giarda,A.Perini eG.Varraso,Lanuovagiustizia penale tributaria, cit., pag. 395;cfr., altresì, I. Caraccioli, “Reati tributari e confisca per equivalente”, inRiv. dir. trib., 2012, III,pag. 27.

18 Trib. Ferrara, ord. 20 settembre 2011, in Gazz.Uff. n. 4 del 25 gennaio 2013, 1a Seriespeciale, pag. 114.

19 Corte cost., 12 luglio 2013, n. 192, in Giur. cost., 2013, pag. 2736.

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rateizzazioni ovvero fideiussioni20. In tale ottica, è stata ritenuta insuffi-ciente, ad esempio, la dimostrazione documentale dell’ammissione allaprocedura di adesione all’accertamento prevista dalle norme tributarie eil fattodiaver iniziatoaversare ildebito tributariorateizzato,peraltrodietrogaranzia fideiussoria21.

Tuttavia, posto che l’attenuante di cui all’art. 13 è una circostanzaoggettiva ed è pacificamente ammessa l’ipotesi che l’adempimento siaeffettuato da un terzo rispetto all’imputato, potrebbe a prima vista paven-tarsiunaquestionedi legittimitàcostituzionaledell’art. 13, comma1,D.Lgs.n. 74/2000 in parte qua laddove non prevede il riconoscimento dell’atte-nuantenel casodi accordocon l’Amministrazione finanziariadi pagamentodilazionato assistito da fideiussione per un importo corrispondente aldebito oggetto di ammortamento, per violazione dell’art. 3 Cost., stante la(apparente) differenza di trattamento tra questa ipotesi e quella in cui unterzo soggetto tout court estingua il debito al posto dell’autore del reato.Questione che è, a nostro avviso, allo stato della normativa vigente, darespingere, dalmomento che la garanzia fideiussoria garantirebbe soltantounamera possibilità (in astratto) del pagamento,mentre la norma in esameè chiara nel richiedere un effettivo pagamento entro un preciso terminelegislativamente stabilito.

Pertanto, deve ritenersi che, laddove il fideiussore saldi il residuo ante-riormente alla data di apertura del dibattimento nulla quaestio; in casocontrario, il suo intervento successivo in garanzia sarebbe irrilevante22.

Se il suddetto orientamentomerita adesione, essoha tuttaviaportato, inconcreto, aduna rara applicazionedell’attenuante de qua, dalmomento cheil cospicuo importo da versare, comprensivo delle sanzioni amministrativecomminate, rendeva pressoché impossibile all’imputato estinguere l’interodebito prima dell’apertura del processo23.Merita, a tal proposito, rammen-tare la proposta avanzata da attenta dottrina24: il rinvio dell’apertura deldibattimento (o dello svolgimento del rito abbreviato) al momento in cuitutte le rate risultino saldate; rinvio da concedersi, in via di prassi, dal

20 Sulla inammissibilità di un versamento conseguente alla stipulazione di un’appositapolizza assicurativa ai fini dell’ottenimento dell’attenuante, si veda G. Pezzuto, Le circostanzeattenuanti, cit., pag. 295.

21 Cass., Sez. III, 19 giugno 2014, cit.22 Analoghe considerazioni dovrebberopotersi estendere anche al contratto autonomodi

garanzia (Garantievertrag), ancorché una clausola di pagamento “a prima richiesta”o “a primadomanda” pare maggiormente idonea a non vulnerare la pretesa del Fisco.

23 E. Marello, “Evanescenza del principio di specialità e dissoluzione del doppio binario:le ragioniperunariformadel sistemapunitivopenale tributario”, inRiv.dir. trib., 2013, III, pag.284, osserva, peraltro, che l’ottenimentodel sequestropreventivodapartedel Fisco sui beni delcontribuentepotrebbeprivarecostuidelladisponibilitàdelle risorsenecessarieper l’estinzionedel debito, con la conseguente impossibilità di vedersi riconosciuta l’attenuante previstadall’art. 13 o di accedere al patteggiamento.

24 C. Santoriello, La rateizzazione, cit., pag. 3777.

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giudice in favore dell’imputato che abbia dimostrato per tabulas l’otte-nuta rateizzazione dell’importo. Se non che tale prassi avrebbe potutocomportare, di contro, una eccessiva discrezionalità dell’Autorità giu-diziaria nel rinviare i procedimenti al fine di concedere il beneficio dicui all’art. 13. Con la conseguenza, tra l’altro, che un simile “rimedio”,senza possibilità di sospensione del termine prescrizionale, avrebberischiato di portare all’assoluzione di un elevato numero di imputatiper intervenuta prescrizione.

4. Riflessioni sulla compatibilità dell’orientamento giurisprudenzialeconsolidato con la riforma dei reati tributari (D.Lgs. n. 158/2015) e profili diincostituzionalità del nuovo art. 13, comma 3, D.Lgs. n. 74/2000 - A séguitodella riforma intervenuta col D.Lgs. n. 158/2015, la morfologia del regimedelle circostanzeprevisteper i reati tributari è sensibilmentedifferente.Vi è,pertanto, da chiedersi se l’elaborazione ermeneutica di dottrina e giurispru-denza, concretatasi in approdi conformi della III Sezione della Cassazione,possa ritenersi valida a séguito di tale importante novella o se agli operatoridel diritto si paleserà presto l’esigenza di ulteriore attività esegetica.

Centrale importanza riveste, ai fini della questione in esame, ilnuovo art. 13, comma 3, il quale, come accennato, prevede che, qualorail pagamento del debito tributario sia in corso mediante rateizzazioneprima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado,all’imputato deve obbligatoriamente essere concesso un termine di tremesi per il pagamento del residuo; ed attribuisce, altresì, al giudice lafacoltà di prorogare detto termine una sola volta per non oltre tre mesi(quindi una sorta di “polmone” finanziario di sei mesi concesso all’im-putato che stia provvedendo all’estinzione del proprio debito medianteversamenti dilazionati). Il tutto fermo restando la sospensione dellaprescrizione.

La ratio sottesaa taleprevisione risiederebbe, così comeesplicitatonellaRelazione illustrativaalla riforma,nella “sceltadi concedereal contribuentela possibilità di eliminare la rilevanza penale della propria condotta attra-verso una piena soddisfazione dell’Erario prima del processo penale: inquesti casi infatti il contribuente ha correttamente indicato il propriodebito, risultando in séguito inadempiente; il successivo adempimento,pur non spontaneo, rende sufficiente il ricorso alle sanzioniamministrative”25.

Benché ora l’estinzione, mediante pagamento, del debito tributariopossa rilevare vuoi come causa di non punibilità (rectius: di estinzione)dellacondottacriminosaexart. 13vuoicomecircostanzaattenuanteai sensidell’art. 13-bis, non si vede ragione per la quale non debba mantenersivalido l’orientamento giurisprudenziale (e dottrinale) vigente il precedente

25 Relazione illustrativa, in www.camera.it, pag. 11.

GIURISPRUDENZA PENALE TRIBUTARIA

Rassegna Tributaria 3/2016 - 769

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testo del D.Lgs. n. 74/200026; con l’unica ovvia considerazione che sarà daindividuarsi quale “mannaia” oltre la quale il saldo, comunque effettuato,debba ritenersi irrilevante non più il termine di cui all’art. 491 c.p.p., bensìquello che si verrà a determinare a séguito della proroga disposta dalgiudice27.

Ad escludere l’irrilevanza, ai fini dell’ottenimento dei benefici di legge,della mera dilazione del pagamento, ancorché garantita da fideiussione, èla nuova norma, che continua a fare espresso riferimento all’“estinzione”del debito tributario, comprese sanzioni amministrative ed interessi,mediante “integrale pagamento”. Ad essa sarebbe sottesa la medesimaratio che aveva animato il legislatore del 2000, ovvero la volontà di pre-miare il comportamento del reo che apporti un beneficio effettivo e con-cretoall’Erario.Posta inquesti termini laquestione, achi scrivepare, comedetto, che non possa mutare il predetto rigido atteggiamento della giuri-sprudenza di legittimità.

Fattosalvo,pertanto, l’approdogiurisprudenzialematuratosotto il testoprevigente, deve accogliersi con moderato favore, seppur con riserva, lascelta del legislatore, che, da un lato, si è onerato di elevare il pagamentodell’obbligazione tributaria a causa di non punibilità - coraggio che eramancato nel 2000, nonostante la libertà di azione concessa dalla Leggedelega - dall’altro lato, si è tentato di fronteggiare l’inconveniente praticodovuto a termini di pagamento così stringenti da non essere quasi mairispettati, con conseguente rara concessione dei benefici e vulnus dellapretesa creditoria del Fisco, che difficilmente riusciva a recuperare quantospettantegli. Secondo l’intento sottostante tale disposizione, mediante laprevisione della suddetta sospensione (trimestrale o, al massimo, seme-strale) del procedimento penale nelle more del pagamento, l’interessedell’Erario al recupero delle somme, giovandosi della collaborazione delcontribuente, dovrebbe essere, invece, maggiormente garantito28. Se non

26 Cfr., inoltre, la Relazione n. III/05/2015 dell’Ufficio del Massimario della Cassazione,cit., pag. 45.

27 InquestosensoancheC.Santoriello -A.Perini,Lariformadei reati tributari, cit., pag.76;contraR.Amadeo, subart. 13, cit., pag. 330, secondo laquale “[t]ale giurisprudenzaappareoggisuperata a fronte della modifica legislativa che espressamente estende la concessione dellacircostanza attenuante […] anche nelle ipotesi di pagamento rateale, prevedendo, tuttavia, uncostantemonitoraggiodapartedell’Autorità giudiziariaprocedente (nello specificodel giudicepresso il qualepende il dibattimento) edunascansione temporale limitata (tremesiprorogabilidi altri tre), al fine di evitare inadempienze da parte del contribuente”; G. Gambogi, La riformadei reati tributari, cit., pag. 398. Tuttavia, ad avviso di chi scrive, a voler utilizzare la prospettivaenucleata supra - che individua un diverso ancoraggio temporale quale termine ultimo dipagamento affinché questo sia utile al riconoscimento dell’attenuante -, non pare potersiaffermare che l’orientamentomaturato vigente il precedente art. 13 sia ora tout court superato.

28 Come osserva V. Mastroiacovo, Riflessi penali delle definizioni consensuali tributarie,cit., pag. 162, “[s]i assiste però ad un effetto conformativo della vicenda procedimentaletributaria sul procedimento e sul processo penale”.

L. MAGNANINI - RATEIZZAZIONE DEL DEBITO TRIBUTARIO

770 - Rassegna Tributaria 3/2016

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che tale termine, a fronte di quello quadriennale29 - e, nei confronti deiconcessionari della riscossione, finanche decennale30 - di rateizzazioneconsentito per le procedure di adesione, non pare agevolare in concreto ilcontribuente31, e la disposizione parrebbe poter essere addirittura soggettaa censure di incostituzionalità.

Nonèuncaso, infatti, che ladisposizionecosìcomevergatadallanovelladel D.Lgs. n. 158/2015 sia ora al vaglio della Corte costituzionale. IlTribunale di Treviso ha sollevato questione di legittimità costituzionale -tuttora pendente appunto - dell’art. 13, comma 3, D.Lgs. n. 74/2000 - cosìcome sostituito dall’art. 11 D.Lgs. n. 158/2015 - nella parte in cui “nonconsente [al giudice], almeno in determinati casi, di concedere un terminepiù lungo coincidente con lo scadere del piano di rateizzazione” per con-trasto con gli artt. 3 e 24 Cost.32.

Così comeimpostata, laquestioneparrebbe,anostroavviso, suscettibiledi accoglimento. La rilevanza del caso sub judice è evidente, in quanto taledisposizione, così plasmata, impedisce all’imputato, chiamato a risponderedel reato di omesso versamento di ritenute dovute e certificate di cui all’art.10-bisD.Lgs. n. 74/2000, di usufruire della causa di non punibilità, giacchéegli non potrebbe senz’altro completare il pagamento del debito tributarionel termine trimestrale (o anche in quello semestrale), essendo vincolato aquanto stabilito nel piano omologato in sede di concordato preventivo -nell’àmbito del quale aveva raggiunto una transazione fiscale ex art. 182-terl. fall., che prevedeva il pagamento rateale in linea capitale di quanto dovutoall’Erario nonché delle sanzioni e degli interessi; tuttavia, l’integrale estin-zione del debito sarebbe avvenuta, secondo quanto previsto dall’accordo,oltre ventidue mesi dopo l’udienza di apertura del dibattimento.

Quanto alla non manifesta infondatezza, invece, degne di rilievo sonoaltresì le considerazioni avanzate dal giudice remittente. Da un lato, comeperaltro suesposto, la disciplina sarebbe logicamente irragionevole nelprevedere, al ricorrere di condizioni predeterminate, procedure di adesioneche consentano una rateazione quadriennale (o addirittura decennale), enel richiedere, al finedielidere la rilevanzapenaledellapropriacondotta,un

29 Art. 8, comma 2, D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, come da ultimo modificato dall’art. 2,comma2,D.Lgs.24settembre2015,n.159,chehainnalzatoaquattroanni ilprevigenteperiodotriennale per gli importi superiori ai cinquantamila euro.

30 Art. 19, comma 1-quinquies, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.31 Per questa critica, A. Perini, La riforma dei reati tributari, cit., pag. 33.32 Trib. Treviso, ord. 23 febbraio 2016, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 4 aprile

2016;perunprimocommento,S.Finocchiaro, “Lanuovacausadinonpunibilitàperestinzionedel debito tributario posta al vaglio della Corte costituzionale da un’ordinanza del Tribunale diTreviso”, ibidem. Inoltre, inmerito alla compatibilità del nuovo art. 13 coi princìpi eurounitari,si veda l’ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’UnioneEuropea sollevataex art. 267 TFUEdaTrib. Varese, ord. 31 ottobre 2015, n. 588, inRass. trib., 2016, pag. 211, connota di S. Putinati, “Cause di non punibilità e circostanze attenuanti”.

GIURISPRUDENZA PENALE TRIBUTARIA

Rassegna Tributaria 3/2016 - 771

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termine (soltanto) semestrale. Un difetto di coordinamento, dunque, chenonpare trovaregiustificazionealcuna,oltreaporsi incontrastocon la ratiostessa della causa di non punibilità sopra richiamata.

Ancor più pregnante, dall’altro lato, si rivela la censura per “irragione-volezza giuridica”, in violazione dell’art. 3 Cost., quantomeno sotto duedifferenti profili. Inprimis, la concretapossibilitàdi accedereal beneficiodequo verrebbe fatta dipendere da variabili che esorbitano completamentedalla sfera volitiva, di materiale controllo dell’imputato, quali, tra l’altro, lacelerità con cui l’azione penale è esercitata nel caso concreto. Inoltre, lanorma tratta, ingiustificatamente, in modo eguale soggetti in situazionialquanto differenti, ovvero, da una parte, “chi, ammesso al pagamentorateizzato del debito tributario, ha la possibilità di scegliere di rinunciarealla rateizzazioneedi adempiere il residuodebitoentro il termine fissatodalgiudice (eventualmente prorogato di altri tre mesi), così andando esentedalla sanzione penale, e [dall’altra] chi non ha tale facoltà perché il piano dirateizzazione rientra nell’alveo di un concordato preventivo con conse-guente necessità di rispettare quanto in esso previsto”33. A séguito dell’am-missione al concordato, come noto, non sono, infatti, consentitiadempimenti lesivi della par condicio creditorum, pena la risoluzionedella procedura concordataria ex art. 186 l. fall. con le ulteriori gravoseconseguenze, inclusa la possibilità di essere imputato per bancarotta e nonpoter essere in futuro ammesso alla procedura di esdebitazione ex art. 142 l.fall. In ragione di ciò, richiamata una concezione pubblicistica della pro-cedura concordataria34, “se la dilazione di pagamento inserita in un con-cordato preventivo consente di superare il termine di pagamento del debitotributario fissato da norme incriminatrici - neutralizzando la rilevanzapenale dell’inosservanza dei termini di versamento - non si vede come lastessa dilazione possa rappresentare un ostacolo alla possibilità di giovarsidi una causa di esclusione della punibilità”35.

33 Trib. Treviso, ord. 23 febbraio 2016, cit.34 In questo senso v., da ultimo, Cass., Sez. III, 16 aprile 2015, n. 15853, in il fisco, 2015,

pag. 2067, connotadiC.Santoriello, “Escluso l’omessoversamento IVAper la societàammessaal concordato preventivo prima della scadenza del versamento”, richiamata dal giudice a quo;contra, exmultis, Id., 31 ottobre 2013, n. 44283, in Fall., 2014, pag. 262, con nota diM. Fabiani,“La falcidiabilità di tutti i crediti tributari e l’equivocodella letturadellaCassazione” ed inCorr.Trib., 2014,pag.43, concommentodiB.Santacroce -D.Pezzella, “Il concordatopreventivononesclude il reato di omesso versamento IVA: quali effetti sulle sanzioni tributarie?”, ivi, pag. 38,secondo la quale “l’accesso alla procedura di concordato è atto di autonomia privata, d’inizia-tiva del debitore, che mira a sfociare nel c.d. patto concordatario con i creditori”. In merito aldibattito sulla natura giuridica del concordato preventivo, oramai smorzato anche a séguitodella “miniriforma” della legge fallimentare operata dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83, conv., conmodif., in Legge 6 agosto 2015, n. 132, cfr., da ultimo, M. Bianca, “La nuova disciplina delconcordatoedegli accordidi regolazionedellacrisi: accentuazionedeiprofili negoziali”, inDir.Fall., 2015, I, pag. 529.

35 Trib. Treviso, ord. 23 febbraio 2016, cit.

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Da ultimo, il giudice a quo ravvisa la lesione del diritto di difesa tutelatodall’art. 24 Cost.36, in quanto la norma impedisce, senza ragione alcuna,all’imputatodipotersi avvalere, all’internodel ventagliodi opzioni difensiveesperibili, di una scelta che gli consentirebbe di andare esente daresponsabilità penale.

In estrema sintesi, nel caso de quo, l’imputato ha in corso il pagamentorateizzato del debito tributario secondo un piano rientrante nell’àmbito diun concordato preventivo, il quale prevede scadenze di pagamento che, almomento dell’istanza di rinvio proposta al giudice penale, vanno oltre iltermine massimo di sei mesi concedibile ex art. 13, comma 3, D.Lgs. n. 74/2000. Egli è, in definitiva, “privato della facoltà di scegliere di rinunciare aitermini dilatati di pagamento e di pagare il residuo debito tributario ed èprivato, quindi, anche della possibilità di usufruire della causa di nonpunibilità, perché è vincolato dal concordato preventivo”37.

5. Osservazioni conclusive - Laddove la predetta questione di legittimitàvenisseaccoltadallaCorte,nonèrevocabile indubbiochegli effetti premialie deflativi della recente riforma verrebbero sensibilmente amplificati, inragione della più intensa possibilità del reo di beneficiare dell’estinzione delreato o, in alternativa, quantomeno dell’attenuante, così che tali premialitàforse conquisterebbero, agli occhi del contribuente, quell’appeal che sino adora non hanno mai riscontrato.

Senonché, in caso di accoglimento in tal senso, si aprirebbe un vuotonormativo, in quanto, venendo di fatto a caducare il termine previsto daldato positivo, l’unica concreta possibilità da adottare sarebbe la sospen-sionedeldibattimento sinoall’intervenutaestinzionedeldebitonei tempididilazione concordati con l’Agenzia delle entrate38. Peraltro, in una prospet-tiva de jure condendo, sarebbe illegittimo qualsiasi termine il legislatorevolesse, in futuro, fissare laddove inferiore a quattro (o, al più, dieci) anni,dal momento che il ragionamento ora avanzato dal Tribunale di Trevisonella questione di legittimità costituzionale del prefato art. 13, comma 3,D.Lgs. n. 74/2000 potrebbe estendersi anche a tale caso.

Tuttavia, ammessoenonconcesso che sulpunto sia legittimoconcedereuna così ampia discrezionalità, foriera di inconvenienti, all’Autorità giudi-ziaria, la sospensione di un procedimento per un lasso di tempo

36 Si rammenti che, secondo Corte cost., 24 marzo 1994, n. 98, in Giur. cost., 1994, pag.892, esso è “inserito nel quadro dei diritti inviolabili della persona” e, come sottolineaM. Scaparone, “sub art. 24, comma II: Il diritto di difesa nel processo penale”, in G. Branca(a curadi),Commentario dellaCostituzione, Bologna-Roma, 1981, pag. 82, in lineadi principio,“garantisce [all’imputato] tutti i diritti, poteri e facoltà, non protetti da altre disposizionicostituzionali”.

37 Trib. Treviso, ord. 23 febbraio 2016, cit.38 Cfr. supra l’analoga proposta avanzata, vigente la disciplina precedente, da

C. Santoriello, La rateizzazione, cit., pag. 3777.

GIURISPRUDENZA PENALE TRIBUTARIA

Rassegna Tributaria 3/2016 - 773

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quadriennale o addirittura decennale (così come, nel caso, la conseguentesospensione del termine di prescrizione per un equivalente arco temporale)inattesadel saldodeldebito tributariopare,anostroavviso, incontrastoconaltri princìpi di assoluto rilievo quale, in primis, quello della ragionevoledurata del processo, assicurato, a livello interno, dall’art. 111, comma 2,secondo periodo, Cost.39, nonché, a livello sovranazionale, dall’art. 6, § 1,CEDU e dall’art. 14, § 3, lett. c) del Patto internazionale sui diritti civili epolitici.

Ciò senza considerare che tale prassi potrebbe portare ad un uso stru-mentale delle speciali procedure conciliative e deflative previste dalla legi-slazione fiscaledapartedel contribuente imputato, conconseguentevulnusdell’efficacia deterrente della normativa penal-tributaria.

Occorrerebbe, a parere di chi scrive, una incisiva revisione legislativa disistema, che coordinasse le disposizionimeramente fiscali-tributarie con lerispettive norme incriminatrici penali, dalmomento che ilmaggiore difettodella recente riforma risiede, forse, nel mancato coordinamento tra esse.Sarebbe opportuno, in prospettiva de jure condendo, un ripensamentoaffinché vengano fornite al contribuente premialità concretamente acces-sibili senza, al contempo, permettere ai giudici troppa discrezionalità nellaloro concessione, poiché, laddove tali benefici fossero riconosciuti coneccessiva “disinvoltura”, ciò si sostanzierebbe, di fatto, in un’abdicazionedello Stato alla sua potestà punitiva nel perseguimento di taluni reatifiscali40.

Forse la migliore soluzione - al fine della concessione di un beneficioall’imputato, vuoi sotto forma di causa estintiva del reato, vuoi di circo-stanza attenuante - potrebbe individuarsi, una volta vinti i timori di unipoteticomancato incasso da parte dell’Erario - timori che, comedetto, nonpossono essere superati, allo stato della disciplina vigente, dalla giurispru-denza41 -, nel riconoscimento della rilevanza del pagamento rateizzatogarantito da fideiussione, ancorché il debito non sia interamente estintoalla data di apertura del dibattimento. In tal modo, nel caso di pagamento

39 Comma inserito dalla Legge cost. 23 novembre 1999, n. 2.40 In tale prospettiva, si dovrebbe cercare di assicurare, per quanto possibile, la certezza

del diritto; come recentemente ricordato da E. De Mita, “La chimera della certezza nel dirittotributario”, inDir. prat. trib., 2015, I, pag. 613, “[i]l problema della certezza del diritto non puòessere risolto conuna legislazione empirica e tecnicamente difettosa”, talché “[n]onpuò esseredifeso a oltranzaunmetodo legislativo che toglie [di fatto] alla legge la funzionedi garanzia e leassegnasolo il ruolodella consacrazione formalediquelle che sono le valutazionidella finanza.Senza una funzione di garanzia la legge tributaria non avrebbe senso e avrebbero ragionecoloro i quali sostengono che la legge tributaria non ha valore sostanziale”.

41 La giurisprudenza, infatti, incontra uno scoglio ermeneutico nello stesso tessutonormativo - talché l’unica soluzione possibile si concretizza nel summenzionato orientamentorigoroso sinora adottato dalla S.C. - e non può ingerirsi in scelte che spettano unicamente allegislatore; non può essa disattendere il dato normativo, per quanto questo, alla luce di unalettura sistematica, difetti di coerenza e coordinamento tra disposizioni diverse.

L. MAGNANINI - RATEIZZAZIONE DEL DEBITO TRIBUTARIO

774 - Rassegna Tributaria 3/2016

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rateale coperto da polizza fideiussoria o fideiussione bancaria, la posizioneerariale sarebbe, infatti, comunque adeguatamente salvaguardata. Il solopregiudizio in cui rischierebbe di incorrere il Fisco sarebbe, al più, “unaminore celerità nell’incasso imputabile ai tempi necessari per l’escussionedella garanzia”42. Ma lo Stato non sconterebbe senz’altro il rischio dell’ina-dempimento del contribuente che abbia ottenuto una rateizzazione deldebito. E, per quest’ultimo, l’ottenimento di un concreto beneficio premialenon sarebbe più soltanto una lontana chimera.

LUCA MAGNANINIUniversità di Modena e Reggio Emilia

42 Analoghe considerazioni, sia pur sotto diversa prospettiva, in F. Rasi, L’attenuante delpagamento del tributo, cit., pag. 432.

GIURISPRUDENZA PENALE TRIBUTARIA

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GIURISPRUDENZA

DELLE CORTI EUROPEE

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IVA

4 CORTE DI GIUSTIZIA UE, Grande Sezione, causa C-105/14 dell’8settembre 2015 - Pres. V. Skouris - Rel. M. Berger

IVA - Imposte e tasse - Frodi inmateria IVA -Prescrizioneedecadenza -Sanzioni - Aiuti di Stato

Se il regime della prescrizione applicabile ai reati in materia di IVA risultantedal combinato disposto degli artt. 160, ultimo comma, e 161 c.p. è idoneo apregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’art. 325, § 1 e 2 TFUE,tale regime di prescrizione non può tuttavia essere valutato alla luce delledisposizioni in tema di aiuti di Stato, ed in specie dell’art. 107 TFUE, poiché,anche se il carattere effettivo e/o non dissuasivo delle sanzioni previste inmateria di IVA può eventualmente procurare un vantaggio finanziario alleimprese interessate, tutte le transazioni sono soggette al regime di IVA equalsiasi reato in materia di IVA è penalmente sanzionato, a prescindere dacasi particolari in cui il regime della prescrizione potrebbe privare determinatireati di conseguenze penali.

FATTO E DIRITTO - 1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sul-l’interpretazione degli artt. 101 TFUE, 107 TFUE e 119 TFUE nonché dell’art.158dellaDirettiva2006/112/CEdelConsiglio, del 28novembre2006, relativa alsistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU L 347, pag. 1).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento penale acarico dei sigg. T. e F., della sig.ra L. e dei sigg. S., S., S. e A. (in prosieguo,congiuntamente: gli “imputati”), ai quali viene imputata la costituzione e l’orga-nizzazione di un’associazione allo scopo di commettere più delitti in materia diimposta sul valore aggiunto (IVA).

CONTESTO NORMATIVOIl diritto dell’Unione

3 L’art. 325 TFUE prevede quanto segue:“1. L’Unione e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività

illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione stessa mediante misureadottateanormadel presentearticolo, chesianodissuasivee tali dapermettereuna protezione efficace negli Stati membri e nelle istituzioni, organi e organismidell’Unione.

2. Gli Stati membri adottano, per combattere contro la frode che lede gliinteressi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adottano per combatterecontro la frode che lede i loro interessi finanziari.

(...)”.

Rassegna Tributaria 3/2016 - 779

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La Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunitàeuropee

4A termini del preambolodellaConvenzioneelaborata inbaseall’articoloK.3del Trattato sull’Unione Europea relativa alla tutela degli interessi finanziari delleComunitàeuropee, firmataaLussemburgo il 26 luglio1995(GUC316,pag.48; inprosieguo: la “Convenzione PIF”), le parti contraenti di tale Convenzione, Statimembri dell’UnioneEuropea, sono convinti “che la tutela degli interessi finanziaridelle Comunità europee esige che ogni condotta fraudolenta che leda tali inte-ressi debba dar luogo ad azioni penali” e “della necessità di rendere tali condottepassibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive, fatta salval’applicazione di altre sanzioni in taluni casi opportuni, e di prevedere, almenonei casi gravi, delle pene privative della libertà”.

5 L’art. 1, paragrafo 1, della Convenzione PIF così dispone:“Ai fini della presente Convenzione costituisce frode che lede gli interessi

finanziari delle Comunità europee:(...)b) inmateria di entrate, qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa:- all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o

incompleti cui consegua la diminuzione illegittima di risorse del bilancio gene-rale delle Comunità europee o dei bilanci gestiti dalle Comunità europee o perconto di esse;

(...)”.6 L’art. 2, paragrafo 1, di tale Convenzione prevede quanto segue:“Ogni Statomembro prende lemisure necessarie affinché le condotte di cui

all’art. 1 nonché la complicità, l’istigazione o il tentativo relativi alle condottedescritte all’art. 1, paragrafo 1, siano passibili di sanzioni penali effettive,proporzionate e dissuasive che comprendano, almeno, nei casi di frodegrave, pene privative della libertà che possono comportare l’estradizione,rimanendo inteso che dev’essere considerata frode grave qualsiasi froderiguardante un importo minimo da determinare in ciascuno Stato membro.Tale importo minimo non può essere superiore a [EUR] 50.000 (...)”.

La Direttiva 2006/1127 L’art. 131 della Direttiva 2006/112 dispone che:“Leesenzioni previsteai capi da2a9 [del titolo IXdellaDirettiva2006/112] si

applicano, salvo le altre disposizioni comunitarie e alle condizioni che gli Statimembri stabiliscono per assicurare la corretta e semplice applicazione dellemedesimeesenzioni eperprevenireognipossibileevasione,elusioneeabuso”.

8 L’art. 138, paragrafo 1, di tale Direttiva prevede quanto segue:“Gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del

loro rispettivo territorio ma nella Comunità, dal venditore, dall’acquirente o perloro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo, o di un ente nonsoggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dalloStato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni”.

A. FRANCO - PRESCRIZIONE BREVE PER REATI IN MATERIA DI IVA

780 - Rassegna Tributaria 3/2016

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9 L’art. 158 della suddetta Direttiva dispone quanto segue:“1. (...) gli Statimembri possono prevedere un regimedi deposito diverso da

quello doganale nei casi seguenti:a) per i beni destinati a punti di vendita in esenzione da imposte (...);(...)2. Quando si avvalgono della facoltà di esenzione di cui al paragrafo 1, lett.

a), gli Stati membri adottano lemisure necessarie per assicurare l’applicazionecorretta e semplice di detta esenzione e per prevenire qualsiasi evasione,elusione e abuso.

(...)”.

La decisione 2007/436/CE10 L’art. 2, paragrafo 1, della decisione 2007/436/CE, Euratom del

Consiglio, del 7 giugno 2007, relativa al sistema delle risorse proprie delleComunità europee (GU L 163, pag. 17), è del seguente tenore:

“Costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio generale dell’UnioneEuropea le entrate provenienti:

(...)b) (...) dall’applicazionedi un’aliquota uniforme, valida per tutti gli Statimembri,

agli imponibili IVA armonizzati, determinati secondo regole comunitarie. (...)”.

Il diritto italiano11 L’art. 157 del Codice penale, come modificato dalla Legge 5 dicembre

2005, n. 251 (GURI n. 285, del 7 dicembre 2005; in prosieguo: il “Codicepenale”), articolo riguardante la prescrizione inmateria penale, prevede quantosegue:

“La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al mas-simodella penaedittale stabilita dalla legge e comunqueun temponon inferiorea sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione,ancorché puniti con la sola pena pecuniaria.

(...)”.12 L’art. 158 di tale Codice fissa l’inizio della decorrenza del termine della

prescrizione nel modo seguente:“Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno

della consumazione; per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l’attività delcolpevole; per il reato permanente, dal giorno in cui è cessata la permanenza.

(...)”.13 Ai sensi dell’art. 159 di detto Codice, relativo alle regole sulla sospen-

sione del corso della prescrizione:“Il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospen-

sionedel procedimentoodel processopenaleodei termini di custodia cautelareè imposta da una particolare disposizione di legge, oltre che nei casi di:

1) autorizzazione a procedere;2) deferimento della questione ad altro giudizio;

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Rassegna Tributaria 3/2016 - 781

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3) sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni diimpedimento delle parti e dei difensori ovvero su richiesta dell’imputato o delsuo difensore. (...)

(...)Laprescrizione riprende il suocorsodalgiorno incui ècessata lacausadella

sospensione”.14 L’art. 160 del medesimo Codice, che disciplina l’interruzione del corso

della prescrizione, così dispone:“Il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna o dal

decreto di condanna.Interrompono pure la prescrizione l’ordinanza che applica le misure caute-

lari personali e (...) il decreto di fissazione della udienza preliminare (...).Laprescrizione interrotta comincianuovamenteadecorreredal giornodella

interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall’ultimo diessi;ma in nessun caso i termini stabiliti nell’art. 157 possono essere prolungatioltre il termine di cui all’art. 161, comma2, fatta eccezioneper i reati di cui all’art.51, commi 3-bis e 3-quater, del Codice di procedura penale”.

15 A norma dell’art. 161 del Codice penale, relativo agli effetti della sospen-sione e dell’interruzione:

“La sospensione e l’interruzione della prescrizione hanno effetto per tutticoloro che hanno commesso il reato.

Salvo che si proceda per i reati di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, delCodicediprocedurapenale, innessuncaso l’interruzionedellaprescrizionepuòcomportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescri-vere (...)”.

16 L’art. 416 del Codice penale punisce con la reclusione fino a sette anni ipromotori di un’associazione finalizzata alla commissione di più delitti. Coloroche si limitano a partecipare ad una siffatta associazione sono puniti con lareclusione fino a cinque anni.

17 Ai sensi dell’art. 2 del Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, recantenuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto(GURI n. 76 del 31 marzo 2000; in prosieguo: il “D.Lgs. n. 74/2000”), lapresentazione di una dichiarazione IVA fraudolenta che menzioni fatture oaltri documenti relativi a operazioni inesistenti è punita con la reclusione daunannoeseimesi a sei anni. Alla stessapenasoggiace, ai sensi dell’art. 8delD.Lgs. n. 74/2000, chiunque emetta fatture per operazioni inesistenti al fine diconsentire a terzi l’evasione dell’IVA.

FATTI DELLA CONTROVERSIA PRINCIPALE E QUESTIONIPREGIUDIZIALI - 18 A carico degli imputati è stato promosso, dinanzi alTribunale di Cuneo, un procedimento penale con l’imputazione di aver costi-tuito e organizzato, nel corso degli esercizi fiscali dal 2005 al 2009, un’asso-ciazione per delinquere allo scopo di commettere vari delitti in materia di IVA.Essi vengono infatti accusati di aver posto in essere operazioni giuridiche

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fraudolente, note come “frodi carosello” - che implicavano, in particolare, lacostituzione di società interposte e l’emissione di falsi documenti - che avreb-bero consentito l’acquisto di beni, segnatamente di bottiglie di champagne, inesenzione da IVA. Tale operazione avrebbe consentito alla società Planet Srl(in prosieguo: la “Planet”) di disporre di prodotti a unprezzo inferiore aquello dimercato che poteva rivendere ai suoi clienti, in tal modo falsando dettomercato.

19 La Planet avrebbe ricevuto fatture emesse da tali società interposte peroperazioni inesistenti. Le stesse società avrebbero tuttavia omesso di presen-tare la dichiarazione annuale IVA o, pur avendola presentata, non avrebberocomunque provveduto ai corrispondenti versamenti d’imposta. La Planetavrebbe invece annotato nella propria contabilità le fatture emesse dalle sud-dette società interposte detraendo indebitamente l’IVA in esse riportata e, diconseguenza, avrebbe presentato dichiarazioni annuali IVA fraudolente.

20Dall’ordinanzadi rinvio emergeche, dopoche il procedimento sottopostoalla cognizionedelgiudicedel rinvioèstatooggettodi vari incidenti procedurali ea seguito del rigetto delle numerose eccezioni sollevate dagli imputati nell’am-bito dell’udienza preliminare svoltasi dinanzi a detto giudice, quest’ultimo èchiamato, da un lato, a pronunciare sentenza di non luogo a procedere neiconfronti di uno degli imputati, il sig. Anakiev, poiché i reati considerati risultanoestinti per prescrizione nei suoi riguardi. Dall’altro, egli dovrebbe emetteredecreto di rinvio a giudizio per gli altri imputati, fissando un’udienza dinanzi algiudice del dibattimento.

21 Il giudicedel rinvioprecisache i reati contestati agli imputati sonopuniti, aisensi degli artt. 2 e 8 del D.Lgs. n. 74/2000, con la reclusione fino a sei anni. Ildelittodiassociazioneperdelinquere,previstodall’art. 416delCodicepenale,dicui gli imputati potrebbero altresì essere dichiarati colpevoli, sarebbe invecepunitocon la reclusione finoasetteanniper i promotori dell’associazionee finoacinque anni per i semplici partecipanti. Ne consegue che, per i promotoridell’associazione per delinquere, il termine di prescrizione è di sette anni,mentre è di sei anni per tutti gli altri. L’ultimo atto interruttivo del termine sarebbestato il decreto di fissazione dell’udienza preliminare.

22 Orbene, nonostante l’interruzione della prescrizione, il termine dellamedesima non potrebbe essere prorogato, in applicazione del combinatodisposto dell’art. 160, ultimo comma, del Codice penale e dell’art. 161 dellostessoCodice (in prosieguo: le “disposizioni nazionali di cui trattasi”) oltre i setteanni e sei mesi o, per i promotori dell’associazione per delinquere, oltre gli ottoanni e nove mesi a decorrere dalla data di consumazione dei reati. Secondo ilgiudice del rinvio, è certo che tutti i reati, ove non ancora prescritti, lo sarannoentro l’8 febbraio 2018, ossia prima che possa essere pronunciata sentenzadefinitiva nei confronti degli imputati. Da ciò conseguirebbe che questi ultimi,accusati di aver commesso una frode in materia di IVA per vari milioni di euro,potranno beneficiare di un’impunità di fatto dovuta allo scadere del termine diprescrizione.

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23Adavvisodel giudicedel rinvio, tale conseguenzaera tuttavia prevedibilea causa dell’esistenza della regola sancita dal combinato disposto dell’art. 160,ultimo comma, del Codice penale e dell’art. 161, comma2, dello stessoCodice,regola che permettendo solamente, a seguito di interruzione della prescrizione,un prolungamento del termine di prescrizione di appena un quarto della suadurata iniziale, finisce in realtà col non interrompere la prescrizione nellamaggior parte dei procedimenti penali.

24 Orbene, i procedimenti penali relativi a una frode fiscale come quellacontestata agli imputati comporterebbero, di norma, indagini assai complesse,con la conseguenza che il procedimento si protrarrebbe a lungo già nella fasedelle indagini preliminari. La durata del procedimento, cumulati tutti i gradi digiudizio, sarebbe tale che, in questo tipo di casi, l’impunità di fatto costituirebbein Italia non un’evenienza rara, ma la norma. Peraltro, sarebbe spesso impos-sibile per l’amministrazione tributaria italiana recuperare l’importo di imposteche abbiano fatto oggetto del reato considerato.

25 In tale contesto, il giudice del rinvio ritiene che le disposizioni italiane di cuitrattasi autorizzino indirettamente una concorrenza sleale da parte di talunioperatori economici stabiliti in Italia rispetto ad imprese con sede in altri Statimembri, conconseguenteviolazionedell’art. 101TFUE.Peraltro, tali disposizionisarebbero idonee a favorire determinate imprese, in violazione dell’art. 107TFUE. Inoltre, dette disposizioni creerebbero, di fatto, un’esenzione non previstaall’art. 158, paragrafo 2, della Direttiva 2006/112. Infine, l’impunità de facto di cuigodrebbero gli evasori fiscali violerebbe il principio direttivo, previsto all’art. 119TFUE, secondo cui gli Stati membri devono vigilare sul carattere sano delle lorofinanze pubbliche.

26 Il giudice del rinvio ritiene tuttavia che, qualora gli fosse consentitodisapplicare le disposizioni nazionali di cui trattasi, sarebbe possibile garantirein Italia l’applicazione effettiva del diritto dell’Unione.

27 Sulla base di tali considerazioni, il Tribunale di Cuneo ha deciso disospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questionipregiudiziali:

“1) [S]e,modificando con Legge n. 251 del 2005 l’art. 160 ultimo commadelCodice penale italiano - nella parte in cui contempla un prolungamento deltermine di prescrizione di appena un quarto a seguito di interruzione, e quindi,consentendo la prescrizione dei reati nonostante il tempestivo esercizio del-l’azione penale, con conseguente impunità - sia stata infranta la norma a tuteladella concorrenza contenuta nell’art. 101 del TFUE;

2) Se, modificando con Legge n. 251 del 2005 l’art. 160 ultimo comma delCodice penale italiano - nella parte in cui contempla un prolungamento deltermine di prescrizione di appena un quarto a seguito di interruzione, e quindi,privando di conseguenze penali i reati commessi da operatori economici senzascrupoli - lo Stato italiano abbia introdotto una formadi aiuto vietata dall’art. 107del TFUE;

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3) Se, modificando con Legge n. 251 del 2005 l’art. 160 ultimo comma delCodice penale italiano - nella parte in cui contempla un prolungamento deltermine di prescrizione di appena un quarto a seguito di interruzione, e quindi,creando un’ipotesi di impunità per coloro che strumentalizzano la Direttivacomunitaria - lo Stato italiano abbia indebitamente aggiunto un’esenzioneulteriore rispetto a quelle tassativamente contemplate dall’art. 158 dellaDirettiva 2006/112/CE;

4) Se, modificando con Legge n. 251 del 2005 l’art. 160 ultimo comma delCodice penale italiano - nella parte in cui contempla un prolungamento deltermine di prescrizione di appena un quarto a seguito di interruzione, e quindi,rinunciando a punire condotte che privano lo Stato delle risorse necessarieanche a far fronte agli obblighi verso l’Unione Europea, sia stato violato ilprincipio di finanze sane fissato dall’art. 119 del TFUE”.

SULLE QUESTIONI PREGIUDIZIALISulla ricevibilità delle questioni

28 Il sig. Anakiev nonché i governi italiano e tedesco ritengono che lequestioni poste dal giudice del rinvio siano irricevibili. A tale riguardo, il sig.Anakiev rileva che le disposizioni di diritto nazionale che stabiliscono le regolesulla prescrizione per i reati in materia fiscale sono state oggetto di recentemodifica, ragion per cui le considerazioni del giudice del rinvio risultano infon-date. I governi italiano e tedesco sostengono, in sostanza, che le questioni diinterpretazioneposte dal giudice del rinvio sonopuramente astratte o ipotetichee non hanno alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedi-mento principale.

29 Inproposito, occorre rammentare che, secondocostante giurisprudenzadella Corte, nell’ambito della collaborazione tra quest’ultima e i giudici nazionaliistituita dall’art. 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui èstata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’e-mananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circo-stanze del caso, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale ai finidell’emanazione della propria sentenza sia la rilevanza delle questioni chesottopone alla Corte. Di conseguenza, allorché le questioni sollevate riguar-dano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenutaa statuire (v., in particolare, sentenza Banco Privado PortuguEs e MassaInsolvente do Banco Privado PortuguEs, C-667/13, EU:C:2015:151, punto 34e giurisprudenza ivi citata).

30Ne consegue che le questioni relative al diritto dell’Unione godono di unapresunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una questionepregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualoraappaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiestanon ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimentoprincipale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Cortenondispongadegli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere inmodo

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utile alle questioni che le sono sottoposte (v., in particolare, sentenza Halaf,C-528/11, EU:C:2013:342, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

31 Tuttavia, come in sostanza rilevato dall’Avvocato Generale ai paragrafi45eseguenti dellesueconclusioni, i presupposti chepossonocondurre laCortea rifiutare di pronunciarsi sulle questioni poste risultano, nel caso di specie,manifestamente insussistenti. Infatti, le indicazioni contenute nell’ordinanza dirinvio consentono alla Corte di formulare risposte utili per il giudice del rinvio.Inoltre, tali indicazioni sono idonee a consentire agli interessati menzionatiall’art. 23 dello Statuto della Corte di Giustizia dell’Unione Europea di pronun-ciarsi in modo efficace.

32 Peraltro, dall’ordinanza di rinvio risulta chiaramente che le questioniposte alla Corte non sono affatto di tipo ipotetico e che viene individuato unrapporto con la realtà effettiva della controversia principale, dato che taliquestioni vertono sull’interpretazione di varie disposizioni del dirittodell’Unione che il giudice del rinvio considera determinanti per la futura deci-sione che sarà chiamato a emanare nel procedimento principale, più precisa-mente per quel che riguarda il rinvio a giudizio degli imputati.

33 La domanda di pronuncia pregiudiziale deve pertanto essere dichiarataricevibile.

Sulla terza questione34 Con la sua terza questione, che è opportuno affrontare per prima, il

giudice del rinvio chiede, in sostanza, daun lato, se unanormativa nazionale inmateria di prescrizione del reato come quella stabilita dalle disposizioninazionali di cui trattasi - normativa che prevedeva, all’epoca dei fatti di cui alprocedimento principale, che l’atto interruttivo verificatosi nell’ambito di pro-cedimenti penali riguardanti reati in materia di IVA comportasse il prolunga-mento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale,consentendo in tal modo agli imputati di beneficiare di un’impunità di fatto -determini l’introduzione di un’ipotesi di esenzione dall’IVA non prevista all’art.158 della Direttiva 2006/112. D’altro lato, in caso di risposta affermativa a talequestione, il giudice del rinvio chiede se gli sia consentito disapplicare dettedisposizioni.

Sulla conformità al diritto dell’Unione di una normativa nazionale come quellastabilita dalle disposizioni nazionali di cui trattasi

35 Occorre in limine rilevare che, sebbene la terza questione faccia riferi-mento all’art. 158 della Direttiva 2006/112, emerge chiaramente dalla motiva-zione dell’ordinanza di rinvio che, con tale questione, il giudice del rinvio mira adeterminare, in sostanza, se una normativa nazionale come quella stabilitadalle disposizioni di cui trattasi non si risolva in un ostacolo all’efficace lottacontro la frode in materia di IVA nello Stato membro interessato, in modoincompatibile con la Direttiva 2006/112 nonché, più in generale, con il dirittodell’Unione.

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36A tale riguardo, si deve ricordare che, in base al combinato disposto dellaDirettiva 2006/112 e dell’art. 4, paragrafo 3, TUE, gli Stati membri hanno nonsolo l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative idonee agarantire che l’IVAdovuta nei loro rispettivi territori sia interamente riscossa,madevono anche lottare contro la frode (v., in tal senso, sentenza AkerbergFransson, C-617/10, EU:C:2013:105, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).

37 Inoltre, l’art. 325 TFUE obbliga gli Stati membri a lottare contro le attivitàillecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione con misure dissuasive edeffettive e, in particolare, li obbliga ad adottare, per combattere la frode lesivadegli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adottano per com-battere la frode lesiva dei loro interessi finanziari (v. sentenza AkerbergFransson, C-617/10, EU:C:2013:105, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).

38 La Corte ha in proposito sottolineato che, poiché le risorse propriedell’Unione comprendono in particolare, ai sensi dell’art. 2, paragrafo 1, lett.b), della decisione 2007/436, le entrate provenienti dall’applicazione di un’ali-quota uniforme agli imponibili IVA armonizzati determinati secondo regoledell’Unione, sussiste quindi un nesso diretto tra la riscossione del gettitodell’IVA nell’osservanza del diritto dell’Unione applicabile e la messa a dispo-sizione del bilancio dell’Unione delle corrispondenti risorse IVA, dal momentoche qualsiasi lacuna nella riscossione del primo determina potenzialmente unariduzione delle seconde (v. sentenza Akerberg Fransson, C-617/10, EU:C:2013:105, punto 26).

39Seèpur verochegliStatimembri dispongonodi una libertàdi sceltadellesanzioni applicabili, chepossonoassumere la formadi sanzioni amministrative,di sanzioni penali o di una combinazione delle due, al fine di assicurare lariscossione di tutte le entrate provenienti dall’IVA e tutelare in tal modo gliinteressi finanziari dell’Unione conformemente alle disposizioni della Direttiva2006/112 e all’art. 325 TFUE (v., in tal senso, sentenza Akerberg Fransson,C-617/10, EU:C:2013:105, punto 34 e giurisprudenza ivi citata), possonotuttavia essere indispensabili sanzioni penali per combattere in modo effettivoe dissuasivo determinate ipotesi di gravi frodi in materia di IVA.

40 Occorre del resto ricordare che, ai sensi dell’art. 2, paragrafo 1, dellaConvenzione PIF, gli Stati membri devono prendere le misure necessarieaffinché le condotte che integrano una frode lesiva degli interessi finanziaridell’Unione siano passibili di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissua-sive che comprendano, almeno nei casi di frode grave, pene privative dellalibertà.

41 La nozione di “frode” è definita all’art. 1 della Convenzione PIF come“qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa (...) all’utilizzo o alla pre-sentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti cui conseguala diminuzione illegittima di risorse del bilancio generale [dell’Unione] o deibilanci gestiti [dall’Unione] o per conto di ess[a]”. Tale nozione include, diconseguenza, le entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniformeagli imponibili IVA armonizzati determinati secondo regole dell’Unione. Questa

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conclusione non può essere infirmata dal fatto che l’IVA non sarebbe riscossadirettamente per conto dell’Unione, poiché l’art. 1 della Convenzione PIF nonprevedeaffatto unpresuppostodel genere, chesarebbecontrario all’obiettivoditale Convenzione di combattere con la massima determinazione le frodi cheledono gli interessi finanziari dell’Unione.

42 Nel caso di specie, dall’ordinanza di rinvio emerge che la normativanazionale prevede sanzioni penali per i reati perseguiti nel procedimentoprincipale, vale a dire, in particolare, la costituzione di un’associazione perdelinquere allo scopo di commettere delitti in materia di IVA nonché una frodenellamedesimamateria per varimilioni di euro. Si deve rilevare comesimili reaticostituiscano casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione.

43 Orbene, dall’insieme delle considerazioni svolte ai punti 37 e da 39 a 41della presente sentenza emerge che gli Stati membri devono assicurarsi checasi siffatti di frode grave siano passibili di sanzioni penali dotate, in particolare,di carattere effettivo e dissuasivo. Peraltro, le misure prese a tale riguardodevono essere le stesse che gli Stati membri adottano per combattere i casidi frode di pari gravità che ledono i loro interessi finanziari.

44 Il giudice nazionale è quindi tenuto a verificare, alla luce di tutte lecircostanze di diritto e di fatto rilevanti, se le disposizioni nazionali applicabiliconsentanodi sanzionare inmodoeffettivo edissuasivo i casi di frode grave cheledono gli interessi finanziari dell’Unione.

45Si deve in proposito precisare che né il giudice del rinvio né gli interessatiche hanno presentato osservazioni alla Corte hanno sollevato dubbi sul carat-tere dissuasivo, in sé, delle sanzioni penali indicate da detto giudice, ossia dellapena della reclusione fino a sette anni, e neppure sulla conformità al dirittodell’Unione della previsione, nel diritto penale italiano, di un termine di prescri-zioneper i fatti costitutivi di una frode che ledegli interessi finanziari dell’Unione.

46 Tuttavia, dall’ordinanza di rinvio emerge che le disposizioni nazionali dicui trattasi, introducendo una regola in base alla quale, in caso di interruzionedella prescrizione per una delle cause menzionate all’art. 160 del Codicepenale, il termine di prescrizione non può essere in alcun caso prolungato dioltre un quarto della sua durata iniziale, hanno per conseguenza, date lacomplessitàe la lunghezzadei procedimenti penali checonduconoall’adozionedi una sentenza definitiva, di neutralizzare l’effetto temporale di una causa diinterruzione della prescrizione.

47 Qualora il giudice nazionale dovesse concludere che dall’applicazionedelle disposizioni nazionali in materia di interruzione della prescrizione conse-gue, in un numero considerevole di casi, l’impunità penale a fronte di fatticostitutivi di una frodegrave,perché tali fatti risulterannogeneralmenteprescrittiprima che la sanzione penale prevista dalla legge possa essere inflitta condecisionegiudiziariadefinitiva,sidovrebbeconstatareche lemisureprevistedaldiritto nazionale per combattere contro la frode e le altre attività illegali cheledono gli interessi finanziari dell’Unione non possono essere considerateeffettive e dissuasive, il che sarebbe in contrasto con l’art. 325, paragrafo 1,

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TFUE, con l’art. 2, paragrafo 1, della Convenzione PIF nonché con la Direttiva2006/112, in combinato disposto con l’art. 4, paragrafo 3, TUE.

48 Inoltre, il giudice nazionale dovrà verificare se le disposizioni nazionalidi cui trattasi si applichino ai casi di frode inmateria di IVAallo stessomodocheai casi di frode lesivi dei soli interessi finanziari dellaRepubblica italiana, comerichiesto dall’art. 325, paragrafo 2, TFUE. Ciò non avverrebbe, in particolare,se l’art. 161, comma 2, del Codice penale stabilisse termini di prescrizione piùlunghi per fatti, di natura e gravità comparabili, che ledano gli interessifinanziari della Repubblica italiana. Orbene, come osservato dallaCommissioneEuropea nell’udienza dinanzi alla Corte, e con riserva di verificada parte del giudice nazionale, il diritto nazionale non prevede, in particolare,alcun termine assoluto di prescrizione per quel che riguarda il reato di asso-ciazione allo scopo di commettere delitti in materia di accise sui prodotti deltabacco.

Sulle conseguenze di un’eventuale incompatibilità delle disposizioni nazio-nali di cui trattasi con il diritto dell’Unione e sul ruolo del giudice nazionale.

49 Qualora il giudice nazionale giungesse alla conclusione che le disposi-zioni nazionali di cui trattasi non soddisfano gli obblighi del diritto dell’Unionerelativi al carattere effettivo e dissuasivo delle misure di lotta contro le frodiall’IVA, detto giudice sarebbe tenuto a garantire la piena efficacia del dirittodell’Unione disapplicando, all’occorrenza, tali disposizioni e neutralizzandoquindi la conseguenza rilevata al punto 46 della presente sentenza, senzache debba chiedere o attendere la previa rimozione di dette disposizioni in vialegislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale (v., in talsenso, sentenze Berlusconi e a., C-387/02, C-391/02 e C-403/02, EU:C:2005:270, punto 72 e giurisprudenza ivi citata, nonché Kucukdeveci,C-555/07, EU:C:2010:21, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).

50A tale riguardo, ènecessario sottolineare che l’obbligodegli Statimembridi lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione conmisure dissuasive ed effettive nonché il loro obbligo di adottare, per combatterela frode lesiva degli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adot-tano per combattere la frode lesiva dei loro interessi finanziari sono obblighiimposti, in particolare, dal diritto primario dell’Unione, ossia dall’art. 325, para-grafi 1 e 2, TFUE.

51 Tali disposizioni del diritto primario dell’Unione pongono a carico degliStati membri un obbligo di risultato preciso e non accompagnato da alcunacondizione quanto all’applicazione della regola in esse enunciata, ricordata alpunto precedente.

52 In forza del principio del primato del diritto dell’Unione, le disposizionidell’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE hanno l’effetto, nei loro rapporti con il dirittointerno degli Stati membri, di rendere ipso iure inapplicabile, per il fatto stessodella loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della legisla-zione nazionale esistente (v. in tal senso, in particolare, sentenza ANAFE,C-606/10, EU:C:2012:348, punto 73 e giurisprudenza ivi citata).

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53 Occorre aggiungere che se il giudice nazionale dovesse decidere didisapplicare le disposizioni nazionali di cui trattasi, egli dovrà allo stesso tempoassicurarsi che i diritti fondamentali degli interessati siano rispettati. Questiultimi, infatti, potrebbero vedersi infliggere sanzioni alle quali, con ogniprobabilità, sarebbero sfuggiti in caso di applicazione delle suddette disposi-zioni di diritto nazionale.

54A tale riguardo,diversi interessati chehannopresentatoosservazioniallaCorte hanno fatto riferimento all’art. 49 della Carta dei diritti fondamentalidell’Unione Europea (in prosieguo: la “Carta”), che sancisce i principi dilegalità e di proporzionalità dei reati e delle pene, in base ai quali, in particolare,nessunopuòesserecondannatoper un’azioneoun’omissioneche,almomentoin cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il dirittointernazionale.

55 Tuttavia, con riserva di verifica da parte del giudice nazionale, ladisapplicazione delle disposizioni nazionali di cui trattasi avrebbe soltantoper effetto di non abbreviare il termine di prescrizione generale nell’ambito diun procedimento penale pendente, di consentire un effettivo perseguimentodei fatti incriminati nonché di assicurare, all’occorrenza, la parità di tratta-mento tra le sanzioni volte a tutelare, rispettivamente, gli interessi finanziaridell’Unione e quelli della Repubblica italiana. Una disapplicazione del dirittonazionalesiffattanonviolerebbe idiritti degli imputati, quali garantiti dall’art. 49della Carta.

56 Infatti, non ne deriverebbe affatto una condanna degli imputati perun’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, noncostituiva un reato punito dal diritto nazionale (v., per analogia, sentenzaNiselli, C-457/02, EU:C:2004:707, punto 30), né l’applicazione di una sanzioneche, allo stesso momento, non era prevista da tale diritto. Al contrario, i fatticontestati agli imputati nel procedimento principale integravano, alla data dellaloro commissione, gli stessi reati ed erano passibili delle stesse sanzioni penaliattualmente previste.

57LagiurisprudenzadellaCorte europeadei diritti dell’uomo relativa all’art.7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dellelibertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, che sancisce diritticorrispondenti a quelli garantiti dall’art. 49 della Carta, avvalora tale conclu-sione. Secondo tale giurisprudenza, infatti, la proroga del termine di prescri-zione e la sua immediata applicazione non comportano una lesione dei dirittigarantiti dall’art. 7 della suddetta Convenzione, dato che tale disposizione nonpuò essere interpretata nel senso che osta a un allungamento dei termini diprescrizione quando i fatti addebitati non si siano ancora prescritti [v., in talsenso, Corte eur. D.U., sentenzeCoeme e a. c. Belgio, nn. 32492/96, 32547/96,32548/96, 33209/96e33210/96, §149,CEDU2000-VII; Scoppola c. Italia (n. 2)del 17 settembre 2009, n. 10249/03, § 110 e giurisprudenza ivi citata, e OAONeftyanaya Kompaniya Yukos c. Russia del 20 settembre 2011, n. 14902/04,§§ 563, 564 e 570 e giurisprudenza ivi citata].

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58 Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere allaterza questione che una normativa nazionale in materia di prescrizione delreato come quella stabilita dalle disposizioni nazionali di cui trattasi -normativa che prevedeva, all’epoca dei fatti di cui al procedimento princi-pale, che l’atto interruttivo verificatosi nell’ambito di procedimenti penaliriguardanti frodi gravi in materia di IVA comportasse il prolungamento deltermine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale - è idoneaa pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’art. 325, paragrafi 1e 2, TFUE nell’ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca diinfliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole dicasi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, o in cuipreveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Statomembro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per icasi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, circostanze chespetta al giudice nazionale verificare. Il giudice nazionale è tenuto a darepiena efficacia all’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, all’occor-renza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire alloStato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dall’art. 325,paragrafi 1 e 2, TFUE.

Sulle questioni prima, seconda e quarta59 Con la sua prima, seconda e quarta questione, da esaminarsi congiun-

tamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se un regime di prescrizioneapplicabile a reati commessi in materia di IVA, come quello previsto dalledisposizioni nazionali di cui trattasi nella loro versione vigente alla data deifatti di cui al procedimento principale, possa essere valutato alla luce degliartt. 101 TFUE, 107 TFUE e 119 TFUE.

60 Per quanto riguarda, in primo luogo, l’art. 101 TFUE, esso vieta tutti gliaccordi tra imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare ilcommercio tra gli Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto diimpedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercatointerno. Come in sostanza rilevato dall’AvvocatoGenerale al paragrafo 60 dellesue conclusioni, un’attuazione eventualmente carente delle disposizioni penalinazionali inmateria di IVA non ha tuttavia una necessaria incidenza su possibilicomportamenti collusivi tra imprese, contrari all’art. 101 TFUE, in combinatodisposto con l’art. 4, paragrafo 3, TUE.

61 Con riferimento, in secondo luogo, al divieto degli aiuti di Stato previstoall’art. 107 TFUE, occorre ricordare che una misura mediante la quale lepubbliche autorità accordino a determinate imprese un trattamento fiscalevantaggioso che, pur non implicando un trasferimento di risorse statali, collochii beneficiari in una situazione finanziaria più favorevole rispetto agli altri con-tribuenti costituisce aiuto di Stato ai sensi dell’art. 107, paragrafo 1, TFUE (v., inparticolare, sentenza P, C-6/12, EU:C:2013:525, punto 18 e giurisprudenza ivicitata).

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62 Orbene, se il carattere non effettivo e/o non dissuasivo delle sanzionipreviste inmateria di IVApuòeventualmente procurare unvantaggio finanziarioalle imprese interessate, l’applicazione dell’art. 107 TFUE non può tuttaviaassumere rilievo nel caso di specie, dal momento che tutte le transazionisono soggette al regime di IVA e che qualsiasi reato in materia di IVA èpenalmente sanzionato, a prescindere da casi particolari nei quali il regimedella prescrizione potrebbe privare determinati reati di conseguenze penali.

63 In terzo luogo, quanto all’art. 119 TFUE, tale disposizione menziona, alparagrafo 3, tra i principi direttivi che devono governare le azioni degli Statimembri nell’ambito dell’instaurazione di una politica economica e monetaria, ilprincipio secondo cui gli Stati membri devono vigliare sul carattere sano delleloro finanze pubbliche.

64 Orbene, si deve rilevare che la questione riguardante la conformità alsuddetto principio di finanze pubbliche sane delle disposizioni di diritto nazio-nale di cui trattasi, che possono lasciare impuniti determinati reati in materia diIVA, non rientra nella sfera di applicazione dell’art. 119 TFUE, dato che ilcollegamento tra talequestionee il suddettoobbligogravantesugliStatimembriè molto indiretto.

65 Alla luce di tali considerazioni, occorre rispondere alla prima, allaseconda e alla quarta questione che un regime della prescrizione applicabilea reati commessi in materia di IVA, come quello previsto dalle disposizioninazionali di cui trattasi nella loro versione vigente alla data dei fatti di cui alprocedimento principale, nonpuòessere valutato alla lucedegli artt. 101TFUE,107 TFUE e 119 TFUE.

SULLE SPESE - 66 Nei confronti delle parti nel procedimento principale lapresente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale,cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti perpresentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

P.Q.M. - Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:1) Una normativa nazionale inmateria di prescrizione del reato comequella

stabilita dal combinato disposto dell’art. 160, ultimo comma, del Codice penale,come modificato dalla Legge 5 dicembre 2005, n. 251, e dell’art. 161 di taleCodice - normativa che prevedeva, all’epoca dei fatti di cui al procedimentoprincipale, che l’atto interruttivo verificatosi nell’ambito di procedimenti penaliriguardanti frodi gravi in materia di imposta sul valore aggiunto comportasse ilprolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua duratainiziale - è idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’art.325, paragrafi 1 e 2, TFUE nell’ipotesi in cui detta normativa nazionale impedi-sca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole dicasidi frodegraveche ledonogli interessi finanziari dell’UnioneEuropea,o incuipreveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Statomembrointeressato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode

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che ledonogli interessi finanziari dell’UnioneEuropea, circostanzechespettaalgiudice nazionale verificare. Il giudice nazionale è tenuto a dare piena efficaciaall’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, all’occorrenza, le disposizioninazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato dirispettare gli obblighi impostigli dall’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE.

2) Un regime della prescrizione applicabile a reati commessi in materia diimposta sul valore aggiunto, come quello previsto dal combinato dispostodell’art. 160, ultimo comma, del Codice penale, come modificato dalla Legge5 dicembre 2005, n. 251, e dell’art. 161 di tale Codice, non può essere valutatoalla luce degli artt. 101 TFUE, 107 TFUE e 119 TFUE.

Brevi note suaiuti di Stato e selettivitàmateriale alla lucedella recentesentenzadellaCortediGiustiziaUErelativaallaprescrizionebreveperreati in materia di IVA

SOMMARIO. 1. Introduzione - 2. Aiuti di Stato e provvedimenti di condono nellagiurisprudenza recente della Corte di Giustizia UE - 3. La configurabilità di aiuti diStato nelle fattispecie oggetto della sentenza Taricco - 4. (segue) La distinzione tra“frodi gravi” e “non gravi” quale caso (paradossale) di selettività introdotto dallaCorte? - 5. Sull’esistenza di un vantaggio finanziario per talune imprese oproduzioni.

1. Introduzione - La Corte di Giustizia UE, nella sentenza dell’8 settembre2015 (causa C-105/2014), si è espressa in merito ad un rinvio pregiudizialeproposto dal Tribunale di Cuneo in relazione adiverse questioni, tra cui se ilregime di prescrizione c.d. breve possa rappresentare, nella sua applica-zione ai reati tributari (ed in specie ai reati in materia di IVA), un aiuto diStato ai sensi dell’art. 107 del Trattato sul funzionamento dell’UnioneEuropea (TFUE)1.

1 Tale articolo prevede al comma 1 che “salvo deroghe contemplate dai trattati, sonoincompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Statimembri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi formache, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concor-renza”. Più in generale, laCorte si è espressa su quattro questioni relative all’introduzione dellac.d. prescrizione breve nel 2005 (par. 27 della sentenza): “1) [s]e […] consentendo la prescri-zionedei reatinonostante il tempestivo eserciziodell’azionepenale, conconseguente impunità- sia stata infranta la norma a tutela della concorrenza contenuta nell’art. 101 del TFUE; 2) se[…] privandodi conseguenzepenali i reati commessidaoperatori economici senza scrupoli - loStato italiano abbia introdotto una forma di aiuto vietata dall’art. 107 del TFUE; 3) se […]creando un’ipotesi di impunità per coloro che strumentalizzano la Direttiva comunitaria - loStato italiano abbia indebitamente aggiunto un’esenzione ulteriore rispetto a quelle tassati-vamente contemplate dall’art. 158 della Direttiva 2006/112/CE; 4) se […] rinunciando a punirecondotte che privano lo Stato delle risorse necessarie anche a far fronte agli obblighi versol’Unione Europea, sia stato violato il principio di finanze sane fissato dall’art. 119 del TFUE”.Nel prosieguo si esaminerà unicamente la questione sub 2; per un commento relativo agli

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In tal modo, la Corte è stata chiamata a pronunciarsi anche su unanozione, quella di selettività, ed in particolare di selettività sul piano mate-riale, sempre più cruciale ai fini dell’individuazione di un aiuto di Stato, inquanto ne rappresenta un fondamentale elemento costitutivo2. Più in detta-glio, la Corte nega (conformemente a quanto rilevato dall’AvvocatoGenerale nelle Conclusioni) che possa riscontrarsi una misura aventecarattere selettivo nel ridotto termine di prescrizione di taluni reati inmateria di IVA e nella conseguente assenza, di fatto, di sanzioni penalieffettive in un numero significativo di casi3. Difatti, secondo la Corte ciò èinvero potenzialmente in grado di comportare un vantaggio finanziario perle imprese (quantomeno, rispetto ad altri ordinamenti più “restrittivi”),vantaggio che tuttavia vale indistintamente per tutte le imprese soggetteal diritto penale nazionale, e pertanto non può ritenersi selettivo in quantonon favorisce determinate imprese o settori di imprese rispetto ad altri4.

Nella sentenza in commento, la Corte sembra quindi decidere sostan-zialmente in conformità ad altre pronunce che hanno riguardato legisla-zioni “condonistiche”, ovverosia la sentenza 3M (sentenza 29 marzo 2012,causaC417/10) e l’ordinanzaSafilo (ordinanza 29marzo2012, causaC-529/10); tuttavia, come si esporrà nel prosieguo, tale decisione non era inveroscontata, tant’è che sembrano permanere alcune questioni in relazione allaselettività di fatto delle misure esaminate alla Corte. Di conseguenza, nelsuccessivo paragrafo saranno innanzitutto esaminati i principi enunciatidallaCorte nelle sentenze sopra citate, nonché la giurisprudenza europea inmateria di condono IVA, per poi esaminare la recente pronuncia ed effet-tuare alcune considerazioni in merito al concetto di selettività.

2.Aiuti di Stato e provvedimenti di condononella giurisprudenza recente dellaCorte di Giustizia UE - Come già accennato nel precedente paragrafo, ilrequisito della selettività rappresenta un elemento essenziale al fine dellaqualificazione di una misura come aiuto di Stato; tuttavia, nel diritto

aspetti penal-tributari e sulle problematiche di anti dalla possibile disapplicazione a dellaprescrizione in relazione al resto tributario in materia di IVA si veda O. Mazza, “Il sasso nellostagno: la sentenza europea sulla prescrizione e il crepuscolo della legalità penale”, in questaRivista, n. 6/2015, pag. 1552 ss. Per un commento generale alla sentenza si rinvia inoltre aM.Thione,M.Bargagli, “Contrastanocon il dirittoUElenormenazionali sullaprescrizionedeireati per gravi frodi IVA”, in il fisco, n. 37/2015, pag. 3569 ss.

2 Si veda al riguardo, tra le altre, le sentenze 6 settembre 2006, causa C-88/03 (Portogallo/Commissione, in merito al regime speciale per la Regione autonoma delle Azzorre), punto 54.

3 Conclusioni dell’Avvocato Generale Juliane Kokott presentate il 30 aprile 2015,punto 61.

4 La Corte afferma infatti (par. 62 della sentenza) che l’applicazione dell’art. 107 TFUEnon può essere invocata nel caso di specie, poiché “tutte le transazioni sono soggette al regimedi IVA” e “qualsiasi reato in materia di IVA è penalmente sanzionato, a prescindere da casiparticolari nei quali il regime della prescrizione potrebbe privare determinati reati di conse-guenze penali”.

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dell’Unionemancanoprecisi criteri identificativi della selettività, e pertantotale nozione è derivata in primo luogo dalla giurisprudenza comunitaria,soprattutto per quanto concerne la materia fiscale5.

Il principale approccio seguito dalla Corte nell’esame circa la selettivitàdi una norma tributaria è quello comparativo, ovverosia determinare(anche alla luce dello scopo del provvedimento interessato, come si vedràmeglio in seguito) se una determinata norma sia in grado di favorire alcuneimprese rispetto ad altre: infatti, se una misura non è selettiva (ovverosia,non favorisce alcune imprese rispetto ad altre che si trovano in una situa-zione fattuale e giuridica analoga), tale misura non costituisce aiuto diStato6. In altri termini, quindi, la verifica circa la compatibilità di unadisposizione nazionale con la disciplina in tema di aiuti di Stato deveappurare se tale disposizione benefici una o più imprese e non possaconseguentemente considerarsi come una misura di carattere generale,applicabile in maniera automatica ed in modo indiscriminato a tutte leimprese e i settori di uno Stato membro7.

A tale approccio consegue che il principale criterio nel valutare se unanorma tributaria sia selettiva o meno (ovverosia, il c.d. test di selettività)consiste nel fare riferimento ai principi del sistema fiscale dello Statomembro8. È necessario infatti esaminare se la norma in questione costitui-sca omenounaderoga al sistema fiscale nel suo complesso, poiché, nel casoin cui tale norma deroghi rispetto ai principi “ordinari” del sistema, tale

5 Cfr. F. Amatucci, “Il ruolo del giudice nazionale inmateria di aiuti fiscali”, inRass. trib.n. 5/2008, pag. 1282.

6 La norma in esame, infatti, non si pone l’obiettivo di censurare ogni misura potenzial-mente in grado di falsare la concorrenza,maunicamente imeccanismi che possono provocareuna discriminazione tre imprese, in quanto lemisure che hanno effetto sull’intera economia diunoStatoe sulla totalitàdel suo territoriononcostituisconoaiutidiStato,mamisurediportatagenerale che esprimono il potere degli Stati membri di definire la propria politica economica(G.Graziano, “Laselettivitàegli aiuti regionali”, inL.Salvini (acuradi),AiutidiStato inmateriafiscale, Padova, 2007). Pertanto, con specifico riferimento allemisure agevolative, è chiaro chelemisure agevolative di carattere generale non rientrano nella sfera di applicazione del divietodi aiuti di Stato, nella quale rientrano invece lemisure agevolative destinate a talune imprese oproduzioni,bensìal limitenelladisciplina inmateriadiarmonizzazionedelle legislazionidicuial Trattato. Occorre inoltre considerare che la selettività in materia fiscale può riguardarediversi ambiti, quali l’individuazione di un beneficiario o di un determinato settore, l’attribu-zione di un potere discrezionale all’Amministrazione finanziaria, o la previsione di criterimaterialmente o territorialmente selettivi (F. Amatucci, op. cit., in Rass. trib., n. 5/2008,pag. 1282).

7 R. Succio, “Il divieto di aiuti di Stato”, in C. Sacchetto (a cura di), Principi di dirittotributario europeo e internazionale, Torino, 2011, pag. 169; C. Fontana, Gli aiuti di Stato dinatura fiscale, Torino, 2012, pagg. 100-101.

8 È infatti chiaro, come rileva C. Fontana (op. cit., 2012, pag. 101), che le misure di “puratecnica” fiscale, quali la fissazione delle aliquote di imposta, le regole di deprezzamento e diammortamento, le regole in materia di riporto delle perdite fiscali, nonché le disposizioni perevitare la doppia imposizione e l’evasione fiscale, non siano vietate purché si applichinoindistintamente a tutte le imprese e a tutte le produzioni.

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deroga potrà essere considerata dalla Corte una forma di selettività dellamisura fiscale in contrasto con la disciplina in materia di aiuti di Stato.

Con riferimento ai provvedimenti di condono, l’ordinamento italiano èstatopiù volte interessatodapronuncedellaCortediGiustizia inmerito allalegittimità di tali norme con il diritto comunitario e con la disciplina degliaiuti di Stato. Tra le pronunce più recenti si possono annoverare le sentenze3M e Safilo, relative alla definizione delle controversie ultradecennali pen-denti in Cassazione ex art. 3, comma 2-bis, del D.L. n. 40/2010, le qualipresentano, sul tema degli aiuti di Stato, numerosi punti di contatto con lasentenza in commento9.

Più in dettaglio, in relazione alla disciplina in parola, la Corte di cassa-zione effettuò un rinvio pregiudiziale alla CGE, con ordinanza n. 18055 del4 agosto 2010, ritenendo sussistenti gli estremi per qualificare tale normacomeaiutodiStato, ed evidenziando la selettività dellamisura sullabasedelfatto che essa avrebbe procurato un vantaggio economico solamente ad unnumero ristretto di beneficiari10. La Corte UE, al contrario, affermò che lanormativa in questione, in quanto applicabile alla generalità dei contri-buenti, non poteva ritenersi selettiva per il solo fatto che essa fosse riservatasolo a coloro che si trovavano in una determinata fattispecie (ricorsoproposto da più di dieci anni, con l’Amministrazione finanziaria

9 In sintesi, tale norma fa riferimento alle controversie che alla data di conversione delD.L. n. 40/2010, ovverosia il 26 maggio 2010, erano pendenti da oltre dieci anni (i.e., il ricorsointroduttivo del giudizio è stato iscritto a ruolo entro la data del 25 maggio 2000) e che hannovisto soccombente l’Amministrazione finanziaria nei precedenti gradi di merito del giudizio;per ladefinizione insededigiudizidi legittimitàera richiesto ilpagamentodiun importoparial5% del valore della controversia e la presentazione di un’apposita istanza. Tale norma è quindiuna misura di definizione agevolata di carattere processuale, che sarebbe inquadrabile nellanozione di condono c.d. impuro (in quanto prevede non solo l’abbandono della pretesasanzionatoria,maanchedella riduzionedella pretesa impositiva) e che rimette al contribuentela scelta di usufruire o meno di tale norma, sulla base di una valutazione di opportunità e diconvenienza (V. Nucera, “La Corte di Giustizia si pronuncia sulla chiusura delle liti fiscaliultradecennali: la legislazione ‘condonistica’ italiana torna di scena in Europa”, in Rass. trib.n. 6/2012, pag. 1600). Sul tema si vedano anche M. Scuffi, “Aiuti di Stato e misure fiscali:i contributi della giurisprudenza tributaria italiana”, in Riv. dir. trib. n. 10/2012, pag. 925 ss.,G.Scifoni,E.Ribacchi, “Definizionedelle litiultradecennali e rilevanza ‘esclusiva’deigiudizidimerito secondo la Cassazione”, in Corr. Trib. n. 47/2013, pag. 3747 ss.

10 Rileva sul punto V. Nucera (op. cit., inRass. trib. n. 6/2012, pag. 1600) che “l’ordinanzadi rimessioneè interamentepercorsadaquesta tensionecriticache sembra, inalcunimomenti,trascendere la fattispecie concreta e la singola norma nazionale denunciata, coinvolgendol’istituto del condono fiscale in quanto tale […] di cui si prospetta l’idoneità quasi fisiologica aporsi in contrasto con i principi europei, soprattutto di concorrenza e non discriminazione.L’impressione è che la Cassazione non abbia voluto semplicemente sottoporre un dubbiointerpretativo,mapiuttosto stimolare laCorte diGiustizia aduna riflessione più generale sullalegittimità comunitaria dellemisure in questione, anche in considerazionedella loroperiodicariedizionedapartedel legislatore interno”. Sull’ordinanzadi rinviodellaSupremaCorte si vedainoltre F. Tundo, “Definizione agevolata delle liti ultradecennali tra abuso del diritto e aiuti diStato”, in GT - Riv. giur. trib., n. 11/2010, pag. 971 ss.

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soccombente nei primi due gradi di giudizio), poiché i contribuenti esclusidall’ambito di applicazione di tale norma “non si trova[va]no in una situa-zione fattuale e giuridica” analoga ai contribuenti che ne potevano benefi-ciare “in relazione all’obiettivo perseguito dal legislatore, che consiste nelgarantire il rispetto del principio del termine ragionevole”.

Da quanto sopra esposto si può evincere che nelle pronunce del 2012 laCorte non ha ritenuto che la selettività si possa basare solo sulla distinzionetra “violatori della legge” ed “operatori corretti”, essendo queste due cate-gorie di contribuenti in una situazione giuridica e fattuale per loro naturanon analoga11. Tuttavia, sembra potersi notare come l’esame circa la sussi-stenza della selettività non viene condotto dalla Corte in maniera, per cosìdire, “asettica”, ovverosiaavendoariferimentoesclusivamente lanozionediselettività enunciata all’inizio del presente paragrafo, bensì da un punto divista lato sensu teleologico, poiché viene posta in relazione con la finalitàdella norma e con altri principi di carattere generale12. In altri termini, unalegge di condono (seppur processuale) come la definizione delle liti ultra-decennali appare essere chiaramente selettiva se esaminata ex se: è infattievidente che per sua natura una tale misura sia limitata nel tempo e nelnovero dei soggetti potenziali beneficiari, e che essa sia difficilmente giu-stificabile sulla base della struttura generale del sistema fiscale13.

11 Autorevole dottrina ritiene che nell’ipotesi di legislazioni di condono si sia dinanzi adun palese aiuto di Stato, poiché “nelle numerose fattispecie in cui la legge di condono ha comedestinatarie le imprese […] e nelle quali il premio non consiste solo nell’abbandono dellesanzioni ma anche nella manipolazione degli indici di riparto e nel parziale azzeramento deltributo, palesemente si viene ad accordare un aiuto di Stato alle imprese, aiuto non riservato atutti gli operatori ma ad una esigua parte di essi (i violatori della legge)” (G. Falsitta,Giustiziatributaria e tirannia fiscale,Milano, 2008, pag. 316). Sulla stessa linea, proprio al riguardodelladefinizione agevolata delle liti ultradecennali, è stato affermato che tale disciplina “rischia […]di consolidareunasituazionedidisparitàdi trattamento trachiha fatto ilpropriodovere fino infondo e chi, invece, non lo ha fatto” (M. Beghin, “Definizione delle liti ultradecennali traprincipi generali di diritto comunitario e costituzionale”, in Corr. Trib. n. 40/2010, pag. 3273).

12 Sulla natura relazionale della selettività si vedaG.Bizioli (Il processo di integrazione deiprincipi tributari nel rapporto fra ordinamento costituzionale, comunitario e diritto internazio-nale, Padova, 2008, pag. 171), secondo cui “il concetto di selettività non è […] un concettoassoluto ma di relazione, poiché richiede di individuare e comparare le disposizioni fiscali difavore ed il regime tributario ‘ordinario’ (o ‘generale’)”.

13 V.Nucera, op. cit., inRass. trib.n. 6/2012, pag. 1600. In relazione a tali circostanze (chesembrano invero confermare la selettività della norma, anziché smentirla) la CGE, nellasentenza 3M, specifica che “il fatto che solo i contribuenti che soddisfano tali condizionipossono beneficiare di detta misura non può, di per sé, conferire a quest’ultima carattereselettivo […] i soggetti chenonpossonoavervi dirittononsi trovano inuna situazione fattuale egiuridica analoga a quelli di detti contribuenti in relazione all’obiettivo perseguito dal legi-slatore nazionale, che consiste nel garantire il rispetto del principio del termine ragionevole. Èero che l’applicazione di detta misura è limitata nel tempo […] Tuttavia, da un lato, talelimitazione è inerente a questo tipo di misure, che possono essere soltanto circoscritte neltempo […]”.

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Se l’esame della giurisprudenza della Corte fosse circoscritto a quantoappena indicato, si potrebbe forse concludere che, per il fatto che lemisureinparola sonoselettive, esse siano inogni casodaconsiderarsi aiutidiStato,equindi che la loro legittimitànell’ordinamentocomunitariopossaderivaresolamentedauncontemperamento,dapartedellaCorte,deidiversiprincipicontenuti nel TFUE. In altri termini, si potrebbe affermare che tali misuresono comunque da qualificarsi come aiuti di Stato, per quanto “tollerati”dallaCorte poichéposti in relazione conaltri principi di pari rango.Occorretuttavia considerare un altro dato importante riscontrabile nella giurispru-denza della Corte, ovverosia che il carattere selettivo di una misura fiscalenonqualificanecessariamente la stessaquale aiutodiStato. In altri termini,può essere che una misura sia selettiva, in quanto favorisce determinateimprese o produzioni,ma che essa non costituisca un aiuto di Stato. Infatti,come ha affermato la CGE, il carattere selettivo di una misura può esseregiustificato “dalla natura o dalla struttura del sistema”14.

Tale giustificazione sembra essere, nella ricostruzione dell’iter interpre-tativo della Corte di Giustizia, decisiva nell’affermare la legittimità delledisposizioni inesamee lanonconfigurabilitàdelle stessequaliaiutidiStato:difatti, la differenza tra la situazione fattuale e giuridica tra le impresepotenziali beneficiarie e le altre imprese, pur presente e riscontrabilesulla base di una comparazione per così dire statica, non indurrebbe aritenere tale selettività come rilevante ai fini della disciplina degli aiuti diStato poiché messa in relazione all’obiettivo perseguito dal legislatorenazionale (ovverosia, garantire il rispetto del principio del termineragionevole)15.

3. La configurabilità di aiuti di Stato nelle fattispecie oggetto della sentenzaTaricco - I principi sopra delineati con riferimento alla giurisprudenza dellaCorte di Giustizia in materia di selettività nelle legislazioni condonistiche,con particolare riferimento alle sentenze Safilo e 3M, sembrano essereriscontrabili anche nella sentenza in oggetto, tanto più che l’obiettivoperseguito dal legislatore nazionale appare essere, anche nel caso dellac.d. prescrizione breve, il rispetto del termine ragionevole del processo.

14 Commissione Europea, decisione 13 marzo 1966, n. 96/369/CEE, e causa C-173/73.15 Più in dettaglio, in relazione alle circostanze dei soggetti beneficiari e delle limitazioni

temporali (che sembrano invero confermare la selettività della norma, anziché smentirla) laCGE nella sentenza 3M (parr. 42-43) specifica che “il fatto che solo i contribuenti che soddi-sfano tali condizioni possono beneficiare di detta misura non può, di per sé, conferire aquest’ultima carattere selettivo […] i soggetti che non possono avervi diritto non si trovanoin una situazione fattuale e giuridica analoga a quelli di detti contribuenti in relazioneall’obiettivo perseguito dal legislatore nazionale, che consiste nel garantire il rispetto delprincipio del termine ragionevole. È vero che l’applicazione di detta misura è limitata neltempo […] Tuttavia, da un lato, tale limitazione è inerente a questo tipo dimisure, che possonoessere soltanto circoscritte nel tempo […]”.

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Infatti, nella sentenza Taricco il giudice del rinvio rileva che le disposi-zioni italiane inmateria di prescrizione comportino una impunità di fatto eche quindi sarebbero idonee a favorire determinate imprese16. Secondol’AvvocatoGenerale, è correttoaffermareche l’attuazionecarentedellepenenel settore dell’IVA possa rappresentare un vantaggio finanziario per leimprese, tuttavia tale vantaggio non avrebbe natura selettiva, in quantonon favorisce determinate imprese o settori, ma si applicherebbe indistin-tamente per tutte le imprese soggette al diritto penale internazionale17.

Comegià accennato, la Corte conferma sostanzialmente l’impostazionedell’Avvocato Generale, e afferma (al par. 62 della sentenza) che l’applica-zione dell’art. 107 TFUE non può essere invocata nel caso di specie, poiché“tutte le transazioni sono soggette al regime di IVA” e “qualsiasi reato inmateria di IVA è penalmente sanzionato, a prescindere da casi particolarinei quali il regime della prescrizione potrebbe privare determinati reati diconseguenze penali”.

Sembra quindi che la Corte abbia confermato, in sostanza, un principiogià applicato dal Tribunale (Seconda Sezione ampliata) con i recenti casiSantander (T-399/11) eAutogrill España (T-219/10), inmerito alla necessitàdi identificare la categoria di imprese avvantaggiate dalla misura che siritiene costituire un aiuto fiscale, ed alla differenza tra avvantaggiare taluneoperazioni economiche in luogo di talune imprese o produzioni.

Nei casi in parola, infatti, alcune imprese spagnole impugnarono ladecisione 2011/282/UE della Commissione Europea, che aveva dichiaratoincompatibile con il mercato comune il regime fiscale spagnolo relativoall’acquisto di partecipazioni azionarie da parte delle imprese, che si diffe-renzia a seconda che la società target sia o meno stabilita in Spagna o in unaltro Statomembro (attribuendo peraltro un trattamento più deteriore alleoperazioni interne rispetto a quelle internazionali)18. Al riguardo, ilTribunale ha rilevato come il beneficio ad una categoria di operazionieconomiche non equivalga (quantomeno, non necessariamente) al benefi-cio a talune imprese o produzioni, essendo solo il secondo ad essere censu-rato dall’art. 107 TFUE (secondo cui sono incompatibili, appunto, solo lemisure che favoriscono “talune imprese o talune produzioni”). Pertanto, sela misura che si asserisce rappresentare un aiuto di Stato non riguarda unacategoria di imprese o produzioni, ma solamente una categoria di opera-zioni economiche, tale misura non sarà selettiva e quindi non potrà essere

16 Parr. 24 e 25 della sentenza.17 Conclusioni dell’Avvocato Generale, par. 62.18 Tale regime prevede infatti che, se la società target è residente in uno Stato membro

diverso dalla Spagna, l’impresa acquirente può dedurre dalla propria base imponibile l’avvia-mento finanziario derivante dall’acquisizione. Su tale sentenza si veda L. Calzolari, “Laselettività degli aiuti di Stato e il principio di parità di trattamento delle imprese nella recentegiurisprudenza della CGE”, in Diritto del Commercio Internazionale, n. 2/2015, pag. 481 ss.

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qualificata come aiuto di Stato, ameno che non sia congegnata inmodo daescludere di fatto a priori alcune categorie di imprese19.

Tali affermazioni sembranovalere anchenella sentenzaTaricco, poichéanche in tal caso si avvantaggiano (rectius, non si sanzionano) determinateoperazioni le quali possono essere potenzialmente poste in essere da tutte lecategorie di imprese o di produzioni, poiché, appunto, “tutte le transazionisono soggette al regime di IVA” e “qualsiasi reato in materia di IVA èpenalmente sanzionato”. La Corte, quindi, ricomprende le norme in temadi prescrizione per i reati IVA nel novero dellemisure generali, ovverosia diquelle misure predisposte in relazione a tutti gli agenti economici operantisul territorio di uno Stato membro20.

Quanto appena descritto non comporta, tuttavia, che la decisione sopradescritta fosse l’unica possibile. Infatti, per qualificare una misura come“generale”, e quindi sottrarre la stessa dalla nozione di selettività, occorreche talemisura non sia solamente in astratto applicabile a tutti gli operatorieconomici, ma deve essere concretamente destinata a tutte le imprese eproduzioni.

Da ciò si capisce come, a ben vedere, sarebbe stato possibile anche unesito diverso, qualora il giudice del rinvio avesse dimostrato in manieraevidente che di fatto la prescrizione breve in materia di IVA aveva concre-tamente l’effetto di avvantaggiare (in misura esclusiva, o quantomenosignificativamente prevalente) una categoria di imprese o di produzioni21.

Se nella sentenza Taricco il giudice del rinvio sembra limitarsi a pro-spettare il possibile contrasto con la normativa in materia di aiuti di Stato,senza addurre considerazioni circa la categoria di imprese o le produzioniavvantaggiate dalla prescrizione breve in materia di IVA, in realtà sipotrebbe sostenere che la prescrizione breve avvantaggi di fatto in misuramaggiore certe categorie di imprese rispetto ad altre. Èdi interesse a tal fineconsiderare lamotivazionedi fondodel rinvioallaCortedapartedel giudicenazionale,ovverosia il fattoche iprocedimentipenali relativiaduna frode inmateriadi IVAcomportanodinorma indaginimolto complesse epertanto ilprocedimento si protrae a lungo già nella fase delle indagini preliminari22.

Ciò varrebbeadire, quindi, che le frodi più complesse sono ingenerepiù“beneficiate” dalla prescrizione, mentre alle frodi più semplici non si appli-cherebbe di regola il “beneficio” della prescrizione. Per cui, se si riuscisse aricollegare l’effettuazione di frodi più complesse ad una determinata cate-goria di imprese o di produzioni si potrebbe forse sostenere che di fatto la

19 Sentenza T-399/11, parr. 57-66.20 C. Fontana, op. cit., pag. 101.21 Infatti, dalle sentenzeSantander eAutogrill España sembra evincersi come sia onere di

chi ritiene che la misura costituisca aiuto di Stato di dimostrare la categoria di imprese o diproduzioni avvantaggiata.

22 Par. 24 della sentenza.

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prescrizionebreve inmateriadi IVAhauneffetto selettivo; e forseproprio inciò, ovverosia nell’assenza di tale nesso tra operazioni e categoria diimprese, che sta l’impossibilità di qualificare come selettiva una siffattamisura.

4. (segue) La distinzione tra “frodi gravi” e “non gravi” quale caso(paradossale) di selettività introdottodallaCorte? -Alla lucediquantoappenaesposto, sembra possibile soffermarsi su un aspetto peculiare, e financoparadossale, dell’esame della selettività con riferimento alla norma inesame, ovverosia il fatto che la sentenza stessa, effettuando una distinzionetra frodi gravi e non gravi, “rischia” di introdurre involontariamente essastessa una sorta di selettività di fatto23.

Difatti, la conseguenza pratica della decisione della Corte è che laprescrizione breve potrà essere disapplicata dal giudice nazionale per lefrodi gravi,mentre non sarà disapplicata per le frodi non gravi, per cui, se laCGE ha riconosciuto che anche una norma che attribuisce un trattamentoegli operatori economici subase discrezionale può essere selettiva (è il caso,ad esempio, degli administrative ruling e della sentenza C-295/97), alloraanche una norma che può essere disapplicata selettivamente distinguendotra “violatori gravi” e “violatori non gravi” potrebbe rientrare in linea diprincipio nel concetto di selettività.

Peraltro, se la Corte, con la sentenza in commento, non fornisce uncriterio per valutare la gravità della frode, è pur vero che (essendo ilriferimento all’art. 325, parr. 1 e 2 TFUE in merito agli interessifinanziari dell’Unione) con ogni probabilità il concetto di gravitàdovrà innanzitutto fondarsi su un dato quantitativo, e di conseguenzale frodi di minore importo (che non ledono, quindi, in misura sensibilegli interessi finanziari dell’Unione) saranno “beneficiate” dalla non-disapplicazione della prescrizione breve, mentre le frodi di maggioreimporto sarebbero invece “penalizzate” dalla disapplicazione di talenormativa. Pertanto, se come nel caso in esame la sentenza dellaCorte, in quanto organo di interpretazione, non è auto-applicativa (omeglio, come rileva autorevole dottrina, non è auto-disapplicativa del

23 A tal fine è necessario ricordare un aspetto fondamentale: secondo la sentenza Tariccola c.d. prescrizione breve non va disapplicata dal giudice nazionale in tutti i casi di frode, masolo nei casi di frode grave. Per cui occorre esaminare innanzitutto se il requisito della gravitàsia un elemento di selettività, anche in ragione del fatto che la Corte non indica espressamentecosa si intende per “gravità” della frodi. Cfr. O. Mazza (op. cit., pag. 1554), secondo cui “ilgiudice interno dovrebbe stabilire, anzitutto, se la frode IVA che è chiamato a giudicare siagrave: ovviamente la Corte europea non fornisce alcuna indicazione quantitativa che consentadi definire in modo generale e tassativo il concetto di gravità. Si affaccia immediatamente unproblema di difficile soluzione: può la libera discrezionalità del giudice stabilire, per di più inmodo casistico, il presupposto applicativo di un istituto di diritto penale qual è certamente laprescrizione del reato?”.

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diritto interno)24 salvo che per i reati associativi in materia di frodi IVA,ci si chiede se questo potere discrezionale del giudice di discriminaretra frodi gravi e frodi non gravi non introduca esso stesso una forma diselettività.

Anche in tal caso, per quanto la domanda appaia paradossale, larisposta non sembra scontata. Se si guarda alla nozione di selettivitàdescritta nei precedenti paragrafi, la risposta potrebbe essere afferma-tiva, soprattutto se il concetto di gravità è legato principalmente adun’analisi di tipo quantitativo: infatti, disapplicare la prescrizione brevesolo per le frodi gravi (intese come quantitativamente più rilevanti)potrebbe condurre in sostanza a discriminare una categoria di imprese,ovverosia le imprese con dimensioni medio-grandi, a scapito dellepiccole e medie imprese: è chiaro che, con ogni probabilità, le impresedi dimensione più grande sono suscettibili di porre in essere (ceterisparibus, ovviamente) frodi quantitativamente più rilevanti rispetto alleimprese di dimensione più piccola25.

D’altro canto, alle considerazioni appena svolte si potrebbe facilmenteobiettare che la discriminazione tra frodi gravi e non gravi, in quantoeffettuata non dall’amministrazione statale, bensì dal giudice, è chiara-mente ricompresa nel novero dei poteri attribuiti a quest’ultimo (e quindicostituirebbe espressione di un potere generale del tutto inerente all’ordi-namento) e non potrebbe quindi essere assimilata ai casi in cui le autoritànazionali si riservano il potere di indicare in concreto e discrezionalmente ibeneficiari di una determinata misura.

5. Sull’esistenza di un vantaggio finanziario per talune imprese o produzioni -Oltreal temadellaselettività, vi sarebbeunasecondaragionepercui lasceltadella Corte di non applicare l’art. 107 del Trattato al caso in esame apparepiuttosto condivisibile, in merito all’asserita sussistenza di un vantaggiofinanziario per determinate imprese o produzioni.

Difatti, sembra potersi considerare che, al di là del profilo dellaselettività (che potrebbe financo ritenersi presente, se sono soddisfatte lecondizioni esposte retro) sia comunque piuttosto incerto il vantaggio alquale sarebbero esposte talune imprese in luogo di altre, né il giudice delrinvio appare averlo pienamente illustrato (se non quale corollario dellaalterazione della concorrenza tra imprese).

Infatti, secondo l’Avvocato Generale (par. 61 delle Conclusioni) “è veroche l’attuazione carente delle pene nel settore dell’IVA può eventualmentecomportare un vantaggio finanziario per le imprese” (affermazione poi

24 O. Mazza, op. cit., pag. 1556.25 Anchealla lucedel fatto che inpassato si è ritenutochedebbanoesserequalificatecome

selettive leagevolazioni lacui fruizioneèsubordinataalledimensionioallecaratteristichedelleimprese. Cfr. G. Graziano, op. cit., pag. 226.

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ripresa dalla Corte nella sentenza), tuttavia tale espressione non sembradoversi leggere come una affermazione incontrovertibile del fatto che pertali imprese sussista un effettivo vantaggio finanziario; in tal senso depone,oltre all’avverbio “eventualmente”, anche il fatto che non viene individuatoun rapporto di causa-effetto tra mancanza di effetto dissuasivo delle san-zioni penali in materia di IVA e vantaggio finanziario. Pertanto, tale affer-mazione dovrebbe forse leggersi “anche assumendo (ovverosia, ammesso enon concesso) che sussista un vantaggio finanziario”, in maniera peraltrosimile alle sentenze3MeSafilo; ossia, sembrapiuttosto che, non ravvisandoprofili di selettività, né l’Avvocato Generale né la Corte ritengano utileapprofondire se sussista, e quale sia, il vantaggio finanziario nel caso inesame.

Ed invero, l’unico vantaggio che si può ipotizzare nelle fattispeciecontemplate dalla sentenza Taricco sarebbe sostanzialmente il fatto che,essendo impossibile per l’Amministrazione finanziaria recuperare l’im-porto delle imposte oggetto del reato considerato, si autorizzerebbe indi-rettamente una sorta di “concorrenza sleale” a discapito degli operatoricorretti; in altri termini, i “violatori della legge” avrebbero la ragionevolecertezza (nell’impostazione del giudice del rinvio) del fatto che perl’Amministrazione finanziaria sarà di fatto impossibile recuperare le impo-ste evase, e quindi potrebbero applicare prezzi più vantaggiosi rispetto agli“operatori corretti” senza che in futuro tali differenze di imposta (e diprezzo) possano essere recuperate e/o sanzionate.

Ci si chiede tuttavia se tale vantaggio possa effettivamente sussistere, aldi là di casi singoli, e se esso sia sufficiente a configurare un aiuto.

Infatti, nella fattispecie in esame è dubbio se si possa concretamenteriscontrare un certo nesso tra lamisura introdotta e il suo “ritorno” in capoall’impresa, ovverosia un rapporto causa-effetto piuttosto definito tra lamisura e il vantaggio di cui l’operatore economicobeneficia. In questo caso,tale nesso sembra in realtà piuttosto labile, atteso che non è pienamente inlinea con l’id quod plerumque accidit sostenere che dalla (presunta) nondissuasività delle sanzioni consegua necessariamente il fatto che una certacategoriadi impresepossavendere iprodotti senzaapplicazionedi imposta,e quindi ad un prezzo più basso, poiché sicura del fatto che tale violazionerimarrà impunita. Quest’ultimo sembra essere un percorso logico piuttostoproblematico e influenzato da altri e forse decisivi fattori, come ad esempioil settore di attività, il contesto geografico e sociale, l’efficienza delle arti-colazioni territoriali dell’ordinamento giudiziario, et cetera.

ALBERTO FRANCODottore di Ricerca in Diritto Tributario delle Società, Cultore di

Diritto Tributario e docente a contrattopresso il Dipartimento di Management dell’Università di Torino

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5 CORTE DI GIUSTIZIA UE, Terza Sezione, causa C-419/14 del17 dicembre 2015 - Pres. K. Lenaerts - Rel. E. Jarašiūnas

Abuso del diritto e circolazione probatoria - Libertà di stabilimento -Artificiosità della costruzione - Circolazione diagonale - Effettivitàdiritti fondamentali - Funzionalizzazione principio di autotomia pro-cedurale degli Stati Membri

Frodi in materia IVA - Costruzione artificiosa - Abuso del diritto -Obbligo di cooperazione tra amministrazioni fiscali europee -Scambio di informazioni

Per accertare una costruzione artificiosa l’amministrazione fiscale dello Statomembro dove la prestazione è effettivamente resa può utilizzare, per fondaretale accertamento, prove ottenute nell’ambito di un procedimento penaleparallelo non concluso, purché tale acquisizione e il successivo utilizzoavvengano nel rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta di Nizza eche l’utilizzo da parte di tale amministrazione delle prove ottenute con dettimezzi siaparimenti autorizzatodalla legge enecessarioper garantire l’interessefinanziario europeo sancito nell’art. 325 TFUE.L’amministrazione tributaria di uno Stato membro che accerta l’esigibilitàIVAdioperazioni giàassoggettate aquesta imposta inaltroStatomembrodeverichiede informazioni all’amministrazionedi quest’ultimoStato se la richiestapuò essere utile ai fini del corretto accertamento dell’IVA.Omissis*

(1)Costruzioneartificiosa ai fini IVAecircolazione internadelle prove

SOMMARIO: 1. Abuso della libertà di stabilimento con costruzione giuridica arti-ficiosa: un punto di partenza necessitato - 2. L’abusività dell’operazione el’utilizzabilità nel procedimento amministrativo di prove raccolte in un processopenale. Il primatodei diritti fondamentali sulla competenzaprocedurale nazionale -3. L’autonomia procedurale degli Stati Membri e il relativo esercizio: un confinesempre più labile - 4. Conclusioni.

1.Abuso della libertà di stabilimento con costruzione giuridica artificiosa: unpunto di partenza necessitato - Il caso prende le mosse da una complessaoperazione che vede la WebMindLicenses1, società di diritto ungherese,concedere in locazioneunknow-howcheconsente lo sfruttamentodiunsito

*La sentenza è consultabile in banca dati “fisconline”.1Sentenza WebMindLicenses della CGE, 17 dicembre 2015, causa C- 419/14.

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internet alla Lalib, società di diritto portoghese. Il giudice di primo grado,tuttavia, in seguito ad indagini fiscali, aveva contestato l’effettività econo-mica di tale operazione, sostenendo che in realtà il know-how fosse semprestato sfruttato dalla società ungherese, anche in seguito alla concessione inlocazione. Secondo quanto ricostruito dall’amministrazione fiscale unghe-rese il know-how della WebMindLicenses, sviluppato dal suo amministra-tore unico, non sarebbemai stato effettivamente sfruttato da e per la Lalib,alla quale veniva pertanto contestato di essere una società costruita artifi-ciosamente, avente come unico fine quello di beneficiare della più favore-vole aliquota IVA portoghese. A sostegno di tale ricostruzionel’amministrazione fiscale ungherese valorizzava tre elementi2, segnata-mente: la WML non aveva mai avuto intenzione di trasferire alla Lalib ildiritto a godere dei corrispettivi per lo sfruttamento del know-how; sussi-stevanostretti legamipersonali tra il titolaredelknow-howe i subcontraentidella Lalib che operavano effettivamente sul sito internet; la società porto-ghese aveva una gestione irrazionale e ritenuta deliberatamente deficitaria.A tali conclusioni l’amministrazionefiscaleerapervenutasullabasediproveottenute all’insaputa dellaWebMindLicenses, consistenti in intercettazionitelefoniche e sequestri di posta elettronica, eseguiti nell’ambito di un pro-cedimento penale parallelo non concluso3.

I diciassette quesiti del giudice del rinvio possono essere ricondotti a tremacrotemi, tutti sistematicamente collegati in ragione della presuntaabusività dell’operazione. Il primo attiene a ciò che viene qualificato dalgiudice del rinvio, prima, e dallaCorte diGiustizia, poi, abusodel diritto e alcorretto riparto territorialedell’IVA(si ricordi che l’imposta inquestioneerastata correttamente versata in Portogallo dalla Lalib); il secondo verte sullemodalità di utilizzazione dello scambio d’informazione ai fini IVA secondoil Reg. 904/20104; infine, il terzo, riguarda la trasmigrazione probatoria dalprocedimentopenaleall’accertamento tributario.Lanotevolecomplessità eampiezza degli argomenti trattati nella sentenza monstre (diciassette que-siti pregiudiziali sono un numero quantomeno inusuale di questioni dasottoporre al vaglio della Corte) rende necessario delimitare l’oggetto diindagine.

Nella già ricordatapluralità dei quesiti sottoposti allaCorte diGiustizia,quello sull’abuso5 assume un’importanza centrale, sia per l’originalità di

2 Sentenza citata, p. 21 e 22.3 Sentenza citata, p. 23.4 C. Marrazzo, a seguire in questa Rivista, “Costruzione artificiosa e obbligo di coopera-

zione europea”.5 Per una ricostruzione dell’affermazione dell’abuso del diritto in materia tributaria si

vedano, tra i molti, G. Fransoni, “Appunti su abuso del diritto”, in Rass. trib., 2010, pag. 940;A. Gentili, “Abuso del diritto, giurisprudenza tributaria e categorie civilistiche”, in Riv. dir.comm., 2009, pag. 403; M. Greggi, “Avoidance and abus de droit: the European Approach”, inTaxLawin Journal ofTaxResearch, 2008, pag. 23, il qualeoperaunaaffascinante, seppurbreve,

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argomentazioni con cui viene declinato l’istituto, sia perché questo pareessere, comesi vedrànelprosieguo,puntodipartenzanecessitato,utilizzatodalla Corte per poter intervenire, su richiesta del giudice remittente, inambiti nei quali vi è una competenza degli Stati (circolazione probatoriainterna) o un’attuazione lasciata agli Stati (scambio di informazioni traStati). Più specificatamente, l’abuso è stato riferito alla libertà di stabili-mento, così come richiesto dal giudice del rinvio, per comprendere se nelcaso di specie fosse legittima la creazione della Lalib da parte dellaWebMindLicenses, se attuata per beneficiare del vantaggio relativo al dif-ferenziale di aliquota portoghese.

Secondo la Corte di Giustizia la libertà di stabilimento diventa, inquesto caso, il parametro comunitario dell’abuso, con riferimento all’o-perazione posta in essere di concessione in locazione del know-how afavore della società portoghese. Ci si chiede6, in un’ottica sistematica, sesia o meno contrario al diritto eurounitario utilizzare una costruzioneartificiosa per beneficiare di un’aliquota IVA più favorevole (nel caso dispecie quella portoghese), invocando la libertà di stabilimento7 (artt. 49 e56 TFUE) al fine di sfruttare le asimmetrie presenti nel sistema IVA,armonizzato, ma non per questo omogeneo, con riferimento al quantumdell’imposizione8.

Il beneficio della più favorevole aliquota portoghese, infatti, secondo ilgiudice del rinvio che si rivolge alla Corte di Giustizia potrebbe costituire unesercizio della libertà di stabilimento che consentirebbe al contribuente discegliere, inun’otticadipianificazionefiscale,distabilirsi laddovelecondizioni

ricostruzione della nozione di abuso e delle sue interferenze con la materia tributaria già apartire dal diritto romano classico; M. Poggioli, “La Corte di Giustizia elabora il concetto dicomportamento abusivo inmateria d’IVA e ne tratteggia le conseguenze sul piano impositivo:epifania di una clausola generale anti-abusiva dimatrice comunitaria?”, inRiv. dir. trib., 2006,I, pag. 107; per una ricognizione della giurisprudenza nazionale e comunitaria relativa all’ap-plicazione dell’abuso inmateria di imposta sul valore aggiunto di veda F. Pedrotti, “Abuso deldiritto e IVA”, inRiv. dir. trib., 2009, I, pag. 1103; ancoraM.Beghin, “Alla ricercadeipunti fermiin tema di elusione fiscale e abuso del diritto tributario (nel comparto dei tributi non armo-nizzati)”, in Boll. trib. 2009, pag. 1413, in cui si utilizza la metafora, molto incisiva, dell’abusocome grimaldello nelle mani del magistrato, capace di scardinare qualunque operazione;ancora G. Maisto (a cura di), Elusione ed abuso del diritto tributario - Orientamenti attuali inmateria di elusione e abuso del diritto ai fini dell’imposizione tributaria, Milano, 2009; ancoraP.Santin, “Territorialità IVAeabusodeldiritto, tra limitidi giurisdizionee scelte interpretative”,in Riv. trib., IV, 1, 2014.

6 Rectius i quesiti, quelli che si riferiscono all’abuso: p. 28, quesiti 1 - 8.7 Conriferimentoalle libertàdi stabilimento, si veda:E.DellaValle, “Tassazionedegliutili

della società controllata e rispetto del diritto di stabilimento”, in Corr. Trib., 2006, pag. 3347;G. Bizioli, “Evoluzione del diritto di stabilimento nella giurisprudenza inmateria fiscale dellaCGE”, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1999, pag. 81; Id., “Il rapporto tra libertà di stabilimento eprincipio di non discriminazione in materia fiscale: un’applicazione del recente caso ICI”, inDir. prat. trib., n. 3/1999, pag. 323.

8 Direttiva 2006/112/CE del Consiglio, considerando 29 e art. 97.

E. MIDASSI - COSTRUZIONE ARTIFICIOSA AI FINI IVA

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fiscali siano più favorevoli anche per effetto della concorrenza fiscale tra Statialimentatadaipersistentidifferenzialidialiquote IVA.Secondo laCorte il fattodibeneficiare inunoStatomembrodiun’aliquotaIVAordinaria inferiore “nonpuò essere considerato di per sé come un vantaggio la cui concessione ècontraria agli obiettivi della Direttiva IVA”. E ciò perché, ordinariamente,sfruttare la libertà di stabilimento riconosciuta dai Trattati per beneficiare diun’aliquota più favorevole rappresenta una facoltà legittima attribuita aglioperatori economici in forza delle stesse norme europee che regolano ilmercato interno. Altro sarebbe, invece, sempre come richiesto in alternativadal giudice del rinvio, se il contribuente avesse realizzato una costruzionepuramente artificiosa, priva di una reale effettività economica, per beneficiaredell’aliquota più favorevole dell’ordinamento portoghese. In questo caso l’ope-razione posta in essere dalla WebMindLicenses avrebbe dovuto essere consi-deratacomeabusivasecondounapiùampiadeclinazionedell’abusocosìcomeelaborato nella sentenza Halifax9, perché riferito all’utilizzo abusivo dellelibertà, più precisamente a quella di stabilimento, dal momento che laWebMindLicenses avrebbe voluto beneficare della pur ammessa concorrenzafiscale,ma senzaun soggetto che nepotesse effettivamente beneficiare. Infattila contestata abusività dell’operazione riguarda l’effettività dell’attività econo-mica svoltadallaLalib, la societàportoghese, e concerne,daun lato l’effettivitàdell’applicazione dell’imposta sul soggetto che fisiologicamente ne deve essereinciso, dall’altro il corretto riparto territoriale della stessa, dal momento chel’imposta era già stato assolta in Portogallo dalla Lalib. La Corte di Giustiziadelinea e fornisce al giudice del rinvio degli elementi sintomatici chiari, daverificare, per valutare la reale e non solo formale esistenza della societàportoghese. Proprio in questopassaggio risiede la novità concettuale di questaforma di abuso che correla la costruzione artificiosa (illegittima) allo sfrutta-mento di un beneficio comunitario (lecito in condizioni fisiologiche). Detto inaltri termini, in assenza di una società economicamente attiva (se così sidovesse rivelare la Lalib in seguito agli accertamenti) non vi è alcun soggettoa cui riferire la libertà di stabilimento.

Ecco che in quest’ottica il richiamo effettuato alla nota sentenzaCadbury Schweppes10pare più consono, sebbene si tratti di una pronunciaresa dalla Corte in tema di imposte dirette (e, lo si ricorda, la sentenzaWebMindLicenses ha invece ad oggetto un accertamento inmateria di IVA)atta a verificare la compatibilità di un regime nazionale CFC sempre con la

9 P. Pistone, “Il divieto di abuso come principio del diritto tributario comunitario e la suainfluenza sulla giurisprudenza tributaria nazionale”, in G.Maisto (a cura di),Elusione e abusodel diritto tributario, Milano, 2009, pag. 311; L. Carpentieri, “L’ordinamento tributario traabuso e incertezza del diritto”, in Riv. dir. trib., n. 12/2008, pag. 1055. Nell’articolo si mette inevidenza come, omettendo di considerare la norma abusata, si perdono con essa tutte legaranzie procedurali e sostanziali che ne discendono.

10 Sentenza WebMindLicenses cit., p. 44 ss.

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libertà di stabilimento11. Nel caso in esame, invece, la Corte dimostra diattribuire efficacia generale ai principi enunciati in Cadbury, travalicando ilimiti del regime nazionale di CFC, che aveva ispirato la pronuncia, pergiustificare un’affermazione di carattere generale. Infatti, a differenza delcaso specificoanalizzato inCadbury, nella sentenza inanalisi non si giudicala compatibilità di una clausola anti-abusiva nazionale, ma di un’opera-zione che assume caratteri propri, contribuendo a farne un vero modello,tanto da poter essere utilizzato con riferimento a comportamenti abusivi, enon a norme nazionali che cercano di contenerli. Con l’indicazione dicaratteri propri (sede effettiva, struttura adeguata, regime dellaresponsabilità), la Corte dimostra di volere riconoscere una progressivacomunitarizzazione della categoria, con effetti anche sull’interpretazionenazionale, pur rimessa al giudice del rinvio. Infatti la Corte di Giustizia,nell’indicareal giudiceaquogli elementidaverificare,prescindedagli indiciche lo stesso giudice aveva ritenuto sintomatici di un abuso, enucleandoliinvece in piena autonomia12. Più precisamente i giudici del Lussemburgodemandano al giudice nazionale di verificare se vi sia una correlazione tral’esistenza formaleequella sostanzialedellasocietàportoghese.Lapresuntaabusività dell’operazione si concentra sulla verifica del soggetto portoghesee infatti la Corte chiede al giudice ungherese13 di verificare, alla luce deirequisiti indicati dalla stessa Corte di Giustizia, se la sede della societàportoghese sia effettiva; se la stessa possegga una struttura adeguata intermini di locale e personale e, ancora, se l’attività della stessa sia esercitatain proprio nome e per conto proprio, con le relative conseguenze in tema diresponsabilità.

Conuna costruzione artificiosa così definita verrebbemessa in pericolol’effettività della stessa libertà di stabilimento e quindi la Corte sarebbelegittimata, come sostenuto dall’Avvocato Generale, finanche a sottoporread un controllo comunitario quei poteri e quelle procedure che ogniAmministrazione finanziaria pone in essere per verificare il carattere arti-ficioso della società posta all’estero. Un’attività questa che rimane di pre-rogativa nazionale e non unionale, tanto che impegna il giudice nazionale

11 Sentenza Cadbury della Corte di Giustizia, del 12 settembre 2006, causa C-196/04. Sulpunto si veda: M. Beghin, “La sentenza Cadbury Schweppes e il ‘malleabil’ e principio dellalibertà di stabilimento”, in Rass. trib., n. 3/2007, pag. 983; R. Tieghi, “Dalla ‘residenza fiscale’alla ‘libertà di stabilimento’: spunti in tema di ‘delocalizzazione societaria’ ed ‘estero vesti-zione’”, in Riv. dir. trib., n. 4/2015, pag. 77; G. Falsitta, “Spunti critici e ricostruttivi sull’erratacommistione di simulazione ed elusione nell’onnivoro contenitore detto ‘abuso del diritto’”, inRiv. dir. trib., n. 6/2010, pag. 349; S. Cipollina, “CFC legislation e abuso della libertà distabilimento: il caso Cadbury Schweppes”, in Riv. dir. fin. sc. fin., n. 1/2007, pag. 1.

12 SentenzaWebMindLicenses cit., pp. 49 - 50. In temadi artificiosità si veda S.Grilli, “Lecostruzioni di puro artificio nella giurisprudenza della Corte di Giustizia: considerazioni intema di effettiva attività economica”, in Rass. trib., 2008, pag. 1169.

13 C. Marrazzo, a seguire in questa Rivista, “Costruzione artificiosa e obbligo di coope-razione europea”.

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nell’applicazione dei requisiti indicati dalla Corte, ma che dovrebbe pursempre rispettare quei diritti fondamentali che dalla Carta di Nizza14 in poisono diventati patrimonio giuridico eurounitario e che, come tali, devonoessere osservati, anche nell’esercizio del controllo, pur rimanendo questouna prerogativa interna e nella competenza nazionale.

Nel caso esaminato la Corte ha ritenuto che un accertamento IVA inseguito alla constatazione di una pratica abusiva costituisca un’attuazionedel diritto dell’Unione Europea e che, pertanto, sia compito della Corte diGiustizia stabilire se le misure adoperate per contrastare tale comporta-mento siano efficaci per tutelare gli obiettivi unionali e rispettose dei diritticontenuti nella Carta di Nizza.

2. L’abusività dell’operazione e l’utilizzabilità nel procedimentoamministrativo di prove raccolte in un processo penale. Il primato dei dirittifondamentali sulla competenza procedurale nazionale -Più specificatamentela Corte si ritiene legittimata a controllare la compatibilità dell’utilizzo insede amministrativa delle prove raccolte in un processo penale. In questo èsollecitata dallo stesso giudice del rinvio che, da un lato, chiede se il dirittodell’Unione Europea consenta, in attuazione degli artt. 4, p. 3 TUE (lealecollaborazione traStati eUnioneEuropea),325TFUE(interesse finanziarioUE) e 273 della sesta Direttiva IVA (gli Stati possono stabilire ulterioriobblighi per assicurare l’esatta riscossione IVA), a un’Amministrazionefinanziaria, per accertare la sussistenza di una pratica abusiva, di utilizzareprove ottenute all’insaputa del soggetto passivo in un procedimento penaleparallelo; dall’altro lato se gli artt. 7 della Carta dei diritti fondamentalidell’Unione Europea (rispetto della vita privata e della vita familiare) e 52,p. 2 della stessa Carta ostino a tale acquisizione o se in ogni caso prevalganogli obiettivi di lotta all’evasione fiscale. Le due questioni, per ragioni dichiarezza espositiva, così come fa la Corte di Giustizia, devono esseretrattate congiuntamente.

Convergono nel giudizio della Corte, sempre a garanzia dell’effettivitàdell’ordinamento comunitario, sia la diretta applicabilità dei diritti fonda-mentali sanciti dallaCartadiNizza all’internodelle procedurenazionali, sial’effettività delle misure adottate dagli Stati per la tutela dell’interessefinanziario, sancito dall’art. 325 del TFUE. La risposta fornita dalla CortediGiustizia al giudice del rinvio è apparentemente chiara: in linea teorica, ildiritto dell’Unione Europea non osta all’utilizzo di prove raccolte nel pro-cedimento penale per fini fiscali, fermo restando il rispetto dei dirittigarantiti dallo stesso diritto dell’Unione Europea, e, in modo particolare,di quelli sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali. Parafrasando l’art. 52,p. 1 della Carta di Nizza i giudici lussemburghesi pongono dunque un

14 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Gazzetta ufficiale n. C 364 del 18dicembre 2000, pagg. 1-22.

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triplice limite a tale circolazione che si definisce diagonale. Quest’ultimadeveavereunachiarabase legalenel dirittonazionale (anche se laCortenonchiarisce se debba sussistere nel diritto procedurale penale, in quello tri-butario, o in entrambi); deve avvenire nel rispetto dei diritti sanciti nellaCarta diNizza (a cui, lo si ricorda, è stata attribuita dall’art. 6TUEpari forzadelle disposizioni primarie) e deve essere rispettosa del principio diproporzionalità. Come già accennato, la preoccupazione della Corte diGiustizia risiede qui nella necessità di dare effettività ai diritti fondamentaligarantiti dalla Carta di Nizza all’interno delle procedure nazionali. Alcuneaperture alla tutela del contribuente si erano registrate nell’ambito dellacooperazione amministrativa tra Stati sia nel diritto derivato15, sia nellagiurisprudenza della Corte di Giustizia16. Tuttavia, nella sentenza inoggetto, per la prima volta viene sottolineato come la migliore tutela delcontribuente, all’interno di una circolazione probatoria nazionale comedelineata, che dunque non presenta caratteri transfrontalieri, possa essereofferta solo dalla normativa unionale e, precisamente, dalla fonte primariarappresentata dallo stesso Trattato dell’Unione, dopo aver incorporato ilcontenuto della Carta di Nizza. Ciò, dunque, non solo per l’attuazione delleDirettive sulla cooperazione amministrativa, ma anche per le procedureesclusivamente nazionali17. Al giudice nazionale18 spetta comunque ilcompito, in base al dictum della sentenza, di verificare se e in che misuraqueste, anche al di fuori di una procedura di scambio di informazioni o diassistenza nella riscossione, abbiano leso i diritti fondamentali invocabilidal contribuente (riservatezza e rispetto del domicilio in primis). Quel cherappresentaunanovità è chementre l’enforcementdei diritti fondamentali èprevisto all’interno delle Direttive sullo scambio di informazioni e sull’assi-stenza alla riscossione19, nella pronuncia in epigrafe la garanzia del rispettodi questi è richiesta con riferimento all’acquisizione delle informazioniall’interno di un procedimento penale e alla relativa utilizzabilità in unprocedimento amministrativo, entrambi nazionali.

Un’affermazione importante che è destinata a condizionare l’effettivoesercizio delle competenze nazionali in termini di poteri e procedure pereliminare le operazioni abusive in particolare quando, come in questo caso,

15 Considerando 21, Direttiva 2010/24/UE del Consiglio, del 16marzo 2010: “La presenteDirettiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti in particolare dallaCartadeidiritti fondamentalidell’UnioneEuropea”,dello stessotenore il considerando28dellaDirettiva 2011/16/UE.

16 Sentenza Sabou della CGE, del 22 ottobre 2013, causa C- 276/12; sent. Kamino dellaCGE, del 3 luglio 2014, causa C-129/13.

17 A. Di Pietro, “La collaborazione comunitaria nell’accertamento e nella riscossione; latutela del contribuente tra amministrazioni”, in La concentrazione della riscossione nell’accer-tamento, Padova, 2011, pag. 655.

18 Ibidem.19 Ut supra, nota n. 15.

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lederebbero gli interessi finanziari dell’Unione. In sostanza, la competenzadelle procedure rimane nazionale per regole, norme ed effetti: è il suoesercizio che deve pur sempre essere rispettoso dei diritti fondamentali.Unesito, quest’ultimo, che, secondo laCorte, potrebbeessere raggiunto solocon la proporzionalità. Il bilanciamento in questo caso riguarderebbe l’ef-ficacia della tutela dell’interesse finanziario e il prezzo che imporrebbe intermini di violazione dei diritti fondamentali. Tale bilanciamento devetenere conto della possibilità di sfruttare poteri e procedure meno invasivie, infatti, laCorte diGiustizia si spinge fino aproporreunnecessario ricorsoalla collaborazione con altre amministrazioni, che, invece, risponde pursempre a valutazioni di opportunità ed efficienza20. Così, qualora vi fosserostrumenti di cooperazione fra Stati in grado di garantire con la stessaefficacia la verifica dell’esistenza e dell’effettività del soggetto presuntiva-mente artificioso, e quindi in grado di garantire il bene giuridico europeodelineato nell’art. 325 TFUE, allora la misura di circolazione interna nonsarebbe più proporzionata. Secondo la Corte, l’amministrazione ungheresesarebbe tenuta a cooperare, attivando le procedure previste dal Reg. 904/2010 “qualora una siffatta richiesta sia utile se non indispensabile peraccertare che l’IVA sia esigibile nel primo Stato membro”. Altrimentidetto, solo in caso di possibilità di proteggere l’interesse finanziariodell’Unione con la stessa efficacia con il più mite strumento della coopera-zione, la misura di circolazione probatoria interna diventerebbesproporzionata.

Veropunctumdolensdel testdelineatodallaCorte èproprio il richiamoal(meta)principio di proporzionalità. Questo viene sovente utilizzato dallagiurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di IVA, soprattutto conriferimento al procedimento di irrogazione delle sanzioni e alla loro entità21.Tale principio, come noto, nasce per evitare che il legislatore, il giudice ol’interprete colleghino una conseguenza eccessivamente gravosa, e dunqueirrispettosa del principio di adeguatezza, ad una determinata violazione(formale o sostanziale) posta in essere dal contribuente. In questo caso,invece, la Corte considera l’interesse finanziario (concretizzato nell’art. 325TFUE)22, a cui il principiodi proporzionalità dovrebbe essere parametrato, aparametrostessodiproporzionalità, inciòcitandounaprecedentepronunciain temadi IVA23, e ricordandosempre la fondamentale funzionedelprincipiodiproporzionalità, inossequio al quale “i provvedimenti chegli Statimembri

20 C. Marrazzo, a seguire in questa Rivista, “Costruzione e obbligo di cooperazioneeuropea”.

21 A. Mondini, Contributo allo studio del principio di proporzionalità nel sistema dell’IVAeuropea, Pisa, 2012.

22 Sul concetto di interesse finanziario si veda L. Picotti, “Le basi giuridiche per l’intro-duzione di norme penali comuni relative ai reati oggetto della competenza della procuraeuropea”, in Dir. Pen. Cont., 13 novembre 2013.

23 Sentenza R. della CGE, del 7 dicembre 2010, causa C-285/09.

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possonoadottarenondevonoeccederequantoènecessarioperconseguiregliobiettividirettiadassicurare l’esattariscossionedell’IVAedevitare le frodi”24.

Infatti, secondo la Corte, nel caso di specie, i mezzi istruttori attuati nelprocedimentopenaleavrebberoavutocomescopoprimarioquellodi tutelarel’interesse finanziario europeo e a questo avrebbero dovuto essere parame-trati. A tacer degli evidenti problemi di rispetto del principio di autonomiaprocedurale degli Stati Membri, viene qui a concretizzarsi quel pericolo diampio e non facilmente controllabile apprezzamento nell’utilizzo del princi-piodiproporzionalità cheeragià statopaventato indottrina25: ossia il rischiocheibilanciamentioperatidallaCorteperdanosistematicità,esi tramutino,adiscapito del principio di certezza del diritto, in bilanciamenti ad hoc.

3. L’autonomia procedurale degli Stati Membri e il relativo esercizio: unconfine sempre più labile - Il primato dei diritti fondamentali, lasciandoimpregiudicata la competenza sulle procedure, incide invece sullemodalitàdel loro utilizzo, ridimensionando in parte il principio di autonomia pro-cedurale degli Stati Membri sancito dall’art. 4, p. 3 cpv del Trattatosull’Unione Europea. Tale autonomia, intesa in senso processuale e proce-dimentale26, deriva dal principio delle competenze per attribuzione, amente del quale “qualsiasi competenza non attribuita all’Unione Europeadai Trattati appartiene agli Stati Membri” (art. 4 TUE). Al di fuori dei limitidel principio di effettività ed equivalenza e dei sempre possibili interventi diarmonizzazione, tale principio, posto alla base dell’attuazione del dirittodell’Unione Europea, non dovrebbe essere messo in discussione27.

Lasentenzaanalizzata sipone inquel filonegiurisprudenziale28 che, innome del primato e della diretta efficacia del diritto dell’Unione Europea,inquestocasodell’art. 325TFUE, incide sull’eserciziodipoteri eprocedureche pur rimangono prerogativa degli Stati Membri. Nel riaffermare ilprimato dei diritti fondamentali la Corte di Giustizia utilizza l’interessefinanziario sancito nell’art. 325TFUEcomeparametrodi proporzionalità,

24 Sentenza WebMindLicenses cit., p. 74.25 A. Mondini, Contributo allo studio del principio di proporzionalità nel sistema dell’IVA

europea, cit.26 D.U.Galetta,L’autonomia procedurale degli StatiMembri dell’UnioneEuropea: Paradise

Lost? - Studio sulla c.d. autonomia procedurale: ovvero sulla competenza procedurale funziona-lizzata, Torino, 2009.

27 In tema di principio di effettività si veda R. Miceli, “Il principio comunitario dieffettività quale fondamento dell’integrazione giuridica europea”, in Studi in onore diVincenzo Atripaldi, 2009, Napoli; L. Daniele, “L’efficacia diretta delle Direttive CEE nellagiurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte costituzionale”, in Foro it., 4, 1991, col.130; P. Piovani, “Effettività (principio di)”, in Enc. dir., 14, Milano, 1965, pag. 431.Sull’autonomia procedurale degli Stati membri si veda G. Greco, “A proposito dell’autonomiaprocedurale degli Stati Membri”, in Riv. it. dir. pub., n. 1/2014, pag. 1.

28 IbidemG.Greco; sentenzaOlimpicClubdellaCGE,del 3 settembre 2009, causaC- 2/08;sentenza Lucchini della CGE, del 18 luglio 2007, causa C-119/05.

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riferita non tanto alla previsione positiva di mezzi istruttori (nazionali efinanche europei, facendo riferimento per questi ultimi alla cooperazioneamministrativa), quantoallemodalità del loro esercizio, possibile soltantonel rispetto dei già ricordati diritti di fonte europea. Parafrasando la Cortedi Giustizia, i mezzi istruttori attuati nell’ambito di un procedimentopenale volto a contrastare reati di tipo fiscale hanno uno scopo cherisponde a un interesse generale dell’Unione Europea. Di conseguenza,l’utilizzo delle risultanze istruttorie penali in ambito tributario può astrat-tamente configurare una restrizione dei diritti fondamentali sanciti dallaCarta (primo fra tutti quelli di cui all’art. 7). In questo caso il test diproporzionalità assume un ruolo centrale nelle modalità di eserciziodelle procedure nazionali che, da un lato, debbono essere adeguate alfine di tutelare l’interesse finanziario europeo, dall’altro, in ogni caso,non possono pregiudicare i diritti fondamentali garantiti dalla Carta diNizza, a cui deve essere garantita effettività.

Solo così potrebbe essere assicurata l’uniforme applicazione del dirittoeuropeo negli Stati membri, compresi naturalmente i diritti fondamentali.Solo così si può realizzare efficacemente il dovere di collaborazione in capoagli Stati membri previsto dall’art. 4 TUE, permettendo l’effettivo ricono-scimento e la conseguente azionabilità delle posizioni giuridiche soggettivenate dalle disposizioni eurounitarie. Il principio di effettività, come insegnalacopiosagiurisprudenzadellaCortediGiustizia inmateria29, siarticolaneicorollaridelprincipiodi equivalenzaediquellodi effettività insensostretto.Il primo richiede che siano messi a disposizione per il riconoscimento deidiritti fondamentali di origine europea tutti gli strumenti giuridici dell’or-dinamento interno, in modo tale che l’esercizio dei diritti di fonte unionalenon sia assoggettato a condizioni più gravose rispetto a quello dei corri-spondentidiritti nazionali. L’effettività in senso stretto, d’altrocanto, garan-tisce che una disposizione interna non renda troppo difficile,eccessivamente oneroso o impossibile far valere o tutelare la posizionegiuridica soggettiva di origine europea. Così in questo caso l’effettività siporrebbe come punto di equilibrio imprescindibile tra la garanzia delrispetto dell’autonomia procedurale e la necessità di fornire una protezioneefficace ai diritti di fonte comunitaria.

Alla luce di tali considerazioni si comprende bene la latitudine dellasentenzaWebMindLicenses. Infatti, il testdi effettivitàpuòessereutilmenteeffettuato solo in presenza di un tertium comparationis: vi deve essere undiritto di fonte unionale, uno analogo di fonte interna, e una proceduranazionale che non deve assoggettare il primo amodalitàmeno favorevoli diquelle a cui è assoggettato il secondo.Nella sentenza in oggetto, però, non viè un diritto di fonte unionale attribuito ai soggetti da comparare con uno

29 Ex pluribus, sentenza Van Schijndel della CGE, del 14 dicembre 1995, causa C-430/93;sentenza Palmisani della CGE, del 10 luglio 1997, causa C- 261/95.

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analogo di fonte interna (lo si ripete, unica condizione in presenza dellaquale è possibile uno scrutinio ad opera della Corte di Giustizia delleprocedure interne), quanto più un obbligo, quello di tutelare gli interessifinanziari dell’Unione Europea, gravante sugli Stati membri e sull’Unione.La procedura nazionale di circolazione probatoria, stando a quanto affer-mato dalla Corte di Giustizia, deve essere servente tale obbligo. In altreparole, la procedura nazionale viene funzionalizzata30 alla luce dell’art. 325TFUE, con l’unico limite posto dal rispetto dei diritti fondamentali garantitidalla Carta di Nizza.

Come ricordato dall’Avvocato Generale nelle conclusioni31, la Corte diGiustiziaavevagiàaffermato,nella sentenzaAkerbergFransson,chesovrat-tasse e procedimenti penali riguardanti l’imposta sul valore aggiunto, costi-tuiscono un’attuazione della Direttiva IVA, e segnatamente dell’art. 273, amente del quale gli Statimembri “possono stabilire, nel rispetto della paritàdi trattamentodelle operazioni interne edelle operazioni effettuate traStatimembri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengono necessari adassicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni”. Nella sen-tenza in analisi laCorte porta allemassimeconseguenze tale ragionamento,piegando il procedimento penale alle esigenze europee, evidenziando comei mezzi istruttori attuati nell’ambito del procedimento penale, in caso direati che possono ledere gli interessi finanziari europei, per il tramitedi costruzioni artificiose, abbiano uno scopo che risponde a un obiettivodi interesse generale, di natura finanziaria, tutelato dall’Unione32.

Né si può argomentare che la Corte di Giustizia abbia in questo casoutilizzato la dimensione statica del principio di effettività, a mente dellaquale è necessario garantire alle norme comunitarie, ove possibile, il pri-mato su quelle nazionali, con la conseguente disapplicazione di questeultime e la garanzia della diretta applicabilità e dell’effetto utile delleseconde. La diretta applicabilità delle norme del diritto unionale, infatti,passa per dei requisiti inderogabili: i precetti devono essere chiari, precisi enon condizionati. Soprattutto se contenuti, comenel caso dell’art. 273 dellasesta Direttiva IVA, in una fonte di diritto derivato33, essendo necessari perla diretta applicabilità delle Direttive, oltre ai requisiti già ricordati, valevoliper qualsiasi testo unionale, anche uno ulteriore: la necessità che la normaconferisca diritti ai singoli, mentre ciò non accade con l’art. 273.

Nel caso specifico, la Corte vuole, comunque, assicurare la tutela deidiritti fondamentali comeparte del dirittounionale anchequando si riferisceall’attuazione di procedure e all’esercizio dell’attività d’indagine che, pur di

30 G. Greco, A proposito dell’autonomia procedurale degli Stati Membri, cit.31 Conclusioni dell’Avvocato Generale Melchior Wathelet, presentate il 16 settembre

2015, pag. 106.32 Sentenza WebMindLicenses cit., p. 76.33 G. Tesauro, Diritto dell’Unione Europea, cit.

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competenza nazionale, servono a tutelare gl’interessi finanziari europei e laloro effettività sostanziale34, in nome del principio di leale cooperazione 35.L’art. 325 TFUE cui la Corte fa riferimento costituisce secondo laCommissione anche la base giuridica per la nuova proposta di DirettivaPIF del 201236 dove si prescinde dal “carattere di gravità etransnazionalità”37 di tali fattispecie, focalizzandosi esclusivamente sullanecessità di tutelare il bene comune “superiore” individuato nell’interessefinanziariodell’UnioneEuropea.Èdunquepossibile che laCorte diGiustiziastia anticipando gli effetti della normativa europea, servendosi delle proce-dure nazionali penali, qualora abbiano ad oggetto reati offensivi degli stessiinteressi, per garantire una tutela effettiva, anche in assenza di disposizioninormative, all’interesse finanziario europeo.

4. Conclusioni - Pur nell’ambiguità di alcune soluzioni, prima fra tuttequella della funzionalizzazione dell’art. 325 TFUE al fine di estendere ilsindacatodellaCorte all’attuazionedelleprocedurenazionali, innomedellatutela dei diritti fondamentali sanciti dall’Unione, la sentenza in analisimerita invece di essere valorizzata per gli spunti originali offerti inmateriadi abuso (e in tema di cooperazione)38.

Il primodatoda sottolineare è che l’imposta sul valore aggiunto, oggettodell’accertamento, era già stata assolta in Portogallo, pertanto il sindacatodella Corte è mosso in questo caso dalla necessità di garantire, conl’effettività della libertà di stabilimento, anche il corretto riparto del potereimpositivonell’IVAsubase territoriale:qualora ilgiudiceungheresedovessericonoscere il carattere artificioso della società portoghese, l’amministra-zione ungherese sarebbe legittimata a riscuotere l’imposta. La particolaritàdella ricostruzione risiede nel fatto che la verifica richiesta al giudice nonriguarda l’adempimento della società portoghese, che era effettivamenteavvenuto, quanto più la debenza dell’imposta da parte della società unghe-rese una volta che si fosse riscontrato il carattere artificioso della societàportoghese, indipendentemente poi dai pericoli di doppia imposizione chel’applicazione dell’IVA portoghese inferiore a quella ungherese avrebbepotuto produrre.

Se si può riscontrare un dato di utilità nella sentenza, idoneo a trasfor-mare la stessa in un leading case, esso risiede certamente nel tentativo di

34 G. Greco, A proposito dell’autonomia procedurale degli Stati Membri, cit.35 L. Picotti, Le basi giuridiche per l’introduzione di norme penali comuni relative ai reati

oggetto della competenza della procura europea, cit. parla di principio di affidamento allesanzioni penali, pag. 4.

36 COM/2012/093.37 L’espressione appartiene a L. Picotti, Le basi giuridiche per l’introduzione di norme

penali comuni relative ai reati oggetto della competenza della procura europea, cit.38 C. Marrazzo, a seguire in questa Rivista, “Costruzione artificiosa e obbligo di coope-

razione europea”.

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estendere il controllo dell’abuso, con relative conseguenze applicative,anche nel campo delle libertà e non solo in quello delle norme, pur sempreinunambitoarmonizzatocomequellodell’IVA.Nelcasooggettodianalisi lamassima evincibile è il divieto di sfruttamento dei benefici riconosciuti daiTrattati, in assenza di un soggetto effettivo, economicamente attivo, cuiimputare i relativi vantaggi, seppur derivanti dallo stesso ordinamentoeuropeo. Il controllo in questo caso investe direttamente la costruzioneartificiosa attivata per beneficare di regimi nazionali più favorevoli inaltro Paese e che in questa sua funzione si conferma una categoria conpropri originali caratteri e conapplicazionegeneralizzatanell’ordinamentoeuropeo.

ELISA MIDASSIDottorato di ricerca in Diritto tributario europeo

Università di Bologna

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2.Costruzioneartificiosa ai fini IVAeobbligodi cooperazione europea

SOMMARIO: 1.Una costruzione artificiosa in un’operazione abusiva ai fini IVA e irelativi caratteri - 2. La costruzione artificiosa ai fini IVA come limite all’utilizzodella libertà di stabilimento - 3. Il disconoscimento della costruzione abusiva e ilrischio di doppia imposizione ai fini IVA - 4. Il corretto accertamento dell’IVA:giustificazione di una soluzione praeter legem in tema di cooperazione -5. Conclusioni: dalla collaborazione tra le amministrazioni alla collaborazionedelle amministrazioni.

1.Una costruzione artificiosa in un’operazione abusiva ai fini IVA e i relativicaratteri - Nella molteplicità dei quesiti sottoposti alla Corte di Giustizia, lasentenza in epigrafe offre interessanti spunti di riflessione su problematicheriguardanti l’accertamento di condotte abusive attraverso strumenti coopera-tivi interni1 ed esterni, intendendo per i primi i rapporti di collaborazione traamministrazioni dello Stato e per i secondi quelli tra amministrazioni diordinamenti diversi. Una delle principali ragioni di interesse della presentesentenza riguarda proprio quest’ultimo tema e, più nello specifico, lo scambiodi informazioni tra amministrazioni fiscali dell’Unione Europea, soprattutto,alla luce del Regolamento del Consiglio 904/20102 dal momento che la Cortel’ha interpretato come vincolo di utilizzazione per l’amministrazione di unoStato membro procedente contro un soggetto che ha già assolto l’imposta sulvalore aggiunto in un altro Stati membro per delle operazioni asserite comeabusive. Un vincolo che sempre secondo la Corte sarebbe giustificato, mal-grado lamancanzadi undatonormativopositivo, per accertare efficacementel’imposta sul valore aggiunto in funzione antiabuso. Lo scambio di informa-zioni viene ritenuto necessario dalla Corte per il corretto funzionamento delsistema dell’IVA, accertando l’esistenza di una costruzione artificiosa inPortogallo ritenuta abusiva della libertà di stabilimento ai fini del beneficiodella minore aliquota applicabile in Portogallo.

Come già visto nella nota che precede che si occupa degli altri profiliaffrontati dalla Corte, il caso trae origine da una complessa struttura

1 Come esplicitati supra nella nota precedente, E. Midassi, “Costruzione artificiosa ecircolazione nazionale delle prove”.

2 Regolamento di rifusione UE 904/2010 del Consiglio del 7 ottobre 2010 relativo allacooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d’imposta sul valoreaggiunto. Sulla cooperazione in ambito IVA: S. Capolupo, “Nuove regole sullo scambio diinformazioni e sulla cooperazione internazionale”, inCorr. Trib., 2010, pag. 974 ss.; P. Centore,“Le misure europee a favore della cooperazione amministrativa per la lotta alle frodi IVA”, inCorr. Trib., 2010, pag. 3944 ss.; F. Cerioni, “La cooperazione amministrativa IVA fra autoritàfiscali degli Stati UE si rafforza: verso un controllo europeo?”, inCorr. Trib., 2012, pag. 1138 ss.

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contrattuale con cui una licenza di sfruttamento di un know-how, creato dalsignor Gattyan, cittadino ungherese e proprietario di alcune società dislocatetra il Portogallo e l’Ungheria, circolava tra queste società, fino al beneficiarioformale, ossia la società portogheseLalibdi proprietà di un cittadino francese.L’Amministrazione finanziaria magiara contestava che, malgrado il formalesfruttamento da parte della Lalib, società di diritto portoghese non collegataalle società di proprietà di Gattyan, in realtà, il beneficiario effettivo dellalicenza fosse la società ungherese WebMindLicenses di proprietà delGattyan stesso. L’amministrazione, infatti, eccepiva che la società portoghese“aveva una gestione irrazionale e un’attività deliberatamente deficitaria e nondisponeva di una capacità di sfruttamento autonoma”3 e, dunque, in veritàfosse una struttura artificiosa, localizzata in Portogallo per beneficiare dell’a-liquotapiù favorevole.Data lacontestazionee l’eccezioneoppostadalla societàaccertata del precedente assolvimento dell’imposta sul valore aggiunto inPortogallodapartedellaLalibedell’effettivitàdella stessa, il giudiceungheresedecideva di sospendere il giudizio e poneva diciassette questioni pregiudizialiche, sulla base degli effetti, si possono riassumere in tre categorie: la tipologiadella costruzione artificiosa per beneficiare abusivamente della libertà distabilimento, cooperazione tra Amministrazioni finanziarie sulla base delReg. 904/2010 e acquisizione di prove nel procedimento penale utilizzate poinel procedimento amministrativo.

2. La costruzione artificiosa ai fini IVA come limite all’utilizzo della libertà distabilimento -Per giudicare dell’abusività dell’operazione comeespressionediun utilizzo distorto della libertà di stabilimento4, la Corte si trova a giudicare,innanzitutto, dei vari rapporti giuridici ed economici transnazionali che

3 Nella presente sentenza, vedi punto 22.4 Sull’abuso del diritto e sull’elusione cfr. S. Cipollina, La legge civile e la legge fiscale. Il

problema dell’elusione fiscale, Padova, 1992; G. Falsitta, “Natura delle disposizioni contenenti‘norme per l’interpretazione di norme’ e l’art. 37-bis sull’interpretazione analogica o antielusiva”,in Riv. dir. trib., 2010, I, pag. 519 ss.; G. Falsitta, “Spunti critici e ricostruttivi sull’errata commi-stione di simulazione ed elusione nell’onnivoro contenitore detto ‘abuso del diritto’ (nota a Cass.,Sez. trib., n. 3571/2010, n. 4737/2010 e n. 25127/2009)”, inRiv. dir. trib., n. 6/2010, pag. 334 ss.; F.Tesauro, “Divieto comunitario di abuso del diritto (fiscale) e vincolo da giudicato esterno incom-patibileconildirittocomunitario”, inGiur. it.,2008,pag.1029;E.Marello,“Elusionefiscaleeabusodel diritto: profili procedimentali e processuali”, ivi, 2010, pag. 1731; A. Giovannini, “Il divietod’abuso del diritto in ambito tributario come principio generale dell’ordinamento”, in Rass. trib.,2010,pag. 982;P.Pistone,Abusodel diritto ed elusione fiscale, Padova, 1995;G.Fransoni, “Abusodidiritto, elusione e simulazione: rapporti e distinzioni”, inCorr. Trib., 2011, pag. 13 ss.; G. Fransoni,“Appunti su abuso del diritto e ‘valide ragioni economiche’”, in Rass. trib., 2010, pag. 932; M.Beghin, “La Cassazione prosegue nell’opera di ‘cesellatura’ della nozione di abuso del diritto”, inCorr. Trib., 2010, pag. 1347; S. Cipollina, “CFC legislation e abuso della libertà di stabilimento: ilcasoCadburySchweppes”, inRiv.dir. fin. sc. fin., 2007, II,pag.13ss.;C.Attardi,“Abusodeldirittoegiurisprudenza comunitaria: il perseguimento di un vantaggio fiscale come scopo essenzialedell’operazione elusiva”, in Dir. prat. trib., 2008, IV, pag. 637 ss.; M. Poggioli, “La Corte diGiustizia elabora il concetto di comportamento abusivo in materia d’IVA e ne tratteggia le

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coinvolgono la società portoghese e quellamagiara, ritenendo comunque nondecisivi, ai fini dell’accertamento dell’abusività delle condotte, la serie dielementi fattuali indicati dall’amministrazione ungherese per legittimare l’ap-plicazionedell’IVA5.Tuttavia, laquestionepiùrilevantepostaall’attenzionedeigiudici europei riguardava la pretesa abusività dell’operazione relativa alcontrattodiknow-howacquisitodallasocietàLalibpersfruttare ildifferenzialedi aliquota IVA tra l’ordinamento portoghese e quello ungherese6. Il giudiceungherese, in sede di ricorso contro l’Amministrazione finanziaria, infatti, sidomandava se, date anche le peculiarità dei servizi on line, le circostanze delcaso potessero essere valutate per determinare che,malgrado il formale sfrut-tamento da parte della Lalib, la WebMindLicenses, in verità, utilizzasse effet-tivamenteilknow-howe,diconseguenza,cheilpresuppostoterritorialesi fosserealizzato in Ungheria e non già in Portogallo.

I giudici europei, confermando le conclusioni dell’Avvocato Generale,affermano che “beneficiare in uno Stato membro di un’aliquota IVA ordi-naria meno elevata di quella in vigore in un altro Stato membro non puòessere considerato di per sé come un vantaggio fiscale la cui concessione ècontraria agli obiettivi della Direttiva IVA”7. In sostanza, sfruttare i diffe-renziali di aliquote, causati dalla mancata armonizzazione, non è di per séabusivo, ameno che ciò non avvengamediante una costruzione artificiosa.

Questa categoria8, già richiamata nella giurisprudenza europea9, èutilizzata però in questo caso per una finalità diversa da quella che aveva

conseguenze sul piano impositivo: epifania di una clausola generale antiabusiva di matricecomunitaria?”, in Riv. dir. trib., 2006, I, pag. 107.

5 Nella presente sentenza, p. 49: “Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel sensoche,peraccertare se, incircostanzecomequelledi cui alprocedimentoprincipale,uncontrattodi licenza (…) traeva origine da un abuso di diritto volto a beneficiare di un’aliquota dell’impo-stasulvaloreaggiuntoapplicabileadetti servizimenoelevata in talealtroStatomembro, il fattoche l’amministratore e unico azionista di quest’ultima società fosse il creatore di tale know-how, che lo stesso esercitasse un’influenza o un controllo sullo sviluppo e sullo sfruttamento didetto know-how e sulla prestazione dei servizi basati sullo stesso, che la gestione delle transa-zioni finanziarie, del personale e degli strumenti tecnici necessari alla prestazione di dettiservizi fosse assicurata da subcontraenti, al pari deimotivi che possono aver portato la societàche ha ceduto la licenza a concedere in locazione il know-how di cui trattasi a una società consede in tale altroStatomembro invecedi sfruttarlo essa stessa, nonappaionodiper sédecisivi”.

6 Come rilevato dall’Avvocato Generale nella stessa sentenza, “In udienza, le parti delprocedimento principale hanno confermato che, quando è stato firmato il primo contratto dilicenza con laLalib, ossianel febbraio del 2008, tale differenzadi aliquota eradel 4%, posto chel’aliquota IVA era del 20% in Ungheria e del 16% a Madera”.

7 Nella presente sentenza, punto 40.8 P. Piantavigna, “Abuso del diritto e fiscalità nella giurisprudenza comunitaria: un’ipo-

tesi di studio”, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2009/III, pag. 369; vedi ancheM. Lang - S. Heidenbauer,“Wholly Artificial Arrangements”, in Hinnekens L. & P. (eds.), A Vision of Taxes Within andOutside European Borders, The Netherlands, Kluwer Law International, 2008, pagg. 597-615.

9 Tra le tante, senza pretesa di esaustività: C-264/96, ICI, 324/00 Lankhorst-Hohorst, 446/03Marks&Spencer, 196/04CadburySchweppes, 524/04TestClaimants in theThinCapGroupLitigation,231/05OYAA,451/05ELISA,251/06ING.AUER,105/07Lammers&VanCleeff, 162/

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originato i precedenti giurisprudenziali. La Corte, infatti, nel dichiararel’incompatibilità di operazioni come forme di “abuso del diritto” in ambitoIVA10 quando utilizzano costruzioni artificiose per beneficiare della libertàdi stabilimento, ricorre alla qualificazione di costruzione artificiosa giàutilizzata in un precedente per le imposte dirette e, in particolare, la sen-tenza Cadbury. In quest’ultima, leading case nelle imposte dirette, si dubi-tava della legittimità del regime SEC/CFC e, quindi, l’artificiosità delsoggetto si ipotizzava come giustificazione di un regime potenzialmenterestrittivo delle libertà economiche fondamentali, in particolare, dellalibertà di stabilimento. In WebMindLicenses, invece, la Corte sembravoler estendere il concetto di costruzione artificiosa con una valenza gene-rale fino a superare i criteri interpretativi che l’avevano ispirata. La “costru-zione artificiosa” è il carattere fondamentale che deve essere provato perstabilire l’abusività dell’operazione, rappresentando un vincolo interpreta-tivopostodallaCortediGiustizia al giudicenazionale.Quest’ultimo, infatti,dovrà verificare l’effettività della costruzione e, dunque, in concreto, sel’obiettivo perseguito dalla società sia stato quello di sfruttare l’aliquotapiù favorevole abusando delle regole sulla territorialità dei servizi digitalivigenti ratione temporis11 e, in generale, della libertà di stabilimento. Piùprecisamente il giudice del rinvio dovrà valutare una serie di elementi difatto per valutare se la società Lalib sia effettiva, abbia una strutturaadeguata o eserciti tale attività sotto la propria responsabilità e a propriorischio. Calando il dispositivo della sentenza nel caso specifico, in sostanza,la Corte afferma che il giudice ungherese dovrà valutare l’effettività di unasocietà portoghese e, per questo si avvarrà anche delle informazioni acqui-site presso l’amministrazione portoghese, dal momento che la Lalib erastata costituita in Portogallo e non solo di quelle acquisite nelle procedureinterne sia penali sia amministrative.

07 Ampliscientifica and Amplifin, 303/07 Aberdeen Property Fininvest Alpha, 330/07 Jobra,397/07 Commissione/Spagna, 182/08 Glaxo Wellcome, 311/08 SGI, 436/08 Haribo, 437/08ÖsterreichischeSalinen, 267/09 Commissione/Portogallo, 318/10 SIAT, 504/10 Tanoarch, 33/11, A, 112/14 Commissione/Regno Unito.

10 Vedi in particolare sentenze Ampliscientifica and Amplifin, 303/07 e Tanoarch, 33/11.Vedi ancheNewey, causa C- 653/11 con nota di P. Santin, “Territorialità IVA e abuso del dirittotra limiti di giurisdizione e scelte interpretative”, in Riv. dir. trib., n. 2/2014, pag. 37 ss.

11 Si devenotare che, all’epocadei fatti, gli artt. 43 e 56, paragrafo 1, lett. k), dellaDirettivaIVA nella sua versione in vigore dal 24 luglio 2009 al 31 dicembre 2009, e degli artt. 45 e 49,paragrafo 1, lett. k), della Direttiva IVA, nella sua versione in vigore dal 1° gennaio 2010 al 31dicembre 2012, stabilivano che l’IVA su tali prestazioni rese a destinatari chenon sono soggettipassivi e che sono stabiliti nell’Unionedoveva essere assolta inPortogallomentre le prestazionirese a destinatari che non sono soggetti passivi e che sono stabiliti fuori dall’Unione ne eranoesenti cfr. conclusioni dell’Avvocato Generale Melchior Wathelet, nelle presente sentenza,causa C-419/14, ECLI:EU:C:2015:606, p. 58.

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3. Il disconoscimento della costruzione abusiva e il rischio di doppiaimposizione ai fini IVA - La società portoghese, sospettata di essere unacostruzioneartificiosa, avevagiàpagato l’IVAnelproprioPaesee, secondo ilgiudice del rinvio, questo elemento avrebbe potuto costituire un ostacoloper una nuova applicazione dell’imposta in Ungheria. Il rischio di doppiaimposizione,comedefinitodall’AvvocatoGenerale12, sembraesserepiùunasemplificazione definitoria per indicare un disconoscimento da parte diun’amministrazione nazionale di un accertamento già avvenuto in un altroStati membro, piuttosto che un caso classico di doppia imposizione e,dunque, di una pretesa impositiva su uno stesso presupposto già realizzatoe riscosso in un altro Stato secondo la legislazione IVA, nei confronti di unostesso soggetto. Proprio perché convinta della necessità di evitare costru-zioni abusive, la Corte non può che orientarsi a ripristinare la situazionecome se l’abuso non fossemai avvenuto13 e quindi escludere, con la propriagiurisprudenza14, che il precedente assolvimento in Portogallo non sia diostacolo al recupero dell’imposta.

Come rilevato sia dall’Avvocato Generale sia dalla CommissioneEuropea, l’eventuale doppia imposizione sarebbe evitabile qualora “ildiritto dell’Unione imponesse alle autorità tributarie degli Stati membriun obbligo di riconoscimento reciproco delle loro rispettive decisioni (...),ma né la Direttiva IVA né il Reg. 904/2010 stabiliscono un simile obbligo”15.L’interesse dell’Avvocato Generale in questo caso si concentra più scambiodi informazioni successivo al conflitto e non già precedente. L’obbligo discambio di informazioni, come prospettato dalla Corte almeno nel caso dispecie, già nella fase dell’accertamento, e non nella fase della riscossione,imporrebbe un coordinamento dell’azione accertatrice dello Stato proce-dente con quello in cui formalmente si è avverato il presupposto impositivoe, dunque, eviterebbe questo tipo di conflitti tra amministrazioni.

In questo caso la cooperazione rileva, dunque, non già perché l’accerta-mento ungherese rischiava di duplicare l’imposizione sullo stesso soggetto,ma perché nella fattispecie in giudizio l’amministrazione magiara, impli-citamente, imponeva lo stesso presupposto assoggettato ad imposizione inPortogallo. In sostanza, l’Ungheria disconosceva il precedente accerta-mento e assolvimento della società portoghese, sulla base di una pretesacostruzione artificiosa di quest’ultima.

Se l’amministrazione ungherese, invece, avesse chiesto informazionisulla societàLalib all’omologa lusitana, nongià sugli adempimenti tributari

12 Conclusioni, nella presente sentenza, causa C-419/14, cit.13 Nella presente sentenza, par. 51-54. La Corte, in questo caso, non si è occupata

dell’eventuale rimborso dell’imposta versata nell’altro Stati membro, in quanto avrebberischiato un’extrapetizione.

14 Vedi Halifax, causa C-255/02, cit.15 Conclusioni, nella presente sentenza, par. 91.

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cheeranopacifici,masullaoperativitàdel soggetto, avrebbe scoperto, comerilevato nella memoria del governo portoghese, che la società portogheseaveva una struttura effettiva (id est dipendenti, mezzi, stabilimenti) e che,quindi, lo sfruttamento avveniva concretamente nel suo territorio16. Inquesto caso l’obbligo ipotizzato dalla Corte per l’amministrazione unghe-rese di richiedere informazioni a quella portoghese avrebbe dovuto quindiessere funzionale all’efficace accertamento dell’abuso commesso pur sem-pre nel territorio portoghese. Sarebbe spettato quindi all’amministrazioneportoghese provare la costruzione artificiosa, dimostrando che la societàLalib non avesse una struttura societaria effettiva, che operasse deficitaria-mente e che non gestisse effettivamente il know-how. Tutte informazioniche solo l’amministrazione lusitana avrebbe potuto acquisire come unicosoggetto qualificato ad accertare soggetti che ricadono nel proprioordinamento.

4. Il corretto accertamento dell’IVA: giustificazione di una soluzione praeterlegem in tema di cooperazione - La cooperazione tra amministrazioni17

diventa così importante, secondo la Corte, per acquisire informazioniutili per verificare l’esistenza di una costruzione artificiosa e per questomotivo la sua interpretazione appare originale, dal momento che per laprima volta dopo l’approvazione delRegolamento di rifusionedel Consiglio904/2010, investe la modalità dell’esercizio dello scambio. L’originalitàdell’interpretazione della Corte, contrariamente a quanto sostenuto

16 Conclusioni, nella presente sentenza, par. 86.17 Sulla cooperazione tra Amministrazioni finanziarie, senza pretesa di esaustività: A. Di

Pietro, “La collaborazione comunitaria nell’accertamento e nella riscossione: la tutela delcontribuente”, in C. Glendi e V. Uckmar, La concentrazione della riscossione nell’accertamento,Padova, 2011, CEDAM, pag. 641; A. Fedele, “Prospettive e sviluppi della disciplina dello‘scambio di informazioni’ fra Amministrazioni finanziarie”, in Rass. trib. 1999, pag. 58; F.FernándezMarín, “Scambiodi informazionie tuteladelcontribuente”, inT.Tassani (acuradi),Attuazionedel tributoediritti del contribuente inEuropa,Roma,2009,pagg.265ss.F.FernándezMarín, “Lo scambio di informazioni tra gli Stati membri”, in AA.VV., Lo stato della fiscalitànell’Unione Europea, Roma, 2003; F. Fernández Marín, “Tassazione dei non residenti: trascambio d`informazione e principio di proporzionalità”, Rass. trib., 2008, n. 2, pag. 541; L.Del Federico, “Scambio di informazioni fra autorità fiscali e tutela del contribuente: profiliinternazionalistici, comunitari e interni”, in Riv. dir. trib. Intern. 2010, pag. 232; P. Selicato,“Scambiodi informazioni, contraddittorio eStatutodel contribuente”, inRass. trib., 2012, pag.328 ss.; G. Marino, “La cooperazione internazionale in materia tributaria, tra mito e realtà”,Rass. trib., n. 2/2010, pag. 435; A. Buccisano, Assistenza amministrativa internazionale dall’ac-certamento alla riscossione dei tributi, Bari, 2013;P. Adonnino, “Lo scambiodi informazioni trale Amministrazioni finanziarie”, in Dir. prat. trib., 2008, pag. 705; P. Mastellone, “L’UnioneEuropea non riconosce participation rights al contribuente sottoposto a procedure di mutuaassistenza amministrativa tra autorità fiscali”, in Riv. dir. trib. n. 11/2013, pag. 349; S. Dorigo,“La cooperazione fiscale internazionale”, in C. Sacchetto, “Principi di diritto tributario euro-peo e internazionale”, Torino 2011, pag. 206 ss.; F. Ardito, La cooperazione internazionale inmateria tributaria, Padova, 2007, pag. 29; F. Amatucci, “Onere della prova e limitazioni alloscambio di informazioni in materia fiscale”, in Riv. dir. trib. Int., 2009, I, pag. 126 ss.

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dall’AvvocatoGenerale nelle sue conclusioni18, stanell’aver considerato che“l’amministrazione tributariadiunoStatomembrocheesamina l’esigibilitàdell’imposta sul valore aggiunto per prestazioni che sono già state assog-gettateadetta imposta inaltriStatimembriè tenutaarivolgereunarichiestadi informazioni alle amministrazioni tributarie di tali altri Stati membriqualora una siffatta richiesta sia utile, se non indispensabile, per accertareche l’imposta sul valore aggiunto sia esigibile nel primo Stato membro”19.Una soluzionequesta fondata sudi una interpretazione sistematicadelReg.904/2010delConsiglio relativoalla cooperazioneamministrativa ealla lottacontro la frode in materia d’imposta sul valore aggiunto che valorizzaspecificatamente il “dovere di cooperare per assicurare l’accertamentocorretto dell’IVA”20.

Il dato normativo letterale, invece, così come affermato dall’AvvocatoGeneraleWathelet, in particolare negli articoli del Capo II del Regolamento904/2010, rubricato “richiesta di informazioni e richiesta di indagini ammi-nistrative”, avrebbe militato a favore della facoltatività dell’attivazione. Inaggiunta, la giurisprudenza europea aveva già sottolineato, precedente-mente, la facoltatività dell’attivazione delle procedure cooperative perun’amministrazione e non già l’obbligo, anche su richiesta del contribuenteaccertato, sulla base della tutela offerta dagli ordinamenti in sedesuccessiva21.

I giudici europei avrebbero potuto, a ben vedere, motivare anche sullabase dell’art. 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea22,apparendo peraltro riduttiva una semplice interpretazione sulla base di unconsiderando,benchéquest’ultimo fosse stato evocato, in realtà, dal giudicedel rinvio. Il riferimento all’articolo del TFUE non appare meramenteipotetico, visto che, in un recente precedente23 e anche in altre parti della

18 Conclusioni,WebMindLicenses, par. 96. “La risposta a tali questioni èmolto semplice:un siffatto obbligo non sussiste. Certamente, come suggerisce il giudice del rinvio, il Reg. 904/2010 è inteso a disciplinare lemodalità di cooperazione e di assistenza fra le autorità tributariedegli Stati membri e a facilitare lo scambio di informazioni fra le stesse sulla base di richiesteche esse possono rivolgersi reciprocamente ai sensi degli articoli da 7 a 12 di dettoRegolamento. Tuttavia, come osserva la Commissione, nell’ambito dello scambio di informa-zioni sulla base di una richiesta, l’autorità richiedente non è affatto obbligata a rivolgere unasimile richiesta aunaltroStatomembro. Infatti, si trattadiundiritto che le èattribuitodadettoRegolamento e non di un obbligo che le viene imposto”.

19 Nella presente sentenza, par. 59.20 Considerando settimo del Reg. 904/2010.21 Sentenza Twoh International, causa C-184/05, ECLI:EU:C:2007:550 e Sabou, causa C-

276/12, ECLI:EU:C:2013:678 con nota di F. Fernandez Marin, “La tutela nazionale del con-tribuente nello scambio comunitario”, in Rass. trib., n. 6/2014, pag. 1421 ss.

22 In particolare il comma 3 che stabilisce: “fatte salve altre disposizioni dei Trattati, gliStatimembri coordinano l’azionediretta a tutelare gli interessi finanziari dell’Unione contro lafrode. A tale fine essi organizzano, assieme alla Commissione, una stretta e regolare coopera-zione tra le autorità competenti”.

23 Sentenza Taricco, causa C-105/14, ECLI:EU:C:2015:555, p. 51-52.

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sentenza in epigrafe24, la Corte ha stabilito che esso è immediatamenteprecettivo.

Il Comitato economico e sociale europeo25, già in sede di parere con-sultivo, aveva ritenuto che l’art. 1 del Reg. 904/2010, peraltro inserito dalgiudice relatore nel “contesto normativo”, avesse introdotto esplicitamentel’obbligo per gli Stati di collaborare tra di loro e con l’Unione anche per“assicurare la protezione del gettito IVA in tutti gli Stati membri”, mentre iltesto precedente si limitava a definire “norme e procedure per lo scambio diinformazioni”. Dunque, attraverso il consolidamento della cooperazionetra amministrazioni, la Corte si è preoccupata della tutela del gettito IVAcome risorsa propria dell’Unione, almeno nella propria quota parte, con-fermandola lineagiurisprudenzialeesplicitatanella sentenzaCommissionecontro Germania26.

Il corretto funzionamento del tributo si fonda in primo luogo, sull’effi-cacia del principio di territorialità, per evitare possibili conflitti di compe-tenza che possono generare salti d’imposta e, in secondo luogo, sullaconcreta neutralità fiscale in base alla quale gli operatori economici cheeffettuano le stesse operazioni non devono essere trattati diversamente inmateria di riscossione dell’IVA enondevono essere effettivamente incisi daltributo. Si afferma così l’importanza dello scambio di informazioni perl’effettività dell’ordinamento tributario europeo e, quindi, del legame tracorretta applicazione dell’imposta e funzionamento delmercato27 oltre cheper lottare contro la frode tributaria e, quindi, operare nell’interesse fiscalenazionale o unionale28. A sostegno di tale affermazione è da rilevare comediversi consideranda del Regolamento esaltino l’importanza dello scambiodi informazioni ai fini del corretto accertamento dell’imposta sul valoreaggiunto29. L’art. 1 del predetto Regolamento, nel secondo periodo delcomma 1, parrebbe enumerare in ordine non casuale gli obiettivi delloscambio, ossia il corretto accertamento dell’IVA e la verifica della correttaapplicazione e, subordinatamente, la lotta contro le frodi con lo scopo diproteggere il gettito dell’imposta in tutti gli Stati membri, come esplicitatonel comma 2.

L’interpretazione della Corte pur sistematica rimane legata pur semprealla particolarità dell’abuso e della costruzione artificiosa che serve a rea-lizzarlo quando coinvolga due Paesi, ossia nel caso in cui si riscontrino dueprofili, quello soggettivo quando un contribuente pur sospettato di essereformalmente e non effettivamente operativo abbia però assolto l’imposta

24 Nella presente sentenza, p. 90.25 Parere del 17 febbraio 2010, COM(2009) 427 final - 2009/0118 (CNS).26 Sentenza Commissione/Germania, causa C-539/09, ECLI:EU:C:2011:733.27 F. Fernandez Marin, La tutela nazionale, cit., pag. 1423.28 Sentenza Åkerberg Fransson, causa C-617/10, EU:C:2013:105, pp. 25-26.29 Cfr. considerando 5, 7, 8 e 11.

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nello Stato membro in cui è stato costituito e, quello oggettivo, quandol’Amministrazione finanziaria dello Stato procedente sappia o debba ragio-nevolmente sapere che l’altra amministrazione sia in possesso di informa-zioni utili se non indispensabili30 per accertare che l’IVA sia dovuta nelprimo Stato anche in riferimento al “disvelamento” di una struttura artifi-ciosa creata per beneficiare dall’aliquota più favorevole applicata inPortogallo. Proprioquest’ultimoelemento che evoca il concetto di rilevanzadelle informazioni, in ambito OCSE è stato usato in una forma di bilancia-mento tra i diritti del contribuente e delle amministrazioni, in particolare,contro le c.d. fishing expeditions31. Tuttavia, nel caso giudicatodallaCorte, èda ricollegare al fatto che il giudizio sull’effettività della struttura di unasocietà portoghese non può essere demandato ad un’autorità di un altroStato membro, senza avere informazioni utili di cui può essere in possessosolo l’amministrazione nella cui giurisdizione tale impresa opera.

L’obbligo della richiesta di informazioni non appare solo la miglioregaranzia per il riscontro dell’effettività dell’attuazione dell’IVA, anche conriferimento al riparto territoriale d’imposizione, ma rileva anche comeprocedura da preferire, con un ulteriore rilievo della sua necessità, a pro-cedure interne quando possano risultare eccessivamente invasive tanto daviolare gli stessi diritti fondamentali pur tutelati dall’ordinamento europeo.Così lo scambio diventerebbe una necessitata applicazione del principio diproporzionalità nel procedimento, secondocui i provvedimenti che gli Statimembri possono adottare non devono eccedere quanto è necessario perconseguire gli obiettivi diretti ad assicurare, in questo caso l’effettiva appli-cazione dell’IVAoltre che la sua esatta riscossione anche contro le frodi. Pertale motivo, l’amministrazione, così come esplicitato in altri punti dellasentenza in esame32, dovrebbe utilizzare i mezzi istruttori meno pregiudi-zievoli (come l’accessoai locali della societào la richiestadi informazioni adaltra amministrazione) dei diritti affermati dalla Carta, al posto di altri(nella fattispecie, il sequestro della corrispondenza avvenuta in un proce-dimento penale parallelo) che si potrebbero rivelare lesivi dei diritti delcontribuente.

Questa lettura, seppure affascinante, parrebbe configgere con il princi-pio di sussidiarietà, in virtù del quale lo Stato richiedente può attivareutilmente uno scambio di informazioni solo dopo aver esaurito i mezzi diprova interni33. Soprattutto, considerando l’omessa pronuncia riguardantegli effetti procedurali e processuali dell’inottemperanza dell’obbligo da

30 Sentenza, Commissione/Regno Unito, ECLI:EU:C:2005:488, par. 23.31 Exmultis, A. Fedele, Prospettive e sviluppi, cit., pag. 53; F. FernándezMarín, “Scambio

di informazioni e tutela del contribuente”, in T. Tassani (a cura di), Attuazione del tributo, cit.,pag. 265 ss.

32 Nella presente sentenza, p. 82, riprendendo le conclusioni di M. Wathelet, p. 133.33 A. Buccisano, Assistenza amministrativa internazionale, cit., pagg. 60-61 in cui si fa

riferimento alla Direttiva 2011/16 e non al Reg. 904/2010.

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parte delle amministrazioni (diciassettesima questione), pare necessarioconsiderare una ragione della sentenza diversa. Se, infatti, la Corte avessevoluto statuire l’obbligo come corollario di una più stringente tutela delcontribuente, avrebbe dovuto sanzionare l’omessa richiesta come vizio delprocedimento. Tuttavia, pur avendone occasione, i giudici europei nonhanno stabilito o sanzionato eventuali inottemperanze nello scambio34, adifferenza di altri punti della sentenza in cui sanzionano la illegittimaacquisizione di prove con l’inutilizzabilità35.

Inoltre, sempre in ambito di tutela del contribuente, la Corte ha creatouna asimmetria tra l’obbligo per l’amministrazione di richiedere informa-zioni, senza però specificare un obbligo di effettivo utilizzo delle informa-zioni richieste ed ottenute36. In aggiunta, potrebbero verificarsi dellesituazioni in cui l’amministrazione procedente che si trova nella stessasituazione che ha dato origine al caso sarebbe tenuta a richiedere informa-zioni e, viceversa, l’amministrazione richiestapotrebbe, fondatamente, nonrispondere alla richiesta37. Come è stato rilevato38, in linea generale, neldiritto eurounitario non esistono divieti di trasmissione di informazioni,ma, cercando un equilibrio tra interessi europei e nazionali, si segue lalogica dei limiti e dei vincoli. In riferimento al Reg. 904, in particolare, l’art.54 impone, innanzitutto, che la richiesta non oneri eccessivamentel’autorità richiesta e che l’autorità procedente abbia esaurito le fonti diinformazione a sua disposizione (principio di sussidiarietà)39. I successivicommi dell’art. 54 esplicitano più chiaramente alcune situazioni nelle qualil’amministrazione richiesta si può legittimamente rifiutare di adempiere aduna richiesta siffatta40.

34 Nella presente sentenza, p. 60.35 Nella presente sentenza, p. 89.36 L’art. 97, paragrafo 6, della Legge n. XCII del 2003 recante il codice di procedura

tributaria (azadózásrendjérőlszóló2003. évi XCII. törvény) afferma “quando accerta i fatti,l’autorità tributaria ha l’obbligo di esaminare anche i fatti a favore del contribuente. Un fatto ouna circostanza non provati non possono essere valutati a sfavore del contribuente, salvo nellaprocedura di valutazione”.

37 Sui limiti all’obbligo di cooperazione amministrativa dell’amministrazione interpel-lata, A. Buccisano, Assistenza amministrativa internazionale, cit., pag. 60 ss.

38 Di A. Pietro, La collaborazione comunitaria, cit., in C. Glendi e V. Uckmar, pag. 660.39 A. Buccisano, Assistenza amministrativa internazionale, cit., pag. 60.40 Reg. 904/2010, art. 54, comma2: “Il presenteRegolamentonon imponedi far effettuare

indaginiodi trasmettere informazioni suuncasodeterminatoquando la legislazioneo laprassiamministrativa dello Statomembro che dovrebbe fornire le informazioni non consentano alloStato membro di effettuare tali indagini né di raccogliere o utilizzare tali informazioni per lesue esigenze proprie.

3. L’autorità competente di uno Stato membro interpellato può rifiutare di fornireinformazioni allorché, per motivi di diritto, lo Stato membro richiedente non è in grado difornire informazioni equipollenti. Tale rifiutomotivato è comunicato alla Commissione dalloStato membro interpellato.

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5. Conclusioni: dalla collaborazione tra le amministrazioni allacollaborazione delle amministrazioni -La ricerca di una costruzione abusivaai fini dell’IVA, quando coinvolga più Stati, valorizza ulteriormente l’effi-cacia dello scambio d’informazione. Più specificatamente, rappresenta unsupporto indispensabile per supportare la piena realizzazione del modelloimpositivo, quando questo potrebbe essere messo in discussione dall’uti-lizzo di costruzioni artificiose che possano al tempo costituire stesso unusoabusivo della libertà di circolazione e alterare il riparto territoriale diapplicazione dell’IVA, utilizzando i differenziali della aliquote IVA cheprovocano una concorrenza fiscale anche nei settori armonizzati. Un vin-colo posto al suo esercizio diventa così nei rapporti tra amministrazioni lagaranzia per acquisire elementi informativi al di fuori della giurisdizionedello stato che rivendica il poteredi applicazionedella propria imposta eneirapporti con l’amministrazione un’alternativa all’acquisizione di informa-zioni con procedure interne che possano essere per essere efficaci applicatesenza il rispetto dei diritti fondamentali.

Se, in passato, si discuteva dell’esistenza di un principio di non colla-borazione tra amministrazioni (la c.d. revenue rule)41, tale decisionepotrebbe, invece, rappresentare un punto di svolta nell’ambito della coope-razione tra amministrazioni fiscali42. La globalizzazione, in generale, e ifenomeni di pianificazione fiscale aggressiva hanno costretto i singoli Statia prevedere delle forme di collaborazione per ovviare a queste problemati-che. L’ordinamento eurounitario, creando unmercato unico interno attra-verso la libera circolazione di merci, persone e capitali, ha avuto, fin dalleorigini, l’esigenzadirafforzare, ingenerale, loscambiodi informazioni tra leamministrazioni dei singoli Stati ai fini dell’effettivo raggiungimento degliobiettivi dei Trattati e per garantire l’effettività del sistema giuridicodell’Unione. Per tali ragioni, in particolare nel sistema fiscale, sono statiprevisti diversi modelli cooperativi tra Stati con lo scopo di un modellofiscale europeo efficiente ed efficace, in attuazione del principio disussidiarietà, e della tutela del sistema fiscale europeo dall’elusione delle

4.La trasmissionedi informazionipuòessere rifiutataqualoracomporti ladivulgazionediun segreto commerciale, industriale o professionale, di un procedimento commerciale o diun’informazione la cui divulgazione sia contraria all’ordine pubblico”.

41 La creazione di questo principio è da ricondursi alla celebre statuizione di LordMansfield in Holman v Johnson (1775), 1 cowp 341, 98 Eng. Rep. p. 1120 “no country evertakes notice of the revenue laws of another”.

42 Celebre è la definizione di M. Udina, Il diritto internazionale tributario, Padova, 1949,pag. 428 “coordinata,madistinta,di organi internididueopiùStati,mirantedi volta involtaadadattare i fini di uno di essi indifferentemente, fini trovanti rispondenza negli analoghi deglialtri, aventi egualmente diritto alla loro attuazione”; D. Guttman, “Globalizzazione e giustiziatributaria”, in Dir. prat. trib. Inter., 2002, pag. 703 ss.; S. Dorigo, “La cooperazione fiscaleinternazionale”, in C. Sacchetto, Principi di diritto tributario europeo e internazionale, Torino,2011, pag. 206 ss.

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regole poste a presidio della libertà di concorrenza43 e per combattere lefrodi che incidono sul bilancio europeo e su quelli nazionali, anche attra-verso lo sfruttamento della concorrenza fiscale tra Stati, come nel caso inoggetto.

Lo scambio di informazioni, o meglio, l’acquisizione di informazioni44

rappresenta la principale declinazione del principio di collaborazione traStati45. Nel diritto eurounitario, sia nei tributi armonizzati46 sia nell’impo-sizione diretta47, lo scambio è stato implementato con sicuri aspetti origi-nali rispetto al modello internazionale che testimoniano un approccio piùavanzato alla questione48, e riguarda un complesso di dati fiscalmenterilevanti al fine di garantire un’adeguata conoscenza per le singole ammini-strazioni fiscali con l’obiettivo di ricostruire i comportamenti e le situazionipatrimoniali dei contribuenti e delle imprese transnazionali. Nelle proce-dure di scambio di informazioni, il contrasto di interessi nel rapportotriangolare amministrazione procedente, amministrazione riceventerichiesta e contribuente è evidente: da un lato, l’interesse pubblico comunedegli Stati, intesi collettivamente, coinvolti nello scambio, che voglionolottare inmaniera efficace l’elusione o evasione fiscale; dall’altro, l’interessedei singoli Stati che desiderano tutelare il loro gettito fiscale e non voglionoessere oberati da richieste di altre amministrazioni; e, infine, l’interesseprivato del singolo contribuente, il quale vuole tutelarsi dal pericolo didoppia imposizione, da scambi di informazioni illegittimi49. Lapeculiarità del sistema eurounitario è la presenza di un quarto soggettosovraordinato rispetto agli altri, ossia l’Unione Europea e il suo ordina-mento tributario, al quale deve essere garantito un corretto funzionamentoproprio come esplicitato dai considerando sopra richiamati. Proprio pergarantire l’effettività dello scambio si è posta molta enfasi da parte dellagiurisprudenza eurounitaria sul corretto adempimento della richiesta discambio50 e, dunque, sull’amministrazione ricevente, la quale ha l’obbligo

43 Di A. Pietro, La collaborazione comunitaria, cit., in C. Glendi e V. Uckmar, La concen-trazione della riscossione, cit., pag. 639 ss.

44 P. Adonnino, “Lo scambio di informazioni fra Amministrazioni finanziarie”, in V.Uckmar (a cura di), Diritto tributario internazionale, Padova, 1999, pag. 1129.

45 Sentenza,EtablissementsRimbaudSA,causaC-72/09ECLI:EU:C:2010:645,par. 48;G.Marino, “La cooperazione internazionale inmateria tributaria, tramito e realtà”, cit. pag. 435;A. Giovanardi, Le frodi IVA, Milano, 2012.

46 Regolamento del Consiglio n. 904/2010 e Regolamento attuativo della Commissione n.79/2012/UE.

47 Direttiva 2011/16/UE del Consiglio, del 15 febbraio 2011.48 C. Sacchetto, “L’evoluzione della cooperazione internazionale fra le Amministrazioni

finanziarie statali in materia di IVA ed imposte dirette: scambio di informazioni e verifiche‘incrociate’ internazionali - prima parte”, in Boll. trib., n. 7/1990, pag. 563 ss.

49 Inriferimentosiaallaprocedurausatasiaalla legittimitàdellaprovastessadautilizzaree, in ultimo, anche per evitare la divulgazione di dati sensibili (come segreti industriali).

50 Sentenza, Commissione/Germania, causa C-539/09, ECLI:EU:C:2011:733.

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di rispondere, con l’esclusione di specifici casi, mentre si riteneva pacifico,almeno fino alla sentenza in epigrafe, che l’amministrazione procedenteavesse facoltà di richiedere informazioni.

La sentenza in epigrafe, invece, appare eterogenea rispetto all’atten-zione manifestata sia della dottrina, alla ricerca di elementi di tutela delcontribuente51, sia della giurisprudenza, ai fini dell’effettivo adempimentodell’obbligo cooperativo52, verso la cooperazione tra amministrazionifiscali. L’interesse primario dello scambio così declinato appare una piùstringente cooperazione ai fini della lotta alla frode IVA o, più in generale,alle condotte abusive manifestate mediante strutture artificiose.

A livello sistematico appare, però, difficile conciliare un obbligo dirichiesta con i modelli di scambio classicamente intesi, non potendosiricondurre a nessuna delle tre categorie tradizionali. Non può essere intesonell’ambito dello scambio automatico, visto che quest’ultimo è attivatoquando l’amministrazione ritenga che ci sia il rischio di evasione ovverodi elusione in un altro Stati membro e, conseguentemente, non può esserericondotto neanche allo scambio spontaneo, il quale, sostanzialmente, è uneccezione del primo. La sentenza pare creare un’eccezione specifica alloscambio a richiesta così come previsto dagli artt. 7-11 del Reg. 904/2010. Alivello sistematico, pertanto, la decisione della Corte lascia perplessi sottodiversi punti di vista: la mancanza di una chiara base giuridica da cui èricavabile siffatto obbligo; oltre a questo aspetto, l’elaborazione giurispru-denziale dell’obbligo di richiesta non tiene altresì in considerazione che, indeterminate situazioni, l’altra amministrazione si possa rifiutare di adem-piere; e, infine, l’amministrazione che ha richiesto correttamente le infor-mazioni potrebbe non utilizzarle al fine di una più aggressiva strategiaprocedimentale o processuale. In sostanza sembra quasi creare un sistemadi cooperazione, molto simile al MAP (mutual agreement procedure) in cuic’è un’obbligazione di mezzi, ma non di risultato53.

Tralasciandoquestinontrascurabili profili critici, la sentenza inoggettoha il merito di riflettere sui profili di rinnovamento emersi dopo la promul-gazione del Reg. 904/2010. L’insoddisfazione verso il precedenteRegolamento,dovutaalla resistenzaal cambiamentodialcuniStatimembrigelosi delle loro prerogative e desiderosi di tutelare i loro interessi partico-laristici rispetto al bene comune, ha portato il Consiglio a promulgarequesto Regolamento di rifusione che, in realtà, modifica sostanzialmentela cooperazione amministrativa in materia fiscale. Come riportato nelparere del CESE, una buona cooperazione amministrativa è la condizionefondamentale per uncorretto svolgimentodelle operazioni transfrontaliere

51 A. Fedele, Prospettive e sviluppi, cit., pagg. 58 ss.52 P. Selicato, “Scambio di informazioni, contraddittorio e Statuto del contribuente”, in

Rass. trib., n. 2/2012, 328 ss.53 Art. 25 Modello contro le doppie imposizioni OCSE.

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ed è interesse sia delle amministrazioni sia dei cittadini; e il concetto dicorretto svolgimento coinvolge anche il rispetto delle norme fiscali.Dunque, la cooperazione amministrativa e la lotte alla frode rappresentanoun unico del tutto inscindibile. Attraverso la cooperazione e lo scambio sirende possibile il corretto funzionamento del sistema impositivo del valoreaggiunto. Da un lato si valorizza la territorialità, cercando pertanto dievitareconflitti di competenza impositiva trapiùordinamenti, obbligandoliacooperare tra loroal finedi accertare il luogodi tassazionee,dall’altro lato,di verificare che l’imposta sia stata effettivamente assolta nell’altro ordina-mento in conflitto. A questo punto dovrebbe apparire ragionevole anche ilmotivo per il quale la Corte ha ritenuto di non pronunciarsi sull’inottempe-ranza all’obbligo, visto che il principio non sarebbe diretto ad una genericatutela del contribuente, ma al corretto riparto territoriale tra Stati delsacrificio tributario. In conclusione, la Corte sembra voler rendere effettivaed efficace la collaborazione tra amministrazioni in materia fiscale conl’obiettivo non solo di individuare correttamente lo Stato dotato di potereimpositivo, evitando salti d’imposta o doppia imposizione, ma soprattuttodi lottare efficacemente contro le frodi o le condotte abusive.

Sembra potersi affermare che la sentenza, pur esprimendounprincipiodi diritto innovativo ed originale, sia uno sviluppo coerente delle finalitàdella cooperazione e, dunque, che la tutela dei principi che regolano l’impo-sta sul valore aggiunto possano giustificare una soluzione che non sembradel tutto aderente alla lettera della norma,ma sembra corretta per accertareche le libertà fondamentalinonvenganoabusatecon l’utilizzodicostruzioniartificiose.

CARMINE MARRAZZODottorato di ricerca in Diritto tributario europeo

Università di Bologna

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