48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

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INDICE

Considerazioni generali 1

La società italiana al 2014 12

Processi formativi 35

Lavoro, professionalità, rappresentanze 44

Il sistema di welfare 53

Territorio e reti 61

I soggetti economici dello sviluppo 70

Comunicazione e media 79

Governo pubblico 87

Sicurezza e cittadinanza 92

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Considerazioni generali

(pp. IX – XXIII del volume)

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Dopo anni di trepida attesa, la ripresa non è arrivata e non è più data come immi-nente; e quasi si ha il pudore, forse la stanchezza, di continuare a usare un termineormai consumato nel racconto collettivo.

Si affermano così altre trame del racconto. Da una parte ci si adagia, con un pizzicodi fatalismo, a introiettare un galleggiamento su antiche mediocrità, senza troppidrammi per le ricorrenti notizie traumatiche, incasellandole con il sorriso dolentedel “ce ne faremo una ragione”. Mentre dall’altra parte si fugge in avanti moltipli-cando incentivi, riforme e manovre volte a spezzare l’inerzia del corpo sociale, avalorizzare qualche vecchio o nuovo cespuglio di vitalità, a recuperare credibilità epeso a livello europeo.

Due modi di vedere le cose che certo non si integrano fra loro, anzi neppure si con-frontano, tanto più che nell’attenzione collettiva precipitano ogni giorno stimoli di-versissimi e parziali (l’Ebola come diffuse storiacce di cronaca) che riducono lastessa volontà di guardare con attenzione la congiunzione fra una sconcertante ras-segnazione collettiva e un’affannosa moltiplicazione dei tentativi per sfuggire adessa. Ne risulta una società sempre più informe, sghemba addirittura nei suoi pen-sieri.

È giusto quindi riprendere il filo dei nostri pensieri collettivi a partire dall’aggancioa come eravamo qualche anno fa. Non si tratta di un proposito continuista, che sa-rebbe in questo periodo poco di moda e forse rischioso. Si tratta solo di richiamaredue semplici verità: la prima, banale e kirkegaardiana insieme, è che non è pensabileuna ri-presa dello sviluppo senza un’adeguata ri-flessione della base reale su cuioperiamo; la seconda, forse ancora più banale, è che, come tutte le società complesse,la nostra società cambia non attraverso “svolte” (momenti magici decisivi), ma at-traverso processi di “transizione”, necessariamente lenti e silenziosi.

Qual è allora la società in cui si sta attuando la strutturale transizione di questi anni?Non c’è bisogno di inventarsi nuove metafore interpretative per ribadire una realtàda tempo chiara: siamo una società molto differenziata, molecolare, ad alta sogget-tività, piena di aspettative e di obiettivi diversi. Altri l’hanno chiamata “società li-quida” e la definizione può utilmente essere presa a riferimento di base, specialmenteda chi inclina spesso alle metafore idrauliche (si pensi a quanto anche questo Rap-porto ha navigato su fenomeni quali il sommerso, il galleggiamento, la mucillagine).

Al di là delle metafore, siamo comunque una società indistinta e sfuggente: indi-stinta, perché non è più descrivibile con forme e figure delineate e significative (sipensi al progressivo successo del termine “gente” e alla propensione a parlare di“gentismo”); e sfuggente, perché tutto vaga senza radicamenti, per cui è impensabileun ritorno ai fili d’erba e ai cespugli di sviluppo, fenomeni tipicamente terragni, chehanno cioè bisogno di terra per sorgere e crescere.

Ma queste due caratteristiche sono quasi secondarie rispetto alla loro visibile inci-denza su un processo oggi sempre più impressivo: la società liquida rende liquefattoil sistema, o almeno mette in crisi le giunture sistemiche della vita collettiva.

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Per anni sono stati esaltati i termini “sistema” e “sistemico”: l’abbiamo fatto ai pianialti (il sistema politico, il sistema istituzionale, ecc.); l’abbiamo fatto a livello eco-nomico (nella programmazione di sistema, nel sistema bancario, nel sistema dellepartecipazioni statali, ecc.); l’abbiamo fatto nei processi intermedi di decisione e dipartecipazione (il sistema burocratico, il sistema sindacale, il sistema contrattuale,ecc.); e abbiamo finito per farlo anche a livello micro, con l’invito a “fare sistema”che echeggia in tante riunioni e convention collettive. Senza contare la sua massimadeclinazione, il retorico richiamo cioè a un sistema-Italia che di fatto non esiste o almassimo copre discutibili ambizioni progettuali.

Questo lungo innamoramento per l’approccio sistemico si è consumato via via neglianni (si può ricordare che in questa sede avevamo segnalato l’esigenza di sostituireil concetto di sistema-Paese con il concetto di “Paese contenitore”), in parte perl’erosione costante e tenace (gutta cavat lapidem) della forza liquida della nostramolecolarità, in parte per la incapacità della stessa cultura sistemica a rivedere i suoi“fondamentali”.

Stiamo cioè diventando una società a-sistemica, visto che non è più governabile coni tradizionali modelli sistemici (piramidali, collegiali, concertativi); visto che le for-zature sui modelli tradizionali (in particolare l’accentuata verticalizzazione del mo-dello piramidale) non sembrano ottenere risultati apprezzabili; visto che le catenesistemiche di comunicazione e di comando (top-down e bottom-up) sembrano sem-pre più sfilacciate; visto che anche i tentativi di attestarsi su più ridotte dimensionisistemiche (dal federalismo al localismo esasperato) non sembrano per ora trovarespazio; e visto che anche sul piano del fondamento teorico è ormai superato il pri-mato del modello organicistico (che ci aveva guidato dall’apologo di MenenioAgrippa in poi), mentre non riesce a imporre concrete relazioni di governance il mo-dello cibernetico destinato a dominare nei prossimi decenni.

In una società senza ordine sistemico i singoli soggetti sono a dir poco a disagio:non capiscono dove si collocano, negli anfratti o nei relitti di un assetto sistemicoche essi ritengono comunque necessario; soffrono tutti gli effetti negativi, anche psi-cologici, della crisi radicale delle giunture sistemiche; e si sentono alla fine abban-donati a se stessi (vale per il singolo imprenditore come per la singola famiglia), inuna obbligata solitudine.

Il sistema finisce per esser vissuto come cosa estranea e resta solo potenziale oggettodi rancore e di denuncia. Con la conseguenza inevitabile che tale estraneità porta aun fatalismo quasi cinico (tanto, tutto è fuori controllo e nessuno riesce a padroneg-giarlo) e talvolta anche a episodi di secessionismo sommerso, ormai spesso presentein varie regioni e realtà locali, specie al Sud.

Non c’è chi non veda come questa crisi profonda della cultura sistemica induca auna ulteriore propensione della nostra società a vivere in orizzontale. Porta infatti ainteressi e comportamenti (individuali e collettivi, ma tutti segnati dalla solitudine)che si aggregano in mondi che spesso non riescono a dialogare fra loro e, non co-

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municando in verticale, restano di fatto dei mondi che vivono di se stessi, senzagrandi confronti esterni.

La denominazione di questi mondi incomunicanti è semanticamente avventurosa(circuiti, strati, vasi, tubi, bigonce), ma in via di consapevole approssimazione sipuò avanzare il termine “giare”, a significare contenitori a ricca potenza interna, macon grandi difficoltà a stabilire significativi rapporti esterni. E facendo un più arri-schiato passo in avanti si può definire allora l’attuale realtà italiana come una “so-cietà delle sette giare”, dove le dinamiche più significative avvengono all’internodel loro parallelo sobollire, senza processi esterni di scambio e di dialettica. Si pensiai mondi:

- dei poteri sopranazionali, con la loro crescente cogenza;

- della politica nazionale, con la emergente istanza del primato della politica;

- del disordinato funzionamento dei ruoli e dei poteri nelle diverse sedi istituzio-nali;

- delle minoranze vitali e della loro crescente estraneità ai destini del Paese;

- della vita, squilibrata e difficile, della “gente del quotidiano”;

- della crescente quota di sommerso sempre più ambiguo;

- il tutto descritto e segnato dalla quotidiana incidenza di un mondo della comuni-cazione connotato più dal bisogno dell’evento (potenzialmente drammatizzabile)che dall’aderenza ai processi reali della società.

È facilmente constatabile l’importanza che questi sette mondi, queste sette giare,hanno nella fase attuale; e ancor più è intuibile la separatezza fra le loro dinamiche.Converrà allora analizzarli con più dettaglio.

a) La prima giara che vive della propria potenza è quella del circuito sovranazio-nale da cui siamo sempre più condizionati. Molti problemi ci vengono dall’at-tuale dinamica geopolitica (si pensi alle vicende anche drammatiche delMediterraneo e del Medio Oriente); ma è ancora più pesante l’influenza da unlato dei comportamenti del mercato finanziario mondiale, dall’altro dei com-portamenti delle autorità comunitarie, attente all’equilibrio finanziario dell’in-sieme dell’economia europea.

Sono due comportamenti che la nostra collettività non domina, non capisce,spesso non conosce. Specialmente ciò avviene per il mondo della finanza in-ternazionale, che si regola e ci regola attraverso l’indiscutibile strumento delmercato, con procedure (di scelte a tempi ravvicinatissimi, di propensioni spe-culative, di valutazioni quasi automatiche o spesso affidate agli algoritmi, convolumi enormi di disponibilità e movimentazione) che vivono di vita propria.Contrariamente al passato, tali procedure non sono padroneggiate da una cerchia

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di protagonisti capaci di fare planning e orientamento al futuro dello sviluppomondiale, ma vanno per proprio conto, lasciando le economie nazionali a fareda spettatrici passive a eventi e periodi di sofferenza (si pensi a quanto noi ita-liani abbiamo sofferto per l’andamento dello spread) senza mai innervare unareale dialettica con le realtà nazionali. Un grande potere senza reale efficaciacollettiva (si riscalda nella dinamica interna alla giara, ma a mala pena trasudada essa), che mai porta a corrispondere alle aspettative collettive, nazione pernazione.

Le stesse cose si potrebbero dire, con ogni necessaria cautela, sul potere degliorgani comunitari europei. Qui, più che il mercato, sono importanti i vincoli(parametri, patti di stabilità, fiscal compact, direttive, controlli) volti al rispettodegli equilibri complessivi della costruzione europea. I modi in cui si mettonoin pratica tali vincoli portano a una crescente cessione di sovranità (quasi a unasudditanza) delle diverse realtà nazionali, combinata però con grandi vuoti: diprotagonisti stabili e affidabili, di prospettazione di sviluppo futuro, di atten-zione alle aspettative delle diverse popolazioni, di programmazione a medio elungo termine. Il che spinge a un crescente egoismo nazionale e a un continuoduro confronto sui relativi interessi. Le esperienze anche recenti o in corsostanno a certificare la problematica efficacia collettiva dei poteri europei: grandesobollimento di istanze e compromessi “dentro la giara”, immancabili fotografiedi gruppo, qualche litigio bilaterale, ma poca incisività complessiva. Tranne na-turalmente la delegazione di fiducia a una forte Banca centrale, che comunquelavora più in autonomia che per dialogo.

b) Una dinamica analoga (vivere su se stessa senza efficacia collettiva) la si ritrovanella seconda giara, quella della politica nazionale. Non riuscendo a modificarepiù di tanto i citati circuiti di potere sovraordinato, essa è costantemente ricon-finata nell’ambito nazionale; e la sua reazione, accentuatasi negli ultimi mesi,è quella di confermare e rilanciare il proprio ruolo, o meglio il primato dellapolitica.

Era naturale che in una società molto frammentata e molecolare si fosse creatoun vuoto di decisionalità e di orientamento complessivo del sistema; ed è com-prensibile che su questo vuoto si siano costruite un’esigenza e un’onda di ri-vincita (sulla rappresentanza, sui corpi intermedi, sulle istituzioni locali, sullestesse istanze di terzietà); così come è comprensibile l’empatia consensuale chesi è espressa verso di essa.

Ma tale primato della politica rischia di restare tutto interno ad essa, senza ef-ficacia esterna e collettiva. Avendo un tetto basso di azione verso l’alto (per laperdita di sovranità) e non avendo immediato potere verso il basso (non semprela volontà decisionale e/o la decretazione d’urgenza supportata dai voti di fidu-cia riescono poi a passare all’incasso sul piano dell’amministrazione corrente epoi dei comportamenti collettivi), la politica rischia di restare confinata al giuocodella sola politica. È naturale cioè che essa vinca sugli altri protagonisti quando

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si tratta di argomenti tutti politici (la legge elettorale, la riforma del Senato,l’abolizione delle Province e del Cnel, la decostruzione delle strutture dei partiti,la marginalizzazione di segmenti di alcune classi dirigenti, ecc.); ma è altrettantonaturale che abbia difficoltà nel gestire il rapporto con altre istituzioni, con leinefficienze dell’amministrazione pubblica, con i comportamenti collettivi econ l’atonia di molte zone del Paese. Resta a sobollire, senza efficacia collet-tiva.

c) Ancora maggiore è tale rischio per il terzo circuito che occupa il panoramasocio-politico italiano: quello del funzionamento istituzionale. Per decenni sonostate le istituzioni a dare forma alla nostra società con l’amministrazione statale,con gli organi di giurisdizione, con le strutture formative; poi, per effetto dellamolecolarità e della complessità crescenti della vita sociale, quest’ultima è sfug-gita alla regolazione, quasi alla guida delle istituzioni. E così queste comincianoa vivere in una dinamica tutta loro e ad esprimere quasi una estraneità dalla re-altà quotidiana.

Cambiano le strutture e si accavallano i ruoli. Abbiamo grandi strutture ormailetteralmente vuote di competenze e di personale; abbiamo grandi ministeri egrandi enti pubblici il cui funzionamento è appaltato a società esterne di consu-lenza o di informatica; abbiamo strutture pubbliche che sono ambigue proprietàdi principati personali; abbiamo personale pubblico (anche giudiziario) che peruna parte sente la tentazione di fare politica, ma per un’altra parte passa tran-quillamente a occupare altri ruoli (di garanzia o di gestione operativa, o addi-rittura di commissariamento); abbiamo un costante rimpallo obliquo delleresponsabilità fra le diverse sedi di potere in occasione di crisi varie; abbiamorincorse infinite fra decisioni e ricorsi ad esse conseguenti; abbiamo un aumentodegli scandali direttamente proporzionale all’enfatizzazione di una mitica tra-sparenza.

È un mondo tutto a giuoco interno, senza alcun serio servizio alla dimensionesuperiore (la politica) e senza adeguato servizio, al limite anche di comando,verso la dinamica della società. La giara sobolle in piena inefficacia collettiva.E con qualche sofferenza psicologica, perché i suoi protagonisti avvertono sullaloro pelle la crisi di ruolo e di peso conseguente alla disfatta sistemica di cui siè parlato nelle pagine iniziali. E non basta, nel clima attuale di continua denunciadella “casta”, l’enfasi che il mondo delle istituzioni ha dato a due concetti fon-damentali (legalità e trasparenza) per recuperare una qualche credibilità.

d) Per molti anni, specialmente in questo Rapporto, abbiamo sottolineato e inco-raggiato la speranza che ci fosse in Italia una minoranza vitale capace di fareda traino alla ripresa, prima, e allo sviluppo ulteriore, poi. Non avevamo natu-ralmente la speranza che i suoi componenti fossero un gruppo omogeneo, quasiuna classe neoborghese, ma li ritenevano capaci di trasmettere energia e orien-tamento agli altri segmenti della società.

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L’evoluzione di questi ultimi anni è andata in altra direzione.

La consistenza di quella minoranza è aumentata significativamente per meritodei medio-piccoli imprenditori che hanno ulteriormente sviluppato il proprioimpegno sul versante dell’export e di una larga presenza internazionale nel com-parto manifatturiero, ma anche nell’agroalimentare, nel turismo, nel digitale,nel terziario di qualità. È un insieme variegato che si è rivelato molto competi-tivo e in crescita, che tende però a non fare gruppo. Preferisce vivere ancoratoalle proprie dinamiche aziendali o individuali (si pensi alle saghe personali deigiovani che vanno a studiare e a lavorare all’estero); legato a una concentrazionedell’attenzione sulle dinamiche (commerciali o legislative) dei luoghi in cui siopera; con strategie imprenditoriali volte all’innovazione di prodotto o di catenadistributiva calibrata sui Paesi di destinazione; con una durezza della competi-zione (e della difesa della propria quota di mercato) che obbliga i protagonistiad alimentare il proprio gene egoista, riducendo la gamma delle relazioni versol’esterno. I vari protagonisti si sentono ben poco assistiti dal sistema pubblico,così aumenta il loro congenito individualismo e si riducono le loro appartenenzeassociative e di rappresentanza. È sconsolante dirlo per un segmento così me-ritevole, ma è vitalità senza efficacia collettiva.

e) Al destino di essere un mondo che vive di se stesso non sfugge neppure il mondodella gente del quotidiano. È enorme, articolato, liquido, molecolare, di molti-tudine, ma non riesce ad avere dinamica: né in avanti, attraverso nuove stagionidi iniziativa e di impegno; né all’indietro, attraverso l’accettazione di un dow-ngrading della composizione sociale, tanto che la precarietà crescente vienevista non come un passo verso la proletarizzazione, ma come una fase perma-nente che comunque “regge”.

Questa sospensione delle aspettative non permette una piena coscienza del de-clino complessivo del sistema, visto che l’autostima individuale regge e che labassa reputazione complessiva è considerata ininfluente rispetto alle aspettativee agli interessi dei singoli. Non c’è quindi mobilità verticale, sia essa perseguitasingolarmente, sia essa espressa in aggregazioni intermedie (sindacali, profes-sionali, sociali); e non c’è neppure mobilità orizzontale, perché la vita viene ge-stita incastrandosi in luoghi relativamente stabili (lo sono non solo i piccolipaesi, ma anche molte periferie urbane), capaci cioè di garantire minimali aspet-tative di qualità della vita.

È una sospensione che nella sua calma apparente può incubare sia una lentaemersione di crescenti diseguaglianze economiche e, in prospettiva, di impre-vedibili tensioni sociali; sia una propensione collettiva della popolazione a pen-sarsi come insieme indistinto (come “gente”), propenso a subire richiami di“gentismo” contenenti una certa dose di populismo.

Per ora, fino a quando tale incubazione non avrà effetto, la scena principale èoccupata dalla tematica e dalla voglia dei diritti, sia quelli consolidati o in partesuperati (dal posto fisso all’articolo 18), sia e specialmente i nuovi diritti nella

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sfera individuale. In effetti, cresce il fervore nelle rivendicazioni soggettive (ildiritto di avere un figlio anche in età avanzata come il diritto alla “morte dolce”,come il diritto ad avere matrimonio e sepolture di tipo paritario). La crescitadei diritti (si comincia a parlare di “diritto al diritto”) non ha però la forza emo-tiva di quella crescita o crisi del desiderio su cui ci eravamo fermati anni fa;tanto più se nel ricercare i relativi successi si tende a lavorare sul piano giuri-sprudenziale o amministrativo (dalle sentenze di corti supreme straniere allevariazioni nei regolamenti cimiteriali comunali). E non è azzardato dire chequesta tematica dei diritti finisce per riguardare una minoranza attivista che nonè capace di indurre grandi trasformazioni sociali (come era invece avvenutonegli anni ’70, anni di grandi battaglie sui diritti, ma anche di grandi desidericollettivi).

f) Fra i tanti circuiti che tendono a vivere prevalentemente in se stessi è semprepiù consistente e in crescita quello che da sempre vive isolato: il “sommerso”.

Quando, proprio in questa sede, oltre quarant’anni fa, mettemmo in luce l’esi-stenza e la vitalità dell’economia sommersa, eravamo convinti che fosse un fe-nomeno destinato a esaurirsi man mano che la dinamica fisiologica dellosviluppo l’avesse incorporato in procedure sempre più trasparenti. A distanzadi oltre quarant’anni dobbiamo constatare che il fenomeno si è addirittura dila-tato. Qualcuno ritiene che sia stata la crisi degli ultimi anni a provocare una re-crudescenza congiunturale della propensione di tutti a nascondersi, proteggersie sommergersi; ma chi ha seguito l’evoluzione italiana recente deve far notareche il sommerso è una componente ormai strutturale e permanente, come si puòrilevare:

- nella dinamica dell’occupazione, visto che la ricerca di qualsiasi occasionedi lavoro conseguente alla crisi spinge a una moltiplicazione, solo parzial-mente trasparente, dei vari spezzoni di lavoro;

- nella formazione del reddito individuale, familiare, locale (se le povertà e lediseguaglianze sociali non hanno finora prodotto tensioni di alta conflittua-lità, è pensabile che ciò sia dovuto a un flusso di reddito non istituzionale ein diverso modo sommerso);

- nella propensione al risparmio, vista l’ottima salute delle sue diverse moda-lità (più depositi bancari, più polizze vita, più affidamenti ai fondi, e si puòcominciare a ipotizzare un risparmio anch’esso sommerso, in nero, cash).

Il mondo del sommerso, quindi, rinforza da un lato la sua interna dinamica edall’altro si rende lontano, estraneo alla generale evoluzione e alle generali po-litiche di sistema. Forse i ricercatori e gli studiosi lo capiranno ancora menoche in passato, ma nella quotidianità esso è una potenza diffusa: è la base deimeccanismi che consentono alle famiglie e alle imprese di reggere; è il riferi-mento adattativo di molti milioni di italiani; è uno spazio di accumulazione col-lettiva certo più consistente dei tanti “tesoretti” di cui spesso si discute.

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g) Il panorama dei circuiti che vivono di se stessi, non camminando in relazionecon gli altri, non sarebbe completo se non si prendesse in carico il grande e per-vasivo mondo dei media. È un mondo forte, estremamente diffuso, che ha unagrande capacità di vivere di se stesso e di dialogare con gli altri mondi citati inuna intensa reciprocità di rimandi, citazioni, polemiche, convergenze e diver-genze. Ma i mezzi di comunicazione stanno vivendo una doppia dinamica in-terna che in prospettiva li allontana da quel rigoroso mandato di aderenza allarealtà e di sua rappresentazione cui implicitamente sono istituzionalmente chia-mati.

La prima di tali dinamiche viene dal fatto che il mondo della comunicazioneappare incardinato al perno del binomio opinione-evento, in dimensioni tali dadomandarsi quali pezzi di società alla fine i media rispecchino, di quali blocchisociali avvertano le vibrazioni, di quali ceti intercettino malumori e bisogni, ese abbiano effettivamente antenne protese a comprendere giorno per giorno icambiamenti reali in corso nella società.

Più sottile e profonda è la dinamica che deriva dal fatto che la crescita e l’inno-vazione degli strumenti digitali di comunicazione e relazione si esercitano com-piutamente nella tendenza dei singoli alla introflessione. L’io è al tempo stessosoggetto e oggetto della comunicazione mediatica anche perché l’autoprodu-zione di contenuti nell’ambiente web privilegia in massima parte l’esibizionedel sé digitale. Gli utenti della rete creano a getto continuo contenuti immettendoin rete con grande disinvoltura una quantità di dati personali impressionante:l’individuo si specchia nei media, di cui contemporaneamente è contenuto eproduttore. La pratica diffusa del selfie diviene così l’evidenza fenomenologicadella concezione dei media come specchi introflessi piuttosto che come stru-menti attraverso i quali scoprire il mondo e relazionarsi con esso.

E così alla fine il mondo della comunicazione si relaziona poco con gli altrimondi, con le altre giare, svolgendo solo ruoli di prevalente supporto (il ruolodi trasparenza, di richiamo agli interessi collettivi, di denuncia delle devianze,di espressione del giudizio morale, ecc.). Grande ed evidente presenza, limitataefficacia collettiva.

Pur se ricco e articolato, il panorama delle sette giare qui analizzate non può essereconsiderato esaustivo di una complessa interpretazione dell’attuale realtà. Troppevariabili non sono infatti ad esso riconducibili, dalle tensioni geopolitiche interna-zionali (specie quelle più contigue a noi) allo squilibrato arrivo e alla difficile inte-grazione degli stranieri, al crescente protagonismo femminile, alla tendenzialedesertificazione del Sud, alle delicate intense dialettiche bioetiche: tutti temi da ri-condurre necessariamente a una carrellata analitica sulla società di oggi.

Non è però furbizia di giustificazione ricordare in questa sede che l’interpretazionenon può limitarsi alla carrellata analitica; deve invece mettere a fuoco il nucleo fon-dante dell’attuale momento della società. E tale momento si identifica con la com-

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presenza di sette mondi distinti e incomunicanti, operanti in orizzontale, che aumen-tano il carattere ad architettura distribuita della nostra società.

Qualcuno dei loro protagonisti cerca rapporti in verticale (magari di comando), senzarendersi conto che sono ambizioni comprensibili e generose, ma destinate a restareinoperanti. Lo dimostrano gli esiti non entusiasmanti delle istanze di verticismo deidiversi livelli di autorità: quelli europei nei confronti delle politiche nazionali, quellistatuali nei confronti dei soggetti territoriali, quelli di indirizzo politico verso l’iner-zia ed estraneità dell’apparato amministrativo, e così via.

È verosimile che le sette giare vadano connesse per come sono, tramite una crescitadella politica come funzione di rispecchiamento e orientamento della società, lontanadalla tradizionale identificazione con il peso e il valore dell’apparato statuale. Sonoevidenti le difficoltà che incontra una tale prospettiva in un momento storico in cuila politica viene enfatizzata come arte del comando (e del comando in verticale),ma si tratta di una torsione di responsabilità assolutamente necessaria se si vuoleevitare che la dinamica tutta interna alle sette giare porti a una perdita di energiacollettiva del sistema, a una inerte accettazione collettiva dell’esistente, al consoli-darsi della grande articolata deflazione che stiamo attraversando: quella economica,di cui tutti parlano; quella del numero e delle iniziative delle imprese; quella delleaspettative individuali e collettive; quella della mobilità verticale (individuale e digruppo); quella della rappresentanza degli interessi collettivi; quella delle capacitàdi governo ordinario (malgrado o forse a causa della proliferazione decretizia di tipoverticistico).

Se la deflazione è così ampia e pervasiva, il timore emergente è che dovremo conessa convivere a lungo, in una stabile mediocrità. Per questo si capisce la crescenteesigenza di una cultura politica che comprenda l’articolazione e la separatezza deimondi di vitalità e di potere oggi esistenti, e riannodi i loro meccanismi operativi edi orientamento.

Può apparire strano questo riproporre un ruolo trainante a una politica che soffre diun picco negativo di bassa reputazione e fiducia, di rancore diffuso, di anti-politica,di rabbia per l’intreccio fra politica e potere statuale. Ma si può partire proprio dallosciogliere quest’ultimo intreccio, con le sue diverse configurazioni (burocratica, au-toritativa, illiberale, corrotta, inefficiente, ecc.) e restituire alla politica il diritto-do-vere di connettere le aspettative individuali con orizzonti ed energie mirate al futuro.Devono valere le aspettative della gente, non la connessione di vertice fra politica eStato (che nel Paese è arrivata anche al “partito-Stato”).

Se la politica però vuole, nei confronti della dinamica sociale, essere arte di guida enon coazione di comando, deve operare su se stessa una torsione profonda, almenoin due direzioni.

In primo luogo, deve fare pulizia delle incrostazioni accumulatesi negli ultimi anni:la tentazione al moralismo come strumento politico di divisione e di delegittimazionedelle controparti; la invadente ipocrisia con cui la cosiddetta società civile ha osta-

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colato ogni tentativo di decisionalità collettiva; l’innamoramento per i diritti che hatrasformato in dispute e regolamentazioni giuridiche le spinte a una vitale libertàpersonale; la propensione a un bipolarismo predicato senza mai avere chiaro qualefosse il fundamentum divisionis; la presenza di una atonia intellettuale ben più ve-lenosa della pur circolante atonia etica; la tentazione di una leadership costruita suuna empatia consensuale e generalista. Non avrà facile e immediato successo questoimpegno di pulizia mentale, ma è un compito che vale la pena di perseguire, nellaconsapevolezza che si attuerà non in una svolta, ma in una lenta transizione, confrutti di medio periodo.

La politica deve altresì poter riacquisire coscienza di alcuni suoi “fondamentali”, dialcune non transeunti virtù: in primo luogo, l’aderenza spietata alla realtà (“le opi-nioni non radunano, la realtà è”), prosaicamente ricordando che il nostro sviluppo èstato fatto da protagonisti magari conflittuali, ma legati sempre alla situazione reale(da Valletta negli anni ’50 ai piccoli imprenditori degli anni ’70, all’esplosione delmade in Italy negli anni ’80); in secondo luogo, la fedeltà alle nostre radici (di “sche-letro contadino”, come abbiamo scritto in altre occasioni) rivisitate non nella retoricadei valori, ma nell’aderenza alla serietà e sobrietà comportamentale (Giulio Bollati,che ruralista non era, invitando un amico scrive: “Qui troverai un po’ di erba e unabuona minestra di ceci”); in terzo luogo, non avere paura della dialettica, l’unicostrumento per confrontare opinioni, per maturare decisioni, per far crescere classedirigente; infine, il coraggio di non imporre i propri pensieri, ma di sollecitare glialtri a pensare con la propria testa (anche quando si sospetta che non ce l’abbiano,la testa).

Con questo doppio passo (liberarsi dalle incrostazioni e recuperare i fondamentali),il fare politica può recuperare l’antica eredità dei greci (combinare pensiero alto econtaminazione pratica) e può riprendere la sua funzione di promotore dell’interessecollettivo. Addirittura con l’ambizione di essere quel “soggetto generale dello svi-luppo” su cui si articolò con successo il ruolo dello Stato, che ha governato l’Italiaper lunghi decenni, poi intellettualmente e istituzionalmente soffocato dalla vogliadi potere, di comando, di dominanza dell’apparato pubblico, quella voglia ereditatadai partiti.

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La società italiana al 2014

(pp. 1 – 78 del volume)

La numerazione di tabelle, tavole e figure riproduce quella del testo integrale

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1. Una società satura dal capitale inagito

L’attendismo cinico delle famiglie liquide

Dopo la paura della crisi, è un approccio attendista alla vita che si va imponendo tra gli italiani. Anche se molto lentamente, si va facendo strada la convinzione che il picco negativo della crisi sia alle spalle (lo pensa il 47% degli italiani: il 12% in più rispetto all’anno scorso), tuttavia ora è l’incertezza a prevalere. Non a caso, la ge-stione dei soldi da parte delle famiglie è fatta di breve e brevissimo periodo, di con-tante e depositi bancari. Nel periodo 2007-2013 tutte le voci delle attività finanziarie delle famiglie sono diminuite, tranne la voce “biglietti, monete e depositi”, salita in termini reali del 4,9%, arrivando così a costituire il 30,9% del totale (era il 27,3%nel 2007). A giugno 2014 questa massa liquida è cresciuta ancora, fino a 1.219 mi-liardi di euro. Prevale un cash di tutela, con il 44,6% delle famiglie che destina espli-citamente il proprio risparmio alla copertura da possibili imprevisti, come la perdita del lavoro o la malattia, e il 36,1% che lo finalizza alla voglia di sentirsi con le spalle coperte. La parola d’ordine è: soldi vicini per ogni evenienza (tab. 3).

(val. %)

Nessuno/ Licenza

elementare

Licenza media/

Qual. prof. DiplomaLaurea

o superiore Totale

Fare fronte a possibili imprevisti (salute, disoccupazione, ecc.) 43,4 39,1 49,2 44,9 44,6

Dare sicurezza, sensazione di avere le spalle coperte 23,5 34,5 36,1 47,9 36,1

Garantire una vecchiaia serena (per avere in futuro un più alto tenore di vita) 39,8 31,6 24,4 26,5 28,5

6,4 15,0 23,0 23,2 18,9

Affrontare spese importanti in futuro, 7,8 5,3 9,5 7,4 7,6

Nessuna funzione: risparmiare non serve a molto, perché il potere di acquisto diminuisce nel tempo 19,5 17,9 8,1 4,1 11,9

Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposteFonte: indagine Censis, 2014

Si può stimare in circa 410 miliardi di euro la spesa pagata in contanti dalle famiglieitaliane. Il contante utilizzato nei pagamenti a livello nazionale è pari al 41% del to-tale della spesa e sale al 54% nel Sud e addirittura al 65% tra le persone con titolodi studio più basso. Il fiume di contanti non può non essere ricollegato alla vocazioneal nero, al sommerso, a una fuga dalla tassazione: strategie minute che creano redditoe abbattono i costi. In fondo, la gestione del contante è anche un meccanismo fun-zionale alla immersione difensiva degli italiani. L’informale si alimenta anche di al-meno 700.000 persone che esplicitamente dichiarano di affiancare al lavoro primario

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

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regolare un secondo lavoro. Inoltre, si stima che almeno un quarto dei lavoratori di-pendenti part time (oltre 500.000) siano fasulli, ossia che a orari dichiarati e contri-buti pagati riferiti al part time corrispondano nella realtà orari interi e retribuzionisenza i contributi dovuti legalmente.

Si è dinanzi a microstrategie massificate di risposta adattiva a quella incertezza chetutto pervade, laddove risultano coinvolte dalla crisi anche famiglie che in passatoerano rimaste illese. Si stimano in 6,5 milioni le persone che negli ultimi dodicimesi, per la prima volta nella loro vita, hanno dovuto integrare il reddito familiaremensile con risparmi, prestiti, anticipi di conto corrente o in altro modo, magari peraffrontare una spesa imprevista. C’è quindi una vulnerabilità diffusa, tanto che il60% degli italiani ritiene che possa capitare a chiunque di finire in povertà, quotache sale al 67% tra gli operai e al 64% tra i 45-64enni.

Dalla vulnerabilità le famiglie sentono di doversi proteggere da un lato tenendo di-sponibili i soldi per ogni evenienza, “pronto cassa”; dall’altro, abbattendo i costi diacquisto di beni, servizi e prestazioni. In tale contesto, il sentiment generale dellefamiglie si riassume con poche parole: incertezza, inquietudine, ansia. Pensando alfuturo, il 29% degli italiani si dichiara inquieto perché ha un retroterra fragile, il29% in ansia perché non ha una rete di copertura, il 24% dice di non avere le ideechiare sul futuro perché tutto è molto incerto, e solo poco più del 17% dichiara disentirsi abbastanza sicuro e con le spalle coperte. Tra i giovani di 18-34 anni di etàsale al 43% la quota di chi si dichiara inquieto e con un retroterra fragile, e scendead appena il 12% la quota di chi si dichiara al sicuro (tab. 5).

sentiment millennials (val. %)

Millennials (18-34 anni) Totale

Inquieto, ho un retroterra fragile 43,2 29,2

In ansia, non ho una rete di copertura 26,6 29,0

Non so, è tutto molto incerto 17,9 24,2

Abbastanza sicuro, con le spalle coperte 12,3 17,6

100,0 100,0

Fonte: indagine Censis, 2014

L’attendismo cinico degli italiani si alimenta anche della prosaica convinzione chein fondo ci sono alcune invarianti nei processi sociali quotidiani che con la crisi fi-niscono per patologizzarsi. Richiesti di indicare quali siano i fattori più importantiper riuscire nella vita, è vero che il 51% degli italiani richiama una buona istruzionee il 43% il lavoro duro, tuttavia per entrambe le variabili il valore italiano è inferiorea quello medio europeo, pari rispettivamente al 63% per l’istruzione solida e al 46%per il lavoro sodo. In Italia risultano molto più alte le quote di chi indica che servonole conoscenze giuste (il 29% contro il 24% medio europeo) e il fatto di provenire dauna famiglia benestante (il 20% contro il 10%). Inoltre, il riferimento all’intelligenzacome variabile determinante per l’ascesa sociale coagula il 7% delle risposte in Italia:il valore più basso in tutta l’Unione europea (tab. 6).

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L’atonia del grande capitalismo

(e la rivincita dell’economia di territorio)

Nel 2013 si è registrato il valore più basso degli investimenti, a prezzi costanti, degliultimi tredici anni. Considerando la fase più acuta della crisi (a partire quindi dal2008), i dati fanno impressione: la flessione delle spese produttive è stata superioreal 23%. Si sono ridotti di più di un quarto gli investimenti in hardware (-28,8%),costruzioni (-26,9%), mezzi di trasporto (-26,1%), ma anche le spese per macchinarie attrezzature (una delle voci più consistenti) hanno registrato una flessione del22,9%. Se si considera l’ammontare degli investimenti realizzati nel 2007 come unbenchmark (369 miliardi di euro), si può dire che da allora fino al 2013 c’è stata unamancata spesa cumulata per investimenti superiore a 333 miliardi di euro (fig. 1).

-(val. %)

Francia Germania Regno Unito Ue

Avere una buona istruzione 51 66 82 73 63

Lavorare sodo 43 53 30 74 46

Conoscere le persone giuste 29 21 21 19 24

Avere fortuna 23 19 20 9 22

Venire da una famiglia benestante 20 5 7 7 10

Essere intelligenti 7 18 21 7 16

Essere un maschio 4 3 2 2 3

Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposteFonte: elaborazione Censis su dati Eurobarometro, 2014

(var. %)

-28,8

-26,9

-26,1

-22,9

-17,1

-11,6

-5,9

5,7

7,9

-23,1

-35 -30 -25 -20 -15 -10 -5 0 5 10

Computer hardware

Costruzioni

Mezzi di trasporto

Macchinari, attrezzature

Software e database

App. informatica e telecom.

Prodotti di proprietà intellettuale

R&S

Telecomunicazioni

Totale beni fissi

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat

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Eppure, a una così accentuata flessione delle spese produttive, determinata dalla re-cessione in atto e dalle aspettative negative, non è corrisposto un peggioramento dieguale portata dei conti delle imprese e un proporzionale prosciugamento di risorseliquide. Dal 2008 a oggi il margine operativo lordo delle imprese si è mantenutoelevato e a tratti crescente. E il patrimonio netto disponibile delle imprese, oltre aessere 5,8 volte l’ammontare degli investimenti fissi lordi, rivela un andamento cre-scente (fig. 2).

(miliardi di euro)

835 788 802 820 812 809

1.481 1.553 1.527

1.382 1.486

1.591

357 322 320 314 291 275

0

200

400

600

800

1.000

1.200

1.400

1.600

1.800

2008 2009 2010 2011 2012 2013

Margine operativo lordo Patrimonio netto Investimenti fissi lordi

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat

Questa discrasia tra risorse disponibili e ciclo declinante delle spese produttive nonha precedenti e appare anche inutile cercarne le cause nel razionamento del credito,ovvero nel presunto atteggiamento eccessivamente prudente del sistema bancario,visto che è in calo la stessa domanda di provvista finanziaria, mentre crescono le ri-sorse liquide disponibili delle imprese (circolante e depositi), passate dai 238 miliardidi euro del 2008 agli attuali 274 miliardi (fig. 3).

Se il grande capitalismo familiare italiano appare quasi sotto assedio (la famigliaBulgari vende le quote di controllo della propria azienda al polo del lusso Lvmh,Merloni Elettrodomestici cede all’americana Whirlpool dopo un periodo travagliatodi ridefinizione della governance interna, Brioni vende al francese Pinault, le pre-ziose lane biellesi di Loro Piana passano al gruppo Louis Vuitton, per non citare lafine disastrosa della famiglia Riva che dall’Italia guidava uno dei principali polimondiali dell’acciaio e la difficile ricerca di nuovi equilibri nel consiglio di ammi-nistrazione di uno dei campioni dell’industria italiana come Luxottica), resta unacarta vincente per il Paese il microcapitalismo di territorio. Ancora nel primo seme-stre del 2014 le esportazioni degli oltre 100 distretti industriali italiani (che contri-buiscono a più di un quarto del valore aggiunto manifatturiero) sono cresciute del4,2%, in termini tendenziali, a fronte di un incremento del 2,2% di aree simili, spe-cializzate nel manifatturiero ma con una conformazione diversa da quella dei di-stretti, e a fronte di un incremento dell’1,2% dell’export manifatturiero complessivo.Nel 2014 il fatturato dei distretti è stimato in crescita del 2,2% e del 4,7% nel 2015.

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

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La dissipazione del capitale umano

che non si trasforma in energia lavorativa

Se si guarda al numero di disoccupati, che nel 2013 sono più di 3 milioni, di cui piùdella metà ha perso un posto di lavoro precedente, e aggiungiamo loro i circa1.780.000 cittadini in età lavorativa inattivi perché scoraggiati e gli oltre 3 milionidi persone che pur non cercando attivamente un lavoro sarebbero disponibili a la-vorare, otteniamo nel complesso un capitale di quasi 8 milioni di individui che do-vrebbero essere valorizzati e instradati verso il mercato del lavoro al fine di tradurreil loro potenziale umano in energia lavorativa e produttiva (tab. 8).

È noto lo spreco di capitale umano tra le leve giovanili:

- i 15-34enni costituiscono il 50,9% dei disoccupati totali e, con la crisi, il loro nu-mero è aumentato del 75,9%;

- se concentriamo l’analisi della dissipazione sulla fascia più giovane dei 15-29enniche non sono impegnati nel ricevere un’istruzione o una formazione, non hannoun impiego né lo cercano – ormai stigmatizzati con l’acronimo anglosassone Neet–, è possibile osservare come questa sottopopolazione sia in continua crescita,passando da quasi 1.946.000 di individui nel 2004 a 2.435.000 nel 2013.

Il potenziale femminile è anch’esso ampiamente mortificato: le donne costituisconoil 45,3% dei disoccupati, ma soprattutto il 65,8% degli inattivi scoraggiati e il 60,6%delle persone disponibili a lavorare.

(miliardi di euro)

183,6

238,1

279,3 273,7

0

50

100

150

200

250

300

2005 2008 2013 I trim. 2014

Fonte:

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

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A ciò si accompagna, sul fronte dell’occupazione, un disequilibrato e antieconomicoutilizzo dell’offerta di lavoro. I dati riportati nella tabella 9 evidenziano l’ampiezzadel capitale umano sottoutilizzato, composto dagli occupati part time involontari(2,5 milioni di occupati nel 2013, più che raddoppiati rispetto al 2007), da quelliche, seppure “volontari del part time”, sarebbero disponibili a lavorare per più ore(642.000 persone), e dagli occupati in Cassa integrazione, il cui numero di ore èpassato nel periodo 2007-2013 da poco più di 184.000 a circa 1,2 milioni, corri-spondenti a 240.000 lavoratori non utilizzati.

(v.a., migliaia e val. %)

Capitale inutilizzato

2007 2013Var. %

2007-2013mgl. val. % mgl. val. %

Disoccupati totali (15 anni e più) (1) 1.506 6,1 3.113 12,2 106,7

Donne 784 52,0 1.411 45,3 80,1

Laureati 171 11,3 346 11,1 102,9

15-34 anni 900 59,8 1.584 50,9 75,9

Mezzogiorno 808 53,6 1.450 46,6 79,5

Da 12 mesi e più 704 46,8 1.755 56,4 149,2

Durata media della disoccupazione (mesi) 19 22 15,8

Disoccupati ex occupati (15 anni e più) (2) 633 42,0 1.664 53,5 162,9

Donne 260 41,1 609 36,6 133,9

Mezzogiorno 319 50,4 714 42,9 123,7

Da 12 mesi e più 240 38,0 820 49,3 240,9

Inattivi “scoraggiati” (15-64 anni) (3) 1.287 8,8 1.790 12,4 39,1

Donne 900 69,9 1.178 65,8 30,9

Mezzogiorno 964 74,9 1.180 65,9 22,4

Persone che non cercano lavoro ma disponibili a lavorare (15-74 anni) (3) 2.541 12,5 3.091 15,1 21,6

Donne 1.673 65,8 1.875 60,6 12,1

Laureati 183 7,2 243 7,9 32,8

15-34 anni 1.187 46,7 1.263 40,9 6,4

Mezzogiorno 1.736 68,3 1.955 63,2 12,6

Neet (15-29 anni) (4) 1.832 18,9 2.435 26,0 32,9

Donne 1.083 59,1 1.274 52,3 17,6

Laureati 166 9,1 240 9,9 44,8

Mezzogiorno 1.161 63,4 1.317 54,1 13,4

(1) Il valore percentuale è calcolato rispetto alla popolazione in età attiva della stessa fascia di età(2) Il valore percentuale è calcolato rispetto al totale disoccupati della stessa fascia di età(3) Il valore percentuale è calcolato rispetto al totale inattivi della stessa fascia di età(4) Il valore percentuale è calcolato rispetto alla popolazione della stessa fascia di etàFonte: elaborazione Censis su dati Istat

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

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Ma è soprattutto nel fenomeno dell’overeducation che si sostanzia la dissipazionedell’energia lavorativa, in particolare quella espressa dalle giovani generazioni. Sein valori assoluti nel periodo 2007-2013 diminuisce lievemente il numero di occupatisottoinquadrati, che ricoprono cioè posizioni lavorative per le quali sarebbe suffi-ciente un titolo di studio inferiore a quello posseduto, il loro peso sul totale deglioccupati passa dal 19,1% al 19,5%, e si tratta sempre di più di 4 milioni di lavoratori.Di questi, il 53,3% è costituito da diplomati, un esercito di 2,3 milioni di lavoratori,e un ulteriore 41,3% da laureati (1,8 milioni di occupati).

Se si guarda all’overeducation degli occupati laureati disaggregata per l’indirizzodi studi, si scopre che essa è più trasversale di quanto ci si aspetti. Se, infatti, risultaelevata in lauree considerate deboli sul mercato del lavoro, come quelle in scienzesociali e umanistiche (43,7%), è ancora più elevata tra i laureati in scienze econo-miche e statistiche (57,3%), e riguarda anche un ingegnere su tre. Solo il settore me-dico e infermieristico si posiziona ampiamente sotto la soglia del 20% (13,9%)(tab. 10).

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

(v.a., migliaia e val. %)

2007 2013Var. %

2007-2013mgl. val. % mgl. val. %

Sottoccupati di 15 anni e oltre (1) 364 1,6 642 2,9 76,2

Donne 237 65,2 393 61,3 65,6

15-34 anni 141 38,7 203 31,6 44,2

Mezzogiorno 134 36,9 186 29,0 38,6

Occupati con part time involontario (2) 1.216 38,5 2.470 61,6 103,1

Donne 872 71,7 1.729 70,0 98,2

15-34 anni 526 43,3 849 34,4 61,4

Mezzogiorno 467 38,4 790 32,0 68,9

Occupati sottoinquadrati (1) 4.434 19,1 4.378 19,5 -1,3

Laureati 1.747 39,4 1.808 41,3 3,5

Diplomati 2.228 50,2 2.335 53,3 4,8

Ore di Cig (v.a.) 184.118 1.182.357 542,2

(1) Il valore percentuale è calcolato rispetto agli occupati della stessa fascia di età(2) Il valore percentuale è calcolato rispetto agli occupati part time della stessa fascia di etàFonte: elaborazione Censis su dati Istat e Isfol

Page 22: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

Tab. 10 - Overeducation(val. %)

Val. %

LaureaScienze mediche e infermieristiche 13,9Architettura 27,3

30,8Giurisprudenza 32,0Ingegneria 33,0Scienze sociali e umanistiche 43,5Scienze economiche e statistiche 57,3Altra laurea 43,9

37,2DiplomaLiceo classico 37,8

35,2Liceo linguistico 34,2Altro liceo 63,4Istituto tecnico 31,2Istituto professionale 46,5Altro diploma 28,6

34,8

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat

Il patrimonio culturale che non produce valore

Primo Paese al mondo nella graduatoria dei siti Unesco, sede di opere architettonichee artistiche uniche, con un’offerta culturale estremamente variegata (tav. 2), l’Italiariesce solo in minima parte a mettere a valore il ricco patrimonio culturale di cui di-spone. Con un numero di lavoratori nel settore (304.000, pari all’1,3% del totale)pari alla metà di quello di Regno Unito (755.000) e Germania (670.000), e di granlunga inferiore rispetto a Francia (556.000) e anche Spagna (409.000), nel 2013 ilsettore della cultura produceva un valore aggiunto di 15,5 miliardi di euro (contro i35 miliardi della Germania e i 27 della Francia) e pesava solo per l’1,1% su quellototale del Paese (meno che negli altri Paesi europei).

-

Istituzioni principali

Quasi 5.000 musei, monumenti e aree archeologiche fruibili: 424 statali e 4.340 non statali.

Patrimonio “minore”

In questa categoria rientrano siti culturali ben individuati e censiti come chiese (85.000 soggette a tutela; di queste, 30.000 di rilevante valore), ville e palazzi nobiliari (40.000), castelli (20.000), giardini storici (4.000) e conventi (1.500), ma anche quel

costiere, gli eremi, ecc. disseminati nel territorio.

Centri storici e borghi buona parte coincide con centri storici o è rappresentata da monumenti o altre opere

comuni in Italia, si contano 7.800 centri storici, di cui 900 di principale rilevanza. La

quella del Touring Club (Bandiere arancioni) ne associa 198.

Fonte: elaborazione Censis su fonti varie

Page 23: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

Mentre le principali economie europee, ad esclusione del Regno Unito, hanno regi-strato dal 2007 un significativo sviluppo del settore, sia in termini occupazionali cheeconomici, da noi la situazione è ben diversa: -1,6% tra il 2007 e il 2013 in terminidi valore aggiunto (contro il +4,8% della Germania e il +9,2% della Francia nel pe-riodo 2007-2012) e +3,3% in termini occupazionali (contro il +10,9% della Germa-nia e il +6,3% della Francia) (tab. 11).

Nel corso degli anni le politiche si sono indirizzate sempre più verso obiettivi diconservazione e tutela dei beni a scapito sia della valorizzazione del capitale “gia-cente”, sia dello sviluppo di capitale culturale “vivente”, vale a dire la capacità disviluppare attività culturali che coinvolgessero la società e i suoi molteplici attori. Imodelli gestionali hanno ostacolato lo sviluppo di un approccio alla gestione piùimprenditoriale. Basti pensare a come finora è stato gestito il parziale ingresso deisoggetti privati nei musei: una presenza che è ancora sostanzialmente limitata al-l’ambito dei cosiddetti “servizi aggiuntivi”, vale a dire la prenotazione di biglietti,la gestione dei bookshop, della caffetteria e delle audioguide, che nel 2013 ha con-tabilizzato un fatturato del tutto risibile rispetto alle potenzialità del business, pari a45 milioni di euro.

Certo, non aiuta la constatazione che dal 2010 al 2013 la quota di italiani che nelcorso dell’anno sono andati a un museo o a una mostra è passata dal 30,1% al 25,9%,a visitare siti archeologici e monumenti dal 23,2% al 20,7%, ad assistere a uno spet-tacolo a teatro dal 22,5% al 18,5%, ad ascoltare un concerto di musica classica dal10,5% al 9,1%.

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

(migliaia, miliardi di euro, val. % e var. %)

V.a.Incidenza %

sul totaleNumeri indice (Italia=100)

Var. %2007-2013

Occupati (migliaia) (1)

Regno Unito 755,0 2,6 248,3 0,7

Germania 670,0 1,6 220,3 10,9

Francia 555,9 2,1 182,8 6,3

Spagna 409,1 2,2 134,5 4,3

304,1 1,3 100,0 3,3

Valore aggiunto (miliardi di euro) (2)

Germania 34,9 1,5 224,7 4,8

Francia 26,7 1,5 171,8 9,2

Regno Unito 23,5 1,5 151,3 -6,3

Spagna 16,9 1,8 108,8 0,6

15,5 1,1 100,0 -1,6

(1) I dati di Regno Unito, Germania e Francia sono al 2012, quelli della Spagna al 2011(2) I dati di Germania, Francia e Spagna sono al 2012, quelli del Regno Unito al 2011Fonte: elaborazione Censis su dati Eurostat

Page 24: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

(val. %)

Totale Giovani

(14-29 anni)Adulti

(30-44 anni)

Utenti di internet complessivi 63,5 90,4 84,3

Utenti di internet abituali 56,5 84,4 78,3

Utenti di almeno un social network 49,0 79,8 68,8

Utenti di almeno uno tra smartphone, tablet, e-reader 43,8 70,5 63,1

Utenti di smartphone 39,9 66,1 58,9

(*) Popolazione di riferimento: 14-80 anni Fonte: indagine Censis, 2013

22

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

2. La solitudine dei soggetti

I dispositivi di introflessione

di un popolo di singoli narcisisti e indistinti

Gli utilizzatori dei nuovi media rappresentano quote sempre più ampie di popola-zione e crescono con un ritmo decisamente accelerato. Dai dati dell’ultimo Rapportosulla comunicazione del Censis emerge che, a fronte del 63,5% di italiani che uti-lizzano internet, gli utenti dei social network sono il 49% della popolazione e arri-vano all’80% tra i più giovani di 14-29 anni (tab. 14). Considerando i dati relativi aFacebook, il più diffuso tra i social network, tra il 2009 e il 2014 si è accentuato ilprocesso di saturazione già riscontrato per gli utenti più giovani. Il fenomeno piùsignificativo è certamente rappresentato dalla crescita dei fruitori della fascia adulta,con incrementi del 153,4% per i 36-45enni e del 404,7% per gli over 55. Conside-rando il totale degli iscritti italiani a Facebook, le quote prevalenti sono rappresentatedai 36-45enni (pari al 21,3% del totale degli iscritti) e dai 19-24enni (18,1%).

Il mondo dei social network non è solo densamente abitato, ma anche ampiamentefrequentato, con connessioni continuate nel tempo. Delle 4,7 ore trascorse media-mente in un giorno su internet, 2 sono dedicate ai social network, con una modalitàdi connessione praticamente continua grazie all’uso sempre più diffuso dei device

mobili. Il numero di chi accede a internet tramite cellulare in un giorno medio (7,4milioni di persone) è ormai più alto di quanti accedono solo da pc (5,3 milioni) o daentrambi (7,2 milioni).

Una delle attività più praticate nella fruizione attiva dei social network consiste nel-l’upload di foto e video personali. Secondo i dati forniti da Global Web Index relativiall’Italia, il 73% degli utenti che hanno utilizzato i social network nel 2013 ha indi-cato di aver caricato fotografie e di aver interagito con i contenuti postati. In Italiasono circa 4 milioni gli utenti che utilizzano Instagram, dove il 58% dei contenuticondivisi al giorno nel mondo (32 milioni giornalmente nel 2013) sono autoritrattifotografici, i cosiddetti selfie.

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

La pratica diffusa del selfie diviene così l’evidenza fenomenologica incontrovertibiledella concezione dei media come specchi introflessi in cui riflettersi narcisistica-mente, piuttosto che strumenti attraverso i quali scoprire il mondo e relazionarsi conl’altro da sé. Non è contraddittorio, così, il dato che emerge da una rilevazione delCensis secondo cui la solitudine è oggi una componente strutturale della vita dellepersone: il 47,2% degli italiani dichiara di rimanere solo durante il giorno per unamedia quotidiana di solitudine pari a 5 ore e 10 minuti. Vivono di più la solitudinenel quotidiano le donne (il 54% contro il 39,5% dei maschi), i residenti al Nord-Ovest (52,3%) e al Nord-Est (58,2%), più che al Sud (38,4%), nonché le personepiù avanti con l’età, con 65 anni e oltre (55%). È come se ogni italiano vivesse 78giorni di isolamento in un anno, senza la presenza fisica di alcuna altra persona.

Il bypass dei corpi intermedi

Dall’autunno 2011 è partita una stagione di riforme che ha portato a 86 decreti ap-provati dal Consiglio dei ministri e presentati al Parlamento per la conversione inlegge. Di questi, 72 sono stati convertiti in legge, 6 decreti sono confluiti in altriprovvedimenti e 3 sono in corso di conversione (a ottobre 2014). La tabella 17 riportauna sintesi quantitativa dei 72 decreti:

- in sede di conversione in legge sono state introdotte oltre 1.300 modifiche, spessocon la tecnica del maxi-emendamento approvato con voto di fiducia;

- successivamente alla conversione in legge, i testi sono stati nuovamente modifi-cati più volte, quasi sempre con altri decreti legge e in alcuni casi per effetto disentenze della Corte Costituzionale;

- il testo complessivo in vigore al 1° ottobre 2014 corrisponde a un volume di circa1,2 milioni di parole, vale a dire 11,6 volte la Divina Commedia di Dante.

Decreti leggeConvertiti in

legge (1)in sede di

conversione successive (2)Numero di parole (3)

Governo Monti (novembre 2011-aprile 2013) 41 35 695 457 590.313

Governo Letta (aprile 2013-febbraio 2014) 25 22 356 87 373.492

Governo Renzi (febbraio-settembre 2014) 20 15 254 4 220.375

86 72 1.305 548 1.185.171

6 ottobre 2014)

(3) Parole che compongono il testo in vigore al 6 ottobre 2014 con esclusione degli elenchi allegatiFonte: Censis, 2014

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

La trappola della promessa che non si traduce in processi (amministrativi, economici,sociali) e la lunga strada dei decreti non hanno ancora portato concretamente al de-collo dello sviluppo e dell’occupazione. Il ripetuto richiamo alla straordinaria ur-genza delle riforme e il conseguente ricorso alla decretazione ha una duplice chiavedi lettura fenomenologica: da un lato, è l’effetto di un progressivo aggiramento daparte della politica delle diverse componenti istituzionali; dall’altro, la causa diun’accelerazione nel bisogno degli organi di governo di parlare direttamente aglielettori. Si viene in questo modo a creare un circuito vizioso nel quale la dimensioneintermedia della vita collettiva si macera nella crisi della politica e quest’ultima ali-menta la disintermediazione dei rapporti tra istituzioni e cittadini annunciando nuoveriforme: unica risposta possibile al ritardo degli effetti di quelle già avviate.

Il decreto legge assunto come strumento di governo e il parlare direttamente ai cit-tadini hanno però un difetto strutturale: obbligano tutti a una lettura superficiale, agrana grossa, delle azioni necessarie a uscire dalla paura e dalla crisi di fiducia chebloccano il Paese. L’aggiramento delle mediazioni istituzionali e la disintermedia-zione attraverso i social network, se efficaci sotto il profilo della comunicazione,comportano un sostanziale appiattimento delle differenze: nero o bianco, dentro ofuori, a favore o contro. E impediscono di lavorare sulle basi amministrative delleriforme come frutto di un’intelligente mediazione.

Le scissioni territoriali e sociali

che corrodono il ceto medio

In un contesto nazionale in cui, negli anni della crisi, le disuguaglianze sociali sisono ampliate, il ceto medio si è indebolito, le opportunità di integrazione sono di-minuite, particolarmente grave ed evidente risulta lo slittamento verso il basso dellegrandi città del Sud. Lo dimostrano in modo evidente i dati della tabella 19, che met-tono impietosamente a confronto Napoli, Bari, Palermo e Catania con Milano, Bo-logna e Roma. Il tasso di occupazione dei 25-34enni oscilla tra il 34,2% di Napolie il 79,3% di Bologna, la quota di persone con titolo di studio universitario passadall’11,1% di Catania al 20,9% di Milano, il tasso di astensionismo alle ultime ele-zioni è pari al 59,7% a Palermo e scende al 34,9% a Bologna, gli evasori del canoneRai sono il 58,9% a Napoli ma diminuiscono al 26,8% a Roma, a Bari solo 2,8 bam-bini di 0-2 anni ogni 100 sono presi in carico dai servizi comunali per l’infanziacontro i 36,7 di Bologna, a Palermo ci sono appena 3,4 mq per abitante di verde ur-bano rispetto ai 22,5 bolognesi, la percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti siferma al 10,6% nel capoluogo siciliano mentre arriva al 38,2% nel capoluogo lom-bardo.

Per un Paese come l’Italia, che ha fatto della coesione sociale un valore centrale eche si è spesso ritenuto indenne dai rischi connessi alle fratture sociali che si ritro-vano nelle banlieue parigine o nei quartieri degradati della inner London, le proble-

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L’adattamento interstiziale degli immigrati

In un anno ancora di crisi economica, in cui sono aumentate le divaricazioni terri-toriali e sociali, c’è un segmento della società che, seppure faticosamente, continuaa dare segnali di vitalità. Si tratta degli immigrati che hanno scelto di vivere stabil-mente nel nostro Paese e che, pur mantenendo intatta la propria soggettività, reagi-scono alla crisi inserendosi negli spazi lasciati liberi dai nostri connazionali, in alcunicasi cercando di fare mixité tra la propria cultura e la nostra.

Negli anni della crisi, le imprese con titolare straniero in Italia sono passate da312.838 a 399.764, con una crescia del 27,8% nei sette anni considerati e del 2%solo nell’ultimo anno. Tra gli stranieri sono particolarmente vitali gli extracomuni-tari, che in tutto il periodo crescono del 31,4% e del 2,7% quest’anno. Tutto ciò av-viene mentre le imprese gestite dagli italiani calano del 10% (-1,6% nell’ultimoanno) (tab. 20).

Sono due i settori in cui gli stranieri stanno esercitando maggiormente la loro capa-cità di fare impresa e di infilarsi silenziosamente nelle nostre radici e nelle nostretradizioni: il commercio e l’artigianato.

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

(val. %)

Indicatori Napoli Bari Palermo Catania Milano Bologna Roma

Tasso di occupazione25-34 anni (1) 34,2 50,2 36,3 38,1 78,2 79,3 63,6Persone con titolo di studio universitario 11,7 14,1 11,6 11,1 20,9 22,9 18,5Livello di competenza alfabetica degli studenti(numeri indice: Italia =200) 185,9 197,6 188,6 n.d. 203,4 209,5 200,9Astenuti alle elezioni europee del 2014 56,6 (2) 59,7 60,2 40,0 34,9 48,0Famiglie che non pagano il canone Rai 58,9 21,8 55,6 58,1 37,4 25,8 26,8Passeggeri annui del trasporto pubblico per abitante 173,2 63,4 42,9 57,7 689,2 246,4 438,2Presa in carico dai servizi

(per 100 bambini di 0-2 anni) 2,2 2,8 4,8 n.d. 25,3 36,7 17,6Verde urbano pubblico fruibile (mq/ab.) 4,4 5,3 3,4 7,5 12,3 22,5 16,7Cinema (schermi ogni 10.000 abitanti) 0,37 0,60 0,40 0,68 0,64 0,85 0,86Vetture Euro 0, 1 e 2 sul parco auto circolante 54,3 30,9 37,6 49,3 27,7 24,8 28,6Raccolta differenziata 21,8 21,0 10,6 12,8 38,2 35,4 25,7

(1) Dato provinciale(2) Il dato di Bari non è comparabile, perché si votava anche per le comunaliFonte: elaborazione Censis su fonti varie

maticità ormai incancrenite di alcune zone ad elevatissimo degrado non possono es-sere ridotte a una semplice eccezione alla regola del “buon vivere”.

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(v.a., val. % e var. %)

Nazionalità

2008 2013 2014 (1)Var. %

2008-2014Var. %

2013-2014v.a. val. % v.a. val. % v.a. val. %

Stranieri (2) 312.838 9,2 391.786 12,2 399.764 12,6 27,8 2,0

Extra Ue 239.296 7,1 306.322 9,5 314.488 9,9 31,4 2,7

Italiani 3.076.230 90,8 2.815.220 87,8 2.769.892 87,4 -10,0 -1,6

3.389.068 100,0 3.207.006 100,0 3.169.656 100,0 -6,5 -1,2

(1) Dato di stock provvisorio al II trimestre

Fonte: elaborazione Censis su dati Infocamere

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

Le imprese di commercio al dettaglio gestite da stranieri sono complessivamente125.965, rappresentano il 15% del totale e sono cresciute del 13,4% dal 2011 a oggi,mentre quelle italiane si sono ridotte del 2,4%. In particolare, nel commercio al det-taglio in sede fissa abbiamo assistito alla scomparsa di circa 10.000 negozi su tuttoil territorio nazionale. I negozi gestiti dagli stranieri, invece, che sono 40.504 e rap-presentano il 6,2% del totale, crescono di oltre 3.000 unità, con una variazione po-sitiva del 9,2%. E i dati relativi ai primi sei mesi del 2014 confermano questatendenza. Aumenta, in particolare, il comparto alimentare, che conta 5.031 puntivendita e cresce del 22% nei due anni considerati. L’incremento risulta addiritturadel 33,9% per i negozi di frutta e verdura, che a fine 2013 erano 1.827 e rappresen-tavano il 10% dei negozi di questo tipo aperti sul territorio nazionale. Per il resto, sisegnala l’aumento dei negozi non specializzati, una sorta di empori che vendonomerci di ogni tipo: nel 2013 erano 10.342 e dal 2011 sono aumentati del 18,2%. Cisono poi alcuni comparti in cui gli immigrati si vanno specializzando, quali le ri-vendite di apparecchiature informatiche e di telefonia (+15,8% in due anni), i fiorai(+7,7%) e i tabaccai (+11%). Ma il segmento del commercio in cui gli immigratiormai la fanno da padroni è quello dell’ambulantato: un settore che negli ultimi dueanni mostra una buona vitalità complessiva, con una crescita di oltre 7.000 impreseregistrate. Tale crescita è dovuta interamente agli stranieri, che sono passati dalle73.959 imprese ambulanti registrate nel 2011 alle 85.461 del 2013 (+15,6%). Il ri-sultato è che i venditori ambulanti stranieri rappresentano oggi il 46,8% del totale,ma sono decisamente la maggioranza nella vendita dei prodotti di abbigliamento edei non alimentari.

Il moltiplicarsi dell’offerta ha provocato un cambiamento nelle abitudini di spesadegli italiani. Una indagine del Censis testimonia come sono più di 33 milioni gliitaliani che si recano, almeno qualche volta, a fare la spesa in negozi gestiti da im-migrati, e di questi circa 6 milioni vi si recano regolarmente. I più frequentati risul-tano i negozi di casalinghi, ovvero i mini-empori dove si trova di tutto (vi si servonoregolarmente quasi 3,5 milioni di persone), seguono gli alimentari (dove gli acqui-renti superano i 2,6 milioni), i negozi che vendono saponi e detersivi, quelli di fruttae verdura.

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

Nel 2013 le imprese artigiane straniere erano 175.039, con una crescita del 2,9%negli ultimi due anni, quando le imprese italiane sono calate del 4,5%, e impiegano284.613 addetti (+1,3% rispetto al 2011). Le attività cui si dedicano maggiormentegli stranieri sono i lavori di costruzione e di rifinitura degli edifici. In particolare, sicontano 91.706 imprese specializzate nel settore, che rappresentano circa un quintodel totale delle imprese, e 15.840 ditte che si occupano della costruzione propria-mente detta (tab. 22).

(v.a., val. %e var. %)

Settori di attività economica

Imprese artigiane

Straniere Italiane

v.a.val. %

sul totalevar. %

2011-2013var. %

2011-2013

Lavori di costruzione specializzati 91.706 21,3 0,0 -5,8Installazione di impianti elettrici, idraulici e altri 4.962 3,7 3,4 -2,7

15.840 13,5 -4,4 -8,9Confezione di articoli di abbigliamento e in pelle 9.588 31,6 6,3 -8,9

8.095 20,4 20,6 6,4Altre attività di servizi per la persona 7.780 5,2 11,2 -0,8

Lavanderia e pulitura di articoli tessili e pelliccia 1.216 7,4 1,8 -7,9Servizi dei parrucchieri e di altri trattamenti estetici 5.920 4,6 8,0 -0,9

Attività dei servizi di ristorazione 7.434 15,0 15,2 0,0Trasporto terrestre e trasporto mediante condotte 6.347 6,9 1,8 -5,6

Trasporto di merci su strada 5.593 8,8 0,7 -8,6Fabbricazione di prodotti in metallo 4.759 6,8 -2,1 -6,7Fabbricazione di articoli in pelle e simili 3.370 25,5 16,7 -6,1

di autoveicoli e motocicli 2.243 2,8 11,6 -2,9Manutenzione e riparazione di autoveicoli 2.169 2,8 11,1 -3,0

175.039 12,4 2,9 -4,5284.613 9,1 1,3 -6,9

Fonte: elaborazione Censis su dati Infocamere

La sommersa esigenza di un nuovo umanesimo

La crisi economica, che continua a mordere individui e famiglie, accresce ansie einquietudini. È difficile cogliere tracce di una nuova fiducia nel futuro e negli altri.Solo il 20,4% degli italiani pensa che gran parte della gente sia degna di fiducia,mentre il restante 79,6% è invece convinto che bisogna stare molto attenti (tab. 23).

La propria personalissima crescita umana sta diventando l’unica certezza. Non vicontribuisce più il territorio (troppo violato fisicamente e moralmente per sentirloproprio), né il lavoro (che spesso non è quello che si vorrebbe), non il reddito (sem-pre più incerto), né i consumi (che si riducono). Secondo gli italiani l’identità sifonda soprattutto sulla nostra natura, sul nostro carattere e sull’educazione ricevuta,sul bagaglio di principi che custodiamo, sul capitale di conoscenze che possediamonella nostra mente, sulla nostra interiorità (tab. 24).

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3. L’Italia fuori dall’Italia

Il rischio di stare ai margini

dell’economia mondiale dei flussi

A causa della prolungata recessione, l’Italia rischia di restare ai margini dell’econo-mia dei flussi, ultima incarnazione dei processi di globalizzazione dei mercati e degliscambi. La quota dell’Italia sul volume globale delle esportazioni di merci si è atte-stata nel 2013 al 2,83%, con un incremento rispetto al 2012 del 3%. A livello mon-diale, l’incremento è stato del 2%. Sul versante dei servizi commerciali, l’Italia copreuna percentuale di esportazioni pari al 2,37%. La crescita di questa partita negli ul-timi due anni è stata pari al 6%, in linea con quanto è accaduto a livello mondiale.Ma la quota italiana di investimenti diretti dall’estero, che hanno raggiunto nel 2013i 1.400 miliardi di dollari a livello globale, è pari solo all’1,17%.

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

(val. %)

oppure bisogna stare molto attenti? Val. %

Bisogna stare molto attenti 79,6

20,4

100,0

Fonte: indagine Censis, 2014

(val. %)

Sesso

TotaleMaschio Femmina18-29 anni

30-44 anni

45-64 anni

65 anni e oltre

57,1 45,5 47,6 49,3 52,8 54,5 51,3

46,8 44,0 51,2 36,1 49,3 47,3 45,5

Il carattere personale 40,9 49,5 44,0 47,5 46,3 41,0 45,1

Gli interessi e le passioni 33,3 37,0 50,6 30,4 32,7 33,3 35,2

Il territorio in cui si è nati 21,1 16,8 22,3 21,4 15,6 18,5 19,0

La famiglia di provenienza 16,6 19,8 13,3 22,9 16,8 18,0 18,2

Il lavoro 18,5 10,3 7,8 17,1 15,9 14,0 14,5

La nazionalità 9,2 8,9 10,2 6,1 8,6 12,6 9,0

Il territorio in cui si vive 7,0 4,8 3,0 6,8 6,8 5,9 6,0

Il genere (maschio o femmina) 2,9 8,1 3,0 6,1 6,8 4,5 5,5

Il tipo di consumi 2,9 4,0 4,2 4,3 4,1 0,9 3,5

Il livello di reddito 3,5 3,2 4,8 3,2 3,5 2,3 3,4

Altro 0,8 0,8 1,2 0,4 0,9 0,9 0,8

Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposteFonte: indagine Censis, 2014

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

Nel periodo precedente all’esplodere delle turbolenze finanziarie, i flussi in entratasi erano attestati a un livello superiore ai 30 miliardi di euro; nel 2011 il relativorimbalzo del Pil aveva portato l’afflusso a meno di 25 miliardi; dopo un modestis-simo risultato nel 2012 (appena 72 milioni di euro), nel 2013 si è potuto registrareun dato superiore ai 12 miliardi. Le consistenze degli investimenti esteri sfiorano inquesti anni i 300 miliardi di euro, con un incremento tra il 2012 e il 2013 del 6,2%.Per contro, i flussi in uscita degli investimenti da parte di operatori italiani sono statipari a circa 24 miliardi di euro nel 2013, portando lo stock di investimenti a oltre430 miliardi, con un incremento nell’ultimo anno del 7% (tab. 27).

(milioni di euro e var. %)

2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

FlussiInvestimenti

11.503 31.652 34.912 70.310 45.740 15.313 24.655 38.575 6.211 23.847

Var. % 175,2 10,3 101,4 -34,9 -66,5 61,0 56,5 -83,9 283,9

Investimenti 16.209 18.729 33.943 32.038 -7.404 14.453 6.931 24.691 72 12.432

Var. % 15,5 81,2 -5,6 -123,1 -295,2 -52,0 256,2 -99,7 17.166,7

ConsistenzeInvestimenti

170.678 207.299 237.818 283.857 317.876 337.622 366.451 401.645 405.515 433.875

Var. % 21,5 14,7 19,4 12,0 6,2 8,5 9,6 1,0 7,0

Investimenti 170.172 201.300 237.254 255.766 235.619 252.969 245.515 274.462 275.598 292.761

Var. % 18,3 17,9 7,8 -7,9 7,4 -2,9 11,8 0,4 6,2

Fonte:

Fra le categorie dei flussi indotte dalla integrazione di reti e di scambi, un ruolo si-gnificativo per l’Italia, in termini di attrattività, è rappresentato dai viaggi e dal tu-rismo. Su un volume che a livello mondiale ha superato il miliardo di viaggiatorinel 2013, l’Italia ha coperto una quota del 4,5% con quasi 49 milioni di unità. La ri-levanza di questo settore per l’Italia, fra i primi cinque Paesi al mondo come desti-nazione, è strategica. Le previsioni di incremento dei viaggiatori al 2020 indicanoun volume che si potrà attestare a 1,3 miliardi, mentre alla fine del prossimo decen-nio potrebbe raggiungere 1,8 miliardi.

Ma l’intensificazione degli scambi e dei flussi viaggia anche attraverso l’integra-zione di internet. Circa il 12% della quota mondiale di scambi di merci nel 2013 ri-cade nella categoria del commercio digitale; nel 2005 la quota era del 3%. Su untotale di oltre 31.000 gigabyte per secondo che transitano su internet, solo il 2,5% èriconducibile al traffico di matrice italiana.

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

La separatezza dai poteri reali in Europa

Gli italiani sono meno fiduciosi nell’operato dei principali luoghi del potere europeo.Il 33% degli italiani ha fiducia nel Parlamento europeo (contro il 37% medio euro-peo), il 28% della Commissione europea (32% media Ue) e il 22% alla Banca cen-trale europea (31% media europea). Alle elezioni per il Parlamento europeo digiugno l’affluenza alle urne dei cittadini italiani è stata pari al 57,2% (dato inferiorealla partecipazione media nel caso delle elezioni politiche in Italia), mentre quellacomplessiva si è fermata al 42,5%. I cittadini italiani ed europei, del resto, traccianoun profilo dell’Unione europea tutt’altro che positivo: il 64% degli italiani e il 69%degli europei percepisce l’Unione coe “burocratica”, il 57% in Italia e il 55% in Eu-ropa la considera “lontana”, solo il 29% degli italiani (contro il 45% medio europeo)vede nell’Unione un fattore di protezione rispetto a condizioni di crisi e disagio,mentre è considerata un’organizzazione efficiente dal 33% (31% media Ue). E men-tre il 42% degli europei pensa che la propria voce conti in Europa, la percentualescende al 19% tra gli italiani.

Nella mappa delle principali istituzioni europee, gli italiani (che pesano per il 12%in termini di popolazione sul totale dell’Unione a 28 Stati) che oggi occupano posi-zioni di vertice sono 178 su 2.242 (il 7,9%), tra cui 4 Direttori generali e 3 Vicedi-rettori generali della Commissione europea.

Al potere formale delle istituzioni è stata spesso affiancata l’attività di condiziona-mento delle decisioni da parte dei gruppi di interesse. L’azione dei lobbisti è in parteevidenziata dalla presenza nel Registro di trasparenza voluto dall’Unione europea.Ad oggi, risultano inserite in questo registro circa 6.600 organizzazioni, di cui pocomeno di 3.300 sono riconducibili, secondo le categorie riportate dal registro, a lobbyo associazioni professionali e commerciali, mentre sarebbero 1.700 le organizzazioninon governative e 800 le società di consulenza o i consulenti che agiscono in formaindividuale.

Su 700 lobby attive in ambito finanziario a Bruxelles, più di 140 hanno sede nelRegno Unito, seguono Germania, Francia e Stati Uniti con quote per tutti e tre iPaesi pari alla metà di quella inglese. E sono proprio americane le società che di-chiarano la spesa più alta in attività di lobby a Bruxelles. In particolare, Philip Morriscon 5 milioni di euro, la ExxonMobil con 4,7 milioni, Microsoft con 4,5 milioni. Lasocietà europea che dichiara l’importo maggiore è invece la tedesca Siemens, seguitadalla Shell e dalla francese Gdf Suez. La presenza italiana è riconducibile a circa 30organizzazioni: un dato questo che, se confrontato con quanto riportato per il RegnoUnito, la Germania e la Francia, potrebbe in parte confermare la nostra scarsa capa-cità di incidere nelle fasi e nelle sedi strategiche di decisione.

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

(v.a.e val. %)

N. componenti

Di cui: italiani

v.a. val. %

Parlamento europeo 751 73 9,7Consiglio europeo 30 1 3,3

280 10 3,6Comitato rappresentanti permanenti (designati) 103 2 1,9

Commissione europea 28 1 3,6Direttori generali 35 4 11,4Vicedirettori generali 38 3 7,9

Corte di giustizia 37 2 5,4Tribunale 28 1 3,6Tribunale della funzione pubblica 7 1 14,3

Banca centrale europeaComitato esecutivo 6 1 16,7Consiglio direttivo 24 2 8,3Consiglio generale 30 2 6,7

Corte dei conti europea 28 1 3,617 2 11,8

Comitato economico e sociale europeo 353 24 6,8Comitato delle regioni 353 40 11,3Banca europea per gli investimenti

Board of Governors 28 1 3,6Board of Directors 29 1 3,4Comitato esecutivo 9 1 11,1Audit committee 6 0 0,0

Fondo europeo per gli investimentiTop management 11 3 27,3Consiglio direttivo 7 1 14,3

Mediatore europeo 1 0 0,0Garante europeo della protezione dei dati 2 1 50,0Scuola europea di amministrazione 1 0 0,0

2.242 178 7,9

46 2 4,3Agenzie decentrate 37 2 5,4Agenzie esecutive 6 0 0,0Agenzie Euratom 2 0 0,0Istituto europeo di innovazione e tecnologia 1 0 0,0

Fonte: elaborazione Censis su dati istituzioni europee

L’Italian way of life: cosa piace di noi all’estero

L’interesse suscitato all’estero dall’Italia, sebbene non adeguatamente sfruttato, nonsembra conoscere crisi. Aumentano le presenze turistiche straniere (viaggiatori pernumero di notti trascorse): 186,1 milioni nel 2013 e 20,7 miliardi di euro spesi. Ivisti per l’ingresso dall’estero sono raddoppiati rispetto al 2004 sotto la spinta diRussia e Cina. L’export delle “4 A” del made in Italy (alimentari, abbigliamento, ar-redo-casa e automazione) è aumentato del 30,1% in quattro anni (tav. 5).

Page 34: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

testimonial

La crescita di interesse

Il turismo straniero Sono in continua crescita le presenze turistiche: 166,1 milioni nel 2010, 183,5 milioni nel 2012, 186,1 milioni

La spesa dei turisti e dei viaggiatori

Nel 2013 i turisti stranieri hanno speso 20,7 miliardi di euro (+6,8% rispetto al 2012). La spesa totale dei viaggiatori nel 2013 è di 33,1 miliardi di euro (+3,1%).

-

Francia. I visti per turismo sono aumentati del 21,5% nel 2013. Forte incremento di Russia e Cina (primi due Paesi per visti rilasciati).

nel 2013 è di circa 98 miliardi di euro. Le esportazioni delle “4 A” del made in Italy (alimentari, abbigliamento, arredo-casa e automazione) sono cresciute del 30,1% tra il 2009 e il 2013. Le aziende che hanno esportato nel 2013 sono 211.756 (+1,3% rispetto al 2012).

Le ricerche online2013 +12% di ricerche relative ai settori del made in Italy).

dei potenziali testimonial

Gli italiani residenti --

rispetto al 2013). Nel 2013 sono espatriati 94.126 italiani (per il 36,2% giovani tra 18 e 34 anni). Tutte

-na (836.736), tedesca (704.135) e svizzera (582.172).

il 27,6% laureati (dieci anni fa erano il 12%).

Le imprese italiane 21.682. Sono presenti in 161 Paesi con 1,7 milioni di addetti e 510 miliardi di euro di fatturato.

Le catene italiane in

Nel 2013 si rilevano 149 reti di italiano

rispetto al 2011). Ai primi posti abbigliamento, enoga-stronomia e accessori moda.

italiana Nel mondo circa 200 milioni di persone sono in grado di parlare italiano (75 milioni come prima lingua e 125 milioni come seconda). Nel 2013 297.675 persone (più della metà adulti) hanno seguito un corso di lingua ita-

hanno accolto circa 70.000 corsisti.

Studenti e ricercatori Sono attualmente 2.693 i ricercatori italiani impegnati -

ro attraverso il programma Erasmus sono 25.805.

Fonte: elaborazione Censis su fonti varie

32

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

Questo interesse continuerà ad aumentare nei prossimi anni in ragione della crescitadei testimonial dell’Italia nel mondo, pensando alle presenze capillarmente diffusenel mondo di italiani, aziende italiane, prodotti e brand italiani. Tutte le comunitàitaliane nel mondo crescono numericamente e aumenta il livello di istruzione degliitaliani che espatriano: oggi il 27,6% di coloro che emigrano possiede una laurea,ma non si andava oltre il 12% tra le uscite dello scorso decennio. Sempre più personeparlano la lingua italiana, e non solo per i circa 60 milioni di persone di origine ita-liana presenti all’estero, ma anche per il numero crescente di coloro che scelgono diapprendere l’italiano iscrivendosi a un corso di lingua. Ne discende che oggi, nel

Page 35: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

33

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

complesso, sono circa 200 milioni le persone in grado di parlare la nostra lingua.Crescono le reti di aziende italiane in franchising all’estero: 149 reti al 2013 per untotale di 7.731 punti vendita (+5,3% rispetto al 2011).

Il soft power dell’enograstronomia nazionale

che conquista le culture globali

La spesa per generi alimentari delle famiglie italiane è diminuita nel periodo di crisi2007-2013 del 12,9% in termini reali, contro una dinamica complessiva della spesaper consumi pari a -8%. A fronte di una caduta della spesa, si registra però una espan-sione del significato sociale del rapporto con il cibo, che si spinge ben oltre la suafunzionalità primaria. Il successo di vino e cibo italiani nel mondo è uno degli indi-catori più significativi del fortissimo appeal del nostro stile di vita come interpretedi valori ‒ dalla domanda di qualità alla sostenibilità ‒ che nel post-crisi sarannosempre più importanti nelle culture globali.

Lo dimostrano vari fenomeni, a cominciare dalla buona performance del made inItaly agroalimentare, che è una delle componenti più dinamiche dell’export, tantoche nel 2013 la voce “prodotti alimentari e bevande” vale 27,4 miliardi di euro:+26,9% rispetto al 2007. L’Italia, inoltre, è il Paese con il più alto numero di alimentia denominazione o indicazione di origine (266), seguito a distanza da Francia (219)e Spagna (179).

Per il 51% degli italiani la tipicità si sostanzia nel patrimonio culturale, storico e ar-tistico, e per il 50% nel cibo e nel vino. Per i giovani di età compresa tra i 18 e i 34anni la tipicità di un territorio è espressa più dal patrimonio enogastronomico(55,7%) che da quello culturale, storico e artistico (55,2%), o da quello paesaggistico(47,1%), ed è così anche per i residenti nel Nord-Est (52,7%) e nel Sud (53,1%)(tab. 32).

(val. %)

Il territorio in cui lei vive ha una sua tipicità che lo distingue?

Millennials (18-34 anni)

Baby-boomers (35-64 anni)

Aged (65 anni e oltre) Totale

Sì 97,1 94,0 89,2 93,6

Il patrimonio culturale, storico, artistico 55,2 53,4 42,1 51,1

Il cibo e il vino 55,7 53,8 36,8 50,2

Il patrimonio paesaggistico 47,1 44,6 32,9 42,4

Il dialetto, la lingua parlata localmente 38,4 32,5 35,2 34,6

Un particolare evento, manifestazione (festival, evento sportivo, ecc.) 38,2 26,4 27,7 29,5

Lo stile di vita 19,0 19,5 15,3 18,4

13,6 15,6 9,2 13,6

No 1,7 5,6 6,3 4,8

Non so 1,2 0,5 4,5 1,6

100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: indagine Censis, 2014

Page 36: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

34

(val. %)

CucinanoDi cui:

amano cucinare

Di cui: (motivazioni)

Appassiona Rilassa

Millennials 97,5 92,1 38,6 24,4 24,5

Single 98,2 75,6 28,7 25,3 14,6

95,9 82,0 32,5 23,4 20,9

Fonte: indagine Censis, 2014

Esempi di comportamenti quotidiani improntati alla voglia di qualità, pur nel con-testo di una diminuzione del reddito disponibile e di un approccio più sobrio ai con-sumi, sono:

- l’acquisto di prodotti di stagione, praticato regolarmente da oltre 9 milioni di fa-miglie e da 13,4 milioni di tanto in tanto. A praticarlo è il 97,4% del totale (di cuiil 71,1% regolarmente e il 26,3% di tanto in tanto), con una maggiore propensionetra gli abitanti del Nord-Ovest (il 99,4%, di cui il 73,9% lo fa regolarmente e il25,5% di tanto in tanto) e tra chi definisce il proprio livello socio-economico alto(il 98,8%, di cui il 67,8% regolarmente e il 31% di tanto in tanto);

- l’acquisto di prodotti a “chilometro zero”, entrati ormai nel quotidiano della ta-vola degli italiani, con 18 milioni che lo fanno regolarmente e 25,3 milioni ditanto in tanto. Sono più propensi all’acquisto di tali beni i millennials (18-34 anni:il 42% lo fa regolarmente e il 48,9% di tanto in tanto) rispetto ai baby-boomers

(35-64 anni: il 31,2% regolarmente e il 57% di tanto in tanto) e agli aged (65anni e oltre: il 42,1% regolarmente e il 40,4% di tanto in tanto);

- la disponibilità a spendere di più per prodotti biologici, indicata da 29,2 milionidi italiani. Una più spiccata propensione si rileva tra i laureati (il 71,3% a frontedel 58,9% del totale) e tra chi definisce il proprio livello socio-economico alto(64%). L’attenzione al biologico è confermata anche dai dati relativi al prodottobiologico intermediato dalla Grande distribuzione organizzata, cresciuto in valoredai 375 milioni di euro del 2008 a 720 milioni di euro nel 2014.

E colpisce il successo della cucina in gruppi socio-demografici tradizionalmentemeno permeabili a un’attività per molto tempo inchiodata alla pura funzionalità oalla dimensione di genere. Un esempio emblematico è rappresentato dai millennials,tra i quali cucina il 97,5%. Al 92,1% di essi piace cucinare e tra questi il 38,6% di-chiara di essere appassionato di fornelli (tab. 33).

Grazie a questo meccanismo sociale, l’onnipresenza del cibo, che contagia anche iluoghi più avanzati della globalizzazione, costituisce uno dei veicoli primari tramiteil quale il nostro Paese sta riuscendo a conquistare, con logica da soft power, cuori,menti e portafogli dei cittadini a livello globale. L’Italian food, inteso come prodottie come modalità di rapporto con la produzione e il consumo di cibo, è lo straordi-nario ambasciatore del nostro Paese nel mondo globalizzato.

Page 37: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

Processi formativi

(pp.81 – 135 del volume)

La numerazione di tabelle, tavole e figure riproduce quella del testo integrale

Page 38: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

36

Investire nell’infanzia

Già nel 2002 l’Unione europea ha riconosciuto la strategicità dell’ampliamento dei

servizi prescolari per lo sviluppo socio-economico, individuando alcuni obiettivi

specifici: la copertura del 33% dei bambini sotto i 3 anni e del 90% per quelli dai 3

anni fino all’età di ingresso nel ciclo primario. Obiettivi non raggiunti nel 2010 e ri-

proposti per il 2020.

Nel 2012-2013 solo il 54,6% dei Comuni italiani ha attivato servizi per l’infanzia,

arrivando a coprire appena il 13,5% dei potenziali utenti. In nessuna regione si rag-

giunge l’obiettivo comunitario e si va dal 27,3% dell’Emilia Romagna al 2,1% della

Calabria. Il numero di posti disponibili nelle scuole dell’infanzia, statali, comunali

e paritarie, è invece sufficiente a coprire la domanda, coinvolgendo ormai quasi la

totalità degli aventi diritto. Ma anche questo segmento non è esente da criticità.

I primi risultati di un’indagine del Censis sull’offerta prescolare su 1.200 dirigenti

di scuola dell’infanzia statale e non statale mostrano che nel 2013-2014, se il 56,6%

delle scuole intervistate non ha dovuto predisporre liste d’attesa, più di una su tre

ha avuto liste d’attesa, comunque via via assorbite dalla scuola (25,5%) o anche da

altre scuole (7,4%). Vi è poi il 10,1% di dirigenti che dichiara di non essere riuscito

in ogni caso a rispondere alla domanda espressa dal territorio di riferimento, valore

che sale al 16,2% nelle regioni del Nord-Ovest (tab. 2).

intervistate (val. %)

Val. %

A.s. 2013/101456,6

25,5

7,4

No 10,1

Totale 100,0

A.s. 2014/201541,0

indagine Censis, 2014

Page 39: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

37

Quando la scuola incontra il lavoro

I dati di monitoraggio sull’alternanza scuola-lavoro evidenziano che nell’arco di

sette anni questa metodologia si è diffusa in maniera sostenuta, passando dai 45.879

studenti coinvolti nel 2006-2007 ai 227.886 del 2012-2013. Nell’alternanza sono

oggi coinvolte quasi 78.000 strutture ospitanti, tra imprese (58,2% del totale), pro-

fessionisti, ma anche strutture pubbliche di diversa natura (enti locali, scuole, Asl,

università, Camere di commercio, ecc.). Nonostante la vivacità dimostrata, i percorsi

di alternanza coinvolgono però appena il 9% degli studenti di scuola secondaria su-

periore.

L’attuazione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro non appare esente da proble-

matiche agli occhi dei dirigenti che sono chiamati a realizzarli. Il principale aspetto

qualificante di tali percorsi è ritenuto, secondo un panel di 800 dirigenti di scuola

secondaria di II grado, quello del fornire una maggiore conoscenza del mondo del

lavoro (66,2%), anche in funzione orientativa per la eventuale scelta di proseguire

negli studi (47,3%), ma gli intervistati segnalano la loro difficoltà a coinvolgere le

aziende e il mondo del lavoro in genere (47%), cui è possibile correlare il 42,2% di

coloro che rimarcano la difficoltà a offrire percorsi in alternanza a tutti gli studenti

dell’istituto, oltre alle risorse finanziarie insufficienti (46,4%). Solo poco più di un

terzo (34,3%) dei rispondenti ritiene che l’avere effettuato un’esperienza in alter-

nanza aumenti in maniera diretta le opportunità occupazionali dei diplomati, mentre

sul versante dell’organizzazione didattica la principale criticità sembra essere costi-

tuita dalla difficoltà a realizzare una effettiva integrazione dell’esperienza di alter-

nanza nel curricolo scolastico (tab. 4).

Per quanto riguarda i percorsi di istruzione tecnica superiore (Its), dal primo periodo

di sperimentazione 2010-2012, con 59 Fondazioni e più di 70 percorsi avviati, si è

giunti oggi a 64 Fondazioni (più 10 in corso di attivazione), 240 percorsi tra già rea-

lizzati, in attuazione e in corso di attivazione, e circa 5.000 studenti. I referenti delle

41 Fondazioni intervistate nell’ambito di una indagine Censis-Cnos si dichiarano in

maggioranza molto (31,7%) o abbastanza (56,1%) soddisfatti degli esiti occupazio-

nali dei primi diplomati. In relazione ai 518 diplomati intervistati, il dato più ecla-

tante è quello relativo agli ampi livelli di soddisfazione registrati sia in merito

all’esperienza formativa in sé (i diplomati molto o abbastanza soddisfatti sono

l’82,4% del totale), sia tra gli occupati al momento dell’intervista (occupati molto o

abbastanza soddisfatti: 88,2%). Il 48,5% dei diplomati ritiene molto utile il corso,

perché ha aumentato le possibilità di trovare lavoro, e il 56% suggerisce di migliorare

proprio le relazioni delle Fondazioni con il mondo del lavoro. Più della metà degli

attuali diplomati occupati ha trovato lavoro soprattutto nell’azienda in cui ha effet-

tuato lo stage (43,3%) (tab. 5).

Page 40: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

38

panel(val. %)

Val. %

Maggiore conoscenza del mondo del lavoro 66,2

47,3

37,3

dalle aziende 34,3

32,5

25,5

24,3

13,9

Aggiornamento e maggiore specializzazione del corpo docente 5,0

47,0

46,4

42,2

41,5

Coerente programmazione ed ottimizzazione di tempi e risorse

31,1

di lavoro 22,6

14,8

10,7

6,2

4,9

indagine Censis, 2014

Page 41: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

L’attuazione della scuola digitale

secondo i dirigenti scolastici

Se 100 studenti italiani iscritti all’ultimo anno di scuola secondaria di I grado o al

terzo della scuola secondaria di II grado dispongono rispettivamente di 8,3 e 8,2

personal computer, 100 dei loro coetanei europei ne dispongono mediamente di 21,1

e 23,2. Il 25,3% degli studenti di terza media e il 17,9% dei loro colleghi del terzo

anno di scuola superiore frequentano scuole prive di connessione alla banda larga,

a fronte di corrispondenti valori medi europei di gran lunga inferiori (rispettiva-

mente, 5% e 3,7%). La frequenza di scuole dotate di ambienti di apprendimento vir-

tuale è un’esperienza che coinvolge il 19% degli studenti in uscita dalla scuola media

di I grado e il 33% degli iscritti al terzo anno della secondaria di II grado, quote an-

cora una volta sensibilmente inferiori alle medie europee (nell’ordine, 58% e 61%

di studenti in età corrispondente).

I dirigenti si scuola secondaria di II grado intervistati dal Censis hanno evidenziato,

quali principali problematicità, l’obsolescenza troppo rapida della dotazione tecno-

logica, i costi che devono essere sostenuti per il collegamento internet e la carente

disponibilità di spazi e strumenti adeguati. Nell’86,6% e nel 68,2% dei casi i rispon-

denti ritengono che la creazione di piattaforme per il reperimento e la fruizione di

materiale e servizi didattici, insieme al passaggio da una logica di proprietà (di in-

frastrutture, dispositivi, ecc.) a una logica di servizio (a canone), siano soluzioni mi-

gliorative molto praticabili. A questi aspetti si aggiungono l’autonomia scolastica

quale leva per l’adeguamento strutturale (70,5%) e l’aumento del materiale didattico

digitale autoprodotto dalle scuole (67,5%) (tab. 8).

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

39

(val. %)

Val. %

61,9

59,7

48,5

90,7

82,4

56,0

Maggiore organizzazione 55,6

48,1

54,8

43,3

69,8

88,2

indagine Censis, 2014

Page 42: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

L’uso diffuso di materiale didattico digitale è riscontrabile solo nel 18,1% delle

scuole intervistate, tuttavia nell’88,4% dei casi alcuni docenti si sono cimentati nella

produzione di questo tipo di risorse. I dirigenti scolastici intervistati riscontrano,

conseguentemente all’impiego di tale materiale didattico, miglioramenti nell’effi-

cacia della didattica e nell’interesse e coinvolgimento degli studenti (rispettivamente,

89% e 96,5%); minore condivisione si registra rispetto a eventuali miglioramenti

nell’interesse e nel coinvolgimento di altri docenti (61%).

La pratica sportiva a scuola tra retorica educativa

e carenze strutturali

Da un’indagine del Censis su 2.425 istituti di istruzione secondaria emerge una do-

tazione strutturale delle scuole parzialmente deficitaria, che riflette non solo un di-

vario tra le scuole del Nord e quelle del Sud del Paese, ma anche tra quelle

appartenenti ai diversi indirizzi di istruzione. Gli istituti che si compongono di più

plessi si caratterizzano prevalentemente per una qualità/adeguatezza dei loro spazi,

impianti e attrezzature diversificata, non omogenea (66,7%). Ciò è particolarmente

vero al Sud (72%) e negli istituti professionali (69,8%). Per il 39,7% di essi, etero-

geneità equivale alla presenza di sedi scolastiche del tutte prive di strutture; percen-

tuale che al Sud sale al 43,2%.

Ciò nonostante, per la maggioranza dei dirigenti intervistati sono abbastanza ade-

guati gli spazi fisici dedicati allo sport (57,9%), gli strumenti e le attrezzature spor-

tive (56%), e le ore dedicate allo sport (61,8%). Se però si va oltre il cono d’ombra

dell’abbastanza adeguato e si analizzano i dati rispetto agli altri livelli della scala

valoriale, alcune differenziazioni qualitative emergono. Ad esempio, spazi, attrez-

zature, competenze e tempi per lo sport molto adeguati ricorrono in misura inferiore

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

40

(val. %)

per niente

e la gestione della rete digitale scolastica 47,8 52,2

la modalità 53,9 46,1

67,5 32,5

e servizi didattici 86,6 13,4

68,2 31,8

70,5 29,5

66,3 33,7

indagine Censis, 2014

Page 43: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

al valore medio nazionale nelle scuole del Sud. Nell’ambito dell’offerta di istruzione

secondaria di II grado, sono gli istituti tecnici a mostrare i più alti livelli di adegua-

tezza delle infrastrutture sportive. Infatti, spazi, competenze e tempi sono molto ade-

guati per il 29,9%, il 56,1% e il 28,4% dei dirigenti. Le attrezzature solo per il 16,7%,

sebbene nelle altre tipologie di scuole quelle molto adeguate rappresentino quote

inferiori alle due cifre percentuali. Negli istituti professionali, invece, spazi e tempi

per lo sport sono molto adeguati solo nel 7,8% e 9,4% dei casi, mentre le attrezzature

sono molto adeguate solo nell’1,6% dei casi.

Con riferimento alla funzione educativa dello sport, i dirigenti scolastici intervistati

ne sottolineano soprattutto l’efficacia nella promozione della socializzazione tra pari

(81,8%), mentre per il 77,4% il ricorso alle pratiche sportive è importante per pro-

muovere atteggiamenti di fair play e di rispetto delle regole della convivenza. Il

69,6% dei dirigenti evidenzia come l’educazione fisica sia funzionale a promuovere

stili di vita salutari e, in misura minore (31,1%), a prevenire fenomeni di dipendenza,

ad esempio da alcol, fumo, droghe. Lo sport a scuola è importante per promuovere

comportamenti non violenti e contrastare il bullismo per il 65,5% dei dirigenti in-

tervistati, ma è anche funzionale a prevenire la dispersione scolastica, sia in quanto

valorizza le competenze individuali dello studente, agendo sull’autostima e sulla co-

struzione di un progetto di vita (55,1%), sia perché favorisce il benessere dello stu-

dente e la costruzione di un clima piacevole (45,1%) (tab. 13).

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

41

sportive (val. %)

Val. %

81,0

e di rispetto delle regole di convivenza 77,4

69,5

65,5

55,1

53,1

46,7

45,1

31,1

indagine Censis, 2014

Attualmente il contributo finanziario aggiuntivo per attività e manifestazioni sportive

a scuola è molto limitato: solo il 13,1% dei dirigenti dichiara di avere ricevuto con-

tributi negli ultimi cinque anni, e nella maggior parte dei casi si tratta comunque di

finanziamenti pubblici, erogati dagli enti locali, oppure di finanziamenti da parte di

associazioni sportive che spesso in cambio possono utilizzare spazi e attrezzature

scolastiche per le loro attività. Quasi del tutto assente è l’interesse da parte delle im-

prese di settore a far crescere la cultura e la pratica sportiva nelle leve studentesche,

nonostante gli indubbi ritorni economici che un maggiore coinvolgimento potrebbe

Page 44: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

apportare: nella fascia d’età 11-19 anni ben il 22,1% di giovani, più di un milione di

individui, non pratica sport né attività fisica.

Un beneficio certo in termini di interesse e coinvolgimento delle giovani generazioni

potrebbe essere apportato, infine, da una maggiore partecipazione delle figure “sim-

bolo” del mondo sportivo. Ai dirigenti scolastici intervistati piacerebbe molto poter

coinvolgere in progetti di educazione sportiva, in quanto esempi e modelli positivi

per gli studenti a rischio, in primo luogo ovviamente giocatori e atleti (70,4%), ma

anche allenatori (46,2%) e arbitri (30,9%) (tab. 14).

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

42

(val. %)

Val. %

Nord 16,9

Centro 13,0

9,2

Italia 13,1

70,4

Allenatore 46,2

30,9

22,0

17,6

Dirigente sportivo 10,2

indagine Censis, 2014

L’università italiana

un sistema sempre più territorialmente connotato

Tra il 2008 e il 2013 gli iscritti alle università statali sono diminuiti del 7,2% e gli

immatricolati del 13,6%. L’andamento decrescente ha interessato tutti gli atenei

tranne quelli del Nord-Ovest, dove gli iscritti sono aumentati del 4,1% e gli imma-

tricolati dell’1,3%. Nelle università del Nord-Est la contrazione dell’utenza è stata

più contenuta: -2,3% di iscritti e -5,9% di immatricolati. Al Centro il numero degli

studenti iscritti si è contratto del 12,1% e quello degli immatricolati del 18,3%. Negli

atenei meridionali rispettivamente dell’11,6% e del 22,5%.

L’indice di attrattività delle università sembra premiare non solo le università del

Nord-Ovest (da 3,9% nel 2008 a 8,6% nel 2013), ma anche quelle del Nord-Est,

che, sebbene abbiano ridotto la loro utenza complessiva, hanno comunque accre-

sciuto quella proveniente da fuori regione, passando dall’11% all’11,8%. L’ulteriore

contrazione dell’indice di attrattività degli atenei meridionali (da -21,8% nel 2008 a

Page 45: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

-22,8% nel 2013) sembra confermare la presenza di criticità strutturali note, a loro

volta inserite nell’ambito di contesti territoriali segnati da derive di sottosviluppo

economico di lungo periodo. Il dato che invece sembra essere più allarmante è la

caduta nei cinque anni di riferimento dell’indice di attrattività delle università del

Centro Italia, che è passato da 21,8% nel 2008 a 12,4% nel 2013, marcando un’ap-

prezzabile riduzione del capitale reputazionale di tali istituzioni.

Aumenta l’incidenza delle tasse di iscrizione sul totale delle entrate delle università

italiane: da un valore intorno all’11% dei primi anni 2000, le entrate contributive si

attestano al 13% nel 2010, per poi raggiungere nel 2012 quota 13,7%. I dati disag-

gregati per ripartizione territoriale indicano una separazione netta nel tempo degli

andamenti delle entrate contributive tra le università settentrionali, da un lato, e

quelle centrali e meridionali, dall’altro. Le prime si pongono, infatti, al di sopra delle

medie nazionali e oltre la soglia del 15% sia nel 2011, sia nel 2012; le seconde, in-

vece, al di sotto.

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

43

Page 46: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

Lavoro, professionalità, rappresentanze(pp. 137 – 196 del volume)

La numerazione di tabelle, tavole e figure riproduce quella del testo integrale

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

45

Occupazione:

la�debolezza�dell’emergenza�continuativa

Il lavoro continua a configurarsi come il problema più avvertito dalle famiglie ita-

liane e quello che provoca maggiore disagio sociale. Il primo round del Jobs Act,

così come approvato dal Senato, ha indubbiamente rappresentato una svolta inno-

vativa di grande interesse, modificando in punti cruciali la normativa del lavoro. A

questo proposito è opportuna una verifica sulla situazione occupazionale come si

presenta nel 2014, soprattutto in relazione agli altri grandi o più significativi Paesi

europei.

Il problema da cui partire è certamente il difficile accesso al lavoro e gli elevati tassi

di disoccupazione della popolazione giovanile. Se consideriamo i Paesi europei di

eguale grandezza demografica rispetto al nostro, troveremo più similitudini che dif-

ferenze: i disoccupati tra i 15 e i 24 anni sono 710.000 in Italia, 713.000 nel Regno

Unito, 654.000 in Francia. Ai due estremi opposti si collocano la Spagna, con

837.000 disoccupati, e la Germania, con 332.000. In Italia la quota di giovani sul

totale dei disoccupati è pari al 22,7%, in Francia è del 21,5%, ma nel Regno Unito

tale quota supera un terzo (35,8%). In Spagna, dove c’è forte carenza di lavoro, la

quota dei giovani in cerca di occupazione è del 15% sul totale dei disoccupati; in

Germania, dove c’è piena occupazione, la quota è pure del 15,8%, con una propor-

zionalità rispetto alle varie fasce demografiche (fig. 1).

Fig. 1 - La disoccupazione giovanile (15-24 anni) nei grandi Paesi europei, agosto 2014 (migliaia e val. %)

15,0

35,8

22,7 21,5

15,8

0

5

10

15

20

25

30

35

40

0

100

200

300

400

500

600

700

800

900

Spagna Regno Unito Italia Francia Germania

Inci

denz

a %

dis

occu

pati

giov

ani s

ul to

tale

Dis

occu

pati

giov

ani (

mig

liaia

)

Fonte: elaborazione Censis su dati Eurostat

Il Jobs Act, inoltre, dà rilievo e centralità al lavoro a tempo indeterminato, confi-

dando che possa costituire un vantaggio per incrementare le opportunità di lavoro.

Il confronto con un significativo numero di Paesi europei fa emergere una realtà più

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

46

variegata: considerando la quota dei contratti part time e a tempo determinato sul

totale degli occupati, sembra esserci una certa correlazione fra la loro diffusione e

più alti tassi di occupazione rispetto all’Italia. Il nostro tasso di occupazione nel

2013 è stato del 59,8%, mentre la quota di part time è pari al 17,9% e i contratti a

termine rappresentano il 13,2%. Paesi con tassi di occupazione molto superiori al

nostro, come la Germania (77,1%) o i Paesi Bassi (76,5%), hanno quote di contratti

a tempo determinato superiori alla nostra. Senza dimenticare i mini-jobs per i giovani

tedeschi, che non rispondono certo alla logica della sicurezza e della tutela (tab. 2).

(val. %)

Tasso di occupazioneQuota di lavoro

part timeQuota di lavoro a tempo

determinato

Germania 77,1 27,3 13,4

Paesi Bassi 76,5 50,6 20,6

Danimarca 75,8 25,4 8,8

Regno Unito 74,9 26,9 6,2

Francia 69,6 18,4 16,4

Ue 28 68,4 20,3 13,8

Polonia 64,9 7,8 26,9

Italia 59,8 17,9 13,2

Spagna 58,6 15,8 23,1

Fonte: elaborazione Censis su dati Eurostat

Ripartire�dal�valore�delle�competenze

per�rimettere�in�moto�il�lavoro

Secondo i risultati di una condotta nel 2013 dal Censis per conto del Ministero del

Lavoro su un campione rappresentativo di imprese con oltre 20 addetti, una quota

rilevante di aziende ha avviato negli anni della crisi un vero e proprio processo di

ristrutturazione aziendale. Ben il 41,8% ha rimesso mano all’organizzazione azien-

dale apportando significativi cambiamenti. Se la sostituzione di professionalità di-

venute ormai obsolete (effettuata dal 40,3% del totale delle imprese) ha rappresentato

un passaggio ineludibile, d’altro canto le aziende sono state spinte a innovare le

competenze, aggiornando quelle esistenti e acquisendone di nuove: il 41,9% ha ef-

fettuato assunzioni inserendo nuove professionalità in azienda e il 26,9% si è attivato

per riconvertire e riqualificare il personale esistente (tab. 4).

L’inserimento di nuove risorse in sostituzione delle vecchie o il ricorso a competenze

esterne più specialistiche, utili a supportare il cambiamento in corso, si sono accom-

pagnati all’esigenza di ottimizzare l’organizzazione interna e rimotivare i gruppi di

lavoro, in un processo complesso che ha visto ridisegnare dal basso l’organizzazione

aziendale, con il reengineering dei processi lavorativi (38%), l’introduzione di nuove

prassi, la riorganizzazione dei gruppi di lavoro (31,7%), la revisione dei turni e degli

orari interni (26,5%). Ancora, ben il 28% delle aziende, coerentemente con gli obiet-

tivi di produttività fissati, ha ridefinito il sistema di valutazione e i meccanismi pre-

miali.

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48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

47

Tab. 4 - Iniziative di riorganizzazione intraprese dalle aziende con più di 20 addetti tra il 2010 e il 2013, per fase aziendale (val. %)

Iniziativa

Fase aziendale

TotaleCrescita RipresaStaziona-

rietàRidimen-

sionamento

Imprese che hanno effettuato una vera e propria ristrutturazione aziendale 42,8 38,0 37,6 48,4 41,8

Azioni intraprese

Inserimento di nuove professionalità 75,0 65,1 42,7 22,5 41,9

Sostituzione/uscita di professionalità obsolete 19,4 54,8 36,2 48,7 40,3

Introduzione di nuove procedure/processi di lavoro 56,7 50,4 45,3 15,3 38,0

Riorganizzazione dei gruppi di lavoro 47,9 30,8 26,4 34,7 31,7

36,3 30,0 36,9 10,0 28,0

23,3 34,3 23,3 30,9 26,9

33,9 18,6 18,9 39,8 26,5

Riduzione orari di lavoro 9,8 12,2 11,4 45,7 21,6

Esternalizzazione di funzioni prima svolte internamente 16,5 17,4 12,6 10,5 12,7

Internalizzazione di funzioni esterne 6,6 11,9 2,6 2,4 4,2

Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposteFonte: indagine Censis, 2013

Da un lato, dunque, è emersa una logica di tipo difensivo soprattutto da parte di

quelle aziende che vivono una fase di ridimensionamento e per le quali la riorganiz-

zazione rappresenta l’ultima chance di sopravvivenza in un mercato in cui è alto il

rischio di espulsione (su 100 aziende che si sono riorganizzate, 36 si trovano in una

situazione di grossa difficoltà). L’azione, in questo caso, si caratterizza per un inter-

vento drastico sul fronte organizzativo, che prevede soprattutto tagli al personale

(48,7%), riduzione di orari (45,7%), riqualificazione e riconversione delle figure

professionali esistenti (30,9%).

Dall’altro lato vi è, invece, un modello di riorganizzazione aziendale che segue una

logica molto più spinta e aggressiva, che interessa circa l’8% delle aziende, che si

trovano a vivere una fase di crescita e di espansione, ma verso cui tendono anche

quelle realtà che, pur in fase di stazionarietà, stanno rivedendo la propria struttura

organizzativa. Quale che sia il rapporto di causa-effetto, in queste realtà l’occupa-

zione cresce. Il 75% ha assunto nuove professionalità e ben il 53,7% ha dovuto ac-

quisire competenze del tutto nuove che prima non aveva: ingegneri innanzitutto

(sono le figure prescelte dal 50,2% delle imprese), da inserire nelle funzioni produt-

tive, di ricerca e sviluppo, ma anche gestionali e di controllo; a seguire, tecnici (il

40,6% dei casi), commerciali (35,7%) e amministrativi (29,9%).

Giovani�e�lavoro:�dalle�tecnologie�più�opportunità

Pure a fronte di una situazione tanto complicata per le nuove leve del mercato del

lavoro, si intravvedono spiragli incoraggianti. C’è grande voglia di darsi da fare pro-

prio tra i giovani italiani, i quali aspirano in più casi a creare da sé un business: il

Page 50: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

22% ha già avviato una start up o intende seriamente farlo nei prossimi anni, e il

dato europeo è perfettamente in linea, mentre quello tedesco nettamente inferiore

(15%). Tale universo di giovani intraprendenti, peraltro, sarebbe ancora più ampio

se soltanto ci fosse un tessuto di imprese e istituzioni pronto a dare loro sostegno

nell’avvio di una nuova attività (il 38%, infatti, sarebbe interessato ad avviare un

proprio business, ma ritiene che sia troppo complicato, mentre in Europa tale quota

scende al 22% e in Germania al 12%).

Occorre, dunque, ripartire dal rinato spirito di intraprendenza dei giovani e soste-

nerlo, e magari convogliarlo verso quei settori più dinamici del mercato, che offrono

buone opportunità sia di impiego presso le imprese, sia di business. A titolo esem-

plificativo, basta osservare l’analisi delle assunzioni previste dalle imprese nel 2014,

che mostra le buone chance offerte dal settore dei servizi informatici e delle teleco-

municazioni, in particolare ai giovani lavoratori: il 37,8% delle assunzioni previste

dalle aziende del settore è infatti rivolto a giovani fino a 29 anni, a fronte di un dato

che nell’industria si ferma al 23,8% e nel mercato del lavoro nel complesso al 27,2%;

ben il 15% di queste figure, peraltro, è considerato dalle imprese di difficile reperi-

mento a causa del ridotto numero di candidati (fig. 3).

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

48

-(val. %)

37,8

28,5

23,8

27,2

15,0

3,7 5,0 4,1

Servizi informatici e telecomunicazioni

Totale servizi Totale industria Totale imprese

Fino a 29 anni Considerate di difficile reperimento per ridotto numero di candidati

Fonte: elaborazione Censis su dati Excelsior Unioncamere

Dal canto suo, l’universo giovanile appare ben disposto ad intraprendere percorsi

professionali che abbiano a che fare con le nuove tecnologie e la rete e ad inserirsi

in contesti aziendali che operano principalmente sul web. Una recente indagine del

Censis rivolta a studenti calabresi di età compresa tra 16 e 18 anni mostra, infatti,

come il 31,6% dei ragazzi intervistati di sesso maschile è interessato all’idea di poter

svolgere in futuro un lavoro in rete (solo il 9,6% tra le ragazze), e la percentuale

Page 51: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

raddoppia se la prospettiva è di poter lavorare per qualche azienda che opera prin-

cipalmente in rete, come ad esempio Facebook e Google (60,2%, a fronte del 31,5%

tra le ragazze).

Over�50�tra�lavoro,�non�lavoro�e�quasi�lavoro

Se i risultati peggiori in questi anni hanno riguardato i giovani, la componente più

anziana (fra i 50 e i 69 anni) presenta un andamento in controtendenza nei risultati

relativi a tutti gli indicatori: aumenta la partecipazione al lavoro di oltre 6 punti tra

il 2008 e il 2013 (e su questo pesa certamente lo spostamento in avanti dell’età del

ritiro dal lavoro), subisce a prima vista meno degli altri la diffusione della disoccu-

pazione (con un tasso che si aggira intorno al 6%) e aumenta di quasi 5 punti il tasso

di occupazione. Ma è importante un supplemento di indagine sulla componente con

più di 50 anni per cogliere alcuni segnali di reazione e di adattamento all’intreccio

fra impatto della crisi, decisioni collettive (le riforme del lavoro e delle pensioni su

tutte) e decisioni individuali maturate in questi anni.

Il boom di occupati over 50 registrato dal 2011 a oggi (+19,1%), proprio in conco-

mitanza del crollo osservato tra quanti hanno un’età inferiore (-11,5%), se da un lato

è un effetto diretto delle riforme previdenziali entrate a regime, dall’altro contiene

in sé le disfunzioni di un mercato del lavoro che serra le porte alle nuove leve e le

spalanca ai lavoratori più anziani, oltre ai numerosi casi di chi sceglie di restare al

lavoro pur avendo maturato i requisiti per il pensionamento per non intaccare il li-

vello di reddito, e di coloro che si erano chiamati fuori dal mercato del lavoro, ma

sono stati indotti a rimettersi in gioco dal peggiorare delle condizioni economiche.

Sul versante degli inattivi (oltre 17 milioni over 50), la grande maggioranza, pari a

circa 14 milioni, non cerca lavoro e si dichiara indisponibile a lavorare, ma ci sono

anche quasi 700.000 over 50 che si configurano come “forze lavoro potenziali”, per-

sone cioè che non cercano lavoro, ma sarebbero disponibili a lavorare a determinate

condizioni. Anche questo è un segnale delle difficoltà contingenti attraversate da

questa schiera di persone e del radicale mutamento di prospettive dal quale sono

state investite. Rispetto al 2008, sono aumentati di ben il 33,3%, e tra questi la mag-

gior parte è costituita da donne (oltre 400.000), che probabilmente a causa delle dif-

ficoltà economiche non rinunciano a cogliere eventuali chance occupazionali per

integrare il reddito o fare fronte a improvvise e non preventivate spese. Ma colpisce

ancora di più la dinamica che ha riguardato i senza lavoro over 50 in questi anni. I

disoccupati hanno raggiunto nel 2013 le 438.000 unità, con un incremento rispetto

al 2008 di 260.000 unità in termini assoluti e del 146% in termini relativi (tab. 10).

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

49

Page 52: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

50

Tab. 10 - Il non lavoro degli over 50, 2008-2013 (migliaia, diff. ass. e var. %)

Condizione occupazionale

2008 2013 2008-2013

v.a. (mgl.) v.a. (mgl.) diff. ass. (mgl.) var. %

In cerca di occupazione 1.692 3.113 1.421 84,0

Disoccupati di 50 anni e oltre 178 438 260 146,1

Non forze di lavoro 34.240 35.135 895 2,6

Non forze di lavoro di 50 anni e oltre 17.026 17.382 356 2,1

Forze di lavoro potenziali 2.788 3.205 417 15,0

Forze di lavoro potenziali di 50 anni e oltre 516 688 172 33,3

Uomini 206 287 81 39,3

Donne 311 402 91 29,3

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat

Rappresentanze�in�crisi�d’identità

Se i soggetti di rappresentanza appaiono sempre più svuotati di ruolo è anche perché

stanno vivendo al proprio interno una crisi profonda, di identità, che nasce dall’in-

capacità di ricondurre a un unico modello di riferimento dimensioni sociali sempre

più complesse e poliedriche. Il lavoro, che un tempo rappresentava una dimensione

cristallizzata nella vita delle persone, ha finito per diventare una sommatoria di espe-

rienze, spesso intermittenti e sempre meno capaci di costruire percorsi di identifi-

cazione professionale.

Si moltiplicano, infatti, i tempi di non lavoro nell’ambito della vita delle persone:

stando ai dati dell’Istat, il 14% degli occupati si è trovato negli ultimi tre anni a in-

terrompere il proprio percorso professionale, incorrendo in uscite temporanee o ri-

petute dall’attività lavorativa. Tale rischio è maggiore nelle fasce generazionali più

giovani, tra 16 e 34 anni, dove ben il 20,5% degli occupati si è trovato a vivere dei

periodi di non lavoro.

Si affermano, inoltre, identità lavorative sempre più ibride, non collocabili in quei

format di profili (gli operai, gli impiegati, i professionisti, gli imprenditori) sulla

base dei quali i soggetti di rappresentanza hanno tradizionalmente organizzato la

loro azione. Si pensi alla crescita che si è avuta negli ultimi anni di tutta quell’area

di lavoro ibrido collocabile in quella terra di mezzo tra il lavoro dipendente tradi-

zionale e autonomo di tipo imprenditoriale e professionale. Un’area di lavoro che

nel 2013 contava quasi 3,4 milioni di occupati (il 15,1% del totale) tra temporanei,

intermittenti, collaboratori, finte partite Iva e prestatori d’opera occasionale, e che

soprattutto tra i giovani rende sempre più ardua l’autocollocazione rispetto a quella

che fino a qualche tempo fa rappresentava una dimensione chiara e netta dell’identità

lavorativa. Tra gli occupati di età compresa tra i 15 e i 24 anni la quota di “ibridi” è

Page 53: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

addirittura maggioritaria, pari al 50,7%, mentre scende progressivamente all’aumen-

tare dell’età (il 22,9% tra i 25 e i 34 anni) e risale in prossimità dell’uscita definitiva

dal mercato del lavoro (il 20,6% tra gli over 65) (fig. 8).

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

51

(val. %)

50,7

22,9 12,3 10,0 9,2

20,6

15,1

9,1 14,8 19,4 19,7 23,8

60,3

19,6

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

15-24 anni 25-34 anni 35-44 anni 45-54 anni 55-64 anni 65 annie oltre

Totale

Lavoro tradizionale dipendente Lavoro ibrido Lavoro tradizionale autonomo

40,2

62,268,3 70,3

67,0

19,1

65,3

-ne, collaboratore a progetto, collaboratore occasionale, autonomo senza addetti e monocommittente

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat

Malgrado la sfiducia generalizzata che gli italiani nutrono verso le classi dirigenti

del Paese, rappresentanze sociali comprese, la maggioranza (il 60% circa) continua

a considerare gli organismi intermedi come un elemento centrale nel funzionamento

democratico. Il 42,5% li ritiene importanti, in quanto rappresentanti di interessi e

valori comuni a gruppi di cittadini, e pertanto fondamentali nell’incidere sulle deci-

sioni della politica; mentre un altro 17,2% ritiene un valore la loro presenza, in

quanto collante aggregativo in una società sempre più individualista. Di contro, tra

quanti non reputano i soggetti intermedi utili alla vita democratica (il 40% circa) è

solo il 12,7% a considerare il loro ruolo del tutto inutile, in considerazione del fatto

che gli interessi devono esprimersi attraverso la politica e le istituzioni; il 16,9%

pensa infatti che siano superati perché superate sono le logiche aggregative degli

interessi, non più basate su appartenenze professionali, mentre ben il 10,7% punta

proprio il dito sull’approccio corporativo e la tendenza a chiudersi nella difesa di

microinteressi settoriali (tab. 12).

Page 54: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

52

Tab. 12 - Il giudizio sul ruolo delle strutture di rappresentanza, per condizione personale (val. %)

Riguardo a strutture come sindacati e associazioni

Condizione

TotaleDipendenti AutonomiTotale

occupatiNon

occupati

Sono importanti, perché rappresentano cittadini con interessi comuni che in questo modo possono incidere sulle decisioni della politica 40,8 35,5 39,5 44,9 42,5

Sono un valore, perché sono un baluardo nella 17,1 19,7 17,7 17,0 17,2

Sono superate, perché le persone ormai si aggregano su basi diverse da quelle del lavoro 16,7 27,3 19,1 15,3 16,9

Sono inutili, perché interessi e convinzioni devono esprimersi tramite la politica e le sue istituzioni 13,8 7,8 12,6 12,4 12,7

Sono dannose, perché rendono la società corporativa, chiusa su interessi particolari 11,6 9,7 11,1 10,3 10,7

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: indagine Censis, 2013

Page 55: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

Il sistema di welfare

(pp. 197 – 269 del volume)

La numerazione di tabelle, tavole e figure riproduce quella del testo integrale

Page 56: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

54

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

Le diseguaglianze di salute,

nuova frontiera per il servizio sanitario

Le manovre sulla sanità, la spending review e i Piani di rientro nelle regioni in cui

sono attivati hanno contributo all’ampliamento delle vecchie disparità e alla crea-

zione di nuove nelle opportunità di cura. Il 50,2% degli italiani è convinto che tali

politiche di contenimento abbiano aumentato le disuguaglianze (tab. 1).

Tab. 1 - Impatto delle politiche di contenimento della spesa sanitaria sulle disuguaglianze in (val. %)

Secondo lei le recenti politiche volte al contenimento della spesa pubblica in sanità hanno: Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud e isole Totale

Aumentato le disuguaglianze 54,7 48,4 44,5 51,1 50,2

Ridotto le disuguaglianze 2,3 6,1 2,0 4,4 3,7

Né aumentate, né ridotte le disuguaglianze 27,2 33,1 33,1 32,8 31,4

Non so 15,8 12,4 20,4 11,7 14,7

Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0

Fonte: indagine Censis, 2014

La spesa sanitaria privata è cresciuta da 29.578 milioni di euro nel 2007 a 31.408

milioni di euro nel 2013, con una dinamica incrementale interrotta solo nell’ultimo

anno, presumibilmente per la convergenza di spese di altro tipo sui bilanci di tante

famiglie. Nel nuovo contesto si registra non solo un approfondimento di disugua-

glianze antiche, ma anche l’insorgenza di disuguaglianze inedite legate alla nuova

geografia dei confini pubblico-privato in sanità, e all’espansione della sanità a pa-

gamento o, per chi non ce la fa, la rinuncia a curarsi e a fare prevenzione.

Non è un caso che alla richiesta di indicare i fattori più importanti in caso di malattia

di una persona, il 48,1% degli italiani richiama il denaro che si possiede. Più disu-

guaglianze, quindi, che penalizzano i soggetti più fragili dal punto di vista socio-

economico e che nascono da una erosione di fatto della copertura pubblica, e dalla

necessità per i cittadini di ricorrere in misura maggiore all’acquisto di prestazioni

nel privato.

In ogni caso il servizio sanitario rimane una istituzione essenziale e non può essere

smantellato o ridimensionato drasticamente: è l’86,7% dei cittadini a ritenere che

nonostante i suoi difetti, il Servizio sanitario nazionale sia comunque fondamentale

per garantire salute e benessere a tutti.

Page 57: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

55

Informati e incerti: gli effetti negativi del boom

dell’informazione sanitaria

Negli ultimi decenni è cresciuta l’attenzione della popolazione rispetto ai temi sa-

nitari: gli italiani si giudicano sempre più informati sui temi sanitari e indicano di

prestare sempre più attenzione quando si parla di salute. Se, da un lato, il bagaglio

di saperi degli italiani sui temi sanitari va ricondotto prima di tutto ai professionisti

della sanità (in particolare al medico di medicina generale), dall’altro appare sempre

più ampia la porzione di popolazione che afferma di tradurre quanto appreso in tv,

sulla stampa o su internet in comportamenti finalizzati alla prevenzione o alla cura

della salute. La pratica dell’e-health, sempre più diffusa (il 41,7% degli italiani nel

2014 cerca informazioni online sulla salute), ha inevitabilmente contribuito a ridi-

segnare il rapporto che il paziente instaura con il medico. Non di rado le informazioni

reperite online vengono chiamate in causa al momento del confronto diretto con il

medico e utilizzate per discutere e confrontarsi sui risultati, ma anche per contestare

al medico l’esattezza della sua diagnosi. In aumento è anche il ricorso a forum e

blog per discutere di questioni sanitarie (fig. 3).

sanitarie (val. %)

3,0

16,2

17,8

18,8

19,3

19,9

20,4

20,5

21,6

29,8

37,1

55,3

58,1

Altro

Chiedere un consulto medico su un forum

Discutere sui social network di episodi relativi alla salute

Iniziare una cura grazie alle informazioni reperite su internet senza parlarne con il medico

Consultare un sito di associazioni dei pazienti per capire meglio le caratteristiche di una malattia,

cosa fare, a chi rivolgersi

Seguire un blog o far parte di un forum di discussione su temi della salute

Ricevere attraverso i social network informazioni utili sulla salute senza averle cercate

Contestare al medico l’esattezza di diagnosi e terapie in base a quanto ha appreso su internet

Non ricorrere al medico perché ha già ottenuto su internet le informazioni necessarie per far fronte

al suo problema sanitario

Prenotare una prestazione o ottenere un servizio amministrativo online

Discutere con il medico dei risultati delle sue ricerche su internet

Verificare la diagnosi e le indicazioni del medico mediante una ricerca su internet

Cercare su internet informazioni per capire meglio le indicazioni del medico

Fonte: indagine Censis, 2014

Page 58: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

56

L’esposizione a un numero molto elevato di contenuti determina come conseguenza

un’alterazione della percezione relativa al proprio livello di conoscenze su temi sa-

nitari. Questa discrepanza tra conoscenze presunte e informazioni possedute è stata

messa in luce da diverse ricerche che il Censis ha condotto tra il 2012 e il 2014,

dalle quali è emerso che la conoscenza su temi sanitari non risulta completamente

adeguata anche nei casi in cui il soggetto risulti direttamente coinvolto in una spe-

cifica situazione patologica. Tra i pazienti affetti da fibrillazione atriale, ad esempio,

solo il 58,8% ha correttamente definito l’ictus una malattia del cervello, con un dato

che varia con il titolo di studio: dal 74,1% di chi ha più titoli di studio al 45,6% di

chi ha titoli più bassi, rivelando un’incertezza particolarmente grave in quanto pre-

sente in una popolazione ad alto rischio. Cittadini e pazienti si ritrovano dunque

spesso sotto una pioggia di contenuti e notizie tra cui non è sempre facile selezionare

le informazioni corrette e affidabili. E così è sempre più ampia, e anzi nell’ultimo

anno è diventata maggioritaria, la percentuale di italiani che pensano che troppe in-

formazioni sulla salute rischiano di creare confusione e incertezza.

Dove e perché sta diventando difficile

nascere in Italia

La denatalità è un dato ormai strutturale del nostro Paese, che presenta uno dei tassi

di natalità più bassi a livello europeo (8,5 bambini nati per 1.000 abitanti). Nel 2013

si è raggiunto il minimo storico dei nati (514.308) dopo il massimo relativo di

576.659 del 2008: una riduzione di circa 62.000 nati.

C’è da valutare un primo elemento strutturale legato alla riduzione del numero di

donne in età fertile lungo tutto il territorio nazionale, sia italiane che straniere. Ad

oggi le donne fertili dai 15 ai 30 anni sono circa 4,9 milioni, poco più della metà

delle circa 8.660.000 che hanno dai 31 ai 49 anni. Inoltre, questo numero progres-

sivamente sempre minore di donne fertili tende a fare figli sempre più tardi (l’età

media al parto di 31,4 anni è tra le più alte in Europa), riducendo così nei fatti la

fertilità e la possibilità di avere figli, soprattutto oltre il primo e il secondo. A con-

fermare questa tendenza a ritardare la procreazione è la recente indagine del Censis

sulla fertilità, dalla quale emerge che per il 46% degli italiani una donna che vuole

avere figli dovrebbe cominciare a preoccuparsi di non averne non prima dei 35 anni,

come segnale ulteriore di un modello sociale segnato dalla tendenza a procrastinare

tutti i momenti di passaggio alla vita adulta.

Al Sud si registra una natalità più bassa di quella del Nord e del Centro (tab. 6). Si

tratta di un’area che gode meno dell’effetto compensatorio della fecondità delle stra-

niere e a questo aspetto vanno associati fattori strutturali legati al quadro di incer-

tezza occupazionale ed economica che contribuiscono certamente a una profonda

revisione anche dei modelli culturali relativi alla procreazione. Gli indicatori di pre-

carietà della condizione lavorativa, come la quota di occupati a tempo determinato

e collaboratori da almeno cinque anni, così come quella dei dipendenti con bassa

Page 59: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

57

Tab. 6 - Tassi di natalità e nati da madri straniere, 2008-2013 (val. %)

Val. % nati da madri straniere

20122008 2012 2013Diff. ass. tasso

2008-2013Diff. ass. tasso

2012-2013

Piemonte 9,1 8,5 8,1 -1,0 -0,4 25,0

10,3 9,3 8,3 -2,0 -1,0 19,5

Lombardia 10,4 9,4 8,9 -1,4 -0,5 27,3

Trentino Alto Adige 10,8 10,2 9,9 -0,9 -0,3 22,2

Veneto 10,1 9,1 8,6 -1,6 -0,6 26,8

Friuli Venezia Giulia 8,6 8,1 7,7 -0,9 -0,4 22,0

Liguria 7,9 7,4 7,0 -0,9 -0,4 24,0

Emilia Romagna 9,9 9,0 8,6 -1,3 -0,4 29,8

Toscana 9,3 8,5 7,9 -1,3 -0,5 24,2

Umbria 9,5 8,6 8,3 -1,2 -0,3 24,7

Marche 9,5 8,6 8,2 -1,3 -0,4 23,9

Lazio 10,6 9,6 9,1 -1,4 -0,5 19,6

Abruzzo 9,0 8,5 8,2 -0,9 -0,4 15,1

Molise 7,9 7,4 7,2 -0,7 -0,2 9,0

Campania 10,6 9,5 9,1 -1,5 -0,4 6,0

Puglia 9,5 8,6 8,3 -1,2 -0,3 6,0

Basilicata 8,4 7,8 7,1 -1,3 -0,7 7,4

Calabria 9,1 8,7 8,5 -0,6 -0,2 9,4

Sicilia 10,0 9,3 8,8 -1,2 -0,4 6,7

Sardegna 8,2 7,6 7,2 -1,0 -0,4 6,9

Nord 9,8 9,0 8,6 -1,3 -0,5 26,6

Centro 9,9 9,0 8,6 -1,4 -0,5 21,9

Mezzogiorno 9,7 8,9 8,5 -1,2 -0,4 7,2

Italia 9,8 9,0 8,5 -1,3 -0,4 19,0

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat

paga, evidenziano in modo netto la condizione più problematica dei residenti al Sud.

Inoltre, il tasso di disoccupazione per i 25-34enni del Mezzogiorno sfiora il 30% e

quello femminile totale il 21,5% contro il 9,5% del Nord.

Non stupisce quindi che, interrogati sulle possibili cause della scarsa propensione

degli italiani ad avere figli, gli intervistati della recente ricerca del Censis sulla fer-

tilità abbiano sottolineato nella grande maggioranza (85,3%) il peso della cause eco-

nomiche, e in misura più marcata proprio al Sud (91,5%). Se l’83,3% degli italiani

Page 60: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

58

(val. %)

85,3

40,2

29,4

79,8

39,1 38,7

80,9

43,4

33,9

91,5

38,1

29,0

85,3

40,0

32,1

Economiche Culturali Politiche

Nord-Ovest Nord-Est Centro Sud e isole Totale

Fonte: indagine Censis, 2014

Il rischio di scissione tra il welfare e i giovani

Esiste un’accentuata diversificazione generazionale delle condizioni di vita e delle

opportunità tra i cittadini che si riflette anche nella composizione dei bisogni sociali

di tutela. Più in particolare, c’è un “dare e avere” rispetto al welfare che in questa

fase storica penalizza pesantemente i giovani, fino a produrre una sorta di loro estra-

neità alla protezione sociale.

La radice della fragilità globale della condizione giovanile è occupazionale: nel 2004

era occupato il 60,5% dei giovani, nel 2012 era occupato il 48%. In meno di dieci

anni sono scomparsi oltre 2,6 milioni di occupati e il costo della perdita ammonta a

oltre 142 miliardi di euro.

Alle difficoltà reddituali si affianca una fragilità delle condizioni patrimoniali, in

particolare in relazione alle altre generazioni: nel 2012 la ricchezza familiare netta

delle famiglie con capofamiglia giovane risulta pari a 106.766 euro (-25,8% rispetto

al 1991), laddove le famiglie con capofamiglia un baby-boomer di età compresa tra

35 e 64 anni hanno visto un incremento del 40,5% e quelle con capofamiglia un an-

ziano addirittura di quasi il 118% (tab. 8).

è convinto che la crisi economica abbia un impatto sulla propensione alla procrea-

zione, rendendo la scelta di avere un figlio più difficile da prendere anche per chi lo

vorrebbe, questa quota raggiunge il 90,6% proprio tra i giovani fino a 34 anni, che

sono contemporaneamente coloro che più subiscono l’impatto della crisi e nello

stesso tempo dovrebbero essere i protagonisti delle scelte di procreazione (fig. 9).

Page 61: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

59

Tab. 8 - Ricchezza familiare netta per classe di età del capofamiglia (1), 1991-2012 (euro costanti e var. %)

1991 2012 (2) Var. % 1991-2012

Fino a 34 anni 143.811 106.766 -25,8

Da 35 a 64 anni 199.442 280.214 40,5

65 anni e oltre 125.281 272.887 117,8

Totale 169.008 261.295 54,6

(1) Inteso come maggiore percettore di reddito

Fonte: elaborazione Censis su fonti varie

In questa fase, poi, sulla fragilità patrimoniale e di reddito si abbatte una serie di

spese impreviste che i giovani richiamano come una sorta di incubo (affitto, spese

condominiali, spese per le bollette di luce, gas, telefono, ecc.). Esiti di questa situa-

zione socio-economica dei giovani sono la necessità nel quotidiano di stringere la

cinghia e, al contempo, una dipendenza strutturale dalle famiglie di provenienza:

dei circa 4,7 milioni di giovani che vivono per conto proprio, oltre un milione non

riesce ad arrivare a fine mese; si stimano infatti in 2,4 milioni i giovani che ricevono

regolarmente o di tanto in tanto un aiuto economico dai propri genitori. L’aiuto re-

golare genera un flusso di risorse pari a oltre 5 miliardi di euro annui.

In tale contesto, il rapporto dei giovani con il welfare sta diventando più problema-

tico, poiché il 40,2% dei giovani dichiara che negli ultimi dodici mesi ha verificato

che ci sono prestazioni di welfare (sanitarie, per istruzione, di altro tipo) che prima

aveva gratuitamente e per le quali ora deve pagare un contributo, il 57,5% registra

prestazioni per le quali è aumentato il contributo che già pagava e l’11,7% richiama

prestazioni che prima aveva gratuitamente o con un contributo e che ora deve pagare

per intero. Non avere le spalle coperte e dipendere strutturalmente dai genitori genera

un inevitabile deficit di progettazione nella vita.

Altro che un costo:

le funzioni economiche e sociali dei longevi

Se si considerano la spesa pubblica per le pensioni, pari in Italia al 61,9% della spesa

per prestazioni sociali (il 16,1% in più della media Ue), e l’elevato consumo di sanità

pubblica, non può non emergere un notevole costo sociale della longevità. In realtà,

occorre leggere come la crescente complessità della condizione longeva rimetta in

discussione i meccanismi di welfare più consolidati.

In primo luogo, va sottolineata la crescente tendenza dei longevi a integrare la pro-

pria pensione: le pensioni sono il 64,3% del reddito familiare degli anziani, i redditi

da capitale il 27,6%, quelli da lavoro dipendente o da libera professione l’8,1%. Di

particolare importanza sono le forme di partecipazione al mercato del lavoro, che

sfatano il tabù di una piena coincidenza tra terza età e pensionamento o, più ancora,

quello di una definitiva fuoriuscita dal mercato del lavoro: svolgono attività lavoraiva

regolare o in nero quasi 2,7 milioni di persone con 65 anni e oltre. Inoltre, la ric-

Page 62: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

60

chezza familiare netta delle famiglie anziane è cresciuta del 117,8% tra il 1991 e il

2012 e vale in media 273.000 euro: un quadro di buona disponibilità economica che

ridimensiona le letture poveriste che troppo spesso associano la vecchiaia alla po-

vertà e alla marginalità.

C’è poi una serie di fenomenologie che vedono i longevi non come passivi destina-

tari di risorse monetarie o di servizi, piuttosto tra i protagonisti di una distribuzione

orizzontatale che colma i vuoti del welfare. Un esempio è rappresentato dai longevi

che si prendono cura in modo regolare di altre persone anziane parzialmente o to-

talmente non autosufficienti, che risultano essere oltre 972.000, mentre 3,7 milioni

lo fanno di tanto in tanto. Un altro esempio è rappresentato dai 3,2 milioni che si

prendono regolarmente cura dei nipoti e dai quasi 5,7 milioni che lo fanno di tanto

in tanto.

Un altro filone di impegno da protagonisti dei longevi è quello del supporto econo-

mico fornito alle famiglie di figli e nipoti. Sono oltre 1,5 milioni i longevi che con-

tribuiscono regolarmente con i propri soldi alla famiglia di figli o nipoti, mentre

sono circa 5,5 milioni i longevi che lo fanno di tanto in tanto (tab. 12).

Tab. 12 - Il contributo dei longevi alle reti familiari (v.a.)

Regolarmente Di tanto in tanto Totale

Si occupa dei nipoti 3.211.000 5.637.000 8.848.000

Contribuisce con risorse monetarie 1.565.000 5.447.000 7.012.000

Si occupa di altri anziani 972.000 3.719.000 4.691.000

Fonte: indagine Censis, 2014

Page 63: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

Territorio e reti

(pp. 271 – 346 del volume)

La numerazione di tabelle, tavole e figure riproduce quella del testo integrale

Page 64: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

62

La spesa per le politiche di coesione si arena

nella palude dei lavori pubblici

Le difficoltà ad avviare e portare a compimento lavori pubblici importanti, anchequando si dispone di risorse dedicate, tornano periodicamente all’attenzione nazio-nale in relazioni a emergenze (vedi alluvione di Genova) o al prolungarsi indefinitodi operazioni complesse (come la ricostruzione post-sismica dell’Aquila). Il temasi incrocia con un’altra grave criticità nazionale, cioè il parziale e limitato utilizzodelle risorse comunitarie. Al riguardo, utili informazioni derivano dagli 807.000 pro-getti monitorati nell’ambito delle politiche di coesione 2007-2013. Il volume di ri-sorse programmate corrispondente a questa massa di progetti è di poco superioreagli 80 miliardi di euro, cui corrisponde una spesa certificata pari (a luglio 2014) adappena 32,3 miliardi di euro, con un avanzamento cioè del 40,4%. Di questi 80 mi-liardi di euro programmati, ben 45,6 miliardi (il 57%) sono relativi a interventi in-frastrutturali, cioè ad opere pubbliche. In misura minore i progetti monitoratiriguardano acquisizioni di beni e servizi (21% dei finanziamenti) e incentivi alle im-prese (10% dei finanziamenti) (tab. 1).

(miliardi di euro e val. %)

Natura del progetto Costo totale Spesa effettuata Avanzamento % della spesa

Infrastrutture 45,6 9,3 20,4

Acquisto beni e servizi 20,6 13,7 66,5

Incentivi alle imprese 9,8 6,2 63,2

Contributi a persone 3,1 2,1 67,7

Conferimenti capitale 0,9 0,9 98,0

80,0 32,3 40,3

Fonte: elaborazione Censis su dati OpenCoesione

Se si analizza l’avanzamento della spesa si nota come proprio nel caso degli inter-venti di natura infrastrutturale le percentuali sono decisamente deludenti: a un annodalla chiusura del periodo di programmazione europea si è speso appena un quintodelle risorse (20,4%). Nel caso degli acquisti di beni e servizi, invece, così come inquello dei contributi alle persone, la spesa certificata equivale a due terzi delle ri-sorse, in quello degli incentivi alle imprese si attesta al 63% del costo totale.

Il lungo e complesso processo amministrativo e tecnico sotteso alla realizzazionedelle opere pubbliche rappresenta evidentemente il principale fattore critico che pe-nalizza la capacità italiana di utilizzare le risorse comunitarie e nazionali. Questodovrebbe essere il tema su cui concentrare principalmente l’attenzione per migliorarela capacità di spesa nell’ambito delle politiche di coesione dei prossimi anni.

Page 65: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

63

L’Italia metropolitana

Il tema del governo delle aree metropolitane ha sicuramente una grandissima rile-vanza in Europa. Sempre vivo è il dibattito tra urbanisti, sociologi, statistici sullemodalità di classificazione e sull’interpretazione dei fenomeni che interessano igrandi agglomerati urbani. D’altra parte, circa il 68% della popolazione dell’Unioneeuropea risiede attualmente in regioni metropolitane dove si generano più di dueterzi del Pil europeo. Anche in Italia il tema ha di recente assunto notevole centralità,assumendo tuttavia un connotato di assoluta specificità, che non trova riscontro inEuropa. Il dibattito ha infatti interessato più la sfera politica che quella scientifica esi è polarizzato sulla istituzione, attraverso la legge nazionale, della cosiddetta “Cittàmetropolitana”, ossia di un nuovo ente a cui assegnare le funzioni del governo me-tropolitano in un numero consistente di realtà territoriali. Nella sostanza, il tema èstato utilizzato per fronteggiare contingenze sicuramente importarti per il Paese, mache poco hanno a che fare con la questione, necessaria e urgente, di governare i pro-cessi di addensamento metropolitano di alcune circoscritte aree del Paese.

Oggi sarebbe interessante chiedersi quanti sono i cittadini italiani che hanno consa-pevolezza di vivere all’interno di un’area metropolitana. Difficile comunque che ar-rivino, o anche che si avvicinino, a quei 21 e più milioni di abitanti che possonodesumersi dall’applicazione della legge 56 in vigore dall’8 aprile 2014 (“Disposi-zioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”).Eppure questo è quanto si può desumere dal calcolo degli abitanti delle 9 Città me-tropolitane istituite nelle Regioni a statuto ordinario più le 4 delle Regioni a statutospeciale (tab. 5).

(v.a.)

RegioniCittà

metropolitanaNumero

di comuni (kmq) Popolazione

Densità

(ab./kmq)

Lazio Roma 121 5.380,95 4.321.244 803,06

Lombardia Milano 134 1.578,90 3.176.180 2.011,64

Campania Napoli 92 1.171,13 3.127.390 2.670,40

Piemonte Torino 315 6.821,96 2.297.917 336,84

Puglia Bari 41 3.825,41 1.261.964 329,89

Sicilia Palermo 27 1.395,95 1.072.724 768,45

Toscana Firenze 42 3.514,38 1.007.252 286,61

Emilia Romagna Bologna 56 3.702,41 1.001.170 270,41

Liguria Genova 67 1.838,47 868.046 472,16

Veneto Venezia 44 2.466,49 857.841 347,80

Sicilia Catania 27 952,11 788.238 827,89

Calabria Reggio Calabria 97 3.183,19 559.759 175,85

Sicilia Messina 51 1.129,50 478.285 423,45

Sardegna Cagliari 16 1.113,10 421.986 379,11

1.130 38.073,95 21.239.996 557,86

Fonte: Anci

Page 66: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

È forte la sensazione che alle radici delle scelte italiane ci siano tante ragioni di op-portunità politica e pochi riferimenti alle esigenze di assicurare un governo metro-politano là dove serve davvero. In questa fase è molto importante che i nuovi entiassumano rapidamente legittimazione democratica aprendosi all’esterno, alimen-tando un dibattito sulle loro funzioni e sul traino possibile per i meccanismi socio-economici e le funzioni metropolitane che si dipanano nell’area vasta. I temi daaffrontare non sono di poco conto, a partire dai rapporti tra i Comuni capoluogo equelli ricadenti nel perimetro delle ex Province. Erano rapporti complicati quandosi dipanavano al livello di un soggetto terzo ed è probabile che da ora in poi lo sa-ranno ancora di più, specie se si vorranno sottrarre spazi di potere decisionale delleistituzioni comunali trasferendoli ai nuovi enti. Non si può trascurare il fatto cheesisteranno Città metropolitane composte da 315 Comuni (Torino) e altre da 16 (Ca-gliari) con problematiche di sviluppo e gestione dei servizi assolutamente diversetra loro.

Gli italiani e l’auto: le determinanti economiche e

sociali di un rapporto da ricostruire

Tra il 2003 e il 2010 il segmento del mercato italiano dell’auto costituito dai privatisi è mantenuto sostanzialmente stabile con circa 1,6 milioni di autovetture immatri-colate ogni anno (il range di variazione andava da 1,4 a 1,8 milioni). Nel 2011 si èregistrato un primo assestamento in basso (poco meno di 1,2 milioni di autovetturevendute). Il 2012 è stato l’anno del crollo, con circa 900.000 vetture vendute (-22,8%rispetto al 2011), confermato poi nel 2013, con 833.000 vetture. Nel 2014, i segnalirelativi alle vendite nei primi sei mesi confermano il trend di un sostanziale dimez-zamento delle vetture vendute rispetto agli anni della prima decade del millennio.

Di fronte a una fenomenologia di questa portata è inevitabile chiedersi cosa stia ac-cadendo a questo settore che ha una rilevanza strategica nel panorama economico eoccupazionale del Paese e che costituisce il sostrato imprenditoriale sul quale pog-giano le scelte di mobilità degli italiani. Gli italiani che si spostano quotidianamenteper motivi di lavoro o di studio, ossia la componente preponderante della domandadi mobilità che esprime il Paese, sono quasi 29 milioni (2,1 milioni in più rispetto adieci anni fa). Per soddisfare la domanda di mobilità pendolare l’auto privata è digran lunga il mezzo più utilizzato: 60,8% (44,9% del totale come conducente e15,9% come passeggero). Si tratta di un dato peraltro in crescita nel decennio (58,7%del totale nel 2001) che attesta la perdurante centralità dell’auto nelle scelte di chiquotidianamente deve raggiungere il proprio luogo di lavoro o di studio.

Ma la centralità dell’auto negli equilibri del Paese si legge anche nel suo peso eco-nomico complessivo. La filiera dell’automotive vale 421.500 addetti diretti (26.500in meno rispetto al 2008) che, uniti all’indotto da essi generato, sono stimabili com-plessivamente in 1,2 milioni di addetti. Il fatturato diretto delle aziende della filiera

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

64

Page 67: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

65

auto

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2013

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vale 126,5 miliardi di euro (in calo rispetto ai 155,4 del 2008) corrispondente al7,8% del Pil del Paese. Nella sostanza, tra il 2008 e il 2013 la crisi dell’auto ha pro-dotto la perdita di 1,8 punti di Pil (tab. 8).

Page 68: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

66

L’irresistibile voglia di nuovi stadi nelle città italiane

Dopo l’esperienza apripista dello Juventus Stadium, in cui si è riusciti a importareil modello degli stadi inglesi (proprietà dei club, tribune vicine al campo di gioco,elevato livello di comfort e corredo di attività commerciali e di intrattenimento), siparla molto della realizzazione di nuovi stadi per il calcio anche in altre città italiane.La convinzione dei club sembra essere quella che solo stadi di proprietà, più piccolie confortevoli, gestiti come grandi attrattori del tempo libero, possano garantire queiconsistenti ricavi aggiuntivi necessari per il rilancio del settore. In effetti, i raffrontieuropei sul fronte dei cosiddetti “ricavi da stadio” (vendita dei biglietti, abbonamentie altre attività commerciali relative alle partite giocate in casa) segnalano una di-stanza notevole tra i club italiani e quelli spagnoli, inglesi e tedeschi. Gli incassidella stagione 2012/2013 di squadre come Manchester United (127,3 milioni dieuro), Barcellona (117,6 milioni), Real Madrid (119 milioni) o Bayern Monaco (87,1milioni) sono incomparabili con quelli, assai più modesti, dei maggiori club italiani:Juventus (38 milioni di euro), Milan (26,4 milioni), Roma e Inter (rispettivamente20,1 e 19,4 milioni) (fig. 7).

Non si può negare che la situazione dei nostri stadi sia piuttosto arretrata: sono ge-neralmente vecchi e, sebbene su di essi si sia intervenuti all’epoca dei mondiali diItalia ’90, sono rimasti sostanzialmente scomodi e poveri di funzioni complementari.Inoltre sono ancora in larga misura di proprietà delle amministrazioni comunali.Anche per effetto delle dirette televisive di tutti gli eventi calcistici, la maggior partedelle partite si svolge ormai davanti a un pubblico numericamente ridotto: Juventusa parte, che in media riempie lo Stadium al 93%, negli altri casi i tassi di riempimentomedi sono spesso piuttosto bassi, tra il 30% e il 60%.

(milioni di euro)

119,

0

117,

6

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127,

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38,0

26,4

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Rom

a

Ricavi stadio Ricavi diritti televisivi Ricavi attività commerciali Totale

Fonte: elaborazione Censis su dati Deloitte

Page 69: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

67

Risorse idriche nazionali:

gli effetti di una cronica debolezza infrastrutturale

I dati riguardanti la gestione delle risorse idriche per uso civile rilanciano l’allarmesu un settore che, mentre cerca di migliorare la propria efficienza gestionale, conti-nua a operare in un contesto di pesante obsolescenza delle infrastrutture di base.Basta un solo dato per evidenziarlo: le perdite delle reti acquedottistiche tra il 2008e il 2012 sono aumentate ulteriormente, passando dal 32,1% al 37,4%. In pratica,rispetto alla totalità dell’acqua che viene immessa in rete, più di un terzo sparisce,non viene consumata né fatturata, non arrivando all’utente finale (tab. 11).

(mc dispersi per 100 mc erogati agli utenti)

1999 2005 2008 2012

Nord-Ovest 25,4 25,4 24,7 37,4

Nord-Est 29,1 29,1 28,6 30,0

Centro 31,5 32,4 32,2 32,6

Sud 41,9 41,5 40,3 41,4

Isole 39,0 38,7 38,4 40,9

32,4 32,4 32,1 37,4

Fonte: Istat

Il dato sulle perdite di rete ci caratterizza come una vera e propria anomalia tra igrandi Paesi europei: queste sono infatti pari al 6,5% in Germania, al 15,5% in In-ghilterra e Galles, al 20,9% in Francia. Questo livello di perdite, certo non consonoagli standard di un Paese avanzato, ha pesanti effetti economici e ambientali obbli-gando le aziende a prelievi eccessivi alla fonte, contribuendo così al depauperamentodella risorsa. Non è dunque un caso se l’Italia è oggi un Paese che presenta un elevatoprelievo di acqua ad uso potabile (circa 9,5 miliardi di metri cubi nel 2012). Un pre-lievo, tra l’altro, che tende ad aumentare progressivamente.

Se questa è la situazione degli acquedotti, ancora più allarmante è il ritardo accu-mulato dal Paese sul fronte della raccolta e depurazione delle acque reflue. Le recentistime parlano di un 6-7% del carico inquinante totale che non viaggia in reti fognariee di un 20-21% che non viene in alcun modo depurato prima di raggiungere i corpiidrici di destinazione.

Per recuperare il terreno perduto, rimettendo a posto reti acquedottistiche colabrodoe realizzando finalmente reti fognarie e impianti di depurazione delle acque reflueadeguati, servono investimenti rilevanti. Anche da questo punto di vista il confrontocon l’Europa più avanzata è preoccupante: in Italia si investe ogni anno l’equivalentedi 30 euro ad abitante, in Germania 80, in Francia 90 e nel Regno Unito addirittura100 euro.

Page 70: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

Le politiche energetiche tra obiettivi ambientali e

rapporti costi-benefici

In un quadro comunitario in cui in questi ultimi anni è apparsa evidente la sovraor-dinazione delle politiche ambientali rispetto alle scelte nel settore dell’energia, faticaparticolarmente l’Italia, il cui mix energetico ha peraltro registrato negli ultimi annisignificative variazioni. Se si guarda all’andamento dei consumi lordi tra il 2000 eil 2013 per fonte primaria si vede quanto sia diminuito il contributo del petrolio, lacui quota è passata dal 49,5% al 34,5%, ormai raggiunto in termini percentuali dalgas (33,5%). Di contro, gli incentivi e i forti investimenti per lo sviluppo e l’adozionedelle tecnologie rinnovabili hanno portato a una crescita del settore che dal 6,9%del 2000 ha raggiunto nel 2013 il 18% del consumo nazionale.

La penetrazione delle rinnovabili è stata molto significativa nel comparto elettrico,dove nel 2013 un terzo dei consumi (33,4%) è stato coperto dalla produzione idroe-lettrica, eolica, fotovoltaica e geotermica (tab. 16). Vale a dire che già oggi abbiamosuperato di ben 8 punti percentuali quel 26,4% che rappresenta l’obiettivo-impegnoassunto dall’Italia per l’anno 2020.

Se in questo ambito fino a pochi anni fa l’impegno del governo è stato focalizzatosul tema dell’incentivazione, nella fase attuale il tema è invece quello della rimodu-lazione degli incentivi. Non vi è dubbio che i sussidi, in particolare per il fotovol-taico, sono stati molto onerosi per la collettività: oggi i costi derivantidall’incentivazione delle fonti rinnovabili sono coperti per ben 12 miliardi dieuro/anno tramite la componente A3 della bolletta energetica di famiglie e imprese.

Il boom delle nuove rinnovabili non programmabili (eolico e fotovoltaico) ha avutonaturalmente importanti contraccolpi sul settore della generazione termoelettrica,comportando una riduzione delle ore di utilizzo degli impianti che, tra l’altro, ven-gono sempre più impiegati per coprire le punte di carico, con la vanificazione degliimportanti investimenti recenti per la riduzione dell’inquinamento di processo e diprodotto. Se tutto ciò poteva comportare problemi in uno scenario economico di so-stanziale stabilità o di crescita, nell’attuale contesto può determinare effetti non pre-visti in grado di penalizzare il settore energetico nel suo complesso. Il problema dicome conciliare la fissazione di importanti obiettivi ambientali con l’attenzione allacompetitività del sistema energetico e industriale rappresenta in Europa il punto de-cisivo anche in vista dei traguardi futuri relativi alla scadenza del 2030.

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

68

Page 71: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

69

(GW

h e

val.

%)

2007

2008

2009

2010

2011

2012

2013

Var.

%20

07-2

013

Val.

%20

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l. %

2013

Prod

uzio

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Term

oele

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a26

5.76

426

1.32

822

6.63

823

1.24

822

8.50

721

7.56

119

2.98

7-2

7,4

84,7

66,6

Idro

elet

trica

38.4

8147

.227

53.4

4354

.407

47.7

5743

.854

54.6

7242

,112

,318

,9

Eolic

a4.

034

4.86

16.

543

9.12

69.

856

13.4

0714

.897

269,

31,

35,

1

Foto

volta

ica

3919

367

61.

906

10.7

9618

.862

21.5

8955

.256

,40,

07,

4

Geo

term

ica

5.56

95.

520

5.34

25.

376

5.65

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5.65

91,

61,

82,

0

313.

887

319.

129

292.

642

302.

063

302.

570

299.

276

289.

803

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100,

010

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57.8

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1596

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215

,333

,4

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Ener

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.589

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6511

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9

Prod

uzio

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290.

607

301.

226

301.

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307.

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281.

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278.

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2.95

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3.60

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2.61

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027

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,3

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46.2

8340

.034

44.9

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.160

45.7

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9.92

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9.48

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031

8.47

5-6

,3

Font

e: e

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Page 72: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

I soggetti economici dello sviluppo(pp. 347 – 400 del volume)

La numerazione di tabelle, tavole e figure riproduce quella del testo integrale

Page 73: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

Il nuovo respiro del manifatturiero italiano

Tra il 2008, con la prima ondata di crisi, e la fine del 2014 l’Italia ha perso più di

47.000 imprese manifatturiere, con una flessione vicina all’8%. La flessione non

accenna a diminuire, dato che solo nell’ultimo anno la riduzione nel comparto è stata

dell’1,1%, con una fuoriuscita di oltre 5.700 imprese. I comparti in maggiore soffe-

renza sono quelli dei prodotti in legno, dei mobili, della produzione di pc e di prodotti

elettronici, il tessile, i prodotti farmaceutici, la produzione di macchinari, le appa-

recchiature elettriche e i prodotti in metallo. In questi comparti la flessione del nu-

mero di imprese, tra il 2008 e il terzo trimestre del 2014, è stata superiore al 10%

(fig. 1). La riduzione del numero di imprese manifatturiere si è accompagnata a una

drastica riduzione del valore aggiunto, in caduta libera del 17% tra il 2008 e il 2013.

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

71

Fig. 1 - Andamento del numero di imprese attive nei principali comparti manifatturieri, 2009-III trimestre 2014 (var. %)

-7,9 -16,3 -15,4

-13,6 -12,4 -12,3 -12,1 -12,1 -12,0 -10,7

-9,6 -9,5 -9,3 -8,6 -7,5 -7,1 -6,5 -6,1 -5,5

1,5 39,2

Totale manifatturiero Legno e prod. in legno

Mobili Computer e prodotti elettronici

Tessile Prod. farmaceutici

Macchinari Minerali non metalliferi

App. elettriche Prod. in metallo

Stampa e riproduzione Abbigliamento

Metallurgia Altre manifatturiere

Autoveicoli Art. in gomma Prod. chimici

Carta Art. pelle

Alimentari Rip. e manutenzione macchine

Fonte: elaborazione Censis su dati Infocamere

L’Italia ha però rivelato performance eccellenti sui mercati esteri. Ad eccezione del

2009, il livello delle esportazioni ha continuato a crescere, ma soprattutto continua

l’ascesa dei valori medi unitari all’export dei principali prodotti manifatturieri. Con-

tinuano a crescere le esportazioni di prodotti hi-tech, ovvero ad elevato contenuto

tecnologico: dalla farmaceutica alle Ict, dall’aerospazio alle apparecchiature elet-

troniche e di precisione, con una variazione di oltre il 6% tra il 2012 e il 2013, e del

35% rispetto al 2008. Ma crescono costantemente anche le esportazioni dei principali

comparti a media tecnologia, che rappresentano ben il 36% del valore complessivo

delle esportazioni italiane.

L’aggregazione formale o informale tra imprese di uno stesso territorio è ancora

oggi in grado di generare valore, di attivare professionalità, di generare modelli pro-

duttivi efficienti. Dal 2010, anno di lancio dello strumento del Contratto di rete, ad

oggi il numero di imprese aderenti a questo tipo di strumento è passato da poche

Page 74: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

72

Fig. 6 - Andamento tendenziale delle esportazioni dei distretti industriali e del manifatturiero italiano, I semestre 2014 (var. %)

1,6

2,2

4,2

Manifatturiero totale

Aree di concentrazione manifatturiera non distrettuali

Distretti industriali

Fonte: elaborazione Censis su dati Intesa Sanpaolo

decine a migliaia. Attualmente si contano 1.772 Contratti di rete stipulati e 8.954

aziende aderenti, il 44% delle quali è rappresentato da strutture manifatturiere.

I distretti produttivi hanno registrato un incremento delle esportazioni pari al 4,2%

in termini tendenziali nel primo semestre 2014, proseguendo dal 2009 una crescita

ininterrotta attestatasi sempre su livelli più elevati di quelli del resto del sistema ma-

nifatturiero. Non solo, ma nella prima parte del 2014 si sono registrati i valori delle

esportazioni distrettuali più elevati di sempre, pari a più di 42 miliardi di euro (fig.

6). C’è ancora industria e imprenditoria di qualità oltre la recessione interminabile

che il Paese sta vivendo e c’è ancora una manifattura creativa, competitiva, in grado

di attivare strategie innovative, nonostante tutto. C’è spazio per parlare di un new

made in Italy.

Qualità per competere:

percorsi e strumenti per il sistema produttivo

Tra il 2007 e il 2013 la quota italiana sul commercio mondiale è passata dal 3,6% al

2,8%. Ma dopo l’inevitabile flessione registrata nel 2009 l’Italia è tornata a crescere

sul fronte delle esportazioni, mantenendosi nei primi 20 posti a livello mondiale per

operatività sull’estero. In particolare, il Paese è attualmente all’11° posto tra i prin-

cipali esportatori a livello mondiale ed è al 4° posto tra i Paesi Ue.

A molti prodotti italiani vengono riconosciute caratteristiche distintive: artigianalità,

design, originalità, funzionalità, contenuto tecnologico attraente, rispondenza alle

aspettative del mercato, carattere innovativo, precisione nelle modalità di lavora-

zione, modalità di vendita e strategie di marketing innovative. In termini sintetici, i

prodotti italiani sono riconosciuti come prodotti di qualità.

Page 75: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

Da anni i valori medi unitari delle esportazioni di un paniere ampio di prodotti ita-

liani registra trend crescenti. Particolarmente sostenuto risulta l’incremento dei

prezzi di vendita all’estero degli articoli in pelle, dei prodotti agricoli, dei prodotti

tessili, dell’abbigliamento, degli articoli in gomma, dei prodotti della meccanica,

dei prodotti chimici. I dati relativi ai primi sette mesi del 2014 confermano questo

trend positivo: su 12 differenti tipologie di prodotti delle attività manifatturiere, 9

hanno registrato, rispetto al 2012, un incremento del valore medio unitario all’export

(fig. 9).

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

73

Fig. 9 - Indice dei valori medi unitari delle esportazioni, 2012 e gennaio-luglio 2014 (numeri indice: 2010=100)

Tessile e abbigliamento, pelli

Macchinari e apparecchi n.c.a.

Alimentari

Art. gomma, plastica, min. non metalliferi

Prodotti chimici

Prodotti delle altre attività manifatturiere

Pc, appar. elettronici e ottici

Mezzi di trasporto

Legno e prodotti in legno

Metalli di base e prodotti in metallo

Apparecchi elettrici

Articoli farmaceutici

Totale prod. attività manifatturiere

Gennaio-luglio 2014 2012

123,4

119,8

116,2

115,7

115,3

115,1

108,6

106,3

104,9

104,4

104,3

103,5

114,4

115,2

110,8

110,5

112,2

114,3

111,0

109,3

104,5

104,5

111,5

103,9

110,9

112,1

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat-Ice

Page 76: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

Impresa e territorio: scenari in transizione

Sfide complesse si profilano all’orizzonte per tutti gli attori istituzionali e di livello

intermedio chiamati a gestire le politiche per il territorio o che nel territorio hanno

un marcato radicamento. Tra il 2009 e la prima metà del 2014 il numero delle im-

prese attive risulta in forte diminuzione, con una flessione del 2,4%, che tuttavia di-

viene -7% tra le imprese manifatturiere, -12% in agricoltura, -7,1% nei trasporti

-5,7% nel comparto delle costruzioni (fig. 12).

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

74

Fig. 12 - Andamento del numero di imprese attive, 2009-I semestre 2014 (var. %)

-12,0

-7,7

-7,1

-5,7

-0,4

9,6

-2,4

Agricoltura

Industrie manifatturiere

Trasporti

Costruzioni

Commercio

Alberghi e ristoranti

Totale imprese

Fonte: elaborazione Censis su dati Infocamere

Sono numeri troppo grandi per non immaginare che la fisionomia dei territori pro-

duttivi, ovvero delle singole aree in cui le imprese sono radicate, non stia rapida-

mente mutando. Al di là della consueta, quanto innegabile, ripartizione tra il

Centro-Nord, provato dalla crisi ma dotato di una struttura produttiva ancora robusta,

e un Sud in forte ritardo di sviluppo e con aree a forte rischio di degrado sociale, il

Censis ha mappato 8 profili territoriali diversi. La radiografia territoriale che emerge

dalla cluster analysis evidenzia aspetti diversi dell’evoluzione e anche delle forme

di involuzione cui i singoli territori sono andati incontro negli ultimi anni. In parti-

colare:

- lì dove si è maggiormente investito in conoscenza e innovazione, la crisi ha avuto

effetti di medio periodo più attutiti che altrove o sembrano più evidenti gli ele-

menti strategici su cui ricostruire la ripresa;

- nei territori in cui la presenza di reti manifatturiere è più fitta, la diffusione di

nuove competenze innovative utili ad affrontare la crisi sembra più evidente che

nelle aree in cui l’industria ha avuto ed ha un peso minore;

Page 77: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

- negli ambiti territoriali in cui si attuano o si prospetta in modo crescente nel tempo

una commistione tra industria e servizi avanzati, le possibilità di crescita e di

uscita dalla crisi appaiono vicine, rispetto agli ambiti territoriali che puntano in

modo preponderante sulla manifattura tradizionale, ancorché caratterizzata da un

buon posizionamento sui mercati esteri.

White economy: opportunità per il sistema-Paese

In un quadro di crisi economica pervasiva, la rimodulazione al ribasso dei budget

familiari ha riguardato tutte le voci di spesa. Si rinuncia sempre più al superfluo e

si ridefiniscono le priorità di consumo, risparmiando sulle spese essenziali, ma alle

cure mediche difficilmente si rinuncia, anche perché condizionate da situazioni di

urgenza e necessità.

La white economy, ovvero il vasto insieme di servizi, prodotti e professionalità de-

dicate alla salute e al benessere delle persone, può essere un’opportunità di crescita

per il Paese. Il sistema che attualmente in Italia offre servizi di cura, strumenti dia-

gnostici, farmaci, ricerca in campo medico e farmacologico, tecnologie biomedicali

e servizi di assistenza a malati, disabili o ad altre tipologie di soggetti, genera un

valore della produzione superiore a 186 miliardi di euro annui, il 6% della produ-

zione totale, con un’occupazione superiore a 2,7 milioni di unità (figg. 14-15).

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

75

Fig. 14 - Stima del valore della produzione dei comparti afferenti alla white economy, 2012

Attività dei servizi sanitari110,9 mld. euro

Servizi di assistenzasociale

21,6 mld. euro

Servizi di assistenzadomiciliare, badantato

accompagnamento9,4 mld. euro

Produzione ecommercializzazione

di strumenti biomedicali,elettromedicali e di

diagnostica e relativi servizi17,6 mld. euro

Industria farmaceutica26,6 mld. euro Valore

della produzione186,8 mld. euro

6% del valoredella produzione

totale in Italia

Valore della produzionedei principali compartidella white economy

Stime 2012

Spesa pubblica in R&S per il settore medico-sanitario e nel campo

della tutela della salute1,0 mld. euro

Spesa delle impresee spesa pubblica in R&Snel settore farmaceutico

1,2 mld. euro

Spesa delle impresein R&S nel settore

biomedicalee elettrodiagnostico≈ 400 milioni euro

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Assobiomedica, Farmindustria

Page 78: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

La white economy rappresenta tutto ciò che afferisce, in primo luogo, all’offerta di

cure mediche e alla diagnostica, oltre all’assistenza professionale, domiciliare o in

apposite strutture per persone disabili, malate, anziane. Questo nucleo centrale di

attività si avvale del lavoro di un numero piuttosto consistente di addetti. In parti-

colare, nel settore delle prestazioni sanitarie operano 1,2 milioni di occupati (perso-

nale medico, paramedico, oltre a quello amministrativo e ad altri profili

professionali). Ma il comparto è molto altro, configurandosi come un cluster pro-

duttivo dalle molteplici articolazioni. Nel suo perimetro ricade l’industria farmaceu-

tica, che conta 174 fabbriche e più di 6.000 addetti e che in Italia è uno dei comparti

industriali con la più elevata spesa di R&S per addetto. Nel cluster produttivo rientra,

inoltre, l’industria delle apparecchiature biomedicali e per la diagnostica, che conta

poco più di 800 imprese, tra produttori e contoterzisti, e poco più di 1.000 imprese

di distribuzione, più di 52.000 addetti e una consistente capacità di esportazione,

cresciuta in modo significativo soprattutto tra i primi anni 2000 e il 2008 (per poi

attestarsi su livelli più stabili), passando da meno di 3 miliardi di euro di vendite al-

l’estero nel 2000 agli attuali 7 miliardi. Nel cluster va considerato anche il vasto

segmento dell’assistenza personale, delle badanti e dell’accompagnamento, che si

stima generi più di 9 miliardi di euro di valore della produzione e che appare in forte

espansione.

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

76

white economy, 2012

Attività dei servizi sanitari1.200.000 occupati

Servizi di assistenza sociale447.100 occupati

Servizi di assistenza domiciliare, badantato, accompagnamento

967.000 occupati

Produzione di strumentibiomedicali, elettromedicali

e di diagnostica e relativi servizi52.700 occupati

Industria farmaceutica60.000 occupati

Occupazione2.733.000 unità

10,9% del totale deglioccupati in Italia

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Assobiomedica, Farmindustria, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

Page 79: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

Vivere a consumo zero: le famiglie e la crisi

Nel 2013, per il secondo anno consecutivo, le spese complessive degli italiani si

sono attestate su livelli inferiori a quelli dei primi anni 2000. Anche nell’anno in

corso i consumi hanno registrato sia nel primo che nel secondo trimestre una varia-

zione negativa in termini tendenziali (-3,6% e -2,9%). Le stime più ottimistiche in-

dicano una variazione di +0,2% a fine 2014. Ridimensionamento è la parola che

meglio descrive i comportamenti di spesa delle famiglie. Dal 2010 a oggi, tutte le

voci hanno registrato una contrazione, ad eccezione di quelle per la telefonia e le

comunicazioni (fig. 18).

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

77

Fig. 18 - Andamento delle principali spese delle famiglie (valori concatenati con anno di riferi-mento il 2010), 2010-2013 (var. %)

-7,8

-11,3

-1,0

-12,8

-9,2

-9,4

-15,6

-3,9

19,0

-23,5

-3,3

Alimentari, bevande

Vestiario, calzature

Abitazione, utenze

Manutenzione e riparazione abitaz.

Mobili

Elettrodomestici

Trasporti

Spese d'esercizio mezzi trasporto

Apparecchiature telefoniche

Giornali, periodici, stampa

Alberghi e ristoranti

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat

Negli ultimi sei mesi del 2014, il 62% delle famiglie ha indicato di avere ridotto

pranzi o cene fuori casa, il 58% cerca di effettuare piccoli risparmi sulle spese per

cinema e svago, il 47% ha cercato di ridurre gli spostamenti con i mezzi propri per

cercare di risparmiare sulla benzina e quasi il 44% ha modificato i propri compor-

tamenti alimentari al fine di ridurre gli sprechi, spendere meglio e risparmiare (fig.

19).

Se oggi le famiglie italiane disponessero di redditi o di risorse liquide più elevate di

quelle che hanno, nel 77% dei casi le metterebbero da parte e l’effetto sulla propen-

sione al consumo sarebbe nullo. Viceversa, il 20% utilizzerebbe le maggiori dispo-

nibilità in denaro per effettuare spese consistenti o comunque oltre una certa soglia

(ad esempio, per la ristrutturazione di un immobile o per l’acquisto di un’autovettura)

e il restante 3% le utilizzerebbe per spese essenziali.

Cambiano anche le modalità di consumo grazie al ricorso diffuso a nuovi strumenti

di spesa come l’e-commerce. Il Censis stima che negli ultimi sei mesi oltre 7 milioni

di famiglie hanno proceduto ad almeno un acquisto online: il 12% ha effettuato un

solo acquisto, mentre il 17% ha effettuato due o più acquisti. Le voci di spesa più

Page 80: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

frequenti nel ricorso all’e-commerce sono i cd e i libri, seguiti dai device elettronici

(tablet, pc, apparecchi fotografici), da abbigliamento e accessori, dall’acquisto di

una vacanza. La prima motivazione degli acquisti via internet è rappresentata dalla

possibilità di pagare per i singoli prodotti prezzi generalmente più contenuti rispetto

a quelli praticati nei punti di vendita tradizionali, seguita dalla comodità dell’acquisto

(fig. 21).

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

78

Fig. 19 - Comportamenti di consumo messi in campo negli ultimi 6 mesi dalle famiglie (val. %)

43,8

47,2

47,4

56,1

58,2

62,0

Modificato le abitudini alimentari cercando di risparmiare

Ridotto spostamenti in auto o scooter per risparmiare

Incrementato gli acquisti presso hard discount

Incrementato gli acquisti di prodotti a marca commerciale

Ridotto spese per cinema e svago

Ridotto pranzi e cene fuori casa

Fonte: indagine Censis, 2014

(val. %)

8,5

9,7

11,1

12,9

40,5

72,1

Acquisto di prodotti o servizi non facili da trovare nei negozi tradizionali

Possibilità di confrontare tante offerte e prezzi diversi

Maggiore varietà dei prodotti

Possibilità di scelta in tutta calma

Comodità dell’acquisto

Prezzi generalmente inferiori a quelli dei punti vendita tradizionali

Fonte: indagine Censis, 2014

Page 81: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

Comunicazione e media

(pp. 403 – 460 del volume)

La numerazione di tabelle, tavole e figure riproduce quella del testo integrale

Page 82: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

80

Il cyberlettore: come la rivoluzione digitale ha

cambiato domanda e offerta di informazione

Oggi in Italia si vende poco più della metà delle copie di quotidiani che si vendevano

venticinque anni fa. Dal 1990, anno del massimo storico delle vendite, con poco

meno di 7 milioni di copie giornaliere, si è scesi sotto i 4 milioni. La quota di italiani

che fanno a meno dei mezzi a stampa nella propria die¬ta mediatica è salita a quasi

la metà della popolazione (precisamente, il 47%). Il 20,8% della popolazione legge

i quotidiani online e il 34,3% i siti web d’informazione. I lettori di quotidiani online

più forti appartengono alla fascia di età adulta (tra i 30-44enni il dato raggiunge il

31,8%). I siti web di informazione non legati direttamente ai quotidiani sono preferiti

anche dai più giovani (il 43% tra 14 e 29 anni, il 52,4% tra 30 e 44 anni) (tab. 1).

(val. %)

Totale popolazione

Sesso Età Livello di istruzione

Maschi Femmine14-29 anni

30-44 anni

45-64 anni

65-80 anni

Licenza elementare

e mediaDiplomae laurea

Quotidiani cartacei 43,5 47,7 39,5 22,9 44,2 51,1 52,3 40,6 46,9

Quotidiani online 20,8 26,4 15,4 21,1 31,8 19,3 6,1 12,3 31,0

Siti web di informazione 34,3 38,7 30,2 43,0 52,4 27,5 8,4 22,3 48,6

Fonte: indagine Censis, 2013

Mettendo a confronto i dati relativi alle vendite di copie cartacee dei quotidiani e

agli abbonamenti dei loro corrispondenti digitali nel luglio 2013 e nel luglio 2014,

si nota come le prime hanno continuato nel trend regressivo, registrando un calo del

9,8%, mentre i secondi hanno fatto registrare un incremento del 57% (+186.000

unità).

Una domanda di informazione così radicalmente mutata ha determinato un cambio

di paradigma anche all’interno delle redazioni giornalistiche. Si registrano flessioni

nel numero dei giornalisti occupati in tutti i segmenti del settore editoriale. Nel 2013

il calo più pronunciato si è registrato nei periodici (-7,7%), seguiti dai quotidiani

(-5,6%) e dalle agenzie di stampa (-3,9%). In media, il ridimensionamento della

forza lavoro giornalistica è stato del 6,1%, pari in valore assoluto a 602 unità lavo-

rative nei confronti dell’anno precedente. Tra il 2009 e il 2013 il numero dei gior-

nalisti fuoriusciti dal settore dell’editoria giornalistica è stato di 1.662 unità, di cui

887 nell’area dei quotidiani (-13,4%) e 638 in quella dei periodici (-19,4%) (tab. 6).

E se gli iscritti all’Ordine dei giornalisti restano sostanzialmente invariati (112.046

contro i 110.966 del 2011, con un aumento dell’1% circa), sono cambiate però le

condizioni alle quali i giornalisti lavorano. Tra il 2000 e il 2013 si è ridotto il lavoro

dipendente (-1,6%) ed è cresciuto quello autonomo (+7,1%). Se nel 2000 il lavoro

autonomo era svolto da poco più di un giornalista su tre, nel 2012 i giornalisti free-

lance sono diventati 6 su 10.

Page 83: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

81

(v.a., diff. ass. e var. %)

2009 2010 2011 2012 2013Diff. ass.

2009-2013Diff. ass.

2012-2013

Var. % 2009-2013

Var. % 2012-2013

Quotidiani 6.644 6.523 6.393 6.101 5.757 -887 -344 -13,4 -5,6

Periodici 3.288 2.891 2.912 2.872 2.650 -638 -222 -19,4 -7,7

Agenzie 1.036 1.076 1.034 935 899 -137 -36 -13,2 -3,9

10.968 10.490 10.339 9.908 9.306 -1.662 -602 -15,2 -6,1

Fonte: elaborazione Censis su dati Inpgi

L’importanza dell’informazione policentrica

di prossimità

Nelle realtà locali si è affermato un marcato policentrismo degli strumenti mediatici

a disposizione dei cittadini, che passa dal recupero delle testate locali alla sperimen-

tazione delle tante forme di web community, in cui dare valorizzazione alle vicende

delle singole realtà territoriali e alle diverse componenti sociali che animano la pe-

riferia territoriale, anche al di là dei soli avvenimenti di cronaca e delle ricorrenti

congiunture politico-elettorali. A livello locale si contano più di 500 televisioni at-

tive, oltre 1.000 emittenti radio, più di un centinaio di quotidiani, una miriade di te-

state web e blog.

L’apprezzamento del pubblico verso questo tipo di informazione emerge con evi-

denza dai dati. L’82,4% degli italiani dichiara di aver fatto ricorso a un mezzo di in-

formazione locale negli ultimi sette giorni. Resta la televisione il dominus della

scena mediatica anche a livello locale. Con il 68,9% di utenti, il tg regionale della

Rai è il mezzo più usato. Seguono le tv locali private, con il 51,6% di utenza, e i

quotidiani locali (40,2%), che si confermano il terzo mezzo più seguito. Le radio

locali sono seguite da poco più di un terzo della popolazione (37,4%). L’utenza delle

testate locali online si attesta all’11,8% (tab. 9).

(val. %)

Totale

Età

14-29 anni 30-44 anni 45-64 anni 65-80 anni

Almeno uno 82,4 63,0 82,3 88,9 93,1

Tg regionale della Rai 68,9 48,2 65,3 75,4 86,3

Tv locali 51,6 36,2 49,1 55,8 65,5

Quotidiani locali 40,2 23,3 40,5 46,4 48,0

Radio locali 37,4 25,4 42,1 44,0 32,1

Giornali online locali 11,8 12,0 15,2 12,2 5,5

Nessuno 17,6 37,0 17,7 11,1 6,9

Fonte: indagine Censis, 2013

Page 84: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

82

Sono significativi i giudizi espressi dagli italiani in merito alle qualità dei media lo-

cali. I soggetti più istruiti, diplomati e laureati, li apprezzano perché li sentono più

vicini alla loro realtà quotidiana (69%), perché forni¬scono notizie utili (39,8%) e

perché è più facile entrare in contatto con le loro redazioni (23,1%), a testimonianza

di un interesse verso i mutamenti in corso nel territorio in cui inserirsi attivamente,

nonché di una necessità di avere un rapporto diretto con i soggetti territoriali (asso-

ciazionismo sociale, rappresentanze imprenditoriali e categoriali, amministrazioni

pubbliche come Regioni, enti locali, ecc.). Le persone meno istruite li con¬siderano

più credibili (23,7%) e più professionali (14,6%), e in questi media cercano soprat-

tutto un’informazione più semplice e vicina (tab. 10).

(val. %)

Totale

Sesso Livello di istruzione

Maschi FemmineLicenza elementare

e mediaDiploma e laurea

Sono più vicini alla mia realtà quotidiana 64,8 65,7 63,9 61,4 69,0

Forniscono più informazioni utili di carattere pratico 32,5 34,0 31,1 26,5 39,8

dal potere 25,3 26,2 24,4 24,3 26,5

Permettono di avere facilmente rapporti diretti con le redazioni 20,8 21,7 19,9 18,8 23,1

Usano un linguaggio che apprezzo di più 18,7 18,7 18,8 19,2 18,1

Sono più credibili 18,3 18,4 18,3 23,7 11,9

Sono più ricchi di dibattiti e approfondimenti 13,4 13,4 13,4 15,3 11,1

Sono più professionali 11,6 9,4 13,7 14,6 8,0

prestigiose 3,3 4,4 2,2 2,6 4,3

Fonte: indagine Censis, 2013

L’Italia digitale in Europa

Il 19% dei cittadini europei di 16-74 anni non ha mai usato un computer. A questo

valore medio si avvicinano la Provincia autonoma di Bolzano (23%), l’Emilia Ro-

magna e il Friuli Venezia Giulia (28%), la Lombardia (29%). Valori decisamente

peggiori si registrano al Sud: la maglia nera nella penetrazione dell’uso del pc spetta

alla Campania (48%), ma anche Piemonte, Umbria (35%) e Lazio (30%) si segna-

lano con percentuali elevate (tab. 12).

Lo sviluppo della banda larga mobile e la diffusione degli smartphone si candidano

a diventare i vettori di inclusione nella quotidianità virtuale di una parte di popola-

zione italiana finora dissuasa dalla complessità di uso del personal computer, ma in-

trigata dalla tecnologia user friendly delle applicazioni su dispositivi mobili. La

priorità di ridurre al 2015 la percentuale di chi non ha mai usato Internet al 15%

della popolazione fissata dall’Agenda Digitale non è però l’unica battaglia che do-

vrebbe vedere attive le politiche di inclusione e sviluppo digitale del nostro Paese.

Page 85: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

83

L’Italia, infatti, sta accumulando ritardi sul fronte della modernità delle infrastrutture

rispetto agli altri membri dell’Unione europea. Se la banda larga ormai può vantare

una diffusione in linea con i richiami di Bruxelles, sul fronte della velocità di con-

nessione e sulla diffusione delle cosiddette Nga (Next Generation Access), evolu-

zione nell’uso degli impianti a fibra ottica, il quadro appare meno roseo. Se nei

progetti strategici dell’Italia c’è il raggiungimento di una copertura a 30Mbps su

tutto lo stivale, e sulla metà addirittura l’implementazione a 100Mbps entro il 2020,

nel 2013 solo il 21% delle famiglie ha potuto avvantaggiarsi di una copertura ultra-

tecnologica (Nga). E per quanto riguarda lo standard delle connessioni, l’1% dei

contratti è stipulato per una velocità pari o superiore a 30Mbps e lo 0% contempla

una velocità di rete pari o superiore a 100Mbps, mentre la media Ue segna un 5%

(tab. 16).

(val. %)

Regioni Val. %

Piemonte 35

29

Liguria 32

Lombardia 29

Abruzzo 37

Molise 41

Campania 48

Puglia 42

Basilicata 37

Calabria 44

Sicilia 42

Sardegna 32

Provincia autonoma di Bolzano 23

Provincia autonoma di Trento 32

Veneto 30

Friuli Venezia Giulia 28

Emilia Romagna 28

Toscana 30

Umbria 35

Marche 31

Lazio 30

Ue 28 19

Fonte: elaborazione Censis su dati Eurostat

(val. %)

Italia Ue 27

Copertura Nga (% di famiglie) 21 62

Abbonamenti con velocità di connessione di almeno 30 Mbps 1 21

Abbonamenti con velocità di connessione di almeno 100 Mbps 0 5

Fonte: elaborazione Censis su dati Eurostat

Page 86: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

84

La transizione della pubblicità: verso il continuum

tra online advertising e e-commerce

Il primo capitolo della transizione della pubblicità degli ultimi anni è costituito dalla

diffusione di nuove modalità di fruizione: ha fatto il suo ingresso in scena la pubbli-

cità on demand, “fai da te”, autogestita dall’utente-consumatore del web 2.0. Il se-

condo capitolo è consistito nel passaggio dalla tradizionale réclame delle aziende

alla web reputation attraverso la costruzione di una immagine aziendale 2.0. Oggi

si può parlare di un terzo capitolo di questa transizione: la continuità tra online ad-

vertising e e-commerce.

Nei primi sei mesi del 2014 si evidenzia un calo degli investimenti pubblicitari del

2,4%. La televisione ha beneficiato dell’effetto della Coppa del mondo segnando

un +1,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, la carta stampata registra

una flessione dell’11%, la radio del 2,9% e internet, dopo la galoppata a due cifre

conosciuta fino al 2012, ha subito una battuta d’arresto (+0,1%) (tab. 17). La tele-

visione si conferma il mezzo dominante, riuscendo a convogliare più della metà

delle risorse spese annualmente dalle aziende per l’informazione commerciale, i

quotidiani assorbono una fetta di mercato pari al 12,7% contro il 7,6% della stampa

periodica, internet si attesta al 7,3% del totale (fig. 1).

Nel commercio elettronico l’Europa registra un giro d’affari pari a 350 miliardi di

euro nel 2013, dimostrando così una buona vitalità. I Paesi con il maggiore sviluppo

sono il Regno Unito, con un valore di 107 miliardi di euro, la Francia, che può con-

tare su un mercato di vendite che pesa 51 miliardi di euro, e la Germania, con 50

miliardi di euro derivanti dall’e-commerce. L’Italia, seppure lontana da queste cifre,

secondo le stime chiuderà il 2014 con più di 13 miliardi di euro e una crescita del

17% rispetto all’anno precedente.

(migliaia di euro e var. %)

I sem. 2013 I sem. 2014 Var. %

Tv 1.897.337 1.922.055 1,3

Radio 184.128 178.797 -2,9

Quotidiani 462.862 414.746 -10,4

Periodici 279.852 249.024 -11,0

Internet 240.198 240.514 0,1

Altro 290.980 269.898 -7,2

3.355.358 3.275.035 -2,4

Fonte: elaborazione Censis su dati Nielsen

Page 87: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

85

(val. %)

Tv58,7

Radio5,5

Quotidiani12,7

Periodici7,6

Internet7,3

Altro8,2

Fonte: elaborazione Censis su dati Nielsen

(val. %)

66

59

51

29

47

20 17 19

11 15

Regno Unito Germania Francia Italia Ue

Da un rivenditore/provider del proprio Paese

Da un rivenditore/provider di altro Paese Ue

Fonte: elaborazione Censis su dati Eurobarometro

In Italia la percentuale di consumatori elettronici si attesta al 29% con riferimento a

un negozio online domestico e l’11% ha scelto un rivenditore presente in un altro

Paese dell’Unione europea. Lo stesso vale anche per i tre big spender dell’Ue: nel

Regno Unito il 66% dei consumatori ha premiato un sito inglese, contro un 20% di

compere registrate sul server di un altro Paese europeo. Il 59% dei tedeschi compra

da siti web nazionali, contro il 13% che ha effettuato shopping da portali esteri. Non

dissimile la situazione in Francia, dove il 51% dei consumatori è cliente di una realtà

online di casa propria, a fronte di un 19% che fa shopping oltreconfine (fig. 3).

Page 88: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

86

Relativismo e soggettivismo narcisista nei media

Sia internet che la televisione consentono l’utilizzo da parte dei genitori di filtri per

evitare che i figli siano esposti a contenuti pericolosi per il loro equilibrato sviluppo

etico e psicologico. Secondo i dati di una ricerca realizzata dal Censis per il Corecom

Lazio (l’Autorità regionale per le comunicazioni), il 42% dei genitori usa un filtro

per l’utilizzo di internet da parte dei figli e solo il 24% usa il parental control in te-

levisione sia per i contenuti definiti “adult”, sia per quelli classificati come “nocivi”

(tab. 23). Ciò sebbene gli stessi genitori sostengano che il degrado morale della no-

stra epoca è fortemente connesso all’offerta dei media. I genitori sono preoccupati,

capiscono il rischio contenuto nei media, ma la loro azione di vigilanza consapevole

appare debole.

(parentalcontrol) (val. %)

Val. %

Internet

No, non sono interessato a esercitare questo tipo di controllo 41,8

6,4

Ho provato, ma è complicato 4,8

Vorrei, ma non sapevo che si potesse 4,6

Sì 42,4

100,0

Tv (parental control)

Lo uso abitualmente, sia per i contenuti “adult”, sia per quelli “nocivi” 24,1

Lo uso solo per i contenuti “adult” 6,4

Possiedo un vecchio decoder con cui non posso usufruire del parental control 7,5

3,0

No, non lo uso 59,0

100,0

Fonte: indagine Censis, 2014

Page 89: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

Governo pubblico(pp. 461 – 504 del volume)

La numerazione di tabelle, tavole e figure riproduce quella del testo integrale

Page 90: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

88

Capitale culturale di un territorio:

chance di crescita non solo economica

Il Censis, con il contributo dell’Assessorato alla Cultura della Regione Calabria, ha

analizzato lo stato dell’arte dell’offerta culturale regionale, misurandone la poten-

zialità di crescita per individuare alcune linee di sviluppo possibili.

Fra il patrimonio “giacente” - l’eredità materiale delle espressioni culturali del pas-

sato - si possono oggi annoverare in Calabria 13 siti archeologici e complessi mo-

numentali, 284 musei, archivi e collezioni, 646 beni vincolati. A questi sono state

poi aggiunte alcune categorie:

- sono stati censiti i luoghi di rappresentazione e di diffusione della cultura come

le librerie (252), le sale teatrali e cinematografiche (rispettivamente, 186 e 60),

le biblioteche (oltre 400); a queste categorie sono state aggiunte le scuole di II

grado, in cui la costruzione e la diffusione della cultura e dell’istruzione rappre-

senta ovviamente il fine principale della propria attività;

- si è poi data evidenza a quella componente del paesaggio che negli ultimi anni

ha acquisito un forte visibilità e ha attratto l’attenzione del grande pubblico perché

declinata con la domanda di qualità della vita e della conservazione dell’am-

biente: in Calabria si contano oggi 72 comuni con patrimonio edilizio storico,

159 centri storici e insediamenti minori suscettibili di tutela e valorizzazione, 13

fra i borghi più belli d’Italia e borghi autentici.

Lungo la dimensione del capitale culturale “vivente” si è ricostruito un palinsesto

che nel 2013 in Calabria ha annoverato 39 grandi eventi di qualità con una estesa

partecipazione (1,3 milioni di presenze, con una media a evento di circa 35.000

partecipanti), un elevato coinvolgimento del territorio (67 comuni), un volume di

spesa che ha sfiorato i 55 milioni di euro e un moltiplicatore, rispetto al finanzia-

mento, molto vicino a 7 (tab. 4).

(v.a.e euro)

N. visitatori (senza pernottamento) 996.896

Spesa visitatori (euro) 29.311.688

N. turisti (con pernottamento) 326.993

Spesa turisti (euro) 25.653.369

Totale turisti + visitatori (n.) 1.323.889

Totale spesa turisti + visitatori (euro) 54.965.057

Costo complessivo degli eventi (euro) 8.178.666

Effetto moltiplicativo 6,72

Fonte: elaborazione Censis su dati Regione Calabria

Page 91: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

89

La fisiologia della Pubblica Amministrazione e

il progetto di rinnovamento generazionale

L’allungamento del mantenimento in servizio dei dipendenti pubblici in seguito al-

l’adozione dell’ultima riforma previdenziale, collegato con il blocco del turn over –

unico strumento effettivo di contenimento della spesa utilizzato in questi anni –, ha

creato le premesse per una difficile ricomposizione dei problemi che affliggono la

Pubblica Amministrazione, soprattutto se proiettati nel lungo periodo. Oggi la di-

stribuzione del personale pubblico per età evidenzia (tab. 6):

(v.a.)

Comparti Anni

Servizio sanitario nazionale 18,1Enti pubblici non economici 22,0Enti di ricerca 16,2Regioni e Autonomie locali 19,3Ministeri 22,4

21,2Presidenza del Consiglio dei Ministri 15,5Scuola 18,0 Istituzioni di Alta Formazione e Specializzazione Artistica e Musicale 17,5Università 17,3Enti art.70, comma 4, D.Lgs. 165/01 15,5Regioni a statuto speciale e Province autonome 14,6Enti art. 60, comma 3, D.Lgs. 165/01 20,2Autorità indipendenti 15,9Corpi di polizia 20,2Forze armate 15,9Vigili del fuoco 16,9Magistratura 20,9Carriera diplomatica 17,8Carriera prefettizia 24,7Carriera penitenziaria 20,5Totale Pa 19,0Anzianità media totale Pa nel 2001 16,9Anzianità media Dirigenti Pa nel 2012 15,8Anzianità media Personale non dirigente Pa nel 2012 18,5Anzianità media Docenti scuola a tempo indeterminato nel 2012 18,8Anzianità media Magistrati, diplomatici, prefetti nel 2012 20,7

Fonte: elaborazione Censis su dati Aran

- un deciso spostamento in avanti dell’età media, che in termini assoluti e relativi

rappresenta di per sé un elemento critico anche per gli aspetti retributivi che porta

con sé in un sistema dove è premiata l’anzianità di servizio e non il merito. Se

nel 2001 l’età media era, infatti, pari a 44,2 anni, nel 2012 era cresciuta di oltre

4 anni portandosi a 48,7;

- una forte concentrazione delle componenti più anziane proprio nella fascia diri-

genziale. Dei 182.000 dirigenti della Pa, quasi la metà (46,2%) ha più di 50 anni

e poco più del 14% ha almeno 60 anni (circa 26.000 dirigenti in termini assoluti).

Page 92: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

L’età media è di 52,9 anni ed è di poco inferiore l’età media dei docenti e dei ri-

cercatori universitari (51,2 anni);

- una maggiore incidenza della componente più anziana in comparti come i Mini-

steri (con un’età media di 51,9 anni e una quota di ultrasessantenni superiore al

10%), la Presidenza del Consiglio (51,8 anni in media), la carriera prefettizia

(52,8 anni).

L’attenzione al ricambio generazionale potrebbe essere il campo di sfida su cui mi-

surare la qualità dell’intento riformistico del Governo. La questione della “staffetta

generazionale” agisce direttamente su un fattore strutturale delle risorse umane che

è dato dall’età, un elemento oggettivo che riflette ciò che accade a livello della po-

polazione. Bisogna, però, fare i conti anche con il fatto che quasi un dipendente su

cinque ha al massimo assolto alla scuola dell’obbligo. In termini assoluti si tratta di

oltre 600.000 dipendenti, di cui più della metà riconducibile al Servizio sanitario

nazionale (circa 148.000), alla scuola (poco meno di 128.000) e alle Regioni e Au-

tonomie locali (124.000), cui si possono aggiungere altri 24.000 impiegati nelle Re-

gioni a statuto speciale e nelle Province autonome.

Il nodo politico dei fondi strutturali

La crisi ha interrotto in tutta Europa quel processo di riduzione delle disparità re-

gionali che è l’obiettivo ultimo dei fondi di coesione. Fino al 2008 le disparità tra le

economie regionali erano in diminuzione: nel 2000 il Pil medio pro-capite nel 20%

delle regioni più sviluppate era di circa 3,5 volte più alto di quello delle regioni meno

sviluppate. Questa disparità è andata diminuendo fino a raggiungere quota 2,8 nel

2009, per poi ricominciare a risalire.

Il fenomeno appare più chiaro analizzando l’andamento occupazionale. Nel 2000 il

tasso di disoccupazione medio nel 20% delle regioni con maggiore difficoltà era del

17,6% a fronte del 3,4% per il 20% delle regioni a maggiore occupazione. Il rapporto

tra i due valori era di 5,2: una distanza che si è andata assottigliando fino al 2007,

per poi risalire fino al 5,3 del 2013, portandosi su un valore più alto di quello di par-

tenza, a testimoniare che nel 2013 la disparità regionale, in riferimento all’occupa-

zione, era maggiore di quella del 2000.

Alla fine del periodo di programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali, finalizzati

alla convergenza fra regioni ricche e regioni in ritardo di sviluppo, le risorse effet-

tivamente impiegate in Italia sono risultate pari al 54% di quelle disponibili. Nello

scampolo di programmazione che ci resta (2014-2015) dovremmo portare a termine

gli interventi per il restante 47% (quasi 14 miliardi di euro) con una capacità di spesa

corrispondente a un miliardo al mese da qui alla fine: obiettivo forse difficilmente

raggiungibile.

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

90

Page 93: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

Piccole imprese e ricercatori

puntano molto sui fondi di ricerca europei,

ma devono migliorare la progettazione

Nella società della conoscenza, il potenziale di ricerca di un Paese incide in maniera

determinante sulla sua capacità competitiva, dunque la ricerca andrebbe pensata

come un investimento e non come una spesa. Nel nostro Paese si stima un investi-

mento in ricerca di 17,5 miliardi di euro, corrispondenti all’1,2% del Pil: un valore

al di sotto della media europea, che è dell’1,8%. Girano pochi investimenti, e questo

ha spinto negli anni i ricercatori e le imprese italiane a inseguire le cospicue fonti di

finanziamento comunitarie: moltissime le domande presentate nell’ambito del vec-

chio 7° Programma Quadro (11.474 idee di ricerca), ma pochi i progetti finanziati.

Siamo dietro Germania, Regno Unito e Francia, con un tasso di successo del 13,4%,

ancora una volta al di sotto della media europea (17,9%).

Con un budget di circa 80 miliardi di euro (il 30% in più dell’ultimo programma

quadro), da stanziarsi nei prossimi sette anni, Horizon 2020 non è solo il più grande

programma di ricerca dell’Unione europea, ma uno dei più grandi al mondo finan-

ziato con fondi pubblici, e con un approccio integrato a favore delle Pmi, a cui dedica

il 15% della dotazione finanziaria: una mole di finanziamenti senza precedenti che

intende sovvenzionare le più innovative tra le piccole imprese, quelle con un poten-

ziale di crescita maggiore.

Tra le domande pervenute sullo Strumento per le Pmi di Horizon 2020, l’Italia gioca

un ruolo di primo piano: ben 436 proposte italiane su 2.666 pervenute (il numero

più alto tra i Paesi dell’Unione) per la prima call di Fase 1 e 70 domande su 580 per

la prima call di Fase 2 (anche in questo caso il numero più alto di proposte pervenute

alla Commissione rispetto agli altri Paesi europei). Se però consideriamo i risultati

della prima valutazione (quella effettuata sulla Fase 1), portiamo a casa 20 progetti

finanziati su 436 proposte presentate. Un tasso di successo molto basso (4,6%), mal-

grado siamo il terzo Paese per numero di imprese sovvenzionate, dietro a Regno

Unito (26 con un tasso di successo dell’11,2%) e Spagna (39 con un tasso di successo

del 9,3%).

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

91

Page 94: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

Sicurezza e cittadinanza

(pp. 505 – 543 del volume)

La numerazione di tabelle, tavole e figure riproduce quella del testo integrale

Page 95: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

93

Oltre gli sbarchi

L’emergenza sbarchi che l’Italia ha vissuto nell’ultimo anno non ha precedenti: se-

condo i dati del Ministero dell’Interno, dal 1° gennaio a metà ottobre 2014 sono stati

gestiti 918 sbarchi, nel corso dei quali sono giunte 146.922 persone, per l’11% donne

e per il 21,2% minori (tav. 1). I dati dell’Agenzia europea Frontex indicano una pre-

valenza di eritrei e siriani tra coloro che hanno attraversato il Mediterraneo nei primi

otto mesi del 2014; seguono i cittadini di Mali, Nigeria, Gambia e Somalia. Numeri

che destano allarme, soprattutto se paragonati con quelli degli anni passati. Nel 2011,

che era stato un anno record per gli effetti delle “primavere arabe”, gli arrivi erano

stati 63.000, 13.000 nel 2012 e 43.000 in tutto il 2013.

Numero di sbarchi (1/1-13/10 2014) 918

I profughi sbarcati (1/1-13/10 2014) 146.922

di cui: 11% donne

21,2% minori

Mare Nostrum (1/8/2013-31/7/2014) 62.982

Persone che hanno perso la vita tentando di raggiungere le nostre coste (1/1-30/9/2014) 3.072

Persone in strutture di accoglienza (a settembre 2014) 61.536

Domande di protezione (1/1-31/7/2014) 30.755

(+142% rispetto al periodo corrispondente del 2013)

Fonte:

L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni stima che siano stati oltre 3.000

i morti nel Mediterraneo tra gennaio e settembre 2014, e 22.400 quelli che comples-

sivamente hanno perso la vita dal 2000 ad oggi (quasi dieci volte il numero delle

vittime degli attentati alle Torri Gemelle). Una tragica media di 1.500 morti ogni

anno, che diventano oltre 3.000 nei soli primi nove mesi del 2014.

Numeri che mettono a dura prova anche il sistema di accoglienza di chi riesce a

giungere a terra. Complessivamente, al 30 settembre le strutture di diversa natura

presenti sul territorio nazionale ospitavano 61.536 migranti, collocati per più della

metà in soluzioni alloggiative temporanee (il 52,8%, con un maggiore presenza in

Sicilia, Lombardia e Campania), per un ulteriore 30% nelle strutture facenti capo

allo Sprar (soprattutto nel Lazio, in Sicilia e in Puglia) e per il 17% circa nei centri

governativi (i maggiori si trovano in Sicilia, Puglia e Calabria) (tab. 1).

Page 96: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

94

(v.a. e val. %)

RegioneStrutture

temporanee SprarStrutture governative (Cara, Cda e Cpsa)

Totale

v.a. val. %

Sicilia 5.993 3.974 4.752 14.719 23,9Lazio 2.629 4.367 826 7.822 12,7Puglia 1.427 1.813 2.764 6.004 9,8Lombardia 4.732 921 - 5.653 9,2Calabria 1.614 1.506 1.438 4.558 7,4Campania 3.035 1.069 - 4.104 6,7Emilia Romagna 2.088 702 - 2.790 4,5Piemonte 1.873 846 - 2.719 4,4Toscana 1.642 528 - 2.170 3,5Veneto 1.491 283 - 1.774 2,9Merche 931 495 116 1.542 2,5Liguria 1.113 289 - 1.402 2,3Friuli Venezia Giulia 733 302 203 1.238 2,0Molise 657 435 - 1.092 1,8Sardegna 700 84 269 1.053 1,7Umbria 497 327 - 824 1,3Basilicata 432 380 - 812 1,3Abruzzo 513 227 - 740 1,2Trentino Alto Adige 312 149 - 461 0,7

59 - 59 0,1Totale 32.471 18.697 10.368 61.536 100,0Val. % 52,8 30,4 16,8 100,0

Fonte:

Quale integrazione senza partecipazione?

La partecipazione politica è una delle componenti fondamentali per sentirsi a pieno

titolo cittadini di uno Stato, un pilastro dell’integrazione, come viene riconosciuto

da non pochi Paesi europei che vantano discipline più inclusive rispetto all’Italia.

Ben 12 Paesi dell’Unione europea riconoscono a tutti gli immigrati non comunitari

il diritto di voto alle elezioni amministrative ponendo come vincolo un certo periodo

di residenza (2 anni per la Finlandia, 3 per Irlanda, Danimarca, Slovacchia e Svezia,

5 per Paesi Bassi, Lussemburgo, Belgio, Estonia, Slovenia, Lituania, Ungheria) e

ponendo, in alcuni casi, uno sbarramento all’elettorato passivo. In altri Paesi, come

Regno Unito, Spagna e Portogallo, vengono invece stabiliti dei requisiti maggior-

mente selettivi, privilegiando cittadini che provengono da Paesi che hanno legami

storici e/o con cui sono stati sottoscritti accordi di reciprocità. Ci sono poi 12 Paesi,

tra cui l’Italia, ma anche la Francia, la Germania e la Grecia (che nel 2010 aveva in-

trodotto il diritto di voto, poi dichiarato incostituzionale nel 2013), in cui non è con-

cessa la possibilità di votare (tav. 2).

Nel nostro Paese non sono mancate le proposte di legge in proposito, anche di ini-

ziativa popolare, come quella di qualche anno fa legata alla campagna “L’Italia sono

anch’io”, ma al momento si registra un certo stagnamento per una questione sulla

Page 97: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

95

Il sistema anti-tratta: tra imminenti trasformazioni

e cambiamenti necessari

Tra il 2000 e il 2012 il sistema di protezione italiano per le vittime di tratta è entrato

in contatto con oltre 65.000 persone, cui ha fornito informazioni, accompagnamento

ai servizi e consulenza; ha garantito assistenza strutturata a 21.795 vittime di tratta

e grave sfruttamento, oltre 1.000 delle quali minori, nell’ambito dei progetti ex art.

18 d.lgs. 286/98; cui si aggiungono 3.862 persone, di cui oltre 200 minori, entrati

nei progetti di emersione e prima assistenza ex art. 13 l. 228/2003 nel periodo 2006-

2012 (tav. 3).

Solo nel corso dell’ultimo biennio sono stati oltre 1.500 i percorsi di assistenza at-

tivati a favore delle vittime di tratta, dei quali 96 a favore di minori; quasi i tre quarti

dei percorsi erano rivolti a donne, e oltre la metà hanno avuto come destinatari cit-

tadini originari della Nigeria e della Romania.

Alla luce di tutto ciò è necessario che il sistema anti-tratta italiano riesca a superare

le innegabili criticità che lo caratterizzano, sottolineate a più riprese da chi lavora

all’interno del sistema stesso, oltre che da enti sovranazionali.

europea

Paesi Ue che concedono il diritto di voto amministrativo agli stranieri non comunitariI requisiti

Gli inclusiviFinlandia Residenza da almeno 2 anni Irlanda Danimarca Residenza da almeno 3 anni Slovacchia Residenza da almeno 3 anni Svezia Residenza da almeno 3 anni Paesi Bassi Residenza da almeno 5 anni Lussemburgo Residenza da almeno 5 anni Belgio Residenza da almeno 5 anni (più ulteriori requisiti)Estonia Residenza da almeno 5 anni (solo elettorato attivo) Slovenia Residenza da almeno 5 anni (solo elettorato attivo)Lituania Residenza da almeno 5 anniUngheria Residenza di lunga durata I selettiviRegno Unito Possono votare alle elezioni di qualsiasi livello gli appartenenti al Commonwealth

e gli irlandesi Spagna

vigono condizioni di reciprocità, e comunque dopo 3 o 5 anni di residenza (a seconda del Paese)

Portogallo Possono votare solo i cittadini di alcune ex colonie, previa residenza di 2, 3 o 4 anni (a seconda del Paese) e a condizioni di reciprocità; con altri Paesi vigono accordi bilaterali e il requisito di almeno 5 anni di residenza

Paesi Ue che non concedono il diritto di voto amministrativo agli stranieri non comunitari

Grecia, Francia, Italia, Germania, Austria, Bulgaria Cipro Lettonia, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Romania

Fonte: Censis, 2014

quale, invece, si giocano molte delle possibilità di far sentire veramente protagonisti

di un destino comune gli stranieri residenti nel nostro Paese.

Page 98: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

96

Un segnale positivo è sicuramente il recepimento della Direttiva 2011/36/Ue relativa

alla prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle

vittime, cui l’Italia ha dato attuazione con il d.lgs. n. 24 del 4 marzo 2014. Tra le

novità introdotte, si segnala il rafforzamento dello strumento punitivo, attraverso gli

artt. 600 e 601 del Codice penale, e un accrescimento della tutela delle vittime di

tratta particolarmente vulnerabili attraverso l’utilizzo di maggiori cautele in ambito

processuale. Le vittime di tratta potranno anche avere accesso a un indennizzo di

1.500 euro attingendo al Fondo per le misure anti-tratta. Inoltre, viene prevista l’ado-

zione di un Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento, atto a

definire le strategie di intervento per la prevenzione e il contrasto al fenomeno e le

azioni finalizzate alla sensibilizzazione, alla prevenzione sociale, all’emersione e

all’integrazione sociale delle vittime. Un ulteriore e importante cambiamento è rap-

presentato dall’introduzione del Programma unico di emersione, assistenza e inte-

grazione sociale che va a unificare in un percorso unico i due differenti programmi

ex artt. 13 e 18.

L’illegalità frena le imprese

Una recente indagine del Censis per il Ministero dello Sviluppo Economico, con-

dotta su 316 funzionari di Camere di commercio, organizzazioni datoriali e di cate-

goria e sindacati, testimonia dell’elevata presenza di attività illegali ai danni delle

imprese. Quasi il 60% degli intervistati segnala la presenza di imprese parzialmente

o totalmente irregolari sul proprio territorio (e il dato sale addirittura al 78,5% nel

Sud), il 52,4% denuncia la pratica dello sfruttamento lavorativo (il 76,1% al Sud) e

il 51,3% la presenza di immigrazione irregolare (fig. 3).

Un contesto di questo tipo crea un humus favorevole alla presenza e alla diffusione

di altri mercati illegali che, a loro volta, sottraggono risorse e scoraggiano dall’in-

vestire legalmente. Tra questi quelli dell’abusivismo commerciale e della vendita di

merci contraffatte.

Persone che hanno ricevuto accompagnamento, consulenza, informazioni

665

Persone entrate in un programma di protezione sociale ex art.18 21.795

(di cui: 1.171 minori)

166

Persone entrate in un programma di emersione e prima assistenza ex art.13 (anni 2006-2012) 3.862

(di cui: 208 minori)

Fonte:

Page 99: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

97

Per quanto riguarda il solo commercio al dettaglio, la stima condotta lo scorso anno

per Confcommercio ha portato ad individuare almeno 67.627 esercizi commerciali

parzialmente o totalmente abusivi, pari al 7,1% del totale. Di questi, 34.837 sono

situati in aree pubbliche e mercatali, per una quota che corrisponde al 19,4% del to-

tale, e 32.790 sono in sede fissa, per una quota che rappresenta il 4,2% del totale.

Complessivamente si può stimare un fatturato di 8,8 miliardi di euro, pari al 4,7%

del totale del volume d’affari (tab. 3).

(val. %)

21,0

28,1

29,0

46,9

51,3

52,4

58,3

Gestione diretta di imprese da partedella criminalità organizzata

Racket, estorsioni ai dannidi imprese

Corruzione nella PubblicaAmministrazione

Improvvisa apertura/chiusuradi imprese

Immigrazione irregolare

Sfruttamento del lavoro

Imprese irregolari

Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposteFonte: indagine Censis, 2014

Fortemente correlato all’abusivismo è il mercato della produzione e vendita di merci

contraffate: un mercato interno che, in base all’ultima stima che il Censis ha realiz-

zato per il Ministero dello Sviluppo Economico, ha un valore di 6,535 miliardi di

euro. Se fossero stati venduti gli stessi prodotti sul mercato legale si sarebbero avuti:

17,7 miliardi di euro di valore di produzione aggiuntiva, con conseguenti 6,4 miliardi

circa di valore aggiunto; acquisti di materie prime, semilavorati e/o servizi dal-

l’estero per un valore delle importazioni pari a 5,6 miliardi di euro; la produzione

degli stessi beni in canali ufficiali avrebbe richiesto circa 105.000 unità di lavoro a

tempo pieno. Riportare sul mercato legale la produzione dei beni contraffatti signi-

(v.a. e val. %)

Esercizi del commercio al dettaglio abusivi

Esercizi Valore delle vendite

v.a. val. % mld. di europer esercizio

(euro)

32.790 4,2 4,7 142.497

In aree pubbliche e in aree mercatali 34.837 19,4 4,1 118.421

Totale 67.627 7,1 8,8 130.095

Fonte: elaborazione Censis su dati Infocamere, Ministero dello Sviluppo Economico e Fiva

Page 100: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

98

ficherebbe anche avere un gettito aggiuntivo per imposte (dirette e indirette) legato

alla produzione diretta di 1,522 miliardi di euro; se a questo si aggiunge la produ-

zione indotta in altri settori dell’economia, pari a quasi 3,760 miliardi di euro, si ar-

riverebbe a un gettito complessivo pari a circa 5,280 miliardi di euro ovvero a un

ammanco pari, nel complesso, al 2% del totale delle entrate prese in considerazione

(tab. 4).

(v.a.)

Voci 2012

Fatturato interno (mln. di euro) 6.535

Impatto sulla produzione (mln. di euro) 17.773

Impatto sul valore aggiunto (mln. di euro) 6.370

Importazioni attivabili (mln. di euro) 5.650

104.538

Unità di lavoro generabili per ogni milione di euro di fatturato 16,0

Imposte perdute (mln. di euro) 5.280

Fonte: Censis, 2014

Giovani, legalità, contraffazione

In una recente indagine del Censis sono stati intervistati 500 giovani romani di età

compresa tra i 18 e i 25 anni mentre si trovavano a fare compere nei mercati di Porta

Portese, Via Sannio e Villaggio Olimpico. Al primo posto, come comportamento ri-

tenuto ammissibile dall’80,9% degli intervistati, si trova il download di materiale

pirata da internet, seguito dall’acquisto di merce contraffatta, ammissibile per il

67,6%. Si tratta, in entrambi i casi, di atti ritenuti normali, che i giovani compiono

abitualmente, spesso senza neanche avere la percezione di compiere un illecito. Ad-

dirittura, questi comportamenti sono ritenuti più giustificabili di viaggiare sui mezzi

pubblici senza biglietto (64,6%), una pratica che a Roma è molto diffusa, soprattutto

tra i giovani. Nella graduatoria costruita in base alle risposte dei ragazzi seguono:

superare il limite di velocità in auto o motorino (ritenuto ammissibile dal 55,5%) e

scrivere o disegnare sui muri (53,1%), comportamenti che più della metà dei giovani

giudica poco gravi. Non sono pochi nemmeno quelli che trovano giustificazioni per

l’acquisto di merce di dubbia provenienza (comportamento giudicato ammissibile

da ben il 43,7% del campione) o di sigarette di contrabbando (35,6%): fare econo-

mia, soprattutto in tempi di crisi, può valer bene quella che giudicano come una pic-

cola trasgressione, e che però spesso ha delle implicazioni che vanno molto al di là

dell’atto di acquisto. I comportamenti ritenuti più gravi, e per questo giudicati meno

ammissibili, sono l’evasione fiscale (il 16,8% giustifica chi dichiara al fisco meno

di quanto guadagna) e, da ultimo, compiere un abuso edilizio (ritenuto ammissibile

da un esiguo 8,6%) (fig. 4).

Page 101: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

Sull’acquisto dei falsi è stato condotto un approfondimento: dall’indagine emerge

come ben il 74,6% dei giovani acquisti spesso (15,2%) o qualche volta (59,4%)

merce falsa, con una percentuale che raggiunge l’81,3% tra i maschi (fig. 5).

I giovani comprano soprattutto articoli di abbigliamento (il 67,3%) e accessori quali

cinture, portafogli, borse (45,3%), scarpe (37,5%), occhiali (31,6%) e, in misura mi-

nore, orologi, bigiotteria e gioielli (20,1%). Tra i prodotti più indicati vi sono poi i

cd e i dvd (48,3%) (fig. 6).

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

99

(val. %)

8,6

16,8

25,8

33,7

35,2

35,6

43,7

53,1

55,5

64,6

67,6

80,9

Compiere un abuso edilizio

Dichiarare al fisco meno di quanto si guadagna

Copiare a un concorso pubblico

Ricorrere a raccomandazione per ottenereun posto di lavoro

Assentarsi dal lavoro senza essere davvero malati

Acquistare sigarette di contrabbando

Comprare merce di dubbia provenienza

Scrivere o disegnare su un muro con lo spray

Superare il limite di velocità in auto/motorino

Utilizzare i mezzi di trasporto senza pagareil biglietto

Acquistare merce contraffatta

Scaricare materiale pirata da internet

Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposteFonte: indagine Censis, 2014

Fig. 5 - Frequenza di acquisto di merce contraffatta da parte dei giovani romani, per sesso (val. %)

17,9 12,6

15,2

63,4

55,5 59,4

18,7

31,9

25,4

Maschio Femmina Totale

Spesso Qualche volta Mai

Fonte: indagine Censis, 2014

Page 102: 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014

48° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese

100

Fig. 6 - Tipologia di merce contraffatta acquistata dai giovani romani (val. %)

1,6

4,3

8,0

11,8

16,1

18,2

20,1

20,1

31,6

37,5

45,3

48,3

67,3

Altro

Medicinali, integratori o simili

Accessori-ricambi auto/moto

Tabacchi

Profumi, cosmetici

Prodotti informatici

Orologi/bigiotteria, gioielli

Cellulari, prodotti elettronici

Occhiali

Scarpe

Accessori

Cd, dvd

Abbigliamento

Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte Fonte: indagine Censis, 2014