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- 331 - [442] LIBRO QUARTO DE’ VICERÈ CHE GOVERNARONO LA SICILIA SOTTO I PRINCIPI BORBONI. Avvengachè in questo secolo, di cui scriviamo, non abbiano sempre regnato i sovrani della casa Borbone, essendovi state due interruzioni, l’una dall’anno 1713 all’anno 1718, e l’altra da questo anno sino al 1734, ci è piaciuto nondimeno di chiamare questa epoca Borbona, così perchè i principi di questa real famiglia non riputarono giammai per legittimi i possessi di Vittorio Amedeo duca di Savoja, e dell’augusto Carlo VI di Austria, quantunque non abbiano abrogate quelle delle loro leggi, che sono conformi al giusto; come perchè più lungamente vi regnarono Filippo V, e i di lui successori della schiatta Borbona, sotto la monarchia de’ quali continua felicemente la nostra isola nel governo del clementissimo Ferdinando III a godere una invidiabile pace. CAPO I. Il duca di Veraguas vicerè. Dopo che il duca di Veraguas si assicurò, ch’erano cessati nella nostra nazione i vecchi pregiudizî contro i Francesi, e trovò che la nobiltà, e i consoli delle arti erano soddisfatti del testamento del re Carlo II, e pronti a riconoscere Filippo duca di Angiò per loro legittimo monarca, ordinò che se ne facesse col solito ceremoniale la pubblica acclamazione. Stabilì per questa solennità il dì 17 del mese di gennaro 1701, nel qual giorno fu Filippo V riconosciuto per re di Sicilia. Noi ci dispensiamo dal descrivere minutamente questa funzione, e perchè altre volte l’abbiamo raccontata {(1) Nel libro antecedente cap. XII.}, e perchè evvene la relazione alle stampe scritta dal canonico Antonino Mongitore {(2) Il trionfo palermitano nella solenne acclamazione del re Cattolico delle Spagne, e di Sicilia Filippo V.}, da cui siamo avvisati, che una pari pompa non si era più veduta, nella quale non meno i magistrati, i nobili, e gli ecclesiastici, che i mercadanti, i cittadini, e il basso popolo appalesarono con feste, e lusso la loro divozione verso il nuovo re. Mentre in Palermo capitale della Sicilia, e per tutto il regno si acclamava il re Filippo V, egli continuava a starsene a Parigi. Il re Cristianissimo suo avo non si era ancora determinato, se dovesse accettare il testamento di Carlo II, che gli era arrivato contro ogni sua espettazione. Temea egli che le potenze europee non s’ingelosissero al vedere la famiglia Borbona elevata a così alto grado di grandezza collo accrescimento della vastissima monarchia di Spagna, che oltre i suoi regni possedeva il nuovo mondo, e nell’Italia lo stato di Milano, e i regni delle due Sicilie. Stiede perciò lunga pezza dubbioso, se dovesse aderirvi, ovvero contentarsi della ripartizione convenuta colla Inghilterra, e colla Olanda. Si determinò ciò non ostante di aderire al testamento, quantunque il suo gran cancelliere Pontchartain, e il duca di Beauvilliers avessero cercato di dissuadernelo. Fidava egli nella infermità di Guglielmo re d’lnghilterra, che abbandonato avea la cura degli affari politici nelle mani de’ suoi ministri, ch’erano facili a guadagnarsi, nè amavano nello stato critico, in cui si trovava il loro sovrano, d’impegnarsi in una nuova guerra; e nella debolezza degli Olandesi, che separati dalla Inghilterra non erano in grado, ancorchè si fossero uniti collo imperadore Leopoldo, di sostenerla, e poteano paventare di essere assaliti dalle truppe borbone nei Paesi Bassi. Furono così ragionevoli questi motivi, da’ quali si era mosso l’animo di Luigi XIV, che i primi a riconoscere Filippo per re delle Spagne furono appunto gl’Inglesi, e gli Olandesi {(3) Voltaire Essai sur l’Histoire Générale tom. VI, Siècle de Louis XIV, chap. 17, pag. 55.}. Assai più pericolosa era la conservazione [443] de’ paesi, che Filippo possedeva in Italia, e particolarmente nel ducato di Milano, che i Tedeschi potevano agevolmente assalire; e bisognava tenere amiche le potenze confinanti, cioè il duca di Savoja, il duca di Mantova, ed i Veneziani; affinchè potessero gli eserciti francesi passarvi liberamente. Venne a capo il re Cristianissimo di guadagnarsi Vittorio Amedeo, proponendogli il maritaggio della di lui figliuola col nuovo monarca di Spagna, e il duca di Mantova Carlo Gonzaga a forza di denaro, che si profuse con esso, e co’ suoi familiari. I Veneziani non volendo unirsi a’ Gallispani si contentarono di restarsene neutrali. Assicurati gl’interessi di Filippo in Italia, partì questo principe per Madrid, dove arrivò a’ 18 di febbrajo di questo anno 1701. La lieta notizia del di lui arrivo giunse nella nostra capitale a 19 del seguente marzo, e lo stesso giorno ne fu dato l’avviso al pubblico colle salve reali fatte dalle soldatesche spagnuole nella piazza del regio palagio, e dopo desinare nella cattedrale scese il duca di Veraguas, dove fu intuonato l’inno ambrosiano dall’arcivescovo, presenti il senato, il sacro consiglio, e la nobiltà, per così fausto avvenimento {(1) Mongit. Diario Mss. di Pal. t. II, pag. 51.}. Malgrado che il re Cristianissimo avesse prevenuta in tutte le maniere la guerra, or collegandosi con alcune potenze che poteano suscitarla in favore dell’imperadore al nuovo re di Spagna, or facendo dichiarare le altre per la neutralità; pur l’augusto Leopoldo, riputando lesi i suoi diritti, si preparò a conquistare colle armi quella monarchia, che credea dovuta per giustizia a sè, e a’ suoi figliuoli. Si cominciò secondo il

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[442] LIBRO QUARTO

DE VICER CHE GOVERNARONO LA SICILIA SOTTO I PRINCIPI BORBONI.

Avvengach in questo secolo, di cui scriviamo, non abbiano sempre regnato i sovrani della casa Borbone, essendovi state due interruzioni, luna dallanno 1713 allanno 1718, e laltra da questo anno sino al 1734, ci piaciuto nondimeno di chiamare questa epoca Borbona, cos perch i principi di questa real famiglia non riputarono giammai per legittimi i possessi di Vittorio Amedeo duca di Savoja, e dellaugusto Carlo VI di Austria, quantunque non abbiano abrogate quelle delle loro leggi, che sono conformi al giusto; come perch pi lungamente vi regnarono Filippo V, e i di lui successori della schiatta Borbona, sotto la monarchia de quali continua felicemente la nostra isola nel governo del clementissimo Ferdinando III a godere una invidiabile pace.

CAPO I.

Il duca di Veraguas vicer. Dopo che il duca di Veraguas si assicur, cherano cessati nella nostra nazione i vecchi pregiudiz contro

i Francesi, e trov che la nobilt, e i consoli delle arti erano soddisfatti del testamento del re Carlo II, e pronti a riconoscere Filippo duca di Angi per loro legittimo monarca, ordin che se ne facesse col solito ceremoniale la pubblica acclamazione. Stabil per questa solennit il d 17 del mese di gennaro 1701, nel qual giorno fu Filippo V riconosciuto per re di Sicilia. Noi ci dispensiamo dal descrivere minutamente questa funzione, e perch altre volte labbiamo raccontata {(1) Nel libro antecedente cap. XII.}, e perch evvene la relazione alle stampe scritta dal canonico Antonino Mongitore {(2) Il trionfo palermitano nella solenne acclamazione del re Cattolico delle Spagne, e di Sicilia Filippo V.}, da cui siamo avvisati, che una pari pompa non si era pi veduta, nella quale non meno i magistrati, i nobili, e gli ecclesiastici, che i mercadanti, i cittadini, e il basso popolo appalesarono con feste, e lusso la loro divozione verso il nuovo re.

Mentre in Palermo capitale della Sicilia, e per tutto il regno si acclamava il re Filippo V, egli continuava a starsene a Parigi. Il re Cristianissimo suo avo non si era ancora determinato, se dovesse accettare il testamento di Carlo II, che gli era arrivato contro ogni sua espettazione. Temea egli che le potenze europee non singelosissero al vedere la famiglia Borbona elevata a cos alto grado di grandezza collo accrescimento della vastissima monarchia di Spagna, che oltre i suoi regni possedeva il nuovo mondo, e nellItalia lo stato di Milano, e i regni delle due Sicilie. Stiede perci lunga pezza dubbioso, se dovesse aderirvi, ovvero contentarsi della ripartizione convenuta colla Inghilterra, e colla Olanda. Si determin ci non ostante di aderire al testamento, quantunque il suo gran cancelliere Pontchartain, e il duca di Beauvilliers avessero cercato di dissuadernelo. Fidava egli nella infermit di Guglielmo re dlnghilterra, che abbandonato avea la cura degli affari politici nelle mani de suoi ministri, cherano facili a guadagnarsi, n amavano nello stato critico, in cui si trovava il loro sovrano, dimpegnarsi in una nuova guerra; e nella debolezza degli Olandesi, che separati dalla Inghilterra non erano in grado, ancorch si fossero uniti collo imperadore Leopoldo, di sostenerla, e poteano paventare di essere assaliti dalle truppe borbone nei Paesi Bassi. Furono cos ragionevoli questi motivi, da quali si era mosso lanimo di Luigi XIV, che i primi a riconoscere Filippo per re delle Spagne furono appunto glInglesi, e gli Olandesi {(3) Voltaire Essai sur lHistoire Gnrale tom. VI, Sicle de Louis XIV, chap. 17, pag. 55.}.

Assai pi pericolosa era la conservazione [443] de paesi, che Filippo possedeva in Italia, e particolarmente nel ducato di Milano, che i Tedeschi potevano agevolmente assalire; e bisognava tenere amiche le potenze confinanti, cio il duca di Savoja, il duca di Mantova, ed i Veneziani; affinch potessero gli eserciti francesi passarvi liberamente. Venne a capo il re Cristianissimo di guadagnarsi Vittorio Amedeo, proponendogli il maritaggio della di lui figliuola col nuovo monarca di Spagna, e il duca di Mantova Carlo Gonzaga a forza di denaro, che si profuse con esso, e co suoi familiari. I Veneziani non volendo unirsi a Gallispani si contentarono di restarsene neutrali. Assicurati glinteressi di Filippo in Italia, part questo principe per Madrid, dove arriv a 18 di febbrajo di questo anno 1701. La lieta notizia del di lui arrivo giunse nella nostra capitale a 19 del seguente marzo, e lo stesso giorno ne fu dato lavviso al pubblico colle salve reali fatte dalle soldatesche spagnuole nella piazza del regio palagio, e dopo desinare nella cattedrale scese il duca di Veraguas, dove fu intuonato linno ambrosiano dallarcivescovo, presenti il senato, il sacro consiglio, e la nobilt, per cos fausto avvenimento {(1) Mongit. Diario Mss. di Pal. t. II, pag. 51.}.

Malgrado che il re Cristianissimo avesse prevenuta in tutte le maniere la guerra, or collegandosi con alcune potenze che poteano suscitarla in favore dellimperadore al nuovo re di Spagna, or facendo dichiarare le altre per la neutralit; pur laugusto Leopoldo, riputando lesi i suoi diritti, si prepar a conquistare colle armi quella monarchia, che credea dovuta per giustizia a s, e a suoi figliuoli. Si cominci secondo il

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consueto a battagliare co manifesti, e poi si venne ai fatti. Non del nostro argomento il riferire quanto allora accadde fra le potenze belligeranti per lo spazio di tredici anni, e solo secondo le opportunit ne diremo qualche motto, quando vi hanno qualche parte i nostri vicer, e questo regno.

Noi eravamo tranquilli, trovandoci lontani dal centro delle azioni militari, che doveano tantosto cominciare a sentirsi, ed eravamo intenti a dare le riprove del nostro attaccamento al nuovo re Filippo, e della nostra dispiacenza al trapassato Carlo II. Per conto di questo nel mese di aprile gli furono celebrati in tutte le cattedrali, ed in parecchie altre chiese del regno, i funerali, e sopra tutto nella capitale gli furono resi gli ultimi doveri con una pompa, e magnificenza straordinaria {(2) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 51.}. Al re Filippo poi fu eretta al primo del seguente maggio una statua di marmo bianco {(3) Questo simulacro, ch di finissimo lavoro, non ha avuto luogo fisso. Lanno 1718, entrate nel regno le armi austriache, fu levato dal suo zoccolo, e buttato in un magazzino della regia zecca nella piazza della Marina. Ritornata la Sicilia sotto il dominio dei Borboni lanno 1734, quando fu assunto al nostro soglio linvitto Carlo III, fu cavato dal luogo abbietto in cui stava, e fu rimesso con nuovo piedistallo nel suo antico posto. Di poi lanno 1786, essendosi adornata la spiaggia marittima di Porta Felice, cui si diede il nome di Piazza Borbona, fu trasportato in essa, e collocato sopra un nuovo zoccolo simile a quelle statue dei due Carli II, e III, e del regnante Ferdinando III nostro amabilissimo sovrano.}, che fu collocata sopra un nobile, e bene intagliato piedistallo ornato di figure, ed iscrizioni, e fu situata dirimpetto la porta della Doganella di Palermo {(4) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 59.}.

Continuava il duca di Veraguas nello esercizio della carica viceregia o per una tacita conferma, o per cedola speditagli da Madrid, che noi non sappiamo; giacch n i nostri giornalisti ce lo accennano, n ne reg archiv della cancellaria, e del protonotaro rinviensi alcuna carta, che additi di essere stato egli confermato nello impiego. Pi rilevanti affari occupavano allora la corte di Madrid, che non potea certamente rivolgere lanimo al governo di Sicilia. Ma questo duca invece di rendersi migliore in questo cambiamento di governo, per acquistarsi la grazia del nuovo re, e per attirarsi lamore de Siciliani, divenne peggiore, e fu in odio a tutta la nazione. Cambiando di condotta non pens che ad arricchirsi, per quel che portava la fama, spolpando il regno, e vendendo le grazie, che debbono essere gratuite, e glimpieghi, che non giusto di accordare, che alle persone meritevoli. Confer certamente a rendere malcontenti i nazionali la ingordigia del marchese di Cassenica suo figliuolo, che fu intento sempre a far denari {(5) Costui per molti anni avea esercitato il mestiere di mercadante di carbone, Ne comperava egli tutta la quantit, chera trasportata nella capitale, ed indi ne mesi dinverno lo vendea a suo conto, ed a carissimo prezzo. Lultimo anno poi del governo del padre comper tutte le ulive, cherano attorno alla campagna di Palermo, ne fe estrarre lolio, e questo mand fuori del regno; e perci avvenne, che diminuitasene la quantit, crebbe a dismisura il prezzo di esso a grandissimo danno del popolo, che altamente ne mormor (Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 65).}.

Le doglianze de nostri contro lavarizia del vicer, e del di lui figliuolo giunsero finalmente a Madrid, e penetrarono nel gabinetto del re. Il viceregnato di Sicilia una [444] carica molto rispettabile, e per lautorit di cui si gode, e per i lucri che se ne ricavano; n saranno mancati a quella corte dei personaggi, che volentieri agognassero allacquisto di questo posto. Non era poi malagevole di rappresentare al monarca, che il Veraguas era attaccato alla casa dAustria, da cui era stato esaltato, e perci nemico della famiglia reale de Borboni. Premea a Filippo V lo avere in Sicilia, dove era minacciato di poter soffrire la guerra, un governante, che fosse affezionato alla sua schiatta, e che sapesse farsi amare da popoli, tenendoli contenti, e tranquilli. Laonde si determin a privare del governo della Sicilia il duca di Veraguas, e a sostituirgli un soggetto, che fosse secondo le sue brame. Si seppe la di lui rimozione a 28 di giugno; e tutto il regno, e Palermo pi di ogni altra citt ne rest lieta, dove sino che non part, ebbe egli ad inghiottire bocconi amari {(1) Furono sparse per questa citt, dietro allavviso di essergli stato dato un successore, alcune canzonette satiriche, che offendevano la di lui riputazione; ed essendo arrivata, prima chegli abbandonasse questo regno, la festa di Santa Rosalia, nella quale celebravasi linvenzione del corpo di questa Verginella con fuochi artifiziati, e con illuminazioni, macchinette sparse per la citt, ed allusive a questa beata, giunse lardire di alcuni insolenti cittadini ad apporre cos nellartifizio di fuoco, come nelle suddette macchinette alcuni simboli, cherano tanti motteggiamenti della condotta di questo viceregnante. (Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 75).}. Si allontan malcontento da questa capitale ai 22 di agosto, poich era arrivato il suo successore, e andossene in Ispagna, dove mori pieno di dispiacenza {(2) Vuolsi chei, essendosi imbarazzato nelle turbolenze nate in Ispagna, sia stato aspramente redarguito dal re Filippo V, che lo chiam infedele, e traditore; e chei rest cos colpito dal sovrano rimprovero, che ritornato a casa, dopo poche ore se ne mor. (Mongitore in una nota mss. alla Cronol. dei Vicer dellAuria della libreria del senato di Palermo L. Q. q. E. 51, pag. 219).} sullentrare dellanno 1711.

CAPO II. Giovanni Emanuele Fernandez Paceco duca di Ascalona vicer proprietario, Francesco del Giudice vicer

interino, e capitan generale del regno. Lo eletto nuovo vicer di Sicilia fu Giovanni Emanuele Fernandez Paceco marchese di Villena, e duca di

Ascalona, chera uno dei pi favoriti servidori della casa Borbone. La cedola reale, con cui era assunto a questa carica, fu sottoscritta dal re a Madrid a 26 di maggio {(3) Reg. del proton. dellanno 1700.1701, VIII. ind. pag. 149.}. Prima per che venisse da Spagna in Sicilia, pass qualche tempo; ed ei non giunse in Palermo che a 25 di luglio, condottovi da un vascello francese. Nel d seguente and servito dal senato alla cattedrale, dove

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lettosi, ed esecutoriato il dispaccio reale, fe il solito giuramento in presenza del sacro consiglio, e della nobilt, e prese possesso della nuova carica {(4) Nello stesso registro e pagina.}. Non volle egli dimorare la notte nel regio palagio, giacch temea, che durante il sole in leone laria potesse esser nociva alla sua salute, e perci in quei pochi giorni, che dimor in Palermo, andossene sempre a dormire a bordo dello stesso vascello, su cui era venuto.

Questo fu lapparente motivo, per cui questo vicer disse di voler portarsi in Messina, dove laria pi pura; come fece, essendosi partito dalla capitale al primo del seguente agosto. Ma una cagione pi interessante lo spinse a fare questa mossa. I Messinesi dopo di essere ritornati sotto il giogo degli Spagnuoli, vedendosi spogliati dal conte di Santo Stefano di tutto ci, che rendea rispettabile la loro patria, come noi abbiamo avvertito nel libro antecedente {(5) Capo XXXV.}, nudrivano in cuore un segreto dispiacere contro quella nazione; ma sino che visse Carlo II, la di cui statua rammentava loro ogni momento ci, che poteano aspettarsi, se tornavano a muoversi, soffrivano tacitamente la loro disgrazia. Entrato al possesso del regno Filippo duca dAngi, e nipote del re Cristianissimo, ricevettero con trasporto questo nuovo sovrano, e immaginarono di potere sotto un principe della casa Borbone, e diretto da Luigi XIV, [445] cheglino aveano acclamato una volta per loro monarca, spezzare le catene, colle quali erano stati avvinti da ministri spagnuoli, e ritornare nel primiero loro splendore. Stando in questa lusinga fecero arrivare cos alla corte di Versaglies, che a quella di Madrid le loro istanze, colle quali dimandarono le seguenti cose; 1 che fossero loro restituiti i beni confiscati; 2 che fosse accordato luso delle armi; 3 che si confermassero tutti i privilegi, che anticamente godea la loro citt; e 4 che fosse abbattuta la statua di Carlo II, chera un monumento perenne della loro fellona, e che dal bronzo di essa si rifabbricasse lantica gran campana del duomo. Queste dimande, e precisamente lultima, chera la pi temeraria, furono rigettate; n eglino per allora poterono nulla ottenere {(1) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 73.74.}.

Delusi dalle loro prime speranze, ma sempre intenti, come con ammirabile costanza costumano di fare, a procurare i vantaggi della loro patria, anche a costo dinnalzarla sulle altrui rovine, cominciarono ad inventare alcune frottole, che fecero arrivare sino a Parigi. Sparsero dunque in quella corte, che Sancio Miranda loro governadore accoppiatosi agli altri Spagnuoli, cherano di presidio a Messina, stavano tramando una congiura, ed erano determinati di tagliare a pezzi quei cittadini, come affezionati alla casa di Borbone, e di dar poi la citt in potere dellimperadore Leopoldo. Divulgarono ancora, che in Palermo era nato un tumulto suscitato da nobili, per cui il duca di Veraguas era stato costretto per salvarsi, a ritirarsi a Castellammare. Queste, ed altre fanfaluche si spargeano, o si faceano spargere da Messinesi nelle corti di Versaglies, e di Madrid; e ci ad oggetto di rendersi benemeriti al re Cristianissimo, e al monarca Cattolico, e far loro credere, cheglino fossero i soli aderenti a gigli di Francia. Cominciarono allora ad udirsi nuovamente gli odiati nomi de Malvizzi, e dei Merli, e si osservava alla giornata uno universale dispregio contro gli onorati Spagnuoli.

Non fu difficile di fare almeno sospettare ne gabinetti di Francia, e di Madrid, che vi potesse essere qualche fermento in Messina: e perci furono fatte replicate premure al duca di Ascalona, affinch preso appena il possesso del viceregnato si recasse a quella citt. Arrivatovi egli ridusse quel popolo al pacifico stato che si desiderava; vi concili le fazioni che aveano cominciato a risorgere, e diede saggie provvidenze per lavvenire. Siccome per si accorse, che la troppa severit del Miranda lo rendea poco accetto, lo rimosse dallimpiego, e gli sostitu Giovanni di Acugna, uomo di dolcissimi costumi, prudente, ed insieme coraggioso, di cui i Messinesi restarono appieno soddisfatti. Quietati cos gli animi di quei cittadini, e dato ordine a tutto, partissene a 19 di novembre, e facendo il viaggio per terra, arriv in Palermo a 26 dello stesso mese, dove fu accolto da Palermitani con singolare piacere.

Si apr in questo istesso anno il teatro della guerra in Italia, essendo calate dalle Alpi molte truppe francesi per difendere lo stato di Milano, ed avendo laugusto Leopoldo spedita unarmata sotto il comando del principe Eugenio per invaderlo. Ma oltre alla guerra patente, che si facea fra gli Austriaci, e i Gallispani, se ne tramava unaltra per vie occulte, e sotterranee da partitar della casa dAustria, per indurre i Napolitani, ed i Siciliani a scuotere il giogo dei Borboni, e inalberare lo stendardo dello imperadore. Non appartiene al nostro scopo ci che accadde in Napoli {(2) Si era veduto per le piazze di Napoli qualche cartello, in cui leggevansi le parole dei Giudei presso s. Giovanni (cap. XIX): non habemus regem, nisi Caesarem. Vi venne poi il barone di Sassinet segretario del cardinal Grimani, che sostenea in Roma glinteressi dellimperatore, il quale unito a Carlo di Sangro sollev il popolo. Ma furono tosto dissipati i sollevati dalla nobilt, e dallo eletto del popolo, e furono carcerati il Sassinet, e il Sangro. Questi fu decapitato, e quegli fu mandato in Francia.}, solo ci contenteremo di raccontare ci che avvenne in Sicilia.

Dimorava in Roma Gennaro Antonio Cappellani prete napolitano, uomo dotto non meno nelle pi gravi scienze, che nellamena letteratura. Questi introdottosi nella casa del conte di Lamberg, chera lambasciadore di Cesare alla santa sede, gli sugger, chera cosa agevole il sollevare i Siciliani, i quali quanto amavano gli Spagnuoli, altrettanto aveano in odio i Francesi, e si esib per le corrispondenze, che avea nel nostro regno, a suscitarli contro la casa Borbone ogni volta, che fosse accompagnato dalle [446]

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commendatizie della corte. Fu accettato il progetto, e lambasciadore imperiale, dandogli molte lettere, senza disegnazione di persona, per valersene opportunamente, quando vi trovasse disposti gli animi, lo sped in Sicilia con abito secolaresco. Venne il Cappellani in Messina, e confid la sua commissione ad un prete messinese suo amico di cognome Al, il quale lo dissuase dal tentare limpresa in quella citt, dove, ritrovandosi il vicer duca di Ascalona, era difficile di riuscirvi, e gli sugger di provarsi ad eseguirla pi presto in Palermo, dove dicea, che fosse un buon numero di baroni affezionati alla casa dAustria. Ader al consiglio il prete napolitano, e venuto nella capitale, svel la sua commessione ad Alessandro Filangeri principe di Cut, sul di cui appoggio contava, che potesse venire a capo del suo disegno. Questo onesto, e fedele servidore del re, chera uno de principali cavalieri della Sicilia, inorrid alla proposizione che gli veniva fatta; e come era saggio, ed accorto, per meglio servire il re Cattolico, e per non dare ombra a quel traditore, sinfinse di applaudirvi, e lo preg a ritornare in sua casa nel giorno seguente, per parlarne a pi fermo, e per tirare tutte le linee necessarie, affinch ogni cosa riuscisse a seconda de desider del conte di Lamberg, e della corte cesarea. Cadde nella rete il peraltro astuto Cappellani, e promise di tornarvi. Intanto il principe di Cut ne fe inteso il governo, per di cui ordine il detto prete fu arrestato, mentre saliva le scale di questo cavaliere, e immediatamente confess la sua commissione, e fu posto nelle carceri. Gli furono trovate addosso le mentovate lettere dellambasciadore, per le quali accordava, che si facesse qualunque trattato a favore della casa dAustria: compromettendosi di farlo confermare dallaugusto Leopoldo. Il processo fu compilato al Cappellani durante il governo del duca di Ascalona, ma la sentenza non fu proferita, n eseguita, che sotto il reggimento del cardinal del Giudice, come fra poco diremo.

La tumultuazione di Napoli, che abbiamo accennata, e che accadde nel mese di settembre 1701, indusse la corte di Madrid a spogliare del viceregnato il duca di Medinaceli, chera assai odiato in quella citt, e a destinarvi il nostro duca di Ascalona, dalla di cui prudenza, e dolci costumi lusingavasi che sarebbe per render contenti i Napolitani. Filippo adunque a 22 di novembre sottoscrisse in Barcellona la cedola, con cui lo elesse vicer di Napoli, e lo stesso giorno ne segn unaltra, per la quale scelse per vicer interino, e capitan generale il cardinal Francesco del Giudice. Ma la partenza del duca di Ascalona non accadde, che nellanno 1702. Volle egli aspettare larrivo del detto cardinale, che giunse in Palermo portato da quattro galee nostre siciliane a 6 di febbrajo di detto anno.

Nel giorno seguente part il duca di Ascalona colle stesse galee per Napoli, lasciando la nazione dispiaciuta di dover perdere cos saggio, ed amabile governante; e nello stesso giorno and il cardinale alla cattedrale a prender possesso dellinterino governo, dove fu letto il dispaccio reale della sua elezione, il quale per non fu registrato nellofficina del protonotaro, che a 15 dello stesso mese {(1) Reg. del proton. dellanno 1701.1702, IX ind. pag. 40.}. Appena preso questo possesso, ricomparve a 9 del medesimo febbrajo in Palermo il duca di Ascalona, il quale dopo un felice viaggio, mentre era vicino ad approdare in Napoli, cambiandosi il vento fu costretto a tornare indietro, e a riprendere quel porto, da cui era partito. Ma a 13 ripigli il cammino di Napoli, e vi arriv fortunatamente in due giorni {(2) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 96.}.

Il viceregnato del duca di Ascalona non ebbe altro periodo, che quello di sei mesi, ed undici giorni. Fu egli ammirabile per la maniera dolce, con cui trattava tutti i ceti, per la vigilanza, colla quale avea locchio sempre intento ad ogni menoma cosa, per il suo disinteresse, per la sua piet; ma sopratutto per lamore della giustizia. Le citt di Palermo, e di Messina possono contestare il rigore, chegli us contro coloro che amministravano infedelmente lannona, avendo nella prima deposti a 10 di dicembre 1701, tre senatori di famiglie distinte, e un altro agli 8 di gennaio del seguente anno 1702 e carcerati tutti questi nel regio castello; perch scopr, cheglino erano venali, e si accordavano co venditori a danno del pubblico, chera costretto a comprare i viveri di pessima qualit, e a carissimo prezzo; e avendo dato lo stesso gastigo per la [447] medesima cagione a due eletti della seconda {(1) Mongit. Diario di Pal. t. II, p. 81, 87.}.

Era gi, nello entrare al reggimento di Sicilia il cardinal del Giudice, compilato il processo dal tribunale della gran corte al prete Cappellani, e gli era stata gi data la sentenza di morte. Ma la esecuzione di questa fu differita per alcune cagioni fino a 27 del seguente mese di marzo. Siccome costui, che andava in abito secolare, attestava di essere sacerdote, e che perci non poteva essere condannato dal tribunale laico, prima che fosse degradato per sentenza da giudici ecclesiastici, fu duopo di scrivere a Napoli per sapere, se fosse vero quanto egli asseriva. Venute le risposte, che assicuravano questa verit, ne fu rimessa la causa alla corte arcivescovale. Monsignor Ferdinando Bazan, chera nostro arcivescovo, volendo procedere con oculatezza in un affare cos spinoso, scelse per suoi assessori i pi dotti jurisperiti di Palermo, ed esaminata la reit di costui, col loro voto a 18 di febbrajo sentenzi che fosse degradato, e di poi consegnato alla corte secolare. Questa degradazione fu prorogata per una controversia suscitatasi da coloro, che doveano assistere il prelato in questa cerimonia {(2) Erano stati chiamati ad assistere allarcivescovo i sei canonici detti di s. Giovanni degli Eremiti, i quali per labazia annessa al loro canonicato, sono riputati come abati mitrati. Costoro pretesero giusta la forma dei canoni, che doveano essere prima chiamati per essere ancora eglino giudici nella sentenza della degradazione, e perci si negarono di assisterlo. Furono quindi scelti altri sei abati di diverse religioni, i quali furono dello stesso avviso, n vollero intervenirvi; e del pari risposero altri abati, che vi furono invitati. Per togliere questo ostacolo, fu stabilita una congregazione di teologi, i quali decretarono (non so, se

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contro le regole della chiesa), che non fosse necessario, che i vescovi, e gli abati, che assistevano a questa funzione, dovessero intervenire come giudici nel proferirsi la sentenza.}, sopita la quale fu il Cappellani degradato a 27 dello stesso mese, e la sera fu strozzato nel quartiere degli Spagnuoli, e nel giorno di appresso fu appeso il di lui cadavere ad un palo nella piazza del Papireto {(3) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 96.}.

Gli affari del re Cattolico non andavano molto felicemente. Un passo falso dato dal re Cristianissimo, che alla morte di Giacomo Stuardo sbalzato dal trono dInghilterra, riconobbe per legittimo re il di lui figliuolo, che pure era chiamato Giacomo, distrasse gli animi deglInglesi dalla Francia, e perci dalla Spagna. Guardavano pure con occhio invidioso le altre potenze, anche neutrali, lo sterminato potere della casa Borbone; e perci temendo di non esserne soverchiate, fecero una confederazione lOlanda, lInghilterra, la Danimarca, e lo Impero, che facea paura anche per il numero degli eserciti, che si erano obbligate di mettere in piedi nella gi entrata primavera. Gli affari dItalia erano in peggiore stato; il maresciallo di Villaroy, che comandava le truppe gallispane, era prigione, e il principe Eugenio avea gi presa Cremona per sorpresa. Si pens che fosse espediente, sebbene molti ministri dei due gabinetti di Versaglies, e di Madrid fossero di diverso avviso, che il re Filippo venisse in Italia, dove la sua presenza, e le sue dolci maniere avrebbono potuto attirargli lamore de suoi vassalli, e cos fu risoluto {(4) Murat. Ann. dItalia allan. 1702, t. XII, p. 9.}.

Si seppe dal cardinale del Giudice la partenza del re Filippo V per lItalia nel fine del mese di marzo, e tosto ne avvis larcivescovo monsignor Ferdinando Bazan, che con suo editto ordin, che ne giorni 2, 3, e 4 di aprile si esponesse per tutte le chiese della diocesi laugusto Sagramento dello altare, accordando quaranta giorni dindulgenza a coloro che vi andassero a pregare Dio per il prospero viaggio di S.M., e comand ancora a tutti i sacerdoti secolari, e regolari, che aggiungessero alla messa la colletta pro iter agentibus {(5) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 112.}. Giunse il re Filippo V felicemente a Baja presso Napoli ai 16 dello stesso mese di aprile, e vi si trattenne per dar tempo a Napolitani di fare i necessar preparamenti, per ricevere, come conveniva, cos gran monarca {(6) Ci reca meraviglia come il Giannone, tessendo la sua Storia Civile di Napoli, dopo la morte di Carlo II, fino allanno 1722, non faccia verun motto dellarrivo del re Filippo in quella citt, n della pompa con cui fu ricevuto, n della dimora che vi fece, n della partenza per la Lombardia.}. Senebbe lavviso in Palermo a 21, e il cardinale viceregnante ordin, che si facessero le illuminazioni per la citt, e a 23 tenne cappella reale nel duomo, dove fu cantato linno ambrosiano in rendimento di grazie allAltissimo per questo fausto avvenimento {(7) Mongit. ivi.}.

Molti Siciliani si affrettarono di portarsi [448] in quella citt, a fine di conoscere il proprio sovrano, e di baciargli le mani. Ma soprattutto vi andarono quei Messinesi, che si trovavano esuli dalla loro patria, i quali dalla di lui benignit ottennero di ritornarvi, e di riacquistare i beni, che si erano loro confiscati, trattine quelli cherano stati alienati dalla camera, e si erano venduti a particolari {(1) Amico in Auctario ad Fazel. t. III p. 317 Caruso Mem. Stor. lib. X, t. III, vol. II, pag. 265.}.

La guerra, che si era intrapresa in Italia, non fu meno dispendiosa delle altre, che sostenevano i Gallispani nella Spagna, e nei Paesi Bassi. Perci erano necessar de sussid per sostenerla, e inoltre mancavano alle truppe i cavalli per montare i reggimenti di cavalleria. Il cardinale del Giudice fu dunque incaricato di provvedere a bisogni del re, e perci con suo bando de 4 di maggio ordin in primo luogo, che tutti coloro che nel regno avessero cavalli, cos nobili, che ignobili, fossero tenuti dentro lo spazio di quattro giorni di rivelare per gli atti della regia segrezia, o delle corti de capitani, e delle universit di qualunque citt, o terra, il numero, che ne possedevano, ancorch servissero per uso di carrozze, o di calessi, sotto la pena di perderli, se trascuravano di palesarlo: e ci ad oggetto di potersi scegliere quelli, che potessero servire per la guerra nel Milanese, pagandosi dalla corte al giusto prezzo {(2) Mongitore Diario di Pal. t. II, pag. 127.}. Rispetto poi ai sussid che ricercava il re, convoc per i 21 del medesimo mese lordinario parlamento, affine di provvedersi nella miglior forma alle angustie, nelle quali trovavasi il regio erario.

Radunatisi nel prescritto giorno i tre ordini del regno nella sala del regio palagio, il cardinale con una eloquente orazione pales a medesimi le urgenze, nelle quali si trovava il sovrano per le molte guerre, che stava sostenendo nelle Fiandre, e in Italia, per conservarsi sul capo il serto reale; rappresent poi, che questo monarca si era conferito di persona nel regno di Napoli, per poi passare in Lombarda alla testa de suoi eserciti, affine di discacciarne i Tedeschi, e di far godere a suoi vassalli la desiata pace. Chiese quindi loro quei possibili soccorsi, che in questi bisogni potesse il regno somministrare {(3) Mongitore Parlamenti di Sic., t. II, p. 110.}. Congregatisi perci i parlamentar, per cercare i modi di soddisfare al proprio dovere, e di compiacere il loro re, senza che vi fosse fra i medesimi discrepanza alcuna, determinarono di offrire, e di prorogare i consueti donativi ordinar triennali; di confermare per altri nove anni il dazio sopra la macina nella forma prescritta nel parlamento dellanno 1605, e per le presenti contingenze della guerra esibirono un donativo straordinario di dugento mila scudi per una sola volta: facendo le scuse, se non offerivano di vantaggio, stante la povert, a cui era ridotto il regno per le traverse sofferte da terremoti, daglincend, dalle guerre, e dalla sterilit de tempi {(4) Lo stesso ivi pag. 113.}. In questa occasione ebbe S.E. il donativo di once mille, e il di lui cameriere maggiore, e gli uffiziali reg ottennero i consueti regali.

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Prima che si radunasse il mentovato parlamento, e precisamente a 18 dello stesso mese di maggio partirono per Napoli quattro nostre galee, per unirsi colla squadra reale, ad oggetto di accompagnare il re in Lombarda. Queste di poi dopo di averlo servito sino al Finale, ritornarono a 5 di luglio, e condussero cinquecento soldati napolitani per guarnire le nostre fortezze, sul dubbio che glimperiali non tentassero la invasione del nostro regno {(5) Mongitore Diario di Pal. t. II, pag 120.}. Scrivono i nostri storici {(6) Caruso Mem. Stor. lib. X, P. III, tom. III, vol. II, p. 265. Amico in Auct. ad Fazel. t. III, p. 317.}, che il re Filippo, mentre stava in Napoli, pensava di venire a visitare la Sicilia, e che ne fu distolto dagli affari di Lombarda; ma noi non abbiamo fondamento di crederlo; n sembra verisimile, chei trasferitosi in Italia per assistere in Lombarda alla imminente campagna, potesse meditare di allontanarsi, portandosi nel nostro regno.

Mentre il re Filippo battagliava con esito per lo pi felice in Lombarda, per cui furono pi volte rese solennemente le grazie al Dio degli eserciti nel regno {(7) Mongitore ivi pag. 140, e seg.}, comparvero in Palermo a 18 di luglio quattro vascelli da guerra francesi, con due brulotti, de quali era supremo comandante, col titolo di generalissimo di mare, il conte di Tolosa {(8) Scrissero il Caruso, e lAmico (nei citati or ora luoghi) che il conte di Tolosa fosse venuto in Sicilia per ricompensare in parte il desiderio dei Siciliani di vedere il proprio principe. Se questi due storici avessero rapportato, che i nostri nazionali si fossero in parte racconsolati dal dispiacere di non vedere il proprio re, conoscendo uno della stessa stirpe, comunque nato da illegittimi natali, la loro riflessione sarebbe comportabile, ma stranissimo pensamento, che il conte di Tolosa sia stato spedito in Sicilia a questo fine.} [449] bastardo del re Cristianissimo Luigi XIV, e perci zio del nostro monarca; ed erano seco il conte di Etre, e molti altri rispettabili comandanti. Battevano eglino i mari dItalia, per tenerli sicuri da nemici, e per visitare, e fortificare le piazze darmi. Il cardinale del Giudice fece le possibili dimostrazioni a questi nobili ospiti: li tratt pi volte con lauti desinari nel regio palagio: li condusse seco in carrozza per la citt: rallegr la ciurma de vascelli con generosi rinfreschi: diede una festa di musica, e nel partire, che fe il conte di Tolosa per Messina, lo provvidde abbondantemente di viveri. Il senato ancora di Palermo non trascur di fare a questo real principe i suoi complimenti, avendogli fatto il dono, come costuma co grandi personaggi, di molti bacili di frutta, e di confetture {(1) Mongit. Diario di Pal. t. II, p. 123, e seg.}.

Nel seguente ottobre fu costretto il cardinale del Giudice a portarsi sollecitamente in Messina, dove cominciavano a sbucciare alcuni semi di sedizione. La grazia concessa da Filippo V a loro banditi, per cui si accordava a medesimi il ritorno nella patria, e la restituzione de beni confiscati, chera stata procurata agli stessi dal re Cristianissimo, non andava a genio de ministri reg, i quali credendo di farsi merito col sovrano, difficoltavano di rendere i beni incamerati. Rappresentarono eglino al cardinale viceregnante, che lerario regio, consegnando i beni sequestrati, ne avrebbe sofferto un considerabile danno: avvegnach co frutti di essi beni si erano pagati in passato i soldi alle truppe della cittadella, e delle castella, che prima si guarnivano a spese di Messina; e che, mancando questi, il real patrimonio dovea soffrire laggravio di somministrare da s il denaro per la manutenzione delle mentovate soldatesche. Il cardinale, che non potea da s risolvere questo spinoso affare, ne scrisse al re Filippo V. Questo sovrano ne consult il suo avolo Luigi XIV, il quale rispose, che le grazie reali non possono ritirarsi; e che perci ordinasse a suoi ministri la pronta esecuzione di quanto ei per la mediazione sua accordato avea a Messinesi, e cos fu fatto.

Questa favorevole determinazione del sovrano fe ingallozzire quei cittadini, i quali credendo gi di essere ritornati nel possesso de loro privilegi, cominciarono a gloriarsi di quanto ottenuto aveano a pro della patria contro le risoluzioni della casa dAustria, a parlar male della nazione spagnuola, e a mettere di nuovo in campo le fazioni di Merli, e di Malvizzi. N di ci contenti pretesero, che si togliesse la statua di Carlo II, e si rifondesse lantico campanone, facendone vive istanze al conte di Tolosa, di cui abbiamo poco fa fatta menzione. Questo real principe cerc di disingannarli: avvertendoli, che cos facendo correvano risico di cadere nello sdegno delle due corti di Spagna, e di Francia. Trovandoli nonostante ostinati, ne scrisse a Luigi XIV suo padre, il quale rispose, chei nellottenere agli esuli il ritorno, e la restituzione de beni, non avea mai inteso che fossero restituiti alla loro citt i privilegi, de quali era stata giustamente spogliata.

Per occorrere adunque a nuovi disturbi il cardinal del Giudice part da Palermo ai 10 di ottobre, e and a Messina. Ivi prima di ogni altra cosa con un severissimo editto viet a quei cittadini luso delle armi; e di poi prendendo informe de capi sediziosi, e fatto fare loro il processo, li gastig, ed arrec alla citt la sospirata quiete. Sopito il nascente tumulto, pens di visitare le due fortezze di Agosta, e di Siracusa, per osservare in quale stato mai fossero, e vi si port nel seguente mese di novembre, e dopo di avervi date le convenienti provvidenze, ritorn a risedere nella istessa citt di Messina {(2) Mongit. Diario di Pal. t. II, p. 151, e seg.}.

Fermossi in questa citt, per rendere pi soda la tranquillit, sino a primi di aprile del seguente anno 1703, e di poi fe ritorno in Palermo, dove giunse a 19 dello stesso mese. Volea egli visitare le piazze della valle di Mazara, cio Trapani e Marsala, per vedere se erano in istato da difendersi. Imperversando sempre pi la guerra fra gli Austriaci, e i Gallispani, era a temersi che la flotta anglo-olandese, che sostenea le pretenzioni dellimperadore Leopoldo, non tentasse, per dare un diversivo alla Spagna, dinvadere il [450] regno di Sicilia; e perci era necessario dinvigilare alla custodia del medesimo. In questo intendimento part

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il detto porporato a 26 dello stesso mese; ma prima che vi arrivasse, fu costretto a ritornare. Fu egli richiamato dalle istanze fattegli dal pretore, e da ministri reg, che gli avvisarono che si fosse veduta ne nostri mari una flotta nemica. Vi ritorn egli dopo cinque giorni, che nera partito, cio ai 31 dello stesso mese. Si seppe poi, che il timore suscitatosi in Palermo era panico, e che la creduta squadra non era, che un convoglio di navi mercantili olandesi scortato da sette vascelli da guerra {(1) Mongit. Diario di Pal. t. II, p. 158, e seg.}. Non si allontan nonostante il cardinale dalla capitale per far la meditata visita; nuove urgenze ve lo trattennero, come or ora diremo.

Giovanni Mauro della terra di Giuliana, che facea la professione di cocchiero, dopo di aver servito molti anni in Palermo, andossene in Roma, dove introdottosi alla presenza dellambasciadore cesareo, gli fe sperare, che avea modo di far voltare tutta la Sicilia a favore dellimperadore, tostoch egli lavesse accompagnato colle sue lettere commendatizie. Noi non sapremmo decidere qual fosse maggiore, se la temerit di costui, che si compromettea di attirare i Siciliani ad acclamare per sovrano laugusto Leopoldo, o la dabbenaggine dellambasciadore, che fid in questo vile uomo, e si lusing che vi potesse riuscire. Il fatto fu, chei fu rimandato in Palermo con lettere del ministro cesareo, che facea delle grandi promesse a coloro, che avessero agevolata la sollevazione. Lo sconsigliato cocchiero arrivato nella capitale fe capo a Giuseppe del Bosco principe della Cattolica, cui forse avea servito. Gli promise egli il viceregnato perpetuo di Sicilia, se entrava in questa congiura. Questo accorto, e saggio cavaliere, seguendo le pedate del principe di Cut, di cui abbiamo in questo istesso capo parlato, finse di volervi aderire; ed ordin al Mauro, che ritornasse pi tardi per stabilire le maniere, colle quali potesse sicuramente eseguirsi il proposto disegno, e intanto ne fe inteso il cardinale del Giudice, da cui ottenne il permesso di farlo carcerare, quando veniva in sua casa. Preso costui confess il suo delitto, e pales i maneggi, che allo stesso fine avea fatti in Napoli, e senza indugio fu condannato alle forche, essendosi veduto appeso alle medesime il d 14 del mese di giugno, senza che in citt se ne fosse nulla penetrato.

Questi maneggi, che di tratto in tratto si faceano in Sicilia da ministri imperiali, per suscitarvi de movimenti, e le flotte formidabili degli Anglo Olandesi, che passeggiavano ne nostri mari, faceano a giusta ragione temere al vicer del Giudice, che non fosse per iscoppiare qualche rivoluzione, o che non fosse per accadere qualche invasione de nemici; e perci non solamente si determin di non partire dalla capitale, ma stim ancora, che fosse espediente dintimare a baroni il servizio militare, come ne promulg il bando a 30 di giugno {(2) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 163.}. Ordin inoltre, che si formassero delle trincee dietro il real castello, e che i due baluardi dello Spasimo, e del Vega fossero custoditi dai colleg delle arti, facendo a vicenda le guardie or luno, or laltro in buon ordine, e colle necessarie armi {(3) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 163.}.

Crescevano di giorno in giorno i sospetti, e a 20 del seguente luglio arriv la notizia, cherano comparse ne mari della Licata centonovanta vele, le quali erano di poi passate ne mari di Trapani. A questo avviso, oltre di essersi date le provvidenze necessarie per tutto il regno, furono per ordine viceregio posti in armi tutti gli artisti, si piantarono delle trincee alla Porta Felice, e fu ristorato, e ridotto in miglior forma un forte del castello, che trovavasi rovinato dalle ingiurie del tempo, cui fu apposta la seguente iscrizione:

D. O. M. PHILIPPO V.

Hispaniarum, et Siciliae Rege Augusto. Invicto Propugnaculum

Ad tuitionem Arcis Panormitanae Jam antea extructum, injuria temporis exinde penitus collapsum

Franciscus Tit. S. Sabinae Cardinalis Judice Prorex, et Capit. Generalis Regni Siciliae

In aptiorem formam extrui curavit Anno Recup. Sal.

MDCCIII. [451] Siccome poi vi erano alcuni ceti di cittadini, che non erano uniti in consolati, cos il senato di

Palermo ingiunse loro, che si armassero per la difesa della comune patria, e furono dallo stesso magistrato destinati i capitani per ogni quartiere della citt, sotto i quali militar dovessero.

Cess presto il timore, in cui si era, essendo arrivata la certa notizia, che le navi apparite nelle acque di Trapani, e della Licata non erano che mercantili. Nondimeno non si trascur di stare con vigilanza, e di continuare le guardie per la citt. Cooperaronsi al bene della patria molti ancora di coloro, che non erano obbligati al servizio militare, i quali a proprie spese mantennero degli uomini a cavallo, affine di custodirla. Tali furono molti cittadini benestanti, e facoltosi, e parecchi mercadanti, e perfino il capitolo della cattedrale, il collegio de parrochi, il giudice della monarcha, i gesuiti ora soppressi, e i filippini presentarono i loro

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uomini a cavallo, de quali ne fu fatta la rassegna a 13 di ottobre nel piano di s. Uliva, e si trovarono al numero di novantadue {(1) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 166.}. Che bel monumento di amore verso la patria, ed il sovrano!

Pass tutto lanno 1703 fra furori di Marte: la Lombardia, la Savoja, il Trentino, la Germania, la Spagna, il Portogallo erano, come tanti teatri di guerra, dove gli uomini si scannavano a migliaja, e le citt erano saccheggiate e spopolate: dichiarandosi la fortuna ora a favore di un partito, ed ora dellaltro. Perci dee attribuirsi a beneficio del cielo, che la Sicilia sia rimasta libera da codeste calamit, e non abbia sofferto altro, che certe necessarie spese, per mettersi in istato di difesa, e guarentirsi dal timore di potere essere improvisamente assalita.

Entrando poi lanno 1704 continuarono le guerre fra Gallispani, e la formidabile lega dellaugusto Leopoldo, che avea tratte al suo partito tutte quasi le potenze di Europa. Ma nel nostro regno si stiede in una certa sicurezza da ogni invasione; giacch le armate intente in cos lontani paesi a battersi non faceano temere, che potessero cos presto rivolgersi contro la nostra isola. Mentre eravamo in questa tranquillit fu il cardinale del Giudice promosso allo arcivescovado di Morreale. Era morto nellet decrepita di ottantacinque anni a cinque di giugno dellanno antecedente Mr. Giovanni Roano, che presedea a quella chiesa {(2) Mongit. in additionibus ad Pirrum pag. 99.}, e il re Filippo V avendo in considerazione i servig prestati da questo porporato alla corona nel viceregnato di Sicilia, lo nomin alla vacante chiesa. Il pontefice Clemente XI si trov imbarazzato alla presentazione, che gliene fu fatta dallo ambasciadore di Spagna. Non avea egli ancora riconosciuto per re di Sicilia il monarca Filippo V, e lambasciadore cesareo, che trovavasi in Roma, facea vive istanze a nome dellaugusto Leopoldo, affinch non fosse attesa la nomina del re Cattolico; pretendendo, che appartenesse alla corte di Vienna la scelta del nuovo arcivescovo. Ma finalmente questo papa si determin a consentire alla elezione del cardinal del Giudice, ed a 16 di gennajo 1704 lo preconizz nel concistoro, che tenne: spedendogli colle bolle anche la dispensa di potersi consecrare in Palermo. Era allora arcivescovo di questa citt monsignor fra Giuseppe Gasch dellordine de minimi, chera subentrato nella cura arcivescovale a monsignor Bazan morto agli 11 di agosto dellanno 1702. Questi adunque assistito da due prelati, cio da monsignor Asdrubale Termini, e da Mr. Bartolomeo Castelli, il primo vescovo di Siracusa, e laltro di Mazara, fece la solenne funzione di consacrare il cardinale nella chiesa di Casa Professa degli espulsi gesuiti a 10 del seguente febbrajo {(3) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 184.}.

Fu questanno, e il seguente ancora 1705 assai funesto al monarca di Spagna. Perduto avea egli la forte piazza di Gibilterra, di cui si erano impossessati glInglesi: e quantunque nellanno seguente 1705 avesse tentato di riprenderla per mare, e per terra, furono nondimeno vani tutti gli sforzi chei vi fece, avendo glInglesi conservato questo importante acquisto {(4) Voltaire Essai sur lHistoire Gnrale tom. VI, cap. 20, pag. 112, 113.}. Ma rest vieppi costernato dalla perdita di Catalogna, e del regno di Valenza, dove era arrivato larciduca Carlo sostenuto non meno dalle sue truppe tedesche, che dalle milizie inglesi, e vi era stato riconosciuto per re di Spagna. In quanto a noi, essendo scorso gi il triennio, in cui ci avea il cardinale del Giudice cos lodevolmente governati, ed essendo chiamato alla cura [452] pastorale della sua chiesa di Morreale, il re destin il nuovo viceregnante, eleggendo a questa carica Isidoro della Cueva, e Bonavides marchese di Bedmar. Il dispaccio reale fu sottoscritto in Madrid a 5 di aprile 1705 {(1) Reg. del protonot. dellanno 1704.1705, XII ind. pag. 118.}.

CAPO III. Isidoro della Cueva, e Bonavides marchese di Bedmar vicer.

Arriv questo nuovo vicer in Palermo nel d 15 di luglio del detto anno, accompagnato da quattro galee; ma non prese possesso, che nel giorno seguente; e dopo il cardinale del Giudice recossi alla sua chiesa di Morreale. And dunque al solito in detto giorno, dopo di aver fatta lentrata pubblica nel cocchio del senato di questa citt, alla cattedrale, e fatto ivi il giuramento, previa la lettura della cedola reale, si ritir al regio palagio. La detta carta reale non trovasi registrata nellofficina del protonotaro che a 21 {(2) Nello stesso reg. pag. 118.} dello stesso mese {(3) Il signor de Burigny (Hist. de Sicile liv. IX, XII, t. II, p. 423), non fe veruna menzione di questo vicer, e suppose erroneamente, che il successore del cardinal del Giudice, cui d cinque anni di viceregnato, fosse stato il marchese de los Balbases, che come diremo fu sostituito al Bedmar.}. Il cardinale non si trattenne molto tempo nella sua chiesa, ma ne part nel mese di dicembre, per portarsi a Napoli, e poi passare a Roma. Infatti a 28 di esso mese si pose alla vela, servito da tre galee, ed onorato fino a bordo dalla presenza del vicer, e di tutta la nobilt di Palermo {(4) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 202.205.}.

La monarchia Borbona, che sul principio del secolo si era resa cos formidabile, parea in questo anno, e nel seguente 1706, che andasse a tramontare. Il re Filippo tentato avea indarno di riprendere la citt di Barcellona, dove stavasi acclamato per sovrano larciduca Carlo, ed era stato costretto a levare lo assedio, e a ritirarsi a Madrid. Presa da Tedeschi la citt di Alcantara, non si tenea pi ivi sicuro, e gli fu di mestieri per consiglio de suoi generali, di sloggiarne per allora, sebbene vi sia in capo a poco rientrato. Intanto erano

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venute in potere dei Tedeschi Alicante, e Cartagena. Nelle Fiandre del pari le armate gallispane aveano avuta la peggio: molte citt aveano gi riconosciuto larciduca per sovrano {(5) Voltaire Essai sur lHistoire Gnrale cap. 20, t. VI, pag. 116, e seg. Murator. Annali dItalia allanno 1706, t. II, pag. 41. 42.}: e nellItalia erano svaniti tutti i progressi fatti dalle stesse truppe: si era levato lassedio di Turino, e tutto il Milanese per il valore dellimpareggiabile principe Eugenio riconosceva per suo sovrano il ridetto arciduca {(6) Murat. Ann. dItalia allanno 1706, tom. II, pag. 39, e 40.}.

Le notizie di questi rapidi progressi degli eserciti imperiali, e delle disfatte delle truppe gallispane arrivava di mano in mano nella nostra isola, e rattristavano gli animi dei Siciliani. Il marchese di Bedmar non lasci da una parte di suggerire allarcivescovo, che in tanti disastri era necessario di placare il Dio degli eserciti, e di pregare per la prosperit delle armi del re; alle quali insinuazioni inerendo il santo prelato prescrisse con suo editto, che agli 11 di aprile si facesse una solenne processione, e si cantasse la messa per implorare la divina protezione {(7) Mongit. Diario di Pal. t. II, p. 205.}; e dallaltra continuando la fama a recare delle nuove del pari disgradevoli, chiam a 10 di agosto la nobilt, cui prescrisse il servigio militare per la difesa del regno, e nel d 18 dello stesso mese comand, che i colleg degli artisti di Palermo si mettessero in armi, a fine di guardare i baluardi: assegnando ogni giorno tanti consolati, quanti erano i forti, che difender dovevansi {(8) Lo stesso ivi.}.

In capo a pochi giorni giunse la consolante notizia, che il re rinforzato da nuove truppe era ritornato alle porte di Madrid, ne avea fatto ritirare gli alleati, e vi era rientrato glorioso. A questo lieto avviso fu cantato nel d 25 di esso agosto linno ambrosiano in rendimento di grazie per cotale avventuroso ritorno del sovrano nella sua regia, collassistenza del vicer, del sacro consiglio, del senato, e della nobilt, e nel d 29 per tutte le chiese della capitale fu esposto il Sagramento dellaltare, e fu cantata la solenne messa. Ma mentre si facevano questi ringraziamenti, si ud la perdita di Alicante, e di Cartagena, e le sconfitte ricevutesi dalle armi gallispane in Lombarda: cose tutte, che funestarono lallegrezza de Siciliani.

Al dispiacere delle disgrazie del re [453] Cattolico accoppiossi quello delle dimestiche disavventure, che soffriva la Sicilia. Era molto tempo, che un certo Antonio Catinella della citt di Mazara, che facea la professione di muratore, era divenuto capo di banditi, e con un numeroso seguito di compagni tenea in soggezione non solamente la capitale, ma tutta ancora la intera isola. Era egli per la sua agilit detto volgarmente Salta le viti. Non stavano nemmeno sicuri i chiostri delle monache, giacch egli avea la destrezza, con non pi che due stiletti, di montare sulle pi alte muraglie, e di entrare ne monasteri, sebbene non molestasse punto la pudicizia di quelle vergini, e solo restasse contento del denaro chelleno aveano. Mr. Francesco Ramirez vescovo di Girgenti avea fatto in modo, chegli abbandonasse la Sicilia. And infatti a Roma; ma in capo a qualche tempo ritorn segretamente alla sua patria, ed ivi scalate le muraglie della badia di quelle monache, ne rub tutto il denaro, e part.

Il marchese di Bedmar, volendo liberare il regno dalle rubere di questo malandrino, fece ogni opra per averlo nelle mani; ed avendo saputo chera in Toscana, facendo delle pratiche col gran duca venne a capo, che fosse carcerato in Livorno, e rimandato in Sicilia. Compilatoglisi il processo, fu egli condannato a morte, e agli 11 di maggio fu appiccato. Costui era un uomo di un umore stravagante. Non molestava punto i poveri, e andava in traccia dei ricchi, e de facoltosi: protestando che li rubava per discolpare la loro coscienza. Col denaro poi, che traggea da suoi furti, sollevava spesso i meschini, e maritava le zitelle {(1) Mongit. Diario di Pal. t. II, p. 208.}.

Un altro disastro soffriva la capitale, e tutta la valle di Mazara da qualche tempo. Le tonnare, che sono per noi uno interessante articolo di commercio, non davano da molti anni le solite pescaggioni de tonni; e questa scarsezza era nociva al regno, dove non entrava il denaro, che solea trarsi dalle vendite delle tonnine, e insieme a particolari, cherano padroni delle medesime, ed a pescatori, che vi guadagnavano il pane. Fu dunque creduto, che fosse duopo di benedire il mare, e se ne dimand il permesso alla santa sede, che Clemente XI accord con breve spedito a 30 di aprile 1706 {(2) Non so su qual fondamento siesi allor creduto che per benedire il mare fosse necessaria la permissione del papa. Questo un diritto, che hanno tutti i pastori, e credo che i vescovi labbiano di poi riconosciuto, essendo accaduti ai d nostri simili benedizioni, senza che se ne fosse cercata la licenza da Roma.}. Larcivescovo Gasch, cui fu diretto, nel d 30 di maggio and in processione dal duomo sino alla Porta Felice, dove fe la benedizione del mare secondo le forme prescritte dal rituale {(3) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 209.}. Non sappiamo se il vicer fu presente a questa funzione, n se Dio siesi compiacciuto di accordare la desiata pescaggione.

Stavasi il mentovato vicer nella maggiore sollecitudine per conservare questo regno al re Cattolico; e siccome arrivavano di giorno in giorno le funeste notizie delle disfatte dei Gallispani, temea che non fosse per comparire inaspettatamente la flotta anglo-olandese per conquistarlo allarciduca Carlo. Scrisse perci efficaci lettere alle corti di Versaglies, e di Madrid, richiedendo soccorsi di truppe, e di munizioni da guerra, per mettersi in ogni evento in istato di difesa. Non ne riport che delle vane promesse. Luigi XIV, e il re Filippo non credeano, che potesse essere minacciata la nostra isola, e perci fecero rispondere da loro

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ministri, che non vi erano per allora codesti sospetti; e che se mai si fosse penetrato, che i nemici avessero in animo dinvadere la Sicilia, non si sarebbe allora trascurato di provvedere a bisogni della medesima. A questi timori vi si aggiungea quello delle truppe istesse, che stavano di guarnigione nellisola. Erano queste spagnuole, e nella buona parte conservavano una certa affezione verso la casa di Austria; laonde sospettava il Bedmar, che comparendo le aquile imperiali, costoro, in vece di respingerle, piuttosto desertassero, e si unissero sotto gli stendardi austriaci. Il loro numero montava a quattro mila, ed erano divisi in quaranta compagnie, ciascheduna delle quali costava di cento uomini; e tutti non ubbidivano, che a due supremi capi, cio ad un maestro di campo, e ad un sargente maggiore. Il vicer adunque, per metter freno a queste milizie, pens di cambiarne lordine, e le divise in tanti battaglioni, ciascheduno de quali era composto di dodici compagnie, di quaranta soldati per una, in guisa che non contenesse, che [454] soli 480 uomini. Destin ad ogni battaglione il suo colonnello, e ad ogni compagnia un capitano coi suoi uffiziali subalterni, chei scelse, costandogli la loro abilit, e laffezione verso la casa Borbona. Cre ancora uno ispettore generale, il quale invigilasse sopra la condotta economica dei colonnelli, e de capitani, e curasse che i soldati fossero ben vestiti, e puntualmente pagati. Questa riforma, che diede sul naso a vecchi uffiziali, assicur il Bedmar da ogni sospetto di ammutinamento.

Siccome poi era anche necessario, che le fortezze del regno fossero ristorate, e proviste di artiglieria, di polvere, di palle, e di altre munizioni da guerra, ed altronde il regio erario non era in grado di somministrare da s il denaro necessario a queste provvigioni; perci si determin detto vicer a convocare un generale parlamento, cherano oramai scorsi cinque anni, che non si radunava, affine di trovare i mezzi da conservare il regno. Ne fu fatta lapertura in Palermo a 10 di febbrajo 1707 nella solita sala del regio palagio, dove unitisi i tre ordini dello stato udirono dalla bocca dello stesso vicer le disavventure della corona di Spagna assalita da tanti formidabili nemici, e il pericolo, in cui si trovava il regno, di essere invaso: e per conseguenza la necessit, in cui era, di essere fortificato, e provveduto, affine di resistere alla temuta invasione. A queste cause richiese, che i parlamentar, per assicurare la isola, non solamente confermassero i consueti donativi, ma offerissero ancora al monarca qualche straordinario sussidio, per iscansare con questo i pericoli, da quali erano minacciati. Soggiunse, che oltre di dover precaversi da danni, che soffrir poteano da nemici della corona, era di mestieri di dar riparo a mali interni, che affligevano il regno, e arrecavano un sensibile detrimento al pubblico commercio. Correano in fatti molte monete falsificate; e quelle, cherano di giusta lega, trovavansi mancanti per la solita frode di tosarle: e perci ne negoziati era duopo di pesarle, e di rifare ci che mancava; la qual cosa non solamente era dannosa a compratori, ma nuocea inoltre alla sollecita spedizione delle vendite, e delle compre, per il tempo che vi si doveva consumare, e facea ostacolo alla libert del traffico {(1) Mongit. Parl. di Sic. t. II, p. 118.119.}.

Convenendo i parlamentar della risposta, che dar doveano al vicer, nel d 18 dello stesso mese si presentarono al medesimo, e gli palesarono, cheglino erano contenti di prorogare i donativi ordinar cos triennali, che gli altri, che si rinnovavano di nove in nove anni, de quali si fatta menzione nel riferire gli antecedenti parlamenti, e che per riguardo al sussidio straordinario, che si dimandava, erano disposti di offerire al monarca dugento mila scudi, i quali fossero impiegati in parte per ristorare le fortificazioni, e provvederle degli attrezzi militari da guerra, e in parte per fabbricare la nuova moneta di argento, giusta gli ordini cherano venuti dalla corte, e colla ripartizione che viene accennata negli atti di questa assemblea; in cui ebbe il Bedmar le solite mille oncie di regalo, e il suo cameriere maggiore co reg uffiziali la consueta riconoscenza {(2) Mongit. Parl. di Sic. t. II, p. 122, e seg.}.

Questo fu lultimo solenne atto fatto dal marchese di Bedmar nel suo viceregnato; giacch in questo istesso anno 1707, avendo ottenuto dalla corte il permesso di ritirarsi {(3) Cercano i politici, per qual motivo il marchese di Bedmar abbia richiesto alla corte di essere isgravato del governo di Sicilia, dove non gli era accaduto verun sinistro, e dove era amato dalla nazione. Il Caruso (Mem. Stor. lib. IX, t. III, vol. II, pag. 217) opin, chegli alle notizie delle disgrazie accadute alla corona di Spagna in Napoli, le di cui piazze erano in potere dei Tedeschi, temendo una invasione in Sicilia, n trovandosi abbastanza forte per difenderla, abbia sotto il pretesto di cagionevole salute dimandato il suo congedo. Lo stesso scrisse il p. Abate Amico (In Auct. ad Fazellum tom. III, pag. 318), che suol seguire le pedate del Caruso. Ma luno, e laltro si sono ingannati, come si fa palese dalla data dei tempi. Il conte Daun si accost a Napoli ai 7 di luglio, e lacquisto delle piazze di esso regno non accadde, che parte nel mese suddetto, e parte nei seguenti mesi di agosto, e settembre, essendosi resa Gaeta nellultimo di questo mese. Larrivo del nuovo vicer in Palermo fu ai 13 di luglio, e la partenza del marchese di Bedmar ai 23 dello stesso mese. Come dunque sar possibile, che dietro la perdita del regno di Napoli abbia egli chiesta la sua dimissione? Assai prima adunque la dimand, e forse dopo le vittorie del Piemonte, e lo acquisto della Lombardia, che accaddero assai prima, e poterono indurre il di lui animo a cercare di essere disgravato dal viceregnato; e perch forse temea qualche disastro alla Sicilia sprovista delle necessarie truppe, chei non amava, che accadesse durante il suo governo.}, part da Sicilia, che rest dispiaciuta della [455] di lui lontananza, essendo rimasta assai contenta della dolcezza, e della giustizia con cui la governava.

CAPO IV. Carlo Antonio Spinola, e Colonna marchese di Balbases, e duca di Sesto vicer.

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Dopo var ricorsi fatti dal marchese di Bedmar, perch il re si compiacesse di dargli il successore nel viceregnato di Sicilia, finalmente Filippo V si determin di soddisfarlo, e a 3 di aprile 1707 elesse per vicer di Sicilia Carlo Antonio Spinola, marchese di Balbases, come costa dalla cedola reale sottoscritta in detto giorno nella citt di Madrid {(1) Reg. delluffizio del protonot. dellanno 1706.1707, XIV ind. pag. 72.}. Questi non arriv in Palermo, che a 13 di luglio seguente, accompagnato da due galee della squadra del duca di Tursi. Non volle egli prender possesso della sua carica per venerazione al marchese di Bedmar, se prima questi non partisse, il quale nel d 23 del medesimo mese mont sulle stesse galee, al bordo delle quali lo volle accompagnare il nuovo vicer. Partito il Bedmar, il marchese di Balbases and immediatamente alla cattedrale, dove fe il solito giuramento, e cominci ad esercitare lautorit viceregia {(2) Mongit. Diario di Pal. t. II, p. 215.216.}. La cedola fu poi registrata nellofficina del protonotaro a 28 dello stesso mese {(3) Nello stesso registro, e pagina.}.

Le prime cure di questo cavaliere si rivolsero alla difesa della citt di Messina, chera la pi esposta ad essere invasa, dietro i primi acquisti fatti dalle truppe cesaree nel regno di Napoli, e della Calabria. Perci a 12 del seguente agosto vi sped due compagnie di cavalleria per impedire ogni sbarco, che le medesime far potessero dalla vicina citt di Reggio {(4) Mongit. Diario di Pal. t. II, p. 216.}. Non tutte le piazze del regno di Napoli erano venute in potere degli Alemanni; la citt, e la fortezza di Gaeta si sostenevano tuttavia contro gli assedianti, e solo erano cominciate a mancare le vettovaglie. Il nostro marchese di Balbases sollecito deglinteressi sovrani, anche fuor della Sicilia, vi sped a 21 dello stesso mese cinque galee della squadra siciliana, cariche di viveri, ed in particolare di farina, le quali arrivarono opportunamente per disfamare quella citt {(5) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 216.}; la quale nondimeno non potendo reggere pi lungo tempo alle replicate sorprese, fu poco dopo presa di assalto, e saccheggiata insieme col castello {(6) Murat. Ann. dItalia allanno 1707, tom. XII, pag. 47.}.

Il seguente mese di settembre fu apportatore di liete notizie. A 12 di esso giunse lavviso che larmata cesareo-savojarda, che era andata allo assedio di Tolone, e la flotta anglo-olandese, che bloccava quel porto, erano state respinte; larmata dal valore delle truppe francesi, e la flotta da contrar venti; e costrette perci luna, e laltra a ritirarsi. Arriv dopo tre giorni la feluga del dispaccio da Madrid, la quale rec la piacevole notizia, che la regina di Spagna a 25 dello antecedente mese di agosto avea felicemente dato alla luce un figliuolo, il quale assicurava la successione della monarchia di Spagna in questa branca della casa Borbona. Per questi due fausti avvenimenti fu cantato allora nella cattedrale linno ambrosiano collo intervento del vicer, dello arcivescovo, del senato, del sacro consiglio, della nobilt; le soldatesche fecero le solite salve reali, i castelli reg coi baluardi della citt diedero colle loro artiglierie i segni del comune giubilo, la citt comparve la sera illuminata, e fu fatta la grazia a tutti gli Spagnuoli, che trovavansi in prigione, di essere scarcerati.

Queste dimostrazioni fatte al primo avviso della nascita del serenissimo infante Ferdinando non erano bastevoli per attestare lallegrezza dei Siciliani, e sopratutto dei cittadini della capitale; e perci il senato di Palermo col consenso del marchese di Balbases determin di fare per questo felice parto delle grandiose feste, le quali, acci si preparassero con magnificenza, furono differite sino al seguente mese di novembre {(7) Mongit. Diario di Pal. t. II, p. 217.218.}. Arrivato questo mese si di principio nel d 12 da rendimenti di grazie, e fu fatta una divota processione, nella quale furono portate attorno le reliquie dei santi protettori della citt, e di poi furono cantati i solenni [456] vespri nella cattedrale. Nel seguente giorno fu tenuta cappella reale nello stesso tempio, dove cant la messa pontificale larcivescovo Mr. Gasch. La stessa messa fu replicata nel d 14 per tutte le altre chiese, e in esse furono recitate le litanie, ed altre preci per lo stesso obbietto. Terminate le feste sacre, duranti le quali fu sempre alla notte illuminata la capitale, si godettero le profane, le quali consisterono nella solenne cavalcata secondo il costume di quel tempo, in tre giuochi del toro nella piazza del regio palagio, ed in un elegante fuoco artifiziato, a spese per del regio patrimonio nella stessa piazza {(1) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 219.}.

Dopo queste dimostrazioni di gioja il vicer cominci ad inghiottire degli amarissimi bocconi. Nel d 7 di gennaro 1708, la viceregina Isabella la Cerda, ed Aragona se ne mor. Era questa dama venuta da Civitavecchia nellanno antecedente, ed era arrivata ai 20 di settembre condotta dalle galee di Sicilia {(2) Lo stesso ivi pag. 219.}. Ne fu egli dolentissimo; ma per non affligere la citt, ordin che fosse privatamente seppellita nella chiesa del convento di s. Teresa fuori la Porta Nuova. Nondimeno la nobilt, e il ministero vest di lutto per quaranta giorni, e le campane delle chiese non desisterono dal suonare a morto. Un guajo peggiore gli arriv ai 13 del seguente maggio, in cui corse rischio di essere ucciso, o per lo meno imprigionato. Volea egli godere della pesca dei tonni, che dovea in quel giorno farsi alla tonnara dellArenella, ch un divertimento assai piacevole, e si fa con un apparato magnifico {(3) Per soddisfazione degli stranieri, che non hanno cognizione di questa pescaggione, eccone la breve descrizione tratta dallopera dellabate Arcangelo Leanti (Stato presente della Sicilia cap. 4, tom. I, pag. 175). Gli ordegni necessarj per pescare i tonni sono principalmente le reti, le quali sono formate di certe funicelle disposte a foggia di camere, che sono afforzate, e sostenute da diverse ancore. Quattro sono queste camere. La prima alla parte di ponente, ed ha una porta che d lingresso ai tonni; da questa passano i detti pesci nella seconda, che

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vien nominata sala: dopo di questa verso levante viene una terza camera, e poi la quarta, che vien detta la camera della morte. Dietro queste camere vanno stese lunghe corde, che sono nominate la coda della tonnara, e sono attaccate al terreno, le quali mantengono fermo tutto questo marino edifizio. Le porte si chiudono quando abbisogna. Vengono adunque i tonni a schiere, ed entrando il primo nella prima camera, seguito tosto dai suoi compagni. Quando ven una sufficiente quantit, il rais, che il capo dei marinari, e invigila con diligenza allarrivo di questi animali, ed entrati che sono, chiude la porta. Cercano i tonni vedendosi chiusi di scappare; ma siccome sono timidi, di muso delicato, e di vista debole, toccando le corde si arretrano, e girando attorno entrano nella seconda, e nella terza camera, le di cui porte sono patenti, e finalmente nella camera della morte. Sotto a questa evvi una rete pi grande, e lavorata con maglia pi stretta, che chiamasi corpo. Quando dunque arrivata lora della pescaggione, i marinari alzano a pelo dacqua il corpo sotto la camera della morte, e con esso i tonni, che vi sono dentro, i quali vedendosi ristretti senza che abbiano modo di scappare, si dibattono disperatamente, e mettono sossopra le acque, con qual moto vengono bagnati i numerosi spettatori: fino che arrivati a tiro dei pescatori, questi con uncini di ferro li feriscono, e li cavano fuori del corpo, mettendoli nelle barche, che stanno attorno. Si giunge delle volte a prenderne delle migliaia in brevissimo tempo, e con una destrezza, che fa meraviglia, e spesso vi si pescano ancora dei pescispada, coi quali i tonni si accomunano.}; e dovea portarvisi sopra una delle nostre galee. Or molti condannati al remo, alla testa dei quali era un trapanese, che chiamavasi Simone Morto, tramarono lardita impresa, quando il vicer fosse andato ad osservare quella pescaggione, di sollevarsi, e di metterlo in ceppi con tutta la nobilt che laccompagnava, e di viato veleggiare per Napoli, affine di presentare questa preda al conte Daun governatore cesareo, che vi comandava, sperando di ottenerne un premio, o per lo meno la grazia di essere liberati dalla galea. A buona sorte del vicer questo nero attentato non ebbe effetto. Il comito della reale capitana, dovendo condurre questo signore al mentovato spettacolo, non stando sicuro dei remiganti, e dubitando che nella confusione, ch inseparabile da quella pescaggione, eglino non tentassero, o per disubbidienza, o per altro pravo motivo, di far pericolare la detta galea, dimand che simbarcassero su di essa delle soldatesche, le quali in ogni evento potessero far rispettare i suoi ordini; e cos fu fatto. I congiurati vedendosi contro ogni loro espettazione cinti di soldati armati, non si arrischiarono di mettere in pratica quanto aveano meditato, e rest cos salvato il vicer, e la sua comitiva. Ritornata la galea in porto, vi fu del bisbiglio fra i sollevati, che si rimproveravano lun laltro di essere stati troppo pigri, e timidi; e intanto si animarono fra [457] di loro, giacch era fallito il primo colpo, di tentarne un altro. Doveano eglino lo stesso giorno rimorchiare un vascello destinato a portare alcune compagnie di soldati a Messina; pensarono adunque di menarle, se potea loro riuscire, a Napoli, o per lo meno di scapparsene in quella citt. I loro discorsi non furono cos occulti, che non fossero stati ascoltati da altri, che non erano della congiura. Questi ne avvisarono tosto il comito, che ne di parte al comandante, il quale avendo fatti carcerare, e mettere alla tortura i rei, trov che fosse vera la congiura. Furono appiccati al Molo due schiavi, e un forzato, cherano dei principali sollevati, nel d 19 di maggio. Simone Morto il loro capo ebbe la sorte di salvarsi colla fuga, e di scansare il meritato gastigo {(1) Mongitore Diario di Pal. t. II, pag. 325.}.

Fu pi sensibile al cuore di questo vicer la tumultuazione accaduta pochi giorni dopo in Palermo. Egli cui era stata confidata la custodia del regno nostro, temendo a ragione, che trovandosi glimperiali con un buon nerbo di truppe possessori di tutto il regno di Napoli, e della Calabria, non tentassero dinvaderlo, essendo agevole il tragitto da Reggio in Messina; e paventando ancora la flotta anglo-olandesa, che di leggieri potea fare uno sbarco nelle citt marittime dellisola, e particolarmente nella capitale, chera mal difesa, scritte avea efficacissime lettere alla corte di Madrid: ricercando che se gli mandassero delle truppe, colle quali avesse potuto provvedere non solo alla citt di Messina, ma a quella di Palermo ancora, e alle altre, che fossero soggette alla invasione dei nemici. Accudendo il gabinetto di Madrid alle giuste premure di questo governante, sped nove navi, fra vascelli, e tartane, sulle quali furono imbarcati tre mila soldati, parte spagnuoli, parte francesi, e parte irlandesi. Arrivarono queste milizie in Palermo ai 28 di aprile, e il marchese di Balbases, trovandosi abbastanza provisto, sped otto compagnie di cavalleria in Messina, dove maggiore era il pericolo, oltre quelle che vi si erano antecedentemente mandate, le quali partirono lo stesso giorno, e nel d seguente per il loro destino; e le altre trattenne presso di s {(2) Lo stesso ivi pag. 330.}.

Fra quei che restarono in Palermo, furono glIrlandesi che erano comandati dal maresciallo di campo conte di Maon. Questo cavaliere si era acquistata molta riputazione in Italia nella difesa di Cremona, e di poi era stato adoprato dalla corte di Spagna contro i rubelli di Valenza. Ma era fama, che egli in questa citt si fosse mostrato troppo condiscendente coi suoi soldati, permettendo loro il saccheggio, e perdonando ai medesimi le pi atroci crudelt usate contro quei sventurati cittadini. Correa anche voce, che dal saccheggio non fossero state neppure esenti le chiese di Dio, e che il Maon fosse stato a parte di tutto il bottino. Questa opinione vera, o falsa che fosse stata, fe guardare di mal occhio dal popolo il reggimento deglIrlandesi, e il comandante di esso: temendo di non ricevere un pari trattamento a quello dei Valenziani. Aggiungeasi a questi sospetti la persuasione, che costoro fossero Francesi; poich lunione fra la Spagna, e la Francia, e il linguaggio, che costoro adopravano per farsi capire, chera il francese, fecero credere aglidioti cheglino veramente fossero di quella nazione. Fomentavano questo errore i malcontenti, i quali confermando la plebe in questa credenza, faceano rinascere nei loro cuori il vecchio odio dellanno 1282, e le gelosie, che furono allora la principal cagione, per cui i Francesi tutti cherano in Sicilia, furono barbaramente trucidati.

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Contribu in qualche modo a far credere che fosse vero quanto si andava divulgando lo stesso marchese di Balbases, il quale si era determinato di affidare la custodia dei baluardi della citt alle truppe venute da Spagna, fra le quali erano glirlandesi. Noi non sappiamo da che mai siesi mosso il vicer a questo pensamento, se perch era in qualche diffidenza del popolo palermitano, come lasci scritto il contemporaneo canonico Antonino Mongitore {(3) Diario di Pal. t. II, pag. 336.}, ovvero perch credesse, chessendo queste truppe agguerrite, avrebbono meglio maneggiate le armi, e le artiglierie in difesa della citt. Vuolsi da alcuni, chei vi si fosso indotto, non solamente per tenere in freno i cittadini, ma inoltre per un principio di economia; giacch intendea disgravare lerario regio del mantenimento di queste soldatesche, che [458] meditava di far pagare alla citt, alle chiese, e alle persone facoltose; giacch servivano per la loro difesa.

Questa determinazione, chei gi stava per eseguire, giunse alle orecchie dei consolati, ossia dei collegi degli artisti, i quali credeano di avere la prerogativa, che la difesa e la custodia dei baluardi della citt si dovesse affidare a loro medesimi, come sempre si era fatto in tutte le urgenze, in cui si era trovata la capitale. Ingelositi adunque costoro, che pensasse di spogliarli di questo preteso loro antico privilegio, e temendo inoltre, che dandosi il possesso dei bastioni ai soldati stranieri, la citt resterebbe esposta al loro arbitrio, o per lo meno sarebbe stata aggravata con pesantissime contribuzioni per i soldi di queste truppe, e degli uffiziali, che le comandavano, risolvettero di fare i loro dovuti ricorsi. Molti consoli, previe le conferenze intorno a questo affare, si presentarono al pretore, che reputano come loro capo, e gli significarono, che la risoluzione che diceasi presa dal marchese di Balbases feriva i loro diritti; e pregaronlo, che trovasse modo di dissuaderlo, e di far s, che le fortezze della citt, secondo il vecchio costume, fossero custodite, e difese dai loro collegi. Era in questa carica il duca di Cesar Calogero Gabriello Colonna Romano, il quale facendo poco conto della loro rimostranza, rispose ai medesimi in termini generali, ed equivoci.

Intanto fu osservato che si spazzavano i magazzini allo Spasimo, e si racconciavano: sopraintendendo al lavoro il procurator fiscale del patrimonio Giuseppe di Agati. Sono questi magazzini contigui alle case dei pescatori, i quali richiesero per qual motivo si pulissero; e fu loro risposto, che si preparavano per abitazione dei soldati. Bast questa risposta per mettere in iscompiglio tutta quella contrada. Vivono i pescatori con molta gelosia delle loro mogli, e delle loro figliuole, e perci mal soffrivano di avere dei vicini cos scostumati. Accrebbesi il rumore negli altri consolati, i quali sebbene non avessero, stando lontani da quei contorni, questo particolare interesse, sospettavano nondimeno, che loggetto di collocarsi ivi le soldatesche, era appunto per metterle pi a portata di occupare i tre baluardi del Tuono, del Vega, e dello Spasimo, cherano da presso ai magazzini. Laonde tutti di accordo tornarono a presentarsi al pretore, e richiesero a vive istanze, che fossero loro consegnati i detti baluardi. Il duca di Cesar disse loro, che codesto non era uno affare da risolversi su due piedi, e che bisognava consultarlo; e chiese perci qualche giorno per soddisfarli. Parve ai consoli, che il pretore cercasse con questa dilazione di addormentarli, e siccome dubitavano che di momento in momento non potessero i soldati impossessarsi di quei forti, nel qual caso sarebbe stato pi malagevole il farnele sloggiare, si radunarono nella chiesa della Vittoria per risolvere nelle presenti circostanze ci che fosse duopo di fare; e dopo var discorsi conchiusero, che fosse espediente di prevenirli, malgrado che il duca di Cesar non ne avesse loro accordato il permesso. In questa intelligenza la notte dei 25 di maggio non solo occuparono i tre mentovati forti, ma quello ancora nominato la Balata, e gli altri cherano attorno alla citt. Il duca udendo questa novit, corse subito ai bastioni, per persuadere gli artisti ed evacuarli; ma cant ai sordi. Eglino non solamente ricusarono di ubbidire, ma chiusero perfino la porta in faccia al loro capo {(1) Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 341.}.

Il marchese Balbases, che rest dispiaciutissimo, come ognuno pu immaginarsi, di questa insolenza, volendo darvi riparo, fe venire al regio palagio il pretore, alcuni dei principali nobili, il consultore, il conte di Maon, e gli altri supremi comandanti. I militari furono di avviso, che fosse necessario di fare mano bassa contro gli artisti, acci intimorendosi ubbidissero, e abbandonassero gli occupati baluardi; e si esibirono a far questo macello colla cavalleria, che aveano gi pronta sotto le armi. Ma il consultore, il capitano della citt, e molti altri nobili fecero riflettere a S.E., che nelle critiche circostanze, nelle quali la sola Sicilia era rimasta al monarca di Spagna, il menare le mani sarebbe stato lo stesso, che commuovere la citt ad inalberare lo stendardo della casa dAustria, e irritare i cittadini, i quali avrebbono potuto rinnovare leccidio del 1282 contro glIrlandesi, creduti volgarmente di nazione francese, e contro la stessa persona del vicer, che li sosteneva, cantando il notturno dopo il vespro. Fra queste dubbiet fu proposto il temperamento, che gli artisti in segno di ubbidienza a S.E. sortissero dai baluardi, e che il vicer si obbligasse da cavaliere di onore, che ve li [459] avrebbe fatto immediatamente rientrare, per custodirli di suo ordine. Cos fu eseguito, sebbene i consoli sieno divenuti a dare il primo passo a grandissimo stento, e dietro delle assicurazioni di tutta la nobilt. Il marchese di Balbases onoratamente ademp la sua parte; imperocch, dopo che i consoli abbandonarono quei forti, sped tosto lordine al pretore, acci li riconsegnasse ai consoli, affinch li custodissero nei presenti pericoli di guerra {(1) Caruso Mem. Stor. P. III, lib. X, t. III, vol. II, pag. 274.}.

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Stiede la citt in una tale quale quiete per lo spazio di tre giorni, nei quali continuarono i collegi degli artisti a fare nei baluardi vicendevolmente la guardia; ma non perci gli animi erano tranquilli. Il vicer, che suo malgrado avea poste le armi nelle mani del popolo, era pieno di timore, ed avea fatte raddoppiare le guardie al regio palagio: il Maon, e gli altri uffiziali maggiori, che avrebbono desiderato di misurare le loro forze con quelle dei Palermitani, erano crucciati nel vedersi legate le mani da questo viceregnante; e gli artisti, ai quali non erano ignoti i loro disegni, stavano in allarme, temendo di qualche aguato. Nulla eglino speravano dallaiuto del pretore, che riguardavano come nemico, e perch di origine era messinese, e perch avea rovinato il banco pubblico della capitale, avendo consumata una porzione del denaro per risarcire la moneta ritagliata, senza curare di farnelo rimborsare, ed avendo somministrate da esso banco ingenti somme alla regia corte per pagarsi le truppe, dalle quali cagioni era nato, che il banco fosse fallito, e si fossero sospesi i pagamenti de bimestri, per cui era cessato il commercio, e molte famiglie perivano di fame. Non fidavano nemmeno nella nobilt, che vedevano affezionata al vicer, e agli uffiziali stranieri. Privi perci di appoggio non credevano di poter prendere consiglio, che da loro stessi, e riputarono come nemici tutti coloro, che non appartenevano a loro colleg.

Frattanto accrescevansi i loro timori dalle voci, che spargevano i malcontenti per la citt: cio che sotto i baluardi vi si fossero collocate delle mine di polvere, che doveano scoppiare nel medesimo momento, onde far volare per aria tutti coloro, che li custodivano, e che nello stesso tempo le soldatesche armate sarebbono entrate in citt a trucidarvi tutti gli abitanti. Agitati da codesti panici timori, che suscitavano i nemici della pubblica tranquillit, stavansi collanimo sospeso, e faceano ogni possibile diligenza, per isfuggire il minacciato pericolo, ricercando ogni angolo del baluardo, quando vi entravano di guardia, per osservare se erano insidiati.

Ora a 28 di maggio circa le ore 22 una compagnia di artisti, essendo andata a montar la guardia nel bastione del Vega, facendo le consuete diligenze, trov nascosta in un angolo una piccola quantit di polvere con del biscotto, ed altri comestibili. La fantasia, una volta che sia accesa, ci fa vedere degli spettri, che non esistono; quella poca polve fu capace di alterare la loro mente, e di far credere, che vi fosse stata apposta dai soldati francesi, ed irlandesi, che voleano occupare quel posto, comunque non fosse bastata appena per provigione di quattro uomini. Pieni di questo stravangante pensamento, senza pi riflettere, cominciarono a gridare: allarmi allarmi fuori francesi, ed irlandesi. Alle voci di costoro si mosse tutta la citt a rumore, e corsero i popolani al forte del Vega per udire cosa fosse accaduta. Di bocca in bocca passando la insussistente notizia, fu veduta tutta la citt sossopra, e quasi che avessero le armate soldatesche addosso, che voleano impossessarsi de bastioni, e far di essi macello, si dispersero per tutti i quartieri, gridando: allarmi allarmi.

Il marchese di Balbases era sortito dal regio palagio, e passeggiava nel Cassero. Non era la sua carrozza arrivata alla piazza Vigliena, che fu avvertito da suoi affezionati del tumulto, che si era suscitato, e fu pregato a ritornarsene addietro, per non esporsi aglinsulti del tumultuante popolo, come egli esegu. In questa occasione fu ammirata la tranquillit danimo del conte di Maon. Trovavasi egli nella casa del principe di Carini dirimpetto alla cattedrale, dove ud la commozione della plebe, e che il vicer si era restituito al regio palagio. Fe tosto venire uno de suoi cavalli, e montandolo da un poggio presso quella abitazione alla presenza de sollevati, senza punto sgomentarsi, si mosse a passo lento, e and a trovare il marchese di Balbases, cui esib lopera sua per frenare i contumaci; ma questo cavaliere, cui stava a cuore di non [460] permettere la strage, che ne sarebbe avvenuta, ricus le di lui generose offerte, e viet che si facesse uso della forza.

Il furibondo popolo diede i primi segni del suo risentimento contro il pretore duca di Cesar, e marci alla casa senatoria, chiamandolo messinese, e traditore; e come egli si era affacciato ad un balcone per calmarlo, gli furono scaricate alcune fucilate, dalle quali a buona sua sorte non rest colpito; e perci occultatosi fugg travestito per quella porta, che sporge alla chiesa di s. Giuseppe de PP. Teatini, che non si apre giammai, e and a ricoverarsi nel regio palagio. Apertesi dopo la di lui fuga le porte della casa senatoria, corse la plebe allarmeria, e prese tutte le armi, che ivi erano, and armata per la citt; ma ebbe lavvertenza di lasciare alla custodia del banco il collegio de sarti. Crescendo la sollevazione di ora in ora, il generale delle galee temendo che i condannati al remo non si rivoltassero, vi si ritir con truppe per tenerli nel dovere. Dubitava il vicer che lammutinato popolo non tentasse dinvadere il castello, e perci ordin che una compagnia dIrlandesi andasse a rinforzare quella guarnigione. Ma il castellano {(1) Vuolsi che questo castellano fosse di accordo coi consoli, e che li avesse assicurati, che restando eglino fedeli al re Cattolico, la citt non sarebbe stata mai offesa dal cannone del castello: e vi fu chi disse, chei avesse esibite delle munizioni da guerra ai medesimi, per difendersi contro glIrlandesi (Mongit. Diario di Pal. t. II, pag. 302).}, sapendo quanto glIrlandesi fossero in odio a Palermitani, ricus questo soccorso sotto il pretesto, che non potea ricevere, che guarnigione spagnuola {(2) Mongit. ivi.}.

Non trascurarono gli ecclesiastici di procurare in ogni maniera, che il popolo si quietasse. Monsignor fra Giuseppe Gasch arcivescovo di Palermo, uomo veramente santo, ed esemplare, alludire i primi movimenti

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de sollevati, and di persona al forte del Vega, dove maggiore era il bisbiglio, e persuadendo, ed esortando cerc di tranquillarli. Fu ricevuto con quel rispetto, che si dovea ad un cos venerando pastore, e gli furono aperte le porte, che stavano chiuse per qualunque altro; ma non ebbe il piacere di ottenere da loro quanto bramava. Il morbo era nello incremento il pi vigoroso, ed era di mestieri di aspettare, che il tempo apportasse la desiata crisi. Ritornossene adunque questo buono arcivescovo crucciato che le sue insinuazioni fossero state inutili. Intanto la commossa plebe sincontr in Francesco Ferdinando Gravina principe di Palagonia, che dalla corte era stato destinato a succedere nel pretorato al duca di Cesar; ed acclamandolo come padre della patria, lobblig a venire al palagio senatorio per prender possesso della carica di pretore.

Sovrastava gi la notte, e si correa risico, che i malandrini profittassero del disordine, in cui ritrovavasi la citt, e rubassero le case de cittadini. Mancava il pretore, che senera scappato, come si detto, al palagio reale, e poi travestito da monaco, per quanto i vecchi ci hanno raccontato, si era ricoverato nel monistero di s. Martino delle Scale, lungi sette miglia da Palermo; e perci i consolati non aveano un capo, che potesse destinarli alla difesa della citt. Fu dunque spediente di affrettare il possesso del principe di Palagonia, e il vicer vi acconsent. Vi venne egli ben tre volte, ma inutilmente; era cos folto il popolo, che non vi era modo di entrare nella casa senatoria. Ma Francesco Judica console de sarti, chera alla guardia del banco, uomo destro, e manieroso, seppe cos bene introdursi nellanimo di quei plebei, che finalmente venne a capo di farneli allontanare. Sgombrato il palagio del senato dalla turba de malcontenti fu chiamato alle ore tre della notte il nuovo pretore, il quale dal presidente Giuseppe Fernandez de Medrano ottenne a nome del vicer il possesso della carica {(3) Mongit. Diario di Pal. t. II, p. 353, e 354.}.

Fremea di rabbia, e di rovella il maresciallo conte di Maon nel vedersi impedito dalloperare, e dal mostrare il suo coraggio, e quello delle agguerrite sue truppe; e facea vive istanze la stessa notte al vicer, acci gli fosse permesso di opporsi a rivoltati; o perch almeno se gli accordasse la licenza di poter saccheggiare il quartiere dellAlbergaria, chera il meno forte, per intimorire il resto degli abitanti. Si unirono alle di lui istanze quelle degli altri maggiori uffiziali, che non lasciavano dimportunare il di lui animo, perch vi consentisse. Erano eglino mossi in parte dallo sdegno che nudrivano [461] contro i Palermitani, che aveano in mira di allontanarli dalle loro mura; e in parte da un certo punto di onore; giacch parea loro, non menando le mani in questa occasione, dincorrere la infame nota di codardi, e di figliuoli della paura. Il Balbases nondimeno stiede fermo nella sua risoluzione di non adoprare la forza, e quindi pass la notte, senza che accadesse verun sinistro, sebbene stasse il governo con molta sollecitudine; e ci stanti le utili provvidenze date dal nuovo pretore.

Per quanto per il vicer fosse costante nello impedire che le soldatesche adoprassero le armi contro i cittadini, non pot nonostante non aderire a consigli di coloro che gli suggerirono, che almeno si fortificasse nel regio palagio per la propria difesa. Acconsent adunque che si rivolgessero contro la citt i cannoni de due forti presso il medesimo palagio eretti lanno 1648 dal cardinal Trivulzio, di cui si parl nel libro antecedente. La mattina perci de 29 di maggio, sul far del giorno, furono trovate le artiglierie de ridetti baluardi rivolte contro la citt, e gli artiglieri pronti a dar fuoco, quando bisognasse. I consoli vedendo questa novit, ordinarono, che i cannoni de due bastioni di Montalto, e della Balata si appuntassero contro il regio palagio, comandando ai loro artiglieri, che ad ogni menoma mozione, che facessero quei de due fortini del palagio contro la citt, tempestassero senza interruzione la casa viceregia, sino a ridurla in un mucchio di sassi {(1) Mongitore Diario di Pal. pag. 354.}.

Crebbe lo sdegno de consoli sulle ore 14, quando videro entrare per la Porta Nuova in citt la cavalleria, che si squadron innanzi al regio palagio, stendendosi sino al seminario de cherici. Allora Palermo fu nel maggiore iscompiglio; tutti i cittadini si armarono, e si postarono alle bocche delle strade, che conducevano nel Cassero, chera del pari pieno di gente armata. Molti di essi si ritirarono nelle proprie case, che chiusero, e si posero alle finestre, colle armi alle mani, per difendersi. Le botteghe tutte, e le chies