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Dal «Commento sul salmo 118» di sant'Ambrogio, vescovo Santo è il tempio di Dio, che siete voi «Io e il Padre verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23). Sia aperta a colui che viene la tua porta, apri la tua anima, allarga il seno della tua mente perché il tuo spirito goda le ricchezze della semplicità, i tesori della pace, la soavità della grazia. Dilata il tuo cuore, va` incontro al sole dell'eterna luce «che illumina ogni uomo» (Gv 1, 9). Per certo quella luce vera splende a tutti. Ma se uno avrà chiuso le finestre, si priverà da se stesso della luce eterna. Allora, se tu chiudi la porta della tua mente, chiudi fuori anche Cristo. Benché possa entrare, nondimeno non vuole introdursi da importuno, non vuole costringere chi non vuole. Nato dalla Vergine, uscì dal suo grembo irradiando la sua luce sulle cose dell'universo intero, per risplendere a tutti. Quelli che lo desiderano ricevono la chiarezza dell'eterno fulgore che nessuna notte riesce ad alterare. A questo sole che vediamo ogni giorno tiene dietro la notte tenebrosa. Ma il sole di giustizia non tramonta mai perché la sua luce di sapienza non viene mai offuscata da alcuna ombra. Beato colui alla cui porta bussa Cristo. La nostra porta è la fede la quale, se è forte, rafforza tutta la casa. E' questa la porta per la quale entra Cristo. Perciò anche la Chiesa dice nel cantico dei Cantici: «Un rumore! E` il mio diletto che bussa» (Ct 5, 2). Ascolta colui che bussa, ascolta colui che desidera entrare: «Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia; perché il mio capo è bagnato di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne» (Ct 5, 2). Rifletti sul tempo nel quale il Dio Verbo bussa più che mai alla tua porta: allorché il suo capo è pieno di rugiada notturna. Infatti egli si degna di visitare quelli che si trovano nella tribolazione e nelle tentazioni perché nessuno, vinto per avventura dall'affanno, abbia a soccombere. Il suo capo dunque si riempie di rugiada, ovvero di gocce, quando il suo corpo soffre. E' allora che bisogna vegliare, perché quando lo Sposo verrà non si ritiri, vistosi chiuso fuori. Infatti, se dormi e il tuo cuore non veglia, egli bussa e domanda che gli si apra la porta. Abbiamo dunque la porta della nostra anima, abbiamo anche le porte delle quali è scritto: «Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria» (Sal 23, 7). Se vorrai alzare queste porte della tua fede, entrerà da te il re della gloria, recando il trionfo della sua passione. Anche la giustizia ha le sue porte. Infatti anche di queste leggiamo scritto quanto il Signore Gesù ha detto per mezzo del profeta: «Apritemi le porte della giustizia» (Sal 117, 19).

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Dal «Commento sul salmo 118» di sant'Ambrogio, vescovo

Santo è il tempio di Dio, che siete voi

«Io e il Padre verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23). Sia aperta

a colui che viene la tua porta, apri la tua anima, allarga il seno della tua mente perché il

tuo spirito goda le ricchezze della semplicità, i tesori della pace, la soavità della grazia.

Dilata il tuo cuore, va` incontro al sole dell'eterna luce «che illumina ogni uomo» (Gv 1,

9). Per certo quella luce vera splende a tutti. Ma se uno avrà chiuso le finestre, si

priverà da se stesso della luce eterna. Allora, se tu chiudi la porta della tua mente,

chiudi fuori anche Cristo. Benché possa entrare, nondimeno non vuole introdursi da

importuno, non vuole costringere chi non vuole.

Nato dalla Vergine, uscì dal suo grembo irradiando la sua luce sulle cose dell'universo

intero, per risplendere a tutti. Quelli che lo desiderano ricevono la chiarezza

dell'eterno fulgore che nessuna notte riesce ad alterare. A questo sole che vediamo

ogni giorno tiene dietro la notte tenebrosa. Ma il sole di giustizia non tramonta mai

perché la sua luce di sapienza non viene mai offuscata da alcuna ombra.

Beato colui alla cui porta bussa Cristo. La nostra porta è la fede la quale, se è forte,

rafforza tutta la casa. E' questa la porta per la quale entra Cristo. Perciò anche la Chiesa

dice nel cantico dei Cantici: «Un rumore! E` il mio diletto che bussa» (Ct 5, 2). Ascolta

colui che bussa, ascolta colui che desidera entrare: «Aprimi, sorella mia, mia amica, mia

colomba, perfetta mia; perché il mio capo è bagnato di rugiada, i miei riccioli di gocce

notturne» (Ct 5, 2).

Rifletti sul tempo nel quale il Dio Verbo bussa più che mai alla tua porta: allorché il suo

capo è pieno di rugiada notturna. Infatti egli si degna di visitare quelli che si trovano

nella tribolazione e nelle tentazioni perché nessuno, vinto per avventura dall'affanno,

abbia a soccombere. Il suo capo dunque si riempie di rugiada, ovvero di gocce, quando

il suo corpo soffre. E' allora che bisogna vegliare, perché quando lo Sposo verrà non si

ritiri, vistosi chiuso fuori. Infatti, se dormi e il tuo cuore non veglia, egli bussa e

domanda che gli si apra la porta. Abbiamo dunque la porta della nostra anima,

abbiamo anche le porte delle quali è scritto: «Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi,

porte antiche, ed entri il re della gloria» (Sal 23, 7). Se vorrai alzare queste porte della

tua fede, entrerà da te il re della gloria, recando il trionfo della sua passione. Anche la

giustizia ha le sue porte. Infatti anche di queste leggiamo scritto quanto il Signore Gesù

ha detto per mezzo del profeta: «Apritemi le porte della giustizia» (Sal 117, 19).

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L'anima dunque ha le sue porte, l'anima ha il suo ingresso. Ad esso viene Cristo e

bussa, egli bussa alle porte. Aprigli, dunque; egli vuole entrare, vuol trovare la sposa

desta.

Dal Proslogion di Sant'Anselmo, vescovo

Il desiderio della contemplazione di Dio

Orsù, misero mortale, fuggi via per breve tempo dalle tue occupazioni, lascia per un pò

i tuoi pensieri tumultuosi. Allontana in questo momento i gravi affanni e metti da parte

le tue faticose attività. Attendi un poco a Dio e riposa in lui.

Entra nell'intimo della tua anima, escludi tutto tranne Dio e quello che ti aiuta a

cercarlo, e, richiusa la porta, cercalo. O mio cuore, dì ora con tutto te stesso, dì ora a

Dio: Cerco il tuo volto. «Il tuo volto, Signore, io cerco» (Sal 26, 8).

Orsù dunque, Signore Dio mio, insegna al mio cuore dove e come cercarti, dove e come

trovarti. Signore, se tu non sei qui, dove cercherò te assente? Se poi sei dappertutto,

perché mai non ti vedo presente? Ma tu certo abiti in una luce inaccessibile. E dov'è la

luce inaccessibile, o come mi accosterò a essa? Chi mi condurrà, chi mi guiderà a essa si

che in essa io possa vederti? Inoltre con quali segni, con quale volto ti cercherò? O

Signore Dio mio, mai io ti vidi, non conosco il tuo volto.

Che cosa farà, o altissimo Signore, questo esule, che è così distante da te, ma che a te

appartiene? Che cosa farà il tuo servo tormentato dall'amore per te e gettato lontano

dal tuo volto? Anela a vederti e il tuo volto gli è troppo discosto. Desidera avvicinarti e

la tua abitazione è inaccessibile. Brama trovarti e non conosce la tua dimora. Si

impegna a cercarti e non conosce il tuo volto.

Signore, tu sei il mio Dio, tu sei il mio Signore e io non ti ho mai visto. Tu mi hai creato

e ricreato, mi hai donato tutti i miei beni, e io ancora non ti conosco. Io sono stato

creato per vederti e ancora non ho fatto ciò per cui sono stato creato.

Ma tu, Signore, fino a quando ti dimenticherai di noi, fino a quando distoglierai da noi il

tuo sguardo? Quando ci guarderai e ci esaudirai? Quando illuminerai i nostri occhi e ci

mostrerai la tua faccia? Quando ti restituirai a noi?

Guarda, Signore, esaudisci, illuminaci, mostrati a noi. Ridonati a noi perché ne abbiamo

bene: senza di te stiamo tanto male. Abbi pietà delle nostre fatiche, dei nostri sforzi

verso di te: non valiamo nulla senza te.

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Insegnami a cercarti e mostrati quando ti cerco: non posso cercarti se tu non mi

insegni, né trovarti se non ti mostri. Che io ti cerchi desiderandoti e ti desideri

cercandoti, che io ti trovi amandoti e ti ami trovandoti.

Dalla Quarta Lettera di Santa Chiara a Sant'Agnese di Praga,

A colei che è la metà dell’anima sua e santuario di un singolare e cordialissimo amore,

all’illustre regina, sposa dell’Agnello e Re eterno, a Donna Agnese, madre sua carissima

e figlia tra le altre la più amata, Chiara, serva indegna di Cristo ed ancella inutile delle

serve del Signore dimoranti nel monastero di San Damiano in Assisi, invia il suo saluto

e l’augurio di poter sciogliere un cantico nuovo, in compagnia delle altre santissime

vergini, davanti al trono di Dio e dell’Agnello e di accompagnare l’Agnello ovunque

vada.

O madre e figlia, sposa del Re di tutti i secoli, non stupirti se non ti ho scritto di

frequente come l’anima tua e la mia parimenti desiderano e bramano, e non credere

assolutamente che l’incendio dell’amore verso di te sia divenuto meno ardente e dolce

nel cuore della tua madre. Il solo ostacolo alla nostra corrispondenza è stato la scarsità

dei messaggeri e l’insicurezza delle strade.

Ma oggi, che si presenta l’occasione di scrivere alla tua carità, ecco mi rallegro con te e

con te gioisco nel gaudio dello Spirito, o sposa di Cristo, poiché, come quell’altra

santissima vergine Agnese, tu, slacciandoti da tutte le ricchezze e vanità del mondo, ti

sei meravigliosamente unita in sposa all’Agnello immacolato, che toglie i peccati del

mondo.

Te veramente felice! Ti è concesso di godere di questo sacro convito, per poter aderire

con tutte le fibre del tuo cuore a Colui, la cui bellezza è l’ammirazione instancabile

delle beate schiere del cielo. L’amore di lui rende felici, la contemplazione ristora, la

benignità ricolma. La soavità di lui pervade tutta l’anima, il ricordo brilla dolce nella

memoria. Al suo profumo i morti risorgono e la gloriosa visione di lui formerà la

felicità dei cittadini della Gerusalemme celeste.

E poiché questa visione di lui è splendore dell’eterna gloria, chiarore della luce

perenne e specchio senza macchia, ogni giorno porta l’anima tua, o regina, sposa di

Gesù Cristo, in questo specchio e scruta in esso continuamente il tuo volto, perché tu

possa così adornarti tutta all’interno e all’esterno, vestita e circondata di varietà, e sii

adorna dei variopinti fiori di tutte le virtù e ancora di vesti splendenti, quali

convengono alla figlia e sposa del sommo Re.

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In questo specchio poi rifulgono la beata povertà, la santa umiltà e l’ineffabile carità; e

questo tu potrai contemplare, con la grazia di Dio, diffuso su tutta la superficie dello

specchio.

Mira, in alto, la povertà di Colui che fu deposto nel presepe avvolto in poveri pannicelli.

O mirabile umiltà e povertà che dà stupore! Il Re degli angeli, il Signore del cielo e della

terra, è adagiato in una mangiatoia!

Vedi poi, al centro dello specchio, la santa umiltà, e insieme ancora la beata povertà, le

fatiche e pene senza numero ch’Egli sostenne per la redenzione del genere umano.

E, in basso, contempla l’ineffabile carità per la quale volle patire sul legno della croce e

su di essa morire della morte più infamante. Perciò è lo stesso specchio che, dall’alto

del legno della croce, rivolge ai passanti la sua voce perché si fermino a meditare: O voi

tutti, che sulla strada passate, fermatevi a vedere se esiste un dolore simile al mio; e

rispondiamo, dico a Lui che chiama e geme, ad una voce e con un solo cuore: Non mi

abbandonerà mai il ricordo di te e si struggerà in me l’anima mia.

Lasciati, dunque, o regina sposa del celeste Re, bruciare sempre più fortemente da

questo ardore di carità!

Contempla ancora le indicibili sue delizie, le ricchezze e gli onori eterni, e grida con

tutto l’ardore del tuo desiderio e del tuo amore: Attirami a te, o celeste Sposo! Dietro a

te correremo attratti dalla dolcezza del tuo profumo.

Correrò, senza stancarmi mai, finché tu mi introduca nella tua cella inebriante. Allora

la tua sinistra passi sotto il mio capo e la tua destra mi abbracci deliziosamente e tu mi

bacerai col felicissimo bacio della tua bocca.

Stando in questa contemplazione, abbi memoria della tua madre poverella, ben

sapendo ch’io porto il tuo caro ricordo inseparabilmente impresso nel profondo del

mio cuore, perché tu sei per me la più cara tra tutte.

Che cosa potrei ancora dirti? E meglio che la parola umana rinunci qui ad esprimerti il

mio affetto per te; solo l’anima, nel suo linguaggio silenzioso, riuscirebbe a fartelo

sentire. E poiché, o figlia benedetta, la mia lingua è del tutto impotente ad esprimerti

meglio l’amore che ti porto; queste poche cose che ti ho scritto in modo così

imperfetto, quasi dimezzando il pensiero, sono tutto quanto ho potuto dirti.

Ti prego però, che tu voglia ugualmente accogliere queste mie parole con benevolenza

e devozione, ascoltando in esse soprattutto l’affetto materno di cui sono ripiena, in

ardore di carità verso di te e delle tue figlie ogni giorno; e ad esse raccomanda assai in

Cristo me e le mie figlie. Queste stesse mie figlie poi, in particolare la vergine

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prudentissima Agnese, sorella nostra, si raccomandano vivamente nel Signore a te e

alle tue figlie.

Addio, figlia mia carissima, a te e alle tue figlie, fino al trono di gloria del gran Re, e

pregate per noi.

Con tutta la premura e l’amore che posso raccomando finalmente alla tua carità i latori

della presente lettera, i nostri carissimi frate Amato, caro a Dio e agli uomini, e frate

Bonagura. Amen.