42 febbraio 2018 - Fondazione Lionello Forin Hepatos Onlus€¦ · HEPATOS a tutto FEGATO...

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HEPATOS a tutto FEGATO Autorizzazione del Tribunale di Padova n. 2096 del 23.07.2007 - Poste Italiane S.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3, CNS PD ANNO 12 - N.1 - FEBBRAIO 2018 Periodico della Fondazione Lionello Forin Hepatos Onlus PAGINA 2 E 3: oggi parliamo di... Gli stili di vita nelle malattie di fegato PAGINA 4: l’angolo del direttore PAGINA 5: l’esperto risponde PAGINA 6: cosa c’è di nuovo PAGINA 7: dalla parte del paziente PAGINA 8: fegato e dintorni Pillola spagnola la vignetta di Franco Ferlini PAGINA 9: il fegato nella storia della medicina PAGINA 10 E 11: editoriale PAGINA 12: la Fondazione: chi, come, dove

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HEPATOSa tuttoFEGATO

Autorizzazione del Tribunale di Padova n. 2096del 23.07.2007 - Poste Italiane S.p.a. -Spedizione in Abbonamento PostaleD.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46)art. 1, comma 2 e 3, CNS PD

ANNO 12 - N.1 - FEBBRAIO 2018

Periodico della FondazioneLionello Forin Hepatos Onlus

PAGINA 2 E 3:oggi parliamo di...Gli stili di vitanelle malattie di fegato

PAGINA 4: l’angolo del direttore

PAGINA 5: l’esperto risponde

PAGINA 6: cosa c’è di nuovo

PAGINA 7: dalla parte del paziente

PAGINA 8: fegato e dintorniPillola spagnolala vignetta di Franco Ferlini

PAGINA 9: il fegato nella storiadella medicina

PAGINA 10 E 11: editoriale

PAGINA 12: la Fondazione:chi, come, dove

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OGGI

PARL

IAM

O DI

... Gli stili di vita nelle malattie di fegato

Molte malattie a carico del fegato si associano alla presenza di comportamen-ti rischiosi o non-salutari, riguardanti ad esempio: l’a-limentazione, l’attività fi sica,il consumo di alcol o l’abu-so di sostanze. In modo si-mile ad altre malattie meta-boliche (es. diabete, di tipo 2, ipertensione, obesità), oggi le linee guida conside-rano il cambiamento dello stile di vita come uno dei principali interventi terape-utici per ridurre i rischi di sviluppare o aggravare una condizione di sofferenza a livello epatico. Lo stile di vita è un modo di vivere basato su modelli di comportamento identifi ca-bili, che sono determinati dall’interazione tra: le ca-ratteristiche personali del-l’individuo, l’ambiente, le in-terazioni sociali e le condi-zioni di vita socio-econo-miche (OMS).Due delle problematiche a carico del fegato chiara-mente associate a stili di vita non salutari sono la ma-lattia epatica alcolica (ALD – Alcoholic liver disease) e la steatosi epatica non al-colica (NAFLD – non-alco-holic liver disease). La steatosi epatica non al-colica (NAFLD) è un quadro

più noto come fegato gras-so che pur non essendo una condizione clinicamen-te signifi cativa, si presenta nei casi di alimentazione ec-cessiva e vita sedentaria (Zelber-Sagi, et al., 2011). L’ingravescenza della NA-FLD può portare alla steato-epatite non alcolica (NASH),una condizione d’infi amma-zione cronica degli epatoci-ti che può portare alla loro degenerazione e quindi allo sviluppo di fi brosi e cirrosi. Anche per l’ALD la costanza di consumo an-che moderato di alcool può danneggiare il fegato in maniera irreversibile con un maggior rischio di sviluppa-re cirrosi epatica e/o epa-tocarcinoma (HCC). Anche nel caso delle epatopatie di origini virali o del HCC vi è una stretta relazione con gli stili di vita rischiosi o non salutari. Ad esem-pio, comportamenti ses-suali promiscui e l’uso di sostanze possono essere fattori di rischio per lo svi-luppo dell’epatite C, men-tre una dieta ipercalorica e il mantenimento di un consumo alcolico signifi -cativo, possono condizio-nare negativamente l’an-damento clinico del HCC. I comportamenti ritenuti utili

a preservare il funzionamen-to epatico sono, ad esem-pio: la restrizione calorica, la composizione dei ma-cronutrienti assunti o il con-sumo di alcol ecc.. L’uso di caffè e l’incremento dell’at-tività fi sica sembrano avere un effetto protettivo per la progressione della NAFLD. Per quanto riguarda l’ali-mentazione, è consigliata una dieta ipocalorica con un basso/moderato introito di grassi e si suggerisce di evitare cibi e bevande con-tenenti fruttosio (tabella 1).Per quanto detto, è eviden-te che l’implementazione di uno stile di vita salutare è un fattore protettivo in grado di ridurre il rischio di sviluppare una qualche patologia epatica. Tuttavia, sembra altrettanto chiaro che l’approccio prescritti-vo utilizzato, ad esempio, nel caso della terapia far-macologica, non sembra sempre suffi ciente a pro-muovere un duraturo cam-biamento delle proprie abi-tudini in tutti pazienti con un problema a carico del fegato. La ricerca sugge-risce che per promuovere un cambiamento nello sti-le di vita sia, in molti casi, necessario implementare strategie di tipo cognitivo-

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Sami SchiffPhD,

Neuropsicologo e Psicoterapeuta

cognitivo-comportamentale – Clinica Medica 5 – Dipartimento

di Medicina – DIMED,

Università degli Studi di Padova

Cinzia Siragusa

Psicologa clinica e specializzanda in psicoterapeuta

cognitivo-comportamentale

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OGGI

PARL

IAM

O DI

...comportamentale (Marchesini et al., 2016) in grado di aiutare il paziente ad identifi care ed arginare gli ostacoli e le diffi coltà che incontra quando deve cambiare abitudini e comportamenti. In tale senso il medico oggi dovrebbe lavorare in modo integrato con pro-fessionisti, quali dietisti e psicologi, in grado di aiutare le persone a mettere in atto comportamenti adeguati a mi-gliorare il benessere individuale e la cura della propria persona attraverso procedure di counselling motivaziona-le e tecniche derivanti dalla psicotera-pia cognitivo-comportamentale.

AREA INTERVENTI SUGGERITI LETTERATURA A SUPPORTO

Restrizioneenergetica

De� cit di 500-1000 kcal/giorno per indurre una perdita di peso di circa 500-1000 grammi/settimana (very low caloric diet - VLCD).

La restrizione calorica porta ad una perdita di peso e ad una riduzione del grasso nel fegato, indipendentemente dai macronutrienti che compongono la dieta.

Obiettivo perdere il 7-10% del peso totale.A 12 mesi da un intervento intensivo sullo stile di vita con una media dell’8% del peso perso porta ad una signi� cativa riduzione della steatosi epatica.

Un approccio a lungo termine che combina attività � sica con i principi del trattamento cognitivo-comportamentale.

Il grasso epatico aumenta con il guadagno di peso corporeo totale. La procedura porta bene� ci a livello metabolico e ritarda la progressione del T2DM.

Composizionedei macronutrienti

Basso-moderato apporto di grassi e moderato-elevato apporto di carboidrati.

E’ stato rilevato che l’aderenza alla dieta mediterranea riduce il grasso nel fegato su H-MRS se confrontato con diete a basso contenuto di grassi ed elevato di carboidrati in un confronto cross-over.

Diete chetogeniche con basso contenuto di carboidrati o elevato di proteine.

Apportodi fruttosio

Evitare cibi e bevande contenenti fruttosio.Nella popolazione generale, è stata rilevata un’associazione con l’apporto di fruttosio e la NAFLD.

Assunzionedi alcol

Tenere obbligatoriamente il consumo d’alcol giornaliero al di sotto alla soglia di rischio (30 g uomini, 20 g donne).

Negli studi epidemiologici, un’assunzione moderata di alcol (vino), al di sotto della soglia di rischio, è associata con una minore prevalenza di NAFLD, NASH e bassa � brosi. L’astinenza totale è obbligatoria nella cirrosi, NASH per ridurre il rischio di HCC.

Assunzionedi caffè

Non sono presenti limitazione epato-correlate.Protettivo per la NAFLD, come in altre epatopatie con altre eziologie, riduce la gravità istologica e gli outcome epato-correlati.

Attività � sica/Esercizio � sico

150-200 minuti a settimana di attività � sica aerobica di moderata intensità in 3-5 sessioni (camminata veloce, cyclette).

L’attività � sica segue una relazione dose-effetto: l’esercizio vigoroso (corsa) piuttosto che moderato (camminata veloce), porta a un bene� cio massimo, sia sulla NASH sia sulla � brosi.

Anche i training di resistenza � sica sono ef� caci a promuove una � tness muscoloscheletrica con effetti sui fattori di rischio metabolici.

Qualsiasi impegno nell’attività � sica o aumento del livello precedente è comunque migliore rispetto a continua inattività.

Alti livelli d’inattività favoriscono la fatigue e la sonnolenza diurna riducendo l’aderenza all’esercizio � sico.

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BIBLIOGRAFIA

European Association for the Study of the Liver, & European Association for the Study of Diabetes (EASD. (2016). EASL-EASD-EASO Clinical Practi-ce Guidelines for the management of non-alcoho-lic fatty liver disease. Obesity facts, 9(2), 65-90.

Marchesini, G., Petta, S., & Dalle Grave, R. (2016). Diet, weight loss, and liver health in nonalcoholic fatty liver disease: Pathophysiology, evidence, and practice. Hepatology, 63(6), 2032-2043.

Zelber-Sagi, S., Ratziu, V., & Oren, R. (2011). Nu-trition and physical activity in NAFLD: an overview of the epidemiological evidence. World journal of gastroenterology: WJG, 17(29), 3377.

Tabella 1: European Association for the Study of the Liver, & European Association for the Study of Diabetes (EASD, 2016).

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L’ANG

OLO

DEL D

IRETT

ORE

La paura di essere giudicati

Tutti hanno

bisogno dell’ap-

provazio-ne e del-la stima degli al-

tri, di sentirsi accettati ed amati. Fin dalla nascita la nostra sopravvivenza di-pende dagli altri, in parti-colare dall’affetto e dall’a-more dei genitori e per l’uomo, essere sociale che vive in relazione con gli altri, permane il bisogno di sentirsi incluso e accet-tato nella comunità. L’ac-cettazione è anche un ri-scontro del proprio valore e della propria identità, mentre la non accettazio-ne è indice di inadeguatez-za e di non appartenenza.Nella scala dei bisogni primari dell’uomo, la rela-zione con gli altri e l’ac-cettazione (che sono alla base del senso di appar-tenenza), sono essenziali ed ai primi posti. Ecco per-ché abbiamo “paura” di essere giudicati per come siamo e per quello che facciamo, perché un giu-dizio negativo è interpre-tato come segno di rifi u-to, di perdita di valore e di identità. Tale timore, che è comune a tutti, en-tro certi limiti è fi siologico e normale. In alcuni però diventa esagerato, pato-logico, diverso da ecces-siva timidezza o da ansia da prestazione; diventa un’ansia sociale, una fo-

bia, una vera malattia (Social Anxiety Disorder –SAD- DMS 5, 2013) che provoca un grave disagio, tanto da condizionare ed impedire la vita di rela-zione. È caratterizzata da una intensa e generaliz-zata paura delle situazio-ni sociali in cui il paziente anticipa ed immagina di essere valutato negativa-mente (parlare in pubblico, conoscere nuove persone, partecipare ad un evento sociale, sostenere un esa-me, incontrare o parlare con una autorità, ecc.). Posso-no coesistere anche sin-tomi fi sici, come rossore, sudorazione, tremori, pal-pitazioni, aggravati dalla paura che siano notati da-gli altri. È una delle malat-tie mentali più diffuse con una prevalenza del 13% negli Stati Uniti; spesso comincia nell’adolescen-za (dai 10 ai 20 anni, età media 13 anni), poi diven-ta cronica. La malattia ha alti costi socioeconomici; più del 90% dei sogget-ti va incontro a problemi psicosociali (rischio di ab-bandonare gli studi, ridot-ta produttività sul lavoro, ridotta qualità di vita) e più di un terzo lamenta gravi limitazioni nella vita so-ciale (NEJM, 2017). Sono state invocate come cau-se una predisposizione genetica associata a si-tuazioni ambientali, quali rapporti disturbati con ge-nitori iperprotettivi o iper-critici e fattori culturali che

spingono ad una stretta osservanza di specifi che norme sociali. Gli studi neurobiologici hanno di-mostrato che varie aree cerebrali come l’amigda-la, l’area prefrontale e fron-tale e il sistema nervoso autonomo reagiscono in maniera anomala nelle si-tuazioni sociali in cui si ha paura. (Journal of Affecti-ve Disorders, 2016).Quando la paura del giu-dizio degli altri assume queste connotazioni pa-tologiche è bene rivol-gersi al medico, in tutti gli altri casi bisogna cercare di liberarsi dal continuo timore di essere criticati. Intanto è impossibile pia-cere ed essere accettati da tutti, poi siamo sicu-ri che gli altri siano così interessati a giudicarci? Un antico aforisma, di cui non ricordo la fonte, reci-ta: “ho smesso di preoc-cuparmi di quello che gli altri pensano di me, quan-do mi sono accorto che gli altri non pensano affat-to a me, ma a quello che io penso di loro”. Forse è bene cercare l’approva-zione non all’esterno, ma dentro noi stessi, nella nostra coscienza, ricono-scendo la nostra identità, il nostro valore e positività.

Angelo Gatta

ProfessoreEmerito

di Medicina Interna

Universitàdi Padova

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L’ESP

ERTO

RISP

ONDEHo l’artrosi e devo assumere spesso degli

antinfi ammatori. Possono fare male al fegato?Ho l’artrosi e devo assumere spesso degli

antinfi ammatori. Possono fare male al fegato?Ho l’artrosi e devo assumere spesso degli

I farmaci antin-

fi amma-tori non

steroidei,pur

essendo fra loro

eterogenei per struttura chimica, sono un gruppo di composti piuttosto omo-genei per quanto riguarda gli effetti indotti dalla loro somministrazione: infatti, oltre ad agire come antin-fi ammatori, svolgono atti-vità antidolorifi ca ed anti-piretica, ovvero combat-tono il dolore e la febbre. Per queste loro proprietà, vengono frequentemente prescritti nella terapia del dolore di numerose malat-tie del sistema muscolo-scheletrico, fra cui l’ artrosi.Questo spiega come maiquesta classe di farmaci sia tra le più utilizzate a livello mondiale.

Sebbene gli eventi avver-si più frequenti di questi farmaci siano a carico del tratto gastrointestinale, car-diovascolare e del siste-ma renale, alcuni individui possono sviluppare un danno epatico di tipo “idio-sincrasico”, ossia si verifi -ca un’ eccessiva e violen-ta reazione quando entra-no in contatto con questa sostanza, con effetti gra-vi, a volte anche mortali, a carico del fegato.Un caso particolare è quel-lo della nimesulide, che non è mai stata commer-

cializzata in alcuni paesi e ritirata dal mercato in altri. Anche se il rappor-to rischio/benefi cio ha mostrato un profi lo favo-revole, in linea con le in-dicazioni dell’Agenzia di Medicina Europea (EMA), nel nostro paese sono state applicate restrizioni che riguardano le indica-zioni, formulazioni e la du-rata del trattamento con questo farmaco.

Va specifi cato che gli antinfi ammatori non ste-roidei sono farmaci “sin-tomatici”, ovvero, non cu-rano la malattia ma il sin-tomo. In generale, il con-siglio del medico è quello di limitarne il più possibile l’uso. Tuttavia quando è necessario, sotto control-lo medico, tali farmaci pos-sono essere utilizzati per brevi periodi senza par-ticolari problemi. In par-ticolare, nei soggetti con epatite cronica si posso-no impiegare tutti i farma-ci necessari, mentre la si-tuazione è diversa nella cirrosi, soprattutto avan-zata, dove si devono pos-sibilmente evitare.

Questa raccomandazione vale specie se il trattamen-to si dovesse protrarre nel tempo. In questo caso il paziente deve esser te-nuto sotto stretto control-lo per cogliere eventuali complicazioni che riguar-dano sia la compromissio-ne della funzione epatica

che del possibile sviluppo o peggioramento di dan-no renale, particolarmen-te critico nei pazienti con malattia epatica avanzata.

PatriziaPontissoProfessoreAssociato diMedicina InternaUniversitàdi Padova

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Negli ul-timi anni

per far fronte

alla ca-renza di

organi sempre

maggiore rispetto alle ne-cessità trapiantologiche, la comunità scientifi ca ha ampliato i criteri di scelta verso il prelievo di fegati da donatori “a cuore fer-mo”, cosiddetti “margina-li”, rispetto a quelli classici a cuore battente (in morte cerebrale), aprendo così la sfi da per lo sviluppo di nuove metodiche per la conservazione e la valuta-zione degli organi in modo da ridurre le complicanze del trapianto ed aumenta-re la sopravvivenza. L’e-voluzione dalla semplice conservazione “Statica” in celle frigorifere (Static Cold Storage) alla più re-cente tecnica “Dinamica” con macchine di perfusio-ne ipotermica (Hypother-mic Machine Perfusion), cioè con liquidi a bassa temperatura (4-6°C), ha segnato un punto di svolta in tal senso portando a no-tevoli risultati in termini di maggiore sopravvivenza e minor malfunzionamento precoce dell’organo.Tuttavia l’ipotermia può portare con sé problema-tiche legate al raffredda-mento e può solo ridurre, ma non cancellare i danni dalla ridotta ossigenazio-ne del fegato nel donatore

COSA

C’È

DI N

UOVO Il trapianto di fegato:

un nuovo emozionante futuroIl trapianto di fegato:un nuovo emozionante futuroIl trapianto di fegato:

Elia VettoreMedico

specializzando in Medicina

Interna Università di Padova

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a cuore fermo. Per que-sto, in risposta alla neces-sità di un sistema di con-servazione più fi siologico, è stata messa a punto dai ricercatori del Massa-chusset General Hospital una macchina di perfu-sione “normotermica” che permette di irrorare il fe-gato da trapiantare con un liquido a temperatura am-biente (TC 37°C) arricchi-to di ossigeno, nutrienti e antiossidanti. I ricercatori hanno testato tale siste-ma in laboratorio su sette fegati di soggetti a cuore fermo e due da donatori in morte cerebrale riscon-trando, dopo circa tre ore di perfusione, la produzio-ne di bile, albumina e altre sostanze a testimonianza della vitalità degli organi, superiore rispetto a quel-la ottenuta con altre tec-niche di conservazione. Questo primo successo in laboratorio ha aperto le porte verso la sperimenta-zione clinica in molti centri trapianto a livello mondia-le ottenendo risultati mol-

to promettenti. Tale metodica potrebbe quindi consentire non solo una maggior fi nestra di tempo per valutare gli or-gani da trapiantare, ma anche un recupero di quei fegati che fi no ad oggi ri-tenevamo “inutilizzabili”, migliorando non solo la quantità, ma anche la “qua-lità” ed aprendo così le porte ad una nuova ed en-tusiasmante era trapian-tologica.

Hunter JP et Al, An exciting new era in donor organ pre-servation and transplanta-tion: assess, condition, and repair, Transplantation 2016; 100 (9):1801-2.Bruinsma BG et al, Subnor-mothermic Machine Perfu-sion for Ex Vivo Preservation and Recovery of the Human Liver for Transplantation, Am J Transplant. 2014 Apr 23Barbas AS et Al, Expan-ding the donor pool with normothermic ex vivo li-ver perfusion: the future is now, Am J Transplant 2016;16(11):3075-3076

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DALLA

PART

E DEL

PAZI

ENTEPrime rifl essioni sulla legge

che introduce il “Biotestamento”Prime rifl essioni sulla legge

che introduce il “Biotestamento”Prime rifl essioni sulla legge

Questa volta la scelta

dell’argo-mento daproporre

nella nostra

rubrica è praticamente ob-bligata: è appena statapubblicata la legge n. 219/2017 l che i media hanno sbrigativamente de-fi nito del “Biotestamento”.Avevamo già avuto oc-casione di parlarne nel numero di agosto. Le ri-fl essioni che allora erano state proposte (sul signifi -cato della “pianifi cazione condivisa delle cure”) ri-mangono pienamente va-lide. Ma ora vale la pena di riprendere passo pas-so la nuova legge, co-minciando, in questo nu-mero, dal suo articolo 1, dedicato al “consenso informato”. Va detto su-bito che la prospettiva che questo testo propone ci consente di rivedere in modo nuovo il titolo stes-so di questa rubrica: non più solo “dalla parte del paziente” ma contestual-mente anche “dalla parte del medico” perché en-trambi sono i protagoni-sti della relazione di cura.Quello che viene descrit-to può essere letto come la trama di un colloquio tra persona ammalata e chi la cura, un colloquio fatto – appunto – da un alternarsi di domande e risposte, di richieste e in-

formazioni ma che hanno tutte un comune terreno di confronto, basato sul-la fi ducia reciproca e che richiede anche la pazien-za di saper comprende-re (da entrambe le parti) quello che l’interlocutore intende esprimere, an-che con il suo “linguag-gio non verbale”. Centrale in questa visione risulta l’affermazione (par.8): “Il tempo della comunicazio-ne tra medico e pazien-te costituisce tempo di cura”, formulazione stra-ordinariamente felice che trova la sua origine nel Codice di Deontologia Medica (art. 2).Il “consenso” (par. 2) vienedescritto come espres-sione della “relazione di cura e di fi ducia tra pa-ziente e medico” in un incontro tra l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autono-mia professionale e la re-sponsabilità del medico”. Altro che la burocratica ri-chiesta di una fi rma sotto un modulo prestampato!Il diritto di ogni paziente (anzi: di “ogni persona”) di aver conoscenza delle proprie condizioni di sa-lute è così articolato: “es-sere informato in modo completo, aggiornato e comprensibile riguardo alla diagnosi, alla progno-si, ai benefi ci e ai rischi degli accertamenti dia-gnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonchè ri-guardo alle possibili alter-

native e alle conseguen-ze dell’eventuale rifi utodel trattamento sanitario e dell’accertamento dia-gnostico o della rinuncia ai medesimi”.Al diritto al consenso cor-risponde anche (par. 5) “il diritto a rifi utare, in tutto o in parte, qualsiasi ac-certamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o sin-goli atti del trattamento stesso”. Ma non dobbia-mo pensare alla scelta di una persona lasciata sola: la responsabilità del medico, quando si pro-spetti la possibilità di unrifi uto, appare particolar-mente rilevante, perchè– pur rispettando l’auto-nomia decisionale conclu-siva - è sulla informazioneadeguata ed esauriente cheche la comunicazione (“tem-po di cura”) deve soffer-marsi.Ponendoci “dalla parte del medico”, è evidente che queste indicazioni norma-tive esigono una forma-zione adeguata. Ora la leg-ge (parr. 9 e 10) non solo lo auspica ma la esige (“garantisce”). Ma la for-mazione presuppone che essa sia affi data ed, a sua volta, “garantita” da for-matori preparati e compe-tenti non solo sugli aspetti tecnici ma anche, e sopra-tutto, relazionali ed etico- deontologici.

Paolo BencioliniProfessore Ordinario di Medicina LegaleUniversitàdi Padova

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FEGA

TO E

DINT

ORNI Pillola spagnola

Bar Sole, 2 gennaio. Gior-gio, Marcello e barista per l’aperitivo delle 13. Giorgio improvvisa un brindisi: “Il primo di una lunga serie, Mirko!” “Ci conti dottore. Conserva le buone abitudi-ni, diceva mio nonno; e io non le perdo.” “Speriamo. Anche mio padre ripeteva parole simili molti anni fa.” “Molti.. quanti?” “Eh tanti. Era un ragazzo del ’99.” “Però! Sono leggenda quei ragazzi.” “Vero! Diciottenni mandati al fronte dopo la disfatta di Caporetto. Han-no fermato la rotta sul Pia-ve e salvato l’Italia.” “Tuo padre sul Piave?” chiede Marcello.” “Non proprio. È stato 10 mesi sul Grap-pa.” “Neanche una ferita o un congelamento?” “Ha ri-portato salva la buccia, ma nel ’19 si è beccato la spa-gnola.” “Poveraccio.. Dalla padella alla brace!” “Già. Però ha vinto pure quella.” “Forte! -sbotta Mirko- E poi?” “Poi tre anni di duro lavoro per rimettere in se-sto casa, campi, stalla. Nel ‘22 si sposò; e io sono l’ul-timo dei suoi 11 fi gli.” Esita un po’ il barista: “Tutti 11 con quella vinta, dotto-re?” Giorgio lo squadra, capisce, e sorride: “Sba-gli spagnola Mirko. Mio padre, non ha preso una donna, ma la peste più letale degli ultimi cinque secoli prima dell’AIDS.” “Scoppiata in Spagna?” “No. Fu detta spagnola perché durante la guerra ne parlarono solo i giornali

iberici esenti da censure. E il loro re Alfonso XIII la contrasse tra i primi. Ven-ne in Europa con le trup-pe americane nell’inverno ’17-18. La guerra era allo snodo decisivo e tutti ten-nero nascosta al nemico un’infl uenza che decimava le truppe; fi no all’agosto 1918, quando si cominciò a morire ovunque senza scampo. “Cure?” “Nulla di effi cace. Gli antibioti-ci non erano ancora stati scoperti; e il nuovo virus, mai neppure ipotizzato pri-ma, colpiva troppi individui giovani, tra i 20 e i 40 anni. Spesso persone in ottima salute fi no al giorno pri-ma.” “Ma.. cosa si vede-

va?” “Le cronache descri-vono improvvisi attacchi di febbre e vomito; pol-moni pieni di sangue che usciva da bocca, naso e orecchie; se la pelle diven-tava bluastra il poveraccio soffocava. Tutto in fretta: 4 o 5 giorni per guarire o morire. Dal 1918 al 1920, la spagnola ha fatto mol-te più vittime della guerra mondiale appena fi nita. Si stima tra i 50 e i 100 milio-ni.” “Misericordia, dottore! Ma secondo lei qualcosa di simile, oggi, potrebbe accadere?” “Bella doman-da, Mirko! Sempre mio padre diceva: si fa male a pensar male, ma spesso ci si indovina.”

Gabriele Bacilieri

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La vignetta di Franco Ferlini Gli insetti:ovvero gli affettuosi proteici piatti del futuro!

Che goduria!Addio al maldi fegato (?)

ovvero gli affettuosi proteici piatti del futuro!ovvero gli affettuosi proteici piatti del futuro!ovvero gli affettuosi proteici piatti del futuro!

Che goduria!Addio al mal

ovvero gli affettuosi proteici piatti del futuro!ovvero gli affettuosi proteici piatti del futuro!ovvero gli affettuosi proteici piatti del futuro!

Che goduria!Che goduria!

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IL FE

GATO

NEL

LA S

TORIA

DEL

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Storia di un Eponimo: le Cellule di Kupffer

Karl Wilhelm von Kupf-fer (1929-1902) è passato alla storia per la scoperta dei macrofagi residenti nel microcircolo epatico (c.d. “cellule di Kupffer”). Come spesso accade nella Sto-ria della Medicina, la sua scoperta fu tuttavia invo-lontaria e frutto di un prov-videnziale errore!Laureatosi in Medicina presso l’Università di Dor-patt (oggi Tartu, in Esto-nia), Kupffer lavorò per qualche tempo come me-dico condotto. Si rese tut-tavia ben presto conto che il suo vero interesse era l’anatomia, lasciò la prati-ca clinica e dedicò il resto della sua carriera allo stu-dio della neuroanatomia e dell’embriologia umana. Fu professore presso le università di Dorpatt, Kiel, Köninsberg e Monaco. A Köninsberg, ebbe tra l’al-tro l’occasione di studiare il cranio del celebre fi loso-fo Immanuel Kant, apposi-tamente prelevato durante una ricognizione della sua salma. Le ricerche neuroanatomi-che di Kupffer lo portarono ad interessarsi dell’innerva-zione del fegato. Per docu-mentare l’esistenza di ner-vi intra-epatici, egli colorò alcune sezioni di fegato con cloruro d’oro. Tale co-lorazione non dimostrò la presenza di fi bre nervose, ma mise fortuitamente in evidenza “cellule di forma stellata” presso i sinusoi-di epatici. Kupffer non era

sicuro della natura e della precisa sede anatomica di queste cellule, tanto che negli anni formulò ipote-si interpretative differenti. Inizialmente, considerò tali cellule un’impalcatu-ra stromale disposta al di fuori del circolo epatico. Successivamente cambiò idea, ipotizzando che le cellule stellate risiedesse-ro dentro i sinusoidi e fos-sero in grado di fagocitare particelle circolanti.Dunque, quale delle due osservazioni era corret-ta? Le cellule descritte da Kupffer sono attorno ai si-nusoidi epatici o si trovano al loro interno? Con un col-po di scena piuttosto raro nella Storia della Scien-za, entrambe le ipotesi si sono dimostrate corrette. Recenti studi hanno infatti dimostrato che i sali di oro utilizzati da Kupffer met-tono in evidenza non uno, ma ben due tipi di cellule: (i) macrofagi intra-sinusoi-dali, oggi universalmente noti con l’eponimo di “cel-lule di Kupffer”; e (ii) cel-lule peri-sinusoidali sottili e ramifi cate, oggi indica-te con il nome di “cellule stellate” o “cellule di Ito”. Se le “cellule di Kupffer” svolgono funzioni fagoci-tiche, riconoscendo e in-ternalizzando particelle o cellule esogene, le “cellule di Ito” contengono vitami-na A e svolgono un ruolo patogenetico essenziale nella fi brosi e nella cirrosi epatica.

Al di là delle giustifi cabili inesattezze interpretative di Kupffer, la sua scoper-ta ebbe un enorme valore nella storia dell’anatomia e della fi siologia umana. Essa infatti contribuì alla formulazione della teo-ria del “sistema reticolo-endoteliale”, secondo cui macrofagi e cellule endo-teliali hanno origine e fun-zioni biologiche affi ni. Tale teoria rimase valida per tut-to l’Ottocento e per buona parte del Novecento. Fu solo nel 1970 che studi di microscopia elettronica ne dimostrarono l’inesat-tezza. Oggi sappiamo che istiociti e macrofagi (al cui gruppo appartengono an-che le “cellule di Kupffer”) originano da precursori emopoietici che circolano nel sangue sotto forma di monociti. Tutt’altra origine embriologica sembrano invece avere le cellule en-doteliali.La storia del professor von Kupffer merita certamente di essere ricordata, poi-ché dimostra che anche un errore può contribuire a grandi progressi nelle conoscenze anatomiche e mediche. Decisamente molte cose possono na-scondersi dietro un sem-plice eponimo!

Marco PizziAnatomopatologo, Dottorando di Scienze Biomediche SperimentaliUniversità di Padova

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ALE Essere anziani oggi

Il tempo passa, cambiano i modi di vivere, cambia il mondo. Non si può fer-mare il progresso, occorre adeguarsi ai cambiamenti della tecnica, della socie-tà, della vita. L’anziano non è fatto per cambia-re, il giovane è fatto per cambiare. L’anziano ha le sue abitudini, l’anziano ha imparato a vivere decenni fa, conosce (e ha forma-to) il suo mondo, che però ora gli sfugge di mano, cambia.

L’anziano vive il mondo di oggi con i pensieri, le abitudini, le competenze di decenni prima. Sempre di più, con un progresso che si fa di giorno in gior-no più rapido e pervasi-vo, l’anziano perde i suoi punti di riferimento, anche se contemporaneamen-te guadagna in termini di

benessere e di salute.Il guadagno del benes-sere è legato alle possi-bilità sempre più diffuse di vivere meglio perché si dispone di riscalda-mento/condizionamen-to della temperatura, di mezzi di comunicazione sempre più alla portata di tutti, di informazioni sempre più precise ed at-tuali. Tutto questo facilita la vita dell’anziano oggi. Ma il prezzo che l’anziano paga per questo benes-sere non è certamente ri-compensato dal ridimen-sionamento della società nella quale vive. Infatti, la famiglia ed i punti di riferi-mento storici (parrocchia, medico di famiglia, vicini di casa) si stanno rapi-damente modifi cando e l’anziano si vede proporre al loro posto il centro diur-no o l’assistente sociale.

Ma l’anziano oggi è anche una persona che ha sapu-to superare molte diffi col-tà grazie al suo spirito di sacrificio/sopportazione, vive la sua nuova dimen-sione sociale con la spe-ranza che tutto questo non peggiori la sua qua-lità di vita. Perché è que-sto il bene maggiore che resta all’anziano oggi: la qualità di vita, che è l’in-sieme di tutte le condizio-ni intrinseche al soggetto, e proprie della società, che rendono la vita anco-ra piacevole.

Una malattia acuta o, an-cora peggio, una malattia cronica sono rispettiva-mente oggi guaribili o cu-rabili. La medicina ha fat-to enormi progressi negli ultimi decenni e ad essa va ascritta una buona parte del prolungamento

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Enzo ManzatoProfessore di

Medicina InternaGeriatria,

Universitàdi Padova

La qualità di vita dell’anziano è determinata dalle condizioni di salutee dalla capacità di indipendenza nella vita quotidiana

La qualità di vita dell’anziano è determinata dalle condizioni di salute e dalla capacità di indipendenza nella vita quo7diana.

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dell’aspettativa di vita. Ma c’è una cosa ben peggio-re delle malattie che oggi preoccupa l’anziano ed è la disabilità.

Disabilità è l’incapacità di una persona di bada-re in modo autonomo a se stessa: la incapaci-tà di fare quelle piccole/banali azioni della vita di tutti i giorni (lavarsi, ve-stirsi, mangiare, andare in bagno) che rendono una persona indipendente da-gli altri.

L’essere disabile preoc-cupa l’anziano, più della grave malattia, che spes-so l’anziano affronta, a seconda dei casi, con co-raggio o con rassegnazio-ne.

La disabilità preoccupa l’anziano perché signifi -ca peggiorare la propria qualità di vita, perché l’anziano sa che, anche se può contare sulla me-dicina (che arriva ad offri-re un trapianto d’organo a persone di età avanzata, tanto avanzata che solo qualche anno fa non sa-rebbe stato neanche pen-sabile) al tempo stesso sa che la solidarietà interge-nerazionale si va progres-sivamente perdendo in questa società che cam-bia.

L’anziano oggi può es-sere una risorsa (di sag-gezza, di competenza, di esperienza, talora fi nanco economica) per le gene-

razioni più giovani. Ma è sempre più necessario che le giovani generazioni rifl ettano su cosa vuol dire essere anziano oggi e che al tempo stesso gli anzia-ni cerchino di adeguarsi (sfruttando le nuove risor-se) al mondo di oggi che rapidamente cambia.

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