4 LE ALI DELLA SOLIDARIETÀ · Direzione Nazionale delle Pontificie Opere Missionarie Via Aurelia,...

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MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA ANNO XXII • APRILE 2008 MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA In caso di mancato recapito, restituire all’Ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA Rivista delle Pontificie Opere Missionarie • Poste Italiane S.p.A. – Sped. in abb. post. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46), art. 1, comma 2, DCB Roma • Euro 2,00 4 LE ALI DELLA SOLIDARIETÀ

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MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA ANNO XXII • APRILE 2008MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIAMENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIAIn

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MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA

Rivista delle Pontificie Opere Missionarie • Poste Italiane S.p.A. – Sped. in abb. post. – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46), art. 1, comma 2, DCB Roma • Euro 2,00

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LE ALI DELLASOLIDARIETÀ

Direzione Nazionale delle Pontificie Opere MissionarieVia Aurelia, 796 – 00165 Roma.

Don Gianni Cesena, Direttore

Dr. Tommaso Galizia, Vice Direttore

Don Andrea Sbarbada, Segretario Nazionale dell’Opera per la Propagazione

della Fede (C.C.P. 63062723)

Padre Ciro Biondi, Segretario Nazionale dell’Opera di San Pietro Apostolo

(C.C.P. 63062772) e della Pontificia Unione Missionaria (C.C.P. 63062525)

Padre Pietro Pierobon, Segretario Nazionale dell’Opera

dell’Infanzia Missionaria (C.C.P. 63062632)

Rocco Negri, Segretario Nazionale del Movimento Giovanile Missionario

(C.C.P. 63062855)

Numeri telefonici PP.OO.MM.Segreteria di Direzione 06/6650261

Amministrazione 06/66502628/9

P. Opera Propagazione della Fede 06/66502626/7

P. Opera S. Pietro Apostolo 06/66502621/2

P. Opera Infanzia Missionaria 06/66502645/6

P. Unione Missionaria 06/66502643

Movimento Giovanile Miss. 06/66502640

Opera Apostolica 06/66502641

Fax 06/66410314

“Popoli e Missione”Centralino 06/6650261

Direzione e Redazione 06/66502623/4

Settore abbonamenti 06/66502632

Fax 06/66410314

Indirizzi e-mailPresidente [email protected]

Direttore [email protected]

Tesoriere [email protected]

Segreteria [email protected]

Propagaz. della Fede [email protected]

S. Pietro Apostolo [email protected]

Infanzia Missionaria [email protected]

Unione Mission. Clero [email protected]

Opera Apostolica [email protected]

Mov. Giovanile Miss. [email protected]

Popoli e Missione (Redazione) [email protected]

Popoli e Missione (Direttore) [email protected]

Abbonamenti [email protected]

Amministrazione [email protected]

[email protected]

Servizio informatico [email protected]

INTENZIONI SS. MESSEI Missionari e i Sacerdoti delle giovani Chiese ringraziano per l’invio di offerte per la celebrazione di Sante Messe.

La Direzione delle Pontificie Opere Missionarie raccomanda questo gesto di carità e di comunionecon chi serve la Chiesa nei luoghi di prima evangelizzazione.

Sul ccp n. 63062855 specificare: SS. MESSE PER I MISSIONARI

QUOTE ABBONAMENTI RIVISTE ANNO 2008

POPOLI E MISSIONE – c.c.p. n. 70031968

Abb. individuale Euro 20,00

Abb. collettivo Euro 16,00

Abb. benemerito Euro 25,00

Abb. estero Euro 40,00

IL PONTE D’ORO – c.c.p. n. 85134625

Abb. individuale Euro 11,00

Abb. collettivo Euro 8,00

Abb. estero Euro 26,00

MONDO E MISSIONE (SOCI P.U.M.C.)

– c.c.p. n. 63062525

Iscrizione con rivista Euro 30,00

Iscrizione estero Euro 50,00

E R E D I T À E L A S C I T I

È possibile destinare eredità e lascitialle Pontificie Opere Missionarie, legalmenterappresentate dalla “Fondazione di ReligioneMISSIO” con sede in Via Aurelia 796 – 00165 Roma.Si consiglia di rivolgersi a tale scopoal proprio notaio di fiducia o alla Direzionenazionale delle Pontificie Opere Missionarie.A quanti hanno già fatto testamentoa favore delle medesime Opereindicando la sede di Via di Propaganda 1,si consiglia vivamente di provvederealle opportune rettificheindicando la nuova sede di Via Aurelia 796.

BANCA ETICA • CONTO FONDAZIONE DI RELIGIONE MISSIO • CIN I • ABI 05018 • CAB 03200 • C/C 115511 • Cod. IBAN IT 55 I 05018 03200 000000115511

Si avvisa che da marzo 2008 il conto corrente postale su cui versare la quota di abbonamento annuo è cambiato. Il nuovo ccp è il n. 70031968 intestato a POPOLI E MISSIONE

MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIAReg. Trib. Roma n. 302 del 17-6-86. Con approvazione ecclesiastica.Editore: Associazione Amici della Propaganda MissionariaPresidente: GIUSEPPE PELLEGRINILa rivista è promossa dalle Pontificie Opere Missionarie.Direttore responsabile: GIULIO ALBANESERedazione: Miela Fagiolo D’Attilia (Redattrice), Chiara Pellicci.Hanno collaborato a questo numero:Agenzia Fides, Agenzia Misna, Chiara Anguissola, AsiaNews,Luciano Bertozzi, Francesco Ceriotti, Franz Coriasco,Gianluigi De Palo, Lorenzo Fazzini,Emanuele Giordana, Laura Malandrino,Serena Olcuire, Massimo Ruggero, Angelo Sceppacerca.Progetto grafico e impaginazione: Giancarlo Olcuire.In copertina: l’atterraggio di un aereo della flotta Flying doctorsin un villaggio sperduto del Kenya (Archivio fotografico AMREF).

Foto: Giuseppe Andreozzi, AP Photo/Themba Hadebe – Claude Paris – Obed Zilwa, Archivio fotografico AMREF, Archivio PP.OO.MM.,Jaime Calvera, Comboni Press, Vito Del Prete, Giuseppe Dovigo,Silvia Garau, Cristian Gennari, Lettera 22, Laura Malandrino,Arnaldo Negri, Chiara Pellicci, Alessio Petrucci, Carlos Rodriguez Soto,Vito Scagliuso, Angelo Sceppacerca, Romano Siciliani.Redazione e Amministrazione: Via Aurelia, 796 – 00165 Roma.Abbonamenti: Tel. 06/66502632.Abbonamento annuale 2008: Individuale € 20,00; Collettivo € 16,00;Benemerito € 25,00; Estero € 40,00. C.C.P. 70031968 intestatoa “Popoli e Missione” – Via Aurelia, 796 – 00165 Roma.Stampa: Tipografia Sograro – Via Pettinengo, 39 – Roma.

Manoscritti e fotografie anche se non pubblicati non si restituiscono.

Mensile associato alla FeSMI e all’USPI, Unione Stampa Periodica Italiana.Chiuso in tipografia il 7-3-2008.

NOTIZIENEL CASSETTOdi GIULIO ALBANESE

1 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

EDITORIALE

Già nel 1840, uno scrittore come Balzac metteva in guardiacontro lo strapotere dei signori dell’informazione. «Lagente crede che siano molti i giornali, ma in definitiva cen’è uno solo. Ciascuno dipinge in bianco, in verde, in

rosso, o in blu la notizia che gli manda il signor Havas». Da allora lecose non sono cambiate granché. Quello che gli organi d’informazione lasciano filtrare – e che poi sia-mo costretti a digerire di primo mattino con il cappuccino o alla serain poltrona – sono sempre più o meno le stesse cose: cambia la collo-cazione, per così dire del “soggetto-verbo-complemento”. A parole siafferma che viviamo nel “villaggio globale”, dove le informazioni do-vrebbero schizzare alla velocità della luce, grazie alle innovazioni dellamoderna tecnologia. Eppure, ironia della sorte, sono davvero pochicoloro che conoscono la sanguinosa cronaca di Mogadiscio, la capita-le somala dove si combatte di casa in casa e la popolazione locale è or-mai allo stremo. Salvo rarissime eccezioni, i grandi mezzi di informazione sembrano a-ver del tutto smarrito la loro funzione originaria scegliendo forme e-dulcorate per presentare le notizie, personalizzando le questioni, ac-centuandone gli aspetti di gossip, rinunciando all’inchiesta e agli ap-profondimenti.Dal nostro punto di vista, come missionari, crediamo che la sfida con-sista nel riconciliare le esigenze del mercato massmediale con la sferadei valori, troppe volte lasciata nel cassetto. “In-formare”, ricordiamo-lo, significa letteralmente “dare forma”, “plasmare, modellare secondouna determinata forma, struttura”. Purtroppo oggi il prefisso “In” è ne-gativo anziché accrescitivo come era originariamente. Ne risulta percontrasto una realtà “in-forme”, “in-formale”… Ma l’informazione,nell’accezione positiva del termine, è la notizia, il dato che fornisce e-lementi di conoscenza, cioè che informa su qualcosa. In fondo, come cristiani, abbiamo tutti bisogno di soddisfare la neces-sità istintiva di vedere, toccare, sentire qualcosa che sia più aderentealla nostra quotidianità di cittadini del mondo. La nostra rivista, Po-poli e Missione, esiste proprio per raccontare gli accadimenti del Suddel Mondo e la vita straordinaria delle giovani Chiese. ❏

Notizie nel cassettodi Giulio Albanese

AMREF

In volo sull’Africada 50 annidi Miela Fagiolo D’Attilia

AFGHANISTAN

Il gelido inverno di Kabuldi Emanuele Giordana

FRATEL ARTURO PAOLI

Il piccolo viandante di Gesùdi Chiara Pellicci

IMMIGRAZIONE

Il sogno di Rosydi Gianluigi De Palo

MONDO CAPOVOLTO

di Gianluigi De Palo

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a cura delle Agenzie Fides,Misna e AsiaNews

UN CALCIO AI PROBLEMI

di GianluigiDe Palo

Campionidel SudIntervistaa GiancarloLa Vella

INDICE

EDITORIALE

Pag. 29. Squadre nel torneo di calcio della Missione di Lungi, in Sierra Leone.

Pag. 48. Missionarie italiane in Giappone.

Pag. 51. N’Djamena (Ciad): Messa domenicale presieduta da Padre Renzo Piazza.

Pag. 38. Congo: i Vescovi di Noto e di Butembo-Beni, Mons. Mariano Crociatae Mons. Melchisedech Sikuli, celebrano il 20°anniversario del gemellaggio tra le diocesi.

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ATTUALITÀ

L’INTERVISTA

ITALIA A COLORI

BUONE NOTIZIE

DOSSIER

PRIMO PIANO

2POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

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Pag. 10. Afghanistan: lavori di ricostruzione della rete fognaria a Kabul.Nonostante gli ingenti investimenti della comunità internazionale,i risultati si vedono poco.

Pag. 10. Un’assemblea di capi tribali. La “jirga” è il momento del dialogo nell’Afghanistan tradizionale.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ VITA DELLE PP.OO.MM.

RUBRICHE

SRI LANKA 2008Continuauna bella storiadi Angelo Sceppacerca

LIBRI

Una storia africanaritrovatadi Chiara Anguissola

Con i segni della torturadi C.A.

CINEMA

Il giardiniere tenacedi Miela Fagiolo D’Attilia

MUSICA

Kronomakia.La battaglia del tempodi Franz Coriasco

ARTI E TRADIZIONI

Gnawa:musica mistica, musica modernadi Serena Olcuire

VETRINA DELL’ECO-EQUO

Qualcosa per la casadi S.O.

INDICE

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INTENZIONE MISSIONARIA

Il Vangelo che risanadi Francesco Ceriotti

REPUBBLICA DEMOCRATICA

DEL CONGO

Butembo – Nord Kivu.Non c’è tempo da perderedi Laura Malandrino

BAMBINI-SOLDATO

Piccole recluteper guerre nascostedi Luciano Bertozzi

A CASA DEI PROFETI

di Chiara Pellicci

MINORANZE CRISTIANE

La Chiesa in Giappone.L’alba della fededi Lorenzo Fazzini

POSTA DEI MISSIONARI

«Ho sposato questa gente»a cura di Chiara Pellicci

3 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

AVVISO AI LETTORI

RITARDI POSTALI

A causa dei problemi postalidegli ultimi mesi, abbiamo riscontrato che la nostra rivista può subire ritardi nella consegna.

Siamo a conoscenza di questa spiacevole circostanza, indipendentedalla nostra volontà, e chiediamo cortesemente di pazientare, nella speranzache in tempi brevi tutto torni alla normalità.

AMREFPRIMO PIANO

4POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008 4

I Flying doctors pattugliano i cieli del Kenya e di altri Paesi del Corno d’Africa per portare aiuto ai malati dei villaggi.

Salvare vite umane: un’avventura straordinaria.

IN VOLOSULL’AFRICA

DA 50 ANNI

IN VOLOSULL’AFRICA

DA 50 ANNI

di MIELA FAGIOLO D’ATTILIA

PRIMO PIANO

5 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

A«S

e vuoi essere unbuon dottore inAfrica devi an-dare dal tuo pa-

ziente; se aspetti che lui vengada te, è morto». Michael Woodsigla così la sua biografia Go anextra mile in cui racconta la suavita intensa come un romanzo.Affermato chirurgo inglese, clas-se 1918, per motivi di salute,Wood decide nel 1957 di trasfe-rirsi ad esercitare la sua profes-

sione sui più salubri altopiani delKenya. Pilota il suo piccolo aereosotto i rossi cieli d’Africa e fer-mandosi di villaggio in villaggioresta impressionato dall’assenza distrutture sanitarie, dall’isolamentoin cui molti malati muoiono senzaavere mai visto un dottore.In Kenya, colonia britannica tra-vagliata da conflitti tribali, gli o-spedali sono pochi e difficilmenteraggiungibili: le epidemie dilaga-no in molti gruppi di pastori no-madi causando centinaia di vitti-me soprattutto tra i bambini. Mi-chael Wood sente l’urgenza di ri-spondere ai bisogni di quelle po-

polazioni e i suoi voli diventanosempre più frequenti. In questastraordinaria avventura umana eprofessionale lo seguono due ami-ci e colleghi, Archibald McIndoee Thomas Rees, entrambi inna-morati dell’Africa. Intanto si spar-ge la voce che tre muzumbu, treuomini bianchi, scendono dal cie-lo per curare i malati: sono iFlying doctors, i “dottori uccello”o, come preferivano farsi chiama-re, secondo la definizione inswahili “Datari ya Ndege”, i “dot-tori con le ali”.La scelta di Wood è ormai defini-

tiva, come quella dei suoi compa-gni: hanno inventato un modoavventuroso e fantasioso di faremedicina, ma efficace perché amisura dei bisogni locali. Atter-raggi d’emergenza, “incursioni”sanitarie, trasporti di ammalati evite salvate sono all’ordine delgiorno, ma ben presto i contatticon le autorità locali li portano astabilire visite più regolari con ivillaggi del territorio.

I “DOTTORI UCCELLO”VOLANO ALTOWood si impegna in campagne diraccolta fondi per sostenere laneonata associazione Amref, Afri-can Medical and Research Foun-dation.La moglie di Tom Rees, la bellaNan, fotomodella negli anni ‘50,organizza un concerto di MilesDavis, la leggenda vivente del jazzalla Carnegie Hall di New York, ilcui ricavato va a sostenere l’atti-vità dei Flying Doctors. Solo la pri-ma di una serie di iniziative che

Qui sopra uno dei ragazzi curati dai Flying doctors: «Se vuoi essere un buon dottore in Africa, devi andare dal tuo paziente; se aspettiche lui venga da te, è morto».

A destra apparecchiature mediche a bordo di un aereo dei Flying doctors.

A pag. 4 e 5 la flotta dei Flyingdoctors: uomini e mezzi (tutte le foto sono dell’Archivio fotografico AMREF).

PRIMO PIANO

6POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

coinvolgono il mondo dello spet-tacolo nel sostegno di questo im-pegno per la gente d’Africa. Sem-pre all’insegna della concretezza.Del resto il padre di Tom (natonel 1927 da famiglia mormona) e-ra solito dirgli: qualunque mestie-re tu scelga, cerca di fare qualcosaper gli altri.La stessa passione umanitariaspinge anche il terzo amico, l’au-straliano Archibald McIndoe,chirurgo plastico ed ex pilota del-la Royal Air Force, a trasferirsi al-le pendici del Kilimangiaro.Ora la flotta del servizio SpecialistOutreach Service (S.O.S.) può

decollare offrendo un serviziosempre più assiduo alle aree remo-te sia per la cura dei malati cheper la formazione del personaleparamedico.

IL RADAR DELLA SOLIDARIETÀCon gli anni, questo originaleprogramma sanitario si è gradual-mente diffuso, strutturandosi in u-na serie di attività ed oggi si è e-steso fino a coprire un’area sem-pre più vasta, che comprendemolti ospedali, in luoghi remotidel Kenya, Uganda, Tanzania, So-malia e Sudan meridionale. Sui

piccoli aerei che ronzano sopra ivillaggi ci sono quasi tutti dottoriafricani, che hanno seguito l’e-sempio di Michael Wood (rima-sto Direttore di Flying doctors finoal 1988).Dopo mezzo secolo di attività,Amref – la principale organizza-zione sanitaria senza fini di lucropresente in Africa orientale –vanta cifre importanti: 700 perso-ne impiegate, di cui il 97% africa-ne, coinvolte in 140 progetti spar-si tra 22 Paesi. Centinaia di mi-

gliaia i pazienti soccorsi, vaccina-ti, curati e operati ogni anno.Tanti i premi raccolti, tra cui ilGates Award for Global Healthdella Fondazione Bill e MelindaGates, l’Hilton Foudation Huma-nitarian Prize, per aver saputo co-struire «...un moderno sistema sa-nitario, diretto e gestito local-mente e accessibile a tutti». Lostile di lavoro dei Flying doctors èquello della formazione perma-nente degli operatori che forni-scono regolarmente cure medi-che, specialistiche e chirurgiche,a tutti i pazienti con problemi cheil personale medico locale non èin grado di risolvere.Grazie ai contatti via radio, anchesu segnalazione di missionari, o-gni ospedale (in tutto 110) vienevisitato almeno quattro voltel’anno, in funzione del nume-ro di pazienti, della sua ubica-

7 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

PRIMO PIANO

zione, del tipo di patologie e del-l’abilità acquisita dallo staff locale.Bettina Madera, Direttore dei ser-vizi di emergenza, spiega comefunziona la staffetta dei dottori:«La centrale radio di Amref ha se-de nel piccolo aeroporto Wilsondi Nairobi. Di qui annunciamo unmese prima l’arrivo di un nostrovelivolo in una determinata zona.Le radio locali rilanciano la noti-zia in modo che la popolazionepossa arrivare al logo convenutoper le visite».

PICCOLA FLOTTANon è difficile immaginare l’in-stancabile via vai dei cinque aereiche compongono la flotta dei dot-tori con le ali. Tutti gli apparecchisono piccole cliniche volanti, do-tate di strumenti medici genericima anche di laboratori per esegui-re le analisi. Microscopi ed altriapparecchi ad elettricità funziona-no grazie a cavetti d’alimentazio-ne applicabili a qualsiasi batte-ria d’auto. Le missioni uma-nitarie richiedono questoed altro.Da pochi mesi uno deivelivoli è dotato di unaincubatrice donata daldipartimento di pe-diatria della BritishColumbia University:diversi prematuri sonoin vita grazie a questaculla termica che hapermesso loro disopravvivere a u-

na morte certa. Di loro si occupaWeston Khisa, ginecologo delKenyatta Hospital di Nairobi, cheperiodicamente offre la sua profes-sionalità al servizio S.O.S. Spessoil dottor Kisha è impegnato in o-perazioni di fistole vaginali, unproblema molto diffuso tra le don-ne del Corno d’Africa sottoposteda bambine alle pratiche di infi-bulazione.Come lui molti altri specialisti so-no impegnati nella formazione dialtro personale medico costrettoad operare in condizioni di emer-genza spesso senza le attrezzaturemediche necessarie. Per loro fun-ziona anche un servizio via radioche fornisce consigli “a distanza” achi cerca di salvare vite umane in

pericolo. Tutti gliinterventi allapopolazione lo-cale sono gra-tuiti, mentre

solo unam i -

noranza di turisti pagano le curericevute.

CINQUANTESIMO COMPLEANNOPER AMREF

Il lavoro dei pionieri è oggidiventato una ri-sorsa per la salutedi migliaia di per-sone. È questa l’e-redità che Amref

PRIMO PIANO

8POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

si porta dietro portando avanti inumerosi progetti non solo in am-bito sanitario ma anche per la tu-tela dell’ambiente (soprattutto peril reperimento e il buon uso del-l’acqua), in difesa di etnie minori-

tarie (i Turkana), per la scolarizza-zione dei minori e per i ragazzi distrada di Nairobi, per gli orfanidella guerra in Nord Uganda e perla promozione dei giovani in SudSudan. Amref ha due sedi, una aNairobi e una a Roma, a significa-re le due anime una a Nord e l’al-tra a Sud della scommessa globaleper il futuro dell’Africa. Ma lamission dell’associazione resta, co-me dice Ilaria Borletti, Presidentedi Amref Italia, quella di «colma-re il divario che emargina i piùpoveri e impedisce loro di accede-re all’assistenza sanitaria... si trattadi lavorare sulle strutture esistentiper renderle efficienti, miglioran-do la formazione del personale lo-cale. Questa è la via per favorirel’autosviluppo dell’Africa. Queldivario, quel gap non significa solomancanza di medici e di ospedali.In quella ferita che lacera le so-cietà africane si annidano moltidanni e pregiudizi contro i più de-boli». ❏

PRIMO PIANO

Qui sopra «Gli aerei sono piccole cliniche volanti, dotate anche di laboratori per eseguire le analisi».

A destra un bimbo trasportato a bordo di un aereo: necessita di un intervento delicato che non può essere realizzato sul posto.

A pag. 8 un Flying doctor conun piccolo paziente (tutte le foto sonodell’Archivio fotografico AMREF).

9 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

di EMANUELE GIORDANA

AFGHANISTANATTUALITÀ

10POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

IL GELIDO INVERNOIL GELIDO INVERNO

Il documento della pre- conferenza della società civile afghana rilancia la proposta italianadi discutere del futuro dell’Afghanistan in un incontro internazionale di pace, utilizzando qualsiasistrumento di dialogo che avanzi una possibilità di pacificazione negoziata.Un segnale importante da non lasciare inascoltato.

Il documento della pre- conferenza della società civile afghana rilancia la proposta italianadi discutere del futuro dell’Afghanistan in un incontro internazionale di pace, utilizzando qualsiasistrumento di dialogo che avanzi una possibilità di pacificazione negoziata.Un segnale importante da non lasciare inascoltato.

ATTUALITÀ

11 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

Afifa Azim è la re-sponsabile di AfghanWomen Network(Awn), una rete di

56 organizzazioni femminili.Azizurrehaman Rafiee dirige

DI KABULDI KABUL

l’Afghan Civil Society Forum(Acsf), che riunisce un’ottantinadi associazioni. Parlano tra loro a-nimatamente e sono tra i protago-nisti della prima conferenza dellasocietà civile afghana, che si è te-nuta a Kabul nel gennaio scorso.Una “pre-conferenza” per la ve-rità, perché, per via dei ripetuti al-larmi sicurezza (rischi di attentati)e per le proibitive condizioni me-teorologiche (anche meno 20°Cin città), dei 500 delegati previstine sono arrivati solo cento.Questo primo incontro della so-cietà civile – Ong, associazioni,accademici e anche piccoli partitipolitici – nasce dall’idea di unapiccola Organizzazione non go-vernativa italiana: PeaceWaves.Impegnata da diversi anni in Af-ghanistan in piccoli progetti dicarattere culturale, aveva pensatoche uno dei problemi principalidel cattivo funzionamento del-l’aiuto internazionale fosse l’esclu-sione degli afghani dalle diverse i-niziative di cooperazione. «Comesi fa – dice Marco Braghero, ilPresidente di PeaceWaves – a ri-costruire un Paese facendo a me-no della sua gente?». Poco finan-ziata e poco conosciuta, per lo piùesclusa dai grandi flussi di finan-ziamento, la società civile afgha-na però esiste. «Ogni anno – diceBraghero – alle università afghanesi iscrivono 600mila persone», unnuovo segmento sociale che si faavanti e chiede di essere protago-nista della rinascita del Paese. Ol-tre le alchimie politiche del Parla-mento, solo in parte decise in Af-ghanistan e frutto di logiche dipotere molto legate agli anni deiconflitti precedenti. Fortemente

inquinate dallo strapotere dei si-gnori della guerra.La scommessa era dunque fornire

a questas o c i e t ànascosta,e pureattiva daa l m e n ovent’an-ni un po’

in tutto il Paese, i mezzi per in-contrarsi e fare massa d’urto. Pea-ceWaves ha cercato e trovato i fi-nanziamenti in Italia per poi pro-porre un primo incontro tra afgha-ni e italiani alla marcia della pacePerugia-Assisi. È stato in quell’oc-casione, nell’ottobre scorso, chealcuni rappresentanti di Ong af-ghane hanno incontrato la “Tavo-la della pace” e poi i firmatari di

12POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

A pag. 10 e 11Afghanistan:tra le macerie di Kabul, bambini e donne. Alcune indossano ancora il burka, tipico abito femminile del regime talebano.

ATTUALITÀ

ATTUALITÀ

13 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

“Afgana”, un documento cui han-no aderito decine di sigle del mo-vimento per la pace italiano.

WWW.AFGANA.ORGIl documento di Afgana (www.afgana.org) chiede al Governo i-taliano alcuni impegni precisi apartire dal superamento delloscontro, polarizzatosi in Italia sul-la dicotomia “soldati sì, soldatino”. Ritiro contro permanenza atutti i costi. L’agenda del docu-mento articolata in alcuni punti(un nuovo mandato per la missio-ne militare, la chiusura di Endu-ring Freedom – la coalizione aguida americana nata nel 2001per cacciare i talebani e mai sciol-ta –, la fine dei bombardamentiindiscriminati e una nuova for-mulazione della politica di coope-

razione) fu presentata agli afghania Perugia. E nacque lì l’idea che ildocumento italiano, per averemaggior forza e ragion d’essere,potesse venir discusso e condivisoin un’assemblea in Afghanistan,dove la società civile locale a-vrebbe potuto dire la sua sulleproposte di quella italiana. Quelluogo poteva ottimamente esserela conferenza di Kabul.

LA SICUREZZA È UN’OSSESSIONEIn una città blindata dove la sicu-rezza è diventata un’ossessione,specie dopo l’assalto di un com-mando kamikaze al santuario dellacomunità internazionale – l’HotelSerena – un gelo senza precedentispira dalle montagne che circon-dano la conca di Kabul. Il freddoha ucciso più delle bombe durantel’inverno rigidissimo con 700 vit-time per congelamento. Gli aller-ta di intelligence, ambasciate e mili-tari si susseguono senza sosta, an-che se agli organizzatori pare stra-no che un centinaio di afghaniimpegnati in azioni umanitariepossano essere un target della guer-riglia. Del resto in questa guerracombattuta a colpi di uominibomba nulla si può escludere:

A sinistraun vecchio e un bambino per le strade di Kabul.

Qui sottoelicotteri militari in volo sulla capitale:anche il cielo ricorda il conflitto.

A pag. 12ciò che resta del Palazzo realedi Kabul dopo le bombe dei mujaheddinche cacciarono l’Urss dal Paese.

14POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

ATTUALITÀ

e se da una parte, proprio la vici-nanza col territorio di questi af-ghani impegnati nella ricostruzio-ne fa loro da scudo, altre volte,accusati di essere al servizio deicolonialisti occidentali, molti diquesti uomini e donne hanno pa-gato con la vita la loro opera diricucitura di un tessuto laceratoda trent’anni di conflitto. Ci so-no ingegneri, mullah, rappresen-tanti dei malik – i capi tribali –giovani studentesse o anziane si-gnore che hanno speso la vita peri diritti delle donne. Rappresen-tano cartelli di associazioni, fo-rum di Ong, piccoli drappelli diintellettuali. La loro storia vieneda lontano. «È cominciata a Pe-shawar negli anni Ottanta» –spiega Massod Khalil, uno deimaggiori responsabili di Ancb(Afghan NGO Coordination Body,cartello di 300 Ong afghane). Al-l’epoca un enorme flusso di fi-nanziamenti arrivava da Stati U-niti, Europa, Arabia Saudita ePakistan per alleviare la sortedelle centinaia di migliaia di pro-fughi proiettati oltre confine dal-la guerra in corso in Afghanistancontro l’invasione sovietica. Ov-viamente, col senno di poi lo sap-piamo bene, gran parte di quei fi-nanziamenti finivano a sostenetei mujaheddin, che in Pakistan or-ganizzavano la resistenza anti-so-vietica e certamente facevanoparte di un’agenda geopolitica“nascosta”, che andava oltre gliafghani e il loro legittimo deside-rio di riappropriarsi del Paese.Non di meno, quell’opportunitàservì a far nascere e crescere leprime associazione non governa-tive afgane. «Poi – spiega Massod

– molte delle persone che aveva-no iniziato a lavorare in Pakistansono tornate in Afghanistan».Con un patrimonio di esperienzae di valori che

volevano applicare nella ricostru-zione del Paese.

L’OPZIONE MILITARELa cacciata dei talebani è stataprobabilmente vista come la mi-glior occasione per ricominciare.Ma adesso alberga negli afghani lagrande disillusione di aver visto glioccidentali investire soprattuttonell’opzione militare. Senza la pre-senza militare – ci dicono gli af-ghani riuniti nella conferenza chesi tiene all’Hotel Intercontinentaldi Kabul – ricostruire la pace nonè possibile. Ma investire solo suquella non ha senso. La critica

principale va verso i bombarda-menti indiscriminati e su un’igno-ranza della presenza della societàcivile che ha finito per favorire la

corruzione, gli sprechi, i progettiscoordinati e soprattutto staccatidalle esigenze della gente. Un fal-limento che adesso riconosconoanche gli stessi comandanti mili-tari e i decisori politici che hannopensato che si potesse pacificarel’Afghanistan solo con il fucile.Non del tutto però: gli americanicontinuano a insistere sull’opzionemilitare, chiedendo ai Paesi chehanno fornito truppe alla Nato diaumentare i contingenti. Ma è stato lo stesso Karzai a spie-gare, in un’intervista a Die Welt,che non si risolverà il conflitto au-mentando le truppe straniere. An-

Nella foto bambiniche frequentano i corsidi pace dell’associazionefemminile Hawca a Kabul: piccoli seminella palude della guerra.

ATTUALITÀ

15 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

che Karzai, che ha mandato un sa-luto alla conferenza, è convinto,come i par-tecipanti

al forum, che sia necessario inve-stire nell’esercito, nella polizia na-zionale e nella ricostruzione civile,partendo dal Paese profondo.Nei due giorni della pre-conferen-za gli afghani hanno discusso tuttiquesti temi e alla fine hanno fattoproprio il documento di Afgana,integrandolo. Un passo importan-te per loro ma anche per gli italia-ni, presenti con una piccola dele-gazione.

DOCUMENTO FINALEIn sostanza il documento finaledella pre-conferenza di Kabulchiede un ruolo più forte per la so-cietà civile afghana e il rilancio diun processo negoziale di pace. Maanche una ridefinizione del man-dato della missione militare e unaparticolare attenzione alle vittimecivili frutto di bombardamenti in-discriminati, alle cui famiglie sichiede venga intanto riconosciutoun indennizzo. Ma gli afghani vo-gliono anche creare un Forum re-gionale della società civile, allar-

gato dunque a diversi attori asiati-ci (Pakistan, Iran e altri Paesi del-l’area) che accompagni e incalzi ilprocesso di pacificazione dell’Af-ghanistan.Durante la discussione gli afghanihanno voluto sottolineare diversipunti del documento italiano e in-serirne altri: non solo un’enfasimaggiore sul problema delle vitti-me civili, ma l’introduzione dinuovi attori e la reintroduzione diantiche istituzioni locali. Il primoè ovviamente la società civile af-ghana, segmento negletto di cui laconferenza ha mostrato invece lavitalità. La reintroduzione di anti-che forme di dialogo e negoziatoriguarda invece la Loya Jirga, latradizionale assemblea, e i consiglidei malik e degli ulema (religiosi).Ma il documento rilancia anche laproposta italiana della Conferenzainternazionale di pace e qualsiasistrumento di dialogo che avanzi u-na possibilità di pacificazione ne-goziata. Un segnale importante danon lasciare inascoltato. ❏

Qui sottogli intervenuti alla pre-conferenzadella società civile afghana, svoltasi a Kabul nel gennaio scorso. Presente al tavolo anche la delegazione italiana di “Afgana”, una rete di associazioni, Ong e accademici italiani che si sforza di indicare una soluzione politica al conflitto.

FRATELARTUROPAOLI

di CHIARA PELLICCI

L’INTERVISTA

16POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

La dedizione per i poveri è sempre stata una costante dei suoi 95 anni di vita,

in qualunque angolo di mondo si trovasse.Amico di Dio

e dei poveri, fratel Arturo ha dedicato la sua esistenza

a “gridare il Vangelo con la vita”, come dice il motto

dei Piccoli fratelli di Charlesde Foucauld a cui appartiene.

Presenza di spicco al Convegno missionario

nazionale dei Seminaristi,che si svolge a Milano

dal 2 al 5 aprile ed è promosso dalla Pontificia

Unione Missionaria,è nella Chiesa una voce

autentica e radicale.

V

Davanti alla Casa delBeato Charles de Fou-cauld, inaugurata neldicembre del 2006 nei

locali annessi alla piccola chiesadi San Martino in Vignale sullecolline lucchesi, la serenità tipicadi chi può fare un bilancio di unalunga vita assistita da Dio e dall’a-more dei fratelli, si respira a pienipolmoni. Sarà perché il silenzio

L’INTERVISTA

17 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE17

IL PICCOLOVIANDANTE

DI GESÙinduce alla tranquillità, la

dolcezza dei colli invitaalla quiete, i poggi

degli uliveti richia-mano la pace, ma

anche e soprat-tutto perché

qui vive fra-tel Arturo

Paoli, unmissio-

nario novantacinquenne dei Pic-coli Fratelli di Charles de Fou-cauld, che ha dato la vita per i po-veri e il Vangelo e che negli ulti-mi anni ha scelto di aprire la sua«tenda» – come la chiama lui – achiunque ricerchi una presenza a-mica, che aiuti nella riflessione enelle scelte.Non l’avrebbe mai pensato, fratelArturo, di stabilirsi definitiva-mente proprio nella diocesi da do-ve la sua vocazione sacerdotalenacque 70 anni fa: entrato nel Se-minario vescovile di Lucca nel1937, dopo un brillante corso distudi in Lettere all’Università di

Pisa dove si era laureato l’annoprima, non aveva mai trovatouna collocazione stabile in nes-suna parte del mondo. Lucca,Roma, il deserto del Sahara,l’Algeria, la Sardegna, cappella-

no sul transatlantico Corrientes,destinato agli emigranti. E poil’America Latina, dove ha vissutotra Argentina, Venezuela e Brasi-le: «Vivo veramente sotto la ten-da, come gli uomini nell’AnticoTestamento – scriveva nel 1975da Bojo (Venezuela) in una lette-ra all’amica Adele Toscano – mafra qualche anno dovrò pensare adove è la mia casa. Già ora misveglio e mi occorrono cinque

minuti per pensare dove sono».La scelta della sua “tenda” defini-tiva è arrivata solo nel 2006, conla fondazione della Casa del Bea-to Charles. Così, da quando vivequi, la porta è sempre aperta, i lo-cali di campagna sono diventatiun porto di mare e chiunque passinon si sente affatto ospite. C’è u-na bacheca con il benvenuto perchi entra e tanti messaggi lasciatidai visitatori, assidui o casuali chesiano; c’è un via vai di giovani, a-dulti, anziani per dare ognuno unsuo contributo o nella preparazio-ne del pranzo o nelle pulizie deilocali o in qualsiasi altro servizio;c’è chi si ferma in preghiera nellapiccola chiesa di San Martino,avvolta nel silenzio e nella grazia.Persino il cartello esposto sulla li-breria con libri di ogni genere –«Per favore, non portare via senzaavvisare» – rivela un andirivienidi viandanti assetati di ricerca.Fratel Arturo è felice di come lagente qui si senta a casa propria:«Non un gruppo stabile, chiusoin se stesso, ma un luogo di pas-saggio dove vivere un’esperienzadi ricerca da portare avanti lungotutta la vita, nel lavoro, nella fa-miglia, in parrocchia, in politica.Non ho delle verità o dei consiglida dettare come ricette miracolo-se. Non sono un maestro, ma unapresenza amica, un ricercatore,che vuole offrire ad altri la possi-bilità di cercare insieme e colti-vare la pace».

Fratel Arturo, con 68 anni disacerdozio sulle spalle e 54 annidi vita nel Sud del mondo, comedisegni l’identikit del missio-nario?

«Missionario è una parolaevangelica. Lo stesso Ge-sù è un missionario, per-ché è inviato dal Padre adincontrare l’umanità. Imissionari, lo dice il Van-gelo stesso, sono una spe-cie di nomadi: per annun-ciare la Buona Novelladevono camminare in-contro agli uomini e rag-giungere tutto il mondo».

Effettivamente la condizione dinomade, di viandante, ha carat-terizzato da sempre la tua vita disacerdote. Sin dal Seminario haivissuto un’esperienza singola-re…«In un certo senso sì, perché per-sino nell’esperienza di formazionesacerdotale ho sperimentato lacondizione di precarietà: entraiin Seminario nel 1937, ma prestoscoppiò la guerra e non fu piùpossibile proseguire gli studi; allo-ra il Vescovo chiese la dispensaper ordinarmi sacerdote prima deltempo. E così nel 1940, da giova-ne prete, mi fu affidata una casadi accoglienza per i perseguitatidal fascismo che in quel momen-to rischiavano il carcere. Appar-vero all’orizzonte gli ebrei, primevittime di quella guerra appena i-niziata. Insieme ad altri tre sacer-doti, mi impegnai molto in questamissione tanto che il governo i-sraeliano mi ha conferito il titolodi “Giusto tra le nazioni” per ilmio impegno a favore degli ebreidurante la Shoah».

La condizione di nomade hacontinuato a caratterizzare il re-sto della tua vita…

A destrail 25 aprile 2006, al Quirinale,

Fratel Arturo riceve dal PresidenteCiampi la medaglia d’oro al valor civile

per l’impegno a favore degli ebreidurante la persecuzione nazistanella seconda guerra mondiale.

Qui sottol’ingresso della Casa

del Beato Charles de Foucauld, inaugurata da Fratel Arturo

nel dicembre del 2006.

18POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

L’INTERVISTA

«Le tappe del mio cammino sonomolte. Nel 1949 fui chiamato aRoma come vice-assistente nazio-

nale della Gioventù di AzioneCattolica, soprattutto dopo le in-sistenze di Mons. Montini (che

poi divenne Papa Paolo VI, ndr).Con Carlo Carretto alla presi-denza del “settore giovani”, mitrovai molto bene. Ma presto sivennero a creare dei motivi diconflitto con Luigi Gedda, allora

Presidente generale dell’AzioneCattolica. Conflitti che si acuiro-no anche per una diversa visione

politica che in quegli anni, era il1954, contrapponeva drastica-mente i cattolici da una parte e icomunisti dall’altra. Ci tengo aprecisare che non fui mai consi-derato fuori dalla Chiesa. Anzi. Il

Cardinale Ottaviani, Prefetto delSant’Uffizio, mi chiamò per undialogo e a conclusione mi dette

una risposta molto chiara: “Noncondividiamo il vostro pensiero,però vi assicuriamo che non c’ènulla contro la fede, quindi nonavete niente da temere come cre-denti”. Fu l’occasione per unamia profonda riflessione sulla fe-de che mi avvicinò ai Piccoli Fra-telli di Charles de Foucauld, nellacui famiglia entrai nel 1955. Per

quattro anni vissi in Sardegna, la-vorando a fianco dei minatori diIglesias, poi – per una serie dinuove polemiche negli ambientiecclesiali e politici – partii perl’America Latina, dove sarei do-vuto rimanere per due o tre anni.Invece i tre anni sono diventati44, divisi tra Argentina, da cuidovetti fuggire, perché condan-nato a morte in seguito ad unacampagna denigratoria che costòla vita a vari miei confratellidiventati desaparicidos, Vene-

L’INTERVISTA

19 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

Qui sopraFratel Arturo Paoli interviene alla Settimana missiologica di Assisiorganizzata nell’agosto 2002dall’Ufficio CEI per la cooperazione missionariatra le Chiese.

In altol’insegna vicino all’ingresso della Casa intitolataal Beato Charles de Foucauld.

zuela, dove mi impegnai a fiancodei contadini per una loro pro-mozione sociale, e Brasile, dovemi stabilii a Foz do Iguaçú, vicinoalle cascate riprese nel film Mis-sion, al confine con il Paraguay.Infine, eccomi rientrato alla base:alla mia età non posso più viverein una favela. Oltre alle precariecondizioni igieniche, non avrei a-vuto modo di ritagliarmi momen-ti di solitudine e silenzio, che allamia età sono indispensabili».

Qual è il bilancio della tua lungavita?«Sono molto felice della mia esi-stenza. Non ci pongo altro sug-gello che “amen”, perché megliodi così non poteva essere. Ho vis-suto anni molto belli: devo rin-graziare Dio perché nelle avven-ture e nei pericoli non mi ha maifatto mancare la sua protezione eil bene dei fratelli. Persino nei ri-fiuti che a volte la società politi-ca ed ecclesiale mi ha riservato.Delle discussioni all’interno dellamadre Chiesa non ho mai avutopaura, perché mosse non dal ran-core ma dall’amore verso la Chie-sa stessa. E poi possono aiutare lacomunità ecclesiale a confrontar-si e migliorarsi: l’importante ènon tradirla, né staccarsi da es-sa».

Delle migliaia di persone incon-trate, ce n’è una che ricordi inmodo particolare?«Reginaldo, un ragazzo di stradadi Foz do Iguaçù (Brasile) che hoaccolto nella mia casa come un fi-glio. Non aveva nessuno al mon-do. Dall’età di 15 anni è cresciutocon me e adesso è sposato e ha u-

na figlia. Segue il progetto “Ma-dre Terra”, un’azienda agricolache insegna un mestiere ai giova-ni e si impegna per una promozio-ne sociale e religiosa degli indios».

Sei stato invitato ad intervenireal Convegno missionario nazio-nale dei Seminaristi. Quale messaggio di speranza la-sci ai giovani che saranno laChiesa di domani?«Per prima cosa voglio metterliin guardia da quello che è il piùgrande nemico dei cristiani: l’i-dolatria di mercato. Si può fare

pace con tutto, meno che con l’i-dolo.Tutta la Bibbia è una dichiarazio-ne di guerra aperta agli idoli.Anche Gesù dice: “Non poteteservire a Dio e a mammona”. Per il futuro vedo una crisiprofonda, da cui però nascerà u-na Chiesa nuova: le crisi chesembrano portare negli abissi,precedono sempre una rinascita.Lo dice Gesù: “Chi crede in me,vivrà”.Bisogna scegliere la povertà e lasemplicità di vita e salvare solo iveri valori». ❏

20POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

L’INTERVISTAQui sotto Brasile:Fratel Arturo con Reginaldo e la sua famiglia, a Foz do Iguaçú.

A destrala piccola chiesa di San Martino in Vignale, sulle colline lucchesi, accanto alla Casa del Beato Charles de Foucauld.

A pag. 21Rosaria Salvo Alulod.

«Ho lasciato ilmio Paese do-po la morte dimio marito».

Si presenta così Rosaria Salvo A-lulod, immigrata filippina che 16anni fa ha lasciato la sua terra pergiungere in Italia. Florencio aveva40 anni e di mestiere faceva il sal-datore. Girava il mondo, Libia, I-ran, Arabia Saudita. Una vitatranquilla, sempre in attesa deisuoi rientri. Un giorno, però nonè tornato. «Ci sono rimasta trop-po male. Non me lo aspettavo eallora in quel momento così duroho creduto che l’unica via di usci-ta fosse partire». Vedova con 6 fi-gli, Rosy ha affidato ai propri ge-nitori i suoi bambini. Il più picco-lo aveva appena 6 anni. Arrivatain Italia, da clandestina, si è pro-digata in mille occupazioni finoall’ottobre 2007, quando ha presoa lavorare e vivere stabilmentepresso una famiglia benestante:medico lei, ingegnere, lui. Insiemea loro, un bimbo di otto anni.Tanto lavoro per mille euro al me-se, molti dei quali vengono inviatia casa. Piccolina e scattante, Rosy rasset-ta e tiene in ordine da sola unagrande casa. Sa fare di tutto,tranne che cucinare. «Il mio

IL SOGNODI ROSY

IMMIGRAZIONEITALIA A COLORI

di GIANLUIGI DE PALO

Rosy è filippina. Da 16 anni vive in Italia.In tv ama guardare la Clerici: vorrebbe partecipare

alla trasmissione “Il treno dei desideri” e chiederedi farsi ricostruire la casa, ma non ha il numero

per chiamare in Rai. Comunque, forse nemmeno l’ascolterebbero, perché lei è straniera

e «quel programma è invece per gli italiani».

21 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

datore di lavoro, scherzando, midice sempre “Rosy sei brava a pu-lire, e come stiri i colli alle cami-cie tu nessuno ci riesce, ma, a cu-cinare, lascia perdere”. Ha ragionelui: cucinare non è il mio forte».Prima ancora accudiva una coppiadi anziani. «Avevano il gatto edio mi sono scoperta allergica alsuo pelo. Per sei mesi non ho fatto

altro che starnutire e, alla fine, so-no andata via». Qualche tempo fala figlia più grande, Florrielyn, inuna lettera commovente le hachiesto perché li ha lasciati soli,perché non è stata con loro nei

momenti più difficili, perché nonè riuscita a raggiungerli per festeg-giare la sua laurea. «Figlia mia – leha risposto –, se non avessi lavo-rato, se non fossi partita, tu e ituoi fratelli non avreste potutostudiare».Scelte di vita. Dure e sofferte.Florrielyn ha compreso e così hadeciso di raggiungere la mamma a

Roma. Ora anche lei fa le pulizieper una famiglia italiana. Parla so-lo inglese, pochissimo l’italiano.Però sta imparando un po’ allavolta grazie ad alcune suore, inparticolare Suor Gloria che alla

domenica, dalle 10 alle 12, inse-gna la lingua ad un gruppo di fi-lippini. «Sono molto preoccupataper lei. Nel 2009 le scadrà il per-messo di soggiorno. E poi? Che nesarà di lei? Faranno un’altra sana-toria?». Timori legittimi per unamamma paziente e sorridente.«Ricordo che la prima volta chemi sono recata a fare il rinnovo

22POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

ITALIA A COLORI

all’una. Per litigare non è tagliata.«Perché ho cambiato tanti lavori?Perché all’inizio loro, i signori, so-no tutti d’accordo sulle cose, sucome le vogliono e su come le fac-cio. Passa il tempo e l’atteggia-mento cambia. Sì, cambiano irapporti ma io non so restare in u-na casa quando l’aria è tesa. Nonmi piace sentirmi di troppo e allo-ra vado via. Di solito dico sempre“sì, sì, sì” – sorride ironica – tantoa loro, ai datori di lavoro interessasolo la riverenza». Occhi vigili, carattere risoluto emodi apprensivi: questa è Rosy.«Sono sempre preoccupata». Pertutti, non solo per sé. «Per la guer-ra in Iraq, per il signore che ho vi-sto questa mattina e che zoppica-va trascinando la gamba, per ilbarbone che non ha un tetto sullatesta, ma solo cielo. Aperto esconfinato. Per me – abbozza unasmorfia – non prego. Il Signore sagià di cosa ho bisogno». Probabil-mente di una casa. La sua è crolla-ta. Una piccola e traballante co-struzione davanti al porto di Ba-tangas, nell’isola di Luzon, a 3 oredalla capitale Manila, la città dei10 milioni di abitanti, la più co-smopolita del mondo in cui perfortuna, già da qualche tem-po, i suoi figli si sono trasferi-

23 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

del permesso di soggiorno, dietrodi me c’era un giovane africano,uno alto, alto. L’ho fatto passareperché, pensavo, sta peggio di me,lui dovrà chiedere un lavoro. Holasciato passare anche una ragazzi-na asiatica perché l’avevo sentitadiscutere di un problema relativoai suoi documenti». Insomma, finìche dalle 11, il suo turno arrivò

CARNE SÌ,MA CON PRUDENZA

Quante volte i nostri genitorio i nostri nonni ci hanno

raccontato di quando, appenasessant’anni fa, in Italia si man-giava la carne una o al massimodue volte alla settimana. Non cen’era o costava troppo. Altri tem-pi. Eppure secondo alcuni studidella FAO, non bisognerebbe sot-tovalutare un cambiamento epo-cale nel consumo di un prodotto,che oggi diamo per scontato sullenostre tavole. Sembra infatti che,come il petrolio, anche la carne èsoggetta a una domanda crescentea mano a mano che le nazioni di-ventano più ricche. La domandaglobale di carne, infatti, si è lette-ralmente impennata negli ultimianni: se nel 1961 il fabbisognomondiale era di 71 milioni di ton-nellate, oggi si stima che sia arri-vato a 284 milioni. Il vero problema, però, è che lecatene di montaggio organizzateper produrla consumano quantità

smisurate di energia, inquinanol’acqua e i pozzi, generano gasserra, e richiedono sempre piùmais, soia e altri cereali, un fattoche ha portato alla distruzione divaste aree delle foreste pluviali tro-picali. Si calcola che gran parte deldisboscamento della foresta amaz-zonica sia dovuto alla creazione dinuovi pascoli e aree di coltura.Non solo: uno studio dell’IstitutoNazionale di scienze dell’alleva-mento in Giappone ha stimato cheogni chilogrammo di manzo è re-sponsabile dell’equivalente in ter-mini di diossido di carbonio alle e-missioni di una vettura media eu-ropea ogni 250 chilometri circa ebrucia l’energia sufficiente a tene-re accesa per 20 giorni una lam-padina da 100 watt. Senza conta-

re che, benché circa 800milioni di persone di que-sto pianeta soffrano la fa-me o siano affette da mal-nutrizione, la maggiorparte dei raccolti di mais esoia coltivati è destinata anutrire bestiame, maiali egalline. Cosa fare allora?Prima di tutto rifletterciun po’ su, poi tornare aconsumare carne non tut-ti i giorni. Ne guadagne-remmo anche in salute. ❏

DI GIANLUIGI DE PALO

ti. «L’avevamo messa in piedi allameglio nel 1981 ma le fondamen-ta non erano un granché». Rosyha mandato tutto il suo ultimo sti-pendio al nipote perché provvedaa chiamare qualcuno che finiscadi abbattere quello che è rimastodell’alloggio. «Potrebbe esserci ilrischio che dei bambini si faccia-no male con i crolli successivi. A-desso tutto è sulla strada. Mobili,ricordi, fotografie. Insomma, lamia vita». In tv ama guardare laClerici: vorrebbe partecipare allatrasmissione “Il treno dei deside-ri” e chiedere di farsi ricostruire lacasa ma non ha il numero perchiamare in Rai. Comunque, for-se nemmeno l’ascolterebbero per-ché lei è straniera e «quel pro-gramma è invece per gli italiani».E poi «mi vergogno a chiedereaiuto».In effetti Rosy non vuole accetta-re nemmeno un caffè. Orgogliosa,declina l’invito. Progetta di chie-dere un prestito in banca. I suoidatori di lavoro possono, se vo-gliono, fare da garanti. Ventimilaeuro potrebbero bastare per siste-mare la casetta andata giù o, al-meno, costruirne ex novo le fon-damenta. «Ma con gli interessichissà quanto sarà il conto alla fi-ne». ❏

MONDO CAPOVOLTO

24POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

ITALIA. I primi 40 anni di Sant’Egidio

«La vostra benemerita Comunità, come piccoloseme gettato nella terra, ha avuto inizio 40 anni

fa, in un periodo storico turbinoso e complesso, segnatodall’ideologia e dal senso prometeico di un’umanità chevoleva costruire se stessa e il mondo senza Dio o peggiocontro di Lui. La parola “comunità”, nel suo significatopiù profondo, manifesta questa coscienza che la nostrasperanza è sempre essenzialmente anche speranza per gli

altri (cf Spe salvi n. 48). Inquesto modo la speranza per glialtri si è fatta, nella vostra Co-munità, passione per la comuni-cazione del Vangelo, perché altrivengano salvati; si è fatta amoreper tutti, specie per i più poveri,perché sorga finalmente la stelladella speranza anche per loro»:lo ha detto, nella sua omelia perla Messa del 40° anniversario

della Comunità di Sant’Egidio, il Cardinale TarcisioBertone, Segretario di Stato. Al principio dell’omelia ilCardinale Bertone aveva detto: «“Dio è morto, Marx èmorto… e anch’io non mi sento molto bene!”. Questanota battuta ironica di Woody Allen potrebbe fotografa-re lo stato d’animo di una larga parte dell’umanità diquesta nostra epoca, apparentemente sempre più insod-disfatta e sempre meno fiduciosa nel futuro». Proprio inquesta realtà, ha detto poi il porporato rivolgendosi di-rettamente alla Comunità, «avete cercato e continuatea farvi “prossimo” e “buon samaritano” di coloro chesperimentano situazioni di disagio e di emarginazionesociale, sapendo che nessun uomo e nessun popolo puòessere estraneo allo sguardo della carità». (MISNA)

COREA DEL SUD. Un milione di volontari

Bambini, studenti universitari, impiegati, contadini:in totale oltre un milione di persone, che nei giorni

liberi ha ripulito nei mesi scorsi le coste di Taean, colpiteall’inizio di dicembre da uno dei peggiori disastri ecologi-ci mai avvenuti in Corea. Secondo il Governo coreano,si tratta del più massiccio intervento volontario mai av-venuto in Asia: per questo, oggi i “pulitori” sarannopremiati sulle coste che hanno contribuito a liberare dal

petrolio. Il 7 dicembrescorso la Hebei Sprint,petroliera di HongKong, ha versato in ma-re 15mila tonnellate digreggio dopo avere urta-to una gru su una chiat-ta mentre era al largopresso il porto di Taean,a Sud di Seoul. Alle o-perazioni hanno parteci-

pato anche diversi gruppi cattolici: in prima fila, le par-rocchie dell’area di Seosan. Lo stesso Vescovo diDaejeon e Presidente della Caritas coreana, Mons.Lazzaro You Heung-sik, ha radunato i sacerdoti di tuttala diocesi e, alcuni giorni prima di Natale, si è dedicatoa pulire le rocce. (ASIANEWS)

FRANCIA. 150 anni dalla prima apparizionedella Vergine a Lourdes

Circa 70.000 pellegrini si sono riuniti l’11 febbraiodavanti alla grotta di Lourdes per commemorare il

150° anniversario della prima apparizione della Ma-donna a Bernadette Soubirous. La Messa è stata ce-

A sinistra una bandiera della Comunitàdi Sant’Egidio.

In alto la grotta di Lourdes, dove 150 anni fal’Immacolata Concezioneapparve a BernadetteSoubirous.

25 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

BUONENOTIZIE

A CURA DELL’AGENZIA FIDES,DELL’AGENZIA MISNA E DI ASIANEWS

titisi all’islam, avevano poi fatto cambiare sui documentila fede di appartenenza di figli e mogli. La sentenza per-metterà ad altri 460 cittadini copti in situazione simile difare ricorso. La comunità cristiana copta rappresenta il6-10% dei 76 milioni di egiziani. (MISNA)

VIETNAM. Bambini e analfabeti imparano a leggere con la Bibbia in cambogiano

Guardati all’inizio con sospetto dalla polizia, da al-cuni anni volontari cattolici operano nella parroc-

chia di Loc Quang, distretto di Loc Ninh, nella provin-cia di Binh Phuoc. La cittadina conta 12.700 abitanti,

sorge a circa 17 chi-lometri dal confinecon la Cambogia evi vivono numerosicambogiani, per lopiù contadini pove-rissimi, la condizio-ne dei quali ora èmigliorata, grazieall’azione dei volon-tari. Il 25% della

popolazione vive sotto la soglia di povertà, con meno diun dollaro al giorno. I cambogiani non hanno terra dacoltivare e lavorano per sfamarsi. Nella stagione dellepiogge, quando non si può coltivare, vanno nella forestaper la cura degli alberi della gomma. Sono veramentepoveri e diseredati. Nel 2000 sono venuti qui alcuni vo-lontari, che vivono, lavorano e mandano avanti la loromissione con la gente. Dal 2002, da quando la seminadella Buona Novella ha cominciato a dare buoni risulta-

lebrata da Mons. Jacques Perrier, Vescovo di Tarbes eLourdes, e dal Cardinale Bernard Panafieu, Arcivesco-vo di Marsiglia. Erano presenti 25 Vescovi e 800 sacer-doti, che hanno letto testi in francese, inglese, spagnolo,tedesco e italiano. «Lourdes è un luogo dove ciascunopuò trovare unaragione per re-cuperare la fedein Dio e nel-l’uomo. È unachiesa a cielo a-perto», ha dettoPerrier che hapoi rivolto unmessaggio aimalati e ai por-tatori di handi-cap in occasionedella Giornatainternazionaledei malati volu-ta da Papa Gio-vanni Paolo II.(MISNA)

EGITTO. Una vittoria della libertà religiosa

Con una sentenza “storica”, dodici cittadini di reli-gione cristiana copta, già convertiti all’Islam e tor-

nati alla fede di origine, potranno vedere quest’ultimanuovamente riportata nei documenti. Lo ha deciso l’Altotribunale amministrativo del Cairo. «È una vittoria dellalibertà religiosa in Egitto, l’applicazione dell’art. 46 dellaCostituzione che garantisce la libertà di fede a tutti i cit-tadini», ha detto uno degli avvocati dei querelanti. In E-gitto è obbligatorio che la carta d’identità specifichi la re-ligione di appartenenza; in base alla sentenza, sui docu-menti sarà aggiunto che i cittadini in questione avevano«temporaneamente aderito» all’Islam. Questo dettaglioha sollevato tra gli interessati il timore che ciò li possa e-sporre all’accusa di apostasia che in Egitto è punibile conla morte, in base alla legge islamica (sharia). Ma i giudi-ci hanno spiegato che nei documenti vanno precisati tuttii dati reali e che il ritorno alla fede di origine non può es-sere considerato apostasia. Tra le persone che avevanofatto ricorso c’erano anche giovani i cui genitori, conver-

26POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

BUONE NOTIZIE BUONE NOTIZIE

A sinistra ragazzi vietnamiti.Nella parrocchia di Loc Quang,a 17 km dal confine con la Cambogia, stanno imparando a leggere con la Bibbia in cambogiano.

Qui sottoIl Cairo (Egitto):il nome di Allahnella madrassah di Hasan.

ti, la vita delle persone haavuto dei miglioramentied essi hanno abbandona-to la superstizione e il sot-tosviluppo. (ASIANEWS)

AFGHANISTAN. Pur se attaccati dai talebani, sono più di prima i ragazzi che studiano

La lotta dei talebani contro l’istruzione che non siaquella impartita dalle scuole islamiche – e solo ai ma-

schi – ha provocato negli ultimi 10 mesi 147 morti, trainsegnanti e studenti, vittime di attacchi dei fondamenta-listi. Ciò malgrado,quest’anno ci sono800mila studenti inpiù, così che il loronumero totale è ar-rivato a 5,7 milioni.Il dato è stato evi-denziato dal Presi-dente Hamid Gar-zai che, nell’espri-mere la propria gioiaall’idea che così tantibambini vanno ascuola, ha lamenta-to il fatto che sono 3milioni quelli co-stretti a studiare sot-to una tenda, incondizioni difficili, e300mila quelli chenon possono proprioandare a scuola.(ASIANEWS)

GRECIA. Nuovo Arcivescovo ad Atene

«Axios», «È degno»: ripetendolo tre volte, i fede-li radunati davanti alla Cattedrale di Atene

hanno salutato e accolto Ieronimos (o Hieronimos) diTebe e Levadia, nuovo Arcivescovo della capitale e pri-mate della Chiesa ortodossa di Grecia. Ieronimos è stato eletto, lo scorso 7 febbraio, dal SantoSinodo, composto da 77 Vescovi tra cui 74 votanti, riu-

nito nella Cattedrale per l’elezione del successore di SuaBeatitudine Christodoulos, deceduto il 28 gennaio scor-so. Il nuovo primate è stato eletto al secondo scrutiniocon 43 voti. Sua Beatitudine Ieronimos, al secolo Ioannis Liapis, ènato a Inofita, nel centro della Grecia, ha studiato ar-cheologia e teologia ad Atene, Graz (Austria) e Rati-sbona (Germania); nel passato è stato Segretario gene-rale del Santo Sinodo e, nel 1981, è stato nominatometropolitano di Tebe. Noto per il suo carattere mite eritenuto un moderato, la sua nomina è stata accolta adAtene dal suono delle campane delle chiese di tutta lacittà. (MISNA)

NEPAL. Il Governo riconosce le scuole religiose musulmane e buddhiste

Centinaia di scuole islamiche e buddhiste chiedono dientrare nel sistema pubblico di istruzione, dopo che

il Governo ha deciso di riconoscere le scuole religiose. IlGoverno ha però chiesto che non siano usati solo testi re-ligiosi, ma anche i libri consigliati dalla Commissionepubblica per l’istruzione. Fin a pochi mesi fa il Paese eral’unica monarchia indù del mondo, le scuole religiose era-

no tollerate ma non riconosciute e l’insegnamen-to pubblico non dava spazio alle religioni nonindù. Dopo che il Nepal è diventato uno Statolaico, per prima nel giugno 2007 è stata ricono-sciuta una madrassah, scuola islamica, del di-stretto di Banke. In seguito il Governo non soloha permesso tutte le scuole religiose, ma ha anchepromesso, dall’anno fiscale 2008/09, un aiuto di9mila rupie nepalesi per ognuna. Lo Stato prov-vederà anche al costo di un numero fisso di inse-gnanti. Sarà anche riconosciuta la Gurukul,scuola religiosa indù tradizionale. (ASIANEWS)

KENYA. Un unico popolo che desidera pace

Sono scesi in strada a Nyahururu, per diffondere unmessaggio di pace e di riconciliazione, più di 50 pre-

ti, pastori, reverendi della Chiesa cattolica e di quelleanglicana e presbiteriana, delle diverse confessioni neo-pentecostali e il Presidente della comunità musulmana.A guidare il corteo c’erano diversi Vescovi. La pro-cessione ha sostato presso i diversi campi di rifugiati,

BUONE NOTIZIE

27 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

BUONE NOTIZIE

Qui sottotempli buddhisti a Patan (Nepal).

In alto Il Cairo (Egitto): chiostro con vasca lustrale nella madrassah di Hasan. In Egittododici cittadini di religione cristianacopta, già convertiti all’Islam e tornati alla fede di origine, potranno vedere quest’ultima nuovamente riportata nei documenti.

Kikuyu e Luo, e presso iluoghi teatro delle violen-ze avvenute recentemen-te. «Una sola Chiesa,che camminava sullestrade della gente, un u-nico popolo, un popolochiamato Kenya! Chedesidera pace!», si con-clude l’e-mail con cui l’i-niziativa è stata segnalataall’Agenzia Misna. (MI-SNA)

CONGO. L’ingresso a Kinshasadi Mons. Monsengwo Pasinya

«Il popolo congolese deve risplendere della luce diCristo, coltivando i valori di giustizia, verità e ca-

rità»: sono state le parole di Mons. Laurent Mon-sengwo Pasinya, nuovo Arcivescovo di Kinshasa, nellasua prima Messa celebrata davanti a circa 60.000 fede-li. Durante la celebrazione, l’Arcivescovo è stato infor-mato, e ha informato a sua volta i fedeli, del terremotoche aveva colpito in quelle ore l’Est del Paese, presen-tando le sue condoglianze a Mons. Xavier Maroy Ru-sengo, Arcivescovo di Bukavu. «Tutti insieme – ha det-to l’Arcivescovo – faremo in modo che i feriti e chi ha a-vuto delle perdite ricevano una parte dei soldi raccoltidurante l’offertorio di oggi». Durante il suo insediamen-to quale guida della diocesi di Kinshasa, svoltosi lo scor-so 2 febbraio, Mons. Monsengwo – che è anche Presi-dente della Conferenza episcopale – aveva formulato unappello alla pace nell’Est del Paese: «Fermate le guerre

e liberate definitivamente la pace. Impegna-tevi sempre nei processi di perdono e riconci-liazione, per la verità e la giustizia», era sta-to il suo messaggio ai belligeranti, auspican-do che l’intesa firmata a Goma (Nord-Ki-vu) sia «un faro luminoso e non spento sul-la via di una pace duratura. Nessuno osirendersi colpevole di trascinare il nostroPaese in un ciclo di guerre etniche di qua-lunque dimensione», aveva detto il presule.«Kinshasa, alzati e risplendi della luce diCristo» è stato l’appello del nuovo Arcive-scovo agli abitanti della capitale. (MISNA)

COREA. Giustizia e Pace: il Governo ascolti chi, nella società, è schiavo

Seguendo l’esempio di Cristo, «i cattolicidevono ascoltare il pianto di chi è schia-

vo, nella società, per un’ingiusta distribuzio-ne del lavoro: dobbiamo impegnarci tutti af-finché si possa andare oltre questa situazio-ne, che distrugge persone e famiglie». È ilsenso del messaggio pubblicato dalla Com-missione episcopale Giustizia e Pace. Il Pre-sidente, Mons. Bonifacio Choi Ki-san, chie-

de al Governo dirivedere la cosid-detta “Legge per laprotezione dei la-voratori irregola-ri”, approvata loscorso 11 feb-braio. Questo per-ché il testo di legge«non esprime sim-patia per questi la-voratori, e non of-fre soluzioni al loro dramma». È necessario, scrive ilVescovo, «fare degli sforzi che mettano al primo posto ladignità della persona, soprattutto nel mondo del lavoro.Si deve avere simpatia per chi non ha un lavoro regola-re, e comportarsi con spirito di solidarietà. La Chiesafarà di tutto per trasformare i propri lavoratori in rego-lari, ovunque essa abbia voce in capitolo». (ASIA-NEWS)

BUONE NOTIZIE

28POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

BUONE NOTIZIE

A sinistrail Card. Nicholas Cheong Jin Suk, Vescovo di Seoul, con alcuni fedeli coreani.

In altoMons. Laurent Monsengwo Pasinya,neo Arcivescovo di Kinshasa.

A pag. 29 squadre in gara nel torneo di calcio della Missione di Lungi, in Sierra Leone.

29 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

DOSSIER

d’Africa svoltasi nel gennaio scor-so in Ghana vincendo, in questocaso, contro il Camerun. Uno azero il risultato. Il minimo indi-spensabile. Molti si aspettavano u-na vittoria dei padroni di casa odella Costa d’Avorio, squadre ric-che di campioni quotati, vere eproprie stelle nel firmamentodella Premier League. Hanno

di GIANLUIGI DE PALO

UN CALCIOAI PROBLEMI

nudi. C’è un mondo fatto di aspi-ranti campioni che corrono dietroad un pallone e ad un sogno. C’èuna Coppa d’Africa di cui si senteparlare appena. Non tutti sannoche, alla fine, ha vinto nuova-mente l’Egitto, la meno africanadelle squadre africane. Per la se-conda volta consecutiva i “Farao-ni” si sono aggiudicati la Coppa

Sudditanze psicologiche e storiche spingono le nazionali di calcio africane

a cercare allenatori europei e campioni affermati,

considerati vere e proprie stellenei campionati spagnolo e inglese.

Il fatto che i prossimi Mondiali di calcio si svolgano in Sudafrica non deve trarre in inganno: la strada è ancora lunga perchéuna squadra africana si imponga a livello internazionale. E non è questione di piedi...Mancano infrastrutture adeguate.

Il calcio e lo sport in generalesono strettamente collegaticon il mondo missionario.Tutte le parrocchie, oltre ad

avere aule di catechismo, hannoanche due porte e un pallone. Mail calcio in Africa non è solamen-te quello che si gioca nei campiscalcinati delle missioni cattoli-che, con palloni di stracci e piedi

30POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

ti delle maggiori competizioni(vedi la Coppa d’Africa) fannogola alle casse dello Stato. Senzacontare che il calcio può essereconsiderato un grande catalizzato-re di attenzione, capace di distrar-re la gente dai reali problemi di unPaese. Panem et circenses, diceva-no i romani. E così non sono po-chi i Presidenti della Repubblicache impongono formazioni ai lorotecnici o che improvvisamente di-ventano ultrà capaci di fare centi-naia di migliaia di chilometri, purdi stare vicino ai calciatori dellasquadra del proprio Paese. Orgo-glio nazionale. Ma le ingerenzepossono spingersi anche oltre. È ilcaso di Robert Guei, defunto ge-nerale golpista della Costa d’Avo-rio, che nel febbraio del 2000 fecerinchiudere i giocatori della nazio-nale in una caserma militare, perpunire la loro scarsa “disciplina”. Situazioni simili spingono i calcia-tori africani, dotati di mezzi fisiciimpressionanti, capaci di fare ladifferenza nei campionati europei,

vinto, invece, la regolarità e l’or-ganizzazione degli egiziani, trasci-nati dal loro leader Hosny che èstato premiato anche come mi-glior giocatore della manifestazio-ne.Ma per noi, che non siamo ungiornale sportivo, la Coppa d’Afri-ca è il pretesto. Tra le dichiarazio-ni del giorno dopo la vittoria dellaNigeria alle Olimpiadi americanedi Atlanta nel 1996, quando nu-merosi addetti ai lavori eranopronti a scommettere sul futurodel calcio africano, alla battuta in-felice del neo Presidente dell’UefaMichel Platini: «Gli africani han-no un ritardo evidente nel calciocosì come ce l’hanno con il pro-dotto interno lordo», di acqua cene corre. Effettivamente il calcioafricano sembra sempre essere sulpunto di imporsi all’attenzionemondiale, salvo uscire con le ossarotte ogni qual volta il gioco si faduro. Uno dei maggiori problemiè la pressione politica a cui lesquadre sono sottoposte: gli introi-

ad emigrare dai Paesi di origine.Perché rimanere in patria quandoin Europa un giocatore che militaanche in divisioni inferiori guada-gna cifre molto superiori a quelleche si guadagnano in una qualsi-voglia serie A africana? Ecco, al-lora, un nuovo fenomeno, quellodegli “emigranti col pallone”,spiegato e descritto dal professorRaffaele Poli, ricercatore al Cen-tro Internazionale di studi sportividell’Università di Neuchatel inSvizzera. Poli, riferendosi ai gioca-tori africani, non esita a parlare di“tratta” di calciatori e di una nuo-va forma di schiavitù. «Il calciato-re africano – spiega– è una materia pri-ma che deve essereesportata per poteressere rivenduta aun prezzo maggiore.Scopritori di talentieuropei si recano difrequente nei Paesiafricani per scoprirenuovi campioni eprocurare loro deivisti di breve durataper effettuare deiprovini all’estero. Sel’esito è negativo, ilgiovane è abbando-nato al suo destino esi ritrova nell’illega-lità».Va più o meno così:fantomatici agentieuropei incontrano nei campettidi periferia delle grandi metropoliafricane giovanissimi calciatori.Due palleggi, qualche dribbling u-na serie di tiri in porta e via, tra-sferimento clandestino e condi-zioni di vita indegne, in attesa di

31 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

effettuare il provino con unagrande squadra. Le famiglie deigiovani, purtroppo, non fannonulla per ostacolare il sogno proi-bito. Considerano la possibilità diavere un contratto con un grandeclub europeo come una benedi-zione e arrivano sino all’indebita-mento pur di offrire questa occa-sione di riscatto. Ma sono in po-chi a farcela. Quello che emergedallo studio è che i vari Drogba,Eto’o, Adebayor, Essien sono unaminoranza. Ragazzi fortunati chece l’hanno fatta. La maggior partearriva in Europa, ancora minoren-ne, senza contratto di lavoro e

con visti turistici di tre o sei mesial massimo. Durante questo perio-do sostengono diversi provini. Maquando scade il visto, comincianoi problemi: se l’aspirante calciato-re non è riuscito a trovare unclub, oppure non gli è stato rinno-vato il contratto, si trova davantiad un bivio: ritornare in patria orestare in Europa? Nella maggiorparte dei casi il ragazzo vede il ri-torno in Africa come una umilia-zione. Come spiegare a familiaried amici il proprio fallimento?Meglio sparire e diventareclandestini. Basti pensare che

A sinistraBamako (Mali):monumento al pallone, in occasione della Coppa d’Africa.

Qui sopraNelson Mandela con la Coppa del Mondo.

A pag. 30in Burundi i bambini corrono dietro a un pallone fatto di stracci.

CURIOSITÀ

Non sono poche le vicende curiose chehanno avuto come sfondo la recente

Coppa d’Africa, ancora legate ai postumidel colonialismo. Basti pensare che almeno29 giocatori convocati in Ghana, sono natiin Europa. C’era addirittura un italiano:Karamoko Cissè, nato vicino a Bergamo eattualmente tesserato con il Verona. Hascelto di rispondere alla convocazione delPaese dei suoi genitori, la Guinea. A farglicompagnia un tedesco, un olandese, unosvizzero, addirittura un uzbeco, oltre a unalunghissima lista di francesi. Molti dei qualipartiti giovanissimi per la Francia, a causadi vicende familiari e poi fatti esordire nellenazionali giovanili dai cugini d’oltralpe, conscarsa possibilità di giocare in seguito per ilproprio Paese d’origine. Questo diceva fino

a poco tempo fa una miope regola della Fifa che impediva di tornare in-dietro a chiunque avesse collezionato almeno una presenza con la ma-glia di un’altra nazionale. Tra i pochi fortunati Vieira, Makelele e De-sailly, nati in Senegal, ma campioni del mondo con la Francia. Quelliscartati, invece, hanno dovuto declinare l’invito della propria nazionale,che li avrebbe riaccolti a braccia aperte.

DOSSIER

l’associazione francese, CultureFoot Solidarie, ha censito, solonelle strade di Parigi, circa 800calciatori africani sedotti e abban-donati. Sono venuti per giocare apallone, ora fanno gli ambulanti evivono di espedienti. Scelgono dinon tornare più indietro per orgo-glio.Potenzialità e contraddizioni, li-miti ed energie inespresse questo èoggi il pianeta calcistico africano.A dispetto di una concentrazionedi talenti simile a quella del pluri-decorato Brasile e di una passionee di un calore che coinvolgono in-tere popolazioni, il calcio africanodeve affrontare grossi problemi or-ganizzativi e strutturali. Tra infra-strutture fatiscenti e stadi chesembrano cattedrali nel deserto, iproblemi non sono tecnico-tattici,non riguardano il modulo o i gio-catori da mettere in campo, quan-to, piuttosto, la dimensione socia-le e politica di un continente cheha nei piedi il potenziale per an-dare lontano. ◆

32POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

COPPA DEL MONDO IN SUDAFRICA

I recenti black out elettrici che continuano a colpire il Su-dafrica hanno suscitato l’attenzione della stampa mondia-

le in relazione ai Campionati Mondiali di calcio che si dispu-teranno nel Paese nel 2010. «Il Sudafrica sarà pronto perl’appuntamento?», si domandano i commentatori della te-state sportiva e non. Ma vorremmo andare oltre alla que-stione se si potrà disputare o meno una partita di calcio “innotturna”.«I black out sono certamente un problema attuale del Paese – spiegada Johannesburg all’Agenzia Fides Padre John, missionario Combonia-no di origine americana –, ma si dovrebbe parlare di tanti altri problemiirrisolti che colpiscono la popolazione locale. In primo luogo la disoccu-pazione che affligge il 40% della forza lavoro». Una questione crucialeper un Paese che ha visto crescere il proprio PIL senza che la ricchezzaprodotta si traduca in un miglioramento delle condizioni di vita dellamaggior parte della popolazione. «Le cause delle continue interruzionidell’erogazione dell’elettricità – continua – sono molteplici. Si è volutogarantire l’elettricità a tutti ma senza espandere la capacità produttiva.Per motivi ideologici, l’azienda elettrica ha mandato in pensione antici-pata il personale di origine europea e indiana, con maggior esperienza, esono stati assunti giovani africani inesperti. Ma chi ne fa le spese sonoin primo luogo gli strati più poveri della popolazione, proprio coloro aiquali si voleva offrire per la prima volta dai tempi dell’apartheid questoservizio».

A sinistra partitatra senzatetto a Città del Capo (Sufarica).

A pag. 33 un contrasto tra Djibril Cissé, calciatore di origine ivoriana che giocanel Marsiglia (a destra), e Mody Traore, che milita nel Valenciennes.

DOSSIER

33 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

si svolgeranno in Sudafrica nondeve trarre in inganno: la strada èancora lunga perché una squadraafricana si imponga a livello in-ternazionale.

Il calcio africano ha delle gran-dissime potenzialità: Drogba, A-debayor, Eto’o… sono grandicampioni, dei numeri uno neicampionati in cui militano. Per-ché però le squadre africane nonriescono ad imporsi a livello in-ternazionale? «Purtroppo l’Africa si confermaterra di conquista per i Paesioccidentali, dove si prende il

Abbiamo voluto chie-dere a Giancarlo LaVella, giornalista diRadio Vaticana, gran-

de esperto di sport e di calcio inparticolare, qualche chiave di let-tura per cercare di capire unospaccato del mondo africano. Trasudditanze psicologiche e storicheche spingono le squadre nazionalia cercare allenatori europei ecampioni affermati che nella Ligaspagnola o nella Premiere Leagueinglese sono considerate delle ve-re e proprie stelle, mancano anco-ra infrastrutture adeguate. Il fattoche i prossimi Mondiali di calcio

INTERVISTA A GIANCARLO

LA VELLA

CAMPIONIDEL SUD

34POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

più possibile, non si lascia nulla e,quel che è peggio, non si avviaalcun processo di sviluppo. Lostesso, è evidente, avviene anchenel calcio. Il tutto sta avvenendo,però, con la mentalità dell’“usa egetta”. L’ottica, purtroppo, è quel-la miope del “tutto e subito”,mentre forse sarebbe più efficace eproduttivo ragionare i prospettivedi lungo termine. Per esempio, sesi crede veramente nel “prodot-to”, si potrebbero creare vivai peri giovani giocatori, a cominciaredai Paesi calcisticamente emer-genti, come Nigeria, Camerun,Senegal, inizialmente anche gesti-

ti in comune. Con iniziative delgenere, non solo si investe nellepotenzialità atletiche dei ragazzi,ma si porta un evidente migliora-mento sociale nella realtà dellefamiglie degli stessi».

Perché molte squadre africaneancora scelgono di farsi allenare

da tecnici europei? C’è una sortadi sudditanza latente o è un ca-so?«Ti posso rispondere con le paro-le di Roger Milla, grande campio-ne camerunense. L’ex attaccanteha detto – in un’intervista allaGazzetta dello Sport – che al Ca-merun, e all’Africa in genere,mancano le risorse. E poi, sullascelta del trainer, ha sottolineato:“Gli allenatori africani sono bravidal punto di vista tecnico, manon sanno ancora organizzare be-ne il lavoro e non sempre riesco-no ad imporre la disciplina. Peròbisogna cominciare ad invertire

la tendenza, a dare fiducia ai no-stri tecnici”. La sudditanza è,dunque, inevitabile, ma è anchetecnica e organizzativa. Il calcioin Europa ha più di cento anni e,oltre ad essere uno sport, è diven-tato un grande affare, un grandespettacolo con strutture ormaimegagalattiche».

DOSSIER

35 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

Alcuni dei problemi del calcio a-fricano possono essere imputatialla mancanza di infrastrutture? «Credo che la mancanza di infra-strutture è la conseguenza dell’in-stabilità sociale e politica che, ingenere, i vari Paesi africani sonocostretti a subire, a causa di auto-rità poco attente al bene comune,a causa dei continui conflitti.Certo in territori dove a voltemanca l’essenziale per la sopravvi-venza quotidiana non si può spe-rare che vi siano campi di calcio,stadi, parcheggi, ecc. Comunque,e torniamo al discorso dellacolonizzazione, sono molte le

DOSSIER

Fra Ernesto, 43 anni, è tifosojuventino, accanito. Spesso,

la domenica, adatta gli orari dellaMessa per seguire le partite delcampionato di calcio italiano allaradio. Da 17 anni è missionario nel grande villaggio diAlépé in Costa d’Avorio, dove allena tre squadre dicalcio di tutte le età. Queste squadre si chiamano, giu-stamente... “Juvalépé”, e sono vestite in bianco e ne-ro! Fra Ernesto ha creato anche sei campi di calciocon tutta la popolazione locale. Non poteva essere diverso: in Costa d’Avorio si giocaa calcio dappertutto, anche con un pallone sgonfio.Non ci sono partite amichevoli. Il calcio è vita. E purdi vincere, ogni partita è sempre soggetta a un po’ di“stregoneria”.

«Tutti gli anni – racconta – organizziamo con lealtre missioni del paese,

una settimana multi-etnica sporti-va-culturale, con spettacoli e con-ferenze con i giovani. Poi c’è iltorneo di calcio... Eccoci in semi-finale contro una squadra diun’etnia diversa, e reputata per lesue attitudini mistiche-woodu.

Dopo uno 0 a 0 finale, arriviamoai rigori. Loro segnano i loro primitre, noi invece sbagliamo i primidue. A quel punto, un giocatoredella mia squadra, O’Lish, l’unico

che apparteneva all’etnia dei nostri avversari, mi diceche se non riusciamo a segnare è perché la squadra av-versaria restringe le porte quando tiriamo noi. Io sonoscoraggiato. O’Lish si stende per terra, si concentra edentra in trance. Noi segniamo 4 rigori successivi e lorone sbagliano 3! Vittoria! Mentre festeggiamo, trovo O’-Lish completamente svenuto. Per svegliarlo ci sono vo-lute due uova, una strofinata sulla testa, e l’altra sullabocca. Il ragazzo si sveglia stanchissimo e mi spiega cheha rimesso le porte a posto... Non ho mai capito se fos-se un caso incredibile, o no, ma ci siamo qualificati perla finale e abbiamo poi vinto anche la coppa, senza stre-gonerie! Attraverso il calcio, cerchiamo di fare passare i

valori della solidarietà, dell’amici-zia e del rispetto, ma anche dei di-ritti e dei doveri. Guai se non ven-gono all’appuntamento o se sono inritardo, non devono penalizzare ilgruppo. Gli spiego che il fuorigiocosul campo può diventare un fuori-gioco anche nella vita».

QUEL TIFOSODI FRA ERNESTO

(dal blog http://pierinoilmissionario.wordpress.com)

Nelle foto di pag. 34 e 35Roma, Piazza Vittorio:le comunità degli immigratidella Nigeria e del Camerun,in occasione dell’incontro di Coppa d’Africa 2004 tra le rispettive nazionali,organizzarono il tifo e i festeggiamenti.

36POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

aziende chesi stanno in-te res sandoalle realtàsportive afri-cane, quelladel calcio in

particolare. Si spera che questoinvestimento, che potrebbe averedei risvolti molto positivi, poinon provochi un esodo di cam-pioni, come nell’atletica leggera,settore in cui i più forti fondistidel mondo, che corrono sotto icolori del Kenya o dell’Etiopia, difatto vivono e si allenano neicampus americani».

Per la seconda volta ha vintol’Egitto, forse la meno africanadelle squadre africane. È unaquestione di giocatori, di allena-tore o di mentalità?«È chiaro che nella situazione de-scritta, sono le Nazioni più strut-turate, quale è l’Egitto, che riesco-no a produrre risultati più costan-ti nel tempo. Il Senegal è stato unfuoco di paglia, il Camerun si stariprendendo ora dopo un lungoperiodo in ombra. Di altre nazionali non si sente as-solutamente parlare. Ed è chiaroche questo si riflette anche neirapporti con la Fifa. Non a caso si

va sbandierando il prossimo Mon-diale di Calcio in Sudafrica comeil primo del continente nero, manon si dice che si è scelto, tra levarie sedi in lizza, il più occiden-tale dei Paesi africani, più occi-dentale di tanti Stati europei e ilcui passato, con l’apartheid, checostrinse la popolazione di colorea subire indicibili discriminazioni,non rappresenta certo un bel bi-glietto da visita. Ma una cosa ècerta: al fischio di inizio dimenti-cheremo ogni polemica e saremotutti davanti al televisore a tifareper i nostri colori. Potenza delcalcio!». ◆

Nella foto giovanicalciatori a Soweto (Sudafrica). Il motto della Fifa è “Vinci in Africacon l’Africa”.

DOSSIER

Afferma la Gaudium et Spes: «IlVangelo di Cristo rinnova conti-nuamente la vita e la cultura del-l’uomo decaduto, combatte e ri-muove gli errori e i mali, derivan-ti dalla sempre minacciosa sedu-zione del peccato». È nella culturain cui l’uomo «affina ed esplica lemolteplici sue doti di anima e dicorpo» che va inserita la forza rin-novatrice del Vangelo (G.S. 58).Proporre il messaggio della salvez-za in modo che «fecondi dall’in-terno, fortifichi, completi e restau-ri in Cristo le qualità spirituali e ledoti di ciascun popolo» (G.S. 58)è un compito per il quale i presbi-

teri devono es-sere preparati eformati. ComeGesù, essi de-vono parlaresecondo il tipodi cultura pro-prio della no-stra epoca.Questo compi-to coinvolgeanche quanti,con la preghie-ra, si mettonoal fianco deipresbiteri dellegiovani Chie-se. ❏

IL VANGELOCHE RISANA

INTENZIONE MISSIONARIAMISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

di FRANCESCO CERIOTTI

APRILE.

Perché i futuri

presbiteri

delle giovani Chiese

siano sempre più formati

culturalmente

e spiritualmente

per evangelizzare

le loro nazioni

e tutto il mondo.

L’orizzonte della nostrapreghiera in questo me-se abbraccia i futuripresbiteri delle giovani

Chiese con particolare riferimen-to alla loro formazione culturale espirituale. L’intenzione propostasottolinea che l’azione evangeliz-zatrice che oggi attende i presbite-ri, oltre ad esigere una profondaformazione spirituale, richiede diincarnarsi nel concreto contestodella società in cui devono opera-re. Un contesto nel quale l’impor-tanza e l’incidenza della cultura,nel bene e nel male, è sotto gliocchi di tutti. Un fatto che gli e-

vangelizzatori devono affrontarenella consapevolezza che, comeafferma la Gaudium et Spes: «Fra ilmessaggio della salvezza e la cul-tura esistono molteplici rapporti.Dio infatti, rivelandosi al suo po-polo, fino alla piena manifestazio-ne di sé nel Figlio incarnato, haparlato secondo il tipo di culturaproprie delle diverse epoche stori-che» (n. 58).Quanti si impegnano in attività dievangelizzazione devono tenereconto di tali rapporti e la loro a-zione non può prescindere dallacultura propria del contesto incui essa si svolge.

La Chiesa locale denuncia: alla base della guerrache devasta la regione ci sono soprattutto

motivazioni economiche. Una conseguenza dello sfruttamento della ricchezza della terra

da parte delle multinazionali.La Chiesa è l’unica istituzione presente

che si impegna ad aiutare a livello culturale e materiale le comunità e ad accompagnare

il processo di riconciliazione e perdono.

NON C’È TEMPONON C’È TEMPO

REPUBBLICADEMOCRATICA

DEL CONGO

di LAURA MALANDRINO

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

38POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

La strada sterrata di pol-vere rossa lungo i montiMutumba, catena delRwuentzori, porta ver-

so la Valle del Graben. Il percor-so è controllato dai militari, cosìcome il ponte di ferro sul fiumeSemuliki, un attraversamento dipochi metri appena, quanto bastaper far passare un autobus dimedie dimensioni come quellomesso a disposizione dalla diocesidi Butembo-Beni. Alla chiusura della conferenza diGoma (avviata il 6 gennaio) per

La strada sterrata di pol-vere rossa lungo i montiMutumba, catena delRwuentzori, porta ver-

so la Valle del Graben. Il percor-so è controllato dai militari, cosìcome il ponte di ferro sul fiumeSemuliki, un attraversamento dipochi metri appena, quanto bastaper far passare un autobus dimedie dimensioni come quellomesso a disposizione dalla diocesidi Butembo-Beni. Alla chiusura della conferenza diGoma (avviata il 6 gennaio) per

BUTEMBO – NORD KIVU

porre fine, con il sostegno del-l’Onu, al conflitto tra l’esercitocongolese e gli uomini del gene-rale dissidente filorwandese Lau-rent Nkunda, il Presidente Jo-seph Kabila ha sospeso nel NordKivu le operazioni militari inizia-te nell’agosto 2007. Fatto stache, cinque anni dopo la fine uf-ficiale della guerra (1998-2003),le regioni nord orientali al confi-ne con Rwanda, Uganda e Bu-rundi, non sono ancora pacifica-te e nulla è cambiato per la gentecongolese. C’è perfino chi rim-

piange il regime dittatoriale diMobuto Sese Seko. Ma quella èun’altra storia.«Già dal 2006, data dell’appro-vazione della nuova Costituzionee delle elezioni democratiche –spiega Wamberechi Bilongo, sa-cerdote di un villaggio vicinoButembo – il fenomeno militaredei Maj maj, il gruppo nazionali-sta ribelle concentrato nel Kivu,va ad affievolirsi. La maggiorparte di loro ha accettato di en-trare nelle milizie governative,ma finché non ci sarà la sicurez-

za che il Rwanda rispetterà i ter-mini dell’accordo di pace, temia-mo che l’organizzazione para-mi-litare possa continuare ad agire,come ha dichiarato alla radio u-no dei ribelli».«L’ora della riconciliazione è ar-rivata» dice Juma, studente diScienze politiche all’UniversitàCattolica del Graben di Butem-bo, laboratorio culturale della re-gione. In base all’accordo di Go-ma, qui, soprattutto i giovani siaspettano davvero la cessa-zione immediata delle ostilità,

porre fine, con il sostegno del-l’Onu, al conflitto tra l’esercitocongolese e gli uomini del gene-rale dissidente filorwandese Lau-rent Nkunda, il Presidente Jo-seph Kabila ha sospeso nel NordKivu le operazioni militari inizia-te nell’agosto 2007. Fatto stache, cinque anni dopo la fine uf-ficiale della guerra (1998-2003),le regioni nord orientali al confi-ne con Rwanda, Uganda e Bu-rundi, non sono ancora pacifica-te e nulla è cambiato per la gentecongolese. C’è perfino chi rim-

piange il regime dittatoriale diMobuto Sese Seko. Ma quella èun’altra storia.«Già dal 2006, data dell’appro-vazione della nuova Costituzionee delle elezioni democratiche –spiega Wamberechi Bilongo, sa-cerdote di un villaggio vicinoButembo – il fenomeno militaredei Maj maj, il gruppo nazionali-sta ribelle concentrato nel Kivu,va ad affievolirsi. La maggiorparte di loro ha accettato di en-trare nelle milizie governative,ma finché non ci sarà la sicurez-

za che il Rwanda rispetterà i ter-mini dell’accordo di pace, temia-mo che l’organizzazione para-mi-litare possa continuare ad agire,come ha dichiarato alla radio u-no dei ribelli».«L’ora della riconciliazione è ar-rivata» dice Juma, studente diScienze politiche all’UniversitàCattolica del Graben di Butem-bo, laboratorio culturale della re-gione. In base all’accordo di Go-ma, qui, soprattutto i giovani siaspettano davvero la cessa-zione immediata delle ostilità,

DA PERDEREDA PERDERE

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

39 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

Mutwanga, Mu-sienene, Bingo,Luotu, Maghe-ria e Lukanga.Quest’ultimo è

il più vicino alla foresta dove lapovertà è aggravata dai segni dellaviolenza. «Ultimamente la popo-lazione non ha subito saccheggi –racconta Osvald Kibonde, aiutoparroco –. Ma non si è neppure ri-costruito. Speriamo che con l’ac-cordo di Goma le cose possanocambiare. I nostri bambini soffro-no di malnutrizione, muoiono di

malaria, di tubercolosi e convivo-no con forme devastanti di micosi,in particolare agli arti inferiori.Come conseguenza della mancan-za di cibo, tra di loro sono fre-quenti i casi di malattie agli occhie di disturbi dell’udito». Il maleche annienta più degli altri l’in-fanzia di questo Paese, tuttavia, ri-mane il virus dell’Hiv, conseguen-za delle violenze fisiche e sessuali. A Kamandi, oltre il parco Virun-ga, verso Kanyabayonga e Gomadove ancora è viva la memoria de-gli scontri, c’è Padre Henric Schil-

la creazione di una zona cuscinet-to controllata dai caschi blu dellaMonuc, il rispetto dei diritti uma-ni e la creazione di una commis-sione per monitorare lo smantella-mento delle milizie. Quanto alGoverno, «sappiamo che si è im-pegnato a far approvare dal parla-mento una legge di amnistia pergli ex combattenti – commentaJuma – ma non per crimini diguerra e contro l’umanità». Nel cortile vicino all’ingressoprincipale dell’Università ci sonoRonald, Esther e Joel. Anche loroparlano dell’accordo di pace rag-giunto a Goma e sono fieri perchéconoscono bene Don ApollinaireMalu Malu, ex Rettore della loroUniversità, che ha presieduto i la-vori della conferenza. «La debolezza strutturale e persi-stente dello Stato è una delle prin-cipali cause del conflitto – spiegaFrançois KamateMulume, mem-bro della com-missione che haelaborato la Co-stituzione del2006 –. Per que-sto le legittime i-stituzioni di cui ilPaese si è dotatodevono essere ri-spettate». PerJoel «la comunità internazionalenon deve permettere che il Rwan-da continui a mercificare il geno-cidio del 1994 alimentando altriscontri in nome di quei morti». Lastampa congolese è unita nel sot-tolineare che la firma di un accor-do è una cosa, rispettarlo un’altra. Per capire queste perplessità bastaandare nei vicini villaggi di

40POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

A destra il mercato di Butembo.

A pag. 41 Kasindi: un manifesto del Governo ugandese avverte del pericolo Ebola al confine tra Uganda e RDC.

A pag. 38 e 39 Butembo: decine di mototaxi aspettano i clienti sotto un cartellone che inneggia al Presidente della RDC, Kabila.

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

der, missionario olandese che vivenel villaggio da quarant’anni. «Damesi assistiamo all’esodo di interivillaggi verso Butembo a bordo dicamion stracolmi di merce e per-sone – dice –. Speriamo che que-sta desolazione possa finire». Anche a Kasana, quasi al confinecon Bunia, ci sono 12mila abitan-ti, soprattutto bambini, consumatidalla malnutrizione, delle dermati-ti sul cuoio capelluto e da piagheagli arti inferiori. Accanto, uncampo profughi di oltre 15milasfollati che, secondo fonti ufficiali,

in tutto il Nord Kivu sarebbero al-meno 800mila. Una situazione u-manitaria pesante, aggravata dalsempre crescente tasso di malnu-trizione, da una recente epidemiadi colera, dalla lebbra, da casi dimeningite e dall’incubo dell’Ebo-la. Soprattutto quest’ultima è an-cora oggi molto temuta nella zonadi Kasindi, al confine con l’Ugan-da, come dimostra il cartello alladogana. Anche se, in base ai datiforniti dal Ministero congolesedella Sanità, ad oggi i morti per E-bola sarebbero concentrati solo aKampungu, a 15 km da Luebo.A metà gennaio, nel Nord Kivu,sono state viste colonne di bambi-ni armati marciare schierate. Ora,come prima ricaduta dell’accordodi Goma il Governo e la comu-nità internazionale si aspettano laloro liberazione, in tutto almeno200mila bambini-soldato. «Dal 2001 solo dal Centro di tran-sito e orientamento di Butembone sono passati più di tremila – di-chiara il coordinatore GustaveSawa Sawa –. In media ne ac-cogliamo una quarantina alla

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

volta, compresi i neonati,conseguenza degli stupri».Alcuni sono staticostretti a man-giare carne u-mana, un fe-nomeno

molto diffuso tra i ribelli del Mo-vimento di liberazione congolese(Mlc) della zona equatoriale. Co-me Manuel, 11 anni, ora dipen-dente da alcol, acidi e colla. «La situazione dei bambini è cata-strofica. I guerriglieri di entrambi ifronti li usano come carne da ma-cello per le prime linee di fronte»,dichiara Hussein Mursal, respon-sabile per la Rdc di Save the Chil-dren. Quelli che tentano di fuggi-re sono tenuti prigionieri in fossescavate nel terreno. Marilic, 16anni, originaria di Lukanga, loconferma. Anche lei per tre anniha ucciso e saccheggiato. «Sono

entrata tra i Maj maj per dispera-zione» racconta. Sul fianco destroha una ferita da arma da fuoco.«Sono stata ripetutamente violen-tata e ho fatto la guerra combat-tendo in prima linea fino al sestomese di gravidanza. Poi una matti-na all’alba sono fuggita». L’arruolamento volontario dipen-de dal fatto che, in un contesto dipovertà assoluta e desolazione,«l’esercito garantisce alcuni bene-fici – dice Sawa Sawa –. Innanzi-tutto cibo e soldi. Per questo nonc’è più tempo da perdere. I nostribambini, futuro del Paese, devonoessere salvati». ❏

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀQui sotto al mercato di Butembo si commercia di tutto. Per una biciclettaci vogliono 65 dollari, troppo per una famiglia che al mese ne guadagna al massimo 20.

In basso l’acqua, bene indispensabile.Questa bambina ha percorso 24 km con il suo secchio di latta.

A pag. 43Congo: un bambino-soldatotra i Maj maj del Sud Kivu.

42POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

Secondo le stime delle Na-zioni Unite sono almeno250.000 i piccoli trasfor-mati in demoni, in mac-

chine per uccidere, nei seguentiPaesi: Afghani-stan, Burundi,Ciad, Repub-blica Centrafri-cana, Colom-bia, RepubblicaDemocrat icadel Congo(DRC), Myan-mar, Nepal, Fi-lippine, Soma-lia, Sudan, SriLanka ed U-

ganda. Come si può vedere inquesta lista la maggior parte deiPaesi sono africani e fra i più po-veri del mondo.Il “numero uno” del Palazzo diVetro ha evidenziato, fra gli aspet-ti positivi, l’assenza della Costad’Avorio nella lista dei cattivi. Leparti coinvolte nel conflitto, in-fatti, hanno cessato il reclutamen-to e hanno anche adottato misureper identificare e rilasciare questevittime della crudeltà degli adultiper la loro riabilitazione.In Myanmar, uno dei Paesi più in-teressati dal fenomeno, il rap-porto segnala che le autorità

BAMBINI-SOLDATOMISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

di LUCIANO BERTOZZI

43 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

L’autore del libro “I bambini soldato” (Ed. Emi) denuncia il reclutamento e l’utilizzo

dei bambini-soldato nei tanti conflitti,che ancora insanguinano il mondo:

«Tutto ciò avviene ancora in una dozzina di Paesiad opera di alcuni eserciti e di decine di guerriglie».

Lo ha affermato recentemente il Segretario Generale ONU Ban Ki-moon,

che ha predisposto un Rapporto,per fare il punto sull’agghiacciante problema

nel periodo ottobre 2006 – agosto 2007.

PICCOLE RECLUTEPER GUERRENASCOSTE

hanno preso alcuni provvedimen-ti in materia, rimane comunque ilproblema dell’attendibilità dei da-ti.Fra le principali preoccupazionidel Segretario Generale vi è lostretto legame esistente fra il re-clutamento dei piccoli ed i campiprofughi. Proprio in questi luoghi,dove dovrebbero essere protetti i

deboli, avvengono i reclutamenti,ad esempio nello Sri Lanka e nel-l’ex Zaire. «Più c’è sicurezza neicampi dei rifugiati e dei profu-ghi», ha affermato il rappresen-tante ONU sui bambini nei con-flitti, Radhika Coomaraswamy,«meno vi è reclutamento deibambini». Ulteriori preoccupazio-ni sono costituite dal dispiega-mento transfrontaliero di gruppi

armati per reclutare piccoli, carneda cannone per le guerre dimenti-cate, come avviene lungo la fron-tiera fra Sudan e Ciad, fra Rwan-da e DRC; dalla detenzione di mi-nori gli attacchi contro il perso-nale educativo e le scuole e laviolenza sessuale. Quest’ultima èla vera arma di distruzione di mas-sa del XXI secolo.

Fra le novità positive è da eviden-ziare la lotta all’impunità. La cer-tezza della pena di fronte al dirittointernazionale, che condanna l’u-tilizzo e il reclutamento dei bam-bini, assume un valore fondamen-tale, pedagogico. In questo ambitosono stati fatti alcuni significativipassi avanti, come il processo at-tualmente in corso all’Aia a Char-les Taylor, ex Presidente della Li-

beria e grande burattinaio delleguerre, che hanno insanguinatol’Africa occidentale negli anni ’90e che hanno visto quale “benzinadell’incendio” proprio i bambini-soldato. Il Tribunale ha perseguitoanche i leader del famigerato LRAugandese, fra cui il capo dei guer-riglieri, Kony, e ultimamente unsignore della guerra del DRC,

Mathieu Ngudjolo, è stato trasferi-to a L’Aia, per essere processato. L’argomento dei bambini neiconflitti è stato dibattuto dalConsiglio di Sicurezza dell’ONU.Il massimo organo decisionaledelle Nazioni Unite, nell’espri-mere disappunto per la mancatorispetto delle risoluzioni di con-danna del drammatico fenomenodei bambini-soldato, ha riaffer-

44POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

mato la volontà di fare ricorsoanche a sanzioni mirate nei con-fronti dei responsabili dell’ag-ghiacciante fenomeno. Tali misu-re, già elencate in passato dalConsiglio, sono l’embargo alleforniture di armi, il blocco deiconti correnti e dei viaggi all’e-stero dei responsabili.È importante che la comunità in-ternazionale affronti temi di così

grande rilevanza. Sino a pochi an-ni fa il problema era conosciutosolo da qualche specialista e daimissionari. È evidente che, quan-do l’opinione pubblica ne è a co-noscenza, è più facile per i politiciprendere delle posizioni. I tempidella diplomazia, purtroppo, sonoincompatibili con quelli dei bam-bini costretti intanto ad essere uc-cisi o uccidere a loro volta. Per

dare a questi piccoli innocenti lapossibilità di ricostruirsi una vita èindispensabile fare presto, prende-re decisioni vincolanti. Ma cosìnon è. «È ora tempo per il Consi-glio di Sicurezza di passare dalleparole all’adozione di misure con-crete», ha affermato RadhikaCoomaraswamy nel dibattito alconsesso ONU. Ci sono 16parti responsabili di violazio-

A destradisegno di Benish, 12 anni, Uganda.

Qui sotto disegno di James, 11 anni,Nord Uganda. I disegni testimonianole atrocità subite dai bambini e la faticadi una vita vissuta in mezzo al conflitto:gli attacchi alle loro case, i rapimenti,le mutilazioni, la puara di essere uccisi,l’orrore di aver visto la guerra.

A pag. 44 disegno di Francis, 13 anni, Nord Uganda.

45 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

ni iscritte sulla lista ONU da 5anni consecutivi. È stato chiestoal consesso di adottare le sanzionisuggerite dal Segretario generale,soprattutto la lotta ai flussi finan-ziari dei violatori e l’esclusionedalle strutture decisionali dei ri-spettivi Paesi.Al dibattito al Palazzo di Vetro hapreso parte il Sottosegretario agliesteri, Craxi, il quale ha sottoli-neato che l’Italia condivide l’idea

che per combattere questo odiosofenomeno abbiamo bisogno di u-na strategia globale, che non si li-miti a contrastare solo il recluta-mento dei bambini. Il nostro rap-presentante ha invitato a conside-rare la violenza sessuale sui piccoliquale fattore in base al quale eser-citi o guerriglie responsabili sianoelencati fra i “cattivi” nel rappor-to ONU. Non solo, il Sottosegre-tario ha sostenuto Ban Ki-Moon

nel voler sottomettere al Tribuna-le Penale Internazionale tutte leviolazioni dei diritti dei bambininei conflitti di competenza delTribunale stesso. Ciò ha causatola reazione dei diplomatici statu-nitensi, del resto Washington haosteggiato in tutti i modi la realiz-zazione del Tribunale.Un aspetto assai preoccupante èl’utilizzo dei bambini quali ka-mikaze, da parte dei terroristi, in

46POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

Qui sotto disegno di Francis, 13 anni, Nord Uganda.

A pag. 47 in bassol’ambone costruito con uno dei 4mila olivi di Aboud divelti dall’esercito israeliano per proseguire la costruzione del muro di separazione tra lo Stato di Israele e i territori palestinesi.

NOTA. I disegni qui pubblicati sono stati realizzati dagli ex bambini-soldato del Nord Uganda durante i corsi di recupero psico-sociale del-l’Organizzazione non governativa AVSI (dalla quale ci sono stati gen-tilmente concessi). La raccolta delle illustrazioni realizzate è diventatauna mostra dal titolo “War, Hope and Peace”, che dal 25 febbraio al14 marzo scorsi è stata esposta al Palazzo delle Nazioni Unite di Gine-vra in occasione del 60esimo anniversario della Dichiarazione univer-sale dei diritti umani.

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

GLI OLIVI DI ABOUD

Nella terra dove tanti uomini edonne di buona volontà si ado-perano perché la giustizia pre-valga sui soprusi, la riconciliazio-ne sovrasti la violenza, il dialogoabbatta i muri, è facile incontra-re dei “profeti del nostro tem-po”. Tra questi c’è Padre Firas A-ridah, parroco latino di Aboud,cittadina palestinese situata a 18km a Nord-Ovest di Ramallah.

«Qui c’è un concentratodella situazione palesti-

nese di oggi: presenza di una co-munità cristiana, insediamenti i-sraeliani, muro di separazione, di-struzione degli olivi». È con que-ste concise parole che Padre Firasaccoglie i pellegrini in visita ad A-boud. Non sono molti quelli che siaddentrano nei territori palestine-si, ma chi ha la volontà di arrivarefino qui scopre una cittadina dicirca 2mila persone, metà dellequali cristiane, dove un giovane,energico sacerdote cattolico vivegomito a gomito con i suoi parroc-chiani. Nella chiesa di cui è parro-co, per ambone c’è un nodoso

tronco di olivo secolare: uno diquei 4mila alberi tagliati per ordi-ne del governo israeliano, perchéostacolavano il proseguimento del-la costruzione del muro che vor-rebbe isolare ermeticamente loStato di Israele dai territori palesti-nesi. «Di fronte a questi drammi,o uno si rassegna o uno si rimboc-ca le maniche», spiega Padre Fi-ras. E lui, senza dubbio, ha decisodi rimboccarsi le maniche.Consapevole che la costruzione diquel muro su territorio palestineseè illegale, con caparbietà si è ap-pellato, invano, alla Suprema cor-te israeliana perché il percorso di-struttivo del serpente di cementoalto 8 metri venisse modificato.Ma non si è dato per vinto: è arri-vato fino di fronte al Congressodegli Stati Uniti d’America, doveha tenuto un dettagliato rapportodella drammatica situazione che icittadini di Aboud stanno vivendodal 2000 ad oggi. Per loro gli olivi sono vitali: ga-rantiscono quelle piccole attivitàproduttive che assicurano una mi-nima sussistenza. È per questo cheha fatto di un tronco divelto unsimbolico ambone: perché i cristia-ni della terra di Gesù sentano chela forza per raggiungere libertà egiustizia scaturisce proprio dallaParola di Dio. ❏

A CASA DEI PROFETIDI CHIARA PELLICCI

47 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

Iraq e in Palestina. In Afghani-stan i talibani hanno utilizzato ifanciulli per i loro attacchi, anchecome piccoli kamikaze. I talibanihanno come obiettivo privilegiatoanche la distruzione delle scuole:nel primo semestre 2007 almenocento edifici scolastici sono statiattaccati, con particolare accani-mento su quelle femminili e con-tro le alunne.Ad ogni modo è di fondamentaleimportanza stanziare risorse ade-guate per garantire il recupero psi-cofisico degli ex combattenti: sen-za i soldi della comunità interna-zionale è impensabile che Paesi frai più poveri del mondo possano farfronte da soli a un problema cosìgrave. I Paesi le cui imprese si so-no arricchite sfruttando le materieprime o vendendo armi, dovrebbe-ro erogare somme a titolo di risar-cimento, assumendosi le proprieresponsabilità, che non possonoricadere solo sui dittatori locali. Sei Paesi più ricchi del mondo dan-no il cattivo esempio, perché i piùpoveri dovrebbero comportarsi di-versamente? Gli Stati Uniti, inplateale violazione del diritto in-ternazionale, detengono a Guan-tanamo diversi ragazzi catturati inAfghanistan. L’utilizzo dei bambi-ni-soldato dovrebbe rappresentareuna condizione alla quale subordi-nare aiuti economici e militari.Purtroppo non è così. Sta alla so-cietà civile, la cui mobilitazioneanche mediante la Coalizionecontro l’uso dei bambini-soldatoha portato alla ribalta internazio-nale il problema, pungolare ilmondo politico ed economico percontrastare l’agghiacciante feno-meno. ❏

48POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

di LORENZO FAZZINI

L’ALBADELLA FEDE

MINORANZE CRISTIANEMISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

Il 2008 sarà un’annata storicaper la Chiesa cattolica inGiappone visto il “dono”grande di 188 nuovi beati da

annoverare tra i testimoni autore-voli della fede cristiana. Il grandeavvenimento si terrà il 24 no-vembre a Nagasaki, “culla” delCristianesimo nel Sol Levante: ilCardinale José Saraiva Martins,Prefetto della Congregazione perle Cause dei Santi, eleverà agli o-nori degli altari 183 laici e 5 sa-cerdoti uccisi nel XVII, precisa-mente tre il 1603 e il 1639, il pe-riodo in cui la Chiesa del Giap-pone dovette entrare in “clande-stinità” colpita dalla persecuzioneimperiale.Tale beatificazione “comunitaria”contribuirà a rigettare luce sullapresenza cattolica in terra nippo-nica: una situazione non priva dichiaroscuri, come ha spiegato inuna recente intervista ad Uca-news Mons. Jun Ikenaga, Arcive-scovo di Osaka: poche vocazionireligiose, il crescente numero dicattolici stranieri, la sfida dell’e-vangelizzazione...«Ho chiesto ai Vescovi dell’Asia– ha spiegato il presule – di svi-luppare un programma per riuniredei missionari candidati ad essereinviati in Giappone. Gli evange-

LA CHIESA IN GIAPPONE

Il prossimo 24 novembre il Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi sarà a Nagasaki per la beatificazione di 188 uomini e donne uccisi nel XVII secolo. Un evento che ribadisce la speranza cristiana nel Paese del Sol Levante.

lizzatori dai Paesi asiatici possonoessere molto più vicini alla nostracultura e al carattere giapponeserispetto ai missionari europei».Anche perché – spiega Mons.Ikenaga – il volto della Chiesa

giapponese è veramente globaliz-zato: «Grazie alla presenza deicattolici stranieri ogni Messa do-menicale nelle nostre parrocchievede un numero doppio di parte-cipanti rispetto alle statistiche uf-ficiali». Tra le nazionalità piùpresenti vi sono filippini, coreani,cinesi, peruviani e sudamericaniin generale. E per venire incontro alle nuoveesigenze missionarie, l’arcidiocesidi Osaka sta “spingendo” moltosul ruolo dei laici: «Abbiamo tra-dotto un catechismo del LumkoMissiological Institute del Suda-frica, molto facile per la gente.Stiamo promuovendo un gruppodi laici che conducono i corsi dicatechesi e preparano i catecu-meni al Battesimo”. Nel 2006 iBattesimi in Giappone sono stati

7.193, dei quali 3.692 di adulti; lepersone che si preparano all’ini-ziazione cristiana sono oggi oltre5.400.Come ha spigato a Fides Mons.Peter Takeo Okada, Arcivescovodi Tokyo e Presidente della localeConferenza episcopale, vi è an-che la sfida dei tanti giapponesiche si dimostrano “interessati” alCristianesimo senza entrare a farparte esplicitamente della Chie-sa: «In Giappone basta frequen-tare un tempio per dirsi fedele diuna data religione. Noi abbiamomolti simpatizzanti che chiedonodi avvicinarsi alla fede cristiana.Ma, per diventare cristiani, è pre-visto un cammino di catecume-nato molto lungo e impegnativo,dunque non è così facile ade-rirvi».

49 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

Qui sopraVia Crucis del Venerdì Santonella parrocchia di Mihara. A destra,il missionario italianoDon Arnaldo Negri.

La fede cristiana, in Giapponepiù che mai, ha sempre bisognodi inculturazione: come spiegaMons. Ikenaga, il concetto giap-ponese di Dio è più “materno” diquello occidentale, più impronta-to alla paternità: «Oggi alcunigiapponesi dicono di non poterseguire quell’immagine di Dio.Per gli orientali Dio è molto,

molto vicino a noi. Vive anchedentro di noi». E proprio per que-sto la testimonianza dei martiriprossimi beati può risultare quan-to mai eloquente: «Non erano at-tivisti per i diritti umani o mili-tanti politici che gridavano con-tro il regime. Erano solo personedi profonda e genuina fede – ri-marca Mons. Okada – che hannosacrificato la loro vita per quelloin cui credevano». ❏

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

50POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

A sinistra ragazzi del catechismo della parrocchia di Mihara, città a 75 km a Est di Hiroshima.

In basso processione mariana dei ragazzi di Mihara.

A pag. 51 Ciad: Messa domenicale in una parrocchia di N’Djamena.

CHIESA PICCOLA MA MISSIONARIA

In Giappone è stato sfondato di recente il“muro” del milione di cattolici: i fedeli giap-

ponesi oggi sono 452mila, per il 60% donne, aiquali vanno aggiunti 565mila cattolici stranieripresenti nel Paese. I sacerdoti sono 1553, deiquali 926 locali e 627 missionari dall’estero; lereligiose 6.060, di cui 372 straniere, 201 i reli-giosi non sacerdoti. Colpisce, in negativo, il numero relativamentebasso di vocazioni: ad oggi vi sono 138 semina-risti e solo 58 giovani coinvolti in attività prope-deutiche all’ingresso in Seminario; anche i dia-coni (38) sono molto pochi. Per contro, cresco-no sempre di più i cattolici stranieri, che lo scor-so anno hanno superato quota mezzo milione.In Giappone ci sono più cattolici provenientidall’estero che quelli nati nel Paese.Vi è però un dato singolare, nelle “pieghe” dellestatistiche sulla vita della comunità cattolica

nipponica: a fronte di una presenza molto ridotta (0,37% dei 127 mi-lioni di abitanti) ben 360 sono i giapponesi missionari in diverse partidel mondo: sacerdoti Fidei Donum, religiosi, religiose, laici...Che sia, questo, un positivo retaggio della venuta della Parola di Dio inGiappone, tramite l’esempio e la testimonianza del grande missionarioGesuita San Francesco Saverio nel XVI secolo? Come ha spiegato poiMons. Peter Takeo Okada, Arcivescovo di Tokyo e Presidente dellaConferenza episcopale giapponese, «ci proponiamo di essere molto vici-ni alla Cina. È compito della Chiesa giapponese essere sorella di quellacinese. Dobbiamo lavorare insieme con tutte le Chiese asiatiche per l’e-vangelizzazione del continente». L.F.

te migliaia di persone che scappanodalla guerra.I danni causati dai combattimentisono notevoli. In pochi giorni il Pae-se ha fatto un passo indietro di 20anni. Alle distruzioni delle armi siaggiungono i danni dei saccheggi.Tavoli, banchi, sedie, frigoriferi,condizionatori, divani e materialedidattico si trovano per le strade, vi-sto che alla radio è stato dettoche si passerà di casa in casa

Da quando, il 3 febbraioscorso, la capitale delCiad è stata invasa dauna colonna di ribelli

che, partiti dal Sudan, hanno per-corso più di 800 km, il Paese versain una situazione drammatica. Gliscontri con le forze governative han-no scatenato una grande paura nellagente, che ha cominciato a scapparein massa. Solo un fiume separa ilCiad dal Camerun: alcuni l’hanno

«HO SPOSATOQUESTA GENTE»

«HO SPOSATOQUESTA GENTE»

POSTA DEI MISSIONARIMISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

a cura di CHIARA PELLICCI

51 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

attraversato con la piroga (si parladi gente che è annegata), altri sonopartiti a piedi, con la moto, conl’auto. Al di là del fiume c’è una cit-tadina, Kousseri (dove a volte an-diamo a fare la spesa perché in Ca-merun la vita è meno cara), chenon ha strutture di accoglienza: fa-cile immaginare come si sono trova-

che alla fine del ponte dei banditi sta-vano “alleggerendo” i suoi confratel-li, aveva avuto paura ed era tornatoindietro; ma proprio in quel momen-to ripresero i combattimenti. Inquie-tudine e angoscia in tutti. Due giornidopo è arrivata una suora in motori-no e ci ha informato che Jules si erarifugiato nella loro comunità e stavabene. Per pranzo ci siamo riunititutti insieme: ho assaporato un po’la gioia della risurrezione…Il governo francese ha messo a di-sposizione le sue strutture per proteg-gere ed evacuare coloro che lo desi-derano. La vice-console italiana miha telefonato: «La Farnesina chiede

agli italiani di rientrare. Tu cosa haideciso di fare?». Ho chiesto: «Leicosa fa?». Mi ha detto: «Io resto,perché sono sposata con un ciadia-no. Non posso lasciare mio marito».Ho risposto: «Anch’io sono sposato.Con questa gente. Non posso la-sciarla».Le situazioni difficili servono ancheper andare al cuore delle nostre scel-te e ritrovare i motivi che ci hannospinto a deciderci per il Signore.Chiedo una preghiera, perché non cimanchi il coraggio di vivere nella fe-deltà e nel servizio.

Padre Renzo PiazzaN’Djamena, Ciad

per cercare i responsabili dei saccheg-gi. Il migliore liceo della città, gestitodalle religiose del S. Cuore è statoparzialmente distrutto e le Suore so-no dovute partire.Ma chi sono questi ribelli? Appar-tengono a tre gruppi etnici ben di-stinti, originari del nord del Paese,divisi tra loro, ma uniti da un obiet-tivo comune: abbattere il regime go-vernativo. Nel dicembre scorso i tregruppi attaccarono separatamente leforze governative nell’Est del Paese,sulla frontiera con il Sudan, ma fu-rono sconfitti. Recentemente ci han-no riprovato, unendosi tra loro e se-minando morte per le strade. Tra lenumerose vittime c’è anche Yous-

souf, un ex seminarista Combonia-no, che è stato colpito a morte insie-me ad altri due amici: come tantissi-mi giovani, hanno voluto assistere al-la guerra “in diretta”, senza rendersiconto dei rischi che correvano. È ba-stata una sventagliata da un’auto infuga per stroncare le loro vite.C’è anche un’avventura a lieto fine.I Gesuiti hanno quattro giovani afri-cani in formazione a N’djamena.Visto il grado di pericolosità nel ri-manere in città, sono stati inviati inun posto più calmo, al di là del fiu-me. Tre di loro sono riusciti a passa-re il ponte, ma del quarto, Jules, sisono perse la tracce. Avendo notato

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

52POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

A destrafontana con tre rubinetti:

un successo per gli abitanti di Luvungi. L’acquedotto di Luvungi, nella regione

del Kivu (Rep. Dem. del Congo)ha 43 km di tubi interrati, 90 fontane, 215 rubinetti

ed eroga 1.036.800 litri d’acquaal giorno per 40mila abitanti.

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

ACQUA PER 40MILA

Nel dicembre scorso è stato i-naugurato l’acquedotto di Lu-

vungi, nella regione del Kivu (Rep.Dem. Congo): 43 km di tubi inter-rati, 90 fontane, 215 rubinetti,1.036.800 litri d’acqua al giornoper 40mila abitanti. Un serbatoio di130 metri cubi è seminterrato nellacollinetta che domina la pianura diLuvungi. L’acqua ha la sua sorgentesulla montagna, si accumula in ungrande raccoglitore e si distribuiscenei vari quartieri. L’eccedente esceed è benedizione per i campi vicini.L’opera è stata realizzata in un annodi lavoro. Ha diretto i lavori fratelLucio Gregato, della provincia diTreviso, che ha una lunga esperien-za di missione e di costruttore in Bu-rundi e in Congo. «È diventato quipiù popolare del Presidente – è statodetto – e gli è stata proposta la citta-dinanza onoraria».Da queste parti le iniziative di svi-luppo sono tante, ma quelle che ar-rivano a buon fine sono poche.

Molte si perdono per strada permancanza di collaborazione, perprogetti fasulli, per programmi nonadeguati, per guerre, per situazionipolitiche, per disonestà…L’acqua è uguale per tutti. È vitaleper tutti. È il sogno di tutti. Ognigiorno e in ogni ora mamme, ragaz-ze, bambine, in processione con bi-doni di plastica, vanno al fiume e ri-tornano curve sotto il peso: un com-pito quotidiano che rasenta la schia-vitù. Una folla di persone, ognimattina, davanti al dispensario dellesuore, accusa mal di pancia, diar-rea, debolezza, colera, vermi intesti-nali: donne e uomini anziani, solinelle capanne, non si lavano e l’ac-qua del misero recipiente non è né i-nodore, né incolore, né insapore.Luvungi è un grande villaggio, che siestende in una pianura sabbiosa, so-leggiata e ventilata nel pomeriggiodal vento secco del lago Tanganika.Nel passato ci sono stati diversi ten-tativi per risolvere il grave problemadell’acqua, con vecchie pompe amano di poca durata. Dopo un lun-

go tempodi studi edi sopra-luoghi, do-po contattie pratichecon variorganismi,dopo una

campagna formativa e educativa, siè arrivati alla realizzazione dell’ope-ra. Con San Francesco viene spon-taneo esclamare: «Laudato si’, mi’Signore, per sor aqua, la quale èmulto utile et humile et pretiosa etcasta».

Padre Giuseppe DovigoBukavu, Rep. Dem. Congo

53 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

A fiancoBukavu:la consegna dei primi frutti dell’acquedotto.A sinistra, PadreGiuseppe Dovigo.

Ci sono parole che por-tano lutto e distruzio-ne, più forti, se maifosse possibile, delle

immagini. E ci sono parole chemuovono a compassione, a soffri-re vicino al dolore dell’altro. Pa-role di tre anni fa. Lo tzunami: lamorte improvvisa, i senza casa, ipescatori rimasti senza barche esenza più reti. Popoli e Missioneraccolse poche parole e qualche

VITA DELLE PP.OO.MM.

54POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

CONTINUAUNA BELLA STORIA

SRI LANKA 2008

immagine e le passò ai suoi letto-ri. Pochi mesi di passa-parola e siraccolse una somma pur sempreimportante. Poi la scelta dell’in-tervento, del luogo e del proget-to. Missionari, certo, ma consape-voli che ogni missione è coopera-zione e scambio reciproco, incon-trammo una Chiesa, piccola e vi-va, in Sri Lanka.Guardando al futuro, oltre allecase per le famiglie, il giovane

Vescovo Valence Mendis pensòsubito a una scuola di secondogrado, professionale e teologica.A meno di 24 mesi, oggi siamoqui ad inaugurarla, benedirla, a-prirla, anche se già la frequenta-no oltre 300 giovani.Le parole dell’appello hannomesso pietra su pietra e ora fraqueste mura si udranno altre pa-role che insegneranno ai giovani,ragazzi e ragazze, come si può vi-

vere da fratelli, ma anche perchési muore.Se dovessi scegliere alcune parolefra tante, penserei a queste:«Qualunque cosa avete fatto al piùpiccolo, l’avete fatta a me». Daqueste parole, ascoltate e ubbidi-te, questa scuola per questi figliche potranno raccontarne altre aloro volta: «C’è più gioia nel dareche nel ricevere». Potranno anchedire che, per il miracolo dell’a-

more, dalla morte può venire lavita. E che persino uno tzunamipuò essere benedetto.

LA SCUOLA:«L’AVETE FATTA A ME…»Giorno dell’inaugurazione. Siamovenuti per questo appuntamento,solenne e commovente allo stessotempo. Una scuola superiore condiversi indirizzi: teologico, tecni-co, di lingua inglese, informatico,

e tre piani di struttura solida e a-riosa, porta il nome di un giorna-le: Popoli e Missione, il mensiledelle Pontificie Opere Missiona-rie italiane, che l’ha resa possibilegrazie alla solidarietà dei suoi let-tori dopo la tragedia dello tzuna-mi. Ed ecco oggi la scuola, pienadi giovani, frequentata da 300ragazzi, oggi tutti qui. A far festae a benedire, tre Vescovi locali, ilNunzio apostolico, l’Ambasciato-re italiano, un Ministro del Go-verno sri-lankese, il sindaco dellacittà, un monaco buddhista, tantisacerdoti e un gruppetto di suore.Qui studieranno i giovani perprepararsi professionalmente eculturalmente in vista di quellaformazione integrale che fa delcristiano anche un buon abitantedella città terrena.In terra di miseria, quando

di ANGELO SCEPPACERCA

55 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

La seconda volta in Sri Lanka. Si torna sempre,almeno una volta, dove si è respirata vita e scambio di fede.Allora per lo tzunami,oggi per aprire case, centri e scuole nate dalle mani che condividono,prima ancora che dai mattoni che le innalzano.All’arrivo, al tramonto, i ragazzi sono comequelli italiani: con un pallone al piede corrono da invidiarli per l’energia che emanano. Sanno far tutto: facchini e camerieri, giardinieri e addettialle piscine. Ma anche pescare con niente.Sulla spiaggia, due dozzine di pescatori tirano a riva le lunghe corde, la grande rete,la barca.Alla fine, sul fondo, neanche cinque chili di pesciolini.Anche oggi a stento si vincerà la fame di una famiglia numerosa.

Qui sopral’alzabandiera all’inaugurazione della scuola. Dopo il terribile tzunami,Popoli e Missione raccolse poche parole e qualche immagine e le passò ai suoi lettori. Pochi mesi di passa-parola e si raccolse una somma pur sempre importante...

A pag. 54spiaggia e catamarano al tramonto.

non si riceve un aiuto che ti sol-levi da terra, non ce la fai a ve-nirne fuori. Tante famiglie di pe-scatori, senza nemmeno la barca,a servizio perenne di piccoli pa-droncini. Se lavorano e la rete siriempie, si mangia. Altrimentiquel giorno si salta il pasto. Nien-te case, solo capanne precarie efragili che un’onda anomala puòspazzare via. Queste famiglie sonostate aiutate a rialzarsi. Hanno a-vuto una casetta dignitosa, unpezzo di terreno, delle reti nuove,e i figli possono andare a scuola!

VILLAGGIO IRPINIANon molto distante, seguendo lacosta a Sud, è il villaggio dei pe-scatori, con le 50 casette già con-segnate, che presto saranno 100.In appena due anni è pronta an-che la chiesa e il Centro della co-

munità: per socializzare, incon-trarsi, iniziare quel processo di re-ciproca integrazione anche tra fa-miglie di religione diversa: cri-stiani, buddhisti e musulmani.Paese ricco di contraddizioni. U-na perla nell’Oceano Indiano con20 milioni di abitanti. Bello elussureggiante per natura, feritoda tensioni e terrorismo, sempresull’orlo di una guerra civile. Gliuomini e le donne che si fanno e-splodere nella folla, li hanno in-ventati qui le tigri Tamil. Rag-gruppati soprattutto a Nord-Est,ma molti sono quelli ormai stabi-litisi al Sud e nella capitale, i Ta-mil sono eredi degli indiani por-tati dai colonizzatori, specie in-glesi, per le distese piantagioni dithè. Quasi un milione di personecon diritti negati: quello allo stu-dio, per esempio, ma anche quel-

56POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

lo agli aiuti giunti dopo lo tzuna-mi.Non tutti sono terroristi, natural-mente. Quasi tutti, però, sonopoveri. Un buddhismo nazionali-sta e particolarmente duro premeperché il Governo non tratti. Al-l’ennesima sospensione della tre-gua, a metà gennaio, l’ennesimoattentato e un ministro salta in a-ria con la sua scorta. Gira voce di un incontro, a Ro-ma, mediato dalla Comunità diS. Egidio. Presente anche il Ve-scovo Vianney di Kandy, attualePresidente della Conferenza epi-scopale srilankese. Un nuovotentativo di riaprire il dialogo, diportarlo a livello internazionale,anche se l’ultimo, ad opera deiNorvegesi, è andato fallito. Acausa della situazione politica esociale, soprattutto per il timore

di attentati suicidi, il turismo stasubendo un crollo vertiginoso.Alberghi vuoti e che chiudono,piccole aziende di artigianato lo-cale ridotte al minimo, aumentail flusso migratorio per ogni dove.In Italia gli immigrati srilankesisono più di 30.000.

UN PO’ DI STORIA E GEOGRAFIACon queste dimensioni, l’isola diSri Lanka fu definita dallo stessoMarco Polo come la più bella delmondo. Per quanto piccola, halunghissime spiagge ombreggiatedi palme, coste battute da venti eadorate dai surfisti, danze e costu-mi antichi e pittoreschi, proces-sioni di elefanti e grandi templicon enormi Buddha, da visitarenei giorni di luna piena. Cittàantiche di millenni, con templi ecostruzioni testimoni di epoche edi imperi colonizzatori, portoghe-si, olandesi e inglesi. Natura lus-sureggiante e arida, acqua a ca-scate e zone desertiche, pianure ealti monti. Se lo tzunami ha provocato 30mi-la morti e un milione di senzatetto, altrettante vittime, ma for-se di più, ne ha prodotto la guerracivile, in 25 anni. Indipendente,sulla scia dell’India, dal 1948,Ceylon ebbe il primo governocon alla guida il Partito dell’Unio-ne Nazionale e, all’opposizione, ipartiti Tamil (al Nord del Paese enelle piantagioni di thè) e i co-munisti.Alterne vicende, tumulti di gio-vani, la rivolta marxista del 1971soffocata nel sangue. Nuova co-stituzione e nuovo nome: SriLanka. La burocrazia si politi-

VITA DELLE PP.OO.MM.

57 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

Qui soprala tomba di P. Iannaccone a Kandy.

A sinistra e in bassodue momenti della cerimonia di inaugurazione della scuola,sorta grazie alla generositàdei lettori di Popoli e Missionee già frequentata da oltre 300 giovani.

A pag. 56raccoglitrici di thè.

cizza ulteriormente e cresce lacorruzione ad ogni livello. Alcu-ne leggi penalizzano i Tamil cheinsorgono e combattono per unoStato indipendente che vorreb-bero chiamare Eelam (terra pre-ziosa).Nel 1983 l’imboscata a una pat-tuglia dell’eserci-to scatenò la rap-presaglia di ban-de di singalesi in-ferociti. Centi-naia le vittime.Per un periodointervene l’Indiacome forza di pa-ce, ma dovetteritirarsi nel 1990. Ai Tamil cheoccupano gran parte del Nord sicontrappone il JVP, l’esercito diliberazione popolare, rafforzato daun gran numero di monacibuddhisti sangha. Nel 1987 ilJVP tenta un golpe alla manieradei Khmer rossi in Cambogia.Dopo l’uccisione di Rajiv Ghan-di, nel 1991, per mano di unadonna suicida delle tigri Tamil,gli estremisti di entrambi i frontiriaprono le ostilità e, nel 1993,viene ucciso il Presidente. Nel2000 una missione di pace norve-gese porta il partito delle tigri e ilgoverno al tavolo delle trattative.Solo due anni dopo, però, il ces-sate il fuoco. I due partiti al Go-verno si fronteggiano. Nel 2003le tigri sono dichiarate dagli U-SA organizzazione terroristicastraniera. Nel 2004 i norvegesi ri-nunciano. E siamo allo tzunamidel 26.12.2004. Sugli aiuti si sca-tenano controversie e conflitti,ma soprattutto corruzione. Le ti-gri boicottano le elezioni del

2005 che vedono vincere un par-tito per pochi punti. Il nuovoPresidente promette l’ONU co-me nuovo negoziatore di pace, unnuovo cessate-il-fuoco, ma rifiutaanche i soccorsi alle popolazioniTamil per cui si chiudeva ognisperanza di autonomia. È ancora

lontana la pace.

SOTTOL’ASSEDIO DELLA PAURASulla strada per Co-lombo, la capitale, ètutto un mare di ba-racche tenute in piedi

dai cartelloni pubblicitari che lesovrastano e rendono le periferiedel Terzo mondo identiche fra lo-ro. Tanto, i prodotti sono sempregli stessi.Il 16 gennaio scorso scadeva latregua tra Governo e Tamil. Pun-tuale, il primo attentato, anzi piùdi uno. Una bomba su un autobused è strage: 27 morti e 67 feriti.Poco dopo e non distante, un al-tro attacco con alcuni soldati fe-riti. Fonti non confermate parla-no anche di bombardamento ae-reo, ad opera dell’esercito, su luo-ghi strategici dei Tamil, in realtàsemplici villaggi...

VITA DELLE PP.OO.MM.

58POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

Qui sottoSri Lanka: donne in preghiera nella chiesadel villaggio.

A pag. 59la vita rinascein riva al mare.

LA POSIZIONE DELLA CHIESACi riceve l’Arcivescovo di Co-lombo, che a giorni festeggerà icinquant’anni di sacerdozio. È re-duce da un incontro sul dialogointerreligioso. Chiedo chi sono imonaci seduti vicini a lui: «Que-sto è un mio grande amico», ri-sponde orgoglioso indicando uncapo buddhista. Inevitabile il ri-ferimento all’attentato del giornoe alle valutazioni circa il futuro.Crede poco, vista la precedenteesperienza norvegese, ad un im-mediato quanto efficace inter-vento di mediazione internazio-

nale, se prima non c’è un sostan-ziale accordo e collaborazionedelle componenti religiose delPaese, ad ogni livello. Spiega:«La guerra non è mai la soluzione.Tocca alla politica trovare le solu-zioni necessarie che non dividano ilPaese, ma in qualche modo consen-tano una devolution del potere eun riconoscimento dei diritti di o-gnuno. È l’unica strada per consen-tire a tutti i gruppi coinvolti di viveretranquilli e di godere dei medesimidiritti».

KANDY. LA MESSA IN CATTEDRALEIn una chiesa colma di fedeli ciattendono una cinquantina di sa-cerdoti della diocesi. È una Messadi benvenuto e di fraternità. Pernoi è importante ricordare che o-gni azione, anche di promozioneumana, in realtà è sempre unoscambio, particolarmente nel-l’ambito della cooperazione mis-sionaria. Se è tanto quello cheportiamo, altrettanto e di più è

quello che riceviamo. È commo-vente avere attorno questa schie-ra di sacerdoti singalesi coi loroVescovi, espressione vera dellacomunione effettiva ed affettiva.Nei loro villaggi vivono e sonosostenuti, a distanza, oltre quat-trocento bambini, grazie alla soli-darietà delle famiglie avellinesi.Una delle tante iniziative di DonGiuseppe Iasso: il Natale solidale(replicato dalla Pasqua solidale).Ha invitato le famiglie della pro-pria parrocchia, a condividere ilpasto festivo con una famigliadello Sri Lanka. Centocinquantanuclei familiari hanno accoltol’invito (donare 15 euro a fami-glia) e oggi lui consegna al Ve-scovo la somma raccolta. Diversi tra i sacerdoti presentihanno studiato in Italia, nei col-legi di Propaganda Fide o ospitidi diocesi che li hanno accoltinel periodo degli studi. Ora sonotornati, a completo servizio dellaloro Chiesa. Il Seminario filosofi-co nazionale a Kandy ospita 81studenti dalle diocesi, 46 dagli i-stituti religiosi. 127 promesse delclero singalese, per quasi tutte lediocesi. C’è ancora il Seminariodi Jaffa, a Nord. Entrambi sonosostenuti grazie alle borse di stu-dio dell’Opera di San Pietro A-postolo che promuove le adozionidi seminaristi. Il luogo è incante-vole, fuori città, in collina, in u-na natura lussureggiante ed esplo-siva, un mare di verde curato ebrillante. Una costruzione solida,ampia, con sale e corridoi perspazi comuni, una grande cappel-la, la nuova biblioteca, tutta ve-trata affacciata sulla foresta dipalme. ❏

VITA DELLE PP.OO.MM.

59 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

LIBRIRUBRICHE

60POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

porre interessi di parte...». Il se-condo monito emerge dalle «re-sponsabilità dei sudditi della Co-rona d’Inghilterra che contribui-rono alla diffusione dell’Islamcon la vendita d’armi durante laguerra santa di Samory Tourè». Nell’antico Regno africano di So-lima si viveva di pesca e agricol-tura. A metà del 1600 era centrodi scambi commerciali: oro, sale,zanne d’avorio, prodotti vari etratta degli schiavi, che all’epocaveniva considerata forma redditi-zia di economia e sinonimo diricchezza da impiegare nei campio nella comunità. Verso la finedel secolo, dall’alto Niger e dal

Senegal arriva-rono i musul-mani Fula, ac-compagnati daiclerics, una spe-cie di cappella-ni che li assi-stevano. Purnon essendom i s s i o n a r idiffondevanola religione diMaometto econvertivanole popolazioniautoctone. No-nostante una

forte politica antimusulmana ilnuovo potente Stato di Solimacon capitale Falaba riuscì a resi-stere un centinaio di anni finchénel 1884 non fu definitivamentesconfitto dai Sofa – guerrierimandingo a cavallo che dichiara-rono “l’ennesima jihad della spa-da”. A Padre Gerardo va il gran-de merito di essere riuscito a rico-struire una storia africana, coniu-gando con sensibilità e professio-nalità la tradizione orale, le po-che fonti scritte e la ricerca sulcampo.

Chiara Anguissola

UNA STORIAAFRICANARITROVATA

«La vicenda di So-lima non si di-scosta purtrop-po da quanto

avvenne nei secoli, nel bacinodel Mediterraneo, durante la lun-ga epopea dell’espansione araba»:così scrive Padre Giulio Albanesenella prefazione al libro, sottoli-neando che due sono i moniti sucui occorre riflettere. Il primo èquello dato dal «carattere teocra-tico dell’Islam che ha imposto unsistema oligarchico dalla forte va-lenza commerciale. A riprova chereligione e politica possono dive-nire, se combinate, un’alchimiadevastante e propulsiva per im-

GERARDO CAGLIONI

FalabaLa porta dell’IslamEd. Plus (Pisa University Press)

ALDO MORRONE

Oltre la torturaPercorsi di accoglienzacon rifugiati e vittime di torturaEd. Magi, pagg. 304, € 22,00

la Struttura Complessa di Medici-na Preventiva delle Migrazioni,del Turismo e di DermatologiaTropicale dell’Istituto San Galli-cano (IRCCS) di Roma. Ha lottato per 25 anni affinchéun servizio pubblico, come quellodell’Istituto di ricovero e cura acarattere scientifico Santa Mariae San Gallicano, riconoscesse ildiritto alla salute di ogni persona.«Molti furono i controlli deiNAS e le intimidazioni succedutenei 25 anni all’interno di quellastruttura – ricorda –, ma la suascelta fu determinata e irremovi-bile! Contro la legge decise «dinon abbandonare ma di accoglie-

61 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

RUBRICHE

CON I SEGNIDELLATORTURA

«Si è trattato di anni duri, dilavoro svolto in gran se-

greto; non potevamo pubblicizza-re un servizio, di fatto non solo ir-regolare, ma clandestino»: cosìscrive l’autore ricordando il lavo-ro straordinario e volontario deitanti medici come lui, che opera-vano gli immigrati e i profughi aRoma negli ultimi anni del secoloscorso «in assoluta segretezza nel-l’unico spazio disponibile dell’o-spedale: la camera mortuaria».Aldo Morrone è considerato unodei maggiori esperti mondiali dimedicina delle migrazioni, dellepatologie tropicali e della po-vertà. Dal 2007 è il direttore del-

Qui sotto la “Tortura di San Lorenzo”, opera di Donatello.

A pag. 60 in bassoIl Cairo (Egitto): librodi preghiere musulmanenella madrassah di Hasan.

re e prendersi cura dei profughi,dei rifugiati politici e delle vitti-me di tortura che arrivavano aRoma». Sottolineando inoltreche «il nostro istituto scientificoormai sclerotizzato non è più ca-pace di vedere che la domanda disalute e dignità, che veniva grida-ta e urlata, a partire dalla nostracamera mortuaria era cambia-ta...».Il libro accoglie le storie di vitapiù significative incontrate inquegli anni. L’autore sottolineacon forza nei tre capitoli l’impor-tanza che all’interno dell’ospeda-le si crei «un servizio multidisci-plinare e transculturale», costitui-to da un team non solo di medici,infermieri e psicologi, ma anchedi antropologi, sociologi, pedago-gisti e mediatori culturali coadiu-vati dall’esperienza delle stessepersone già vittime di tortura.

C.A.

62POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

plomatico inglese, Justin Quayle(Ralph Fiennes, già candidato perdue volte all’Oscar come migliorattore per Il paziente inglese e perSchindler’s List) al punto che tuttele sue certezze sembrano scompari-re. Justin si scopre innamoratodella moglie più di quanto credes-

CINEMARUBRICHE

Un film importante, an-che se non di primauscita, che però conti-nua (anche in Dvd)

ad interessare chi è attento allestorie ambientate in Paesi del Suddel mondo. Si tratta di ConstantGardener (Il giardiniere tenace) trat-to da un romanzo di Le Carrè, o-pera del brasiliano Fernando Mei-relles (autore del famoso City ofGod) che ha come sfondo alla vi-cenda dei protagonisti gli interessidelle società farmaceutiche, alcu-ne delle quali rasentano il criminepur di guadagnare cifre stratosferi-che. In Kenya, Tessa Quayle (Ra-chel Weisz, Oscar 2006 per la mi-gliore attrice non protagonista), u-na attivista che indaga su alcuneaziende farmaceutiche, viene ucci-sa in circostanze misteriose. Unmedico, compagno di viaggio diTessa, è scomparso e tutto sembrafar pensare a un delitto passionale.La morte di Tessa colpisce ilprofondamente suo marito, il di-

IL GIARDINIERETENACE

se quando era viva e il suo scopo ètrovare gli assassini. Questo impe-gno lo cambia profondamente e dauomo timido, giudicato da tutti undebole, trova per amore di unadonna un enorme coraggio, sfidadei veri e propri colossi industrialimettendo a rischio la sua stessa vi-ta. Ma il grande protagonista delfilm è lo sfruttamento occidentale,una speculazione spinta al limitedell’etica, che spinge la gente amorire di fame e di malattie spessocurabili. Le case farmaceutiche perla ricerca utilizzano la gente per lasperimentazione, mentre l’esagera-to costo delle medicine le rende i-naccessibili, aggravando le epide-mie che uccidono milioni di per-sone.Il personaggio femminile, quellodi Tessa Quayle, si ispira a una fi-gura realmente esistita, YvettePierpaoli, che viene ricordata neititoli di coda del film come «vissu-ta e morta dando il massimo». Itemi dell’impegno sociale e dell’a-more si intrecciano e si amalgama-no esprimendo due linee narrativeparallele che hanno come sfondoaffascinanti ambientazioni africa-ne, da Nairobi al profondo Kenya,che regalano profumi di Paesi lon-tani e ci consegnano emozioni in-tense. M.F.D’A.

incarnazione nell’incrociarsi con-tinuo di percorsi, che dal grego-riano portano alle composizionidei primi menestrelli medioevali,alternando sonorità perse nellanotte dei tempi ad atmosfere vici-ne all’etno-music, al jazz-rock, alpop dei giorni nostri. Così, eccola riesumazione diantiche danze po-polari come il salta-rello, laude duecen-tesche, eteree balla-te sostenute dastrumenti ormai e-stinti e, ancora,cantigas dedicatealla Vergine Maria,frammenti dei Car-mina Burana e spe-ricolate versioni inlatino (!) di classicipop come StayingAlive e NorwergianWood.Solo un gran pinzi-monio sensazionali-sta o provocatorio?O piuttosto un’ardita impresa di-vulgativa capace di costringere leorecchie dei contemporanei a ri-flettere su ciò che oggi chiamia-mo “musica popolare”, o ciò chein ambito musicale fa da spartiac-que tra “sacro” e profano? Forse

tutte e due le cose insieme, e for-s’anche il semplice desiderio ditutti coloro che hanno aderito alprogetto di condividere la propriapassione e le proprie specificitàartistiche per metterle al serviziodi un’idea assolutamente origina-le. In ogni caso un’impresa corag-

giosa, riuscita e meritevole d’at-tenzione: come tutte quelle chesanno dribblare le convenzioni ele banalità di chi considera lamusica solo un prodotto da ven-dere, e non cultura di cui nutrirsie su cui meditare. ❏

MUSICARUBRICHE

di FRANZ CORIASCO

63 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

KRONOMAKIA.LA BATTAGLIA

DEL TEMPO

Che ci azzeccano i BeeGees col latino me-dioevale? E i Beatlescol salterio o le cor-

namuse? Eppure anche questo (emolto altro) accade in questo al-bum firmato dal polistrumentistaDaniele Sepe insieme all’Ensem-ble Micrologus ed alla Rote JazzFraktion.Kronomakia saltella con leggiadrodivertimento e rigorosissimo ap-proccio etnico tra secoli e secolidi cultura musicale europea. Mi-schia l’italiano al latino, paginedi musica antica a ritmiche mo-derne, composizioni sacre e profa-ne, la cultura araba e quella occi-dentale. Un operazione ad untempo spericolata e sapiente, col-tissima ed autenticamente popo-lare, iconoclasta e appassionata.«La contaminazione ha radici an-tiche», si legge nelle note intro-duttive di questo disco. E nei tre-dici frammenti che lo compongo-no l’affermazione trova perfetta

nei Paesi del Maghreb: lo sposta-mento è causa stessa della sua i-dentità, determinato in parte daitraffici di schiavi e in parte dal-l’emigrazione di nutrite carova-ne.Questa sorta di comunità-confra-ternita continua ancora oggi apraticare i propri tradizionali ritidi possessione e liberazione dicorpo e spirito, duranti i quali,grazie a musica e danze, riesce acomunicare con le divinità(mluk): queste sette famiglie dientità astratte, ognuna rappresen-tante un carattere o una peculia-rità dell’essere umano, vengonoevocate grazie a sette diversi mo-tivi musicali, accompagnati da al-trettanti incensi bruciati e a velidi diversi colori. I maleem, “mae-stri” della comunità, guidano lacelebrazione con il guenbri, unliuto-tamburo a tre corde, accom-pagnati da diversi tipi di tamburie rumorose nacchere di ferro, ot-tenendo sinfonie terapeutichecomposte da lunghe strofe ripetu-te più volte. Oggi la Gnawa si divide in due fi-loni: quella sacra, rimasta fedeleal repertorio mistico originale,che spesso accompagna riti capa-ci di portare fino al trance comele lule, cerimonie a metà strada

tra vudu e macumbe, e quella pro-fana, concertistica e spettacolare,contaminata da altri generi comereggae, rock, pop o jazz.Quest’ultima raggiunge la sua ce-lebrazione massima durante l’an-nuale festival della Gnawa, nellacittà marocchina di Essaouira,che raduna migliaia di persone datutto il mondo e durante il qualein tutti i quartieri si parlano millelingue e ogni piazza, cortile o slar-go si trasforma in un palcoscenicosul quale si alternano dal mattinofino a notte fonda le performancedi artisti famosi o di illustri sco-nosciuti. ❏

di SERENA OLCUIRE

Le origini degli Gnawa (oGnaoua), il cui nomederiva forse da agenaou,“uomini neri” in berbe-

ro, vengono fatte risalire alle re-gioni sub-sahariane dell’Africacentro-occidentale, nonostanteora la comunità risieda per lo più

MUSICA MISTICA,MUSICA MODERNA

ARTI E TRADIZIONIRUBRICHE

64POPOLI E MISSIONE • APRILE 2008

GNAWA:

prodotti in Vietnam da Mai Han-dicraft, un’organizzazione fondatanel 1990 per sostenere le catego-rie deboli. Gli artigiani di Mai u-sano tecniche artigianali che spes-so derivano dal patrimonio delleminoranze etniche. Si possono trovare anche bicchie-ri e caraffe divetro dal designmolto elegante,come quelli cheprendono spun-to dalle antichepitture indiane“warli”. Sonocreati in Indiada Pushpanjali,società che organizza i produttoridi oggetti in pietra saponaria e ve-tro. Straordinariamente modernesono le ceramiche chulucana, pro-dotte in un piccolo villaggio nelNord del Perù e ispirate all’anticaciviltà precolombiana. Dal Kenya vengono invece i por-tacandele in pietra colorata pro-dotti da Undugu, Ong che lavoraper aumentare le opportunità deiragazzi di strada. Dalla Colombia vengono invece ipiatti per il sushi, dall’Indonesiale ciotole da riso in cocco, dalMadagascar le caraffe rustiche. Esono solo alcuni esempi... ❏

VETRINA DELL’ECO-EQUORUBRICHE

di S.O.

65 APRILE 2008 • POPOLI E MISSIONE

QUALCOSA PER LA CASA

Nei negozi del com-mercio equo e solida-le è possibile ormaitrovare una vasta

scelta di prodotti artigianali per lacucina e per la tavola. Ci sono adesempio i servizi di piatti, le cio-tole, i vassoi di ceramica colorata