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4° GIORNATA L’aggiornamento tributario: finanziaria 2007 (1° modulo) L’aggiornamento tributario 2006/2007 Le novità tributarie alla luce delle nuove politiche fiscali e della manovra finanziaria

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4° GIORNATA

L’aggiornamento tributario: finanziaria 2007 (1° modulo)

L’aggiornamento tributario 2006/2007 Le novità tributarie alla luce delle nuove politiche fiscali e della manovra finanziaria

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L’AGGIORNAMENTO TRIBUTARIO 2006/2007 – MODULO FISCALE

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IINNDDIICCEE Premessa pag. 5

LLEE NNOOVVIITTÀÀ IINN MMAATTEERRIIAA DDII SSTTUUDDII DDII SSEETTTTOORREE

STUDI DI SETTORE: LE CAUSE DI ESCLUSIONE a cura di Giovanni Valcarenghi pag. 7 DAL 2007 ACCERTAMENTI POTENZIATI SUGLI STUDI DI SETTORE a cura di Gian Paolo Ranocchi pag. 12 GLI INTERVENTI IN MATERIA DI SANZIONI SULL’APPLICAZIONE DEGLI STUDI DI SETTORE a cura di Duilio Liburdi pag. 18 LE NUOVE SANZIONI IN MATERIA DI STUDI DI SETTORE a cura di Duilio Liburdi pag. 23 STUDI DI SETTORE E PARAMETRI: FISCO IN AFFANNO a cura di Massimiliano Tasini pag. 25 I TESTI INTEGRALI DELLE ULTIME SENTENZE IN TEMA DI ACCERTAMENTO DA PARAMETRI E STUDI DI SETTORE pag. 33 STUDI DI SETTORE: LA DIFESA pag. 67 LE NORME SUGLI STUDI DI SETTORE DOPO LA FINANZIARIA 2007 a cura di Duilio Liburdi pag. 80

LLAA NNUUOOVVAA DDIISSCCIIPPLLIINNAA DDEELL RREEDDDDIITTOO DDII LLAAVVOORROO AAUUTTOONNOOMMOO

FINANZIARIA 2007: NOVITÀ A TUTTO TONDO PER I REDDITI DI LAVORO AUTONOMO a cura di Duilio Liburdi e Giovanni Valcarenghi pag. 92 DETERMINAZIONE DEL REDDITO DI LAVORO AUTONOMO: LE SPESE ANTICIPATE DAL COMMITTENTE ED IL RIADDEBITO DEL PROFESSIONISTA a cura di Duilio Liburdi pag. 98 IL RIADDEBITO DELLE SPESE ANTICIPATE DAL COMMITTENTE a cura di Duilio Liburdi pag. 104 IL NUOVO TRATTAMENTO DEGLI IMMOBILI DEI PROFESSIONISTI a cura di Norberto Villa pag. 106 GLI IMMOBILI DEI PROFESSIONISTI a cura di Norberto Villa pag. 119

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ALTRE NOVITÀ DEL REDDITO DI LAVORO AUTONOMO a cura di Norberto Villa pag. 124 LA NORMA SUI REDDITI DI LAVORO AUTONOMO IN VIGORE DOPO LA FINANZIARIA 2007 (LEGGE N. 296 /2006) a cura di Duilio Liburdi pag. 125

AALLTTRREE NNOOVVIITTÀÀ DDEELLLLAA MMAANNOOVVRRAA 22000077

LE SANZIONI PER GLI INTERMEDIARI PER LA TRASMISSIONE TELEMATICA E IN MATERIA DI ASSISTENZA FISCALE a cura di Duilio Liburdi pag. 130 LA COMUNICAZIONE DEGLI ESITI DELLA LIQUIDAZIONE DELLE DICHIARAZIONI a cura di Duilio Liburdi pag. 134 IMMOBILI E DINTORNI NELLA FINANZIARIA 2007 a cura di Duilio Liburdi e Giovanni Valcarenghi pag. 137 LIMITI ALLA COMPENSAZIONE AD EFFETTO DIFFERITO? a cura di Giovanni Valcarenghi pag. 148 ALTRE QUESTIONI SULLA FINANZIARIA 2007 a cura di Duilio Liburdi pag. 153

Ricordiamo che sul sito www.euroconference.it/Master Breve/materiale sono consultabili i Quesiti (e le relative risposte) ritenuti più interessanti, emersi nel corso della III giornata del Master Breve e quindi relativi a: Le nuove norme di contrasto all’evasione per il 2006/2007

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PRESENTAZIONE QUARTA GIORNATA - MODULO FISCALE

Una guida per orientarsi in un provvedimento complesso, per struttura e contenuti, come

la manovra finanziaria per il 2007. Focalizzando l’attenzione non su tutti quelli che

sono gli elementi della legge n. 296 ma sulle questioni di maggiore interesse e che

toccano da vicino il mondo professionale. E’ questo l’obiettivo che ci siamo posti in

questo percorso, articolato in due giornate, che è finalizzato all’analisi della manovra

approvata nel mese di dicembre. E che vuole mettere in luce, peraltro, un collegamento

con quanto analizzato nelle precedenti giornate.

In questa quarta giornata si è scelto, dunque, di concentrare l’analisi su due questioni di

carattere principale: le novità in materia di studi di settore e le modifiche normative in

merito ai redditi di lavoro autonomo.

In relazione all’argomento studi di settore, si ha la sensazione che lo strumento in questione

sarà quello che, con sempre maggiore frequenza, sarà utilizzato dall’amministrazione

finanziaria per rettificare quanto dichiarato dai contribuenti. La legge n. 296 del 2006 opera

su più livelli in quanto, ad esempio, cerca di porre un freno da un punto di vista normativo

alla giurisprudenza di merito che con orientamento recente ma che si va via via

consolidando, ha affermato che le rettifiche che si fondano unicamente sullo scostamento tra

quanto dichiarato dal contribuente e quanto risultante da Gerico non sono suscettibili di

superare positivamente il percorso del contenzioso. Inoltre, con i recenti interventi normativi,

si deve ritenere che il legislatore voglia sempre di più individuare un “vestito” su misura per il

contribuente interessato dagli studi, provvedendo alla introduzione di nuovi indicatori che

dunque rivestiranno un ruolo di primo piano. Infine, la legge n. 296 del 2006 tenta di limitare

i comportamenti di quei contribuenti che, indicando dati non corretti nei modelli di

comunicazione, tentavano di generare una congruità non correttamente determinata. A tale

fine si provvede ad un inasprimento delle sanzioni di specie. Una analisi, dunque, che chiude

idealmente il percorso in materia di accertamento iniziato nella precedente giornata quando,

come si ricorderà, l’attenzione si è soffermata sul comparto immobiliare e finanziario.

L’altro aspetto che sarà oggetto di specifico approfondimento è quello legato alla tassazione

dei lavoratori autonomi. Su questo argomento le disposizioni contenute nella legge n. 296 del

2006, con importanti novità riferite in particolare agli immobili utilizzati per lo svolgimento

dell’attività professionale, rappresenta soltanto l’ultimo tassello di un percorso normativo

iniziato con la manovra estiva al centro della quale sono stati posti due elementi che molto

hanno fatto discutere : il meccanismo di rimborso delle spese e la tassazione dei componenti

correlati all’aspetto più prettamente “intellettuale” del professionista. Questa giornata sarà

dunque l’occasione per dare uno sguardo di insieme al reddito professionale con la

consapevolezza che, nei suoi tratti fondamentali, si sta avvicinando alle modalità tradizionali

sinora utilizzate per la corretta determinazione del reddito di impresa.

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Da ultimo, la giornata andrà ad analizzare alcune questioni che sono comunque correlate, ad

esempio, alle nuove previsioni che riguardano i professionisti. Si pensi, ad esempio, alle

disposizioni riguardanti le sanzioni per gli intermediari nonché le modalità per le

comunicazioni di irregolarità legate alla liquidazione delle dichiarazioni presentate sempre per

il tramite degli intermediari ed alle rilevanti novità in materia di transazioni immobiliari che

modificano gli interventi effettuati in materia dal decreto legge n. 223 del 2006.

Duilio Liburdi

Coordinatore della quarta giornata fiscale

STRUTTURA DELLA QUARTA GIORNATA MODULO FISCALE

Modulo su:

L’aggiornamento tributario 2006/2007

LE NOVITA’ IN MATERIA DI STUDI DI SETTORE

Evoluzione normativa

Punto sulla giurisprudenza in materia di studi di settore

finanziaria 2007 (1° modulo)

ALTRE NOVITÀ DELLA MANOVRA 2007

LA NUOVA DISCIPLINA DEL REDDITO

DI LAVORO AUTONOMO

Sanzioni sugli intermediari

Interventi sugli immobili

Interventi di controllo dell’Amministrazione Finanziaria

modifiche normative contenute nel decreto legge n. 223 del 2006

analisi della disciplina legata agli immobili

limitazioni in merito ai contratti di locazione finanziaria sugli immobili

disciplina della telefonia cellulare ed delle auto - cenni

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STUDI DI SETTORE: LE CAUSE DI ESCLUSIONE a cura di Giovanni Valcarenghi*

Premessa

Nell’ambito di una generale revisione della normativa sugli studi di settore, il Legislatore della

finanziaria 2007 è intervenuto a modificare radicalmente l’articolo 10 della legge 08.05.1998

n. 146 in tema di cause di esclusione dagli studi di settore.

Più precisamente, all’interno della Legge Finanziaria gli interventi si registrano:

• all’articolo 1, comma 23, lettera a), ove si prevede, in apertura del comma 1 dell’articolo 10

della legge 146/98 la soppressione delle parole “con periodo di imposta pari a dodici mesi”; • all’articolo 1, comma 16, ove si prevede la radicale riscrittura del comma 4 del

medesimo articolo.

Dopo le suddette modifiche, oltre alla completa irrilevanza della diversa durata del periodo di

imposta rispetto a quella “standard”, le disposizioni in tema di studi di settore non si

applicano nei confronti dei contribuenti:

a) che hanno dichiarato ricavi di cui all'articolo 85, comma 1, esclusi quelli di cui alle lettere

c), d) ed e), o compensi di cui all'articolo 54, comma 1, del testo unico delle imposte sui

redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e

successive modificazioni, di ammontare superiore al limite stabilito per ciascuno studio di

settore dal relativo decreto di approvazione del Ministro dell'economia e delle finanze, da

pubblicare nella Gazzetta Ufficiale. Tale limite non può, comunque, essere superiore a

7,5 milioni di euro;

b) che hanno iniziato o cessato l'attività nel periodo d'imposta. Gli studi si applicano

comunque in caso di cessazione e inizio dell'attività, da parte dello stesso soggetto,

entro sei mesi dalla data di cessazione, nonché quando l'attività costituisce mera

prosecuzione di attività svolte da altri soggetti;

c) che si trovano in un periodo di non normale svolgimento dell'attività.

Il periodo di imposta diverso da 12 mesi

Un carattere fondamentale degli studi di settore è da sempre stato il loro riferimento a

periodi di normalità nello svolgimento delle attività osservate; per tale motivo, gli stessi sono

sempre stati applicabili esclusivamente in relazione a periodi di imposta di durata pari a 12

mesi. Non rilevava, al riguardo, la circostanza che tale arco temporale fosse o meno

coincidente con le date del 01.01 e del 31.12, bensì esclusivamente il fatto che la durata

fosse “compatibile” con funzioni e variabili matematiche costruite per tale periodo.

Dopo le variazioni normative introdotte, invece, la circostanza della uniforme durata del periodo

di imposta non appare più come requisito imprescindibile per l’applicazione di Ge. Ri.Co.

* Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Fiscale)

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Ciò comporta:

1. che dovrà essere introdotta nel software e nei modelli per la raccolta dei dati una precisa

indicazione in merito alla durata del periodo osservato;

2. che dovrà essere testata la logicità del funzionamento di tale adattamento temporale,

credendo che non sia ipotizzabile un semplice ragguaglio dei risultati. Ad esempio, fatto

120 l’ammontare dei ricavi o compensi congrui per l’annualità completa, appare

semplicistico affermare che, in caso di periodo di durata di 6 mesi, il ricavo o compenso

congruo debba attestarsi a 60 (120 : 12 x 6);

3. che dovrà essere forse ipotizzato l’utilizzo di formule matematiche diverse nel caso di

diversa durata del periodo di imposta, con la logica conseguenza di dovere adattare le

note metodologiche di ciascuno studio.

Ad onor del vero, deve essere anche rammentato che l’applicazione degli studi a periodi di

durata diversa dai 12 mesi, potrebbe nei fatti ridursi a non frequenti casistiche; infatti,

continuano ad essere applicabili le esclusioni per il periodo di inizio e di cessazione

dell’attività. Tuttavia, come si dirà più oltre, essendo contemplate delle ipotesi di cessazioni e

inizio che comportano comunque l’applicazione degli studi, forse la modifica è stata proprio

ideata per essere utilizzata in tali fattispecie.

Una seconda ipotesi di necessità potrebbe essere riscontrata nel caso di effettuazione di

operazioni straordinarie; al riguardo, si ritiene utile rinviare l’approfondimento, per

connessione di argomento, ai successivi paragrafi.

Esclusione per superamento di ricavi

Secondo la normativa modificata, sono altresì esclusi dagli studi i soggetti che hanno

dichiarato:

• ricavi di cui all'articolo 85, comma 1, esclusi quelli di cui alle lettere c), d) ed e), del TUIR;

• o compensi di cui all'articolo 54, comma 1, del TUIR

di ammontare superiore al limite stabilito per ciascuno studio di settore che, comunque, non

può essere superiore a 7,5 milioni di euro.

Come è evidente, vi è un innalzamento della soglia di ricavi o compensi rilevanti pari a circa il

50% rispetto al precedente parametro di 10 miliardi di vecchie lire; la conseguenza è che

soggetti di dimensioni sempre più rilevanti dovranno confrontarsi con il nuovo strumento pur

se, esperienza insegna, più aumentano le dimensioni del soggetto minore è la

rappresentatività dei risultati dello studio.

Ciò deriva essenzialmente dalla circostanza che:

• il campione di aziende sulla quale sono stati costruiti gli studi ha una significatività

certamente maggiore di piccole-medie imprese che non di grandi soggetti;

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Studi di settore: le cause di esclusione

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• al crescere delle dimensioni variano in modo significativo le dinamiche organizzative e

produttive dei soggetti in modo non certamente “omologabile” secondo procedure

statistiche, come invece vorrebbe la logica degli studi.

Infine, non è possibile trascurare la riflessione in merito all’ammontare degli scostamenti; già

in relazione ai soggetti che si avvicinavano alla precedente soglia (notevolmente ridotta

rispetto all’attuale) era facile riscontrare che la non congruità si traduceva in importi davvero

degni di considerazione, come a significare che l’algoritmo di Ge. Ri. Co. difetta di

“esperienza” su tali soggetti. Non è infrequente pensare che all’aumentare dei volumi di

ricavi, specialmente nella fase di espansione, si accompagni una struttura dei costi di

produzione talvolta sovradimensionata, proprio perché non ci si trova più nell’ambito di una

attività di tipo familiare (come spesso accade su contribuenti di minori dimensioni); ciò

dovrebbe comportare una incidenza anomala delle variabili rilevanti per il software, con la

conseguenza che sia assai probabile giungere a risultati di non congruità.

All’atto pratico, sarà allora assai difficile che lo strumento presuntivo esplichi una forza

persuasiva sufficiente a spingere i contribuenti ad un adeguamento spontaneo, proprio per la

gravosità dell’imposizione connessa allo stesso.

Esclusione o cessazione dell’attività

Gli studi non si applicano ai contribuenti che hanno iniziato o cessato l'attività nel periodo d'imposta.

A fronte di questo criterio già noto in passato, viene prevista una deroga specifica dal

contenuto non perfettamente limpido.

Si afferma infatti che gli studi si applicano comunque in caso di:

• cessazione e inizio dell'attività, da parte dello stesso soggetto, entro sei mesi dalla data

di cessazione,

• nonché quando l'attività costituisce mera prosecuzione di attività svolte da altri soggetti.

In merito alla prima casistica, sarebbe importante conoscere, visto che il tenore letterale

della norma non lo specifica, se l’attività svolta debba essere la medesima (in termini di

codici ISTAT), oppure se ciò sia del tutto irrilevante.

La ratio della disposizione potrebbe, infatti, essere quella di contrastare operazioni di

cessazione e riapertura strumentali alla sola non applicazione degli studi, specialmente per

quelle attività di mero servizio ove non si pongano problemi di autofatturazione dei beni

utilizzati (e ciò presupporrebbe la continuità del codice ISTAT).

Tuttavia, è ipotizzabile che il legislatore volesse ricomprendere nella fattispecie della

cessazione ed inizio attività anche il mero cambio codice ISTAT, pur nella continuazione della

partita IVA del soggetto.

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Sull’argomento, giova rammentare che già la parte generale delle istruzioni per la

compilazione dei modelli ricordava che:

1. il periodo che precede l’inizio della liquidazione è considerato periodo di cessazione

dell’attività;

2. la modifica dell’attività in corso d’anno, tranne nell’ipotesi in cui le due attività siano

contraddistinte da codici ricompresi nel medesimo studio di settore, comporta

ugualmente l’esclusione.

Quanto menzionato al punto 2 potrebbe ora perdere di significato; infatti:

• se il mero cambio codice fosse da leggere come cessazione dell’attività, si rientrerebbe

nella specifica disposizione in commento (in tal caso, infatti, l’inizio dell’attività nuova

sarebbe immediato e, come tale, compreso nell’arco temporale dei 6 mesi);

• se il mero cambio codice non fosse da considerare come cessazione dell’attività, sarebbe

utile comprendere come debba essere assoggettata a studi la specifica situazione ipotizzata

(due posizioni con due studi diversi), fermo restando la circostanza in forza della quale il

periodo inferiore a 12 mesi non è più ipotesi preclusiva all’utilizzo dei Ge. Ri. Co.

L’ipotesi in commento evoca anche la casistica delle operazioni straordinarie; sul punto, le

istruzioni per la compilazione dei modelli per il periodo 2005, ricordano che sono esclusi

dall’applicazione degli studi i contribuenti che, nel periodo di imposta, sono interessati da:

• donazioni;

• trasformazioni;

• scissioni (tranne per le attività che continuano ad essere effettuate dalle società scisse).

Valutando le medesime ipotesi alla luce della nuova normativa, sembrerebbe di poter

concludere che nella sola ipotesi della donazione sussiste una vera e propria cessazione

dell’attività in capo al soggetto donante, con conseguente possibilità di applicare la causa di

esclusione esplicitamente prevista, nonostante il periodo di imposta sia inferiore ai 12 mesi.

Il donatario, invece, dovrà applicare gli studi, in quanto gli stessi:

• sono utilizzabili anche per periodi di imposta inferiori a 12 mesi;

• non si considerano nel primo esercizio di attività, visto che l’attività è esercitata in

continuazione rispetto al donante.

Nel caso della trasformazione e della scissione, invece, dovrà essere valutato se:

• gli studi siano applicabili in capo al soggetto trasformato (che, di fatto, non cessa

l’attività ma la prosegue sotto altra forma giuridica secondo un concetto civilistico di

assoluta continuità) o scisso;

• gli studi siano applicabili in capo al soggetto risultante dalla trasformazione o dalla scissione.

Se sulla prima questione potrebbe sorgere qualche dubbio, nessuna difficoltà si riscontra

nell’affermare che il nuovo soggetto applicherà certamente gli studi, per le medesime

argomentazioni già sopra svolte in tema di donazione.

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Studi di settore: le cause di esclusione

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Anche la frequente ipotesi della cessione di azienda o di ramo di azienda a soggetto neo

costituito non consente più, a quest’ultimo, di invocare il ricorrere di una causa di esclusione

legata all’inizio dell’attività; infatti, la combinazione delle due circostanze sopra viste

(sterilizzazione della previsione di inizio dell’attività in quanto si è in continuazione e

utilizzabilità di Ge. Ri. Co. anche per periodi inferiori a 12 mesi) comporterebbe, in linea di

principio, l’applicabilità certa degli studi.

Vi è allora da sperare che si utilizzi in modo estensivo la ricorrenza dell’ultima causa di

esclusione, vale a dire il non normale svolgimento dell’attività.

Esclusione per non normale svolgimento dell’attività

Rimane, come nel passato, la causa di esclusione relativa alla sussistenza di una attività

esercitata in modo non normale.

Sul punto, a titolo esemplificativo, le istruzioni per la compilazione dei modelli ritengono

sussistente la causa nei periodi:

1. nei quali l’impresa è in liquidazione ordinaria, coatta amministrativa o fallimentare;

2. nei quali l’impresa non ha ancora iniziato l’attività produttiva prevista dall’oggetto sociale

(mancato completamento degli impianti per causa non imputabile all’imprenditore,

mancato rilascio delle autorizzazioni amministrative necessarie, se richieste

tempestivamente, svolgimento esclusivamente di attività di ricerca propedeutica allo

svolgimenti di altra attività);

3. nei quali è stata interrotta l’attività per ristrutturazione di tutti i locali in cui viene

esercitata l’attività;

4. nei quali è stata affittata l’unica azienda;

5. nei quali è stata sospesa l’attività con adeguata informazione alla CCIAA;

6. nei quali, per i professionisti, è stata sospesa l’attività a causa di provvedimenti

disciplinari.

Evocando l’ultimo esempio del paragrafo precedente, ove si ipotizzava l’applicabilità degli

studi in capo al soggetto che acquista l’azienda o un ramo d’azienda in corso d’anno, è

possibile ragionare in modo estensivo in merito alla circostanza qui in commento.

Infatti, se è pur vero che l’azienda acquistata è teoricamente adatta a funzionare in via

autonoma, è altrettanto sensato ritenere che, se l’acquirente, non avesse alcuna esperienza

nello svolgimento della stessa attività, pur avendo pagata somme a titolo di avviamento non

possiede alcuna garanzia di riuscita secondo parametri di normalità, vale adire quei

riferimenti su cui si poggia l’intero sistema degli studi di settore. Ecco allora che situazioni di

questo tipo dovrebbero poter essere “trattate” alla stregua di casi anomali, come tali da

porre fuori al perimetro applicativo degli studi.

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DAL 2007 ACCERTAMENTI POTENZIATI SUGLI STUDI DI SETTORE a cura di Gian Paolo Ranocchi*

La manovra finanziaria 2007 interviene massicciamente in tema di studi di settore. Le

modifiche operano a tutto tondo: dalle cause di esclusione al valore probatorio di questi

strumenti istruttori che giorno dopo giorno diventano sempre più complessi e articolati, quasi

a sfiorare l’esoterico.

Analizziamo, in questo breve contributo, oltre alle nuove modalità di revisione degli studi di

settore, due degli aspetti principali delle modifiche: la (presunta) nuova valenza probatoria e

la (presunta……di nuovo) rilevanza dei nuovi indicatori economici.

Revisione triennale

Nella normativa che disciplina gli studi di settore (la legge n. 146 del 1998) il nuovo articolo

10-bis introdotto dalla Manovra 2007, si occupa delle “modalità di revisione ed

aggiornamento degli studi di settore”. Specularmene viene abrogato il comma 399

dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 che, con una norma fuori sistema,

disciplinava le modalità di revisione degli studi di settore.

L’articolo 10-bis si caratterizza per il fatto che prevede una revisione che va effettuata, al

massimo, con periodicità triennale in luogo di quella, più nota, quadriennale. In tal modo,

dice la relazione tecnica, sarà possibile adeguare lo studio di settore alla mutata realtà

economica del settore interessato in tempi coerenti con lo sviluppo del settore stesso.

Il secondo periodo del nuovo articolo 10-bis indica anche quali obiettivi devono essere

perseguiti nella effettuazione della revisione affermando che la stessa ha la finalità di

mantenere, “nel medio periodo”, la rappresentatività degli studi rispetto alla realtà

economica cui si riferiscono. Nell’effettuare l’evoluzione si tiene anche conto “ dei dati e delle statistiche ufficiali, quali quelli di contabilità nazionali” . Comparando il testo della disposizione contenuta nell’articolo 10-bis con la disposizione del

comma 399, ora abrogato, si nota che resta confermato l’obiettivo di mantenere la

rappresentatività degli studi rispetto alla realtà economica cui si riferiscono ma si afferma ora

che ciò deve avvenire nel medio periodo e che a tal fine si tiene conto “ dei dati e delle statistiche ufficiali, quali quelli di contabilità nazionali”. Nel sistema abrogato il riferimento a

dati simili era utile solo per determinare una più rapida evoluzione di alcuni studi sentito il

parere della Commissione esperti.

Con l’intervento, evidentemente, ci si pone l’obiettivo di superare le critiche mosse da coloro

che esprimono perplessità per la autoreferenzialità degli studi di settore che deriverebbe dal

fatto che fino ad ora sarebbero stata analizzati essenzialmente i dati dichiarati dai

contribuenti, senza confrontare gli esiti delle elaborazioni condotte su questi dati con il

quadro macro economico che caratterizza il nostro Paese. * Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Fiscale)

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Dal 2007 accertamenti potenziati sugli studi di settore

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I nuovi indicatori di normalità economica

Sull’argomento, tra i più misteriosi della Manovra 2007, è utile premettere che si interviene

su tre fronti:

a) con il comma 131 disciplinando le modalità di revisione degli studi di settore e

prevedendo, a tal fine, che si terrà conto anche “di valori di coerenza, risultanti da specifici indicatori definiti da ciascun studio, rispetto a comportamenti considerati normali per il relativo settore economico”;

b) con il comma 142 disponendo che, fino all’elaborazione e revisione degli studi che

terranno conto degli indicatori di cui al punto precedente “si tiene altresì conto di specifici indicatori di normalità economica, di significativa rilevanza, idonei alla individuazione di ricavi, compensi e corrispettivi fondatamente attribuibili al contribuente in relazione alle caratteristiche e alle condizioni di esercizio della specifica attività svolta”. Gli indicatori in questione, quindi, laddove dovessero essere recepiti negli studi di settore

in fase di approvazione entro il prossimo mese di marzo, potrebbero trovare applicazione

già dal periodo di imposta 20063; c) con il comma 204 prevedendo, solo per le società di capitali5 che iniziano l’attività,

l’elaborazione di appositi indicatori di coerenza per l’individuazione dei requisiti minimi di

continuità della stessa. Gli indicatori in questione devono essere approvati con

provvedimento del Direttore della Agenzia delle entrate da emanare entro il 28 febbraio

2007 e la relativa applicazione decorre dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre

2006. Nella relazione viene evidenziato che la previsione di questi nuovi indicatori si

1 Dopo l’articolo 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146, è inserito il seguente: «Art. 10-bis. – (Modalità di revisione ed aggiornamento degli studi di settore). – 1. Gli studi di settore previsti all’articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e successive modificazioni, sono soggetti a revisione, al massimo, ogni tre anni dalla data di entrata in vigore dello studio di settore ovvero da quella dell’ultima revisione, sentito il parere della commissione di esperti di cui all’articolo 10, comma 7. Nella fase di revisione degli studi di settore si tiene anche conto dei dati e delle statistiche ufficiali, quali quelli di contabilità nazionale, al fine di mantenere, nel medio periodo, la rappresentatività degli stessi rispetto alla realtà economica cui si riferiscono. La revisione degli studi di settore è programmata con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate da emanare entro il mese di febbraio di ciascun anno. 2. Ai fini dell’elaborazione e della revisione degli studi di settore si tiene anche conto di valori di coerenza, risultanti da specifici indicatori definiti da ciascuno studio, rispetto a comportamenti considerati normali per il relativo settore economico». 2 Fino alla elaborazione e revisione degli studi di settore previsti dall’articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e successive modificazioni, che tengono conto degli indicatori di coerenza di cui al comma 2 dell’articolo 10-bis della legge 8 maggio 1998, n. 146, introdotto dal comma 13, con effetto dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2006, ai sensi dell’articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1999, n. 195, si tiene altresì conto di specifici indicatori di normalità economica, di significativa rilevanza, idonei alla individuazione di ricavi, compensi e corrispettivi fondatamente attribuibili al contribuente in relazione alle caratteristiche e alle condizioni di esercizio della specifica attività svolta. Ai fini della relativa approvazione non si applica la disposizione di cui all’articolo 10, comma 7, secondo periodo, della legge 8 maggio 1998, n. 146. Si applicano le disposizioni di cui al comma 4-bis dell’articolo 10 della medesima legge. 3 L’aggiornamento straordinario previsto da questa disposizione produce i suoi effetti a partire dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2006 (2006 per i contribuenti con periodo di imposta coincidente con l’anno solare) e quindi nella generalità dei casi a partire dalla prossima dichiarazione dei redditi, a condizione che l’aggiornamento degli studi sia approvato con decreto del Ministro dell’Economia da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 marzo 2007 4 Per i soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, con riferimento al primo periodo d’imposta di esercizio dell’attività, sono definiti appositi indicatori di coerenza per la individuazione dei requisiti minimi di continuità della stessa, tenuto conto delle caratteristiche e delle modalità di svolgimento della attività medesima. 5 Il riferimento ai soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a) è chiaro.

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giustifica per il fatto che una quota significativa di società di capitali (15 – 20 per cento)

risultano inattive dopo anche meno di un anno dall’inizio dell’attività. Viene precisato,

inoltre, che:

- queste società dichiarano sovente livelli di ricavi relativamente inferiori rispetto a

quelli medi dichiarati dalle società appartenenti a settori economicamente omogenei

che iniziano l’attività e la proseguono per lunghi periodi;

- gli indici di coerenza introdotti dalla norma saranno definiti a partire dagli indicatori di

coerenza degli studi di settore;

- i tradizionali indicatori di coerenza saranno integrati e rafforzati per tener conto di

fenomeni specifici evidenziati nell’analisi del turnover delle società di capitali.

La rivoluzione in tema di indicatori di coerenza economici è quella che si caratterizza per la

maggior laconicità e per la maggior pericolosità potenziale.

La sensazione, infatti, è che lo scenario ne possa uscire sostanzialmente rivoluzionato

rispetto a quello conosciuto, ma per esserne certi occorrerà attendere, ovviamente, il varo

dei provvedimenti attuativi.

Le novità che sembrano più significative sono quelle di cui alle precedenti lettere a) e b).

Sembra, infatti (ma il condizionale è d’obbligo), che si voglia consentire all’Amministrazione

finanziaria, la possibilità di individuare, nei confronti dei contribuenti che non si rivelino in

linea con i nuovi indicatori di normalità economica, una sorta di supercongruità in relazione

alla quale scatta, tra l’altro, il nuovo beneficio della limitazione sugli accertamenti fiscali

previsto dalla Finanziaria 2007 (si veda, al riguardo, altro contributo di questa dispensa).

Evidentemente si vuole attribuire agli indici di coerenza, che individuano comportamenti

ritenuti normali nel settore di appartenenza, un peso molto maggiore rispetto al passato, al

punto, riteniamo, di poter addirittura interferire concretamente sul dato di congruità6. Si

assisterebbe così ad una sorta di secondo livello di congruità che in determinate situazioni il

contribuente sarebbe tenuto a rispettare per ritenersi completamente tranquillo.

Al momento non è dato sapere quali saranno gli indicatori prescelti ma una cosa è certa: gli

stessi, nel breve, saranno elaborati (se e quando avverrà) solo dall’Amministrazione

finanziaria; il comma 14, infatti, prevede che, ai fini dell’approvazione degli indicatori in

oggetto, non debbano trovare applicazione le disposizioni di cui al comma 7 dell’art. 10 della

legge 146/1998, che, come noto, disciplina l’obbligo di consultazione della commissione di

esperti prima che gli studi di settore siano approvati. In quest’orgia di indicatori, sensibili o meno che siano sul valore di congruità proposto, quindi, abbiamo la sensazione che non sarà facile districarsi anche se, come abbiamo già

6 In un documento diramato dal vice Ministro Visco (Si veda Il Sole 24 Ore del 15 ottobre 2006: “ Tre tappe nella corsa del Fisco”, sotto la rubrica “ studi di settore: nuova analisi della coerenza, generalizzata ed applicabile a tutti gli studi di settore “ si afferma infatti che: “ la disposizione prevede che nella metodologia di elaborazione degli studi di settore vengano inseriti specifici indicatori di coerenza che concorrono alla stima dei ricavi potenziali. Gli indicatori di coerenza sono dati che oggi servono solo come punto di riferimento per gli eventuali accertamenti. La norma ne prevede l’utilizzo, invece, anche per determinare il reddito imponibile di riferimento per i diversi settori “

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Dal 2007 accertamenti potenziati sugli studi di settore

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detto, sulla questione è prematuro fare delle considerazioni pratiche, almeno finché non sarà chiaro quali saranno questi indicatori e quali funzioni rivestiranno in quello che rischia di essere anno dopo anno sempre di più il vero mistero: come funziona Ge.ri.co. Peraltro, come accennato, sembra che gli indicatori in questione giochino un ruolo determinante anche in relazione al nuovo bonus previsto dalla Finanziaria per i contribuenti “virtuosi” in tema di studi di settore: la limitazione agli accertamenti di tipo analitico presuntivo7. Il comma 17 dell’unico articolo della Legge Finanziaria 2007, infatti, nel rendere applicabile il blocco in questione, dispone che nel radiografare il contribuente virtuoso occorre tenere “altresì conto degli indicatori, di cui all’articolo 10-bis, comma 2, della presente legge”. Segnaliamo che, se ragionassimo con il sistema di Ge.sta.po 2006, si avrebbe che, letteralmente, un soggetto congruo ma non coerente non potrebbe accedere al beneficio. La coerenza, infatti, in relazione agli indicatori applicati fino a Unico 2006, non può essere raggiunta per adeguamento in dichiarazione: o è fisiologica o manca ogni possibilità di recupero. Di qui, come abbiamo già accennato, la sensazione che in tema di indicatori di coerenza potremmo davvero essere davanti a una svolta con il varo di questi (fantomatici) nuovi indici che non si limitano a segnalare la normalità o l’anormalità del contribuente, ma che incidono direttamente sul dato congruo. Si aggiunga ulteriormente in relazione agli indicatori di normalità economica transitori introdotti dalla Finanziaria8, si dice che “si applicano le disposizioni di cui al comma 4-bis dell’articolo 10 della medesima legge”. Dal che si deve dedurre che questi indicatori, anche se non espressamente richiamati dal comma 17, dovrebbero essere sensibili in relazione alla limitazione agli accertamenti in commento Le novità introdotte dalla finanziaria 2007

Tra i numerosi interventi della Manovra, uno, in particolare, sembra di particolare importanza. Viene infatti disposta la sostanziale modifica dell’art. 10, comma 1 della legge 146/1998, stabilendo che gli accertamenti da studi di settore possono applicarsi “qualora l’ammontare dei ricavi o compensi risulta inferiore all’ammontare dei ricavi o compensi determinabile sulla base degli stessi”. 7 Il comma 17 dispone testualmente che all’articolo 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146, dopo il comma 4, è inserito il seguente: «4-bis. Le rettifiche sulla base di presunzioni semplici di cui all’articolo 39, primo comma, lettera d), secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all’articolo 54, secondo comma, ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, non possono essere effettuate nei confronti dei contribuenti che dichiarino, anche per effetto dell’adeguamento, ricavi o compensi pari o superiori al livello della congruità, ai fini dell’applicazione degli studi di settore di cui all’articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, tenuto altresì conto dei valori di coerenza risultanti dagli specifici indicatori, di cui all’articolo 10-bis, comma 2, della presente legge, qualora l’ammontare delle attività non dichiarate, con un massimo di 50.000 euro, sia pari o inferiore al 40 per cento dei ricavi o compensi dichiarati. Ai fini dell’applicazione della presente disposizione, per attività, ricavi o compensi si intendono quelli indicati al comma 4, lettera a). In caso di rettifica, nella motivazione dell’atto devono essere evidenziate le ragioni che inducono l’ufficio a disattendere le risultanze degli studi di settore in quanto inadeguate a stimare correttamente il volume di ricavi o compensi potenzialmente ascrivibili al contribuente. La presente disposizione si applica a condizione che non siano irrogabili le sanzioni di cui ai commi 2-bis e 4-bis rispettivamente degli articoli 1 e 5 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, nonché al comma 2-bis dell’articolo 32 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446». 8 E’ il comma 14 dell’unico articolo della Legge Finanziaria che così recita: “Fino alla elaborazione e revisione degli studi di settore previsti dall’articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e successive modificazioni, che tengono conto degli indicatori di coerenza di cui al comma 2 dell’articolo 10-bis della legge 8 maggio 1998, n. 146, introdotto dal comma 13, con effetto dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2006, ai sensi dell’articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1999, n. 195, si tiene altresì conto di specifici indicatori di normalità economica, di significativa rilevanza, idonei alla individuazione di ricavi, compensi e corrispettivi fondatamente attribuibili al contribuente in relazione alle caratteristiche e alle condizioni di esercizio della specifica attività svolta. Ai fini della relativa approvazione non si applica la disposizione di cui all’articolo 10, comma 7, secondo periodo, della legge 8 maggio 1998, n. 146. Si applicano le disposizioni di cui al comma 4-bis dell’articolo 10 della medesima legge”.

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La relazione che accompagna il disegno di legge Finanziaria 2007 specifica che la modifica in commento “ribadisce la valenza probatoria degli studi di settore ai fini dell’accertamento”. Nella relazione tecnica si precisa che viene introdotta “una disposizione normativa in base alla quale gli studi di settore assumono maggiore rilevanza ai fini degli accertamenti e conferiscono una maggiore efficacia allo strumento in fase applicativa” . La modifica, come ampiamente segnalato da tempo, sembra voglia conferire valenza di presunzione legale a qualunque scostamento tra il ricavo contabile e quello presunto ottenuto in relazione all’applicazione dello specifico studio di settore. In pratica, quindi, sembrerebbe sufficiente il mero scostamento per legittimare l’applicazione degli studi di settore e quindi motivare legittimamente l’avviso di accertamento, venendo così ad essere sostanzialmente azzerato il requisito preventivo della grave incongruenza. A questo si aggiunge un rischio ulteriore e cioè che le nuove regole possano essere considerate in via interpretativa dalle Entrate, come procedimentali e quindi, come tali, applicabili anche per le annualità pregresse. Il comma 24 dell’unico articolo della Legge Finanziaria, infatti, nel regolamentare l’applicazione temporale delle modifiche apportate al primo comma dell’articolo 10 della Legge n. 146/1998, contrariamente alle altre, non dispone la decorrenza 2007 per la novità in commento9. La questione, ovviamente, è molto delicata in funzione degli effetti che ne scaturirebbero in relazione alla legittimità degli accertamenti relativi a periodi di imposta precedenti alla entrata in vigore del nuovo testo dell’articolo 10, comma 1, della legge n. 146 del 1998. Se la nuova disposizione fosse ritenuta innovativa, infatti, vi sarebbero ulteriori elementi per sostenere, per i periodi di imposta precedenti, la fondatezza delle tesi dottrinarie e giurisprudenziali che la nuova disposizione sembrerebbe invece voler contrastare. Lo scenario descritto, quindi, non è dei più tranquillizzanti. Resta, però, che a nostro avviso, una serena disamina del quadro d’insieme potrebbe anche portare a conclusioni non così ovviamente pessimistiche.

9 Il comma 24 dispone infatti che “Le disposizioni di cui al comma 1 dell’articolo 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146, come modificate dal comma 23, limitatamente alla lettera a), hanno effetto a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 1º gennaio 2007.”

Articolo 10, comma 1, L. 08.05.1998, n. 146

POST FINANZIARIA 2007 Gli accertamenti basati sugli studi di settore, di cui all'articolo 62-sexies del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, sono effettuati nei confronti dei contribuenti qualora l’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulta inferiore all’ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stessi

ANTE FINANZIARIA 2007 Gli accertamenti basati sugli studi di settore, di cui all'articolo 62-sexies del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, sono effettuati nei confronti dei contribuenti con periodo d'imposta pari a dodici mesi e con le modalità di cui al presente articolo.

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Dal 2007 accertamenti potenziati sugli studi di settore

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Al di là delle consolidate considerazioni in merito alla natura delle modifiche quali quella in commento10, due sono le considerazioni che proponiamo per evidenziare il dubbio se le modifiche così come programmate possano effettivamente aprire la strada ad un automatismo accertativo in presenza di uno scostamento tra ricavi presunti e ricavi contabili. Gli studi, in quanto strumenti statistici, restano destinati a cogliere un risultato presunto e quindi per sua stessa natura impreciso e come tale, quindi, con un valore più o meno attendibile a seconda di quanto poi sia effettivamente adattabile alla realtà del contribuente per il tramite dei necessari passaggi istruttori. Primo fra tutti, ovviamente, il contraddittorio. Solo superato un vaglio oggettivo, lo scostamento evidenzia una convincente anomalia e quindi può assumere un effettivo valore probatorio. E quindi solo a seguito di una effettiva motivazione dell’atto di accertamento questo può assumere validità giuridica. Non ci sfugge, peraltro, che la nuova formulazione del comma 1, dell’articolo 10 delle Legge n. 146/1998, potrebbe effettivamente aver attribuito allo scostamento in questione natura di presunzione legale relativa, nel qual caso le considerazioni sopra proposte certamente escono fortissimamente ridimensionate, ma, allora occorre considerare ulteriormente quanto segue. La Finanziaria 2007 è intervenuta soltanto sul comma 1 dell’articolo 10 della Legge 146/1998 senza apportare alcuna modifica al citato articolo 62 sexies del DL 331/1993. Le Entrate anche prima delle modifiche in commento11 sostenevano la tesi che la Legge n. 146/1998 avrebbe attribuito allo scostamento da studi natura di presunzione qualificata. Ma abbiamo già evidenziato come la giurisprudenza abbia di fatto quasi unanimamente rigettato questa linea. A sostenere la tesi garantista per i contribuenti anche dopo le ultime modifiche vi è che l’articolo 10 della Legge 146/1998 dovrebbe più propriamente essere inquadrata come norma “attuativa” delle disposizioni contenute nel citato articolo 62 sexies del D.L. 331/199312 che resterebbe, quindi, la norma primaria ed in quanto tale l’unica in grado di determinare i necessari presupposti per validare il ricorso agli accertamenti di tipo presuntivo basati sugli studi di settore. E nell’articolo 62 sexies la necessaria preventiva condizione della grave contraddizione sopravvive. E se così fosse i problemi sul tappeto resterebbero più o meno gli stessi. Insomma concludere così semplicemente che dopo questa Finanziaria l’ufficio è legittimato a recepire in modo acritico e immotivato le risultanze di Ge.ri.co. al fine accertare i contribuenti non congrui non ci sembra affatto così scontato.

10 E cioè se effettivamente siano meramente procedurali o se, diversamente, le nuove regole possano essere considerate sostanziali visto che vanno a ledere il sostanziale diritto alla difesa dei contribuenti e con esso verrebbe travolto il principio dell’affidamento e della buona fede tutelato dalla Carta Costituzionale e dallo Statuto del contribuente. Si vedano, al riguardo, Cassazione, sentenze 14141/2001 e 21513/2006. 11 Circolare 58/E/2002 12 Si veda Dario Dotto, Corriere Tributario n. 17/2006, “si possono abbattere le mura di Ge.ri.co.” – pag. 1311 e seguenti.

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GLI INTERVENTI IN MATERIA DI SANZIONI SULL’APPLICAZIONE DEGLI STUDI DI SETTORE

a cura di Duilio Liburdi*

La manovra finanziaria per il 2007, legge n. 296 del 2006, contiene un drastico intervento in

materia di sanzioni applicabili nei confronti dei contribuenti che indicano in modo non

corretto i dati per l’applicazione degli studi di settore. E’ questo un aspetto da sempre

attenzionato, seppur in modo indiretto, da parte dell’amministrazione finanziaria nell’ottica

cioè di rilevazione corretta dei dati che debbono condurre alla determinazione di un risultato

di congruità o meno rispetto alle risultanze degli studi di settore.

1. Le indicazioni contenute nelle istruzioni ai modelli di dichiarazione e nella prassi dell’amministrazione finanziaria

Una prima indicazione in merito al trattamento dei dati sensibili ai fini della applicazione degli

studi di settore era già riscontrabile nella circolare n. 110 /E del 1999. In quel documento di

prassi, infatti, l’amministrazione aveva fornito degli indirizzi in merito alle ipotesi in cui il

contribuente non procedeva ad una corretta evidenziazione dei dati anche ai fini del riscontro

relativamente alla coerenza rispetto agli indicatori previsti dagli studi. Si sottolineava infatti

come inserendo i valori delle variabili è possibile verificare la posizione del contribuente.

Si precisava altresì che l'applicazione denominata Gerico fornisce indicazioni in ordine:

- alla congruità dei ricavi dichiarati;

- alla coerenza dei principali indicatori economici (ad esempio la produttività per addetto,

la rotazione del magazzino) che caratterizzano l'attività svolta dal contribuente, rispetto

ai valori minimi e massimi assumibili con riferimento a comportamenti normali degli

operatori del settore che svolgono l'attività con analoghe caratteristiche.

La valutazione della correttezza dei comportamenti del contribuente dipendeva quindi,

secondo quanto posto in evidenza dalla circolare, da valutazioni che involgono l'esame di

entrambi gli aspetti. Veniva sottolineato inoltre come, in particolare, le anomalie riscontrate

negli indici di coerenza potranno essere utilizzate per la selezione delle posizioni da

sottoporre a controllo, pur in presenza di ricavi congrui rispetto a quelli presunti sulla base

degli studi di settore. Ovviamente detti controlli potranno essere effettuati utilizzando anche

metodi di accertamento diversi da quello basato su detti studi di settore. Con riferimento a

tali anomalie l'ufficio dovrà verificare se la mancata coerenza derivi da anomali

comportamenti fiscali ovvero da insufficienze produttive dell'azienda. Qualora, in base alle

verifiche effettuate, emergano, ad esempio, componenti di costo non contabilizzate che

risultano rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore, si potrà procedere ad

accertamento in base a tale strumento, tenendo conto dei ricavi presunti che derivano dalla

considerazione di tali nuovi elementi. * Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Fiscale)

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Gli interventi in materia di sanzioni sull’applicazione degli studi di settore

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In sostanza, nella circolare dell’amministrazione finanziaria, si prendeva in considerazione l’ipotesi del contribuente che, in modo cosciente, inseriva dei dati non corretti al fine di ottenere una “congruità” artata. Pertanto, in sede di verifica, l’inserimento di dati corretti per

l’applicazione degli studi di settore avrebbe comportato una diversa congruità probabilmente più elevata rispetto a quella originaria. La conseguenza di tale comportamento era naturalmente la contestazione della infedeltà della dichiarazione con conseguente

applicazione della sanzione da uno a due volte la maggiore imposta dovuta dal contribuente. Inoltre, sempre ai fini della applicazione delle sanzioni in materia di dati relativi agli studi di settore, sono i modelli per la comunicazione che indicano come la omessa presentazione del

modello medesimo comportava la possibile applicazione della sanzione amministrativa da 258 a 2058 euro ridotta ad un quinto del minimo se la presentazione del modello stesso avviene entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è

stata commessa la violazione. Quindi, riassumendo le possibili sanzioni irrogabili nei confronti del contribuente per le violazioni correlate alla applicazione delle disposizioni in materia di studi di settore, le stesse possono essere così sintetizzate secondo la normativa in vigore

antecedentemente all’entrata in vigore della manovra per il 2007

Infedeltà della dichiarazione

correlata ad una rettifica dei

dati presi a base per

l’applicazione degli studi

Articoli 1 e 5 del D.lgs. 472 del 1997 ed articolo 32 del D.Lgs. 446 del 1997 Imposte sui redditi: Se nella dichiarazione è indicato, ai fini delle singole imposte, un reddito imponibile inferiore a quello accertato, o, comunque, un'imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante, si applica la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della maggior imposta o della differenza del credito. La stessa sanzione si applica se nella dichiarazione sono esposte indebite detrazioni d'imposta ovvero indebite deduzioni dall'imponibile, anche se esse sono state attribuite in sede di ritenuta alla fonte. Iva : Se dalla dichiarazione presentata risulta un'imposta inferiore a quella dovuta ovvero un'eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante, si applica la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della differenza Irap Se nella dichiarazione è indicato un imponibile inferiore a quello accertato o, comunque, un'imposta inferiore a quella dovuta, si applica la sanzione amministrativa da una a due volte l'ammontare della maggiore imposta dovuta

Omessa presentazione del modello contenente i dati per l’applicazione degli studi di settore

Sanzione da 258 a 2065 euro. Il riferimento normativo da cui promana l’applicazione della sanzione di specie è di fatto l’articolo 8 del D.lgs. n. 471 del 1997 in virtù del fatto che la mancata comunicazione dei dati necessari per l’applicazione degli studi di settore è stata assimilata ai fini di alcuni istituti (ad esempio il concordato preventivo biennale) alla mancata presentazione di una dichiarazione.

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2. Gli interventi contenuti nella manovra per il 2007

Come anticipato, il legislatore ha voluto introdurre una nuova disposizione che ha come

obiettivo quello di rendere più pesante l’aspetto sanzionatorio per il contribuente che, in sede

di compilazione del modello per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini della applicazione

degli studi di settore indica dei dati non corretti in modo cosciente al fine di raggiungere una

congruità che, invece, non è rappresentativa della realtà.

In sostanza, viene aggiunto un nuovo comma nell’ambito delle disposizioni di cui agli articoli 1 e

5 del D.Lgs. n. 471 del 1997 nonché nell’articolo 32 del D.lgs. n. 446 del 1997 secondo il quale:

La misura della sanzione minima e massima prevista per la violazione relativa alla

infedele dichiarazione è elevata del 10 per cento nelle ipotesi di omessa o

infedele indicazione dei dati previsti nei modelli per la comunicazione dei dati

rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, nonché nei casi di

indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non

sussistenti. La presente disposizione non si applica se il maggior reddito

d’impresa ovvero di arte o professione, accertato a seguito della corretta

applicazione degli studi di settore, non è superiore al 10 per cento del reddito

d’impresa o di lavoro autonomo dichiarato

Pertanto, l’incremento della sanzione base scatterà quando :

1) il contribuente non indica i dati per l’applicazione degli studi di settore;

2) il contribuente indica i predetti dati essendo a conoscenza della violazione che sta

commettendo;

3) il contribuente indica cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non

sussistenti.

L’incremento della sanzione non scatta, invece, nel caso di inesatta indicazione dei dati

fattispecie inizialmente contemplata dal disegno di legge. Pertanto, laddove l’indicazione di

un dato sia posto in dubbio da parte dell’amministrazione finanziaria sulla base di un

processo meramente valutativo, si deve ritenere non possibile l’incremento della sanzione

correlata alla derivante violazione principale quale l’infedeltà della dichiarazione.

Deve essere inoltre osservato che la norma in questione contiene una sorta di franchigia

entro la quale la sanzione pari al 110 od al 220 per cento della maggiore imposta o del

minore credito non può essere applicata.

L’esempio che può essere formulato è il seguente :

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Gli interventi in materia di sanzioni sull’applicazione degli studi di settore

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Dato indicato nei modelli di comunicazione per l’applicazione degli studi di

settore 1.000

Reddito determinabile sulla base del predetto dato 10.000

Dato rilevato come corretto 1.100

Reddito determinabile sulla base del dato corretto

a) 10.500. In questo caso viene applicata la sanzione per l’infedeltà della dichiarazione

nella misura base prevista dagli articoli 1 e 5 del D.Lgs. 471 del 1997 nonché dall’articolo

32 del D.Lgs. n. 446 del 1997. In questo caso, infatti, lo scostamento derivante

dall’applicazione del dato corretto non è superiore al 10 per cento;

b) 11.100. In questo caso, invece, viene superato il limite del 10 per cento del reddito di

impresa o di lavoro autonomo dichiarato. Il dato corretto, infatti, comporta un incremento

reddituale superiore al predetto limite e troverà dunque applicazione la sanzione maggiorata

secondo le disposizioni contenute nella manovra Finanziaria per il 2007.

Va osservato come le disposizioni del comma 25 dell’articolo 1 della legge n. 296 del 2006

non prevedono particolari decorrenze in merito alla entrata in vigore della novità in

commento. Conseguentemente, vi è da ritenere che la stessa si renderà applicabile in

relazione al primo appuntamento dichiarativo successivo all’entrata in vigore della manovra

per il 2007 e dunque già con il modello Unico 2007 relativo al periodo di imposta 2006. Si

deve inoltre osservare come non pare possa escludersi la possibile applicazione della

sanzione residuale nel caso in cui il contribuente non comunichi i dati per l’applicazione degli

studi di settore laddove, nel caso di specie, non si possa parlare di conseguente infedeltà

della dichiarazione. Si pensi, ad esempio, ad un contribuente che non provvedendo alla

comunicazione in questione venga accertato da parte dell’amministrazione finanziaria. Se in

relazione a tale controllo effettuato dall’amministrazione finanziaria emerge che, comunque,

il contribuente ha raggiunto la congruità sulla base di dati che si appalesano corretti non

evidenziando nessuna infedeltà nella determinazione del reddito e della conseguente imposta

dovuta, si deve ritenere che l’unica sanzione irrogabile rimanga quella disciplinata

dall’articolo 8 del D.lgs. n. 471 del 1997 ed attualmente richiamata, come sopra esaminato,

nelle istruzioni ai modelli di comunicazione dei dati per l’applicazione degli studi di settore. La

sanzione prevista per l’infedeltà maggiorata nella misura disciplinata dalla manovra per il

2007 troverà invece comunque applicazione nei confronti dei contribuenti che

3. Il rapporto con le altre disposizioni contenute nella finanziaria per il 2007

La manovra per il 2007 ha introdotto nella norma di riferimento per l’applicazione degli studi

di settore, cioè l’articolo 10 della legge n. 146 del 1998, un nuovo comma 4 bis in base al

quale, nella sostanza, si prevede che :

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- le rettifiche sulla base di presunzioni semplici di cui all’articolo 39, primo comma, lettera

d), secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,

n. 600, e all’articolo 54, secondo comma, ultimo periodo, del decreto del Presidente della

Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, non possono essere effettuate nei confronti dei

contribuenti che dichiarino, anche per effetto dell’adeguamento, ricavi o compensi pari o

superiori al livello della congruità, tenuto altresì conto dei valori di coerenza risultanti

dagli specifici indicatori,

- questa disposizione “agevolativa” trova applicazione solo qualora l’ammontare delle

attività non dichiarate, con un massimo di 50.000 euro, sia pari o inferiore al 40 per

cento dei ricavi o compensi dichiarati;

- in ogni caso, la nuova disposizione si applica a condizione che non siano irrogabili le

sanzioni di cui ai commi 2-bis e 4-bis rispettivamente degli articoli 1 e 5 del decreto

legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, nonché al comma 2-bis dell’articolo 32 del decreto

legislativo 15 dicembre 1997, n. 446

Pertanto, i contribuenti che risultano non accertabili in virtù dell’avvenuto adeguamento alle

risultanze degli studi di settore sono esclusivamente coloro che :

- hanno comunicato i dati per l’applicazione degli studi;

- hanno comunicato i dati in modo corretto;

- non hanno evidenziato cause di esclusione o di inapplicabilità rispetto agli studi non

sussistenti.

Laddove il contribuente incorra in una delle suesposte violazioni, non troveranno applicazione le

disposizioni di cui al comma 4 bis dell’articolo 10 della legge n. 146 del 1998 cosicché

l’accertamento analitico – induttivo sarà esperibile nei confronti del contribuente stesso

indipendentemente dal superamento del livello di congruità indicato in dichiarazione e

successivamente disconosciuto in sede di accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria.

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LE NUOVE SANZIONI IN MATERIA DI STUDI DI SETTORE a cura di Duilio Liburdi*

Sanzioni applicabili prima della finanziaria 2007

1) Infedeltà della dichiarazione derivante dalla rettifica dei dati presi a base per il calcolo degli studi di settore

Articolo 1 e 5 D.Lgs. 471 del 1997 e articolo 32 D.Lgs. 446 del 1997

Da una a due volte la maggiore imposta od il minor credito

2) Omessa comunicazione dei dati per l’applicazione degli studi di settore

Articolo 8 D.Lgs. 471 del 1997

Sanzione da 258 a 2058 euro

Sanzioni applicabili dopo la Finanziaria 2007

1) Sanzioni per l’infedeltà della dichiarazione

- maggiorazione del 10 per cento alla sanzione minima e massima nei casi di:

a) Omessa od infedele indicazione dei dati previsti nei modelli di comunicazione

b) Indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità non sussistenti

2) Sanzione per l’omessa comunicazione dei dati nel caso in cui comunque non scaturisca infedeltà della dichiarazione

* Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Fiscale)

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Ulteriori aspetti legati alle modifiche sulle sanzioni

1) Nuove sanzioni applicabili già a partire dal periodo di imposta 2006 (comunicazioni in Unico 2007)

2) Se si incorre nella violazione che comporta l’applicazione delle nuove sanzioni non opera la limitazione in materia di accertamento analitico – induttivo nei confronti dei contribuenti congrui

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STUDI DI SETTORE E PARAMETRI: FISCO IN AFFANNO a cura di Massimiliano Tasini*

La giurisprudenza affermatasi a tutto fine dicembre 2006 avrà sicuramente un ruolo di rilievo anche riguardo all’applicazione degli interventi operati dal legislatore con la recentissima Legge finanziaria 2007 definitivamente licenziata dalla Camera. E’ quindi importante fare il punto sui

principali orientamenti, ad iniziare ovviamente dalla giurisprudenza di massimo grado.

L’affermazione di maggior rilievo è senza dubbio quella fatta dalla Corte Costituzionale, che nella sentenza n. 105 del 1 aprile 2003 ha sinteticamente ma inequivocabilmente

affermato che

“i parametri prevedono un sistema basato su presunzione semplice la cui idoneità probatoria

è rimessa alla valutazione del Giudice di merito.”

Questa affermazione, confermata anche dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza

30/6/2006 n. 15124 implica che il giudice, nel decidere relativamente ad un ricorso proposto contro un avviso di accertamento basato sui parametri presuntivi di ricavi e compensi di cui all’art. 3 della legge n. 549/1995, ovvero sugli studi di settore di cui all’art. 10 della legge n.

146/1998, non è vincolato dalle relative risultanze: non siamo di fronte a presunzioni semplici, e dunque prima ancora di verificare se la parte è in grado di addurre la prova contraria il giudice appurerà se nella specifica fattispecie lo studio di settore “tenga” o meno.

Va quindi disattesa la pure autorevole impostazione adottata dall’Agenzia delle Entrate nella circolare 21/E del 2004, per la quale

IL SEMPLICE SCOSTAMENTO TRA RICAVI E COMPENSI DA STUDI E QUELLI DICHIARATI

COSTITUISCE PRESUNZIONE GRAVE, PRECISA E CONCORDANTE SU CUI FONDARE

L’ACCERTAMENTO

La flessibilità dello strumento presuntivo costituito dagli studi di settore costituisce poi l’asse portante di diverse sentenze della Corte di Cassazione. In particolare, merita attenzione la

sentenza 15 dicembre 2003 n. 19163, con la quale è stato precisato che

“la flessibilità degli strumenti presuntivi trova origine e fondamento proprio nell’articolo 53 della Costituzione, non potendosi ammettere che il reddito venga determinato in maniera automatica, a prescindere da quella che è la capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica. Ogni sforzo, quindi, va compiuto per individuare la reale capacità contributiva del soggetto, pur tenendo presente l’importantissimo ausilio che può derivare dagli strumenti presuntivi, che non possono però avere effetti automatici, che sarebbero contrastanti con il dettato costituzionale, ma che richiedono un confronto con la situazione concreta

Ancora, e più recentemente, la Corte di Cassazione ha sostenuto come (sentenza 3

febbraio 2006 n. 2411)

* Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Fiscale)

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Nella rideterminazione induttiva di ricavi e compensi sulla base di coefficienti va escluso

ogni automatismo

Gli strumenti presuntivi devono essere applicati in modo elastico, pena la violazione

dell’art. 53 Cost.

È inammissibile una rideterminazione automatica del reddito che prescinda dalla capacità

contributiva del soggetto sottoposto a verifica

Nella citata sentenza n. 15163/2003 si affronta poi il problema della prova contraria

adducibile dal contribuente. Viene al riguardo sostenuto che

la prova dell’inapplicabilità dei parametri al caso concreto “non deve avere necessariamente

collegamenti con dati documentali … ma può essere costituita, in assenza di indicazioni normative specifiche contrarie, anche da presunzioni che il Giudice nel suo prudente

apprezzamento va a configurare e a valutare”.

Sebbene sia forse poco noto, la stessa tesi era già stata sostenuta dall’Agenzia delle Entrate

nella circolare n. 58/2002, ove è stato precisato che

“La procedura di elaborazione degli studi di settore … non priva il contribuente della possibilità di

fornire prova contraria adducendo argomentazioni tali da dimostrare la non attendibilità del

risultato dell’applicazione dello studio in relazione alla specifica situazione oggetto di controllo. Lo

scostamento potrà essere giustificato non solo in base a prove documentali certe, che abbiano

un riscontro diretto ed immediatamente quantificabile sui ricavi dichiarati, ma anche in base ad

un ragionamento di tipo presuntivo che si fondi su elementi certi e che conduca a valutazioni che

abbiano una reale capacità di convincimento dell’ufficio”.

Su questa stessa linea si era peraltro già attestata la Corte di Cassazione con la sentenza

n. 2891 del 27 febbraio 2002. Il punto è pertanto da ritenersi pacifico.

Veniamo ora alle principali sentenze di merito, limitando l’indagine a quelle emanate negli

ultimi due anni.

Il semplice scostamento e il contraddittorio pre-contenzioso

Non basta lo scostamento rispetto agli studi di settore per legittimare l’accertamento del fisco: lo

ha stabilito la Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, sez. III, nella sentenza

8 febbraio 2006 n. 9. Sono molti ed importanti i nodi sciolti dai giudici di Macerata.

Intanto, viene

respinta l’eccezione sollevata dal ricorrente per il quale l’atto impositivo sarebbe nullo per

carenza della fase del contraddittorio precontenzioso,

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Studi di settore e parametri: fisco in affanno

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così come previsto dalle diverse circolari emanate dall’Agenzia delle entrate a chiarimento

della normativa, in quanto secondo i giudici non sussiste un diritto a tale fase e la

inosservanza o disapplicazione delle circolari citate può essere fonte di illecito sul piano

disciplinare, ma non pregiudica il diritto di difesa del contribuente che può essere sempre

esercitato nella fase contenziosa. In tal senso, ricordano i giudici, si è pronunciata la stessa

Corte di Cassazione, il cui indirizzo viene condiviso.

Le pronunce della Cassazione non riguardano specificatamente questa ipotesi, bensì quella,

per il vero un po’ diversa, del contraddittorio da instaurare ai sensi degli artt. 32 del DPR n.

600/1973 e 51 del DPR n. 633/1972, norme dedicate all’accertamento cd. bancario, cioè

quello che viene realizzato ponendo a base della rettifica in movimenti in entrata ed in uscita

transitati su conti, depositi ed altri rapporti.

Pertanto, il rinvio alla giurisprudenza della Corte di Cassazione sul punto, benché pertinente,

è sembrato a taluni eccessivamente rigoroso nei confronti del contribuente.

Una conferma inequivocabile di quest’ultima obiezione si ritrova nella recente sentenza della

Corte di Cassazione n. 17229 del 28 luglio 2006, nella quale è stato precisato come

“… né, data la natura di atti amministrativi generali di organizzazione, rivestita dagli studi di

settore previsti dall'art. 62-bis del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito in L. 29 ottobre

1993, n. 427, si possono considerare sufficienti perché l'ufficio tributario operi l'accertamento

di un rapporto giuridico tributario di specie ultima, senza che l'attività istruttoria

amministrativa sia completata …

… nel rispetto del principio generale del giusto procedimento, cioè consentendo al

contribuente, ai sensi dell'art. 12, comma 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212, di intervenire già

in sede procedimentale amministrativa, prima di essere costretto ad adire il giudice

tributario, di vincere la mera praesumptio hominis costituita dagli studi di settore…

Risulta, infatti, … che, nella fase procedimentale amministrativa che va dalla dichiarazione

tributaria all'avviso di accertamento, tra ufficio tributario e contribuente non si è svolto alcun

contraddittorio, cosicché è vano invocare uno studio di settore, che ha struttura oggettiva e

soggettiva categoriale e, quindi, di genere, come strumento idoneo a regolare, di per sé, un

caso di specie. In questo senso è orientata la giurisprudenza di questa Corte nelle sentenze:

3 maggio 2005 n. 9135, 23 giugno 2003 n. 9946; 27 settembre 2002 n. 13995

Si badi bene che questa tesi è stata affermata con riferimento alla disciplina pregressa

rispetto all’intervento operato dalla legge n. 311/2004, che ha aggiunto all’art. 10 della legge

n. 146 del 1998 un comma 3 bis con il quale il contraddittorio è stato reso obbligatorio. Si

rammenta al riguardo che l’Agenzia delle Entrate, al riguardo, ha avuto modo di precisare nel

corso di Telefisco, ribadendo poi il principio nella circolare n. 10/E del 2005, che la modifica

non comporterebbe effetti sostanziali, essendo la previsione sprovvista di sanzione.

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La sentenza n. 17229 sembra dunque determinare una brusca svolta, imponendo

all’Amministrazione l’instaurazione un contraddittorio, il quale, peraltro, non può risolversi in

un atto meramente formale.

Regole di applicazione degli studi di settore

Tornando alla sentenza della Commissione di Macerata, il piatto forte è costituito dalle regole

di applicazione degli studi di settore. Secondo l’Ufficio è sufficiente che l’atto di accertamento

contenga un mero rinvio alle risultanze degli studi di settore, in applicazione dell’art. 39,

primo comma, lett d) del DPR n. 600/1973: tale norma, invero, contempla per

l’Amministrazione Finanziaria la facoltà di procedere a rettifica analitica dell’ammontare dei

ricavi dichiarati anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.

E, secondo l’Ufficio, gli studi di settore hanno questa caratteristica.

In altri termini, a parere dell’Amministrazione Finanziaria lo scostamento tra il ricavo

dichiarato e quello invece risultante dall’applicazione degli studi di settore comporterebbe

una presunzione talché l’onere della (contro)prova verrebbe accollato al contribuente.

Il collegio non condivide però questa impostazione ed anzi fa proprio il principio enunciato

dalla Corte di Cassazione nella sentenza 27 febbraio 2002 n. 2891, secondo cui

“è l’art. 39, c. 1, lett d), a consentire, sulla base della disamina della contabilità operata

dall’Ufficio, di ricostruire l’esistenza di attività non dichiarate attraverso presunzioni semplici,

purché gravi, precise e concordanti; e questo valore possono assumere, se confortate da altri

indizi, le difformità delle percentuali applicate in concreto rispetto a quelle mediamente

riscontrate nel settore di appartenenza, emergenti da studi di settore, quando vi sia uno

scostamento che renda del tutto non credibile il risultato della dichiarazione”.

Da tale affermazione, i giudici maceratesi desumono il principio, tanto semplice quanto

fondamentale, per il quale

il semplice scostamento tra il dichiarato e il risultato dei calcoli parametrici costituisce un indizio

o, al massimo, una presunzione semplice priva dei caratteri di gravità, precisione e concordanza,

in quanto mancano gli ulteriori indizi di “conforto” richiesti dalla sentenza della Cassazione.

Nel caso concreto, l’Ufficio non ha fatto alcun riferimento ad altri indizi, se non limitarsi a

constatare l’esistenza dello scostamento, né ha operato alcun concreto riscontro con le scritture

contabili della società. Né, ancora, ha verificato quanto eccepito dal contribuente circa il ridotto

tempo lavorativo, anche in relazione alla crisi che investe il settore di appartenenza del

contribuente, circostanza, questa, ben nota e nemmeno contrastata dall’Ufficio.

Peraltro, proseguono i giudici, è da avallare pure l’ulteriore resa dalla Corte di Cassazione

nella citata sentenza, secondo la quale lo scostamento dovrebbe essere tale da rendere del

tutto non credibile il risultato della dichiarazione.

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Studi di settore e parametri: fisco in affanno

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Questo ragionamento porta ad affermare che nel caso di specie manca la prova, il cui onere

incombe certamente sull’Ufficio. Limitarsi a constatare uno scostamento tra ricavi dichiarati e

ricavi da studi di settore e fondare un accertamento unicamente su questo comporterebbe,

oltretutto, il sospetto che le norme che disciplinano gli studi di settore siano affette dal

sospetto di illegittimità costituzionale, in relazione all’art. 53 Cost. che esige che il

contribuente sia tassato in ragione della propria capacità contributiva, la quale in tutta

evidenza non può essere stimata con una presunzione di tal guisa.

Dunque, lo strumento parametrico può solo fungere da supporto all’attività accertatrice, ma

non può costituire da solo autonomo strumento di quantificazione del reddito. Lo

scostamento assume valenza meramente indiziaria.

Ultimo passaggio importante attiene

all’entità dello scostamento tra ricavi dichiarati e ricavi da studi di settore. I giudici osservano

che nel caso di specie la sua entità – circa il 10% - non integra il requisito della gravità, e

pertanto anche sotto questo profilo l’accertamento deve essere disatteso.

Sull’entità dello scostamento

L’ultima affermazione resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Macerata, secondo la

quale uno scostamento del 10% non assume i connotati della gravità richiesti dalla

normativa, costituisce una affermazione centrale e di grandissima rilevanza pratica. In

numerose occasioni, infatti, il contribuente presenta uno scostamento non particolarmente

significativo, ed il quesito che va pertanto risolto è se l’entità di tale scostamento assuma una

qualche rilevanza sul piano difensivo.

La tesi dei giudici marchigiani è in linea alla sentenza 18 aprile 2005 n. 60 resa dalla

sez. VIII della Commissione Tributaria Provinciale di Milano. In tale occasione, i

giudici hanno precisato che

l’avviso di accertamento deve affermare e motivare l’esistenza di gravi incongruenze tra i

ricavi dichiarati e quelli determinabili con gli studi di settore. Inoltre, precisa la Commissione,

l’esistenza di gravi incongruenze può dirsi ricorrente laddove lo scarto tra ricavi dichiarati e

ricavi da studi di settore sia pari ad almeno il 25/30 per cento.

Sul punto, particolarmente interessanti sono le osservazioni formulate dalla Commissione

Tributaria Provinciale di Vercelli nella sentenza 25 maggio 2006 n. 44 emessa dalla

sezione III.

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In tale occasione, è stato precisato che

lo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli ipotizzati trova un limite invalicabile tutte le volte

in cui manca la prova da parte dell’Ufficio della maggiore pretesa azionata dal meccanismo

dello studio di settore, atteso che i detti studi non costituiscono un criterio imprescindibile

per la determinazione dei ricavi e dei redditi, in quanto suscettibili di approfondimento

mediante una puntuale e più specifica indagine accertativi.

E’ pertanto affetto da illegittimità l’avviso di accertamento che non fornisca alcuna traccia

della dimostrazione di adeguatezza del risultato ottenuto dall’applicazione dello studio di

settore, né della dimostrazione della dichiarata insufficienza, da parte dell’Ufficio, delle

giustificazioni formulate dal contribuente nel corso dell’accertamento con adesione.

In sostanza, conclude la Corte, l’Ufficio deve sempre adeguare il risultato degli studi di

settore alla concreta e particolare situazione dell’impresa, valutando le osservazione del

contribuente e motivando sia l’accoglimento sia il rigetto delle stesse.

La tesi pro-fisco

Nella sentenza resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Gorizia 1 marzo

2006 n. 17 della sez. II si ritrova invece una impostazione diversa, benché l’esito finale

della causa sia comunque favorevole al contribuente. In tale pronuncia i giudici hanno infatti

fatto propria la tesi avanzata dall’Ufficio secondo la quale

gli studi di settore costituirebbero una vera e propria presunzione legale, seppure relativa,

con la conseguenza che l’esistenza di un semplice scostamento tra ricavi porrebbe in capo al

contribuente l’onere di dimostrare i motivi dello scostamento medesimo.

Tuttavia, osservano i giudici, uno scostamento dell’ordine del 4-5%, peraltro ripetuto per più

anni, ben può giustificarsi nei casi, assai frequenti, di contratti di affiliazione, contraddistinti

dalla circostanza che l’affiliato non può adeguare i propri prezzi a quelli di mercato sulla base

degli impegni assunti con il proprio fornitore, è pienamente giustificabile, con la conseguenza

che l’accertamento tributario va disatteso.

L’intervallo di confidenza

Gli studi di settore non determinano solo un ricavo puntuale ma anche un ricavo minimo.

L’intervallo di confidenza è quell’”arco” che si estende tra l’uno e l’altro.

Molti contribuenti sono congrui rispetto al ricavo minimo, ma non soddisfano il ricavo

puntuale. E’ quindi importante stabilire quale sia il pensiero della giurisprudenza sul punto.

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Studi di settore e parametri: fisco in affanno

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Diciamo subito che le controversie non sono tante, e ciò è comprensibile, in quanto la

funzione statistica sottesa agli studi di settore dovrebbe razionalmente ricondurre i

contribuenti comunque in linea alla soglia minima tra quelli non accertabili.

Per la Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza, sez. IV, sentenza 17 agosto

2006 n. 282,

“non risulta, nel caso in esame, uno scarto significativo tra i ricavi contabile (= € 98.886,00), i ricavi

minimi (= € 94.497,00) ed i ricavi “puntuali” (€ 127.711,00) riscontrati nel settore merceologico di

appartenenza … alla luce delle osservazioni svolte, il ricorso è fondato e va accolto”.

Abbiamo riportato il testo per evidenziare i numeri del caso di specie, che si contraddistingue

per un intervallo di confidenza discretamente ampio, e che denota l’estrema elasticità con cui

i giudici stanno giudicando i ricorsi proposti dai contribuenti.

Ad analoga conclusione è peraltro giunta la Commissione Tributaria Provinciale di

Rovigo nella sentenza 30 dicembre 2005 n. 91 emessa dalla quarta sezione.

* * *

A conclusione di questa breve rassegna, riteniamo degne di particolare nota due recenti

sentenze, pure rese dalla giurisprudenza di merito.

La prima è della Commissione Tributaria Regionale di Torino, sez. XXVI, che nella

sentenza n. 27 del 19 luglio 2006 ha precisato che

“l’Ufficio, nell’adottare l’accertamento “de qua”, non evidenziava alcuna irregolarità delle

scritture contabili o altre inesattezze dei dati esposti dal contribuente nella sua

dichiarazione dei redditi, se non la rilevante differenza di compensi e di volume d’affari che

era emersa in applicazione dei dati parametrici più sopra richiamati. Come si vede, quindi,

la inattendibilità della dichiarazione che, ripetesi, scaturiva dalla ingiustificata applicazione

dei parametri (in quanto alla data di emissione dell’avviso erano già stati approvati gli studi

di settore: ndr) non poteva ritenersi sussistere ove in origine l’Ufficio avesse applicato lo

specifico studio di settore …”.

Dunque, il parametro/studio di settore da solo non basta, e ciò conferma, lo diciamo per inciso,

l’importanza di rispettare le prescrizione dettate dalla manovra Prodi in tema di tracciabilità dei

compensi, norme in apparenza senza sanzione, ma che forse meritano una rilettura alla luce

delle affermazioni dei giudici piemontesi, che nell’evocare l’obbligo alla regolare tenuta delle

scritture contabili, erigono un piccolo e fragile “scudo” a favore del contribuente.

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Vi è poi la sentenza resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Pesaro 10

maggio 2005 n. 98 emessa dalla sezione II. Secondo tali giudici:

a) l’accertamento per parametri contiene una motivazione solo apparente, incompleta (e

quindi illegittima) perché in essa, dopo un riferimento generico ai parametri di cui al

DPCM del 20.1.1996 e DPCM 27.3.1997 e con l’indicazione di alcune voci, quali costo del

venduto, valore dei beni strumentali, spese per il personale, quote di ammortamento

etc., vengono indicati i maggiori ricavi ed un maggior reddito di impresa di lire … con

maggior Irpef … CSSN … tasse per l’Europa a fronte dell’imponibile dichiarato di lire ….

ed irroga la sanzione di lire …. senza l’esposizione del procedimento logico seguito per

determinarlo. E questo già di per sé spinge il Collegio a ritenere fondate le censure

mosse dal ricorrente tenuto conto anche che si è in presenza di una differenza

percentualmente non elevata fra il volume dei ricavi accertato e/o accertabile e quello

dichiarato per l’attività effettivamente svolta;

b) essendo i parametri portati da atti amministrativi si richiede che l’Amministrazione nel

momento in cui accede all’utilizzo dei parametri dia compiuta contezza di tutti gli elementi

che vanno a comportare, assieme con i parametri, il risultato conclusiva dell’accertamento

nei confronti del contribuente: non basta il ricorso semplice ai parametri senza la

motivazione collaterale degli elementi che vanno a determinare l’accertamento;

c) è pertanto condivisibile l’affermazione che nega agli Uffici di rettificare i corrispettivi,

compensi e ricavi mediante determinazione induttiva in via automatica per mezzo dei

parametri, poiché l’accertamento induttivo deve essere il portato logico dell’applicazione

dei parametri specificatamente riferibili al contribuente interessato dall’accertamento,

senza alcun ricorso acritico a medie nazionali o di settore. L’Ufficio deve quindi valutarne

la loro adattabilità e congruità alla specifica situazione esaminata posto che il risultato

dei parametri è pur sempre una presunzione che deve essere connotata dai requisiti

della gravità, della precisione e della concordanza.

Dunque, principi di grande attualità e che non mancheranno di certo di tenere alto il dibattito

sugli studi di settore.

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I TESTI INTEGRALI DELLE ULTIME SENTENZE IN TEMA DI ACCERTAMENTO DA PARAMETRI E STUDI DI SETTORE*

Sentenza Commissione tributaria provinciale Macerata,sez. III, 30-12-2003, n. 63 - Pres. De Sanctis

[Procedura di contraddittorio]

Accertamento con adesione. Diritto al contraddittorio nella fase precontenziosa. Non sussiste. Impugnazione dell'avviso di accertamento. Necessita. Il 30 ottobre 2002 l'Agenzia delle Entrate Ufficio Imposte Dirette di Macerata ha notificato alla sig.ra ... titolare dell'omonima ditta individuale di Morrovalle, l'avviso di accertamento n. ..., con il quale ha accertato ai fini IRPEF, addizionale regionale IRPEF e IRAP per l'anno 1998 ricavi per L. 53.938.000, derivanti dallo studio di settore relativo all'attività svolta ed elaborato ai sensi del D.L. n. 331/1993, a fronte di quelli dichiarati in L. 27.633.000. Con atto depositato il 26 giugno 2003 ha proposto ricorso la sig.ra ... rappresentata e difesa dal rag. ... la quale ha chiesto, previa sospensione dell'atto impugnato e discussione in pubblica udienza, l'annullamento dell'avviso di accertamento, con vittoria delle spese di giudizio. E ciò assumendo che: - l'avviso è carente di motivazione, in quanto è fondato esclusivamente sullo scostamento tra ricavi calcolati mediante studi di settore e quelli dichiarati dal ricorrente, senza alcun riscontro contabile e/o documentale e senza tener conto della effettiva condizione soggettiva specifica del contribuente; - inutilmente la ricorrente ha presentato istanza di accertamento con adesione e poi di annullamento, ricevendo dall'Ufficio la risposta che le procedure seguite sono state quelle di legge; - l'Ufficio non ha provveduto all'invito al contraddittorio, prima di emettere l'atto; - l'applicazione dello studio di settore non tiene conto delle particolarità dell'attività spiegata e della realtà economica del territorio; - nel caso di specie trattasi di attività stagionale in un settore in crisi per la forte concorrenza estera, che si svolge per circa soli 9 mesi all'anno; - circa la non coerenza riguardante i macchinari, questi non sempre rilevano attendibili risultati proporzionati alla novità delle macchine; - per quanto riguarda la rotazione di magazzino, questa è fuori luogo, in quanto la ditta ricorrente, lavorando per terzi, riceve i materiali da tagliare dalla committenza; - per quanto riguarda l'istanza di sospensione, la ricorrente ritiene l'esistenza del fumus boni iuris risultando mancante l'invito al contraddittorio e l'esistenza del periculum di grave danno, in quanto essa ricorrente dovrebbe ricorrere al mercato del credito per poter ricostituire la situazione antecedente l'eventuale pagamento delle imposte richieste. L'istanza di sospensione è stata discussa e decisa all'apposita udienza del 22 luglio 2003, nella quale è stata emessa ordinanza di reiezione. Con atto depositato il 16 settembre 2003 si è costituito in giudizio l'Ufficio di Macerata della Agenzia delle Entrate, in persona del capo area di controllo dr. ... il quale ha chiesto, con la vittoria delle spese di giudizio, la reiezione del ricorso.

E ciò assumendo che:

- il mancato contraddittorio è dovuto al comportamento del contribuente, che non ha dato tempo allo

Ufficio di formulare l'invito a comparire pur essendo ancora sospesi i termini di cui all'art. 6 del D.Lgs.

n. 218/1997;

* Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Fiscale)

S T U D I

D I

S E T T O R E

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- in ogni caso è rimasto comunque integro il diritto di difesa del contribuente in sede contenziosa;

- l'Ufficio non ha operato in base agli studi di settore, ma ha emesso l'accertamento ex art. 39 I°

comma lett. d) del D.P.R. n. 600/1973, utilizzando gli elementi di presunzione scaturenti

dall'applicazione del procedimento dello studio di settore;

- non vi è la eccepita carenza di motivazione, in quanto l'Ufficio poteva procedere alla rettifica dei

redditi d'impresa anche sulla base di presunzioni gravi precise e concordanti, quali sono da ritenere le

risultanze degli studi di settore;

- nel merito si fa rilevare che gli studi di settore, prima della loro applicazione e approvazione, sono

stati sottoposti ad apposita commissione di esperti che ha tenuto in conto le osservazioni delle

associazioni di categoria;

- le affermazioni della ricorrente sono irrilevanti, anche perché non documentate, né provate,

nemmeno in sede contenziosa.

Il ricorso è stato discusso e deciso all'udienza del 28 novembre 2003.

Motivi della decisione 1-1 Con il primo motivo del ricorso la ricorrente eccepisce la carenza di motivazione, in quanto l'atto

impugnato è fondato sic et simpliciter sul mero scostamento tra i ricavi calcolati mediante

l'applicazione degli studi di settore e quelli dichiarati, senza ulteriori riscontri, senza tener conto della

realtà aziendale e in violazione dell'art. 7 della legge n. 212/2000. Pur se un pò confusamente, quindi,

la ricorrente ha eccepito la carenza di motivazione dell'atto impugnato, il quale contiene una

motivazione stereotipa, senza fare espresso riferimento alla realtà specifica dell'azienda verificata.

Trattasi quindi, nel caso esaminato dal Supremo Collegio, di un accertamento che aveva precisato in

base a quali elementi specifici era stata ritenuta la presunzione che ha giustificato il maggior valore

dei ricavi contestato: specificazione che è mancata del tutto nel caso di specie, ritenendo questa

Commissione insufficiente la motivazione stereotipa usata nell'avviso, secondo la quale "nel suo caso,

l'applicazione dello studio di settore SD08U relativo all'attività da lei svolta (cod. 19302) determina

ricavi maggiori di quelli dichiarati".

Occorreva, ad avviso di questo Collegio, che l'Ufficio avesse precisato quale elementi dichiarati sono

stati ritenuti incongruenti e/o incoerenti. Solo in questo modo l'atto sarebbe stato ritenuto motivato, la

ricorrente avrebbe potuto approntare appropriate difese e il Giudicante avrebbe avuto elementi precisi

e incontestabili sui quali fondare il proprio convincimento.

1-1-D- Tutto ciò non è potuto avvenire sia perché l'Ufficio ha saltato la procedura di contraddittorio

prevista nell'accertamento per adesione prima di emettere l'atto, sia perché l'Ufficio ha omesso di

intraprendere tale procedura malgrado espressa tempestiva richiesta della ricorrente, sia perché

l'Ufficio non ha riportato né indicato gli "elementi significativi considerati", di cui fa cenno a pag. 2

dell'avviso di accertamento.

Se l'Ufficio avesse continuato a motivare, precisando quali elementi dichiarati sono stati ritenuti in

tutto o in parte incongruenti la ricorrente avrebbe potuto approntare appropriate apposite difese e

questa Commissione avrebbe avuto forniti elementi precisi e certi sui quali fondare il proprio

convincimento, condividendo o disattendendo, con doverosa motivazione, le argomentazioni logiche

dell'Ufficio che hanno indotto lo stesso alle conclusioni presuntive di evasione.

1-1-E- pertanto la Commissione ritiene l'atto impugnato privo di motivazione nel senso sopra indicato,

dichiarandolo illegittimo, rettificando così in parte il proprio precedente orientamento interpretativo sul

tema dinanzi alla esplicita eccezione della ricorrente.

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I testi integrali delle ultime sentenze in tema di accertamento da parametri e studi di settore

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1-2-A- La ricorrente ha eccepito che l'Ufficio non ha provveduto a notificare, prima dell'accertamento,

l'invito al contraddittorio contravvenendo a varie circolari ministeriali.

Se è pur vero che esistono disposizioni non vincolanti di seguire, in caso degli studi di settore, il

procedimento dell'accertamento con adesione, è altrettanto vero che non esiste in capo al

contribuente un diritto al contraddittorio nella fase precontenziosa, come rilevato dall'Ufficio e come

ritenuto anche di recente dalla Cass. Civ. Sez. Trb. 2 dicembre 2002 n. 17038 , la quale ha precisato:

"... il contraddittorio, ed il conseguente diritto al contraddittorio sorgono soltanto a seguito

dell'impugnazione dell'avviso di accertamento. Prima di questo momento la lite fiscale non sussiste (o,

a tutto concedere, è meramente eventuale) e non sussiste un diritto al contraddittorio".

1-2-B- Pertanto l'eccezione della ricorrente va disattesa, così come quella relativa alla mancata

apertura della procedura di accertamento per adesione richiesta dalla contribuente dopo l'avviso di

accertamento.

L'Ufficio, omettendo la convocazione nei 15 giorni successivi la richiesta, ha commesso una mera

irregolarità in rapporto alle precise circolari ministeriali, tutt'al più di interesse disciplinare, ma non ha posto

in essere un comportamento illegittimo e tale da importare la nullità dell'atto riferibile, in quanto il

Legislatore non ha previsto alcuna conseguenza negativa a seguito della cennata mancata convocazione.

1-3-A- Vanno anche respinti gli altri motivi del ricorso, in quanto trattasi di motivi generici, non provati

e costituenti ipotesi critiche degli studi di settore senza fornire elementi probatori di giudizio.

1-3-B Risulta precisato solo il motivo che il lavoro si svolgerebbe ormai in maniera stagionale e per 9

mesi, ma questo è poi smentito dalle fatturazioni, prodotte dalla stessa ricorrente, che interessano

tutti i mesi dell'anno.

2-1- Per i suesposti motivi il ricorso va avvolto, mentre le spese di giudizio vanno compensate sia per la

novità delle questioni sia per il fatto che, tranne uno, tutti gli altri motivi del ricorso sono stati respinti.

P.Q.M. La Commissione delibera di accogliere il ricorso. Spese compensate.

Sentenza Commissione tributaria provinciale Milano, sez. VIII, 18-04-2005, n. 60

[Studi di settore]

Avviso di accertamento fondato sugli studi di settore. Artt. 62 sexies e 62 bis del D.L. n. 331/1993. Differenza tra ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore. Insufficienza. Gravi incongruenze. Necessità. Proponeva tempestivo ricorso contro l'avviso di accertamento - notificatogli in data 12 agosto 2004 -

con il quale l'Agenzia delle Entrate, Ufficio di Milano 4, dopo aver proceduto al controllo parziale, ai

sensi dell'art. 62 sexies del D.L. n. 331/93, convertito dalla L. n. 427/93, della sua posizione fiscale

relativa all'anno 1998 con riferimento all'attività di impresa (riparazione meccanica di autoveicoli) in

regime di contabilità semplificata, ha rettificato la sua dichiarazione (Modello UNICO/99) ai fini Irpef,

Addizionale Regionale Irpef, Irap ed Iva ed ha anche irrogato le relative sanzioni pecuniarie.

Il ricorrente chiedeva, in via principale, l'annullamento dell'atto impugnato adducendo l'omessa o

insufficiente motivazione dell'avviso di accertamento e contestando i risultati degli studi di settore che

non avrebbero i requisiti delle presunzioni semplici (gravità, precisione e concordanza) ed, inoltre, una

grave patologia personale che non gli avrebbe consentito una normale attività lavorativa e, in via

subordinata, chiedeva una più equa determinazione del reddito e l'annullamento delle sanzioni

inflittegli, oltre, in ogni caso, alla condanna dell'Ufficio al pagamento delle spese processuali.

S T U D I

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S E T T O R E

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L'Agenzia delle Entrate, Ufficio di Milano 4, si costituiva con comparsa depositata in data 27 dicembre 2004

con la quale chiedeva il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.

All'udienza del 13 aprile 2005, dopo la discussione in pubblica udienza e sulle conclusioni delle parti, la

causa veniva decisa in camera di consiglio.

MOTIVI DELLA DECISIONE L'impugnato avviso di accertamento è illegittimo (per difetto di motivazione) e pertanto va annullato.

Nella motivazione dell'atto l'Agenzia delle Entrate, Ufficio di Milano 4, afferma, tra l'altro, che

"l'ammontare dei compensi dichiarati per il periodo di imposta 1998 è inferiore a quello derivante

dall'applicazione degli studi di settore di cui all'art. 62 bis del decreto legge 30 agosto 1993, n. 331,

convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427" ed aggiunge che "I maggiori ricavi

determinati presuntivamente sono rilevanti, ai sensi dell'art. 62-sexies del citato decreto legge n. 331

del 1993, ai fini dell'accertamento delle imposte sui redditi, dell'imposta sul valore aggiunto, nonché

delle altre imposte e contributi ... se dovuti".

La motivazione dell'accertamento si conclude evidenziando che i maggiori ricavi (indicati in L. 19.371.000

nell'invito, in precedenza inviato al contribuente, ai fini dell'instaurazione del contraddittorio e dell'eventuale

accertamento con adesione) determinati, in relazione all'attività svolta (riparazione meccanica di

autoveicoli), mediante lo studio di settore approvato con decreto del ministro delle finanze 30 marzo 1999,

sono stati ridotti a L. 9.685.000 in seguito agli elementi addotti dal contribuente.

La disposizione di cui all'art. 62-sexies del citato decreto legge n. 331 del 1993, sulla quale l'Agenzia

delle Entrate ha fondato l'avviso di accertamento, però, richiede l'esistenza di "GRAVI

INCONGRUENZE" tra i ricavi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore e non

soltanto che l'ammontare dei ricavi determinabili sulla base degli studi di settore risulti superiore

all'ammontare dei ricavi dichiarati.

Stabilisce, infatti, la disposizione di cui al comma 3, dell'art. 62-sexies del D.L. n. 331/93 "Gli

accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lett. d), del decreto del Presidente della Repubblica

29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e 54 del decreto del Presidente della

Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, possono essere fondati anche

sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli

fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività

svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell'articolo 62-bis del presente decreto."

La citata norma quindi impone che nell'avviso di accertamento, oltre ai ricavi determinabili sulla base

degli studi di settore, venga indicato anche l'ammontare dei ricavi dichiarati dal contribuente, ma

soprattutto che venga affermata e motivata l'esistenza di "gravi incongruenze" tra i ricavi dichiarati e

quelli determinabili con gli studi di settore. Nel caso di specie l'Agenzia delle Entrate, invece, si è

limitata ad evidenziare, peraltro in un prospetto allegato all'avviso di accertamento, i ricavi (dichiarati)

pari a L. 66.175.000 e i ricavi di riferimento pari a L. 85.546.000, ma non ha né affermato né motivato

l'esistenza di "gravi incongruenze".

L'impugnato avviso di accertamento è quindi illegittimo per insufficiente motivazione perchè

"prescinde" dal requisito richiesto dalla legge "l'esistenza di gravi incongruenze" tra i ricavi dichiarati e

quelli determinabili con gli studi di settore.

Maggiori ricavi desumibili sulla base degli studi di settore, a parere di questo Collegio, non sempre

possono consentire gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d), del DPR n. 600/73

e 54 del DPR n. 633/72, (accertamenti analitici-induttivi) perchè, almeno per gli esercenti attività di

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I testi integrali delle ultime sentenze in tema di accertamento da parametri e studi di settore

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impresa in regime di contabilità semplificata, la legge richiede, in relazione ai ricavi dichiarati e a quelli

desumibili dagli studi di settore, l'esistenza di "gravi incongruenze".

L'esistenza di "gravi incongruenze" deve essere espressamente affermata ed adeguatamente motivata

nell'avviso di accertamento e, ovviamente, non soltanto facendo riferimento all'importo dei ricavi "non

dichiarati" perchè l'anzidetto importo, isolatamente considerato, avrebbe scarsissima rilevanza. Per la

sussistenza di "gravi" incongruenze, a parere di questo Collegio, l'importo dei ricavi non dichiarati

rispetto sia a quelli dichiarati sia a quelli determinabili in via presuntiva, non dovrebbe essere inferiore

al 25/30 per cento.

Nell'avviso di accertamento sottoposto all'esame di questo Collegio, comunque, non è stata neanche

affermata l'esistenza di gravi incongruenze.

La domanda proposta dal ricorrente in via principale va quindi accolta e l'impugnato avviso di accertamento

va annullato per difetto di motivazione con assorbimento della domanda subordinata e degli altri motivi di

ricorso. Sussistono però giusti motivi (la complessità e la novità della questione trattata) per disporre la

totale compensazione delle spese processuali.

P.Q.M La Commissione tributaria provinciale accoglie il ricorso e annulla l'atto impugnato (avviso di

accertamento). Spese compensate.

Sentenza Commissione tributaria provinciale Macerata, sez. III, 17-05-2005, n. 36 - Pres. De Sanctis - Rel. Felici

[Studi di settore]

Attività di tagliatura tomaie per conto di terzi. Avviso di rettifica. Applicazione dello studio di settore. Differenza tra ricavi dichiarati e quelli desumibili dall'attività svolta. Dimostrazione di grave incongruenza. Necessità.

Svolgimento dei fatti Ha impugnato dinanzi a quest'Organo della Giustizia Tributaria l'avviso di rettifica notificato in data 16

dicembre 2002 con il quale, in applicazione dello studio di Settore SD08U relativo all'attività di

fabbricazione parti ed accessori con calzatura non in gomma cod. 19302, è stato ritenuto per l'anno

1998 uno scostamento dei ricavi denunciati per L. 52.851.000 cui è conseguito una maggiore

imposizione per IVA per L. 10.570.000, liquidata nell'atto medesimo, insieme con le sanzioni anche per

presentazione di dichiarazione con dati inesatti.

Con il primo motivo del ricorso si eccepisce la nullità dell'avviso di accertamento, in quanto non è stato

osservato prima della notificazione del medesimo il procedimento voluto dal Ministero con circolare n.

29/E del 11 aprile 2002 , essendo mancata tra l'altro la indicazione del funzionario responsabile del

procedimento e comunque non rispettato affatto il principio del contraddittorio che è stato emesso

totalmente in dispregio anche dell'art. 7 della legge 212/2000.

Con il secondo motivo si fa presente che lo studio di settore applicato dall'Ufficio non è aderente nè

coerente con lo stato del settore che è in crisi, dal momento che il settore delle calzature, nel cui

ambito opera il ricorrente, è stato penalizzato con forte calo della produzione per effetto della

presenza sul mercato su Paesi Emergenti che immettono nel mercato prodotti con più basso costo

potendo disporre di manodopera i cui oneri sono molto più contenuti rispetto a quelli normalmente

gravanti sulle ditte operanti nella nostra Regione.

S T U D I

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Gli studi inerenti questo settore sono stati posti in discussione anche in sede di Osservatorio

Provinciale nella riunione del 10 giugno 2003 ed in particolare è stato rilevato che nel settore del

conto terzisti al quale appartiene il ricorrente, dove la crisi è più acuta, non possono operare le

presunzioni di cui allo studio di settore menzionato, perché non tiene conto delle variabili peculiari del

settore stesso.

Si aggiungevano poi in un terzo motivo del ricorso degli accenni alla peculiarità di questa ditta la cui

attività relativa al taglio tomaie non si colloca in modo appropriato nelle previsioni dello studio di

settore applicato codice 19302, precisando anche che le macchine utilizzate per l'attività, che è svolta

in collaborazione con la coniuge, sono di modesto valore ed obsolete, non utilizzate tutte per l'intera

stagione, dovendosi anche considerare che nel corso dell'anno l'attività deve essere sospesa per

almeno tre mesi in conseguenza del cambio stagionale, in attesa cioè delle nuove commesse per la

stagione successiva.

Si chiedeva, quindi, la disapplicazione per illegittimità dell'atto impugnato e la condanna dell'Ufficio

alla refusione delle spese del giudizio.

Si costituiva l'Ufficio in data 13 novembre 2003, rilevando che il contraddittorio non era dovuto dato

che non si è operato sulla base degli studi di settore intesi come fonte diretta per l'accertamento, ma

si sono utilizzati soltanto gli elementi di presunzione scaturenti dall'applicazione del "procedimento

dello studio di settore", in conformità alla norma di legge che consente di procedere alla rettifica dei

redditi d'impresa (ved. art. 39 comma 1 lettera d) del D.P.R. 600/73) sulla base delle presunzioni

semplici purché gravi, precise e concordanti.

In ogni caso il contradditorio non è fonte di nullità alla luce della sentenza della Cass. 7 maggio 2003,

n. 6910 che afferma che tale mancanza del contradditorio non pregiudica il diritto di difesa del

contribuente dinanzi alle Commissioni.

Nel merito rilevava l'Ufficio che gli studi di settore costituiscono legittima fonte di presunzioni aventi la

natura voluta dalla legge ed al momento nessuna revisione dello studio applicato è ancora intervenuta,

anche se è in corso il procedimento di revisione. In via principale chiedeva la reiezione del ricorso ed in

subordine la sospensione in attesa del provvedimento di revisione dello studio di settore SD08U.

Il ricorrente con successiva memoria ha confutato le argomentazioni dell'Ufficio in fatto e in diritto.

Il ricorso è stato quindi deciso alla udienza del 21 gennaio 2005.

Motivi della decisione Deve essere pregiudizialmente respinta la eccezione di nullità dell'accertamento fondato

sull'applicazione degli studi di settore o, comunque, sulle presunzioni che da essi è possibile trarre, in

quanto nessuna nullità in proposito è configurabile alla luce della stessa giurisprudenza citata

dall'Ufficio, Cass. Sez. Trib. 7 maggio 2003, n. 6910 , secondo cui il previo contradditorio non è

previsto per legge e non potrebbe dar luogo a nullità, rimanendo non pregiudicato il diritto di difesa

del contribuente in sede contenziosa.

Questa Commissione si è adeguata con recenti pronunce a tale orientamento, affermando che la

potestà, data dalla legge all'Ufficio di procedere all'applicazione degli studi di settore, non è

subordinata al previo contradditorio, potendo il contribuente fornire tutte quelle stesse prove

documentali che non è stato possibile esibire all'Ufficio stesso.

La circolare richiamata nel ricorso non costituisce di per sé fonte di diritto, trattandosi di mera

istruzione interna diretta agli uffici i quali sono liberi anche di non adeguarvisi.

Il ricorso però è fondato nel merito.

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I testi integrali delle ultime sentenze in tema di accertamento da parametri e studi di settore

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Non sono contestati dall'Ufficio i fatti posti a base del ricorso e cioè che si tratta di un'attività di

tagliatura tomaie per conto di ditte terzi e che il settore in cui tale impresa opera è particolarmente

svantaggiato, tanto che lo stesso Ufficio riconosce che lo studio di settore applicabile alla fattispecie è

in corso di revisione, tanto da chiedere per questo la sospensione del giudizio. E' appena il caso di

precisare che tale richiesta non può essere accolta, in quanto la nostra legge processuale non

consente di addivenire a sospensione del giudizio al di fuori della pregiudizialità con altro processo, ma

mai per pendenza di un procedimento meramente amministrativo.

In tale contesto non è affatto sufficiente, al fine di ritenere sussistenti presunzioni gravi, precise e

concordanti, il mero riferimento ai dati che risultano dallo studio di settore.

La Cassazione sezione Tributaria 27 febbraio 2002, n. 2891 , ha chiaramente affermato che per potere

applicare la norma di cui all'art. 39 comma 1 lettera D) del D.P.R. 600/73, non è sufficiente la

applicazione automatica o aritmetica delle risultanze dello studio di settore proprio dell'attività operata

dal contribuente, ma occorre che tali elementi siano confortati da altri indizi, che rendano giustificato

lo scostamento del reddito desunto dallo studio stesso, ove il contribuente fornisca elementi da cui si

può trarre la dimostrazione che la sua attività si discosta dalla rigida previsione di quello studio inteso

nella sua astratta configurazione.

Se è vero che la Cassazione Sez. trib. con sentenza 2 dicembre 2002, n. 17038 ha affermato che lo

studio di settore può essere utilizzato per la ricostruzione del reddito del contribuente, tuttavia occorre

che l'ufficio dimostri come sia stato previamente accertato che esistano "gravi incongruenze tra i

ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di

esercizio dell'attività svolta".

Solo in tale contesto si può ricorrere all'accertamento induttivo dei redditi ai sensi del citato art. 39.

In sostanza la dimostrazione del discostamento tra redditi dichiarati e redditi accertati non può trovare la

fonte in dati aritmetici, astratti o meramente presuntivi ma deve essere ancorata alla realtà della singola

ditta, che riveli elementi obbiettivi sintomatici di una grave incongruenza della sua dichiarazione.

Sulla base di tali principi è impossibile parlare di gravi incongruenze allorquando l'attività svolta dal

contribuente è connotata da uno stato di crisi di mercato, testimoniato dalle stesse ammissioni

dell'ufficio circa la necessità di rivedere quello studio di settore applicato nella fattispecie.

In tale contesto se fosse possibile ricorrere a soli dati ed elementi astratti, quali risultano dallo studio

di settore, senza calarsi nella realtà del mercato in cui il contribuente opera, sorgerebbe un chiaro

problema di costituzionalità della norma che ciò autorizzasse, dato che la capacità contributività deve

trovare agganci in dati obbiettivi e possibilmente certi, senza il ricorso a mere presunzioni astratte.

Fermo il principio che la normativa tributaria deve essere applicata in conformità ai principi nascenti dalla

costituzione, non vi sono dubbi che l'onere della prova della capacità contributiva spetta all'ufficio in forza

dello stesso Statuto del contribuente, sicché appare senz'altro nella specie applicabile il principio di diritto

sopra formulato dalla Suprema Corte in quanto il ricorso alla presunzione che nasce dallo studio di settore

deve sempre concorrere con la dimostrazione dell'esistenza di gravi incongruenze tra quanto dichiarato e

quanto si desume dalla specifica attività svolta dal contribuente medesimo.

Lo studio di settore costituisce un utile parametro per l'accertamento del maggior reddito ma solo in concorso

con la dimostrata grave incongruenza che rappresenta la ragione per cui si ricorre allo studio di settore.

In sostanza lo studio di settore non è fine a se stesso, ma deve trovare la sua legittimità logico-

giuridica in un contesto di elementi che fanno desumere per una simile grave incongruenza ritenuta

fondamentale dalla Cassazione per cui si possa ricorrere allo studio di settore.

S T U D I

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Nella specie di fronte alla peculiarità dell'attività svolta dal contribuente che è contrassegnata da una

sicura crisi riconosciuta anche dall'Ufficio per dimostrare lo scostamento rilevante tra il dichiarato e

l'accertato sarebbero occorsi elementi di sicura affidabilità logica che potessero far desumere la

infedeltà della dichiarazione del contribuente medesimo.

Ma di tale ulteriore dimostrazione rispetto al puro dato aritmetico desunto dall'applicazione dello

studio di settore non vi è traccia nel presente giudizio.

Il ricorso pertanto deve essere accolto e le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come

da dispositivo in atti.

P.Q.M. La Commissione delibera di accogliere il ricorso e condanna l'Ufficio al pagamento delle spese di

giudizio che si liquidano in complessivi euro 530,99 di cui euro 30,99 per spese ed euro 500,00 per

onorari e competenze.

Comm. trib. reg. di Roma, Sez. XXXVI - Pres. Pugliese, Rel. Paparelli - Sent. n. 130 del 23 novembre 2005 (dep. il 24 gennaio 2006)

Accertamento motivato con il solo riferimento ai parametri - Mancanza di altri necessari elementi di conferma dei dati parametrici - Risultanze dei parametri costituiscono presunzioni semplici ex art. 2727 del codice civile - Possibilità del contribuente di fornire prove per dimostrare una situazione diversa da quella scaturente dai parametri - Sussiste - Illegittimità dell'accertamento - Art. 3, comma 181, della L. 28 dicembre 1995, n. 549

Massima - L'ufficio è legittimato, ai sensi dell'art. 3, comma 181, della L. n. 549/1995, a procedere all'accertamento ai sensi degli artt. 39, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973 e 55 del D.P.R. n. 633/1972. I predetti accertamenti, sono basati su presunzioni semplici ex art. 2727 del codice civile, prive dei requisiti previsti dall'art. 2729 del codice civile (gravi, precisi e concordanti). Ne consegue che in mancanza di altri elementi che suffragano e rafforzano le risultanze matematiche dei parametri, la rettifica dei valori operata dall'ufficio non può essere considerata valida, quando, a maggior ragione, tali valori sono contestati e contraddetti dalle prove fornite dal contribuente che evidenziano la situazione personale nella realtà dei fatti. L'accertamento deve essere annullato anche quando dalle prove fornite dal contribuente si rileva che quanto dal medesimo dichiarato è sostanzialmente allineato con il risultato delle prove fornite poiché i risultati dei parametri scaturiscono da un calcolo empirico avulso dalla realtà.

Fatto - Con ricorso proposto il 17 novembre 2001 il sig. F.P., rappresentato e difeso congiuntamente e disgiuntamente dall'Avv. A.L. e dalla Dott.ssa A.M.P. impugnava l'avviso di accertamento n. RCT0004184, notificatogli in data 12 settembre 2001, con il quale l'Agenzia delle Entrate - Ufficio di Viterbo, aveva provveduto a rettificare, in base ai parametri presuntivi di reddito previsti dal D.P.C.M. 29 gennaio 1996 come modificato dal D.P.C.M. 27 marzo 1997, il reddito professionale dichiarato per l'anno d'imposta 1996 di lire 25.405.000 portandolo a lire 48.699.000, chiedendone l'annullamento per mancanza del presupposto impositivo. Dalla detta rettifica scaturivano maggiori imposte così quantificate: Irpef lire 7.920.000 (euro 4.090), contributo SSN lire 1.121.000 (euro 579), contributo straordinario per l'Europa lire 169.000 (euro 87), Iva lire 4.281.000 (euro 2.211). In diritto eccepiva una carente e contraddittoria motivazione e in punto di fatto faceva presente di svolgere l'attività di ingegnare in maniera saltuaria essendo socio accomandatario di una agenzia di assicurazione, alla quale dedicava la maggior parte del suo tempo lavorativo, documentando quanto asserito con esauriente documentazione.

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I testi integrali delle ultime sentenze in tema di accertamento da parametri e studi di settore

41

Nelle controdeduzioni l'ufficio sostiene la legittimità dei parametri e nel merito fa presente che la

parte, a fronte di redditi dichiarati in lire 25.405.000, aveva versato contributi previdenziali complessivi

per lire 7.657.000. La Commissione provinciale di Viterbo, visto che i parametri applicati non sono

supportati da altri indizi gravi, precisi e concordanti, accoglie il ricorso compensando le spese.

Avverso la sentenza depositata il 2 dicembre 2002 interpone appello l'ufficio con atto notificato alla

controparte l'11 giugno 2004, censurando la decisione dei giudici di prime cure che hanno

disconosciuto l'applicazione dei parametri al caso in esame che ha invece tutti i requisiti per essere

assoggettato a tale tipo di accertamento. Trattasi di attività professionale che il contribuente svolge in

qualità di ingegnere sia sotto forma di consulente tecnico per la Banca ..., sia come tecnico progettista

e direttore dei lavori della Cooperativa S.V.: lavori che sono iniziati nel 1994 e terminati nel 1998.

L'utilizzazione degli strumenti concessi dalla L. n. 549/1995 non preclude, sostiene l'ufficio, la

possibilità di effettuare accertamenti integrativi del reddito ai sensi dell'art. 43, comma 3, del D.P.R.

n. 600/1973 finalizzati alla determinazione presuntiva dei compensi, dei ricavi e del volume di affari.

Si costituisce ritualmente il contribuente e controdeduce eccependo in via preliminare l'inammissibilità

dell'appello per difetto di procura e di rappresentanza del dirigente che ha sottoscritto il gravame nei

termini prescritti dall'art. 11 del D.Lgs. n. 546/1992 ed inoltre per difetto di specificità dei motivi in

violazione dell'art. 53 del D.Lgs. n. 546/1992.

Nel merito eccepisce che, contrariamente a quanto sostenuto dall'ufficio nell'appello, i giudici di

prime cure non hanno affermato l'illegittimità dei parametri, ma hanno piuttosto asserito che la

semplice applicazione dei parametri non è sufficiente da sola a legittimare un reddito maggiore di

quello dichiarato, soprattutto quando il contribuente fornisce la prova del contrario.

Il contribuente con la documentazione prodotta ha fornito:

1) la prova di esercitare saltuariamente l'attività di ingegnere perché, prevalentemente occupato a

seguire in qualità di socio accomandatario la gestione di un'agenzia di assicurazione e che i parametri,

se mai applicabili, si sarebbero dovuti applicare non considerando tutti i 365 giorni dell'anno ma

semmai, ed al massimo, nella misura della metà;

2) la prova della cancellazione del contribuente dalla Cassa nazionale degli ingegneri e degli architetti

perché soggetto ad altra forma di previdenza obbligatoria;

3) la prova che i ricavi dichiarati sono derivati dalle prestazioni in qualità di consulente della Banca ...

e dall'attività marginale di progettista e direttore dei lavori per conto della Cooperativa S.V.

Nelle conclusioni chiede il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza di primo grado.

Alla pubblica udienza del 23 novembre 2005, dopo la relazione introduttiva, intervenivano nel

dibattito le parti in causa, le quali ribadivano le rispettive posizioni processuali.

Diritto - L'appello dell'ufficio, per quanto si dirà di seguito, è infondato e pertanto va respinto. Invero

l'accertamento impugnato è consistito nella mera ed acritica trasposizione di un calcolo matematico

(accertamento in base ai parametri) senza ulteriore ricerca probatoria dell'effettiva capacità

contributiva del contribuente.

L'ufficio si è avvalso della procedura prevista dall'art. 3, comma 181, della L. 28 dicembre 1995, n.

549, in base alla quale le risultanze dei parametri possono dar luogo all'accertamento di cui agli artt.

39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600/1973 e 55 del D.P.R. n. 633/1972. Detti ultimi articoli

disciplinano però gli accertamenti fondati sulle presunzioni semplici ex artt. 2727 e seguenti del

codice civile, che, per esplicare la loro efficacia devono essere gravi, precise e concordanti (ex art.

2729 del codice civile). Senza il conforto di altri semplici ma necessari elementi presuntivi o probatori

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42

che tengono conto delle caratteristiche e delle condizioni reali di esercizio della professione, oppure

di dati desunti da indagini contabili, bancarie o documentali, da questionari, eccetera, l'accertamento

in esame appare del tutto carente.

Si rileva infatti che l'accertamento non è basato su concreti elementi di maggior redditività

professionale riscontrati in capo al contribuente, ma unicamente su presunzioni, peraltro demolite e

confutate dalla difesa.

Il contribuente ammette infatti di svolgere attività professionale, nei limiti del dichiarato, in misura

ridotta perché nell'anno assoggettato a verifica si dedicava anche ad altra attività di assicuratore,

figurante come altri redditi non rettificati nell'accertamento, ed ha documentato copiosamente tale

posizione come riferito nella descrizione dei fatti. A questo punto, se si riduce del 50 per cento, per

effetto della contemporanea attività di assicuratore svolta, il reddito professionale calcolato dall'ufficio,

che è di lire 58.898.000, la divergenza fra le due grandezze di reddito professionale, dichiarato e

accertato, si assottiglia e le due grandezze vengono sostanzialmente a coincidere. È un calcolo

approssimativo che comunque avvalora la tesi di una sostanziale congruità del reddito dichiarato.

Da quanto sopra discende che la sentenza impugnata non merita censura e pertanto l'appello va

rigettato. Ricorrono tuttavia giusti motivi, data la particolare natura della questione proposta, perché

le spese processuali relative al giudizio siano compensate tra le parti.

P.Q.M. - respinge l'appello dell'ufficio. Spese compensate.

Comm. trib. prov. di Pistoia, Sez. V - Pres. Festa, Rel. Magnarelli- Sent. n. 85 del 23 novembre 2005 (dep. il 1° febbraio 2006)

Accertamento basato solo sui parametri ex art. 3, commi 181 e 183 della L. 28 dicembre 1995, n. 549

- Omessa acquisizione del parere del Consiglio di Stato sul D.P.C.M. 29 gennaio 1996 e omessa

esplicitazione della sua natura di regolamento - Illegittimità del decreto governativo - Non sussiste -

Legittimità dell'accertamento Determinazione presuntiva dei ricavi con l'applicazione dei parametri -

Violazione dei diritti costituzionali ex artt. 53 (principio di capacità contributiva) e 4 (principio di libertà

della scelta del lavoro) della Costituzione - Non sussiste - Accertamento motivato con il solo

riferimento ai parametri - Vizio di motivazione - Non sussiste - Conseguenze - Validità dell'atto -

Mancanza di prove certe dell'accertato per dimostrare l'infondatezza dell'accertamento - Conseguenze

- Conferma della validità dell'accertamento - Maggior reddito scaturente da accertamento parametrico

- Inapplicabilità delle sanzioni sulle maggiori imposte - Mancanza dei presupposti ex art. 8 del D.Lgs.

31 dicembre 1992, n. 546

Massime - L'ufficio è legittimato a rettificare il reddito dichiarato dal contribuente procedendo alla

determinazione di maggiori ricavi o compensi applicando i parametri previsti dalla L. 28 dicembre

1995, n. 549 ed emanati con D.P.C.M. 27 gennaio 1996. I decreti del Presidente del Consiglio dei

Ministri non sono una norma secondaria e quindi adottati dopo aver acquisito il parere del Consiglio di

Stato e con l'esplicitazione della propria natura di "regolamento" come previsto dall'art. 17 della L. 23

agosto 1988, n. 400, ma atti amministrativi generali.

La determinazione del maggior reddito con i parametri (che con un criterio matematico individuano un

compenso medio-convenzionale frutto di soli dati statistici che non tengono conto della situazione

personale e delle modalità di esercizio dell'attività) non viola i diritti costituzionali della capacità

contributiva né tanto meno il diritto al lavoro e le sue modalità di svolgimento.

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I testi integrali delle ultime sentenze in tema di accertamento da parametri e studi di settore

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L'ufficio, rilevato uno scostamento tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto al medesimo

attribuito dal metodo statistico dei parametri, può emettere l'atto di accertamento limitandosi a

recepire acriticamente le risultanze matematiche dei parametri. L'ufficio non è tenuto ad espletare

ulteriore attività a supporto delle risultanze scaturenti dall'elaborazione matematica dei parametri.

La normativa sui parametri è di facile ed immediata applicazione con l'adeguamento ai risultati

scaturenti dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e pertanto non sussistono le condizioni

previste dall'art. 8 del D.Lgs. n. 546/1992 che consente al giudice di disporre l'esonero

dall'applicazione delle sanzioni.

Oggetto della domanda svolgimento del processo e motivi della decisione

Con l'avviso di accertamento n. R6FH00045, l'Agenzia delle Entrate Ufficio di Pescia ha notificato in

data 7 dicembre 2004 al signor M.U. di aver rideterminato nei suoi confronti maggiori ricavi, ai

sensi dell'art. 3, commi 181 e 183, della L. 28 dicembre 1995, n. 549 e dell'art. 4 del D.P.R. 31 maggio

1999, n. 195, in quanto l'ammontare del compensi dichiarati per il periodo d'imposta 1999 è risultato

inferiore a quello derivante dall'applicazione dei parametri per la determinazione dei ricavi, dei

compensi e del volume di affari di cui all'art. 3, comma 184, della citata L. n. 549/1995. A seguito

della determinazione di maggiori ricavi sono state accertate maggiori imposte a titolo Irpef,

addizionale regionale all'Irpef e Irap, oltre sanzioni ed interessi.

In data 14 febbraio 2005, il signor M.U., rappresentato e difeso dal Rag. S.B., deposita tempestivo

ricorso, impugnando il citato avviso di accertamento, chiedendo, in via pregiudiziale che sia sottoposto

all'esame di legittimità costituzionale l'art. 3, commi 181 e 183, della L. n. 549/1995 e l'art. 4 del

D.P.R. 31 maggio 1999, n. 195, in relazione agli artt. 4 e 53 della Costituzione. In via principale, il

ricorrente chiede siano dichiarati la nullità o l'annullamento dell'avviso di accertamento impugnato; in

subordine, ove la Commissione disponga una rideterminazione presuntiva dei maggiori compensi, il

ricorrente chiede siano dichiarate non applicabili le sanzioni per obiettive condizioni di incertezza e

sull'ambito di applicazione delle disposizioni violate. A fondamento delle proprie richieste il ricorrente

sostiene, in primo luogo, che l'accertamento basato sui parametri viola il principio della capacità

contributiva del contribuente di cui all'art. 53 della Costituzione, in quanto, anziché determinare i

tributi dovuti sulla base di una condizione economica effettiva, li determina in via astratta attraverso

un accertamento induttivo. Inoltre, secondo l'ufficio, l'accertamento basato sui parametri viola l'art. 4

della Costituzione non consentendo al professionista di scegliere liberamente le modalità di

svolgimento della propria attività. Il ricorrente eccepisce anche l'illegittimità dell'avviso di

accertamento impugnato per vizio di formazione dei decreti di approvazione dei parametri, emanati

senza che sia stata seguita la procedura prevista dall'art. 17 della L. n. 400/1988. Inoltre, eccepisce il

ricorrente il vizio di illegittimità dell'avviso di accertamento per eccesso di potere, non avendo l'ufficio

applicato le circolari ministeriali sull'accertamento con adesione e non avendo tenuto conto di quanto

segnalato dal contribuente. Il ricorrente eccepisce anche la carenza di motivazione in quanto l'avviso

di accertamento è basato su presunzioni semplici che, non essendo gravi, precise e concordanti, non

sono ammissibili come mezzi di prova.

Quanto al merito, lamenta il ricorrente che l'ufficio non ha effettuato alcuna indagine, rinunciando ai

poteri istruttori che gli sono attribuiti dalla legge, omettendo sia gli accertamenti bancari sia un

doveroso riscontro circa il tenore di vita del contribuente.

In data 22 giugno 2005 il ricorrente deposita istanza di sospensione dell'atto impugnato ai sensi

dell'art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992.

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L'Agenzia delle Entrate - Ufficio di Pistoia - si costituisce in giudizio, depositando le proprie

controdeduzioni, in data 4 aprile 2005, a conclusione delle quali chiede che il ricorso in oggetto,

infondato, sia respinto con conferma integrale dell'accertamento impugnato e condanna del ricorrente

alle spese di giudizio. In ordine ai motivi dedotti dal ricorrente l'ufficio afferma che il proprio operato è

legittimo e conforme sia al disposto legislativo sia alle direttive ministeriali e contesta quindi,

dettagliatamente, tutti i punti del ricorso. Sostiene l'ufficio che nessun contrasto con le norme

costituzionali è ravvisabile nell'art. 3, commi 181 e 182, della L. n. 549/1995, richiamando a conforto

della propria tesi la sentenza della Corte Costituzionale n. 105 datata 1° aprile 2003.

Quanto al contrasto con l'art. 4 della Costituzione, l'ufficio rileva di non aver mai messo in discussione

l'orario di lavoro liberamente scelto dal contribuente nell'esercizio del suo diritto di libero

svolgimento dell'attività professionale.

Circa l'eccezione di illegittimità del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per mancata acquisizione

del parere del Consiglio di Stato, l'ufficio sostiene che il legislatore ha riservato al potere esecutivo il

compito di elaborare ed applicare i parametri; ma l'atto attraverso il quale è stato esercitato questo potere

non deve essere equiparato agli atti del Capo dello Stato od ai regolamenti per i quali è richiesto il parere

del Consiglio di Stato. Il comma 186 dell'art. 3 della L. n. 549/1995, che è la fonte normativa primaria degli

atti in discussione, prevede che i parametri siano adottati con decreti del Presidente del Consiglio dei

Ministri, su proposta del Ministro delle finanze, senza alcun cenno al parere del Consiglio di Stato. Le

disposizioni dell'art. 3, comma 186, della L. n. 549/1995, afferma l'ufficio, oltre ad avere il carattere di

specialità rispetto alla natura di norma generale dell'art. 17 della L. n. 400/1988, hanno la stessa forza

normativa di quest'ultima e prevalgono quindi sulla stessa.

Con riferimento al punto 4) del ricorso, in cui si eccepisce il difetto di motivazione, l'ufficio afferma che

nel corso del contraddittorio il ricorrente non ha giustificato lo scostamento dai parametri con le

caratteristiche di svolgimento della propria attività professionale, ma si è limitato a chiedere che

fossero applicati gli studi di settore relativi al proprio codice di attività per l'anno d'imposta 1999.

L'ufficio osserva che, per l'anno d'imposta 1999, per il codice di attività dichiarato dal ricorrente erano

applicabili soltanto i parametri: lo studio di settore corrispondente è stato approvato nel 2002 ed

applicato in via sperimentale per l'anno d'imposta 2001, anche se l'Agenzia delle Entrate riconosce la

facoltà del contribuente di poter eventualmente richiedere l'applicazione dello studio di settore all'anno

in cui sono applicati i parametri al fine di giustificare lo scostamento, l'ufficio non ha tuttavia ritenuto

che i parametri fossero superati dagli studi di settore e quindi ha utilizzato i parametri ai sensi dell'art.

3, comma 184, della L. n. 549/1995.

Con riferimento ai punti 5) e 6) del ricorso, l'ufficio ribadisce che nel caso di specie sussistono i

presupposti di legge per l'utilizzo dei parametri contenuti nel D.P.C.M. 29 gennaio 1996; e non è

previsto alcun obbligo, per l'Amministrazione finanziaria, di effettuare un'ulteriore attività di indagine e

di accertamento per reperire prove dello scostamento parametrico. Sostiene l'ufficio che l'applicazione

dei parametri comporta il sorgere di una presunzione legale che - benché relativa - di per sé giustifica

l'avvio dell'accertamento. Il contribuente ha la facoltà, e l'onere, di dimostrare una capacità reddituale

diversa da quella determinata dall'Amministrazione finanziaria in applicazione del D.P.C.M. 29

gennaio 1996. Peraltro, rileva l'ufficio, il richiamo, contenuto nell'artt. 3, commi 181 e 184, della L. n.

549/1995, e all'art. 39, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, sancisce che l'accertamento sulla base dei

parametri costituisce un accertamento analitico; ed i maggiori ricavi o compensi determinati con

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I testi integrali delle ultime sentenze in tema di accertamento da parametri e studi di settore

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l'approvazione dei parametri costituiscono una presunzione grave, precisa e concordante a favore

dell'Amministrazione, alla quale il ricorrente non ha opposto alcuna prova.

In data 22 giugno 2005 il ricorrente deposita istanza di sospensione dell'atto impugnato.

Nell'udienza del 13 luglio 2005 la Commissione accoglie l'istanza di sospensione e fissa alla data del 23

novembre 2005 la discussione nel merito.

Ritiene la Commissione siano da disattendere le eccezioni formulate dal ricorrente in ordine alla

legittimità costituzionale della normativa concernente l'accertamento basato sui parametri, sia

riguardo al presunto contrasto con l'art. 53 della Costituzione, sia riguardo al contrasto con l'art. 4.

Come ha puntualmente richiamato l'ufficio, quanto all'art. 53 è gia stata emessa la sentenza della

Corte Costituzionale n. 105 del 1° aprile 2003 che ha dichiarato la manifesta infondatezza della

questione di illegittimità costituzionale posta sull'art. 3, commi 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188

e 189, della L. n. 549/1995. Quanto all'art. 4 della Costituzione, non ritiene la Commissione sussistano

motivi per sollevare la questione di legittimità della normativa sui parametri. Detta normativa concerne

la determinazione presuntiva dei ricavi, dei compensi e del volume di affari del contribuente e,

essendo applicata sull'attività svolta non può costituire, né cronologicamente né logicamente, un

impedimento al libero svolgimento dell'attività professionale, che viene ovviamente determinata dal

contribuente e non dai procedimenti di accertamento - con o senza l'uso dei parametri - di

competenza dell'Amministrazione finanziaria.

Ritiene la Commissione non sia da condividere l'eccezione del ricorrente sull'illegittimità del D.P.C.M.

29 gennaio 1996 per violazione dell'art. 17, comma 2, della L. n. 400/1988 perché non è stato chiesto

il parere del Consiglio di Stato. È da condividere, sul punto, a parere della Commissione, la tesi

dell'ufficio secondo la quale la fonte normativa primaria del citato decreto, e cioè l'art. 3, comma

186, della L. n. 549/1995, esplicitamente prevede l'approvazione dei parametri con decreto del

Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle finanze, senza alcun riferimento al

parere del Consiglio di Stato o all'art. 17 della citata L. n. 400/1988. Peraltro, lo stesso art. 17 non

prevede provvedimenti del Presidente del Consiglio dei Ministri. In ogni caso, fonte del decreto

presidenziale in questione è unicamente il comma 186 dell'art. 3 della L. n. 549/1995 e da tale norma

lo stesso decreto trae quindi legittimità: il Presidente del Consiglio dei Ministri ha esercitato, nella

fattispecie, una potestà attribuitagli appunto dalla L. n. 549/1995 e non derivante, pertanto dall'art.

17, che peraltro si riferisce ai "regolamenti" mentre il decreto in questione è piuttosto da inquadrare -

a parere della Commissione - fra gli atti amministrativi generali. È da aggiungere che nel caso in

discussione, il legislatore non ha richiamato l'art. 17; mentre in altri casi, ritenendolo pertinente, ha

fatto a tale articolo esplicito riferimento: si rammenta, in proposito, l'art. 8 della L. n. 212/2000 dove

al comma 8 si legge: "... con regolamenti emanati ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23

agosto 1988, n. 400 è disciplinata ...", a dimostrazione, appunto, del fatto che il legislatore, quando

ha inteso riferirsi al citato art. 17 ha provveduto con esplicito richiamo. Non è quindi da ritenere

fondata, secondo la lettera dal comma 186 dell'art. 3 della L. n. 549/1995, l'eccezione di illegittimità

nei confronti del D.P.C.M. 29 gennaio 1996. Pertanto la Commissione non ritiene che nel caso di

specie sussistano i presupposti di cui all'art. 7, comma 5, del D.Lgs. n. 546/1992 per disapplicarlo.

Riconosciuta la legittimità del D.P.C.M. 29 gennaio 1996, la Commissione ritiene sia da considerare

legittimo anche l'accertamento basato sui parametri. Osserva tuttavia la Commissione che le

presunzioni derivanti dall'applicazione dei parametri di cui al citato decreto possono essere contestate

con elementi di fatto atti a provarne l'infondatezza nel caso di specie o, comunque, a giustificare lo

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scostamento contestato dall'ufficio. Nella stesse fase del contraddittorio il contribuente ha facoltà di

motivare e documentare d'ufficio le ragioni in base alle quali l'ammontare dei ricavi o compensi

dichiarati, inferiore a quello presunto in base ai parametri, debba ritenersi in tutto o in parte

giustificato. Nel caso di specie, nessun elemento ha prodotto il ricorrente, né in sede di contraddittorio

né in fase di ricorso, limitandosi a fondare le proprie tesi su argomentazioni giuridiche e di fatto, certo

legittime ed apprezzabili ma non tali da contestare e superare - a parere della Commissione - le

presunzioni legali poste, ai sensi della citata normativa, a base dell'accertamento. Ritiene quindi la

Commissione, condividendo le controdeduzioni dell'ufficio, che i motivi del ricorso non siano da

accettare. In particolare, non è accoglibile la contestazione per la mancata applicazione, in luogo del

parametri, degli studi di settore, che - per l'anno d'imposta in discussione - come ha puntualmente

argomentato l'ufficio, non erano stati approvati nel 1999 e tuttora rimangono allo stato sperimentale

con riferimento al codice attività del ricorrente.

Peraltro, la loro applicazione non risulta obbligatoria da parte dell'ufficio, stante la normativa in vigore.

Priva di valore probante è anche l'affermazione relativa allo svolgimento della professione per solo

cinque ore la settimana, anche perché, come ha rilevato l'ufficio, non vi è stata alcuna contestazione

sulla durata dell'attività. Peraltro, ha chiarito l'ufficio e il ricorrente non ha contestato la circostanza, il

ricorrente nel corso del contraddittorio non ha sostenuto essere il ridotto orario di lavoro la ragione

dello scostamento parametrico. Trattandosi, comunque, di attività professionale specialistica, di

medico oculista, non pare alla Commissione - a parte la mancanza di riscontri probanti, poiché agli atti

nulla in proposito risulta documentato - che si possano commisurare ricavi e volume di affari alla

durata, non controllata né controllabile trattandosi appunto di un libero professionista, delle

prestazioni professionali. Rileva inoltre la Commissione che non può essere motivo accettabile di

ricorso la contestazione di mancato accertamento bancario da parte dell'ufficio, come l'ufficio stesso

ha dimostrato. Peraltro, neppure sulla situazione bancaria, di cui si lamenta il mancato accertamento,

è stata prodotta idonea documentazione. Infine, osserva la Commissione che non può essere motivo

di contestazione dell'avviso di accertamento il fatto che l'ufficio non abbia effettuato riscontri in ordine

al tenore di vita del ricorrente, in quanto l'accertamento in questione, come si legge chiaramente nello

stesso avviso di accertamento impugnato e come si evince dal riferimento normativo inserito nelle

motivazioni, riguarda esclusivamente l'attività di lavoro autonomo del ricorrente al fini della

determinazione presuntiva - attraverso l'applicazione dei parametri di cui al D.P.C.M. 29 gennaio 1996

- dei ricavi, dei compensi e del volume di affari, e non il reddito complessivo del contribuente.

Non può essere accolta, infine, la richiesta di non applicazione delle sanzioni. Non ritiene, infatti, la

Commissione che sussistano, nel caso di specie, i presupposti di cui all'art. 8 del D.Lgs. n. 546/1992,

di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce la

violazione contestata. La normativa sui parametri è di facile ed immediata applicazione consistendo

sostanzialmente nell'adeguamento a importi stabiliti dal citato D.P.C.M. 29 gennaio 1996.

Sulla base delle considerazioni esposte, ritiene quindi la Commissione che il ricorso in oggetto,

infondato in fatto e in diritto, debba essere respinto, con la conseguente conferma dell'avviso di

accertamento impugnato che risulta legittimo e conforme al disposto dell'art. 42 del D.P.R.

n. 600/1973.

Sussistono fondati motivi per la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M. - la Commissione respinge il ricorso. Spese compensate.

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I testi integrali delle ultime sentenze in tema di accertamento da parametri e studi di settore

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Sentenza Commissione tributaria provinciale Gorizia, sez. II, 01-03-2006, n. 17 - Pres. Obizzi - Rel. Tomadini

Oggetto della domanda, Svolgimento del processo e Motivi della decisione

La soc. G. sas di Z.F. e C. ricorreva con separati atti avverso gli avvisi di accertamento n. xxx, xxx e

xxx riguardanti le imposte IRAP e IVA rispettivamente gli anni d'imposta 1999 (xxx), 2000 (xxx) e

2001 (xxx), avvisi di accertamento emessi in applicazione della normativa sugli studi settore.

I ricorsi vanno qui riuniti, come da istanza di parte, per evidenti ragioni oggettive e soggettive xxx:

1) Con il primo motivo lamentava la ricorrente la carenza di motivazione in quanto l'accertamento era

basato esclusivamente sul fatto stesso del discostarsi dall'elaborazione fatto dagli studi di settore, i

quali sono degli strumenti di calcolo basati su elaborazioni matematicostatistiche da confrontare con le

eventuali particolarità dell'attività del contribuente.

Il successivo contradditorio non è valso a portare alcun chiarimento in quanto l'Ufficio si è limitato a

sostenere che "non sono emersi elementi che giustifichino gli scostamenti in modo oggettivo".

Secondo il ricorrente è stata omessa la motivazione anche perché sia la Circolare Ministeriale n. 110/E

dd. 21/05/1999 , sia la Guida agli Studi di Settore prevedono che l'avviso di accertamento contenga

l'esame dei documenti e delle deduzioni portate dal ricorrente e quali passaggi logici abbiano indotto

l'Ufficio a respingere in tutto o in parte il ragionamento del contribuente.

2) Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la assenza di presupposti dell'accertamento, che si

appalesa quindi illegittimo.

La soc. ricorrente richiama infatti l'art. 39, co. I, lett. d) che prevede l'accertamento che si fonda

sull'esistenza di gravi incongruenze, vale a dire presunzioni gravi, precise e concordanti che

consentono di desumere l'esistenza di attività non dichiarate.

Nella fattispecie lo scostamento dei ricavi è di appena il 5%, (per l'anno 2001 solo il 4%) il che non

può costituire grave incongruenza.

3) Con il terzo motivo la ricorrente sostiene l'inaffidabilità dello studio di settore perché non tiene

conto delle vendite effettuate a saldo, mentre la citata Circolare 110/E dà rilevanza al fattore svendite.

Con il quarto motivo la contribuente sostiene la congruità dei ricavi dichiarati in quanto, premesso e

non contestato che circa il 50% dei ricavi derivano da svendite, qualora fosse stato applicato il prezzo

pieno, i ricavi sarebbero addirittura superiori a quanto stimato dagli studi di settore.

5) Infine il negozio, che vende abbigliamento sportivo, vende esclusivamente prodotti D., in virtù di un

contratto di affiliazione, (come riconosciuto dall'Ufficio e depositato agli atti), stipulato con la soc. D.

S.p.A. che condiziona fortemente le modalità di esercizio dell'attività della soc. contribuente, sia per il

prezzo imposto, per il tempo dei saldi e per la quantità dei pezzi che deve acquistare, sia per il fatto

che esclusiva impedisce la vendita di altri prodotti abbigliamento sportivo che non siano prodotti dalla

D., restringendo quindi fortemente l'offerta al pubblico.

La ricorrente così conclude:

1) in diritto, dichiari illegittimo l'impugnato accertamento per carenza di motivazione e/o mancanza di

presupposti;

2) nel merito, dichiari l'infondatezza dell'accertamento per inaffidabilità dello studio di settore applicato

e/o per avere la ricorrente dimostrato la congruità dei ricavi dichiarati;

3) in subordine, ridetermini i maggiori ricavi (e di conseguenza gli imponibili, le imposte, gli interessi e

le sanzioni dovute) tenendo conto delle obiezioni formulate dai ricorrenti.

S T U D I

D I

S E T T O R E

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Con vittoria di diritti, spese e onorari e con diritto alla restituzione di quanto nel frattempo siano

chiamati a pagare, con i relativi interessi.

Si costituiva regolarmente l'Agenzia delle Entrate che sostenendo la validità e la completezza degli

studi di settore e il loro continuo aggiornamento a seguito di continui monitoraggi, riteneva che non ci

fosse carenza di motivazione, ma anzi che la motivazione consistesse in re ipsa, essendo previsti tutte

le variabili possibili e chiedeva il rigetto del ricorso col favore delle spese.

Sostiene inoltre l'Agenzia delle Entrate che il contribuente è favorito dal fatto che gli studi di settore

indicano preventivamente le aspettative dell'Amministrazione nei suoi confronti.

Il contribuente avrebbe dovuto rilevare e dettagliatamente documentare quali siano le caratteristiche

strutturali ed economiche riferibili allo studio di settore che non corrispondono a quelle dell'attività svolta.

Secondo l'Agenzia poi il fatto che il prezzo dei prodotti sia imposto e non possa essere ridotto dimostra che

i ricavi sono superiori a chi può scontare in qualunque momento il prodotto, diminuendone il ricarico. L'Agenzia contesta l'interpretazione data dal ricorrente della necessita di gravi incongruenze in quanto l'art. 62-sexies recita: "Gli accertamenti di cui all'art. 39, co. 1, lett. d) del D.P.R. 600/73 possono essere fondati anche sull'esistenza di gravi incongruenze ..., ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell'art. 62-bis del presente decreto". Alla fine della propria memoria di costituzione l'Agenzia delle Entrate si pone l'interrogativo se siano sufficienti gli studi di settore per rilevare le incongruenze, oppure se sia necessaria la presenza di ulteriori elementi probatori. Nel primo caso basterà che l'Amministrazione rilevi l'incongruenza in base agli studi di settore e toccherà alla parte dimostrare l'esistenza dei ricavi effettivi; nel secondo caso sarà la Amministrazione a dover fornire gli ulteriori elementi posti a base dell'accertamento. In conclusione, sostiene l'Ufficio, "sussiste la concreta prospettiva" che in ultima istanza gli studi di settore siano configurati come una e vera e propria presunzione legale, sia pur relativa, con onere della prova contraria a carico del contribuente. A parere della Commissione le conclusioni cui giunge l'Ufficio sono condivisibili, ma gli argomenti portati dal ricorrente se presi nella loro globalità riescono a vincere la presunzione semplice degli studi di settore. Infatti siamo in presenza di uno scostamento del 5% per due anni e del 4% per il 2001; tale scostamento è giustificato in primis dal contratto di affiliazione che pone dei limiti alla possibilità per la soc. G. sas di seguire il prezzo di mercato variando il ricarico; poi la società, sempre a causa delle clausole del contratto, monomarca per cui offre una limitata varietà di scelta; infine quasi il 50% delle vendite avviene nel periodo di saldi, quindi a costi inferiori; ma i costi inferiori non seguono il mercato, ma avvengono in un periodo ben determinato. Questi elementi, presi tutti insieme sono senz'altro in grado di giustificare uno scostamento relativamente piccolo, invalidando quindi l'avviso di accertamento. Va poi considerata a parte una particolarità relativa all'anno 2000. La contribuente è incorsa in un errore di trascrizione nella dichiarazione degli studi di settore, errore riconosciuto dall'Ufficio, il quale però non tiene conto di un'altra componente di reddito che deriva da un risarcimento; tale componente in effetti resta al di fuori degli studi di settore. Tenendo conto che molti errori di valutazione derivano proprio da errori della dichiarazione del contribuente (reddito, esistenza dell'affiliazione) e che nonostante gli errori viene dall'Ufficio dato atto di guanto rettificato dal contribuente, si ritiene equo compensare le spese. P.Q.M. La Commissione, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattese, annulla gli avvisi di accertamento impugnati; spese compensate tra le parti.

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I testi integrali delle ultime sentenze in tema di accertamento da parametri e studi di settore

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Sentenza Commissione tributaria provinciale Ancona, sez. I, 07-03-2006, n. 50 - Pres. Fucili - Rel. Mancini Biancini

[Studi di settore]

Dimostrata sospensione dell'attività per un lungo periodo. "Non normale esercizio". Sussistenza. Mancata applicazione degli studi di settore. Legittimità. Ai fini dell'accertamento basato sugli studi di settore, non è sufficiente l'applicazione automatica o aritmetica delle risultanze dello studio di settore proprio dell'attività operata dal contribuente, ma occorre che tali elementi siano confortati da altri indizi, che rendano giustificato lo scostamento del reddito desunto dallo studio stesso, ove il contribuente fornisca elementi da cui si può trarre la dimostrazione che la sua attività si discosta dalla rigida previsione di quello studio inteso nella sia astratta configurazione. La sospensione, dimostrata dal contribuente, dell'attività per un lungo periodo nell'arco dell'anno accertato rientra nelle cause di inapplicabilità degli studi di settore per cui si è in presenza di un "non normale esercizio".

FATTO E DIRITTO L'Agenzia delle Entrate Ufficio di Ancona notificava il ... 2003 a ... per l'anno d'imposta 1998, avviso di

accertamento n. ... ai fini IRPEF - IVA - IRAP oltre a sanzioni. Da notifica invito precedente per esibire

documentazione contabile venne redatto p.v. ed informata trattarsi di soggetto destinatario di Studi di

Settore ed è emersa la non congruità dei ricavi dichiarati e la non coerenza degli indicatori economici.

Ricavi dichiarati Lire 10.000.000, da studi settore Lire 31.784.000 e dall'esame della documentazione

non sono emersi elementi utili a giustificare lo scostamento, né la parte ha fornito argomenti per

superare la presunzione di non coerenza e congruità. I maggiori ricavi rilevano ai fini

dell'accertamento di tutte le imposte in quanto costituiscono presunzione legale fornita dei requisiti di

gravità, precisione e concordanza.

Con ricorso depositato in Segreteria di questa C.T.P. il 03-03-2004 precisa che nell'anno 1998 si

trovava in fase di transizione avendo cessato rappresentanza di "intimo" dal 31-12-1997 ed iniziato

nuovo rapporto di procacciatore di affari in data 01-10-1998 con un potenziale avviamento pari a zero,

un portafoglio clienti tutto da creare per operare in provincia di altra regione. Questi elementi

rientrano nelle "cause di inapplicabilità degli studi di settore" per un "non normale esercizio". Ricorda

che all'interno dello studio il maggior peso è dato, ai fini della determinazione dei ricavi, dal "valore dei

beni strumentali" ed ancora non si è tenuto conto della diversa area territoriale. Chiede annullamento

con vittoria di spese.

L'Agenzia delle Entrate Ufficio di Ancona deposita il 09-04-2004 atto di costituzione in giudizio e

controdeduce sulla procedura attuata dagli studi di settore dal punto vista legislativo.

Precisa che la ricorrente è la moglie del proponente della rappresentanza cessata il 31-12-1997 e che

il nuovo incarico di procacciatore d'affari per società dove la stessa possiede il 50%, il coniuge l'1% ed

un altro il resto. Tutto ciò non costituisce causa di esclusione in quanto opera anche con lo stesso

codice di attività e inserita nello stesso studio di settore. La sospensione dell'attività doveva essere

comunicata alla Camera di Commercio o sospendere la partita Iva. In merito ai beni strumentali

ricorda che non si tiene conto di quelli di cui non si calcola la quota d'ammortamento - o sono

inutilizzati, qui risulta dal libro cespiti calcolata la quota di ammortamento automezzo oltre la

detrazione delle spese per carburanti, così come viene considerata l'area territoriale.

Chiede rigetto con vittoria di spese.

S T U D I

D I

S E T T O R E

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La ricorrente deposita il 02-02-2006 memoria rilevando che l'Ufficio non contesta i fatti prospettati in

ricorso e cioè se la sospensione dell'attività è causa di esclusione. C'è nell'anno in esame una riduzione

di costi rispetto al precedente. Richiama l'art. 10, c. 4, L. 146/98 che dice che gli studi di settore non

si applicano a chi non si trova in un periodo di normale svolgimento dell'attività. Non è la causa da

considerare ai fini della sospensione, ma è la sospensione dell'attività che rende inattendibile il

risultato ottenuto tramite gli studi.

In merito alle spese c'è da considerare che l'Ufficio aveva tutta la documentazione da cui trarre se era

il caso di procedere all'emissione dell'avviso qui impugnato.

Insiste per l'accoglimento con vittoria di spese.

Osserva la Commissione che, alla luce di tutto quanto precede e dalla documentazione in atti, il ricorso

va accolto.

La parte ha ampiamente motivato e documentato che nell'anno 1998 ci sono stati cambiamenti tali

nello svolgimento della propria attività che di fatto ha interrotto alla fine del 1997 e l'ha ripresa in

maniera e con modalità diverse a far data dal 01-10-1998.

La sospensione dell'attività per un periodo così lungo, nell'arco dell'anno in questione, rientra, a parere

di questo Collegio, nelle "cause di inapplicabilità degli studi di settore" per cui si è in presenza di un

"non normale esercizio".

Conclude il Collegio, sulla base di quanto affermato dalla Cassazione, Sezione Tributaria, con la

sentenza n. 2891 del 27-02-2002 sull'applicazione della norma di cui all'art. 39, c. 1, lett. d) del DPR n.

600/73, che non è sufficiente l'applicazione automatica o aritmetica delle risultanze dello studio di

settore proprio dell'attività operata dal contribuente, ma occorre che tali elementi siano confortati da

altri indizi, che rendano giustificato lo scostamento del reddito desunto dallo studio stesso, ove il

contribuente fornisca elementi da cui si può trarre la dimostrazione che la sua attività si discosta dalla

rigida previsione di quello studio inteso nella sua astratta configurazione.

Nella fattispecie la parte ha fornito dimostrazione.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M. La Commissione accoglie il ricorso. Spese compensate.

Comm. trib. prov. di Vercelli, Sez. III - Pres. Adinolfi, Rel. Capuozzo Sent. n. 44 del 20 aprile 2006 (dep. il 25 maggio 2006)

Studi di settore - Rilevanza - Limiti - Art. 10 della L. 8 maggio 1998,n. 146

Massima - L'attività accertativa può prendere spunto dagli studi di settore e, tuttavia, essa dovrà

integrarli con una puntuale e specifica indagine che ne dimostri l'adeguatezza del risultato (nel caso di

specie ricavi per quasi 130 milioni di lire a fronte di un dichiarato di circa 90).

Fatto - Oggetto della controversia è l'avviso di accertamento ed Iva per l'anno 1999, col quale

l'Agenzia delle Entrate, Ufficio di Santhià, in applicazione degli studi di settore per l'attività di bar

gelateria ha determinato il volume di affari in lire 128.717.000 a fronte di quello dichiarato di lire

91.663.000 per un totale complessivo di maggiori imposte, addizionali e sanzioni di lire 16.841,39.

Il ricorrente eccepisce innanzitutto il difetto di motivazione sia con riferimento alla mancata

esposizione delle ragioni che hanno indotto l'ufficio ad adottare il "valore puntuale" dei ricavi indicati

dallo studio di settore rispetto al "valore minimo" previsto e sia con riferimento alla mancata

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I testi integrali delle ultime sentenze in tema di accertamento da parametri e studi di settore

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esplicitazione delle ragioni che hanno indotto l'ufficio a dichiarare non sufficienti le indicazioni fornite

dal ricorrente stesso, per una rideterminazione dei ricavi stimati dallo studio di settore ai fini

dell'accertamento con adesione. Parte ricorrente precisa, al riguardo, di aver fornito prova all'ufficio

che l'attività veniva svolta in regime amministrato di prezzi e con altre limitazioni poste dalla

cooperativa U.A.O. con la quale il ricorrente aveva stipulato un contratto di affitto di azienda per la

gestione del bar e rivendita alimentari della cooperativa.

Eccepisce inoltre che l'ufficio ha omesso di eseguire i dovuti controlli contabili e documentali a

sostegno dei risultati dello studio di settore.

In secondo luogo, parte ricorrente eccepisce che l'atto di accertamento è stato sottoscritto da un

soggetto privo della qualifica dirigenziale.

Al riguardo precisa che l'atto impugnato è inesistente in quanto sottoscritto dal direttore dell'ufficio il

quale è "privo di rappresentanza sostanziale". Ciò a ragione che l'art. 67 del D.Lgs. 30 luglio 1999

(n. 300, n.d.r.) limita la rappresentanza dell'Agenzia delle Entrate al solo direttore dell'agenzia centrale

e non anche al direttore delle agenzie periferiche.

Chiede pertanto l'annullamento dell'atto impositivo con vittoria delle spese di giudizio richieste in €

5.987,44.

Di contro l'Ufficio di Santhià, in merito all'eccezione secondo cui il proprio direttore non avrebbe

legittimazione a rappresentare, rifacendosi a vari riferimenti normativi e giurisprudenziali e nel far

presente che alla data del 1° gennaio 2001, data di attivazione delle agenzie fiscali, la controversia in

esame era già pendente, conclude che essendosi verificata una sostituzione ex lege degli uffici

periferici della Agenzia delle Entrate agli ex uffici periferici del Ministero delle finanze con le relative

funzioni, attribuzioni e competenze, la sottoscrizione dell'atto impugnato da parte del direttore

dell'Ufficio di Santhià è legittima e ciò anche perché il direttore dello stesso ufficio riveste la qualifica

di dirigente.

Nel merito dell'accertamento l'ufficio precisa di avere applicato il risultato dell'apposito studio di

settore che, come tutti gli altri, è stato elaborato in sede ministeriale sulla base delle caratteristiche,

potenzialità, e condizioni operative del settore di attività, preso in considerazione.

Conclude pertanto con la richiesta di rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento

delle spese processuali quantificate in € 1.696,00.

Osserva il Collegio - In ordine all'eccepita inesistenza dell'atto impugnato in quanto sottoscritto da

soggetto privo della qualifica dirigenziale, questo giudice ritiene probante la dichiarazione

dell'ufficio, in sede di costituzione in giudizio, secondo cui il direttore dello stesso ufficio riveste a titolo

originario la qualifica dirigenziale.

Nel merito della questione controversa, il Collegio rileva che dall'atto di accertamento si evince che

l'ufficio si e limitato a dare atto di aver proceduto, sulla base degli studi di settore, a quantificare i

ricavi per l'anno 1999 in lire 122.717.000 a fronte dei ricavi dichiarati di lire 91.661.000.

Ferma restando la legittimità dell'azione accertatrice svolta, lo scostamento tra il quantum dichiarato

ed il quantum ipotizzato trova, nel caso di specie, un limite nella mancata prova, da parte dell'ufficio,

della maggiore pretesa azionata dal meccanismo dello studio di settore posto ad esclusiva prova

sostanziale della pretesa, laddove detti studi non costituiscono un criterio imprescindibile per la

determinazione dei ricavi e dei redditi, in quanto suscettibili di approfondimento mediante una

puntuale e più specifica indagine accertativa.

S T U D I

D I

S E T T O R E

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In buona sostanza, nell'atto di accertamento non si rinviene alcuna traccia della dimostrazione di

adeguatezza del risultato ottenuto dall'applicazione dello studio di settore, né della dimostrazione

della dichiarata insufficienza, da parte dell'ufficio, delle giustificazioni formulate dal contribuente per

un eventuale accertamento con adesione.

È pacifico che gli uffici finanziari devono sempre adeguare il risultato degli studi di settore alla

concreta e particolare situazione dell'impresa ed è altrettanto pacifico che gli uffici devono sempre

attentamente valutare le osservazioni formulate dal contribuente e motivare sia l'accoglimento che il

rigetto delle stesse, contrariamente a quanto si è verificato nel caso di specie.

In conclusione, nell'atto di accertamento non risulta evidenziato, come sarebbe stato necessario, se

siano state eseguite le opportune valutazioni in ordine sia alla congruità dei ricavi che alla coerenza

degli indicatori economici utilizzati, per cui manca la prova dimostrativa, ad esempio, di una mancanza

di coerenza dovuta a comportamenti irregolari del contribuente, oppure dovute ad insufficienze dì

gestione o a riscontrati componenti di costo non contabilizzati.

Nei sensi sopra precisati, il ricorso di parte è quindi meritevole di accoglimento con conseguente

annullamento dell'accertamento impugnato.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono equitativamente liquidate in € 300 onorari

compresi.

P.Q.M. - la Commissione accoglie il ricorso e, per l'effetto, annulla l'avviso di accertamento e liquida le

spese di giudizio nella misura di € 800,00.

Comm. trib. prov. di Lucca - Sez. VI - Pres. Bernardini, Rel.Marchionneschi- Sent. n. 43 del 17 maggio 2006 (dep. il 27 giugno 2006)

Accertamento - Accertamento induttivo - Studi di settore - Applicazione matematica - Esclusione -

Onere della prova - Assolvimento – Necessità Massima - L'accertamento di maggiori redditi e

compensi, ricavi e volume d'affari, basato sulla scorta degli studi di settore, impone

all'Amministrazione finanziaria l'obbligo di motivare la plausibilità e la correttezza dello studio di

riferimento con esclusione, pertanto, della semplice e mera applicazione matematica. Ove tale onere

probatorio non sia assolto il procedimento accertativo viola l'art. 53 della Costituzione – in quanto non

fondato su concreti elementi di maggiore capacità contributiva ma esclusivamente su presunzioni

semplici - nonché l'art. 2729 del codice civile perché le suddette presunzioni sono prive dei caratteri di

gravità, precisione e concordanza.

Fatto e Diritto - La C. di C.P.M. e C. sono in persona del suo legale rappresentante C.P.M. ed anche

in proprio, presentava ricorso avverso gli avvisi di accertamento relativi alle imposte e sanzioni per

l'anno 2001 (Avv. acc. N. R5V020200560 per la società e R5V020200561 personale.

La società ricorrente svolge l'attività di riparazione di macchine e macchinari per movimentazione e

sollevamento terra. Nell'anno in esame ha registrato un volume di affari di lire 364.116.000 a fronte di

costi per acquisto di materie prime e spese di esercizio per lire 459.185.000.

Sostiene la ricorrente che i ricavi lordi, cioè la differenza tra gli incassi e il costo delle materie prime

impiegate ha dato un utile lordo di lire 83.173.000 che non è stato sufficiente a coprire i costi e spese

di gestione originando una perdita di lire 58.121.000.

L'avviso di accertamento n. 560/2004 si basa sugli studi di settore e precisa "Visto che dall'elaborazione

dati dello studio di settore previsto settore economico di appartenenza della SV. Sulla base delle variabili e

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I testi integrali delle ultime sentenze in tema di accertamento da parametri e studi di settore

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voci contabili comunicati in sede di compilazione della dichiarazione dei redditi risultano a fronte dei ricavi

dichiarati per lire 364.116.000 ricavi puntuali di riferimento per lire 538.522.000 per cui maggiori ricavi

accertabili ammontano a lire 174.406.000 La segnalazione della S. da cui scaturisce l'accertamento non

appare sufficiente a legittimare l'applicazione dello studio dal momento che a fronte del valore di beni

pignorati e venduti (da ciò si denota la non brillante situazione economica della società) si contrappone una

perdita dichiarata di lire 58.121.000, risultato che l'ufficio aveva l'onere di esaminare analiticamente prima

di applicare matematicamente lo studio di settore.

Questa Commissione ha già avuto l'opportunità di esprimere il proprio parere in tema di applicabilità degli

studi precisando che per l'ufficio impositore incombe l'obbligo di motivare la plausibilità e la correttezza

dello studio di riferimento con esclusione, pertanto, della semplice e mera applicazione matematica.

In effetti l'accertamento di maggiori redditi e compensi, ricavi e volume di affari basato sulla scorta

degli studi di settore e dei parametri viola il disposto contenuto nell'art. 53 della Costituzione non

essendo fondato su concreti elementi di maggiore capacità contributiva, ma esclusivamente su

presunzioni semplici non onorate di prova e viola altresì l'art. 2729 del codice civile perché le suddette

presunzioni debbono rivestire i caratteri tutti di gravità, precisione e concordanza per poter trovare

applicazione. Ove tale procedimento accertativo non abbia seguito questo percorso l'accertamento

conseguente non può avere efficacia.

Questa decisione si riflette direttamente sulla posizione del socio anche esso ricorrente.

P.Q.M. - la Commissione accoglie i ricorsi. Spese compensate.

Sentenza Commissione tributaria regionale Liguria, sez. XI, 08-05-2006, n. 10 - Pres. Giuffre - Rel. Morino

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il contribuente B. G., di professione avvocato, ricorreva avverso avviso di accertamento xxx

dell'Agenzia delle Entrate - Ufficio di Sarzana con il quale si accertavano maggiori compensi a carico

del contribuente per l'anno 1998 ai fini IRPEF, IVA ed IRAP.

Avverso tale avviso, dopo un fallito tentativo di definizione in contraddittorio, il contribuente

proponeva ricorso alla Commissione Tributaria di primo grado.

Il ricorrente faceva presente che i parametri presuntivi di reddito non consentono una

rappresentazione fedele delle singole realtà, essendo basati su rapporti meramente statistici.

Faceva inoltre presente la propria situazione ed in particolare l'essere, all'epoca, iscritto all'albo degli

avvocati da soli cinque anni, di possedere una Fiat Tipo acquistata usata, di abitare nella casa dei genitori.

L'Ufficio si costituiva chiedendo la conferma dell'avviso di accertamento e della legittimità del proprio

operato, che derivava dall'applicazione della procedura di accertamento per parametri.

La Commissione di prima istanza con sentenza 30/01/2004 accoglieva il ricorso; spese compensate.

Avverso tale decisione proponeva appello l'Ufficio e si costituiva il contribuente, ciascuno insistendo

nei rispettivi assunti.

MOTIVI DELLA DECISIONE L'accertamento si basa sulla procedura di determinazione dei ricavi sulla base dei parametri quale

istituita dalla L 28/12/1995, n. 549 art. 3, 179 co e ss, in sostituzione dei coefficienti presuntivi di

ricavi e compensi, e determinata, nelle sue modalità applicative per il periodo di imposta 1998, dal

DPCM 29/01/1996 e dal successivo DPCM 27/03/1997.

S T U D I

D I

S E T T O R E

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Per quanto sostituito dagli studi di settore, che rappresentano uno strumento di controllo più

attendibile e completo, l'accertamento per parametri rimane applicabile per i periodi di imposta 1998.

Esso si basa sul presupposto che dato un certo contribuente, e dati determinati elementi contabili ed

extracontabili che gli sono propri, egli dovrà realizzare una certa entrata. In definitiva esso si presenta

come un potenziamento del metodo di accertamento analitico - induttivo.

Tale forma di accertamento ha dato luogo a molte perplessità e dubbi, fino a giungere al limite del

dubbio sulla sua costituzionalità.

Già il fatto che la legge 549 abbia demandato, senza la previsione di alcun criterio direttivo e senza

prevedere a carico dell'amministrazione l'obbligo di divulgare i procedimenti formativi dei parametri, al

dipartimento delle entrate del ministero delle finanze l'elaborazione dei parametri stessi, suscitò forti

perplessità sulla costituzionalità del procedimento in quanto il principio della riserva di legge, sia pure

relativa, vigente in tema di prestazioni patrimoniali (art 23 cost.) risulterebbe violato da una legge che

delega ad una fonte secondaria la disciplina della materia senza indicare criteri e principi fondamentali.

A prescindere da tali, legittimi, dubbi, altre perplessità derivano da una attenta considerazione dei

procedimenti di accertamento per parametri.

I procedimenti (descritti solo negli allegati tecnici ai DPCM) si sostanziano in: identificazione di un campione

di contribuenti economicamente coerente; identificazione di gruppi massimamente omogenei di

contribuenti all'interno di una attività economica; identificazione di una funzione di ricavo e di compenso;

identificazione di una funzione che permetta di associare un qualsiasi contribuente ad uno dei gruppi

omogenei individuati per la sua attività; calcolo di un fattore di adeguamento personalizzato.

Ciascuna categoria potrà, poi, essere suddivisa in gruppi omogenei in virtù dei vari parametri che

possono essere stati elaborati per ciascun settore economico e per ciascuna voce contabile.

Il contribuente verrà posizionato, all'interno del cd. cluster, secondo una funzione probabilistica

predisposta in base ad una non meglio precisata analisi discriminante.

Ma, qualora il contribuente si trovi in posizione discendente rispetto alla media del settore, la

procedura dell'accertamento per parametri dimostra la sua infondatezza. Ed è in tali ipotesi che, nella

pratica, l'accertamento ha dato luogo a notevoli distorsioni.

E' ovvio che la procedura di accertamento per parametri, basata su un tentativo di applicazione di una

metodologia matematico - statistica di determinazione di ricavi di un contribuente sulla base dei costi e

delle spese sostenute, soprattutto nelle sue prime applicazioni, dovesse essere attentamente verificato.

Basti considerare che la procedura non prende, ad esempio in considerazione le differenze territoriali e

geografiche, rilevanti, in cui il contribuente esercita la propria attività. Di ciò si rese conto lo stesso

Ministero ( circ. 203/E del 20/10/1999 ) che invitò gli Uffici a tener presente la rilevanza che assume,

nel controllo per parametri, il momento del contraddittorio con il contribuente, non potendosi

prescindere dalla considerazione delle peculiarità dell'attività in concreto svolta dal cittadino e

dall'adeguamento del risultato dell'applicazione dei parametri alla particolare situazione dell'impresa o

della professione esercitata. Solo la fase del contraddittorio, a detta del Ministero, consente

all'amministrazione di conoscere e di poter valutare le specifiche caratteristiche dell'attività esercitata.

In conseguenza di quanto esposto nell'ipotesi di accertamento per parametri non può non incombere

sull'Ufficio l'obbligo, per la verità generale per tutti gli atti amministrativi, di motivare adeguatamente

l'avviso di accertamento; i parametri di per se stessi, con la loro astrattezza, non potendo essere

applicati senza ricercarne un riscontro concreto in merito.

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I testi integrali delle ultime sentenze in tema di accertamento da parametri e studi di settore

55

L'appartenenza ad una determinata categoria ed il riferimento agli indici di redditività mediamente

riscontrati in quella categoria può assumere solo a rilievo orientativo, ma non esime l'Ufficio da uno

specifico riferimento alla peculiare situazione del contribuente, atteso che la redditività di una attività è

chiaramente influenzata da molteplici fattori.

Al contrario, l'impugnato avviso di accertamento è fondato solo sul calcolo matematico dei parametri e

non si rinviene nella sua motivazione alcuno degli elementi necessari a sorreggere le presunzioni in

esso contenute. Gli elementi necessari a sostegno di una corretta motivazione dovranno essere diversi

dal semplice richiamo ai parametri dovendo essere tali da permettere una corretta individuazione della

realtà reddituale del contribuente e tali da confermare, eventualmente, nel caso concreto, il risultato

delle presunzioni.

Lo scostamento dei ricavi quale deriva dalla applicazione dei parametri rispetto al dichiarato è, nel

concreto, di nessun rilievo e, comunque, non tale da poter assurgere ad equa e ragionevole

motivazione dell'atto impositivo.

Né l'ufficio ha dimostrato di aver tenuto conto delle particolari condizioni di mercato in cui opera il

contribuente o delle specifiche condizioni della sua attività.

Vale ricordare ancora che, per quanto l'accertamento per parametri si inserisca nei numerosi esempi di

accertamenti che, nel nostro ordinamento fiscale, possono avvenire sulla base di criteri di

forfetizzazione, anche in queste ipotesi si possono ritrovare particolari esimenti, che possono portare a

valutazioni diverse.

Questi particolari esimenti possono ritrovarsi, ed è il caso di specie, nella valutazione globale della

attività svolta, delle condizioni del "mercato", del tempo intercorrente dall'inizio della attività,

relazionato alla particolarità della stessa, della individuazione corretta della capacità indicativa di

reddito dei mezzi strumentali utilizzati, del tenore di vita.

Tenuto conto delle oggettive difficoltà interpretative delle norme di diritto in questa fattispecie

sussistono giusti motivi per compensare le spese.

P.Q.M. La Commissione regionale in conferma dell'appellata sentenza annulla l'accertamento dell'Ufficio,

compensa le spese.

Commissione tributaria regionale della Puglia - Sezione I – Sentenza 4-19 maggio 2006 n. 42/1/06

(Presidente: Paracampo; Relatore: Lancieri) Svolgimento del processo Con avviso notificato il 20/1/2004 l'Agenzia delle Entrate Ufficio di Bari 1 accertava a carico del Sig. P.V. esercente l'attività di avvocato in T., per l'anno 1998, il reddito di lavoro autonomo ai fini IRPEF e IRAP di L. 114.703.000 a fronte di quello dichiarato di L. 32.468.000, l'imponibile ai fini dell'addizionale regionale IRPEF di L. 109.306.000 a fronte di quello dichiarato di L. 27.071.000 e il volume d'affari ai fini IVA di L. 142.132.000 a fronte di quello dichiarato di L. 59.897.000. L'Ufficio, inoltre, irrogava le conseguenti sanzioni ai sensi del D.Lgs. n. 471/97 Artt. 1 e 5 e del D.Lgs. n. 446/97 n. 32. L'accertamento era motivato dallo scostamento rilevato fra l'ammontare dei compensi dichiarati con Mod. Unico 99 e quello derivante dall'applicazione dei parametri per la determinazione dei ricavi, compensi e volume d'affari di cui all'art. 3 comma 184 della Legge 28/12/1995 n. 549, come previsti dal D.P.C.M. 29/1/96 e dal D.P.C.M. 27/3/97.

S T U D I

D I

S E T T O R E

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56

L'Ufficio rilevava anche che il contribuente, preventivamente invitato a definire in contraddittorio

l'accertamento con adesione ai sensi dell'art. 5 del D.Lgs. 18/6/97 n. 218, non aveva aderito all'invito.

L'Avv. P., rappresentato e difeso..., impugnava l'avviso di accertamento dinanzi alla Commissione

Tributaria provinciale di Bari e ne chiedeva anche la sospensione degli effetti giuridici nelle more della

discussione del ricorso.

Con il ricorso, il contribuente eccepiva il difetto di omessa motivazione dell'accertamento poiché tale

non poteva ritenersi il riporto pedissequo di numeri irragionevoli frutto del responso automatizzato del

software insufficiente e generico posto a base dei calcoli parametrici.

Eccepiva, altresì, l'inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto richiesti dal primo comma dell'art. 39

D.P.R. n. 600/73, poiché lo strumento parametrico non era di per sé idoneo a motivare

adeguatamente un avviso di accertamento in assenza di una verifica di tipo contabile e documentale.

Secondo il ricorrente lo scostamento parametrico dei ricavi, cioè, non poteva assurgere a dignità di

prova poiché privo dei requisisti di gravità, precisione e concordanza richiesti ai fini dell'applicazione

dell'art. 39 primo comma citato.

Il ricorrente lamentava, poi, l'irragionevolezza e l'eccessiva sproporzione dei dati determinati con i

parametri rispetto a quelli dichiarati. E ciò in considerazione della realtà ambientale, sociale ed

economica del Comune di T. nel quale esercitava la professione, la concorrenza di numerosi altri

professionisti, il relativamente recente inizio della sua attività, la modestia dei beni strumentali

impiegati nella stessa, l'assenza di dipendenti e collaboratori di studio.

A riprova delle sue affermazioni il ricorrente esponeva il calcolo dei compensi rivenienti

dall'applicazione ai dati relativi all'anno 1998 del più sofisticato ed attendibile studio di settore

elaborato dal Ministero per l'anno 2001 per l'attività degli studi legali, che portava alla determinazione

di un compenso minimo di L. 70.398.000 maggiore di sole L. 11.675.000 rispetto ai compensi

dichiarati. Tale differenza era, peraltro, giustificabile con il fatto che nel 1998 il ricorrente aveva svolto

attività professionale per un importo quasi uguale a favore di un cliente dal quale aveva potuto

riscuoterlo soltanto nel 2001.

Il contribuente, in definitiva, chiedeva pregiudizialmente che i giudici dichiarassero la nullità dell'avviso

di accertamento per omessa motivazione.

In via subordinata, chiedeva la dichiarazione di nullità o l'annullamento dell'atto per inesistenza dei

presupposti di fatto e di diritto richiesti dall'art. 39 comma 1 D.P.R. n. 600/73 e, ancora, per

genericità, astrattezza e insufficienza probatoria dei parametri nonché per irragionevolezza ed

eccessiva sproporzione rispetto ai dati dichiarati; infine per infondatezza in fatto e in diritto.

L'Ufficio si costituiva in giudizio con brevi e generiche controdeduzioni con le quali affermava la

sussistenza dei presupposti giuridici e di merito della pretesa fiscale e chiedeva il rigetto del ricorso

con condanna del ricorrente alle spese di giudizio.

All'udienza dell'8/6/2004 la Commissione Tributaria Provinciale di Bari Sez. 7 rigettava l'istanza di

sospensione degli effetti giuridici dell'atto.

Alla successiva udienza del 21/9/2004 la stessa Commissione accoglieva il ricorso e compensava le

spese di causa.

I primi giudici ritenevano, infatti, condivisibili le tesi prospettate dal ricorrente circa l'inadeguatezza dei

parametri a determinare il reddito che risente, specie nel campo del lavoro autonomo, di una realtà

composita legata al territorio, al fattore temporale, alla concorrenza e a tutti quegli elementi variabili

che in concreto determinano il reddito conseguito nell'anno di riferimento.

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I testi integrali delle ultime sentenze in tema di accertamento da parametri e studi di settore

57

L'Ufficio di Bari 1 si è gravato di appello dinanzi a questa Commissione avverso la sentenza dei primi

giudici lamentando la violazione dell'art. 3 comma 181 della Legge n. 549 del 1995 e dell'art. 39 del

D.P.R. n. 600/73.

Sostiene l'Ufficio che la volontà del legislatore era quella di disattendere con atto normativo le

risultanze di contabilità solo formalmente corrette. Pertanto la rettifica in via induttivo-parametrica non

era subordinata in alcun modo alla preventiva determinazione del reddito analitico; infatti, i parametri

non hanno solo funzione orientativa ma di effettiva determinazione del reddito ribaltando l'onere della

prova sul contribuente. Questi, peraltro, s'è sottratto al contraddittorio né ha dato spiegazione alcuna

dell'entità delle spese e consumi dichiarati che, unitamente agli altri elementi hanno concorso alla

determinazione dei ricavi accertati.

L'Ufficio, pertanto, sostiene di aver legittimamente fatto ricorso all'art. 39 comma 1 lett. d) del D.P.R.

n. 600/73 che, per effetto del rinvio contenuto nell'art. 3 comma 181 della Legge n. 549 del 1995,

qualifica i parametri presunzioni gravi, precise e concordanti.

L'Ufficio, in definitiva, chiede che la sentenza venga annullata per manifesta violazione e falsa

applicazione delle norme di legge, con conferma dell'avviso di accertamento e condanna del

contribuente al pagamento di quanto richiestogli e delle spese del doppio grado di giudizio.

L'appellato s'è costituito in giudizio mercè appello incidentale e con controdeduzioni.

Con l'appello incidentale il resistente, rilevato che i giudici di primo grado non si sono pronunciati

sull'eccezione di nullità per omessa motivazione, chiede pregiudizialmente che la Commissione accolga

tale richiesta. Inoltre, il resistente contesta di non aver aderito all'invito dell'Ufficio poiché in realtà egli s'è recato presso il funzionario responsabile dal quale ha avuto risposte del tutto identiche a quanto poi trasfuso nell'avviso di accertamento. L'appellato, poi, insiste sul fatto incontrovertibile che lo strumento dei parametri è stato accantonato in favore di quello più ragionevole e accurato costituito dagli studi di settore che tengono conto di quegli elementi che egli ha fornito anche in sede contenziosa e che hanno convinto i primi giudici a disattendere le risultanze dell'accertamento. E ciò in contrasto con l'erroneo assunto dell'Ufficio che pone i decreti che determinano i parametri al di sopra della legge e, in particolare, degli artt. 38 e 39 del D.P.R. n. 600/73 quando, invece, ciò è negato proprio dalla completa lettura della stessa sentenza n. 2891 del 27/2/2002 citata dall'Ufficio, con la quale la Corte di Cassazione afferma che il giudice di merito ha senza dubbio il potere di determinare il reddito in maniera autonoma nel caso in cui i valori esposti sia dalla parte privata che dal Fisco non risultino adeguati agli elementi di fatto emergenti dagli atti. In conclusione l'appellato chiede che sia dichiarata la nullità dell'avviso di accertamento, sia confermata la sentenza di primo grado e sia condannato l'appellante alle spese del doppio grado del giudizio. Le parti sono state regolarmente avvisate. Nessuna ha chiesto la discussione in pubblica udienza. Pertanto la Commissione discute la causa in camera di consiglio.

Motivi della sentenza L'appello dell'Ufficio è infondato e deve, pertanto, essere rigettato. Va preliminarmente rigettato l'appello incidentale del contribuente poiché, in presenza di sentenza a lui favorevole, deve ritenersi inammissibile un appello proposto al solo fine di sollecitare una motivazione diversa da quella elaborata dai giudici di primo grado. Peraltro, va detto a tale proposito che, diversamente da quanto sostenuto dal contribuente, non può condividersi l'eccezione di assoluta mancanza di motivazione dell'atto di accertamento poiché la stessa è formulata in modo sufficiente perché il contribuente potesse apprestare, come ha fatto, la propria difesa.

S T U D I

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58

Nel merito

Posto che, per effetto dell'esplicito riferimento all'art. 39 comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 600/73, appare

del tutto pacifico che sia le norme istitutive degli studi di settore, e in particolare l'art. 62-sexies del D.L.

30/8/1993 n. 331 convertito con modificazioni nella Legge 29/10/1993 n. 427, sia l'art. 3 comma 181

della Legge 28/12/1995 n. 549 relativo all'utilizzo dei parametri previsti per la determinazione presuntiva

dei ricavi, compensi e volume d'affari, ampliano le possibilità di accertamento analitico-induttivo previsto

dalla succitata norma, deve ritenersi imprescindibile - anche ai fini dell'applicazione delle metodologie

settoriali e parametriche di accertamento - che l'Ufficio preliminarmente esperisca quelle indagini a cui è

facultato dagli artt. 32 del D.P.R. n. 600/73 e 51 del D.P.R. n. 633/72, dalle quali devono emergere

differenze sostanziali fra i dati raccolti e quelli contabilizzati e dichiarati dal contribuente.

In tal caso, dunque, è legittimo che l'Ufficio basi la determinazione del reddito anche su presunzioni

semplici, purché gravi, precise e concordanti, al fine di risalire da un fatto noto ad un fatto ignorato

nonché al fine ulteriore d'invertire l'onere della prova a carico del contribuente.

Nel caso di specie, pertanto, non sembra affatto sufficiente che l'Ufficio che non ha esperito alcuna

indagine sulla contabilità e sui documenti del contribuente e che non sia in possesso di alcun atto o a

conoscenza di alcun fatto specifico, sia legittimato ad emettere un accertamento basato

sull'applicazione di parametri in virtù di una non dimostrata esistenza di un nesso di stretta

correlazione fra il sostenimento di taluni costi rilevati dalla stessa dichiarazione dei redditi e la

determinazione parametrica di corrispondenti ricavi.

Non appare condivisibile, infatti, la tesi che la metodologia di accertamento in base a parametri

sostituisca quelle presunzioni che in ogni caso devono sussistere ancor prima dell'applicazione del

metodo parametrico e che l'Ufficio è tenuto ad indicare nel suo accertamento.

I parametri, in definitiva, non possono costituire essi stessi elementi sufficienti a motivare

l'accertamento ma sono unicamente semplici indizi che, unitamente e a completamento di altri

elementi acquisiti dall'Ufficio, possono tutt'insieme generare presunzioni semplici aventi i caratteri

della gravità, precisione e concordanza.

L'accertamento impugnato, invece, è fondato esclusivamente sulle risultanze di elaborazioni statistico-

matematiche che prescindono totalmente dalla effettiva capacità contributiva del soggetto accertato e

non possono costituire di per sé sole presunzioni gravi, precise e concordanti, in violazione sia dell'art.

53 della Costituzione che dell'art. 2729 C.C.

Del primo, perché l'accertamento non è basato su concreti maggiori elementi di capacità contributiva

riferibili esclusivamente al contribuente, non potendosi ritenere tale il riferimento ai parametri. Del

secondo, perché gli accertamenti presuntivi obbligano l'Ufficio ad individuare presunzioni aventi i

requisiti di cui all'art. 2729 C.C. mentre la mancanza di qualunque rilievo sulla contabilità o sulla

dichiarazione del contribuente ovvero di qualunque violazione di norme fiscali impedisce il

disconoscimento automatico del reddito e la sua rielaborazione con calcoli parametrici che da soli non

possono mai assurgere a prova presuntiva.

Non possono, quindi, considerarsi presunzioni qualificate i risultati scaturenti dall'applicazione dei parametri

che devono ritenersi soltanto l'ultimo atto - e non l'unico e principale - del procedimento di accertamento.

Tale è il pensiero della stessa Corte di Cassazione che nella sua sentenza n. 2891 del 27/2/2002

afferma che «è l'art. 39 c. 1 lett. d) a consentire, sulla base della disamina della contabilità operata

dall'Ufficio, di ricostruire l'esistenza di attività non dichiarate attraverso presunzioni semplici, purché

gravi, precise e concordanti; e questo valore possono assumere, se confortate da altri indizi, le

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I testi integrali delle ultime sentenze in tema di accertamento da parametri e studi di settore

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difformità delle percentuali applicate in concreto rispetto a quelle mediamente riscontrate nel settore

di appartenenza, emergenti da studi di settore, quando vi sia uno scostamento che renda del tutto

non credibile il risultato della dichiarazione».

Dunque, il richiamo a «altri indizi» non solo appare decisivo, ma non può che riferirsi ad indizi specifici

e ben determinati che, nel caso di specie, non sussistono.

In fatto, poi, non va sottovalutato quello che può considerarsi alla stregua di una prova contraria

fornita dal contribuente rispetto alle risultanze dell'accertamento parametrico. E cioè il risultato

riveniente dall'applicazione agli elementi di costo dell'anno d'imposta 1998 degli studi di settore

elaborati per l'anno 2001 come il più vicino all'anno accertato.

Tale risultato appare più giustificabile e più vicino al vero perché il nuovo strumento - a differenza dei

parametri - tiene conto oltre che di alcune informazioni specifiche della persona del contribuente (età,

anzianità dell'attività, specificità del suo lavoro nell'ambito più vasto e indistinto di quello che una

professione contempla, specificità del tipo di clientela, ecc.) anche di tutte quelle considerazioni inerenti alla

realtà ambientale, sociale ed economica in cui il contribuente ha operato. E a tale proposito va rilevato che

la stessa Amministrazione Finanziaria, con C.M. n. 12/E del 23/3/2004 punto 6 ha previsto che i

contribuenti «al fine di giustificare, in tutto o in parte, la legittimità dello scostamento dei ricavi e compensi

dichiarati da quelli calcolati sulla base dei parametri, possono validamente addurre in contraddittorio le

risultanze dello studio di settore approvato con riferimento alla propria attività in anni successivi al 1999,

anche se ne sia stata prevista un'applicazione sperimentale».

Da quanto sopra, e in conclusione, discende che l'accertamento, così come è stato formulato

dall'Ufficio, deve ritenersi illegittimo per violazione dell'art. 39 comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 600/73.

La Commissione ritiene che, in relazione alla problematica posta dalle norme sull'accertamento con

parametri, sussistano sufficienti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di giudizio.

P.T.M.

La Commissione tributaria regionale di Bari

Sezione Prima

Visto l'art. 59 del D.L.vo 31/12/1992 n. 546, definitivamente decidendo sull'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate Ufficio di Bari 1 con atto notificato l'11/7/2005 nei confronti del Sig. P.V. e sull'appello incidentale da questi depositato il 26/10/2005, avverso la sentenza n. 238/07/2004 emessa il 21/09/2004 dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bari Sez. 7, così provvede: – Rigetta sia l'appello dell'Ufficio che l'appello incidentale del contribuente e conferma la sentenza impugnata. – Compensa integralmente fra le parti le spese di giudizio.

Corte Cass., Sez. tributaria - Pres. Riggio, Rel. Meloncelli - Sent. n. 17229 del 9 febbraio 2006 (dep. il 28 luglio 2006)

Accertamento - Accertamento induttivo - Studi di settore - Natura - Atti amministrativi generali di

organizzazione - Onere probatorio - Spetta all'Amministrazione finanziaria - Principio del

contraddittorio – Principio del giusto procedimento – Applicabilità Massima - In materia di

accertamento, il ricorso all'utilizzo degli studi di settore non esonera l'Amministrazione finanziaria -

attesa la natura di atti amministrativi generali di organizzazione di tali strumenti - dall'assolvimento

dell'onere probatorio posto a suo carico in ordine al rapporto giuridico d'imposta ed alla pretesa

tributaria fatta valere. A tale fine devono ritenersi applicabili i generali principi del contraddittorio e

S T U D I

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del giusto procedimento, sanciti dallo Statuto del contribuente, sin dalla fase di istruttoria

amministrativa dell'accertamento dovendosi consentire al contribuente di intervenire al procedimento

anteriormente all'instaurazione di un contenzioso avanti al giudice tributario per vincere la mera

presumptio hominis costituita dagli studi di settore. Ne consegue che la decisione immune da vizi

logici e giuridici con la quale il giudice del merito ha ritenuto illegittimo l'accertamento fondato

esclusivamente sul ricorso agli studi di settore prescindendosi in toto dalla concreta realtà aziendale

non è censurabile in sede di legittimità.

Svolgimento del processo

1. Il 4 ottobre 2004 è notificato a I.D. di M.M.C. & S.n.c. un ricorso dell'Amministrazione finanziaria

per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, che ha rigettato l'appello dell'ufficio tributario

contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Campobasso n. 225/04/98, che aveva

accolto il ricorso della società contro l'avviso di accertamento n. 4922000206 dell'Ilor 1991.

2. I fatti di causa sono i seguenti:

a) l'Ufficio delle imposte dirette di Campobasso rettifica la dichiarazione dei redditi del 1991 presentata

dalla società intimata, svolgente attività di macelleria e di vendita di bestiame vivo, accertando un reddito

imponibile ai fini dell'Irpef per i soci di lire 117.489.000, a fronte di quello dichiarato di lire 6.009.000;

b) il ricorso della società è accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso, perché

mancano i presupposti per l'accertamento induttivo, tra i quali soprattutto il verbale di ispezione; c) nel suo appello l'ufficio tributario sostiene che non sussisterebbe alcun obbligo di redigere un verbale di ispezione e che, nella specie, la rideterminazione del reddito non è avvenuta ex art. 39, comma 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ma ai sensi del comma 1 dello stesso articolo; inoltre, l'ufficio non avrebbe utilizzato studi di settore astratti; d) l'appello dell'ufficio è respinto dalla Commissione tributaria regionale con la sentenza ora impugnata per cassazione. 3. La sentenza della Commissione tributaria regionale, oggetto del ricorso per cassazione, è così motivata: a) l'accertamento induttivo costituisce un'eccezione rispetto alla regola ordinaria che, invece, prevede l'accertamento analitico in rettifica delle singole voci reddituali; b) nel caso di specie la mancata redazione del processo verbale di constatazione assume un carattere preminente per la soluzione della controversia; invero, l'ufficio avrebbe dovuto procedere alla constatazione di eventuali violazioni, che, solo se gravi numerose e ripetute, avrebbero consentito all'accertatore di procedere alla rideterminazione dei ricavi e, quindi, del reddito; c) infine, le rese utilizzate dall'ufficio, pur non scaturenti dalla L. 17 febbraio 1985, n. 17, sono relative a studi di settore che prescindono completamente dalla realtà aziendale e riguardano medie statistiche che non possono costituire l'unico elemento per l'accertamento induttivo. 4. Il ricorso per cassazione dell'Amministrazione finanziaria è sostenuto con un solo motivo di impugnazione e si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione. 5. L'intimata società non si è costituita in giudizio.

6. Motivi della decisione 6.1. Con l'unico motivo di impugnazione si denuncia la violazione e la falsa applicazione degli art. 32, 33 e 39 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dell'art. 62-sexies del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, convertito in L. 29 ottobre 1993, n. 427, oltre all'omessa motivazione su punti decisivi della controversia.

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I testi integrali delle ultime sentenze in tema di accertamento da parametri e studi di settore

61

6.2. Le ricorrenti sostengono, al riguardo, che i giudici regionali avrebbero totalmente trascurato di

prendere in considerazione le documentate argomentazioni esposte dall'ufficio in sede di appello che

avrebbero dimostrato come, nella specie, l'accertamento del maggior reddito era stato eseguito in

base all'art. 39, comma 1, lettera d), e non in base all'art. 39, comma 2, del D.P.R. 29 settembre

1973, n. 600. Infatti, la società, a fronte di ricavi dichiarati di lire 472.613.000, avrebbe dichiarato un

reddito di sole lire 6.000.000, facendo dubitare dell'attendibilità dell'intera contabilità, senza

contare che la redazione di un verbale di ispezione non sarebbe, comunque, affatto necessaria per

l'esercizio del potere di accertamento.

Infine, la rettifica operata nei confronti della società partecipata avrebbe trovato pieno fondamento in

studi di settore concernenti la specifica realtà nella quale si inserisce l'azienda.

6.3. Il motivo è inammissibile per genericità, perché le argomentazioni addotte a suo sostegno si

riferiscono a fatti che sono oggetto esclusivo del potere cognitivo del giudice di merito, le cui

valutazioni non sono confutate né con l'indicazione degli atti processuali nei quali l'Amministrazione

finanziaria avrebbe contestato le valutazioni operate dal giudice di primo grado fatte proprie dal

giudice di appello, né con la riproduzione testuale di quelle loro parti contenenti le censure e le

relative ragioni che le sostengano. Inoltre, non è in alcun modo specificamente contestata la

motivazione della sentenza di secondo grado, cosicché la violazione del principio di autosufficienza del

ricorso per cassazione è violato anche per quel che riguarda l'omissione di motivazione.

Quanto agli studi di settore, il giudice di appello ha accertato in fatto, con un giudizio immune da vizi

logici e, quindi, non censurabile in questa sede, che le rese utilizzate dall'Ufficio sono relative a studi di

settore che prescindono totalmente dalla realtà aziendale (vd. Retro paragrafo 3.c.). A fronte di tale

precisa valutazione la ricorrente amministrazione finanziaria si è limitata a riaffermare che gli studi di

settore utilizzati riguarderebbero la specifica realtà nella quale si inserisce l'azienda. Si tratta, pertanto,

di affermazioni generiche e, quindi, inidonee a contestare l'accertamento dei fatti operato dal giudice

di merito e la logicità della sua valutazione dei fatti accertati. Né, data la natura di atti amministrativi

generali di organizzazione, rivestita dagli studi di settore previsti dall'art. 62-bis del D.L. 30 agosto

1993, n. 331, convertito in L. 29 ottobre 1993, n. 427, si possono considerare sufficienti perché

l'ufficio tributario operi l'accertamento di un rapporto giuridico tributario di specie ultima, senza che

l'attività istruttoria amministrativa sia completata nel rispetto del principio generale del giusto

procedimento, cioè consentendo al contribuente, ai sensi dell'art. 12, comma 7 della L. 27 luglio

2000, n. 212, di intervenire già in sede procedimentale amministrativa, prima di essere costretto ad

adire il giudice tributario, di vincere la mera praesumptio hominis costituita dagli studi di settore.

Risulta, infatti, sia dalla descrizione sommaria dei fatti di causa effettuata dalla ricorrente nel suo

ricorso per cassazione sia dalla sentenza impugnata che, nella fase procedimentale amministrativa che

va dalla dichiarazione tributaria all'avviso di accertamento, tra ufficio tributario e contribuente non si

è svolto alcun contraddittorio, cosicché è vano invocare uno studio di settore, che ha struttura

oggettiva e soggettiva categoriale e, quindi, di genere, come strumento idoneo a regolare, di per sé,

un caso di specie ultima. In questo senso è orientata la giurisprudenza di questa Corte nelle sentenze:

3 maggio 2005, n. 9135; 23 giugno 2003, n. 9946; 27 settembre 2002, n. 13995.

7. Le precedenti considerazioni inducono a rigettare il ricorso.

8. La mancata costituzione in giudizio del soggetto intimato esime dalla pronuncia in ordine alle spese

processuali relative al giudizio di cassazione.

P.Q.M. - la Corte rigetta il ricorso.

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Commissione Tributaria Provinciale di Vicenza - Sentenza 17 agosto 2006 n. 282/04/06 - Presidente Schiavone, Relatore Marchesini

Fatto e diritto

Il sig. (...) cf: (...) - partita iva, (...) (esercente l'attività di fabbricazione di oggetti in ferro, ed altri

metalli e relativi lavori di riparazione), assistito e difeso dal rag. (...) di (...) (Vicenza), ha proposto

ricorso avverso l'avviso di accertamento n. (...) emesso dall'agenzia delle entrate, ufficio di Vicenza,

notificato il (...) in dipendenza di rettifica del reddito imponibile ai fini irpef (da lire 23.837.000 a lire

52.662.000), irap (da lire 38.150.000 a lire 60.975.000), iva (da lire 98.886.000 a lire 127.711.000) ed

inps-gestione artigiani (stessi valori ai fini irpef), in quanto i ricavi dichiarati (lire 98.886.000) si

discostano dai ricavi (“puntuali”, pari a lire 127.711.000; i “ricavi minimi” sono pari a lire 94.497.000,

v. a pag. 2 del ricorso introduttivo) in applicazione degli studi di settore previsti dall'articolo 62-bis del

DL 30/08/1993, n. 331, convertito, con modificazioni, nella legge 29/10/1993, n. 427.

L'avviso de quo, preceduto da contraddittorio e da una proposta dell'ufficio, non accettata dal

contribuente maggiori imposte per irpef, irap, inps-gestione artigiani, iva e sanzioni di complessivi

euro 16.833,65 (segnatamente: euro 10.444,82 per tributi, euro 6.388,83 per sanzioni), oltre gli

interessi maturati e maturandi.

La parte ricorrente, nei termini procedurali, ha prodotto ricorso avverso il citato atto impositivo

censurando l'operato dell'ufficio e deducendo principalmente la carenza di motivazione dell'avviso di

accertamento, stante lo scarto percentuale (29,15%) tra l'ammontare dei ricavi dichiarati (lire

98.886.000) e l'ammontare dei ricavi “puntuali” determinati in applicazione degli studi di settore (lire

127.711.000) «v. a pag. 2 del ricorso introduttivo» (CTP di Milano, sez. VIII: sent. del 13/04/2005:

ove si afferma che le incongruenze tra le scritture contabili e i dati desumibili dagli studi di settore per

essere considerate gravi devono rappresentare uno scostamento di almeno il 25-30%; CTP di Vicenza:

sent. 159/06/05). La parte ricorrente, anche con successiva replica, conclusivamente, chiede:

• in via principale: annullarsi l'avviso di accertamento impugnato per difetto di motivazione e per

insufficienza probatoria:

• via subordinata: riconoscersi non applicabili le sanzioni ai sensi dell'articolo 10 della legge 212/2000 ed

infondata la differenza di ricavi nell'intervallo di confidenza rispetto ai ricavi complessivi;

• in ogni caso: condannarsi l'ufficio al pagamento delle spese di giudizio.

L'agenzia delle entrate, ufficio di Vicenza 1 si è costituita in giudizio, deducendo alle eccezioni di parte

ricorrente, e conclusivamente chiede di respingere il ricorso e di confermare l'operato dell'ufficio con

rifusione delle spese processuali.

La Commissione, visti gli atti di causa, osserva:

L'accertamento del reddito imponibile del contribuente attraverso gli studi di settore non esime

l'amministrazione finanziaria dalla scrupolosa osservanza dell'implicito divieto sanzionato dall'articolo

53 della Costituzione di determinare il reddito imponibile prescindendo dall'effettiva capacità

contributiva del soggetto verificato.

Ne consegue che l'utilizzo di presunzioni, ammissibile se sussistano la gravità, la precisione e la

concordanza, non è sufficiente allorché l'amministrazione finanziaria non abbia fornito e documentato

ulteriori elementi presuntivi o probatori necessari per appurare le condizioni di reale esercizio

dell'attività aziendale (nel caso in esame, esercente l'attività di fabbricazione di oggetti in ferro, rame

ed altri metalli e relativi lavori di riparazione) e di quantificare che i maggiori ricavi stimati e

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I testi integrali delle ultime sentenze in tema di accertamento da parametri e studi di settore

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determinati presuntivamente, corrispondano incontrovertibilmente a quelli effettivi «Corte

Costituzionale: ordinanza n. 7/2001».

In altri termini, non si tratta di presunzioni assolute, ma di presunzioni e/o indicatori semplici,

valutabili, di volta in volta, e rettificabili dal giudice di merito «Corte Costituzionale: ordinanza n.

140/2003».

L'accertamento fondato sugli studi di settore è un accertamento di tipo analitico-contabile, con il quale

l'amministrazione finanziaria non procede alla determinazione del reddito complessivo del

contribuente, ma alla pura e semplice rettifica dei ricavi conseguiti dall'impresa o dei compensi

realizzati dai lavoratori autonomi.

La forza probatoria di tale accertamento, proprio a causa della sua conformazione, se non supportato

da altre argomentazioni, è carente. Gli studi di settore, se non corroborati da una analisi della

contabilità non possono certificare e rendere valido l'intervento dell'agenzia delle entrate (CTR per il

Piemonte: sent. n. 27/26/06 depositata in segreteria il 19/07/2006).

La parte ricorrente, in punto, ha dato prova che il maggiore reddito imponibile, presuntivamente

determinato dall'agenzia delle entrate, ufficio di Vicenza 1, non corrisponde a quello effettivo, in quanto:

• l'attività espletata ha carattere meramente manuale (produzione di oggetti di ottone) e di

conseguenza non può produrre il medesimo quantitativo di prodotti finiti di altre attività svolte

con mezzi meccanici;

• l'attività è prettamente manuale e richiede una abilità fisica, sia per quanto concerne lo sforzo

che l'agilità, ora non strettamente correlata all'età del contribuente (data di nascita: 03/10/1943);

• l'uso di beni strumentali vetusti ed obsoleti.

Tutti eventi non contrastati dall'ufficio.

Non esiste, nel caso in esame, uno scarto significativo tra i ricavi contabili (euro 98.886,00), i ricavi

minimi (euro 94.497,00) ed i ricavi “puntuali” (euro 127.211,00) riscontrati nel settore merceologico di

appartenenza, «v. pag. 2 del ricorso introduttivo; in punto, la CTP di Milano (sez. VIII: sent.

13/04/2005), ritiene quantitativamente rilevante uno scostamento tra i ricavi teorici e quelli dichiarati

nell'intorno del 25-30% circa». Alla luce delle osservazioni svolte il ricorso è fondato e va accolto).

Sussistono peraltro giusti motivi per l'integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti

(Cassazione: n. 8540/2005: n. 243/2004).

P.Q.M.

In accoglimento del ricorso, dichiara la nullità dell'avviso di accertamento impugnato. Dichiara

compensate le spese di giudizio.

Comm. trib. prov. di Cagliari, Sez. II - Pres. Corradini, Rel. Spissu - Sent. n. 254 del 25 settembre 2006 (dep. il 14 ottobre 2006) della

Accertamento - Accertamento induttivo - Studi di settore - Scostamento dai coefficienti di congruità e coerenza - Acquisizione dei movimenti bancari - Art. 62-sexies del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 - Art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 - Art. 51 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633

Massima - Ai sensi degli artt. 32 del D.P.R. n. 600/1973 e 51 del D.P.R. n. 633/1972, possono

fondarsi presunzioni a carico del contribuente circa l'esistenza di maggiore materia imponibile laddove

non sia assolto l'onere probatorio sulla non afferenza dei dati all'attività o ad operazioni imponibili

ovvero alla loro riconduzione alle risultanze della dichiarazione. La mancata plausibile giustificazione

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delle incongruenze fra imponibili dichiarati e movimenti bancari legittima l'accertamento da parte

dell'Amministrazione finanziaria.

Svolgimento del processo - L'Agenzia delle Entrate, Ufficio di Cagliari 2, visto che il reddito del

professionista non era risultato né congruo né coerente con le risultanze degli studi di settore per gli

anni 2002 e 2003, procedeva all'acquisizione delle movimentazioni bancarie per effettuare un controllo

più adeguato al fine di accertare la sua capacità contributiva.

Veniva pertanto effettuato un confronto tra le movimentazioni bancarie e i documenti acquisiti e degli

esiti veniva redatto processo verbale e successivamente invitato il contribuente a fornire chiarimenti

in contraddittorio.

Non essendosi le parti accordate per un accertamento con adesione, l'ufficio procedeva ad emettere

due avvisi di accertamento ai fini Iva, Irap e Irpef relativamente agli anni 2002 e 2003.

Avverso gli avvisi di accertamento ... propone due distinti ricorsi ove:

Premette che:

- svolge l'attività di odontoiatra sia in proprio che come associato con altro professionista; - i compensi percepiti risultano congrui al minimo elaborato dallo studio di settore sia nel 2002 che

nel2003 mentre si discostano da quello puntuale per soli euro 171,00 nel 2002 ed euro 1.117,00 nel 2003. Tuttavia si è proceduto al controllo dei conti correnti bancari;

- dal verbale di contraddittorio emerge la volontà del contribuente di non aderire alle richieste dell'ufficio;

- considerato che egli teneva la contabilità semplificata, non aveva l'obbligo di annotare le movimentazioni finanziarie;

- dal controllo degli estratti conto bancari risulta che i versamenti sono minori degli incassi e che sono stati effettuati versamenti ingiustificati per euro 5.600,00, contrariamente a quanto sostenuto dall'ufficio nell'avviso di accertamento.

Eccepisce: - l'atto è illegittimo perchè l'attività di accertamento sulla base degli studi di settore ex art. 62-

sexies della L. n. 427/1993 costituisce la via naturale per definire preventivamente le liti potenziali, valutando in sede amministrativa le giustificazioni offerte dal contribuente;

- l'accertamento sulla base degli studi di settore si deve fondare sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli determinati da Gerico e le differenze riscontrate (euro 171,00 per il 2002ed euro 1.117,00 per il 2003) non giustificano l'accertamento automatico né è ragionevole fondare l'accertamento analitico con stima induttiva dei compensi basate su presunzioni semplici; l'ufficio, inoltre, ha utilizzato gli studi di settore come strumento per ottenere dalla Direzione regionale delle Entrate l'autorizzazione ad acquisire i dati dei conti correnti bancari e postali per poi individuare la presunta omissione di compensi dalla non corrispondenza tra le movimentazioni bancarie e le risultanze contabili, non tenendo conto che il regime contabile semplificato non obbliga a rilevare le movimentazioni finanziarie;

- l'ufficio ha determinato sinteticamente il reddito complessivo netto richiamando l'art. 38, commi 4, 5 e 6, del D.P.R. n. 600/1973 ma non ha dimostrato la presunta maggior capacità contributiva; avrebbe invece dovuto precisare le valutazioni addotte dal contribuente e i documenti prodotti e valutare attentamente la situazione oggettiva del contribuente e tener conto del fatto che egli ha un ambulatorio e che svolge l'attività presso un collega in qualità di associato.

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I testi integrali delle ultime sentenze in tema di accertamento da parametri e studi di settore

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L'Agenzia delle Entrate, Ufficio di Cagliari 2, nelle memorie di costituzione, deduce:

- primo addebito, che rileva ai fini delle imposte dirette, consiste nel minor reddito dichiarato rispetto a

quello accertato e la prova è stata ottenuta attraverso l'acquisizione delle movimentazioni su due c/c

bancari e il loro riscontro con le dichiarazioni dei redditi e i dati documentali e contabili acquisiti. Da

tale riscontro è emerso che vari accreditamenti (euro 5.600 per il 2002 ed euro 12.000 per il 2003)

non hanno trovato giustificazione nelle argomentazioni del contribuente per cui il fatto che non sia

stata comprovata la fonte di importi accreditati nei c/c costituisce prova presuntiva legale relativa

all'esistenza dei redditi non dichiarati per cui è il contribuente che deve fornire idonea dimostrazione

che tali somme non concorrono alla formazione del reddito. Inoltre, dato il carattere legale della

presunzione non è necessaria la sussistenza dei requisiti della gravità, precisione e concordanza;

l'accertamento non è basato sugli studi di settore in quanto trattasi di accertamento analitico-

induttivo ordinario. La non congruità rispetto agli studi di settore è stata solo utilizzata quale indizio

per poter ricercare altri strumenti di controllo; il riferimento che si è fatto all'accertamento sintetico del

reddito ha solo valenza di raffronto e cioè si è voluto dimostrare che l'accertamento effettuato è molto

vicino alla realtà;

- il secondo rilievo, in materia di Iva, riguarda la fattura n. 10 dell'importo di euro 12.000,00

emessa in violazione dell'art. 21, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 con l'indicazione generica di

prestazioni occasionali e che è stata considerata operazione esente ai sensi dell'art. 10, n. 18).

Nel corso dell'istruttoria il contribuente non è stato in grado di fornire prova certa dell'effettiva

corrispondenza di tale fattura con una prestazione professionale sanitaria esente ai fini Iva e,

considerato che egli ha dichiarato che produceva anche redditi non professionali, quale l'attività di

informatico per odontoiatri, si è dedotto che nella specie trattavasi di operazioni non rientranti tra

quelle esenti ai fini Iva.

In data 20 luglio 2006 il ricorrente deposita memorie illustrative.

I motivi della sentenza - I due ricorsi (RGR n. 548/06 e RGR n. 551/06) vanno riuniti per evidente

connessione sia oggettiva che soggettiva.

Gli artt. 32 del D.P.R. n. 600/1973 e 51 del D.P.R. n. 633/1972, nn. 2), stabiliscono il diritto dell'ufficio

a richiedere al contribuente notizie e chiarimenti sugli elementi riscontrati nei conti bancari o postali e

a presumere che essi denuncino l'esistenza di ricavi o proventi non rilevati se il contribuente non

dimostra o l'avvenuto inserimento del dato in dichiarazione ovvero la sua non afferenza all'attività o

comunque a operazioni imponibili.

L'accertamento effettuato ex artt. 38 e 39 del D.P.R. n. 600/1973 poggia sull'equazione depositi

bancari e ricavi omessi e, non sussistendo a carico dell'ufficio l'onere di dimostrare la gravità, la

precisione e la concordanza, è il contribuente che deve provare la provenienza dei versamenti

dimostrando che essi sono estranei all'attività imprenditoriale o professionale, ovvero che si tratta di

dati già inseriti nella dichiarazione.

Nella fattispecie il contribuente non è stato in grado di giustificare in maniera plausibile alcuni

movimenti effettuati nel c/c per cui l'operato dell'ufficio deve essere ritenuto legittimo.

Relativamente al rilievo in materia di Iva riguardante la fattura n. 10 del 31 dicembre 2003 portante

come descrizione la dicitura "prestazioni occasionali" considerate da ... operazioni esenti, ai sensi

dell'art. 10, n. 18), del D.P.R. n. 633/1972, il Collegio osserva:

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L'art. 1 del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce che l'imposta sul valore aggiunto si applica sulle prestazioni

di servizi effettuate nell'esercizio d'impresa o di arti e professioni. I successivi artt. 4 e 5 del medesimo

decreto precisano che per l'esercizio d'impresa, arti e professioni si intende l'esercizio per professione

abituale, ancorché non esclusiva, rispettivamente di attività commerciali o di attività di lavoro

autonomo.

Dalle disposizioni citate si evince perciò che sono assoggettabili ad Iva solo le attività commerciali e di

lavoro autonomo svolte professionalmente, e cioè con carattere di stabilità e continuità, restandone

escluse quelle caratterizzate dalla occasionalità di esercizio.

Considerato però che nella fattispecie il contribuente invoca l'esenzione ex art. 10, n. 18), del D.P.R.

n. 633 non vi è dubbio che le prestazioni effettuate dovessero rientrare tra le attività mediche quindi,

non potevano essere prestazioni occasionali ma rientranti nell'attività di lavoro autonomo e, quindi,

assoggettabili ad Iva.

Chiarito che non poteva trattarsi di prestazioni occasionali ma di prestazioni rientranti nell'attività

professionale è necessario stabilire se potevano godere dell'esenzione ai sensi dell'art. 10.

Il n. 18) dell'art. 10 del D.P.R. n. 633 prevede l'esenzione dell'Iva per le "prestazioni mediche e

paramediche rese alla persona nell'esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza ai

sensi dell'art. 99 del testo unico delle leggi sanitarie approvato con R.D. n. 1265/1934".

Considerato che il momento dell'imposizione Iva coincide con l'emissione della fattura, è ovvio che

dalla fattura doveva emergere in maniera esaustiva la natura della prestazione effettuata per poterla

inquadrare tra le operazioni imponibili o esenti.

Dalla documentazione prodotta risulta che il contribuente ha effettuato prestazioni sanitarie per conto di un

collega nel corso dell'anno e che a fronte di dette prestazioni ha rilasciato unica fattura in data 31 dicembre.

Si deve presumere che in tale data gli sia stato pagato il compenso dato che la fattura deve essere emessa al

momento del pagamento ma egli in fattura avrebbe dovuto indicare in maniera dettagliata la natura delle

prestazioni e le date in cui sono state effettate e non limitarsi a riassumere il tutto con la dicitura "prestazioni

occasionali". L'operato dell'ufficio, pertanto, deve essere considerato corretto.

Sulla base di quanto dedotto i ricorsi devono essere rigettati e le spese compensate tra le parti tenuto

conto che il contribuente, non avendo l'obbligo di annotare le movimentazioni finanziarie, poteva non

ricostruire tutti i movimenti bancari.

P.Q.M. - la Commissione rigetta i ricorsi riuniti e dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio.

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STUDI DI SETTORE: LA DIFESA

L’ART. 62 SEXIES DEL D.L. 331/1993

GLI ACCERTAMENTI EFFETTUATI AI SENSI DELL'ART. 39, PRIMO COMMA, LETT. d) DEL DPR 600/1973

“POSSONO ESSERE FONDATI ANCHE SULL'ESISTENZA DI GRAVI INCONGRUENZE TRA I RICAVI, I COMPENSI ED I CORRISPETTIVI

DICHIARATI E QUELLI FONDATAMENTE DESUMIBILI DALLE CARATTERISTICHE E DALLE CONDIZIONI DI ESERCIZIO DELL'ATTIVITA'

SVOLTA, OVVERO DAGLI STUDI DI SETTORE ELABORATI AI SENSI DELL'ART. 62 BIS DEL PRESENTE DECRETO"

• PRESUNZIONI SEMPLICISSIME?

• PRESUNZIONI SEMPLICI QUALIFICATE?

• PRESUNZIONI LEGALI RELATIVE?

STUDI DI SETTOREQUESTIONE “IN DIRITTO”

SONO:

* Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Fiscale)

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Corte Costituzionale, sentenza n. 105del 1 aprile 2003

La Corte Costituzionale ha sinteticamente ma inequivocabilmente affermato che “i parametri prevedono un sistema basato su presunzione

semplice la cui idoneità probatoria è rimessa alla valutazione del Giudice di merito.

PRESUNZIONI SEMPLICI(QUALIFICATE)

IL PARERE DELLE ENTRATEIL PARERE DELLE ENTRATE

COSTITUISCE PRESUNZIONE GRAVE, PRECISA E CONCORDANTE, SU CUI

FONDARE L’ACCERTAMENTO, LO SCOSTAMENTO DEI RICAVI O

COMPENSI DICHIARATI RISPETTO A QUELLI ATTRIBUIBILI AL

CONTRIBUENTE SULLA BASE DELLO STUDIO DI SETTORE

CIRCOLARE 21/E DEL 07.06.2004 § 3

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Studi di settore: la difesa

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IL PARERE DELLE ENTRATEIL PARERE DELLE ENTRATE

“L’importo determinato in base agli studi di settore ha il valore di

presunzione relativa ed in presenza delle condizioni richieste dall’articolo

10 della Legge 146 del 1998 può essere, senz’altro, posto a base di

eventuali avvisi di accertamento senza che gli uffici siano tenuti a fornire

altre dimostrazioni in ordine alla motivazione della propria pretesa”.

CIRCOLARE 58/E/2004

STUDI DI SETTORE LA BASE

ART. 62 SEXIES D.L. 30/08/93 N° 331

• GRAVI INCONGRUENZE

• TRA I RICAVI, I COMPENSI E I CORRISPETTIVI DICHIARATI… E QUELLI FONDATAMENTE DESUMIBILI DAGLI STUDI DI SETTORE

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CASSAZIONECASSAZIONE: SENTENZA N° 2891 DEL 27/2/2002

Nel consentire all’Ufficio di ricostruire l’esistenza di attività non dichiarate attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, precisa che:

“… questo valore possono assumere, se confortate da altri indizi le difformità delle percentuali applicati in concreto rispetto a quelle mediamente riscontrate nel settore di appartenenza, emergenti dastudi di settore, quando vi sia uno scostamento che renda del tutto non credibile il risultato della dichiarazione”.

Cassazione, sentenza n. 19163del 15 dicembre 2003

“la flessibilità degli strumenti presuntiv i trova origine e fondamento proprio nell’articolo 53 della Costituzione, non potendosi ammettere che il reddito venga determinato in maniera automatica, a prescindere da quella che è la capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica. Ogni sforzo, quindi, va compiuto per indiv iduare la reale capacità contributiva del soggetto, pur tenendo presente l’importantissimo ausilio che può derivare dagli strumenti presuntivi, che non possono però avere effetti automatici, che sarebbero contrastanti con il dettato costituzionale, ma che richiedono un confronto con la situazione concreta (confronto che può essere anche vincente per gli strumenti presuntiv i allorché i dati forniti dal contribuente risultano inattendibili)”,

PRESUNZIONI SEMPLICI(QUALIFICATE)

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Studi di settore: la difesa

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Cassazione, sentenza n. 19163del 15 dicembre 2003

PRESUNZIONI SEMPLICI(QUALIFICATE)

“lo stesso legislatore dello Statuto del contribuente, nel prevedere all’articolo 12, comma 7 (che si pone come norma generale), un tendenziale necessario contraddittorio anticipato attraverso il quale il contribuente possa fornire dati e richieste che l’Ufficio ha l’obbligo di valutare, conferma indiscutibilmente l’esigenza che l’accertamento venga calibrato sempre al caso concreto, sulla base di una conoscenza più approfondita della situazione verificata”, e che perciò la prova dell’inapplicabilità dei parametri al caso concreto “non deve avere necessariamente collegamenti con dati documentali … ma può essere costituita, in assenza di indicazioni normative specifiche contrarie, anche da presunzioni che il Giudice nel suo prudente apprezzamento va a configurare e a valutare”.

C.T.P. Macerata, sentenza 63/3/03 del 30 dicembre 2003Ad avviso dei giudici marchigiani, l’Ufficio si era “limitato a prendere atto dello scostamento tra il dichiarato e quanto risultante dallo studio di settore, senza motivare ulteriormente e senza specificare in base a quali elementi specifici fosse giunto al calcolo dei ricavi attribuibili alla ricorrente”.“In questo modo” – si legge nella sentenza – “l’Ufficio non ha pienamente garantito al contribuente il diritto al contraddittorio nella successiva fase contenziosa e non ha posto questo Collegio in grado di valutare appieno la fattispecie permettendogli di conoscere i vari elementi di incoerenza o incongruenza, contenuti in una documentazione in possesso dell’Ufficio, ma non depositata agli atti”.

RECEPIMENTO “ACRITICO”RISULTATO STUDI DI SETTORE

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C.T.P. Macerata, sentenza 36/2005La Cassazione, sentenza n. 2891/2002, ha chiaramente affermato che per poter applicare la norma di cui all’articolo 39 comma 1 lettera d) del DPR 600/73 non è sufficiente l’applicazione automatica o aritmetica delle risultanze dello studio di settore proprio dell’attiv ità operata dal contribuente, ma occorre che tali elementi siano confortati da altri indizi, che rendano giustif icato lo scostamento del reddito presunto dallo studio stesso, ove il contribuente fornisca elementi da cui si può trarre la dimostrazione che la sua attività si discosta dalla rigida previsione di quello studio inteso nella sua astratta configurazione.Se è vero che la Cassazione, con sentenza n. 17038/2002, ha affermato che lo studio d i settore può essere utilizzato per la ricostruzione del reddito del contribuente, tuttavia occorre che l’ufficio dimostri come sia stato previamente accertato che esistano “gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attiv ità svolta”.

STUDI DI SETTORE

C.T.P. Milano, sentenza del 13 aprile 2005

L’esistenza di “gravi incongruenze” deve essere espressamente affermata ed adeguatamente motivata nell’avviso di accertamento e, ovviamente, non soltanto facendo riferimento all’importo dei ricavi “non dichiarati” perché l’anzidetto importo isolatamente considerato, avrebbe scarsissima rilevanza.Per la sussistenza di “gravi” incongruenze, a parere di questo Collegio, l’importo dei ricavi non dichiarati rispetto sia a quelli dichiarati sia a quelli determinabili in via presuntiva, non dovrebbe essere inferiore al 25/30 per cento.

STUDI DI SETTORE

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Studi di settore: la difesa

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STUDI DI SETTORE

C.T.P. Vercelli, sezione III, sentenza 44 del 20 aprile 2006(dep. Il 25/5/06)

Ferma restando la legittimità dell’azione accertatrice svolta, lo scostamento tra il quantum dichiarato ed il quantum ipotizzato trova, nel caso di specie, un limite nella mancata prova, da parte dell’ufficio, della maggiore pretesa azionata dal meccanismo dello studio di settore posto ad esclusiva prova sostanziale della pretesa, laddove detti studi non costituiscono un criterio imprescindibile per la determinazione dei ricavi e dei redditi, in quanto suscettibili di approfondimento mediante una puntuale e più specifica indagine accertativa. In buona sostanza, nell’atto di accertamento non si rinviene alcuna traccia della dimostrazione di adeguatezza del risultato ottenuto dall’applicazione dello studio di settore, né della dimostrazione della dichiarata insufficienza, da parte dell’ufficio, delle giustificazioni formulate dal contribuente per un eventuale accertamento con adesione.

STUDI DI SETTORESTUDI DI SETTORE

C.T.P. Vercelli, sezione III, sentenza 44 del 20 aprile 2006(dep. Il 25/5/06)

E’ pacifico che gli uffici finanziari devono sempre adeguare il risultato degli studi di settore alla concreta e particolare situazione dell’impresa ed è altrettanto pacifico che gli uffici devono sempre attentamente valutare le osservazioni formulate dal contribuente e motivare sia l’accoglimento che il rigetto delle stesse, contrariamente a quanto si è verificato nel caso di specie. In conclusione, nell’atto di accertamento non risulta evidenziato, come sarebbe stato necessario, se siano state eseguite le opportune valutazioni in ordine sia alla congruità dei ricavi che alla coerenza degli indicatori economici utilizzati, per cui manca la prova dimostrativa, ad esempio, di una mancanza di coerenza dovuta a comportamenti irregolari del contribuente, oppure dovute ad insufficienze di gestione o a riscontrati componenti di costo non contabilizzati.

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STUDI DI SETTORESTUDI DI SETTORE

C.T.P. Vicenza, sezione IV, sentenza 234/4/06 del 1/8/2006

Tale norma impone che nell’avviso di accertamento, oltre ai r icavi determinabili sulla base degli studi di settore, sia soprattutto affermata e motivata l’esistenza di “gravi incongruenze” tra i r icavi dichiarati e quelli determinabili mediante l’applicazione degli studi di settore. Nel caso in esame, l’agenzia delle entrate si è limitata ad evidenziare il reddito imponibile dichiarato, pari a lire 20.161.000, ed il reddito imponibile di riferimento, pari a lire 51.913.000, con una differenza di lire 31.752.000, ma non ha né affermato né mot ivato l’esistenza di “gravi incongruenze”.L’impugnato avviso di accertamento è quindi illegittimo per insufficiente motivazione perché prescinde dal requisito richiesto dalla legge, “l’esistenza di gravi incongruenze”, tra i ricavi dichiarati e quelli determinabili mediante l’applicazione degli studi di settore.

STUDI DI SETTORESTUDI DI SETTORE

C.T.P. Vicenza, sezione IV, sentenza 234/4/06 del 1/8/2006In punto, questa Commissione rileva che l’attiv ità di ristorazione fu esercitata in un locale, assunto in locazione, situato in comune di …., frazione di …., zona collinare di circa 500 metri di altitudine, con una popolazione di circa 400 unità, costituita da pochi giovani, raggiungibile mediante una strada percorribile normalmente nella buona stagione. L’attività di ristorazione, chiusa da un paio d’anni in dipendenza di fallimento veniva soprattutto svolta dalla ricorrente nel periodo primaverile ed estivo, in quanto nelle altre stagioni la frequenza dei clienti era pressoché nulla o comunque subordinata alle condizioni atmosferiche ed al difficile raggiungimento del locale.

Ciò ha indotto la ricorrente, che conduceva l’attiv ità con la collaborazione dei genitori, dapprima ad applicare prezzi in misura inferiore a quelli indicati dalla Confcommercio, e successivamente (31.08.2003) a cedere l’attiv ità a seguito di mancati guadagni attesi (v. doc. 10). Tali eventi non sono contestati dall’ufficio.

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Studi di settore: la difesa

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STUDI DI SETTORESTUDI DI SETTORE

C.T.P. Vicenza, sezione IV, sentenza 282/4/06 del 17/8/2006L’accertamento del reddito imponibile del contribuente attraverso gli studi di settore non esime l’amministrazione finanziaria dalla scrupolosa osservanza dell’implicito divieto sanzionato dall’articolo 53 della Costituzione di determinare il reddito imponibile prescindendo dall’effettiva capacità contributiva del soggetto verificato. Ne consegue che l’utilizzo di presunzioni, ammissibile se sussistano la gravità, la precisione e la concordanza, non è sufficiente allorché l’amministrazione finanziaria non abbia fornito e documentato ulteriori elementi presuntivi o probatori necessari per appurare le condizioni di reale esercizio dell’attività aziendale (nel caso in esame, esercente l’attività di fabbricazione di oggetti in ferro, rame ed altri metalli e relativi lavori di riparazione) e di quantificare che i maggiori ricavi stimati e determinati presuntivamente, corrispondano incontrovertibilmente a quelli effettivi <Corte Costituzionale: ordinanza n. 140/2003>.La forza probatoria di tale accertamento, proprio a causa della sua conformazione, se non supportato da altre argomentazioni, è carente. Gli studi di settore, se non corroborati da una analisi della contabilità, non possono certificare e rendere valido l’intervento dell’agenzia delle entrate (CTR. per il Piemonte: sent. n° 27/26/06 depositata in segreteria il 19.07.2006).

STUDI DI SETTORE

C.T.P. Vicenza, sezione IV, sentenza 282/4/06 del 17/8/2006La parte ricorrente, in punto, ha dato prova che il maggiore reddito imponibile, presuntivamente determinato dall’agenzia delle entrate, ufficio di Vicenza 1, non corrisponde a quello effettivo, in quanto:- l’attività espletata ha carattere meramente manuale (=produzione di oggetti di ottone) e, di conseguenza, non può produrre il medesimo quantitativo di prodotti finiti di altre attività svolte con mezzi meccanici;- l’attività è prettamente manuale e richiede una abilità fisica, sia per quanto concerne lo sforzo che l’agilità , ora non strettamente correlata all’età del contribuente (data di nascita: 03.10.1943);- l’uso di beni strumentali vetusti ed obsoleti.Tutti eventi non contrastati dall’ufficio.Non esiste, nel caso in esame, uno scarto significativo tra i ricavi contabili (=euro 98.886,00), i ricavi minimi (=euro 94.497,00) ed i ricavi “puntuali” (=euro 127.711,00) riscontrati nel settore merceologico di appartenenza <v. a pag. 2 del ricorso introduttivo; in punto, la CTP. di Milano (sez. VIII: sent. 13.04.2005) ritiene quantitativamente rilevante uno scostamento tra i ricavi teorici e quelli dichiarati nell’intorno del 25-30% circa>.

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STUDI DI SETTORESTUDI DI SETTORE

C.T.P. Milano, sezione VIII, sentenza n. 60 del 18/04/2005La “grave incongruenza” dei ricavi va specificatamente motivata

La norma che disciplina l’applicazione degli studi di settore impone che nell’avviso di accertamento, oltre ai ricavi determinabili sulla base dell’automatismo, venga indicato anche l’ammontare dei ricavi dichiarati dal contribuente, ma soprattutto che venga affermata e motivata l’esistenza di “gravi incongruenze” tra i ricavi dichiarati e quelli determinabili con gli studi di settore: nel caso di specie l’Agenzia si è limitata ad evidenziare i ricavi ma non ha né affermato né motivato l’esistenza delle “gravi incongruenze”. L’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sugli studi di settore deriva quindi dalla sua insufficiente motivazione perché prescinde dal requisito richiesto dalla legge, ossia l’esistenza di “gravi incongruenze” tra i ricavi dichiarati e quelli determinabili con gli studi di settore.

“FONTE IL SO LE 24 ORE”

STUDI DI SETTORESTUDI DI SETTORE

C.T.P. Macerata, sezione III, sentenza n. 36 del 17/05/2005La “grave incongruenza” deve essere ancorata alla realtà dell’attività economica.

La giurisprudenza di legittimità (Cassazione 2891/2002) ha affermato che non è sufficiente l’applicazione automatica o aritmetica delle risultanze dello studio di settore, ma occorre che tali elementi siano confortati da altri indizi che rendano giustificato lo scostamento del reddito desunto dallo studio stesso, ove il contribuente fornisca elementi da cui si può trarre la dimostrazione che la sua attività si discosta dalla rigida previsione di quello studio nella sua astratta configurazione. La dimostrazione dello scostamento tra i redditi dichiarati e i redditi accertati non può dunque trovare la fonte in dati aritmetici, astratti o meramente presuntivi ma deve essere ancorata alla realtà della singola ditta, che rilevi elementi obiettivi sintomatici di una grave incongruenza della sua dichiarazione. Lo studio di settore costituisce un utile parametro per l’accertamento del maggior reddito ma solo in concorso con la dimostrata grave incongruenza che rappresenta la ragione per cui si ricorre allo studio di settore. Quando l’attività del contribuente è contrassegnata da una sicura crisi, per dimostrare lo scostamento occorrono elementi di sicura affidabilità logica che possano far desumere l’infedeltà della dichiarazione.

“FONTE IL SO LE 24 ORE”

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Studi di settore: la difesa

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STUDI DI SETTORESTUDI DI SETTORE

C.T.P. Verbania, sezione I, sentenza n. 11 del 4/02/2005Lo stato prefallimentare può non giustificare la non

congruità agli strumenti di accertamentoLo stato prefallimentare della società nell’anno d’imposta considerato ai fini dell’accertamento che ha condotto inevitabilmente alla dichiarazione di fallimento meno di un anno e mezzo dopo, costituisce ragione principale se non esclusiva del mancato raggiungimento della soglia indicata dagli studi di settore. Ciò anche in considerazione del fatto che lo stato di insolvenza consiste nell’impossibilità di soddisfare i debiti e costituisce un quid più grave del momentaneo stato di liquidità. Nel caso di specie era stato dimostrato che il fallimento era dovuto al mancato incasso di crediti, debitamente documentato nella relazione del curatore, che avrebbe consentito di eguagliare gli standard stabiliti dagli studi di settore con riguardo a imprese normalmente operanti.

“FONTE IL SO LE 24 ORE”

STUDI DI SETTORE

C.T.P. Brescia, sezione VII, sentenza n. 18 del 28/04/2005

La fase di start up conferma la validità del reddito dichiaratoGli studi di settore offrono soluzioni sempre più accettate e condivise e rappresentano presunzioni gravi alle quali il contribuente può opporre una diversa realtà dei fatti, fornendone le prove. Nel caso in esame questi ha fornito la prova della non attendibilità degli studi di settore in quanto l’attività è cominciata solo cinquanta giorni prima dell’anno oggetto di verifica.

“FONTE IL SO LE 24 ORE”

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STUDI DI SETTORESTUDI DI SETTORE

C.T.P. Gorizia, sezione II, sentenza n. 60 del 2/02/2005Studi inapplicabili se l’attività cessa al 31 dicembre

Gli studi di settore non possono essere applicati nell’anno di cessazione dell’attività, come prevede la legge, anche se la cessazione avviene nell’ultimo giorno del periodo d’imposta. Peraltro, il contribuente nell’ultimo periodo dell’anno di accertamento ha eseguito una vendita di liquidazione degli articoli trattati per cessazione dell’attività, in relazione alla conseguente cessione del relativo ramo d’azienda: nello stesso periodo, inoltre, la capacità lavorativa del contribuente era notevolmente ridotta a causa del suo avanzato stato di gravidanza.

“FONTE IL SO LE 24 ORE”

STUDI DI SETTORESTUDI DI SETTORE

C.T.P. Gorizia, sezione II, sentenza n. 106 del 29/08/2005

Dalle ragioni “logiche” del contribuente la confutazione degli studiPur nella r iconosciuta validità e legittimità degli studi di settore va sottolineato che si tratta pur sempre di un meccanismo presunt ivo di determinazione del reddito. Vanno dunque prese in considerazione le ragioni del contribuente ravvisabili in situazioni quali l’apertura di una ditta concorrente più grande e più moderna, l’ incidenza della grande distribuzione nei confronti delle microimprese, la ridotta dimensione dell’ impresa che non consente polit iche commerciali di acquisto vantaggiose con conseguente ridotto margine di guadagno, l’acquisto di un immobile con la conseguente ricaduta sulla politica dei prezzi, che rappresentano dei ragionamenti logici in grado di confutare le conclusioni cui giungono gli studi di settore

“FONTE IL SO LE 24 ORE”

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Studi di settore: la difesa

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STUDI DI SETTORESTUDI DI SETTORE

C.T.P. Bari, sezione XIV, sentenza 36/14/06 del 22 febbraio 2006Deve ritenersi viziato nella corretta applicazione degli studi di settore

l’accertamento di maggiore reddito di impresa basato sullo scostamento dei ricavi dovuto a grave infortunio sul lavoro che l’ufficio avrebbe dovuto tener presente mediante l’utilizzo di quei fattori interni ed esterni in grado di determinare la riduzione della capacità produttiva di ricavi onde pervenire a una efficace valutazione della effettiva situazione economica del contribuente, secondo l’insegnamento della Corte di cassazione.

CASSAZIONECASSAZIONE: SENTENZA N° 17229 DEL 28/7/2006

A fronte di tale precisa valutazione la ricorrente amministrazione finanziaria si è limitata a riaffermare che gli studi di settore utilizzati riguarderebbero la specifica realtà nella quale s’inserisce l’azienda. Si tratta, pertanto, di affermazioni generiche e, quindi, inidonee a contestare l’accertamento dei fatti operato dal giudice di merito e la logicità della sua valutazione dei fatti accertati. Né, data la natura di atti amministrativi generali di organizzazione, rivestita dagli studi di settore previsti dall’articolo 62 bis D.L. 30 agosto 1993, n° 321, convertito in legge 29 ottobre 1993, n° 427, li si possono considerare sufficienti perché l’ufficio tributario operi l’accertamento di un rapporto giuridico tributario di specie ultima, senza che l’attività istruttoria ammin istrativa sia completata nel rispetto del principio generale del giusto procedimento, cioè consentendo al contribuente, ai sensi dell’articolo 12.7 legge 27 luglio 2000, n° 212, di intervenire già in sede procedimentale amministrativa, prima di essere costretto ad adire il giudice tributario, di vincere la mera praesumptio hominis costituita dagli studi di settore. Risulta, infatti, sia dalla descrizione sommaria dei fatti di causa effettuata dalla ricorrente nel suo ricorso per Cassazione sia dalla sentenza impugnata che, nella fase procedimentale amministrativa che va dalla dichiarazione tributaria all’avviso di accertamento, tra ufficio tributario e contribuente non s’è svolto alcun contraddittorio, cosicché è vano invocare uno studio di settore, che ha struttura oggettiva e soggettiva categoriale e, quindi, di genere, come strumento idoneo a regolare, di per sé, un caso di specie ultima.

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LE NORME SUGLI STUDI DI SETTORE DOPO LA FINANZIARIA 2007 a cura di Duilio Liburdi*

Articolo 1, commi 13- 27 legge finanziaria 2007

13. 1. Dopo l’articolo 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146, è inserito il seguente:

«Art. 10-bis. – (Modalità di revisione ed aggiornamento degli studi di settore). 1. Gli studi di settore previsti all’articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331,

convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e successive

modificazioni, sono soggetti a revisione, al massimo, ogni tre anni dalla data di entrata in

vigore dello studio di settore ovvero da quella dell’ultima revisione, sentito il parere della

commissione di esperti di cui all’articolo 10, comma 7. Nella fase di revisione degli studi di

settore si tiene anche conto dei dati e delle statistiche ufficiali, quali quelli di contabilità

nazionale, al fine di mantenere, nel medio periodo, la rappresentatività degli stessi rispetto

alla realtà economica cui si riferiscono. La revisione degli studi di settore è programmata con

provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate da emanare entro il mese di febbraio

di ciascun anno.

2. Ai fini dell’elaborazione e della revisione degli studi di settore si tiene anche conto di

valori di coerenza, risultanti da specifici indicatori definiti da ciascuno studio, rispetto a

comportamenti considerati normali per il relativo settore economico».

14. 2. Fino alla elaborazione e revisione degli studi di settore previsti dall’articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e successive modificazioni, che tengono conto degli indicatori di coerenza di cui al comma 2 dell’articolo 10-bis della legge 8 maggio 1998, n. 146, introdotto dal comma 13, con effetto dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2006, ai sensi dell’articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1999, n. 195, si tiene altresì conto di specifici indicatori di normalità economica, di significativa rilevanza, idonei alla individuazione di ricavi, compensi e corrispettivi fondatamente attribuibili al contribuente in relazione alle caratteristiche e alle condizioni di esercizio della specifica attività svolta. Ai fini della relativa approvazione non si applica la disposizione di cui all’articolo 10, comma 7, secondo periodo, della legge 8 maggio 1998, n. 146. Si applicano le disposizioni di cui al comma 4-bis dell’articolo 10 della medesima legge.

15. 3. Il comma 399 dell’articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, è abrogato.

16. 4. Il comma 4 dell’articolo 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente: «4. La disposizione del comma 1 del presente articolo non si applica nei confronti dei contribuenti: a) che hanno dichiarato ricavi di cui all’articolo 85, comma 1, esclusi quelli di cui alle lettere c), d) ed e), o compensi di cui all’articolo 54, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, di ammontare superiore al limite stabilito per ciascuno studio di settore dal relativo decreto di approvazione del Ministro dell’economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale. Tale limite non può, comunque, essere superiore a 7,5 milioni di euro;

* Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Fiscale)

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Le norme sugli studi di settore dopo la Finanziaria 2007

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b) che hanno iniziato o cessato l’attività nel periodo d’imposta. La disposizione di cui al

comma 1 si applica comunque in caso di cessazione e inizio dell’attività, da parte dello

stesso soggetto, entro sei mesi dalla data di cessazione, nonché quando l’attività costituisce

mera prosecuzione di attività svolte da altri soggetti;

c) che si trovano in un periodo di non normale svolgimento dell’attività».

17. 4-bis. All’articolo 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146, dopo il comma 4, è inserito il

seguente:

«4-bis. Le rettifiche sulla base di presunzioni semplici di cui all’articolo 39, primo comma,

lettera d), secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,

n. 600, e all’articolo 54, secondo comma, ultimo periodo, del decreto del Presidente della

Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, non possono essere effettuate nei confronti dei

contribuenti che dichiarino, anche per effetto dell’adeguamento, ricavi o compensi pari o

superiori al livello della congruità, ai fini dell’applicazione degli studi di settore di cui

all’articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni,

dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, tenuto altresì conto dei valori di coerenza risultanti

dagli specifici indicatori, di cui all’articolo 10-bis, comma 2, della presente legge, qualora

l’ammontare delle attività non dichiarate, con un massimo di 50.000 euro, sia pari o inferiore

al 40 per cento dei ricavi o compensi dichiarati. Ai fini dell’applicazione della presente

disposizione, per attività, ricavi o compensi si intendono quelli indicati al comma 4, lettera

a). In caso di rettifica, nella motivazione dell’atto devono essere evidenziate le ragioni che

inducono l’ufficio a disattendere le risultanze degli studi di settore in quanto inadeguate a

stimare correttamente il volume di ricavi o compensi potenzialmente ascrivibili al

contribuente. La presente disposizione si applica a condizione che non siano irrogabili le

sanzioni di cui ai commi 2-bis e 4-bis rispettivamente degli articoli 1 e 5 del decreto

legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, nonché al comma 2-bis dell’articolo 32 del decreto

legislativo 15 dicembre 1997, n. 446».

18. 5. Le disposizioni di cui ai commi 4 e 4-bis dell’articolo 10 della legge 8 maggio 1998,

n. 146, come modificate e introdotte rispettivamente dai commi 16 e 17 del presente

articolo, hanno effetto a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data del 1º gennaio

2007, ad esclusione di quelle previste alla lettera b) del comma 4 del citato articolo 10 che

hanno effetto dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2006.

19. 6. Nei confronti dei contribuenti titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo, per i quali non si rendono applicabili gli studi di settore, sono individuati specifici indicatori di normalità economica, idonei a rilevare la presenza di ricavi o compensi non dichiarati ovvero di rapporti di lavoro irregolare. Ai medesimi fini, nelle ipotesi di cessazione dell’attività, di liquidazione ordinaria ovvero di non normale svolgimento dell’attività, può altresì essere richiesta la compilazione del modello, allegato alla dichiarazione, previsto per i soggetti cui si applicano gli studi di settore.

20. 7. Per i soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, con riferimento al primo periodo d’imposta di esercizio dell’attività, sono definiti appositi indicatori di coerenza per la individuazione dei requisiti minimi di continuità della stessa, tenuto conto delle caratteristiche e delle modalità di svolgimento della attività medesima.

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21. 8. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da adottare entro il 28

febbraio 2007, sono approvati gli indicatori di cui al comma 20, anche per settori

economicamente omogenei, da applicare a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31

dicembre 2006.

22. 9. Sulla base di appositi criteri selettivi è programmata una specifica attività di controllo nei

confronti dei soggetti che risultano incoerenti per effetto dell’applicazione degli indicatori di

cui al comma 20.

23. 10. All’articolo 10, comma 1, della legge 8 maggio 1998, n. 146, sono apportate le seguenti

modificazioni:

a) le parole: «con periodo d’imposta pari a dodici mesi e» sono soppresse;

b) sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «qualora l’ammontare dei ricavi o compensi

dichiarati risulta inferiore all’ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli

studi stessi».

24. 11. Le disposizioni di cui al comma 1 dell’articolo 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146,

come modificate dal comma 23, limitatamente alla lettera a), hanno effetto a decorrere dal

periodo d’imposta in corso al 1º gennaio 2007.

25. 12. All’articolo 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, dopo il comma 2 è

inserito il seguente:

«2-bis. La misura della sanzione minima e massima di cui al comma 2 è elevata del 10 per

cento nelle ipotesi di omessa o infedele indicazione dei dati previsti nei modelli per la

comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, nonché nei casi

di indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non sussistenti.

La presente disposizione non si applica se il maggior reddito d’impresa ovvero di arte o

professione, accertato a seguito della corretta applicazione degli studi di settore, non è

superiore al 10 per cento del reddito d’impresa o di lavoro autonomo dichiarato».

26. 13. All’articolo 5 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, dopo il comma 4 è

inserito il seguente:

«4-bis. La misura della sanzione minima e massima di cui al comma 4 è elevata del 10 per

cento nelle ipotesi di omessa o infedele indicazione dei dati previsti nei modelli per la

comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, nonché nei casi

di indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non sussistenti.

La presente disposizione non si applica se la maggiore imposta accertata o la minore

imposta detraibile o rimborsabile, a seguito della corretta applicazione degli studi di settore,

non è superiore al 10 per cento di quella dichiarata».

27. 14. All’articolo 32 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, dopo il comma 2 è

inserito il seguente:

«2-bis. La misura della sanzione minima e massima di cui al comma 2 è elevata del 10 per cento

nelle ipotesi di omessa o infedele indicazione dei dati previsti nei modelli per la comunicazione

dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, nonché nei casi di indicazione di

cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non sussistenti. La presente

disposizione non si applica se il maggior imponibile, accertato a seguito della corretta

applicazione degli studi di settore, non è superiore al 10 per cento di quello dichiarato».

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Le norme sugli studi di settore dopo la Finanziaria 2007

83

Le norme modificate con la Finanziaria 2007

Articolo 10 Modalità di utilizzazione degli

studi di settore in sede di accertamento.

1. Gli accertamenti basati sugli studi di settore, di

cui all'articolo 62-sexies del decreto-legge 30

agosto 1993, n. 331, convertito, con

modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n.

427, sono effettuati nei confronti dei contribuenti

con periodo d'imposta pari a dodici mesi e con le

modalità di cui al presente articolo.

2. (Comma abrogato)

3. (Comma abrogato)

3-bis. Nelle ipotesi di cui al comma 1 l'ufficio,

prima della notifica dell'avviso di accertamento,

invita il contribuente a comparire, ai sensi

dell'articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno

1997, n. 218.

3-ter. In caso di mancato adeguamento ai ricavi

o compensi determinati sulla base degli studi di

settore, possono essere attestate le cause che

giustificano la non congruità dei ricavi o

compensi dichiarati rispetto a quelli derivanti

dall'applicazione degli studi medesimi. Possono

essere attestate, altresì, le cause che giustificano

un'incoerenza rispetto agli indici economici

individuati dai predetti studi. Tale attestazione è

rilasciata, su richiesta dei contribuenti, dai

soggetti indicati alle lettere a) e b) del comma 3

dell'articolo 3 del regolamento di cui al decreto

del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n.

322, abilitati alla trasmissione telematica delle

dichiarazioni, dai responsabili dell'assistenza

fiscale dei centri costituiti dai soggetti di cui alle

Articolo 10 Modalità di utilizzazione degli

studi di settore in sede di accertamento.

1. Gli accertamenti basati sugli studi di settore, di

cui all'articolo 62-sexies del decreto-legge 30

agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni,

dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, sono effettuati

nei confronti dei contribuenti e con le modalità di

cui al presente articolo qualora l’ammontare

dei ricavi o compensi dichiarati risulta

inferiore all’ammontare dei ricavi o

compensi determinabili sulla base degli studi

stessi. (modifica in vigore dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2006)

2. (Comma abrogato)

3. (Comma abrogato)

3-bis. Nelle ipotesi di cui al comma 1 l'ufficio,

prima della notifica dell'avviso di accertamento,

invita il contribuente a comparire, ai sensi

dell'articolo 5 del decreto legislativo 19 giugno

1997, n. 218.

3-ter. In caso di mancato adeguamento ai ricavi o

compensi determinati sulla base degli studi di

settore, possono essere attestate le cause che

giustificano la non congruità dei ricavi o compensi

dichiarati rispetto a quelli derivanti dall'applicazione

degli studi medesimi. Possono essere attestate,

altresì, le cause che giustificano un'incoerenza

rispetto agli indici economici individuati dai predetti

studi. Tale attestazione è rilasciata, su richiesta dei

contribuenti, dai soggetti indicati alle lettere a) e

b) del comma 3 dell'articolo 3 del regolamento di

cui al decreto del Presidente della Repubblica 22

luglio 1998, n. 322, abilitati alla trasmissione

telematica delle dichiarazioni, dai responsabili

dell'assistenza fiscale dei centri costituiti dai

soggetti di cui alle lettere a), b) e c) dell'articolo

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lettere a), b) e c) dell'articolo 32, comma 1, del

decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e dai

dipendenti e funzionari delle associazioni di

categoria abilitati all'assistenza tecnica di cui

all'articolo 12, comma 2, del decreto legislativo

31 dicembre 1992, n. 546.

4. Le disposizioni del comma 1 del presente

articolo non si applicano nei confronti dei

contribuenti che hanno dichiarato ricavi di cui

all'articolo 53, comma 1, esclusi quelli di cui alla

lettera c), o compensi di cui all'articolo 50,

comma 1, del testo unico delle imposte sui

redditi, approvato con decreto del Presidente

della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e

successive modificazioni, di ammontare superiore

al limite stabilito per ciascuno studio di settore

dal relativo decreto di approvazione del Ministro

delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta

Ufficiale. Tale limite non può, comunque, essere

superiore a 10 miliardi di lire. Le citate

disposizioni non si applicano, altresì, ai

contribuenti che hanno iniziato o cessato l'attività

nel periodo d'imposta ovvero che non si trovano

in un periodo di normale svolgimento dell'attività.

5. Ai fini dell'imposta sul valore aggiunto,

all'ammontare dei maggiori ricavi o compensi,

determinato sulla base dei predetti studi di

settore, si applica, tenendo conto della esistenza

di operazioni non soggette ad imposta ovvero

soggette a regimi speciali, l'aliquota media

risultante dal rapporto tra l'imposta relativa alle

operazioni imponibili, diminuita di quella relativa

alle cessioni di beni ammortizzabili, e il volume

d'affari dichiarato.

32, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1997,

n. 241, e dai dipendenti e funzionari delle

associazioni di categoria abilitati all'assistenza

tecnica di cui all'articolo 12, comma 2, del decreto

legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.

4. La disposizione del comma 1 del presente

articolo non si applica nei confronti dei

contribuenti:

a) che hanno dichiarato ricavi di cui

all’articolo 85, comma 1, esclusi quelli di cui

alle lettere c), d) ed e), o compensi di cui

all’articolo 54, comma 1, del testo unico delle

imposte sui redditi, di cui al decreto del

Presidente della Repubblica 22 dicembre

1986, n. 917, e successive modificazioni, di

ammontare superiore al limite stabilito per

ciascuno studio di settore dal relativo decreto

di approvazione del Ministro dell’economia e

delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale. Tale limite non può, comunque,

essere superiore a 7,5 milioni di euro;

b) che hanno iniziato o cessato l’attività nel

periodo d’imposta. La disposizione di cui al

comma 1 si applica comunque in caso di

cessazione e inizio dell’attività, da parte

dello stesso soggetto, entro sei mesi dalla

data di cessazione, nonché quando l’attività

costituisce mera prosecuzione di attività

svolte da altri soggetti (modifica che ha effetto a partire dal periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2006); c) che si trovano in un periodo di non

normale svolgimento dell’attività

4-bis. Le rettifiche sulla base di presunzioni

semplici di cui all’articolo 39, primo comma,

lettera d), secondo periodo, del decreto del

Presidente della Repubblica 29 settembre

1973, n. 600, e all’articolo 54, secondo

comma, ultimo periodo, del decreto del

Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972,

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Le norme sugli studi di settore dopo la Finanziaria 2007

85

n. 633, non possono essere effettuate nei

confronti dei contribuenti che dichiarino,

anche per effetto dell’adeguamento, ricavi o

compensi pari o superiori al livello della

congruità, ai fini dell’applicazione degli studi

di settore di cui all’articolo 62-bis del decreto-

legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con

modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993,

n. 427, tenuto altresì conto dei valori di

coerenza risultanti dagli specifici indicatori, di

cui all’articolo 10-bis, comma 2, della

presente legge, qualora l’ammontare delle

attività non dichiarate, con un massimo di

50.000 euro, sia pari o inferiore al 40 per

cento dei ricavi o compensi dichiarati. Ai fini

dell’applicazione della presente disposizione,

per attività, ricavi o compensi si intendono

quelli indicati al comma 4, lettera a). In caso

di rettifica, nella motivazione dell’atto devono

essere evidenziate le ragioni che inducono

l’ufficio a disattendere le risultanze degli

studi di settore in quanto inadeguate a

stimare correttamente il volume di ricavi o

compensi potenzialmente ascrivibili al

contribuente. La presente disposizione si

applica a condizione che non siano irrogabili

le sanzioni di cui ai commi 2-bis e 4-bis rispettivamente degli articoli 1 e 5 del

decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471,

nonché al comma 2-bis dell’articolo 32 del

decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446

5. Ai fini dell'imposta sul valore aggiunto,

all'ammontare dei maggiori ricavi o compensi,

determinato sulla base dei predetti studi di settore,

si applica, tenendo conto della esistenza di

operazioni non soggette ad imposta ovvero

soggette a regimi speciali, l'aliquota media

risultante dal rapporto tra l'imposta relativa alle

operazioni imponibili, diminuita di quella relativa

alle cessioni di beni ammortizzabili, e il volume

d'affari dichiarato.

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6. I maggiori ricavi, compensi e corrispettivi,

conseguenti all'applicazione degli accertamenti di

cui al comma 1, ovvero dichiarati per effetto

dell'adeguamento di cui all'articolo 2 del

regolamento recante

disposizioni concernenti i tempi e le modalità di

applicazione degli studi di settore, di cui al

decreto del Presidente della Repubblica 31

maggio 1999, n. 195, non rilevano ai fini

dell'obbligo della trasmissione della notizia di

reato ai sensi dell'articolo 331 del codice di

procedura penale.

7. – 12 (omissis)

Articolo 37, comma 3 dl 223 /2006

Relativamente al primo periodo d’imposta per il quale il termine di presentazione della dichiarazione scade successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto , l’adeguamento alle risultanze degli studi di settore, ai sensi dell’articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1999, n. 195, può essere effettuato entro il predetto termine, alle condizioni e con le modalità ivi previste.

6. I maggiori ricavi, compensi e corrispettivi,

conseguenti all'applicazione degli accertamenti di

cui al comma 1, ovvero dichiarati per effetto

dell'adeguamento di cui all'articolo 2 del

regolamento recante

disposizioni concernenti i tempi e le modalità di

applicazione degli studi di settore, di cui al decreto

del Presidente della Repubblica 31 maggio 1999, n.

195, non rilevano ai fini dell'obbligo della

trasmissione della notizia di reato ai sensi

dell'articolo 331 del codice di procedura penale.

7. – 12 (omissis)

Articolo 37, comma 3 dl 223 /2006

Relativamente al primo periodo d’imposta per il quale il termine di presentazione della dichiarazione scade successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto , l’adeguamento alle risultanze degli studi di settore, ai sensi dell’articolo 2 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 maggio 1999, n. 195, può essere effettuato entro il predetto termine, alle condizioni e con le modalità ivi previste.

Articolo 10-bis Modalità di revisione ed aggiornamento degli studi di settore. (Introdotto dall’articolo 1,

comma 13, della legge Finanziaria 2007)

1. Gli studi di settore previsti all’articolo 62-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito,

con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e successive modificazioni, sono soggetti a

revisione, al massimo, ogni tre anni dalla data di entrata in vigore dello studio di settore ovvero da

quella dell’ultima revisione, sentito il parere della commissione di esperti di cui all’articolo 10, comma

7. Nella fase di revisione degli studi di settore si tiene anche conto dei dati e delle statistiche ufficiali,

quali quelli di contabilità nazionale, al fine di mantenere, nel medio periodo, la rappresentatività degli

stessi rispetto alla realtà economica cui si riferiscono. La revisione degli studi di settore è

programmata con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate da emanare entro il mese di

febbraio di ciascun anno.

2. Ai fini dell’elaborazione e della revisione degli studi di settore si tiene anche conto di valori di

coerenza, risultanti da specifici indicatori definiti da ciascuno studio, rispetto a comportamenti

considerati normali per il relativo settore economico

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Le norme sugli studi di settore dopo la Finanziaria 2007

87

Articolo 1, comma 14, della legge Finanziaria 2007 2. Fino alla elaborazione e revisione degli studi di settore previsti dall’articolo 62-bis del decreto-legge

30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, e

successive modificazioni, che tengono conto degli indicatori di coerenza di cui al comma 2 dell’articolo

10-bis della legge 8 maggio 1998, n. 146, introdotto dal comma 13, con effetto dal periodo d’imposta

in corso al 31 dicembre 2006, ai sensi dell’articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente

della Repubblica 31 maggio 1999, n. 195, si tiene altresì conto di specifici indicatori di normalità

economica, di significativa rilevanza, idonei alla individuazione di ricavi, compensi e corrispettivi

fondatamente attribuibili al contribuente in relazione alle caratteristiche e alle condizioni di esercizio

della specifica attività svolta. Ai fini della relativa approvazione non si applica la disposizione di cui

all’articolo 10, comma 7, secondo periodo, della legge 8 maggio 1998, n. 146. Si applicano le

disposizioni di cui al comma 4-bis dell’articolo 10 della medesima legge.

Articolo 1, commi 19- 22, legge Finanziaria 2007

19. Nei confronti dei contribuenti titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo, per i quali

non si rendono applicabili gli studi di settore, sono individuati specifici indicatori di normalità

economica, idonei a rilevare la presenza di ricavi o compensi non dichiarati ovvero di rapporti

di lavoro irregolare. Ai medesimi fini, nelle ipotesi di cessazione dell’attività, di liquidazione

ordinaria ovvero di non normale svolgimento dell’attività, può altresì essere richiesta la

compilazione del modello, allegato alla dichiarazione, previsto per i soggetti cui si applicano

gli studi di settore.

20. Per i soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a), del testo unico delle imposte sui

redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e

successive modificazioni, con riferimento al primo periodo d’imposta di esercizio dell’attività,

sono definiti appositi indicatori di coerenza per la individuazione dei requisiti minimi di

continuità della stessa, tenuto conto delle caratteristiche e delle modalità di svolgimento

della attività medesima.

21. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da adottare entro il 28 febbraio

2007, sono approvati gli indicatori di cui al comma 20, anche per settori economicamente

omogenei, da applicare a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2006.

22. Sulla base di appositi criteri selettivi è programmata una specifica attività di controllo nei

confronti dei soggetti che risultano incoerenti per effetto dell’applicazione degli indicatori di

cui al comma 20.

Le disposizioni in materia di sanzioni collegate agli studi di settore

IMPOSTE SUI REDDITI

Articolo 1, Dlgs. 471 del 1997

Violazioni relative alla dichiarazione delle imposte dirette

1. Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, si applica la sanzione

amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell'ammontare delle imposte dovute,

con un minimo di lire cinquecentomila. Se non sono dovute imposte, si applica la sanzione da lire

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cinquecentomila a lire due milioni. Essa può essere aumentata fino al doppio nei confronti dei soggetti

obbligati alla tenuta di scritture contabili.

2. Se nella dichiarazione è indicato, ai fini delle singole imposte, un reddito imponibile inferiore a

quello accertato, o, comunque, un'imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello

spettante, si applica la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della maggior imposta

o della differenza del credito. La stessa sanzione si applica se nella dichiarazione sono esposte indebite

detrazioni d'imposta ovvero indebite deduzioni dall'imponibile, anche se esse sono state attribuite in

sede di ritenuta alla fonte.

2-bis. La misura della sanzione minima e massima di cui al comma 2 è elevata del 10 per

cento nelle ipotesi di omessa o infedele indicazione dei dati previsti nei modelli per la

comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, nonché nei

casi di indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non

sussistenti. La presente disposizione non si applica se il maggior reddito d’impresa ovvero

di arte o professione, accertato a seguito della corretta applicazione degli studi di settore,

non è superiore al 10 per cento del reddito d’impresa o di lavoro autonomo dichiarato

3. Se le violazioni previste nei commi 1 e 2 riguardano redditi prodotti all'estero, le sanzioni sono

aumentate di un terzo con riferimento alle imposte o alle maggiori imposte relative a tali redditi.

4. Per maggiore imposta si intende la differenza tra l'ammontare del tributo liquidato in base

all'accertamento e quello liquidabile in base alle dichiarazioni, ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del

decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 , recante disposizioni comuni in

materia di accertamento delle imposte sui redditi.

IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO

Articolo 5 D.Lgs. 471 del 1997

Violazioni relative alla dichiarazione dell'imposta sul valore aggiunto e ai rimborsi

1. Nel caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale dell'imposta sul valore aggiunto si

applica la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell'ammontare del

tributo dovuto per il periodo d'imposta o per le operazioni che avrebbero dovuto formare oggetto di

dichiarazione. Per determinare l'imposta dovuta sono computati in detrazione tutti i versamenti

effettuati relativi al periodo, il credito dell'anno precedente del quale non è stato chiesto il rimborso,

nonché le imposte detraibili risultanti dalle liquidazioni regolarmente eseguite. La sanzione non può

essere comunque inferiore a lire cinquecentomila

2. Se l'omissione riguarda la dichiarazione mensile relativa agli acquisti intracomunitari, prescritta dall'

articolo 49, comma 1, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331 , convertito, con modificazioni, dalla

legge 29 ottobre 1993, n. 427, la sanzione è riferita all'ammontare dell'imposta dovuta per le

operazioni che ne avrebbero dovuto formare oggetto. In caso di presentazione della dichiarazione con

indicazione dell'ammontare delle operazioni in misura inferiore al vero, la sanzione è commisurata

all'ammontare della maggior imposta dovuta.

3. Se il soggetto effettua esclusivamente operazioni per le quali non è dovuta l'imposta, l'omessa

presentazione della dichiarazione è punita con la sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire

quattro milioni. La stessa sanzione si applica anche se è omessa la dichiarazione periodica o quella

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Le norme sugli studi di settore dopo la Finanziaria 2007

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prescritta dall' articolo 50, comma 4, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331 , convertito, con

modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, nel caso di effettuazione di acquisti intracomunitari

soggetti ad imposta ed in ogni altro caso nel quale non vi è debito d'imposta.

4. Se dalla dichiarazione presentata risulta un'imposta inferiore a quella dovuta ovvero un'eccedenza

detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante, si applica la sanzione amministrativa dal cento al

duecento per cento della differenza. Se la violazione riguarda la dichiarazione periodica si applica la

sanzione prevista dal comma 3

4-bis. La misura della sanzione minima e massima di cui al comma 4 è elevata del 10 per cento nelle

ipotesi di omessa o infedele indicazione dei dati previsti nei modelli per la comunicazione dei dati

rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, nonché nei casi di indicazione di cause di

esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non sussistenti. La presente disposizione non si

applica se la maggiore imposta accertata o la minore imposta detraibile o rimborsabile, a seguito della

corretta applicazione degli studi di settore, non è superiore al 10 per cento di quella dichiarata

5. Chi, in difformità della dichiarazione, chiede un rimborso non dovuto o in misura eccedente il dovuto, è

punito con sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della somma non spettante.

6. Chiunque, essendovi obbligato, non presenta una delle dichiarazioni di inizio, variazione o

cessazione di attività, previste nel primo e terzo comma dell' articolo 35 del decreto del Presidente

della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 , o la presenta con indicazioni incomplete o inesatte tali da

non consentire l'individuazione del contribuente o dei luoghi ove è esercitata l'attività o in cui sono

conservati libri, registri, scritture e documenti è punito con sanzione da lire un milione a lire quattro

milioni. La sanzione è ridotta ad un quinto del minimo se l'obbligato provvede alla regolarizzazione

della dichiarazione presentata nel termine di trenta giorni dall'invito dell'ufficio.

IRAP

Articolo 32 D.Lgs. 446 del 1997 Violazioni relative alla dichiarazione

1. Nel caso di omessa presentazione della dichiarazione, si applica la sanzione amministrativa dal

centoventi al duecentoquaranta per cento dell'ammontare dell'imposta dovuta, con un minimo di lire

cinquecentomila. Se non è dovuta imposta, si applica la sanzione da lire cinquecentomila a lire due milioni.

2. Se nella dichiarazione è indicato un imponibile inferiore a quello accertato o, comunque, un'imposta

inferiore a quella dovuta, si applica la sanzione amministrativa da una a due volte l'ammontare della

maggiore imposta dovuta.

2-bis. La misura della sanzione minima e massima di cui al comma 2 è elevata del 10 per cento nelle

ipotesi di omessa o infedele indicazione dei dati previsti nei modelli per la comunicazione dei dati

rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore, nonché nei casi di indicazione di cause di

esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non sussistenti. La presente disposizione non si

applica se il maggior imponibile, accertato a seguito della corretta applicazione degli studi di settore,

non è superiore al 10 per cento di quello dichiarato

3. Per maggiore imposta si intende la differenza tra l'ammontare del tributo liquidato in base

all'accertamento e quello liquidabile in base alla dichiarazione ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del

decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 , come sostituiti dall'articolo 13,

comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241.

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DPR n. 195 del 31 maggio 1999 Disposizioni applicative in materia di studi di settore

Articolo 1 Applicazione degli studi di settore

1. Le disposizioni previste nell' articolo 10, commi da 1 a 6, della legge 8 maggio 1998, n. 146, si

applicano a partire dagli accertamenti relativi al periodo d'imposta nel quale entrano in vigore gli

studi di settore. Tali disposizioni si applicano anche nel caso in cui gli studi di settore siano

pubblicati nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 marzo del periodo d'imposta successivo a quello di

entrata in vigore.

2. Le disposizioni di cui all' articolo 10, comma 8, della citata legge n. 146 del 1998, si applicano a

decorrere dal periodo di imposta successivo a quello di entrata in vigore degli studi.

Articolo 2 Adeguamento alle risultanze degli studi di settore

1. Per i periodi d'imposta in cui trova applicazione lo studio di settore, ovvero le modifiche conseguenti

alla revisione del medesimo, non si applicano sanzioni e interessi nei confronti dei contribuenti che

indicano nelle dichiarazioni di cui all' articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della

Repubblica 22 luglio 1998, n. 322 , e successive modificazioni, ricavi o compensi non annotati nelle

scritture contabili per adeguare gli stessi, anche ai fini dell'imposta regionale sulle attività produttive, a

quelli derivanti dall'applicazione dei predetti studi di settore.

2. Per i medesimi periodi d'imposta di cui al comma 1, l'adeguamento al volume di affari risultante

dalla applicazione degli studi di settore è operato, ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, senza

applicazione di sanzioni e interessi, effettuando il versamento della relativa imposta entro il termine

del versamento a saldo dell'imposta sul reddito; i maggiori corrispettivi devono essere annotati, entro

il suddetto termine, in un'apposita sezione dei registri di cui agli articoli 23 e 24 del decreto del

Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 , e successive modificazioni, e riportati nella

dichiarazione annuale

2-bis. L'adeguamento di cui ai commi 1 e 2 è effettuato, per i periodi d'imposta diversi da quello in

cui trova applicazione per la prima volta lo studio, ovvero le modifiche conseguenti alla revisione del

medesimo, a condizione che sia versata, entro il termine per il versamento a saldo dell'imposta sul

reddito, una maggiorazione del 3 per cento, calcolata sulla differenza tra ricavi o compensi derivanti

dall'applicazione degli studi e quelli annotati nelle scritture contabili. La maggiorazione non è dovuta

se la predetta differenza non è superiore al 10 per cento dei ricavi o compensi annotati nelle

scritture contabili

Articolo 3 Comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore

1. Con i decreti di approvazione degli studi di settore sono stabiliti i termini e le modalità con cui i

contribuenti comunicano all'amministrazione finanziaria i dati rilevanti ai fini dell'applicazione e della

regione degli studi stessi.

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Le norme sugli studi di settore dopo la Finanziaria 2007

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Articolo 4 Applicazione dei parametri

1. Nei confronti dei contribuenti esercenti attività d'impresa o arti e professioni per le quali non risultano

approvati gli studi di settore ovvero, ancorché approvati, operano condizioni di inapplicabilità non estensibili

ai parametri individuate nei decreti di approvazione degli stessi studi di settore, si applicano le disposizioni

di cui ai commi da 181 a 187 dell' articolo 3 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, riguardanti gli

accertamenti effettuati in base a parametri, anche per gli accertamenti relativi ai periodi di imposta

successivi al 1997. Le medesime disposizioni si applicano per i contribuenti con periodo di imposta non

coincidente con l'anno solare, per gli accertamenti relativi ai periodi d'imposta successivi al terzo di durata

pari a dodici mesi chiuso successivamente al 30 giugno 1995. I parametri non trovano comunque

applicazione nei confronti dei soggetti per i quali operano le cause di esclusione dagli accertamenti basati

sugli studi di settore previste dall' articolo 10 della legge 8 maggio 1998, n. 146.

2. Gli accertamenti di cui al comma 1 non possono essere effettuati nei confronti dei contribuenti che

indicano nella dichiarazione dei redditi ricavi o compensi di ammontare non inferiore a quello derivante

dall'applicazione dei parametri. Ai fini dell'imposta sul valore aggiunto l'adeguamento al volume di

affari risultante dalla applicazione dei parametri può essere operato, senza applicazione di sanzioni e

interessi, effettuando il versamento della relativa imposta entro il termine di presentazione della

dichiarazione dei redditi. I maggiori corrispettivi devono essere annotati, entro il suddetto termine, in

un'apposita sezione del registro previsto dall' articolo 23 o dall'articolo 24 del decreto del Presidente

della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.

S T U D I

D I

S E T T O R E

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FINANZIARIA 2007: NOVITA’ A TUTTO TONDO PER I REDDITI DI LAVORO AUTONOMO

a cura di Duilio Liburdi e Giovanni Valcarenghi*

L’anno 2006 segna il grande momento di cambiamento per la categoria del reddito di lavoro

autonomo, da sempre considerata un minus rispetto a quella del reddito di impresa e,

pertanto, trascurata tanto a livello normativo che interpretativo.

Ne deriva, inutile dirlo, uno strano panorama, in forza del quale possiamo constatare come il

legislatore, prima della manovra estiva13, poi del collegato14 ed infine della Finanziaria15, si

sia sforzato di avvicinare le regole dei due comparti impositivi ai fini della determinazione

degli imponibili, pur restando la profonda differenza del criterio generale da utilizzare: cassa

per il lavoro autonomo, competenza per il reddito di impresa.

Le modifiche del decreto estivo su plusvalenze e cessione del pacchetto clienti

Un primo intervento di modifica sull’articolo 54 del TUIR si è registrato all’interno del decreto

legge 223/2006, ove si è previsto:

1. la rilevanza delle plusvalenze e minusvalenze dei beni strumentali (con esclusione di

immobili e oggetti d’arte, d’antiquariato e da collezione), se realizzate – dal 4.07.2006 -

mediante cessione a titolo oneroso o risarcimento anche in forma assicurativa per la

perdita o il danneggiamento di beni, oppure connesse alla destinazione al consumo

personale, familiare o estraneo all’esercizio dell’arte o professione;

2. l’attrazione nella formazione del reddito dei corrispettivi percepiti a seguito della

cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività;

Il sistema di tassazione delle plusvalenze e di deducibilità delle minusvalenze

In merito alla prima questione, va notato come sia dirompente l’ingresso dei componenti

straordinari nel novero di quelli che concorrono alla formazione del reddito di lavoro

autonomo; cessioni ed autoconsumo perdono, pertanto, la loro precedente caratteristica di

irrilevanza, seguendo in maniera lineare le disposizioni in tema di reddito di impresa. In

verità, dopo i suddetti interventi si registrava una dissonanza consistente nella circostanza

per cui le minus da assegnazione (autoconsumo o destinazione a finalità estranea) trovavano

cittadinanza nel mondo professionale, mentre la loro rilevanza era stata esclusa nella

determinazione del reddito di impresa con lo stesso DL 223/2006, con una modifica

all’articolo 101 del TUIR; a tale disallinemento pone rimedio la Finanziaria16.

* Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Fiscale) 13 Decreto legge 223/2006, convertito con modificazioni con legge 248/2006. 14 Decreto legge 262/2006, convertito con modificazioni con legge 286/2006. 15 Ci si riferisce, per queste note, alla legge n. 296 del 2006 pubblicata in GU del 27 dicembre 2006 16 Si veda l’apposito paragrafo.

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Finanziaria 2007: novità a tutto tondo per i redditi di lavoro autonomo

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La circolare 28/E/2006 dell’Agenzia delle entrate, ha poi confermato la rilevanza parziale di plus e

minus relative a beni il cui costo non sia integralmente deducibile, applicando il noto rapporto tra

ammontare dell’ammortamento fiscalmente dedotto e quello complessivamente effettuato.

Nella particolare ipotesi delle plusvalenze, inoltre, si registra l’impossibilità di beneficiare della

tassazione frazionata su più esercizi, così come invece evocato – salvo il ricorrere delle

condizioni ivi previste - dal comma 4 dell’articolo 86 in tema di reddito di impresa, per effetto

della applicazione stringente del criterio di cassa. In sostanza, il quadro normativo che

emerge dopo le novità contenute nel decreto legge n. 223 del 2006 e quelle contenute nella

legge n. 296 del 2006 può essere così sintetizzato

Plusvalenze periodo di imposta 2006 Plusvalenze periodo di imposta 2007

Rilevanza delle plusvalenze che si generano in base:

a) cessione a titolo oneroso;

b) realizzate mediante il risarcimento, anche in

forma assicurativa, per la perdita od il

danneggiamento di beni

c) se i beni vengono destinati al consumo

personale o familiare dell'esercente l'arte o la

professione o a finalità estranee all'arte o

professione

I beni che generano plusvalenze sono quelli

strumentali con esclusione di:

- immobili

- oggetti di arte, di antiquariato e da collezione

Rilevanza delle plusvalenze che si generano in

base:

a) cessione a titolo oneroso;

b) realizzate mediante il risarcimento, anche

in forma assicurativa, per la perdita od il

danneggiamento di beni

c) se i beni vengono destinati al consumo

personale o familiare dell'esercente l'arte o

la professione o a finalità estranee all'arte

o professione

I beni che generano plusvalenze sono quelli

strumentali con la sola esclusione di oggetti di

arte, di antiquariato e da collezione

Pertanto, appare di estremo interesse la notazione in merito alla rilevanza delle plusvalenze

derivanti dalla cessione di immobili a far data dal periodo di imposta 2007. E’ dubbio se, in

relazione a tale aspetto, si debba comunque osservare quanto previsto dalla circolare

dell’agenzia delle entrate prima richiamata in merito alla circostanza che, a far data dal 1991,

gli immobili professionali non concorrevano alla formazione del reddito di lavoro autonomo in

termini di appostazione di quote di ammortamento. Più in generale, si deve osservare come

ai fini della determinazione della plusvalenza imponibile, in considerazione della necessità di

rispettare il criterio di tassazione per cassa, si ritiene possano valere i criteri generali già

disciplinati in materia di capital gain ai fini della determinazione della quota imponibile

proporzionando parte di corrispettivo incassato con costo sostenuto.

L A V O R O

A U T O N O M O

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Minusvalenze periodo di imposta 2006 Minusvalenze periodo di imposta 2007 Rilevanza delle minusvalenze che si generano in base a: a) cessione a titolo oneroso; b) realizzate mediante il risarcimento, anche in

forma assicurativa, per la perdita od il danneggiamento di beni

c) se i beni vengono destinati al consumo personale o familiare dell'esercente l'arte o la professione o a finalità estranee all'arte o professione

I beni che generano minusvalenze sono quelli strumentali con esclusione di: - immobili - oggetti di arte, di antiquariato e da collezione

Rilevanza delle minusvalenze che si generano in base a: a) cessione a titolo oneroso; b) realizzate mediante il risarcimento, anche in

forma assicurativa, per la perdita od il danneggiamento di beni

I beni che generano minusvalenze sono quelli strumentali con esclusione di oggetti di arte, di antiquariato e da collezione

Come sopra anticipato, la legge n. 296 del 2006 corregge quella anomala disposizione

introdotta dal decreto legge n. 223 del 2006 in merito alla rilevanza delle minusvalenze dei

beni strumentali derivanti dalla circostanza che i beni vengano destinati al consumo

personale o familiare del professionista ovvero destinati a finalità estranee allo svolgimento

dell’arte o della professione. Tale previsione era stata stranamente introdotta nell’ambito del

reddito di lavoro autonomo con lo stesso provvedimento con il quale il medesimo fenomeno

era stato sancito come irrilevante ai fini della determinazione del reddito di impresa.

Analogamente a quanto esaminato in materia di plusvalenze, anche le minusvalenze

derivanti dalla cessione di immobili rileveranno nella determinazione del reddito professionale

a far data dal periodo di imposta 2007 in base alle medesime osservazioni formulate con

riferimento alle plusvalenze di cessione degli stessi beni.

La cessione del pacchetto clienti e degli altri elementi immateriali

Per ciò che attiene, invece, la tassazione dei corrispettivi per cessione di clientela o

concessione dell’utilizzo del nome o del marchio, per risolvere i noti problemi già analizzati in

documenti di prassi (cfr. risoluzioni n. 108/E del 20.03.2002 e n. 30/E del 16.02.2006), si è

prevista la concorrenza alla formazione del reddito di lavoro autonomo di tali somme. Ciò

comporta, evidentemente, che non si potrà più sfuggire dalla tassazione in occasione della

cessione dello studio professionale (come poteva accadere in precedenza laddove il

passaggio di clientela “retribuito” non fosse contropartita di alcun obbligo di fare, non fare o

permettere) ma, anzi, la materia imponibile potrà essere arricchita anche dalle eventuali

plusvalenze derivanti dalla connessa cessione dei beni. Va notato, a margine, che la

determinazione del reddito di lavoro autonomo se, da un lato, ha mutuato regole

sostanzialmente analoghe a quelle del regime di impresa per questa specifica fattispecie

(potremmo, sia pure impropriamente dal punto di vista giuridico, assimilare la cessione dello

studio a quella dell’azienda) rimane orfana dello strumento della neutralità fiscale esplicita

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Finanziaria 2007: novità a tutto tondo per i redditi di lavoro autonomo

95

menzionata, invece, dall’articolo 58 del TUIR per la realizzazione del c.d. passaggio

generazionale. Vero è che se non vi è corrispettivo per la clientela (come è ipotizzabile nella

“staffetta” padre – figlio) non si produce materia imponibile, ma d’altro canto non va

dimenticato che il trasferimento dei beni, attuato mediante una cessione, sortisce invece

effetti fiscali. Il tutto, poi, si complica ancor di più se si ipotizza la costituzione di uno studio

associato tra padre (già titolare di una propria posizione) e figlio, mancando la possibilità di

attingere agli strumenti del conferimento che il TUIR correttamente prevede unicamente in

caso di azienda, mutuando le regole civilistiche al riguardo.

Con la risoluzione n. 108 /E del 29 marzo 2002, un professionista aveva chiesto di conoscere il

corretto trattamento fiscale delle somme percepite in relazione ad una operazione di cessione, ad

altro professionista, della parte meramente operativa della attività (gestione delle contabilità,

redazione dei bilanci e delle dichiarazioni, ecc..) e la relativa clientela. In sostanza, il caso

riguardava la fattispecie relativa alla annosa vicenda della cessione del pacchetto clienti che, sino

al momento della pronuncia da parte dell’amministrazione finanziaria non aveva trovato una

soluzione univoca nemmeno a livello di dottrina. In ogni caso, la tesi prevalentemente sostenuta,

era quella della non imponibilità del corrispettivo in mancanza da un lato della possibile

assimilazione della fattispecie alla cessione di azienda e, dall’altro, della assenza di una specifica

disposizione in materia di redditi di lavoro autonomo. La prima di queste osservazioni veniva

sostanzialmente condivisa dall’agenzia delle entrate e, nel documento di prassi si osservava

come a differenza di quanto accade nel mondo imprenditoriale, dove l'avviamento commerciale

si distacca dalla figura del titolare per inerire all'organizzazione economica dell'impresa, e diviene

pertanto suscettibile di autonoma rilevanza e trasferibilità, nell'esercizio dell'attività professionale

i vantaggi economici connessi alla clientela sono direttamente ed esclusivamente riconducibili alla

figura del professionista. In tal senso si sono anche espresse le Sezioni Unite della Corte di

Cassazione che, nella sentenza n. 1889 del 21.07.1967, hanno statuito che "non è titolare di

azienda l'esercente di uno studio professionale ...;conseguentemente, nel trasferimento o nella

cessione di tale studio professionale, non può sussistere un valore di avviamento ...". Partendo

dal concetto della rilevanza del rapporto instaurato tra professionista e cliente con riferimento al

quale si attesta la sostanziale impossibilità di una matematica riproposizione in capo ad altro

soggetto, l’amministrazione finanziaria precisa che nel caso in esame si viene ad instaurare, di

fatto, tra i due professionisti un rapporto di tipo obbligatorio nel quale il professionista cd.

"cedente", a fronte del compenso percepito, si assume l'impegno di favorire il soggetto

subentrante nella prosecuzione del rapporto con i propri vecchi clienti. Pertanto il professionista,

oltre a rinunciare ad esercitare la propria attività professionale nei confronti dei clienti che

richiedono esclusivamente delle prestazioni di tipo operativo, astenendosi quindi dallo

svolgimento dell'attività professionale in concorrenza con il nuovo soggetto, si impegna altresì a

favorire la prosecuzione del rapporto tra i suoi vecchi clienti ed il nuovo soggetto.

E' possibile ipotizzare, ad esempio, che in virtù del rapporto contrattuale in esame il professionista si impegni altresì ad indirizzare i propri clienti verso il soggetto subentrante.

L A V O R O

A U T O N O M O

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Lo specifico "compenso" è corrisposto, quindi a fronte dell'assunzione da parte del professionista di obblighi ben precisi e deve essere quindi ricondotto nella previsione dell'articolo 67, lettera l), del Tuir, che espressamente qualifica come redditi diversi quelli derivanti "dall'assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere". Inoltre, le somme in questione sono altresì assoggettabili anche alla tassazione IVA in quanto l’articolo 3 del DPR n. 633 del 1972, qualifica come prestazioni di servizio "le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d'opera, ... e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte ... ". La conclusione alla quale giunge l’amministrazione finanziaria, dunque, non lascia adito a dubbi di sorta: l’eventuale passaggio di alcune attività e del relativo pacchetto clienti non potendo essere ricondotto allo svolgimento di una attività di lavoro autonomo, deve essere ricondotto nella sfera residuale dei redditi diversi. Sulla conclusione raggiunta (peraltro non sorprendente), si potrebbe obiettare che la corretta qualificazione come reddito diverso del compenso in questione potrebbe riguardare, unicamente, quella parte di corrispettivo che è riconducibile ad una sorta di attività di intermediazione svolta a favore del professionista subentrante ed escludendo da tassazione l’ulteriore parte. Si deve ritenere che, in considerazione della estrema difficoltà nella individuazione della parte di corrispettivo a tale attività distintamente riferibile, l’amministrazione finanziaria abbia voluto privilegiare un’interpretazione cautelativa in merito alla fattispecie in questione. Prevedendo, nel contempo, la deducibilità del costo secondo il principio di cassa in capo al soggetto acquirente dell’attività e del pacchetto clienti. Con la risoluzione n. 30 /E del 19 febbraio 2006, l’agenzia delle entrate ha affrontato la questione legata alla acquisizione, da parte di un professionista del “marchio” di un noto studio legale al fine di incrementare il proprio volume di affari operando alla stregua di una sua filiale o di uno studio ad esso associato o comunque collegato. In prima battuta, l’amministrazione finanziaria esamina il possibile parallelismo tra il mondo imprenditoriale e quello del lavoro autonomo in merito alla astratta possibilità di cessione del marchio e, in considerazione dell’esistenza dell’intuitus personae che connota il rapporto tra cliente e professionista ed esclude che la capacità professionale di attrarre clientela, intesa come credibilità e affidabilità dell’attività professionale posta in essere, viene espressa la perplessità che la cessione in questione possa essere ricondotta ad un “bene immateriale” autonomamente trasferibile. In merito al trattamento fiscale, l’amministrazione finanziaria giunge, nella sostanza, alle medesime conclusioni raggiunte con la risoluzione n. 108 del 2002 e cioè: - sulla base del contratto viene rilevato come non si tratti di cessione di un “marchio”, ma di

un contratto di natura obbligatoria nel quale a fronte del corrispettivo pagato, al contribuente istante viene consentito l’utilizzo del predetto segno grafico sulla carta intestata del proprio studio professionale, sull’elenco telefonico, sulla propria targa professionale, in occasione dei convegni, ecc., al fine di apparire nei confronti dei clienti come uno studio associato o comunque collegato allo studio titolare del segno grafico in questione nella prospettiva di aumentare la visibilità e la credibilità del proprio studio professionale;

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Finanziaria 2007: novità a tutto tondo per i redditi di lavoro autonomo

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- da un lato, dunque, il costo sostenuto è da considerarsi come inerente nella

determinazione del reddito di lavoro autonomo ed è dunque deducibile secondo il

principio di cassa in base a quanto disposto dall’articolo 54 del TUIR;

- per il cedente, le somme percepite sono da riferire all’assunzione di obblighi ben precisi

che consistono nel permettere ad un altro soggetto l’utilizzo del proprio “marchio”

consentendogli di fatto di operare come uno studio professionale collegato. L’importo in

questione deve essere dunque assoggettato a tassazione in relazione a quanto disposto

dall’articolo 67, comma 1, lettera l) del TUIR con rilevanza, secondo quanto disposto

dall’articolo 3 del DPR n. 633 del 1972, anche ai fini IVA.

Anche in questa ipotesi, la sensazione che emerge dalla lettura della pronuncia

dell’amministrazione finanziaria è quella della necessità di inquadrare, nell’ambito del TUIR

un fenomeno non puntualmente regolato dalle norme di diritto sostanziale e, dunque, di

ricondurre a tassazione un indubbio “arricchimento”. Infatti, anche in tale ipotesi, ragionando

su una possibile interpretazione della fattispecie mediante l’applicazione di regole proprie del

regime di impresa, la vicenda legata alla cessione del nome avrebbe potuto rimanere

indenne da qualunque prelievo rappresentando, nel contempo, un costo deducibile per

l’acquirente seppure su base pluriennale.

Va infine notato, al riguardo, la conseguente modifica apportata alla lettera g-ter) dell’articolo

17 del TUIR, che consente, solo laddove il compenso derivante dalle nuove fattispecie della

cessione della clientela o di elementi immateriali sia percepito in unica soluzione17, di

beneficiare dell’applicazione dello strumento della tassazione separata. Ben venga l’indicazione

normativa di favore per il contribuente; registriamo, tuttavia, come la casistica mal si concili

con la specifica categoria reddituale che non considera, per nulla, il riferimento temporale alla

formazione del reddito (come avviene, invece, nella materia del reddito di impresa ove vige il

criterio di competenza), proprio perché tassa nell’anno di percezione. Evidentemente, il

requisito della unitarietà dell’incasso è stato inserito solo per motivi antielusivi, in quanto ben

poteva raggiungersi ugualmente l’effetto desiderato consentendo la tassazione separata anche

per incassi frazionati, pur mantenendo il riferimento alla situazione esistente in relazione al

biennio antecedente a quello della cessione o del primo incasso della quota parte di

corrispettivo. In linea di principio, sulla base della formulazione letterale della norma

potrebbero non rientrare nel meccanismo della tassazione separata quelle situazioni nelle quali

il corrispettivo di cessione, pur percepito nel medesimo periodo di imposta, sia percepito in due

momenti diversi del periodo di imposta medesimo.

17 Non è chiaro se il riferimento possa essere inteso in riferimento all’unica annualità di incasso dell’intero corrispettivo, oppure in modo più letterale di pagamento integrale in unica soluzione.

L A V O R O

A U T O N O M O

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DETERMINAZIONE DEL REDDITO DI LAVORO AUTONOMO: LE SPESE ANTICIPATE DAL COMMITTENTE ED

IL RIADDEBITO DEL PROFESSIONISTA a cura di Duilio Liburdi*

Le disposizioni in materia di reddito di lavoro autonomo hanno subito, come noto, delle rilevanti modifiche nei diversi passaggi normativi rappresentati dalla legge n. 248 del 2006 e dalla manovra finanziaria per il 2007. Nel quadro degli interventi complessivi della manovra

Prodi, un ruolo di primo piano rivestono, senza ombra di dubbio, le modifiche apportate alla disciplina della determinazione dei redditi di lavoro autonomo con conseguente modifica delle disposizioni contenute nell’articolo 54 del TUIR. All’interno di tale modifica, particolare rilievo

hanno assunto, anche in dottrina, le nuove previsioni in materia di rimborso spese corrisposto al professionista quando le stesse sono state di fatto anticipate dal committente che ha attribuito l’incarico al professionista medesimo.

Al fine di fornire sistematicità alla osservazioni seguenti si riporta, di seguito, il testo della norma come modificato dalla legge n. 248 del 2006.

Articolo 54, comma 5, TUIR 5. Le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande in pubblici esercizi sono deducibili per un importo complessivamente non superiore al 2 per cento dell'ammontare dei compensi percepiti nel periodo di imposta. Le predette spese sono integralmente deducibili se sostenute dal committente per conto del professionista e da questi addebitate in fattura. Le spese di rappresentanza sono deducibili nei limiti dell'1 per cento dei compensi percepiti nel periodo di imposta. Sono comprese nelle spese di rappresentanza anche quelle sostenute per l'acquisto o l'importazione di oggetti di arte, di antiquariato o da collezione, anche se utilizzati come beni strumentali per l'esercizio dell'arte o della professione, nonché quelle sostenute per l'acquisto o l'importazione di beni destinati ad essere ceduti a titolo gratuito; le spese di partecipazione a convegni, congressi e simili o a corsi di aggiornamento professionale, incluse quelle di viaggio e soggiorno sono deducibili nella misura del 50 per cento del loro ammontare. 1. La disciplina del rimborso spese per i professionisti

Dall’esame della norma, anche precedentemente alla modifica apportata al comma 5 dell’articolo 54 è evidente come il legislatore abbia stabilito specifiche limitazioni alla deducibilità delle spese afferenti alla sfera professionale con riguardo alle: - spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande in

pubblici esercizi. Tale categoria di spese è deducibile per un importo complessivamente non superiore al 2 per cento dell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo di imposta;

- spese di partecipazione a convegni, congressi e simili o a corsi di aggiornamento professionale, incluse quelle di viaggio e soggiorno, considerate deducibili nella misura del 50 per cento del loro ammontare.

* Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Fiscale)

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Determinazione del reddito di lavoro autonomo: le spese anticipate dal committente ed il riaddebito del professionista

99

Può dunque avvenire che, in relazione allo svolgimento dell’incarico professionale o per

raggiungere la sede presso la quale svolgere una particolare tipologia di prestazione non

direttamente riconducibile all’attività professionale, ma che deve essere ricondotta ai fini

reddituali nell’ambito dell’articolo 54 del TUIR (si pensi allo svolgimento di una relazione in

un convegno), il professionista sostenga delle spese che, successivamente, vengono

riaddebitate al committente. Recentemente (e probabilmente tale diffusione ha fatto sorgere

il problema del corretto trattamento fiscale), al fine di semplificare gli adempimenti contabili

e procedurali, si è diffusa la prassi che sia direttamente il committente a sostenere la spesa

per consentire al professionista di usufruire di alcuni servizi (ad esempio l’alloggio) in qualche

modo propedeutici allo svolgimento dell’incarico professionale. In tal caso, la fattura emessa

dal soggetto che ha prestato il servizio è riferita direttamente al soggetto committente, e

solitamente neppure riporta l’indicazione del soggetto (professionista) che ha materialmente

usufruito del servizio. In merito alla “tradizionale” ipotesi nella quale il professionista, in via

anticipata, sostiene delle spese procedendo al relativo riaddebito nei confronti del

professionista, l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria si è dimostrata univoca sin

dalla circolare n. 1 /RT del 15 dicembre 1973, seguita, successivamente, dalla risoluzione n.

8/875 del 21 giugno 1976. In tale ultimo documento di prassi, relativo ad un caso afferente

ad importi liquidati forfetariamente ai medici specialisti convenzionati a titolo di rimborso

delle spese sostenute per l’acquisto del materiale d’uso, l’Amministrazione finanziaria ebbe

modo di precisare che tali importi dovevano essere ricomprese nella base imponibile sulla

quale applicare la ritenuta di acconto di cui all’articolo 25 del D.P.R. 29 settembre 1973, n.

600, in quanto spese non addebitabili in modo specifico al cliente. Le spese oggetto del

rimborso, infatti, fanno carico direttamente al medico specialista e sono connesse all’attività

dallo stesso svolta.

Più recentemente, l’Amministrazione ha ribadito sostanzialmente il medesimo concetto in più

occasioni:

- nella risoluzione n. 20/E del 20 marzo 1998. In tale documento è stato affermato che la

ritenuta di acconto deve essere applicata anche sulla parte rappresentata dai rimborsi

delle spese di viaggio, vitto ed alloggio, nonché della eventuale diaria. Un’importante

precisazione contenuta nella risoluzione in esame riguarda il momento in cui vanno

effettuate le ritenute alla fonte. Tale momento, secondo la risoluzione, coincide con quello

della liquidazione definitiva delle somme anticipate, posto che l’anticipazione attiene ad un

mero aspetto finanziario che non rileva sotto il profilo reddituale;

- nella circolare n. 58/E del 18 giugno 2001. L’ipotesi era quella di un professionista che per

svolgere determinate prestazioni deve spostarsi dalla sede dello studio sostenendo costi di

viaggio, vitto e alloggio. I suoi compensi comprendono anche il rimborso delle spese

sostenute. Nel quesito formulato si sottolineava come detti rimborsi vengono a creare una

situazione svantaggiosa per il professionista, in quanto vanno a costituire per il 100 per

L A V O R O

A U T O N O M O

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cento elementi reddituali sui quali applicare la ritenuta e l’IVA, mentre costituiscono costi

deducibili, in molti casi, solo per il 50% ed hanno IVA indetraibile. Si ipotizzava, inoltre, il

caso di prestazioni gratuite, con solo rimborso spese e conseguente tassazione di un

importo che non è reale compenso bensì solo ripristino di costi sostenuti. La risposta

dell’Amministrazione non lasciava però adito a molti dubbi, in quanto precisava come tra i

compensi del professionista rientrino i proventi percepiti sotto forma di rimborsi di spese

inerenti all'attività, che dunque devono essere trattati alla stregua degli altri compensi,

con esclusione dei rimborsi relativi a spese, analiticamente dettagliate, anticipate in nome

e per conto del cliente;

- nella risoluzione n. 69/E del 21 marzo 2003. Anche in questo caso, l’Agenzia delle entrate

ha ribadito che le somme corrisposte a titolo di rimborso delle spese inerenti alla

produzione del reddito di lavoro autonomo (anche occasionale), devono considerarsi in via

generale come compensi comunque denominati e devono dunque essere assoggettate

alla ritenuta di acconto di cui all’articolo 25 del DPR n. 600 del 1973.

In un quadro sufficientemente chiaro, deve essere ricordato, ancora, che la disciplina in

questione è profondamente differente rispetto al trattamento dei rimborsi di spese

relativamente ai redditi di lavoro dipendente ovvero assimilati a quelli di lavoro dipendente.

In tali ipotesi, infatti, i rimborsi in questione non confluiscono in nessun caso nella base

imponibile per espressa esclusione dettata dalla norma di riferimento. Peraltro, con

riferimento al reddito di lavoro autonomo di cui all’articolo 54 del TUIR, appare opportuno

richiamare il concetto espresso nella risoluzione del 1976 ove si faceva riferimento ai rimborsi

per spese connesse all’attività svolta. Tale concetto assumerà rilievo nel prosieguo, ad

illustrazione delle ulteriori ipotesi ed in sede di analisi delle ulteriori indicazioni fornite

dall’Amministrazione finanziaria. 18

2. L’ipotesi delle spese anticipate dal committente e la soluzione dell’agenzia delle entrate

Come inizialmente anticipato, non è infrequente l’ipotesi in cui una società commerciale,

avvalendosi dell’opera di professionisti che svolgono il proprio incarico in luoghi differenti da

quelli dove abitualmente esercitano l’attività professionale, stipuli una convenzione con

soggetti fornitori di specifici servizi al fine di ottenere, ad esempio, dei prezzi vantaggiosi. Il

problema era legato alla necessità di individuare se le somme in pagamento di tali servizi,

corrisposte direttamente dall’impresa committente ai fornitori dei servizi, rappresentino

comunque compensi per il professionista e siano, ed a quali condizioni, deducibili per

18 Si deve segnalare, in dottrina, la posizione espressa dall’ADC di Milano nella norma di comportamento n. 88 del 1986. In tale documento si fa una espressa distinzione tra il credito per compenso (articolo 2233 del codice civile) ed il credito per spese (articolo 2234 del codice civile)

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Determinazione del reddito di lavoro autonomo: le spese anticipate dal committente ed il riaddebito del professionista

101

l’impresa che ha direttamente sostenuto il costo. In dottrina19 , è stato sottolineato come la

fattispecie in questione non dovrebbe mai rappresentare un compenso per il professionista,

non essendo configurabile, nel caso in esame, una spesa inerente allo svolgimento

dell’attività professionale, in quanto l’onere “dipende da una prestazione di servizi in cui

l’azienda assume il ruolo di parte committente, mentre il professionista é un mero

beneficiario del servizio reso”. Conseguentemente, “le somme pagate ai soggetti che

prestano i servizi in questione (alberghieri o di trasporto) non costituiscono dunque somme

accessorie al compenso vero e proprio, giacché i servizi da cui dipendono tali pagamenti

vengono forniti direttamente dall'azienda”

A parere di chi scrive, la fattispecie in questione, come poi affrontata dall’Agenzia delle entrate, poteva però essere considerata sotto un altro aspetto che, come appare evidente, si pone in contrasto con la prassi usualmente seguita nei rapporti tra committente e

professionista. In concreto, non appare irrazionale affrontare la problematica sulla base dei principi generali sopra ricordati in materia di riaddebito specifico delle spese anticipate da parte del professionista, trattando la fornitura dei servizi alla stregua di un compenso in

natura. In tal senso, infatti, delle scelte di natura gestionale poste in essere dai committenti (fatturazione diretta da parte del soggetto che eroga il servizio piuttosto che riaddebito da parte del professionista che ha materialmente anticipato le spese in questione) non potevano

ragionevolmente di per sé giustificare un diverso trattamento fiscale ai fini della corretta determinazione del reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’articolo 54 del TUIR che, peraltro, fa espresso riferimento ai compensi in denaro od in natura. Sotto questo aspetto,

dunque, appare corretto che, con riferimento alla determinazione del reddito di lavoro autonomo, si assiste alla erogazione di una sorta di fringe benefit che concorre, per il suo valore normale (rappresentato dal costo sostenuto dal committente in via anticipata), alla

formazione del reddito professionale. La norma, come modificata, si premura di rendere indifferente ai fini fiscali tale fattispecie. Infatti:

- il costo sostenuto direttamente dal committente diviene compenso professionale a tutti gli effetti;

- il medesimo costo, in deroga al principio della limitata deducibilità, diviene integralmente

deducibile nella determinazione del reddito di lavoro autonomo. Sulla portata della disposizione normativa, seguendo quanto affermato in via “informale”, l’Amministrazione finanziaria si è pronunciata nell’ambito della circolare n. 28 /E del 4 agosto

2006. In sintesi, il pensiero dell’agenzia delle entrate può essere così riassunto soprattutto in relazione alla scansione degli adempimenti contabili:

1) il committente riceverà da colui che presta il servizio alberghiero o di ristorazione, il

documento fiscale a lui intestato con l’esplicito riferimento al professionista che ha

usufruito del servizio;

19 R.Valacca in Azienda & Fisco, n. 2 /1995, pag. 121

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102

2) il committente comunica al professionista l’ammontare della spesa effettivamente

sostenuta ed invia al professionista stesso copia della documentazione fiscale ricevuta

dal prestatore del servizio. In questo momento il costo non è deducibile nella

determinazione del reddito di impresa;

3) il professionista emette la parcella comprensiva dei compensi e delle spese pagate dal

committente e considererà il costo integralmente deducibile se sono state rispettate le

suddette condizioni;

4) ai fini della deducibilità fiscale del costo da parte dell’impresa committente, assume

rilievo il punto 3)

La circostanza che l’Amministrazione finanziaria consenta la deducibilità dei costi in questione

nella determinazione del reddito dell’impresa committente solo qualora gli stessi transitino

come compensi per il professionista solleva indubbiamente più di una perplessità. In

sostanza, pare di comprendere che l’Amministrazione finanziaria ponga in dubbio il requisito

di inerenza di cui all’articolo 109 del TUIR nel caso in cui non si proceda passaggio

procedurale tale da generare, come detto, compenso per il professionista. Si tratta, in

sostanza, della conferma di una datata posizione dell’Amministrazione finanziaria secondo

cui, ai fini della deducibilità per l’impresa, è necessario che i documenti di spesa risultino

cointestati alla società ed al collaboratore, a meno che vi sia una evidente correlazione tra la

spesa di cui si chiede il rimborso e il luogo e il tempo dell’incarico svolto da quest’ultimo.

Proprio tale ultima ipotesi merita un approfondimento, soprattutto in quelle occasioni in cui si

ritiene che la deducibilità del costo prescinda in tutte le ipotesi dalla duplice intestazione nel

documento di spesa. Si pensi, ad esempio, al caso in cui la società committente svolga come

oggetto sociale attività di formazione e, a tal fine, contatti dei professionisti al fine di

garantirsi la loro partecipazione nello svolgimento della predetta attività. Appare evidente

come, nell’esempio in questione, il costo sostenuto direttamente dal committente al fine di

garantire il vitto e l’alloggio al professionista con intestazione del documento di spesa alla

sola società, appare deducibile senza ulteriori adempimenti in quanto pienamente

soddisfacente rispetto al principio di inerenza con l’attività svolta dalla società. In via

interpretativa, peraltro, si potrebbe pervenire a soluzione contraria rispetto a quella delineata

dall’Amministrazione finanziaria in relazione alla rilevanza come compenso per il

professionista del servizio in questione. In questo caso, infatti, il rapporto tra il costo

sostenuto e la prestazione fornita prescinde dall’attività del professionista. 20 Più in generale,

si ribadisce, la modifica normativa riguarda la determinazione del reddito di lavoro autonomo

non ponendo in dubbio l’inerenza del costo in questione nella determinazione del reddito di

impresa dove non appare necessario ai fini della deducibilità l’ulteriore passaggio

20 A sostegno della irrilevanza della fattispecie in questione come compenso è stata richiamata in dottrina la decisione della Commissione Tributaria Centrale n 785 del 21 marzo 1984. In tale pronuncia è stato infatti affermato come i corrispettivi di prestazioni di trasporto, fruite dagli amministratori di società per viaggi inerenti all’attività sociale e direttamente pagati dalla società ad una agenzia di viaggi, non sono assoggettabili a ritenuta IRPEF.

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Determinazione del reddito di lavoro autonomo: le spese anticipate dal committente ed il riaddebito del professionista

103

documentale richiesto dalla circolare dell’agenzia delle entrate. E’ possibile formulare,

peraltro, una ulteriore osservazione strettamente correlata alla formazione del reddito di

lavoro autonomo. Laddove si condividesse in toto l’interpretazione formulata dall’agenzia

delle entrate, si porrebbe un ulteriore problema nell’ipotesi in cui il documento di spesa sia

riferibile a più professionisti in modo indistinto. Si pensi, ad esempio, al vitto erogato

contemporaneamente a più soggetti incaricati di una medesima consulenza da parte della

stessa società. In questo caso, al fine del rispetto delle indicazioni fornite

dall’amministrazione finanziaria, si presenterebbe necessaria una analitica ripartizione del

costo in capo ai singoli professionisti che hanno partecipato alla cena od al pranzo in modo

tale da rispettare le prescrizioni richieste dal comma 5 dell’articolo 54 del TUIR con

conseguente necessità di riprodurre tale suddivisione in più documenti diretti a ciascuno dei

professionisti interessati.

La questione, peraltro, meriterebbe un ripensamento interpretativo considerando

(problematica questa non affrontata) anche i generali riflessi negativi ai fini dell’imposta sul

valore aggiunto nonché all’incremento della base imponibile IRAP. Tralasciando, in questo

contesto, le ulteriori problematiche ai fini della applicazione dei contributi previdenziali.

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IL RIADDEBITO DELLE SPESE ANTICIPATE DAL COMMITTENTE a cura di Duilio Liburdi*

LE MODIFICA NORMATIVA

Articolo 54, comma 5, TUIR come modificato dal decreto legge n. 223 /2006

5. Le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande in pubblici esercizi sono deducibili per un importo complessivamente non superiore al 2 per cento dell'ammontare dei compensi percepiti nel periodo di imposta. Le predette spese sono integralmente deducibili se sostenute dal committente per conto del professionista e da questi addebitate in fattura. Le spese di rappresentanza sono deducibili nei limiti dell'1 per cento dei compensi percepiti nel periodo di imposta. Sono comprese nelle spese di rappresentanza anche quelle sostenute per l'acquisto o l'importazione di oggetti di arte, di antiquariato o da collezione, anche se util izzati come beni strumentali per l'esercizio dell'arte o della professione, nonché quelle sostenute per l'acquisto o l'importazione di beni destinati ad essere ceduti a titolo gratuito; le spese di partecipazione a convegni, congressi e simili o a corsi di aggiornamento professionale, incluse quelle di viaggio e soggiorno sono deducibili nella misura del 50 per cento del loro ammontare.

L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate

1) Il committente riceve dal prestatore del servizio il documento fiscale che contiene l’ indicazione del nome del professionista che ha usufruito del servizio

2) Il committente comunica al professionista l’ammontare della spesa sostenuta inviando copia della documentazione. In questo momento il costo non è deducibile per il committente

3) Il professionista emette la parcella comprensiva delle spese e considera le spese integralmente deducibili superando la limitazione del 2 %

4) Il committente riceve la parcella e considera costo deducibile l’intero ammontare

Devono essere comunque rispettate le condizioni al fine della deducibilità

* Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Fiscale)

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Il riaddebito delle spese anticipate dal committente

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Le criticità della posizione

1) Il costo deve essere considerato comunque deducibile per il committente in quanto sostenuto nel suo interesse e non nell’interesse del professionista: la modifica normativa riguarda il reddito di lavoro autonomo e non il principio di inerenza nel reddito di impresa

2) Maggiori adempimenti procedurali

3) Ricadute negative ai fini della applicazione dell’IVA

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IL NUOVO TRATTAMENTO DEGLI IMMOBILI DEI PROFESSIONISTI

a cura di Norberto Villa*

La legge finanziaria per il 200721 porta con se una importante novità in tema di rilevanza fiscale degli immobili utilizzati nelle attività professionali. La stessa consiste nel ritenere fiscalmente rilevanti nella determinazione del reddito professionale gli immobili strumentali. I

reali effetti della nuova disposizione risultano però limitati sia con riguardo al quantum deducibile sia con riguardo al periodo temporale di sua applicazione. Gli acquisti rilevanti sono infatti solo quelli del triennio 2007- 2009 e nel medesimo periodo gli importi deducibili

sono ridotti ad un terzo. Valgono inoltre le limitazioni previste per le aree su cui insistono i fabbricati che già hanno colpito le imprese in forza delle previsioni di cui al decreto legge 223 (convertito nella legge 248-2006).

L’innovazione può essere letta come una ulteriore tappa di avvicinamento delle modalità di determinazione del reddito professionale a quello d’impresa e, quanto meno fino a quando non interverranno note interpretative della novità, sarà questa la chiave di lettura che

occorrerà utilizzare per cercare di illustrare i punti ancora dubbi della questione.

Gli immobili dei professionisti: la norma

La finanziaria elimina un vecchio divieto che in pratica rendeva ininfluenti gli acquisti di immobili utilizzati nell’esercizio della professione. Ciò ha “costretto”, da più tempo, i professionisti a rivolgersi alla locazione (anche se economicamente meno vantaggiosa) con la sola finalità di

poter considerare deducibile l’importo correlato all’utilizzo di un immobile per lo svolgimento della loro attività. O anche di ideare costruzioni giuridico - societarie che in qualche modo riuscivano a superare i limiti normativi (costituzione della società immobiliare che dopo aver acquistato lo

studio professionale lo concedeva in locazione al professionista ecc.).

La nuova previsione di rilevanza fiscale degli immobili professionali è ottenuta intervendo sull’art. 54, comma 2 del Tuir: si è eliminata la locuzioni immobili nella parte in cui si

elencavano i beni che non concorrevano a formare il reddito professionale.

TESTO ANTE FINANZIARIA 2007 TESTO POST FINANZIARIA 2007 2. Per i beni strumentali per l'esercizio dell'arte o professione esclusi gli immobili e gli oggetti di arte, di antiquariato o da collezioni di cui al comma 5 sono ammesse in deduzione quote annuali di ammortamento non superiori a quelle risultanti dall'applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti, per categorie di beni omogenei, con decreto del Ministro delle finanze. E' tuttavia consentita la deduzione integrale, nel

2. Per i beni strumentali per l'esercizio dell'arte o della professione, esclusi (……) gli oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione di cui al comma 5, sono ammesse in deduzione quote annuali di ammortamento non superiori a quelle risultanti dall'applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti, per categorie di beni omogenei, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. È tuttavia consentita la deduzione integrale, nel

* Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Giuridica) 21 Il riferimento è all’art. 1, commi 334 e 355

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Il nuovo trattamento degli immobili dei professionisti

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periodo di imposta in cui sono state sostenute, delle spese di acquisizione di beni strumentali il cui costo unitario non sia superiore a 1 milione di lire. La deduzione dei canoni di locazione finanziaria di beni mobili è ammessa a condizione che la durata del contratto non sia inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito nel predetto decreto. Per gli immobili strumentali per l'esercizio dell'arte o professione utilizzati in base a contratto di locazione finanziaria è ammesso in deduzione un importo pari alla rendita catastale. I canoni di locazione finanziaria di beni mobili sono deducibili nel periodo di imposta in cui maturano. Le spese relative all'ammodernamento, alla ristrutturazione e alla manutenzione straordinaria di immobili utilizzati nell'esercizio di arti e professioni sono deducibili in quote costanti nel periodo d'imposta in cui sono sostenute e nei quattro successivi.

periodo d'imposta in cui sono state sostenute, delle spese di acquisizione di beni strumentali il cui costo unitario non sia superiore a euro 516,4. La deduzione dei canoni di locazione finanziaria di beni strumentali è ammessa a condizione che la durata del contratto non sia inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito nel predetto decreto e comunque con un minimo di otto anni e un massimo di quindici se lo stesso ha per oggetto beni immobili. Ai fini del calcolo delle quote di ammortamento deducibili dei beni immobili strumentali, si applica l'articolo 36, commi 7 e 7-bis, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248. Per i beni di cui all'articolo 164, comma 1, lettera b), la deducibilità dei canoni di locazione finanziaria è ammessa a condizione che la durata del contratto non sia inferiore al periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito a norma del primo periodo. I canoni di locazione finanziaria dei beni strumentali sono deducibili nel periodo d'imposta in cui maturano. Le spese relative all'ammodernamento, alla ristrutturazione e alla manutenzione di immobili utilizzati nell'esercizio di arti e professioni, che per le loro caratteristiche non sono imputabili ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, sono deducibili, nel periodo d'imposta di sostenimento, nel limite del 5 per cento del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili, quale risulta all'inizio del periodo d'imposta dal registro di cui all'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni; l'eccedenza è deducibile in quote costanti nei cinque periodi d'imposta successivi

L’ammortamento

Con riguardo alla rilevanza che gli immobili assumeranno (a partire dal 1 gennaio 2007) si

deve considerare quanto previsto dal comma 2 della disposizione in esame.

Per gli immobili strumentali per l’esercizio dell’arte o della professione sono ora ammesse in

deduzione quote annuali di ammortamento non superiori a quelle risultanti dall’applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti, per categorie di beni omogenei, con decreto del

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Ministro dell’economia e delle finanze. Il riferimento è al decreto del 31.12.1988 e considerato che ai professionisti deve essere applicata la tabella residuale di detto decreto gli ammortamenti dovranno essere calcolati applicando un’aliquota del 3%. Inutile sottolineare

che in tal caso (come sempre avviene nell’ambito dei beni strumentali) si assiste ad una ulteriore (e più che giustificata) deroga del principio di cassa. Con rilevanza per quest’ultima regola ma con valenza generale si deve inoltre ritenere che la

qualifica di strumentalità necessaria al fine di godere del riconoscimento della deducibilità degli ammortamenti debba essere quella già propria del reddito d’impresa. Ciò significa che l’immobile del professionista potrà essere considerato strumentale sia nel caso in cui lo

stesso sia tale per natura che per destinazione. Il caso potrebbe assumere rilevanza in tale settore in cui l’immobile adibito all’attività sarà in sostanza lo studio professionale con quindi un alta probabilità che la classificazione dello stesso sia anche quella propria degli immobili di

civile abitazione (il fabbricato A3 destinato ad uso ufficio). L'assenza di ulteriori e specifiche disposizioni in tema di ammortamento dei beni immobili nell’ambito professionale fa si che agli stessi siano applicabili le ordinarie regole già previste

dall’art. 54 del Tuir. Ad esempio tornerà applicabile la regola che, nell'ambito del lavoro autonomo, nega la possibilità di ridurre alla metà, per il primo anno di utilizzazione del bene, il coefficiente di

ammortamento, come quella che nega la possibilità di utilizzare tecniche di ammortamento accelerato e/o anticipato.

Fattispecie che potrà assumere rilevanza nell’ipotesi di acquisto di immobile, è quella in cui il

pagamento non avvenga in modo immediato.

La tesi che si preferisce22 è quella secondo cui i lavoratori autonomi devono determinare il

reddito imponibile di ogni periodo di imposta calcolando quote di ammortamento individuate applicando i coefficienti ai costi unitari dei singoli beni, senza che abbia rilevanza il fatto che il pagamento non sia ancora avvenuto in tutto o in parte.

Si è infatti sostenuto che “la scelta del legislatore tributario di utilizzare nel D.P.R. n. 917 del 1986, il termine "spesa" per indicare il componente negativo del reddito e il termine "costo" per il fattore produttivo a durata pluriennale, implica di conseguenza, nel comma 2 del citato

articolo, una deroga al regime di cassa, per cui la partecipazione dei "costi" dei beni strumentali deve avvenire per quote a prescindere dall'effettivo pagamento del bene, ancorché nel contratto di acquisto sia stato convenuto il pagamento rateale o questo non sia

ancora avvenuto”. Inoltre vi è da ricordare che nell’ambito del lavoro autonomo per individuare il momento da cui far scattare il processo di ammortamento non apre assumere rilevanza l’entrata in

funzione del bene. Ciò che invece assume rilevanza è più semplicemente il momento della consegna o di spedizione dei bene oggetto di ammortamento23.

22 Vedi la Norma di comportamento n. 146 del 2001 dell'Associazione dei Dottori commercialisti, confermata dalla risoluzione 117/E del 12 aprile 2002. 23 Si veda sul punto la circolare nr. 90/E del 17 ottobre 2001

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Il nuovo trattamento degli immobili dei professionisti

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Il leasing

Con riguardo alla deduzione dei canoni di locazione finanziaria di beni strumentali, la regola

generale è quella che ammette la deducibilità a patto che la durata del contratto non sia

inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito dal

già citato decreto ministeriale. Ma anche per questa tipologia si assiste ad una parificazione

tra reddito professionale e reddito d’impresa. Infatti dopo aver ammesso in deduzione per i

lavoratori autonomi le quote di ammortamento degli immobili:

• si concede la deducibilità anche dei canoni di leasing immobiliare;

• si collega la deducibilità a quanto previsto nell’ambito del reddito d’impresa.

I leasing immobiliari formeranno infatti componenti negativi rilevanti nella determinazione

del reddito professionale solo se la loro durata risulterà pari alla metà del periodo di

ammortamento e comunque con un minimo di otto anni e un massimo di quindici se lo

stesso ha per oggetto beni immobili.

Si noti che tale disposizione appare fin troppo minuziosa se rapportata al reddito di lavoro

autonomo. Considerato che il coefficiente di ammortamento delle categorie professionali si

ritiene sarà sempre quello pari al 3% (previsto per tali beni dal dm 31.12.1988),

l’applicazione di tale regola porterà nella pratica sempre a concedere la deducibilità a fronte

di leasing della durata minima di 15 anni.

Scorporo delle aree24

Ulteriore parificazione tra le due categorie reddittuali è quella che comporta l’applicabilità

dello scorporo dell’area su cui insite il fabbricato strumentale anche per i professionisti con

l’applicazione dell’articolo 36, commi 7 e 7-bis, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223,

convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, come ulteriormente

innovato dal successivo decreto legge 262).

Ciò significa che anche per i professionisti le quote di ammortamento (e il calcolo della quota

parte dei canoni di leasing deducibili) dovrà tener conto della non rilevanza del costo del

terreno su cui insiste il fabbricato strumentale per natura o destinazione.

La norma prevede che ai fini del calcolo degli ammortamenti deducibili esistano diverse

opzioni per l'individuazione del valore dell'area da neutralizzare fiscalmente: può assumere

rilevanza il costo di acquisto, il valore di iscrizione in bilancio o un dato forfettario calcolato

sul valore complessivo dell'immobile.

Ora con riguardo all’applicazione di tale regola al mondo dei lavoratori autonomi occorrono

però alcune considerazioni:

24 Anche nel mondo professionale si devono ripetere tutti i dubbi ancora esistenti con riguardo alla nuova regola quale ad esempio il trattamento da riservare agli immobili non cielo terra o i calcoli da effettuare nel caso di acquisizione per il tramite di un contratto di leasing

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• non si potrà dar luogo alla regola che permette di individuare il valore dell’area per un

importo pari a quello a cui la stessa è iscritta separatamente in bilancio;

• non pare possa mai giungersi a ritenere applicabile la percentuale di scorporo del 30%

dedicata al caso in cui l’immobile sia classificato come industriale25.

Ciò comporterà che gli unici due comportamenti possibili saranno quelli:

• di applicare la percentuale forfetaria del 20% nel caso in cui l’acquisto dell’immobile sia

effettuato in modo indistinto per fabbricato e area su cui lo stesso insiste;

• di applicare il valore dell’area pari a quello di acquisto nel caso di acquisto separato e di

successiva costruzione del fabbricato sovrastante.

Immobili promiscui

Con riguardo alla categoria degli immobili promiscui diviene preliminare la lettura del comma

3 del più volte citato articolo 54 confrontando il testo pre e post finanziaria 2007.

TESTO ANTE FINANZIARIA 2007 TESTO POST FINANZIARIA 2007 3. Le spese relative all'acquisto di beni mobili diversi da quelli indicati nel comma 4 adibiti promiscuamente all'esercizio dell'arte o professione e all'uso personale o familiare del contribuente sono ammortizzabili, o deducibili se il costo unitario non è superiore a 1 milione di lire, nella misura del 50 per cento; nella stessa misura sono deducibili i canoni di locazione anche finanziaria e di noleggio e le spese relativi all'impiego di tali beni. Per gli immobili utilizzati promiscuamente è deducibile una somma pari al 50 per cento della rendita catastale anche se utilizzati in base a contratto di locazione finanziaria, ovvero una somma pari al 50 per cento del canone di locazione, a condizione che il contribuente non disponga nel medesimo comune di altro immobile adibito esclusivamente all'esercizio dell'arte o professione. Nella stessa misura sono deducibili le spese per i servizi relativi a tali immobili nonché quelle relative all'ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione straordinaria degli immobili utilizzati.

3. Le spese relative all'acquisto di beni mobili diversi da quelli indicati nel comma 4 adibiti promiscuamente all'esercizio dell'arte o professione e all'uso personale o familiare del contribuente sono ammortizzabili, o deducibili se il costo unitario non è superiore a 1 milione di lire, nella misura del 50 per cento; nella stessa misura sono deducibili i canoni di locazione anche finanziaria e di noleggio e le spese relativi all'impiego di tali beni. Per gli immobili utilizzati promiscuamente, a condizione che il contribuente non disponga nel medesimo comune di altro immobile adibito esclusivamente all'esercizio dell'arte o professione, è deducibile una somma pari al 50 per cento della rendita ovvero, in caso di immobili acquisiti mediante locazione, anche finanziaria, un importo pari al 50 per cento del relativo canone. Nella stessa misura sono deducibili le spese per i servizi relativi a tali immobili nonché quelle relative all'ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione degli immobili utilizzati, che per le loro caratteristiche non sono imputabili ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono

25 Pur in attesa di istruzioni sul punto si preferisce infatti collegare tale qualificazione all’utilizzo che viene effettuato dell’immobile soprattutto dopo le innovazioni apportate dal decreto legge 262 sul punto.

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Il nuovo trattamento degli immobili dei professionisti

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La situazione previgente può essere così riassunta:

• immobili di proprietà utilizzati promiscuamente: si concedeva la deduzione del 50% della sola

rendita catastale a condizione che il contribuente non possedesse nel medesimo comune di

altro immobile utilizzato esclusivamente per l’esercizio dell’arte o della professione;

• immobili condotti in leasing utilizzati promiscuamente: si concedeva la deduzione del

50% della sola rendita catastale a condizione che il contribuente non possedesse nel

medesimo comune di altro immobile utilizzato esclusivamente per l’esercizio dell’arte o

della professione;

• immobili condotti in locazione semplice utilizzati promiscuamente: era prevista la

deduzione del 50% dei canoni

Dopo la Finanziaria per il 2007 , invece, fermi restando i requisiti di non possesso di altro

immobile strumentale nel medesimo comune:

• rimane ferma la deducibilità del 50% della rendita nel caso di immobile in proprietà;

• viene accordata la deduzione del 50% dei canoni di locazione anche finanziaria, si ritiene

alle medesime condizioni generali di cui al comma precedente, parificando l’ipotesi di

locazione semplice e finanziaria.

La deducibilità (limitata) di tali spese è concessa però a patto che il contribuente non

disponga nel medesimo comune di altro immobile adibito esclusivamente all’esercizio

dell’arte o professione. L’obiettivo di tale regola è evidente anche se lascia aperto qualche

dubbio. Si ipotizzi il caso (raro) di più immobili adibiti promiscuamente caso per cui la regola

limitativa non parrebbe applicabile. D’altra parte ciò potrebbe anche essere considerato

coerente con la mancanza di qualsiasi limitazione numerica contenuta nella regola che

concede la rilevanza degli immobili nel mondo professionale.

E’ inoltre prevista la deducibilità al 50 per cento delle spese per i servizi relativi a tali immobili

nonché di quelle relative all’ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione degli

immobili utilizzati, che per le loro caratteristiche non sono imputabili ad incremento del costo

dei beni ai quali si riferiscono. Si deve osservare che, nel comma in commento, non è più

evocato il meccanismo di osservanza del plafond, legittimandosi una deduzione integrale

nell’esercizio di sostenimento delle spese.

Con riguardo al regime delle spese relative all’ammodernamento, alla ristrutturazione e alla manutenzione di immobili utilizzati nell’esercizio di arti e professioni è da notare quanto segue. Si introduce un discrimine in ragione della loro imputabilità, o meno, ad incremento del costo

del fabbricato cui si riferiscono; infatti: • se le stesse, per le loro caratteristiche, non sono imputabili ad incremento del costo dei

beni ai quali si riferiscono, sono deducibili, nel periodo d'imposta di sostenimento,

secondo il medesimo plafond che regola la deducibilità delle spese di manutenzione nel reddito di impresa (5% per cento del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili, quale risulta all'inizio del periodo d'imposta); l'eventuale eccedenza è

invece deducibile in quote costanti nei cinque periodi d'imposta successivi;

L A V O R O

A U T O N O M O

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112

• diversamente, se le stesse sono “capitalizzabili”26, seguiranno la generale regola di deduzione prevista per il costo degli immobili.

Pertanto se tali spese non sono capitalizzate sul valore degli immobili, sono deducibili, nel

periodo d’imposta di sostenimento, nel limite del 5 per cento del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili. Da notare che la norma fa riferimento al valore dei beni iscritti “quale risulta all’inizio del periodo d’imposta dal registro di cui all’articolo 19 del decreto del Presidente

della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”. La norma pertanto richiama espressamente la necessità dell’iscrizione (e quindi la tenuta) del libro cespiti mostrando probabilmente un mancato coordinamento con l’evoluzione delle norme in materia. Qualora il 5% dedotto nell’anno

di sostenimento sia inferiore alla spesa complessivamente sostenuta è concesso che l’eccedenza sia deducibile in quote costanti nei cinque periodo d’imposta successivi (anche in tal caso è parificato il trattamento tra reddito d’impresa e lavoro autonomo)27.

Si noti che le spese di ammodernamento e ristrutturazione28, nella precedente disciplina erano “spalmate” per quote costanti su 5 anni; su tale ultimo aspetto, tra l’altro, va notato come non si sia prevista alcuna norma transitoria per regolare la sorte delle quote pendenti

relative ad interventi iniziati prima del 2007, con il conseguente dubbio se le stesse debbano proseguire (come ritiene chi scrive) nel loro ordinario ritmo di deduzione già acquisito secondo la precedente normativa.

Entrata in vigore e applicabilità

Con riguardo alle regole introdotte per il trattamento degli immobili dei professionisti la legge

finanziaria prevede:

• che le regole in tema di deduzione dell’ammortamento o dei canoni di locazione

finanziaria degli immobili strumentali per l’esercizio dell’arte o della professione si

applicano agli immobili acquistati nel periodo dal 1º gennaio 2007 al 31 dicembre 2009 e

ai contratti di locazione finanziaria stipulati nel medesimo periodo;

• per i periodi d’imposta 2007, 2008 e 2009, gli importi deducibili sono ridotti a un terzo

• Ciò significa, considerando che l’aliquota di ammortamento “legale” è quella del 3%, che

per il triennio 2007 - 2009 la deducibilità sarà limitata ad un importo pari al 1% del costo

dell’immobile. Dal testo letterale della norma la quota non deducibile in tale triennio non

pare essere definitivamente persa per il professionista ma potrà dar luogo ad un

recupero negli anni successivi.

26 Si ritiene significativo, a tale riguardo, il contenuto del principio contabile nazionale n. 16, ove si consente la capitalizzazione in relazione a reali incrementi di utilità o di vita utile del bene. 27 Il requisito della necessario test di capitalizzabilità può creare alcune perplessità in merito alla applicazione anche alle spese sostenute su beni di terzi; sul punto la norma non è per nulla chiara e richiede una presa di posizione interpretativa da parte dell’Agenzia, fosse anche per affermare una deducibilità frazionata sulla base della durata del titolo giuridico in forza dee quale si utilizza l’immobile o del periodo di utilità delle spese stesse. Qualora nulla fosse chiarito, si ritiene che, in presenza di inerenza, addirittura la norma potrebbe condurre ad una deduzione immediata secondo il criterio di cassa, con ciò forzando la logica sottostante del sistema.

28 Chi scrive ritiene in relazione ad immobili sia propri che di terzi, ma sul punto i pareri della dottrina non erano concordi.

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Il nuovo trattamento degli immobili dei professionisti

113

Il riferimento agli immobili acquisti nel triennio porta inoltre ad una ulteriore conseguenza:

• la rilevanza degli immobili professionali non può essere estesa ad immobili già acquistati

in anni precedenti:

• la rilevanza degli immobili professionali non potrà essere estesa (salvo mutamenti

normativi) ad immobili acquistati una volta decorso il triennio individuato dalla norma.

Minus e plusvalenze

E’ evidente che le novità introdotte con riguardo alla rilevanza degli immobili nell’ambito del

reddito professionale porti con se ulteriori conseguenze.

Il decreto legge 223/2006 era intervenuto sull’articolo 54 del Tuir prevedendo la rilevanza

delle plusvalenze e minusvalenze, se realizzate – dal 4.07.2006 - mediante cessione a titolo

oneroso o risarcimento anche in forma assicurativa per la perdita o il danneggiamento di

beni, oppure connesse alla destinazione al consumo personale, familiare o estraneo

all’esercizio dell’arte o professione, dei beni strumentali con esclusione però, tra gli altri di

quelle relative ai beni immobili.

La circolare 28/E/2006 dell’Agenzia delle entrate, ha poi confermato la rilevanza parziale di plus e

minus relative a beni il cui costo non sia integralmente deducibile, applicando il noto rapporto tra

ammontare dell’ammortamento fiscalmente dedotto e quello complessivamente effettuato.

Nella particolare ipotesi delle plusvalenze, inoltre, si registra l’impossibilità di beneficiare della

tassazione frazionata su più esercizi, così come invece evocato – salvo il ricorrere delle

condizioni ivi previste - dal comma 4 dell’articolo 86 in tema di reddito di impresa, per effetto

della applicazione stringente del criterio di cassa.

Ora, dopo le modifiche che assegnano rilevanza reddittuale agli immobili nell’ambito del

lavoro autonomo, tra le categorie di beni non suscettibili di generare componenti straordinari

scompaiono gli immobili come risulta evidente dal confronto dei testi normativi.

.

TESTO ANTE FINANZIARIA 2007 TESTO POST FINANZIARIA 2007 Art. 54 - Determinazione del reddito di

lavoro autonomo

1. INVARIATO

1-bis. Concorrono a formare il reddito le

plusvalenze e le minusvalenze dei beni

strumentali, esclusi gli immobili e gli oggetti

d'arte, di antiquariato o da collezione, se:

a) sono realizzate mediante cessione a titolo

oneroso;

b) sono realizzate mediante il risarcimento, anche

in forma assicurativa, per la perdita o il

danneggiamento dei beni;

Art. 54 - Determinazione del reddito di

lavoro autonomo

1. INVARIATO

1-bis. Concorrono a formare il reddito le

plusvalenze dei beni strumentali, esclusi gli

oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione di

cui al comma 5, se:

a) sono realizzate mediante cessione a titolo

oneroso;

b) sono realizzate mediante il risarcimento, anche

in forma assicurativa, per la perdita o il

danneggiamento dei beni;

L A V O R O

A U T O N O M O

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114

c) i beni vengono destinati al consumo personale o familiare dell'esercente l'arte o la professione o a finalità estranee all'arte o professione 1-ter. Si considerano plusvalenza o minusvalenza la differenza, positiva o negativa, tra il corrispettivo o l'indennità percepiti e il costo non ammortizzato ovvero, in assenza di corrispettivo, la differenza tra il valore normale del bene e il costo non ammortizzato 1-quater. Concorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all'attività artistica o professionale

c) i beni vengono destinati al consumo personale o familiare dell'esercente l'arte o la professione o a finalità estranee all'arte o professione 1-bis1. Le minusvalenze dei beni strumentali di cui al comma 1-bis sono deducibili se sono realizzate ai sensi delle lettere a) e b) del medesimo comma 1-bis 1-ter. Si considerano plusvalenza o minusvalenza la differenza, positiva o negativa, tra il corrispettivo o l'indennità percepiti e il costo non ammortizzato ovvero, in assenza di corrispettivo, la differenza tra il valore normale del bene e il costo non ammortizzato 1-quater. Concorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all'attività artistica o professionale

IMMOBILI E PROFESSIONISTI Rilevanza fiscale Sono rilevanti ai fini della determinazione del reddito professionale gli

immobili strumentali acquistati da i professionisti

Ammortamento Sono ammesse in deduzione quote annuali di ammortamento non superiori a quelle risultanti dall’applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti, per categorie di beni omogenei, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

Leasing I leasing immobiliari formeranno componenti negativi rilevanti nella determinazione del reddito solo se la loro durata sia pari alla metà del periodo di ammortamento e comunque con un minimo di otto anni e un massimo di quindici se lo stesso ha per oggetto beni immobili.

Scorporo dell’area Anche per i professionisti le quote di ammortamento (e il calcolo della quota parte dei canoni di leasing deducibili) dovrà tener conto della non rilevanza del costo del terreno su cui insiste il fabbricato strumentale per natura o destinazione

Immobili strumentali La qualifica di strumentalità necessaria al fine di godere del riconoscimento della deducibilità degli ammortamenti debba essere quella già propria del reddito d’impresa. Ciò significa che l’immobile del professionista potrà essere considerato strumentale sia nel caso in cui lo stesso sia tale per natura che per destinazione.

Immobili promiscui è deducibile una somma pari al 50 per cento della rendita, del canone nell’ipotesi di immobili di cui si gode in forza di una contratto di locazione o locazione finanziaria, delle spese per i servizi relativi a tali immobili nonché di quelle relative all’ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione degli immobili utilizzati, che per le loro caratteristiche non sono imputabili ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono a patto che il contribuente non disponga nel medesimo comune di altro immobile adibito esclusivamente all’esercizio dell’arte o professione.

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Il nuovo trattamento degli immobili dei professionisti

115

Spese sugli immobili Se tali spese non sono capitalizzate sul valore degli immobili stesse sono

deducibili, nel periodo d’imposta di sostenimento, nel limite del 5 per cento

del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili. L’eccedenza è

deducibile in quote costanti nei cinque periodo d’imposta successivi

Entrata in vigore Gli ammortamenti e i canoni di leasing sono deducibili se gli immobili

sono acquistati (o i contratti di leasing stipulati) nel periodo dal 1º

gennaio 2007 al 31 dicembre 2009. Per i periodi d’imposta 2007, 2008 e

2009, gli importi deducibili sono ridotti a un terzo.

LE ALTRE NOVITÀ DEL REDDITO PROFESSIONALE Auto

Anche i leasing auto dei professionisti subiscono le limitazioni già introdotte per le imprese

dal decreto legge 223. Questa un'altra delle novità contenute nella legge finanziaria per il

2007 in grado di incidere nella determinazione del reddito di lavoro autonomo.

L’attuale formulazione dell’art. 164 del Tuir prevede dispone una deducibilità parziale per i

costi auto degli esercenti attività di lavoro autonomo. La deducibilità è limitata alla misura del

venticinque per cento, nel limite di un solo veicolo, oppure di un veicolo per ogni socio o

associato nel caso di esercizio della professione nella forma della associazione professionale

o della società semplice.

Vale ancora in questa ipotesi il limite alla deduzione parziale:

1) nel caso di acquisto, non si tiene conto della parte del costo eccedente:

- € 18.075,99 per le autovetture ed autocaravan;

- € 4.131,66 per i motocicli;

- € 2.065,83 per i ciclomotori.

2) nel caso di stipula di un contratto di leasing, non si tiene conto dell’ammontare dei canoni

proporzionalmente corrispondente al costo dei suddetti veicoli che eccede i limiti indicati

al punto precedente;

3) nel caso di stipula di un contratto di locazione o di noleggio, non si tiene conto della

parte del costo eccedente:

- € 3.615,20 per le autovetture ed autocaravan

- € 774,69 per i motocicli

- € 413,17 per i ciclomotori.

Il decreto legge 223/2006 ha apportato una ulteriore innovazione all’articolo 102 del TUIR in

tema di ammortamenti e di leasing prevedendo l'esclusione dell'ammortamento anticipato ai

beni di cui all'art. 164, comma 1, lett. b), del Tuir (trattasi delle auto parzialmente deducili

fattispecie ora limitata oltre ai professionisti agli agenti e rappresentanti di commercio).

L A V O R O

A U T O N O M O

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Con riferimento alla deducibilità dei canoni di leasing riferibili ai beni in questione, il comma 6-bis,

inserendo una nuova disposizione nel comma 7 dell'art. 102 del T.U.I.R., subordina la deduzione

fiscale alla condizione che il relativo contratto di leasing non sia inferiore al periodo di

ammortamento corrispondente all'applicazione delle aliquote previste dal D.M. 31 dicembre 1988

al costo del bene e non alla metà del periodo di ammortamento, come in precedenza previsto.

Stante che la percentuale di ammortamento prevista per le vetture è del 25%, significa che i

contratti di leasing dovranno avere necessariamente durata quadriennale.

Tali regole però non avevano in pratica effetto per i professionisti.

Con riguardo alla durata dei leasing l’innovazione era intervenuta nell’ambito dell’art. 102 del

Tuir, ovvero in una articolo destinato alla regolamentazione del reddito d’impresa. Ciò

portava a ritenere che la nuova limitazione non potesse trovare applicazione con riguardo al

mondo professionale dovendosi allo stesso applicare quanto stabilito dall’art. 54. In tal modo

i contratti di leasing auto dei professionisti potevano ancora essere stipulati, mantenendo la

loro rilevanza fiscale, per la durata di 2 anni.

Ora interviene però la legge finanziaria stabilendo (con una modifica all’art. 54 del Tuir) che per i

beni di cui all’articolo 164, comma 1, lettera b), la deducibilità dei canoni di locazione finanziaria

è ammessa a condizione che la durata del contratto non sia inferiore al periodo di

ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito a norma del primo periodo. I canoni di

locazione finanziaria dei beni strumentali sono deducibili nel periodo d’imposta in cui maturano.

Ciò comporta che anche per i lavoratori autonomi la deducibilità parziale è ammessa solo nel

caso di leasing della durata di 4 anni.

Si noti che la differente entrate in vigore delle norme comporterà tale situazione:

• imprese: la limitazione alla deducibilità in conseguenza della durata minima del contratto

è prevista per i contratti stipulati dal 12 agosto 2006;

• professionisti: la limitazione alla deducibilità in conseguenza della durata minima del

contratto sarà prevista per i contratti stipulati dal 1 gennaio 2007.

TESTO ANTE FINANZIARIA 2007 TESTO POST FINANZIARIA 2007

2. Per i beni strumentali per l'esercizio dell'arte o

professione esclusi gli immobili e gli oggetti di

arte, di antiquariato o da collezioni di cui al

comma 5 sono ammesse in deduzione quote

annuali di ammortamento non superiori a quelle

risultanti dall'applicazione al costo dei beni dei

coefficienti stabiliti, per categorie di beni

omogenei, con decreto del Ministro delle finanze.

E' tuttavia consentita la deduzione integrale, nel

periodo di imposta in cui sono state sostenute,

2. Per i beni strumentali per l'esercizio dell'arte o

della professione, esclusi gli oggetti d'arte, di

antiquariato o da collezione di cui al comma 5,

sono ammesse in deduzione quote annuali di

ammortamento non superiori a quelle risultanti

dall'applicazione al costo dei beni dei coefficienti

stabiliti, per categorie di beni omogenei, con

decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.

È tuttavia consentita la deduzione integrale, nel

periodo d'imposta in cui sono state sostenute,

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Il nuovo trattamento degli immobili dei professionisti

117

delle spese di acquisizione di beni strumentali il

cui costo unitario non sia superiore a 1 milione di

lire. La deduzione dei canoni di locazione

finanziaria di beni mobili è ammessa a condizione

che la durata del contratto non sia inferiore alla

metà del periodo di ammortamento

corrispondente al coefficiente stabilito nel

predetto decreto. Per gli immobili strumentali per

l'esercizio dell'arte o professione utilizzati in base

a contratto di locazione finanziaria è ammesso in

deduzione un importo pari alla rendita catastale. I

canoni di locazione finanziaria di beni mobili sono

deducibili nel periodo di imposta in cui maturano.

Le spese relative all'ammodernamento, alla

ristrutturazione e alla manutenzione straordinaria

di immobili utilizzati nell'esercizio di arti e

professioni sono deducibili in quote costanti nel

periodo d'imposta in cui sono sostenute e nei

quattro successivi.

delle spese di acquisizione di beni strumentali il

cui costo unitario non sia superiore a euro 516,4.

La deduzione dei canoni di locazione finanziaria di

beni strumentali è ammessa a condizione che la

durata del contratto non sia inferiore alla metà

del periodo di ammortamento corrispondente al

coefficiente stabilito nel predetto decreto e

comunque con un minimo di otto anni e un

massimo di quindici se lo stesso ha per oggetto

beni immobili. Ai fini del calcolo delle quote di

ammortamento deducibili dei beni immobili

strumentali, si applica l'articolo 36, commi 7 e 7-

bis, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223,

convertito, con modificazioni, dalla legge 4

agosto 2006, n. 248. Per i beni di cui

all'articolo 164, comma 1, lettera b), la

deducibilità dei canoni di locazione

finanziaria è ammessa a condizione che la

durata del contratto non sia inferiore al

periodo di ammortamento corrispondente

al coefficiente stabilito a norma del primo

periodo. I canoni di locazione finanziaria

dei beni strumentali sono deducibili nel

periodo d'imposta in cui maturano. (omissis)

Telefonia

Infine, deve essere registrata una modifica anche alle regole di deducibilità delle spese per

telefonia, inserita con una modifica al comma 3-bis dello stesso articolo 54 del TUIR

TESTO ANTE FINANZIARIA 2007 TESTO POST FINANZIARIA 2007 3-bis. Le quote di ammortamento, i canoni di locazione finanziaria o di noleggio e le spese di impiego e manutenzione relativi ad apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione soggette alla tassa di cui al n. 131 della tariffa annessa al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, sono deducibili nella misura del 50 per cento.

3-bis. Le quote di ammortamento, i canoni di locazione finanziaria o di noleggio e le spese di impiego e manutenzione relativi ad apparecchiature terminali per servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico di cui alla lettera gg) del comma 1 dell’articolo 1 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259, sono deducibili nella misura dell’80 per cento.

L A V O R O

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Nonostante un riferimento normativo di non agevole lettura, la norma comporta un deciso

cambio di rotta rispetto alle previgenti regole; infatti, sino all’anno 2006 si consentiva la

deduzione integrale delle spese di telefonia fissa, applicando invece la limitazione del 50%

alle spese relative alla telefonia mobile, con o senza contratto.

Dal 2007, invece, tale ipotetica distinzione non sussiste più, stante che il richiamo al codice

delle comunicazioni elettroniche comprende ogni tipo di servizio telefonico; pertanto:

• da un lato si registra una restrizione della quota di spese deducibili in relazione alla

telefonia fissa, tanto per ciò che attiene l’acquisto del classico centralino e degli

apparecchi di studio, quanto per i consumi delle bollette;

• dall’altro, invece, si registra un incremento della quota deducibile per l’acquisto dei

cellulari e apparecchi similari e per le relative spese di consumo.

La norma, evidentemente, si poggia sulla necessità di una incentivazione all’utilizzo delle

nuove reti e dei nuovi strumenti telefonici, mediante una equiparazione del trattamento dei

relativi costi a livello fiscale.

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GLI IMMOBILI DEI PROFESSIONISTI a cura di Norberto Villa*

Fabbricati strumentali

Nuovo Nuovo

Art. 54Art. 54

Vecchia Vecchia regolaregola

E’ assegnata rilevanza fiscale agli immobili professionali: è eliminata la locuzioni immobili nella parte in cui si elencavano i beni che non concorrevano alla formazione del reddito di lavoro autonomo

Ininfluenza fiscale degli acquisti di immobili utilizzat i nell’esercizio della professione.

Si supera la necessità di creare “percorsi alternativi” per ottenre la deducibilità dell’ investimento immobiliare

Gli immobili e l’ammortamentoGli immobili e l’ammortamento

Manca una definizione di immobile strumentale nell’art. 54Manca una definizione di immobile strumentale nell’art. 54

Riferimento al reddito d’impresa

Applicabilità delle regole tipiche per gli ammortamenti dei professionisti

Ammortamento in base ai coefficienti 31.12.1988Ammortamento in base ai coefficienti 31.12.1988

* Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Fiscale)

L A V O R O

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Gli immobili e il leasingGli immobili e il leasing

Parificazione del leasing all’acquisto anche nell’art. 54Parificazione del leasing all’acquisto anche nell’art. 54

durata pari alla metà del periodo

di ammortamento

La deducibilità è ammessa a patto che la durata del leasing

sia di almento 15 anni

Lo scorporo delle areeLo scorporo delle aree

Applicabilità dell’art. 36, commi 7 e 7 bis del dl 223Applicabilità dell’art. 36, commi 7 e 7 bis del dl 223--20062006

Ulteriore parificazione tra impresa e professionista

Valgono anche per i

professionisti i dubbi ancora esistenti (es.

fabbricati non cielo terra)

Esistono particolarità per il

mondo professionale

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Gli immobili dei professionisti

121

Art. 36 c. 7 – c. 7 bis D. L. 223/2006

7. Ai fini del calcolo delle quote di ammortamento deducibili il costo complessivo dei fabbricati strumentali è assunto al netto del costo delle aree occupate dalla costruzione e di quelle che ne costituiscono pertinenza. Il costo da attribuire alle predette aree, ove non autonomamente acquistate in precedenza, è quantificato in misura pari al maggior valore tra quello esposto in bilancio nell'anno di acquisto e quello corrispondente al 20 per cento e, per i fabbricati industriali, al 30 per cento del costo complessivo stesso. Per fabbricati industriali si intendono quelli destinati alla produzione o trasformazione di beni.

7 bis. Le disposizioni del comma 7 si applicano, con riguardo alla quota capitale dei canoni, anche ai fabbricati strumentali in locazione finanziaria. Per la determinazione dell'acconto dovuto ai sensi del comma 34 non si tiene conto della disposizione del periodo precedente.

Lo scorporo delle areeLo scorporo delle aree

Le particolarità: lo scorporo dell’areaLe particolarità: lo scorporo dell’area

Valore di iscrizione in bilancio: non

dovrebbe risultare

applicabile

Valore forfettario: applicabile (si presume

sempre per il 20%)

Valore dell’acquisto autonomo: applicabile

L A V O R O

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Immobili promiscuiImmobili promiscui

I casiI casi PrimaPrima DopoDopo

ProprietàProprietà

LeasingLeasing

LocazioneLocazione 50% 50% canonecanone

50% 50% renditarendita

50% 50% renditarendita

50% 50% canonecanone

50% 50% canonecanone

50% 50% renditarendita

Il regime delle speseIl regime delle spese

I casi: immobili strumentaliI casi: immobili strumentali

ProprietàProprietà

LeasingLeasing

LocazioneLocazione

Ammodernamento, ristrutturazione Ammodernamento, ristrutturazione e manutenzionee manutenzione

1. Se capitalizzabili: regole ordinarie

2. Se non capitalizzabili: plafond del 5% ed eccedenza nei 5 periodi d’imposta successivi (??). Posizione ancora dubbia.

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Gli immobili dei professionisti

123

Il regime delle speseIl regime delle spese

I casi: immobili promiscuiI casi: immobili promiscui

ProprietàProprietà

LeasingLeasing

LocazioneLocazione

Ammodernamento, Ammodernamento, ristrutturazione e ristrutturazione e

manutenzionemanutenzione

ServiziServizi

50%50%

Entrata in vigoreEntrata in vigore

le regole in tema di deduzione dellle regole in tema di deduzione dell’’ammortamento o dei canoni di ammortamento o dei canoni di locazione finanziaria degli immobili strumentali per llocazione finanziaria degli immobili strumentali per l’’esercizio esercizio delldell’’arte o della professione si applicano agli immobili acquistati narte o della professione si applicano agli immobili acquistati nel el periodo dal 1periodo dal 1ºº gennaio 2007 al 31 dicembre 2009 e ai contratti di gennaio 2007 al 31 dicembre 2009 e ai contratti di locazione finanziaria stipulati nel medesimo periodolocazione finanziaria stipulati nel medesimo periodo

per i periodi dper i periodi d’’imposta 2007, 2008 e 2009, gli importi deducibili imposta 2007, 2008 e 2009, gli importi deducibili sono ridotti a un terzo sono ridotti a un terzo

L A V O R O

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ALTRE NOVITA’ DEL REDDITO DI LAVORO AUTONOMO a cura di Norberto Villa

Leasing auto

La deducibilità dei canoni di locazione finanziaria è ammessa a

condizione che la durata del contratto non sia inferiore al periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito a norma del primo periodo. I canoni di locazione finanziaria dei beni strumentali sono deducibili nel periodo d’imposta in cui maturano.

Telefonia

Dal 2007:

La quota di spese deducibili in relazione alla telefonia fissa, tanto per ciò che attiene l’acquisto del classico centralino e degli apparecchi di studio, quanto per i consumi delle bollette è pari all’80%;

La quota deducibile per l’acquisto dei cellulari e apparecchi similari e per le relative spese di consumo è apri all’80%.

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LA NORMA SUI REDDITI DI LAVORO AUTONOMO IN VIGORE DOPO LA FINANZIARIA 2007 (LEGGE N. 296 /2006)

a cura di Duilio Liburdi*

Articolo 54 TUIR in vigore sino al 31

dicembre 2006 modificato dal decreto

legge n. 223 del 2006

Articolo 54 TUIR in vigore dal 1 gennaio 2007

come modificato dalla legge n. 296 del 2006

1. Il reddito derivante dall'esercizio di arti e

professioni è costituito dalla differenza tra

l'ammontare dei compensi in denaro o in natura

percepiti nel periodo di imposta, anche sotto

forma di partecipazioni agli utili, e quello delle

spese sostenute nel periodo stesso nell'esercizio

dell'arte o della professione, salvo quanto

stabilito nei successivi commi. I compensi sono

computati al netto dei contributi previdenziali e

assistenziali stabiliti dalla legge a carico del

soggetto che li corrisponde.

1 bis. Concorrono a formare il reddito le

plusvalenze e le minusvalenze dei beni

strumentali, esclusi gli immobili e gli oggetti di

arte, di antiquariato o da collezione se:

a) sono realizzate mediante cessione a titolo

oneroso;

b) sono realizzate mediante il risarcimento,

anche in forma assicurativa, per la perdita o

il danneggiamento dei beni;

c) i beni vengono destinati al consumo

personale o familiare dell’esercente l’arte o

la professione o a finalità estranee all’arte o

professione

1 ter. Si considerano plusvalenza o minusvalenza la differenza, positiva o negativa, tra il corrispettivo o l’indennità percepiti e il costo non ammortizzato ovvero, in assenza di corrispettivo, la differenza tra il valore normale e il costo non ammortizzato

1. Il reddito derivante dall'esercizio di arti e

professioni è costituito dalla differenza tra

l'ammontare dei compensi in denaro o in natura

percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma

di partecipazioni agli utili, e quello delle spese

sostenute nel periodo stesso nell'esercizio dell'arte

o della professione, salvo quanto stabilito nei

successivi commi. I compensi sono computati al

netto dei contributi previdenziali e assistenziali

stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li

corrisponde.

1 bis. Concorrono a formare il reddito le

plusvalenze dei beni strumentali, esclusi gli oggetti

di arte, di antiquariato o da collezione di cui al

comma 5 se:

a) sono realizzate mediante cessione a titolo

oneroso;

b) sono realizzate mediante il risarcimento, anche

in forma assicurativa, per la perdita o il

danneggiamento dei beni;

c) i beni vengono destinati al consumo personale

o familiare dell’esercente l’arte o la professione

o a finalità estranee all’arte o professione

1-bis.1. Le minusvalenze dei beni strumentali

di cui al comma 1-bis sono deducibili se sono

realizzate ai sensi delle lettere a) e b) del

medesimo comma 1-bis

1 ter. Si considerano plusvalenza o minusvalenza la differenza, positiva o negativa, tra il corrispettivo o l’indennità percepiti e il costo non ammortizzato ovvero, in assenza di corrispettivo, la differenza tra il valore normale e il costo non ammortizzato

* Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Fiscale)

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1 quater. Concorrono a formare il reddito, i

corrispettivi percepiti a seguito di cessione della

clientela o di elementi immateriali comunque

riferibili all’attività artistica o professionale 2. Per i beni strumentali per l'esercizio dell'arte o professione esclusi gli immobili e gli oggetti di arte, di antiquariato o da collezioni di cui al comma 5 sono ammesse in deduzione quote annuali di ammortamento non superiori a quelle risultanti dall'applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti, per categorie di beni omogenei, con decreto del Ministro delle finanze . È tuttavia consentita la deduzione integrale, nel periodo di imposta in cui sono state sostenute, delle spese di acquisizione di beni strumentali il cui costo unitario non sia superiore a euro 516,46. La deduzione dei canoni di locazione finanziaria di beni mobili è ammessa a condizione che la durata del contratto non sia inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito nel predetto decreto. Per gli immobili strumentali per l'esercizio dell'arte o professione utilizzati in base a contratto di locazione finanziaria è ammesso in deduzione un importo pari alla rendita catastale. I canoni di locazione finanziaria di beni mobili sono deducibili nel periodo di imposta in cui maturano. Le spese relative all'ammodernamento, alla ristrutturazione e alla manutenzione straordinaria di immobili utilizzati nell'esercizio di arti e professioni sono deducibili in quote costanti nel periodo d'imposta in cui sono sostenute e nei quattro successivi.

1 quater. Concorrono a formare il reddito, i

corrispettivi percepiti a seguito di cessione della

clientela o di elementi immateriali comunque

riferibili all’attività artistica o professionale 2. Per i beni strumentali per l’esercizio dell’arte o della professione, esclusi gli oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione di cui al comma 5, sono ammesse in deduzione quote annuali di ammortamento non superiori a quelle risultanti dall’applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti, per categorie di beni omogenei, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. È tuttavia consentita la deduzione integrale, nel periodo d’imposta in cui sono state sostenute, delle spese di acquisizione di beni strumentali il cui costo unitario non sia superiore a euro 516,4. La deduzione dei canoni di locazione finanziaria di beni strumentali è ammessa a condizione che la durata del contratto non sia inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito nel predetto decreto e comunque con un minimo di otto anni e un massimo di quindici se lo stesso ha per oggetto beni immobili. Ai fini del calcolo delle quote di ammortamento deducibili dei beni immobili strumentali, si applica l’articolo 36, commi 7 e 7-bis, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248. Per i beni di cui all’articolo 164, comma 1, lettera b), la deducibilità dei canoni di locazione finanziaria è ammessa a condizione che la durata del contratto non sia inferiore al periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente stabilito a norma del primo periodo. I canoni di locazione finanziaria dei beni strumentali sono deducibili nel periodo d’imposta in cui maturano. Le spese relative all’ammodernamento, alla ristrutturazione e alla manutenzione di immobili utilizzati nell’esercizio di arti e professioni, che per le loro caratteristiche non sono imputabili ad incremento del costo dei beni ai quali si

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La norma sui redditi di lavoro autonomo in vigore dopo la Finanziaria 2007 (legge N. 296/2006)

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3. Le spese relative all'acquisto di beni mobili diversi da quelli indicati nel comma 4 adibiti promiscuamente all'esercizio dell'arte o professione e all'uso personale o familiare del contribuente sono ammortizzabili, o deducibili se il costo unitario non è superiore a 1 milione di lire, nella misura del 50 per cento; nella stessa misura sono deducibili i canoni di locazione anche finanziaria e di noleggio e le spese relativi all'impiego di tali beni. Per gli immobili utilizzati promiscuamente è deducibile una somma pari al 50 per cento della rendita catastale anche se utilizzati in base a contratto di locazione finanziaria, ovvero una somma pari al 50 per cento del canone di locazione, a condizione che il contribuente non disponga nel medesimo comune di altro immobile adibito esclusivamente all'esercizio dell'arte o professione. Nella stessa misura sono deducibili le spese per i servizi relativi a tali immobili nonché quelle relative all'ammodernamento, ristrutturazione e manutenzione straordinaria degli immobili utilizzati.

riferiscono, sono deducibili, nel periodo d’imposta di sostenimento, nel limite del 5 per cento del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili, quale risulta all’inizio del periodo d’imposta dal registro di cui all’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni; l’eccedenza è deducibile in quote costanti nei cinque periodo d’imposta successivi 3. Le spese relative all'acquisto di beni mobili diversi da quelli indicati nel comma 4 adibiti promiscuamente all'esercizio dell'arte o professione e all'uso personale o familiare del contribuente sono ammortizzabili, o deducibili se il costo unitario non è superiore a 1 milione di lire, nella misura del 50 per cento; nella stessa misura sono deducibili i canoni di locazione anche finanziaria e di noleggio e le spese relativi all'impiego di tali beni. Per gli immobili utilizzati promiscuamente, a condizione che il contribuente non disponga nel medesimo comune di altro immobile adibito esclusivamente all’esercizio dell’arte o professione, è deducibile una somma pari al 50 per cento della rendita ovvero, in caso di immobili acquisiti mediante locazione, anche finanziaria, un importo pari al 50 per cento del relativo canone. Nella stessa misura sono deducibili le spese per i servizi relativi a tali immobili nonché quelle relative all’ammoder-namento, ristrutturazione e manutenzione degli immobili utilizzati, che per le loro caratteristiche non sono imputabili ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono Norma transitoria Le disposizioni introdotte dal comma 334 in materia di deduzione dell’ammortamento o dei canoni di locazione finanziaria degli immobili strumentali per l’esercizio dell’arte o della professione si applicano agli immobili acquistati nel periodo dal 1º gennaio 2007 al 31 dicembre 2009 e ai contratti di locazione finanziaria stipulati nel medesimo periodo; tuttavia, per i periodi d’imposta 2007, 2008 e 2009, gli importi deducibili sono ridotti a un terzo.

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3-bis. Le quote di ammortamento, i canoni di locazione finanziaria o di noleggio e le spese di impiego e manutenzione relativi ad apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione soggette alla tassa di cui al n. 131 della tariffa annessa al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, sono deducibili nella misura del 50 per cento. 4. (abrogato)

5. Le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande in pubblici esercizi sono deducibili per un importo complessivamente non superiore al 2 per cento dell'ammontare dei compensi percepiti nel periodo di imposta. Le predette spese sono integralmente deducibili se sostenute dal committente per conto del professionista e da questi addebitate in fattura. Le spese di rappresentanza sono deducibili nei limiti dell'1 per cento dei compensi percepiti nel periodo di imposta. Sono comprese nelle spese di rappresentanza anche quelle sostenute per l'acquisto o l'importazione di oggetti di arte, di antiquariato o da collezione, anche se utilizzati come beni strumentali per l'esercizio dell'arte o della professione, nonché quelle sostenute per l'acquisto o l'importazione di beni destinati ad essere ceduti a titolo gratuito; le spese di partecipazione a convegni, congressi e simili o a corsi di aggiornamento professionale, incluse quelle di viaggio e soggiorno sono deducibili nella misura del 50 per cento del loro ammontare. 6. Tra le spese per prestazioni di lavoro deducibili si comprendono, salvo il disposto di cui al comma 6-bis, anche le quote delle indennità di cui alle lettere a) e c) del comma 1 dell'art. 17 maturate nel periodo di imposta. Le spese di vitto e alloggio sostenute per le trasferte effettuate fuori dal territorio comunale dai lavoratori dipendenti degli esercenti arti e professioni sono deducibili nelle misure previste dal comma 3 dell’articolo 95

3-bis. Le quote d’ammortamento, i canoni di locazione anche finanziaria o di noleggio e le spese di impiego e manutenzione relativi ad apparecchiature terminali per servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico di cui alla lettera gg) del comma 1 dell’articolo 1 del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al decreto legislativo 1º agosto 2003, n. 259, sono deducibili nella misura dell’80 per cento 4. (abrogato)

5. Le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande in pubblici esercizi sono deducibili per un importo complessivamente non superiore al 2 per cento dell'ammontare dei compensi percepiti nel periodo di imposta. Le predette spese sono integralmente deducibili se sostenute dal committente per conto del professionista e da questi addebitate in fattura. Le spese di rappresentanza sono deducibili nei limiti dell'1 per cento dei compensi percepiti nel periodo di imposta. Sono comprese nelle spese di rappresentanza anche quelle sostenute per l'acquisto o l'importazione di oggetti di arte, di antiquariato o da collezione, anche se utilizzati come beni strumentali per l'esercizio dell'arte o della professione, nonché quelle sostenute per l'acquisto o l'importazione di beni destinati ad essere ceduti a titolo gratuito; le spese di partecipazione a convegni, congressi e simili o a corsi di aggiornamento professionale, incluse quelle di viaggio e soggiorno sono deducibili nella misura del 50 per cento del loro ammontare. 6. Tra le spese per prestazioni di lavoro deducibili si comprendono, salvo il disposto di cui al comma 6-bis, anche le quote delle indennità di cui alle lettere a) e c) del comma 1 dell'art. 17 maturate nel periodo di imposta. Le spese di vitto e alloggio sostenute per le trasferte effettuate fuori dal territorio comunale dai lavoratori dipendenti degli esercenti arti e professioni sono deducibili nelle misure previste dal comma 3 dell’articolo 95

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La norma sui redditi di lavoro autonomo in vigore dopo la Finanziaria 2007 (legge N. 296/2006)

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6-bis. Non sono ammesse deduzioni per i

compensi al coniuge, ai figli, affidati o affiliati,

minori di età o permanentemente inabili al lavoro,

nonché agli ascendenti dell'artista o professionista

ovvero dei soci o associati per il lavoro prestato o

l'opera svolta nei confronti dell'artista o

professionista ovvero della società o associazione.

I compensi non ammessi in deduzione non

concorrono a formare il reddito complessivo dei

percipienti.

7. (abrogato)

8. I redditi indicati alla lettera b) del comma 2

dell'articolo 53 sono costituiti dall'ammontare dei

proventi in denaro o in natura percepiti nel

periodo di imposta, anche sotto forma di

partecipazione agli utili, ridotto del 25 per cento

a titolo di deduzione forfettaria delle spese; le

partecipazioni agli utili e le indennità di cui alle

lettere c), d) ed e) costituiscono reddito per

l'intero ammontare percepito nel periodo di

imposta. I redditi indicati alla lettera f) dello

stesso comma sono costituiti dall'ammontare dei

compensi in denaro o in natura percepiti nel

periodo di imposta, ridotto del 15 per cento a

titolo di deduzione forfettaria delle spese.

8-bis. In deroga al principio della determinazione

analitica del reddito, la base imponibile per i

rapporti di cooperazione dei volontari e dei

cooperanti è determinata sulla base dei

compensi convenzionali fissati annualmente con

decreto del Ministero degli affari esteri di

concerto con il Ministero del lavoro e delle

politiche sociali, indipendentemente dalla durata

temporale e dalla natura del contratto purché

stipulato da organizzazione non governativa

riconosciuta idonea ai sensi dell' articolo 28 della

legge 26 febbraio 1987, n. 49.

6-bis. Non sono ammesse deduzioni per i compensi al

coniuge, ai figli, affidati o affiliati, minori di età o

permanentemente inabili al lavoro, nonché agli

ascendenti dell'artista o professionista ovvero dei soci

o associati per il lavoro prestato o l'opera svolta nei

confronti dell'artista o professionista ovvero della

società o associazione. I compensi non ammessi in

deduzione non concorrono a formare il reddito

complessivo dei percipienti.

7. (abrogato)

8. I redditi indicati alla lettera b) del comma 2

dell'articolo 53 sono costituiti dall'ammontare dei

proventi in denaro o in natura percepiti nel periodo

di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli

utili, ridotto del 25 per cento a titolo di deduzione

forfettaria delle spese, ovvero del 40 per cento

se i relativi compensi sono percepiti da

soggetti di età inferiore a 35 anni; le

partecipazioni agli utili e le indennità di cui alle

lettere c), d) ed e) costituiscono reddito per l'intero

ammontare percepito nel periodo di imposta. I

redditi indicati alla lettera f) dello stesso comma

sono costituiti dall'ammontare dei compensi in

denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta,

ridotto del 15 per cento a titolo di deduzione

forfettaria delle spese.

8-bis. In deroga al principio della determinazione

analitica del reddito, la base imponibile per i

rapporti di cooperazione dei volontari e dei

cooperanti è determinata sulla base dei compensi

convenzionali fissati annualmente con decreto del

Ministero degli affari esteri di concerto con il

Ministero del lavoro e delle politiche sociali,

indipendentemente dalla durata temporale e dalla

natura del contratto purché stipulato da

organizzazione non governativa riconosciuta idonea

ai sensi dell' articolo 28 della legge 26 febbraio

1987, n. 49.

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LE SANZIONI PER GLI INTERMEDIARI PER LA TRASMISSIONE TELEMATICA E IN MATERIA DI ASSISTENZA FISCALE

a cura di Duilio Liburdi*

L’articolo 1, commi 33 e 34 della legge n. 296 del 2006 introducono rilevanti novità in

materia di sanzioni a carico degli intermediari per la trasmissione telematica individuati

dall’articolo 3 del dpr n. 322 del 1998. Appare opportuno ricordare come gli intermediari in

questione sono, in particolare:

a) gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei

consulenti del lavoro;

b) i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle

camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in

possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o

diploma di ragioneria;

c) le associazioni sindacali di categoria tra imprenditori indicate nell' articolo 32, comma 1,

lettere a), b) e c), del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 , nonché quelle che associano

soggetti appartenenti a minoranze etnico-linguistiche;

d) i centri di assistenza fiscale per le imprese e per i lavoratori dipendenti e pensionati;

e) gli altri incaricati individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze

La norma di riferimento viene modificata sancendo, in sostanza, la ricomprensione delle

sanzioni di specie nell’ambito di quelle tributarie con conseguente applicazione, ad esempio :

- del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 del D.lgs n. 472 del 1997;

- del principio di definizione agevolata di cui agli articoli 16 e 17 del D.lgs. n. 472 del 1997;

- del principio di devoluzione degli atti di irrogazione delle sanzioni alla competenza delle

commissioni tributarie

La norma risulta così modificata

Disposizioni in materia di assistenza fiscale Articolo 39 Sanzioni 1. Salvo che il fatto costituisca reato e ferma restando l'irrogazione delle sanzioni per le violazioni di norme tributarie: a) ai soggetti indicati nell' articolo 35 che rilasciano il visto di conformità, ovvero l'asseverazione, infedele si applica, la sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire cinque milioni. In caso di ripetute violazioni ovvero di violazioni particolarmente gravi ai predetti soggetti è inibita la facoltà di rilasciare il

Disposizioni in materia di assistenza fiscale Articolo 39 Sanzioni 1. Salvo che il fatto costituisca reato e ferma restando l'irrogazione delle sanzioni per le violazioni di norme tributarie: a) ai soggetti indicati nell' articolo 35 che rilasciano il visto di conformità, ovvero l'asseverazione, infedele si applica, la sanzione amministrativa da euro 258 ad euro 2.582. La violazione è punibile in caso di liquidazione delle imposte, dei contributi, dei premi e dei rimborsi dovuti in base alle dichiarazioni, di

* Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Fiscale)

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Le sanzioni per gli intermediari per la trasmissione telematica e in materia di assistenza fiscale

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visto di conformità ovvero l'asseverazione; si considera violazione particolarmente grave il mancato pagamento della suddetta sanzione; b) al professionista che rilascia una certificazione tributaria di cui all' articolo 36 infedele, si applica la sanzione amministrativa da lire un milione a lire dieci milioni. In caso di accertamento di tre distinte violazioni commesse nel corso di un biennio, è disposta la sospensione dalla facoltà di rilasciare la certificazione tributaria per un periodo da uno a tre anni. La medesima facoltà è inibita in caso di accertamento di ulteriori violazioni ovvero di violazioni di particolare gravità; si considera violazione particolarmente grave il mancato pagamento della suddetta sanzione. 2. Le sanzioni previste dalle lettere a) e b) del comma 1 sono irrogate con provvedimento della direzione regionale delle entrate competente in ragione del domicilio fiscale del trasgressore. I provvedimenti ivi previsti sono trasmessi agli ordini di appartenenza dei soggetti che hanno commesso la violazione per l'eventuale adozione di ulteriori provvedimenti. 3. In caso di inosservanza delle disposizioni di cui all' articolo 37, commi 2 e 4, ai sostituti di imposta si applica la sanzione amministrativa da lire cinquecentomila a lire cinque milioni. 4. L'autorizzazione all'esercizio dell'attività di assistenza fiscale di cui all' articolo 33, comma 3, è revocata quando sono commesse gravi e ripetute violazioni di norme tributarie e delle disposizioni di cui agli articoli 34 e 35, nonché quando gli elementi forniti all'amministrazione finanziaria risultano falsi o incompleti rispetto alla documentazione fornita dal contribuente; nei casi di particolare gravità è disposta la sospensione cautelare

cui all’articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e in caso di controllo ai sensi degli articoli 36-ter e seguenti del medesimo decreto, nonché in caso di liquidazione dell’imposta dovuta in base alle dichiarazioni e di controllo di cui agli articoli 54 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. La violazione è punibile a condizione che non trovi applicazione l’articolo 12-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. In caso di ripetute violazioni, ovvero di violazioni particolarmente gravi, è disposta a carico dei predetti soggetti la sospensione dalla facoltà di rilasciare il visto di conformità e l’asseverazione, per un periodo da uno a tre anni. In caso di ripetute violazioni commesse successivamente al periodo di sospensione, è disposta l’inibizione dalla facoltà di rilasciare il visto di conformità e l’asseverazione. Si considera violazione particolarmente grave il mancato pagamento della suddetta sanzione; b) al professionista che rilascia una certificazione tributaria di cui all' articolo 36 infedele, si applica la sanzione amministrativa da euro 516 ad euro 5.165. In caso di accertamento di tre distinte violazioni commesse nel corso di un biennio, è disposta la sospensione dalla facoltà di rilasciare la certificazione tributaria per un periodo da uno a tre anni. La medesima facoltà è inibita in caso di accertamento di ulteriori violazioni ovvero di violazioni di particolare gravità; si considera violazione particolarmente grave il mancato pagamento della suddetta sanzione. 1-bis. Nei casi di violazioni commesse ai sensi dei commi 1 e 3 del presente articolo e dell’articolo 7-bis, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Il centro di assistenza fiscale per il quale abbia operato il trasgressore è obbligato solidalmente con il trasgressore stesso al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata.

A L T R E

N O V I T À

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2. Le violazioni dei commi 1 e 3 del presente articolo e dell’articolo 7-bis sono contestate e le relative sanzioni sono irrogate dalla direzione regionale dell’Agenzia delle entrate competente in ragione del domicilio fiscale del trasgressore anche sulla base delle segnalazioni inviate dagli uffici locali della medesima Agenzia. L’atto di contestazione è unico per ciascun anno solare di riferimento e, fino al compimento dei termini di decadenza, può essere integrato o modificato dalla medesima direzione regionale. I provvedimenti ivi previsti sono trasmessi agli ordini di appartenenza dei soggetti che hanno commesso la violazione per l’eventuale adozione di ulteriori provvedimenti 3. In caso di inosservanza delle disposizioni di cui all' articolo 37, commi 2 e 4, ai sostituti di imposta si applica la sanzione amministrativa da euro 258 a euro 2.582 4. L'autorizzazione all'esercizio dell'attività di assistenza fiscale di cui all' articolo 33, comma 3, è revocata quando sono commesse gravi e ripetute violazioni di norme tributarie e delle disposizioni di cui agli articoli 34 e 35, nonché quando gli elementi forniti all'amministrazione finanziaria risultano falsi o incompleti rispetto alla documentazione fornita dal contribuente; nei casi di particolare gravità è disposta la sospensione cautelare

Articolo 7 bis D.Lgs. 241 del 1997 Violazioni in materia di trasmissione telematica delle dichiarazioni 1. In caso di tardiva od omessa trasmissione delle dichiarazioni da parte dei soggetti indicati nel comma 3 dell' articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, a carico dei medesimi si applica la sanzione amministrativa da lire un milione a lire dieci milioni Articolo 1, comma 34 della legge n. 296 del 2006 Per le violazioni di cui all’articolo 7-bis e ai commi 1 e 3 dell’articolo 39 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, ferma restando l’applicazione dell’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, nelle ipotesi in cui la violazione sia stata già contestata alla data di entrata in vigore della presente legge, non si dà luogo a restituzione di quanto eventualmente pagato.

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Le sanzioni per gli intermediari per la trasmissione telematica e in materia di assistenza fiscale

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Come emerge dalle modifiche normative, la finanziaria per il 2007 oltre a ridisciplinare il sistema sanzionatorio nelle ipotesi di assistenza fiscale, provvede ad introdurre il principio, contenuto nel comma 1 bis dell’articolo 39 del D.Lgs. 241 del 1997 di nuova introduzione, che le sanzioni in questione, comprese quelle a carico degli intermediari per la trasmissione telematica, sono di natura tributaria. Le stesse, dunque, potranno formare oggetto di ravvedimento con il pagamento di un quinto della sanzione edittale prevista già in relazione alle violazioni commesse relativamente al modello Unico 2006. Inoltre, la norma transitoria precisa come per le violazioni disciplinate dalla legge n. 296 del 2006 (cioè quelle in materia di assistenza fiscale e per l’omessa o tardiva trasmissione telematica delle dichiarazioni), ferma restando l’applicazione del principio del favor rei di cui all’articolo 3, comma 3, del dlgs n. 472 del 1997, nelle ipotesi in cui la violazione sia già stata contestata alla data del 1 gennaio 2007, non si dà luogo a restituzione di quanto eventualmente pagato. La problematica legata alla natura della sanzione irrogabile nei confronti dei professionisti in qualità di intermediari abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni, era stata analizzata dall’agenzia delle entrate con la risoluzione n. 105 /E del 30 luglio 2004. In tale documento si analizzava la problematica oggetto di quesito in merito alla circostanza se la sanzione di all’ articolo 7-bis si rendeva applicabile per ciascuna dichiarazione, non trasmessa nei termini previsti dalla legge, ovvero per ciascun file , con il quale siano comunicati tardivamente i dati relativi a più dichiarazioni. Nella risoluzione, richiamando quanto già precisato la circolare 24 settembre 1999, n. 195 , era stato ribadito che la sanzione prevista dall'articolo 7-bis non ha carattere tributario ma amministrativo, con la conseguenza che - per essa - non possono trovare applicazione i principi stabiliti dal decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e, in particolare, l'istituto del ravvedimento operoso, disciplinato dall'articolo 13 del medesimo decreto. Con la richiamata circolare è stato altresì precisato che la violazione punita dall'articolo 7-bis è da intendersi riferita alla tardiva od omessa presentazione di ciascuna dichiarazione e non del file con il quale sono trasmessi i dati relativi a più dichiarazioni. Ciò si evince dal tenore letterale della norma, che collega la sanzione alla tardiva od omessa trasmissione "delle dichiarazioni" e non del file ovvero della "fornitura". Sempre con la menzionata circolare si è avuto modo di precisare che per "fornitura" deve intendersi un file che comprende una o più dichiarazioni. Ne consegue che, con riferimento ad una "fornitura" tardivamente effettuata, sarà irrogata sanzione per ciascuna delle dichiarazioni comprese nell'unica "fornitura". Si sottolineava, infine, che nel caso di ripetute violazioni della stessa specie torna applicabile l'articolo 8 della legge 24 novembre 1981, n. 689, che prevede l'applicazione del "cumulo giuridico", consistente nella irrogazione della sanzione stabilita per la violazione più grave, aumentata fino al triplo. Tale indicazione di prassi, dunque è da considerarsi come superata in virtù della più volte menzionata ricomprensione della sanzione di specie nell’ambito di quelle tributarie. Con particolare riferimento alla applicabilità delle disposizioni di cui all’articolo 3, comma 3, del dlgs. n. 472 del 1997, si deve ritenere come il principio di specie possa trovare applicazione soprattutto in relazione alla possibilità di definizione agevolata per le situazioni non ancora definite.

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LA COMUNICAZIONE DEGLI ESITI DELLA LIQUIDAZIONE DELLE DICHIARAZIONI

a cura di Duilio Liburdi*

Tra le innumerevoli misure contenute nella legge n. 296 del 2006, un intervento che appare

secondario ma che riveste un certo interesse per la posizione dei professionisti è quello che

concerne la comunicazione degli esiti derivanti dalla liquidazione delle dichiarazioni

presentate dai contribuenti per il tramite degli intermediari

Articolo 2 bis decreto legge n. 203 del 2005 in vigore sino al 31 dicembre 2006 1. A partire dalle dichiarazioni presentate dal 1° gennaio 2006, l'invito previsto dall' articolo 6, comma 5, della legge 27 luglio 2000, n. 212 , è effettuato: a) con mezzi telematici ai soggetti di cui all' articolo 3, comma 3, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322 , che se previsto nell'incarico di trasmissione portano a conoscenza dei contribuenti interessati, tempestivamente e comunque nei termini di cui all' articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462 , e successive modificazioni, gli esiti della liquidazione delle dichiarazioni contenuti nell'invito; b) mediante raccomandata con avviso di ricevimento in ogni altro caso. 2. Il termine di cui all' articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462 , e successive modificazioni, decorre dal sessantesimo giorno successivo a quello di trasmissione telematica dell'invito di cui alla lettera a) del comma 1 del presente articolo.

Articolo 2 bis decreto legge n. 203 del 2005 in vigore dal 1 gennaio 2007 1. A partire dalle dichiarazioni presentate dal 1º gennaio 2006, l’invito previsto dall’articolo 6, comma 5, della legge 27 luglio 2000, n. 212, è effettuato: a) con mezzi telematici ai soggetti di cui all’articolo 3, comma 3, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n.–322, che portano a conoscenza dei contribuenti interessati, tempestivamente e comunque nei termini di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462, e successive modificazioni, gli esiti della liquidazione delle dichiarazioni contenuti nell’invito; b) mediante raccomandata in ogni altro caso. 1-bis. L’Agenzia delle entrate può, su istanza motivata, derogare all’obbligo previsto dalla lettera a) del comma 1, qualora siano riconosciute difficoltà da parte degli intermediari nell’espletamento delle attività di cui alla medesima lettera a). 2. Il termine di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462, e successive modificazioni, decorre dal sessantesimo giorno successivo a quello di trasmissione telematica dell’invito di cui alla lettera a) del comma 1 del presente articolo. 3. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate sono definiti il contenuto e la modalità della risposta telematica

* Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Fiscale)

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La comunicazione degli esiti della liquidazione delle dichiarazioni

135

Il provvedimento collegato alla manovra finanziaria per il 2006 aveva dunque introdotto rilevanti

novità con riferimento alle modalità di trasmissione ai contribuenti delle comunicazioni relative

agli esiti della liquidazione delle dichiarazioni. La versione originaria dell’articolo 2 bis della legge

n. 248 del 2005, aveva stabilito che, a partire dalle dichiarazioni presentate a decorrere dal 1°

gennaio 2006, l'Amministrazione finanziaria ha la possibilità di notificare al contribuente l'invito di

cui all'art. 6, comma 5, legge 27 luglio 200, n. 212 attraverso:

- gli intermediari di cui all'art. 3, comma 3, dpr n. 322 del 1998 (segnatamente i

professionisti) per mezzo dei quali il contribuente abbia trasmesso la propria

dichiarazione fiscale;

- lettera raccomandata con avviso di ricevimento, da recapitare direttamente al

contribuente.

La norma richiamata è l’articolo 6 della legge n. 212 del 2000 che, al primo comma prevede che "L'Amministrazione finanziaria deve assicurare l'effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati". Inoltre, il comma 5 del medesimo articolo prevede che

l'Amministrazione finanziaria "prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, ... deve invitare il contribuente, ..., a fornire i chiarimenti

necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta". Secondo quanto evidenziato nel commento alla disposizione originaria (in tal senso circolare della Fondazione Luca Pacioli n.

32 del 2005), "l'obbligo per il professionista di comunicare al contribuente gli esiti della liquidazione sussiste soltanto se lo stesso obbligo sia stato previsto nell'ambito dell'incarico, conferito dal contribuente al professionista, di trasmissione delle dichiarazioni". Tale

previsione era stata sostanzialmente accolta nei modelli di dichiarazione approvati nel corso del 2006 laddove era prevista una apposita casella per esprimere la volontà, da parte del contribuente, di transitare per il professionista in relazione alla comunicazione degli esiti di

liquidazione della dichiarazione. Inoltre, qualora l'Amministrazione finanziaria si avvalga dell'intermediario per trasmettere l'invito al contribuente, questo deve provvedere a fornire i chiarimenti richiesti entro il termine di 90 giorni dalla data di notifica dell'invio

all'intermediario, anziché entro il termine ordinario di 30 giorni previsto dall'art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 462/1997. In tal senso dispone il secondo comma dell'art. 2-bis del D.L. n. 203/2005 secondo il quale "il termine di cui all'art. 2, comma 2, del D.Lgs. 18 dicembre

1997, n. 462, ..., decorre dal sessantesimo giorno successivo a quello di trasmissione telematica dell'invito all’intermediario per la trasmissione telematica delle dichiarazione. Per quello che concerne la posizione dell’intermediario, il comma 1 dell’articolo 2 bis, prevede

che l’intermediario stesso ha a disposizione un termine di 30 giorni dalla data di notifica dell'invito da parte dell'Amministrazione finanziaria per trasmettere l'invito stesso al proprio cliente. La norma afferma infatti che l’intermediario portano a conoscenza dei contribuenti

interessati, tempestivamente e comunque nei termini previsti dall’articolo 2, comma 2, del D.Lgs. n. 462 del 1997, gli esiti della liquidazione delle dichiarazioni contenuti nell’invito.

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Le novità contenute nella Finanziaria 2007

Sull’impianto normativo esistente, oggetto di attuazione già nell’ambito del modello Unico

2006, interviene ora la legge n. 296 del 2006 con un sostanziale effetto che può essere così

sintetizzato:

- in tutti i casi in cui il contribuente si avvale di un intermediario abilitato alla trasmissione

telematica, risulta inutile acquisire l’assenso da parte del contribuente. Infatti,

indipendentemente dalla espressione della volontà di operare in tal senso da parte del

contribuente, la noma modificata, con effetto dalle dichiarazioni presentate nel corso del

2006, dispone che la comunicazione degli esiti della liquidazione delle dichiarazioni venga

comunicata all’intermediario che ha provveduto alla trasmissione telematica del modello;

- introduzione di una specifica previsione riconducibile alle difficoltà rappresentate dagli

intermediari in relazione alla informativa tempestiva nei confronti dei contribuenti. Si

afferma, infatti, che l’agenzia delle entrate può, su istanza motivata, derogare all’obbligo

previsto dal comma 1, lettera a) dell’articolo 2 bis della legge n. 248 del 2005, qualora

siano riconosciute difficoltà da parte dell’intermediario nell’assolvimento degli obblighi di

comunicazione al contribuente. Potrebbe essere questo il caso, più volte prospettato al

momento dell’introduzione della disposizione di specie, di quell’intermediario che ha

provveduto alla trasmissione telematica di una dichiarazione ma non annovera più, tra i

suoi clienti, il contribuente che ha fornito incarico per la trasmissione medesima.

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IMMOBILI E DINTORNI NELLA FINANZIARIA 2007 a cura di Duilio Liburdi e Giovanni Valcarenghi*

1. Il condominio diviene sostituto negli appalti

L’articolo 1, comma 43 della legge 296/2006 introduce un nuovo articolo 25-bis al DPR

600/73 che interessa i condomini nella loro funzione di sostituti di imposta.

E’ infatti previsto che il condominio, quale sostituto di imposta, opera all'atto del

pagamento una ritenuta del 4 per cento a titolo di acconto dell'imposta sul reddito dovuta

dal percipiente, con obbligo di rivalsa, sui corrispettivi dovuti per prestazioni relative a

contratti di appalto di opere o servizi, anche se rese a terzi o nell'interesse di terzi,

effettuate nell'esercizio di impresa.

La medesima ritenuta è operata anche se i corrispettivi sono qualificabili come redditi diversi

ai sensi dell'articolo 67, comma 1, lettera i), del TUIR .

Da una prima lettura della disposizione, emerge a chiare lettere una difficoltà primaria degli

operatori tributari29 nella individuazione dell’ambito oggettivo di applicazione della norma;

infatti, il nuovo obbligo scatta solo al configurarsi di contratti di appalto d’opera o servizi,

mentre non opera in relazione a differenti accordi giuridici, forse simili, ma non

esplicitamente menzionati.

Varrà la pena di rammentare che in relazione a fattispecie similari (meccanismo del reverse

charge per i subappalti nel settore edile), il DPF e l’Agenzia delle entrate avevano sospeso

l’efficacia delle norme anche al fine di definire con maggiore chiarezza i concetti di appalto e

subappalto; quindi, lungi dal risolvere il problema originario, se ne è aggiunto uno ulteriore,

che assume contorni ancor più labili se solo si considera che interessa anche piccole

transazioni basate sulla fiducia e su accordi verbali, magari consolidati nel tempo, che, come

appare evidente, male si prestano ad una puntuale analisi giuridica.

Superando la questione dell’ambito oggettivo di applicazione, va notato che nessuna

discriminante si riscontra in merito alle caratteristiche soggettive del percipiente che potrà

essere tanto un soggetto che agisce in regime di impresa, quanto un privato che effettua

una prestazione occasionale; tale circostanza induce a ritenere che il vero scopo della norma

sia quello di creare un contrasto di interessi tra soggetto pagatore (condominio) e soggetto

percipiente (impresa o privato) in base al quale difficilmente potrà accadere che,

specialmente i privati, incassino corrispettivi per prestazioni resi senza poi inserirli nella

propria dichiarazione dei redditi. L’effettuazione ed il versamento della ritenuta, infatti,

obbligheranno il condominio a segnalare il codice fiscale del soggetto sostituito, attivando

agevoli meccanismi di incroci nel cervellone dell’Agenzia delle entrate.

* Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Fiscale) 29 Si consenta il rinvio agli argomenti trattati nella terza giornata del Master Breve 2006/2007.

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Se, dunque, dal punto di vista teorico, si ottiene un virtuoso meccanismo di contrasto

all’evasione, non può essere trascurato che, all’atto pratico, il dispositivo è foriero di enormi

complicazioni; si pensi alle piccole somme cui conseguono gli obblighi:

• di effettuazione della ritenuta

• di versamento con modello F24 della stessa

• di certificazione dei compensi e delle ritenute

• di compilazione del modello 770 semplificato.

Sul punto, giova rammentare che nemmeno si rendono letteralmente applicabili le

semplificazioni dell’articolo 2 del DPR 10.11.1997 n. 445 che, per le sole ritenute – di

ammontare non superiore 1.032 euro - sui compensi di lavoro autonomo erogati ad un

massimo di 3 soggetti, consente l’effettuazione del versamento entro la medesima scadenza

di pagamento del saldo delle imposte.

Sembra, pertanto, che saranno i condomini a pagare “il costo” di questa nuova disposizione,

in quanto si vedranno maggiorato il compenso richiesto dall’amministratore per

l’effettuazione di tali nuovi adempimenti amministrativi.

2. Rogiti sempre più ricchi di informazioni

E’ stato più volte sottolineato (ed evidenziato anche nella precedente giornata del master)

che uno degli aspetti che hanno maggiormente caratterizzato il decreto legge n. 223 del

2006 è un intervento rilevante in materia di accertamenti nel comparto immobiliare. Ciò

anche per il tramite della necessità di indicare una serie di dati ed elementi negli atti di

transazione immobiliare. La norma di riferimento è l’articolo 35, comma 22 del decreto legge

n. 223 che ora viene modificata attraverso una specifica previsione contenuta nell’articolo 1,

comma 48 della legge n. 296 del 2006

TESTO ANTE FINANZIARIA TESTO POST FINANZIARIA 22. All'atto della cessione dell'immobile, anche se

assoggettata ad IVA, le parti hanno l'obbligo di

rendere apposita dichiarazione sostitutiva di atto

di notorietà recante l'indicazione analitica delle

modalità di pagamento del corrispettivo. Con le

medesime modalità ciascuna delle parti ha

l'obbligo di dichiarare se si è avvalsa di un

mediatore; nell'ipotesi affermativa, ha l'obbligo di

dichiarare l'ammontare della spesa sostenuta per

la mediazione, le analitiche modalità di pagamento

della stessa, con l'indicazione del numero di

partita IVA o del codice fiscale dell'agente

immobiliare. In caso di omessa, incompleta o

22. All’atto della cessione dell’immobile, anche se assoggettata ad IVA, le parti hanno l’obbligo di rendere apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà recante l’indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo. Con le medesime modalità, ciascuna delle parti ha l’obbligo di dichiarare: a) se si è avvalsa di un mediatore e, nell’ipotesi affermativa, di fornire i dati identificativi del titolare, se persona fisica, o la denominazione, la ragione sociale ed i dati identificativi del legale rappresentante, se soggetto diverso da persona fisica, ovvero del mediatore non legale rappresentante che ha operato per la stessa società;

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Immobili e dintorni nella Finanziaria 2007

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mendace indicazione dei predetti dati si applica la

sanzione amministrativa da euro 500 a euro

10.000 e, ai fini dell'imposta di registro, i beni

trasferiti sono assoggettati ad accertamento di

valore ai sensi dell' articolo 52, comma 1, del testo

unico delle disposizioni concernenti l'imposta di

registro di cui al decreto del Presidente della

Repubblica 26 aprile 1986, n. 131

b) il codice fiscale o la partita IVA;

c) il numero di iscrizione al ruolo degli agenti di

affari in mediazione e della camera di commercio,

industria, artigianato e agricoltura di riferimento

per il titolare ovvero per il legale rappresentante o

mediatore che ha operato per la stessa società;

d) l’ammontare della spesa sostenuta per tale attività

e le analitiche modalità di pagamento della stessa.

22.1. In caso di assenza dell’iscrizione al ruolo di

agenti di affari in mediazione ai sensi della legge 3

febbraio 1989, n. 39, e successive modificazioni, il

notaio è obbligato ad effettuare specifica

segnalazione all’Agenzia delle entrate di

competenza. In caso di omessa, incompleta o

mendace indicazione dei dati di cui al comma 22, si

applica la sanzione amministrativa da 500 euro a

10.000 euro e, ai fini dell’imposta di registro, i beni

trasferiti sono assoggettati a rettifica di valore ai

sensi dell’articolo 52, comma 1, del testo unico

delle disposizioni concernenti l’imposta di registro,

di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26

aprile 1986, n. 131, e successive modificazioni

A commento del primo intervento normativo, la circolare dell’agenzia delle entrate n. 28/E del 4

agosto 2006 aveva precisato come il comma 22 dell’articolo 35 del decreto legge introduceva un

adempimento a carico delle parti che pongono in essere cessioni di beni immobili.

All’atto della cessione dell’immobile, anche nei casi di operazioni soggette ad IVA, le parti

devono rendere una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà che indichi:

1) le modalità di pagamento

2) l’eventuale ricorso ad attività di mediazione

3) le eventuali spese per le suddette attività di mediazione, con le modalità di pagamento e

l’indicazione della partita IVA o del codice fiscale dell’agente immobiliare.

Se tale dichiarazione viene omessa o resa in modo mendace o incompleto i beni trasferiti

vengono assoggettati ad accertamento di valore ai sensi dell’art. 52 del DPR n. 131 del 1986,

oltre all’applicazione di una sanzione amministrativa da euro 500 a 10.000. Per quanto

concerneva la decorrenza delle disposizioni di cui al comma 22, la circolare precisava che la

stessa, come disposto dal comma 23 dell’articolo 35, trovava applicazione per gli atti pubblici

formati e le scritture private autenticate a decorrere dal secondo giorno successivo alla

pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto legge n. 223 del 2006, cioè dal 6 luglio 2006.

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La legge n. 296 del 27.12.2006 interviene a modificare il disposto del comma 22 dell’articolo

35 del decreto legge n. 223 del 2006 disponendo che:

- dalla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà deve risultare se il mediatore è persona

fisica ovvero l’attività di mediazione è stata svolta da una società. In questa ultima

ipotesi, vanno indicati i dati del legale rappresentante della società ovvero quelli del

mediatore che ha operato per conto della società medesima;

- il numero di iscrizione al ruolo degli agenti di affare in mediazione immobiliare;

- una specifica previsione è posta in relazione all’obbligo posto a carico del notaio, laddove

questi rilevi l’assenza dell’iscrizione al ruolo di agenti di affari in mediazione. In questo

caso, deve procedere ad effettuare una segnalazione all’ufficio dell’agenzia delle entrate

di competenza30;

- con una specifica disposizione transitoria contenuta nel comma 49 dell’articolo 1 della

legge n. 296 del 2006, viene altresì previsto che la ricostruzione delle modalità di

pagamento del corrispettivo deve limitarsi agli esborsi effettuati dal 4 luglio 2006,

trascurando invece quelli posti in essere in data precedente.

3. Le nuove previsioni a carico degli agenti immobiliari

La legge n. 296 del 2006 pone a carico degli agenti e mediatori immobiliari tutta una serie di

nuovi adempimenti, che vanno dall’obbligo di registrazione dei contratti preliminari sino alla

introduzione di una specifica responsabilità solidale, a loro carico, in relazione all’eventuale

mancato o insufficiente pagamento dell’imposta a carico dei contraenti.

A tale fine, vengono modificati due articoli del DPR n. 131 del 1986 in materia di imposta di

registro, come segue:

Articolo 10 Soggetti obbligati a richiedere la registrazione 1. Sono obbligati a richiedere la registrazione: a) le parti contraenti per le scritture private non autenticate, per i contratti verbali e per gli atti pubblici e privati formati all' estero nonché i rappresentanti delle società o enti esteri,

ovvero uno dei soggetti che rispondono delle obbligazioni della società o ente, per le operazioni di cui all' art. 4; b) i notai, gli ufficiali giudiziari, i segretari o delegati della pubblica Amministrazione e gli altri

pubblici ufficiali per gli atti da essi redatti, ricevuti o autenticati; c) i cancellieri e i segretari per le sentenze, i decreti e gli altri atti degli organi giurisdizionali alla cui formazione hanno partecipato nell' esercizio delle loro funzioni;

d) gli impiegati dell' amministrazione finanziaria e gli appartenenti al Corpo della guardia di finanza per gli atti da registrare d' ufficio a norma dell' art. 15;

30 La disposizione di pone in stretta connessione con l’incremento delle sanzioni poste a carico dei soggetti che svolgono attività di mediazione senza possedere la richiesta iscrizione al ruolo, come si evince dal comma 47 dell’articolo 1 della medesima legge finanziaria per il 2007.

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Immobili e dintorni nella Finanziaria 2007

141

d-bis) gli agenti di affari in mediazione iscritti nella sezione degli agenti

immobiliari del ruolo di cui all’articolo 2 della legge 3 febbraio 1989, n. 39, per le

scritture private non autenticate di natura negoziale stipulate a seguito della loro

attività per la conclusione degli affari

Articolo 57 - Soggetti obbligati al pagamento

1. Oltre ai pubblici ufficiali, che hanno redatto, ricevuto o autenticato l'atto, e ai soggetti nel

cui interesse fu richiesta la registrazione, sono solidalmente obbligati al pagamento

dell'imposta le parti contraenti, le parti in causa, coloro che hanno sottoscritto o avrebbero

dovuto sottoscrivere le denunce di cui agli artt. 12 e 19 e coloro che hanno richiesto i

provvedimenti di cui agli artt. 633, 796, 800 e 825 del Codice di procedura civile .

1-bis. Gli agenti immobiliari di cui all’articolo 10, comma 1, lettera d-bis), sono

solidalmente tenuti al pagamento dell’imposta per le scritture private non

autenticate di natura negoziale stipulate a seguito della loro attività per la

conclusione degli affari

2. La responsabilità dei pubblici ufficiali non si estende al pagamento delle imposte

complementari e suppletive.

3. Le parti interessate al verificarsi della condizione sospensiva apposta ad un atto sono

solidalmente obbligate al pagamento dell'imposta dovuta quando si verifica la condizione o

l'atto produce i suoi effetti prima dell'avverarsi di essa.

4. L'imposta complementare dovuta per un fatto imputabile soltanto ad una delle parti

contraenti è a carico esclusivamente di questa.

5. Per gli atti soggetti a registrazione in caso d'uso e per quelli presentati volontariamente

alla registrazione, obbligato al pagamento dell'imposta è esclusivamente chi ha richiesto la

registrazione.

6. Se un atto, alla cui formazione hanno partecipato più parti, contiene più disposizioni non

necessariamente connesse e non derivanti per la loro intrinseca natura le une dalle altre,

l'obbligo di ciascuna delle parti al pagamento delle imposte complementari e suppletive è

limitato a quelle dovute per le convenzioni alle quali essa ha partecipato.

7. Nei contratti in cui è parte lo Stato, obbligata al pagamento dell'imposta è unicamente

l'altra parte contraente, anche in deroga all' art. 8 della L. 27 luglio 1978, n. 392 , sempreché

non si tratti di imposta dovuta per atti presentati volontariamente per la registrazione delle

amministrazioni dello Stato.

8. Negli atti di espropriazione per pubblica utilità o di trasferimento coattivo della proprietà o

di diritti reali di godimento l'imposta è dovuta solo dall'ente espropriante o dall'acquirente

senza diritto di rivalsa, anche in deroga all' art. 8 della L. 27 luglio 1978, n. 392 ; l'imposta

non è dovuta se espropriante o acquirente è lo Stato.

A L T R E

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L’obbligo di registrazione del preliminare e la connessa responsabilità solidale del mediatore

assume un peso differente a seconda degli specifici accordi intervenuti tra le parti; infatti:

• se il preliminare contiene solo l’impegno alla futura compravendita, la registrazione

avviene a tassa fissa e l’impegno, per le parti in causa, è limitato ad euro 168,00 oltre

all’imposta di bollo sul contratto;

• se nel preliminare, come solitamente avviene, è prevista una caparra confirmatoria, sul

valore della stessa deve essere scontato lo 0,50% a titolo di imposta di registro;

• se nel preliminare, infine, è prevista l’erogazione di un acconto prezzo (non soggetto ad

IVA), sull’importo deve essere assolta l’imposta di registro nella misura del 3% che verrà poi

decurtata in sede di stipula del contratto definitivo (sempre se l’atto non è soggetto ad IVA).

Pertanto, a fronte del nuovo obbligo e nel caso di cedente impresa che richiede un acconto

prezzo, la registrazione del preliminare porta con sé un ulteriore aggravio per la parte

acquirente (3% non recuperabile) che appare davvero come ulteriore balzello sulle

transazioni immobiliari.

Per ciò che attiene la più generale casistica dell’obbligo di registrazione dei contratti

preliminari, va rammentato il contenuto dell’articolo 2645-bis del codice civile che, al

riguardo, prevede:

CODICE CIVILE - Articolo 2645 bis - Trascrizione di contratti preliminari

1. I contratti preliminari aventi ad oggetto la conclusione di taluno dei contratti di cui ai

numeri 1), 2), 3) e 4) dell'articolo 2643, anche se sottoposti a condizione o relativi a edifici

da costruire o in corso di costruzione, devono essere trascritti se risultano da atto pubblico o

da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.

2. La trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione

dei contratti preliminari di cui al comma 1, ovvero della sentenza che accoglie la domanda

diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dei contratti preliminari predetti, prevale

sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del

contratto preliminare.

3. Gli effetti della trascrizione del contratto preliminare cessano e si considerano come mai

prodotti se entro un anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del contratto

definitivo, e in ogni caso entro tre anni dalla trascrizione predetta, non sia eseguita la

trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del

contratto preliminare o della domanda giudiziale di cui all' articolo 2652, primo comma,

numero 2).

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Immobili e dintorni nella Finanziaria 2007

143

4. I contratti preliminari aventi ad oggetto porzioni di edifici da costruire o in corso di

costruzione devono indicare, per essere trascritti, la superficie utile della porzione di edificio

e la quota del diritto spettante al promissario acquirente relativa all'intero costruendo edificio

espressa in millesimi.

5. Nel caso previsto nel comma 4 la trascrizione è eseguita con riferimento al bene immobile

per la quota determinata secondo le modalità di cui al comma stesso. Non appena l'edificio

viene ad esistenza agli effetti della trascrizione si producono rispetto alle porzioni materiali

corrispondenti alle quote di proprietà predeterminate nonché alle relative parti comuni.

L'eventuale differenza di superficie o di quota contenuta nei limiti di un ventesimo rispetto a

quelle indicate nel contratto preliminare non produce effetti.

6. Ai fini delle disposizioni di cui al comma 5, si intende esistente l'edificio nel quale sia stato

eseguito il rustico, comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità e sia stata

completata la copertura.

4. Risolto il problema del periodo transitorio nel passaggio dall’IVA al registro

La conversione in legge, con modifiche, del decreto 4 luglio 2006 aveva ingenerato non

poche perplessità di natura squisitamente giuridica per i contribuenti che nel periodo dal 4.7

al 11.08 avessero posto in essere operazioni di trasferimento di immobili, osservando delle

disposizioni in allora vigenti, ma che sono poi state completamente sostituite, senza che ne

fossero stati fatti salvi gli effetti.

Della questione ci siamo già occupati nel materiale della prima giornata del master, sottolineando come fosse stata presentata una specifica Interrogazione parlamentare in data 3 ottobre 2006, in risposta alla quale il Governo aveva assunto l’onere di porre rimedio

all’interno del decreto legge 262/2006. L’intervento, con ritardo, è giunto invece nella Finanziaria 2007, precisamente al comma 292; nella norma si afferma quanto segue:

- regola: sono fatti salvi gli effetti prodotti dall'applicazione delle norme, oggetto di mancata conversione;

- deroga: il cedente o locatore può optare per l'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto

in presenza dei presupposti ivi previsti. In caso di opzione, l'imposta di registro e le imposte ipotecarie e catastali sono dovute sulla base delle nuove regole31. Il cedente o locatore che intende esercitare l'opzione per ipotesi diverse da quelle disciplinate dall'articolo 35, comma

10-quinquies, del citato decreto-legge, ne dà comunicazione nella dichiarazione annuale relativa all'imposta sul valore aggiunto dovuta per l'anno 2006.

31 Poiché generalmente le ipotesi interessano le transazioni di fabbricati strumentali, l’imposta di registro si rende dovuta nella misura fissa di 168 euro, mentre le ipocatastali nella misura del 4%.

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Viene poi risolto anche il rebus del recupero delle eventuale maggiore imposta di registro

corrisposta e non più dovuta a seguito dell’opzione resa disponibile a decorrere dal

01.01.2007. Infatti, per le cessioni, l'eventuale eccedenza dell'imposta di registro

conseguente all'effettuazione dell'opzione:

- è compensata con i maggiori importi dovuti ai fini delle imposte ipotecarie e catastali;

- è richiesta a rimborso per gli importi che non trovano capienza in compensazione.

5. Ampliati i casi di imponibilità IVA per l’edilizia popolare.

Una ulteriore novità che deve essere qui rammentata, riguarda il regime IVA/registro di

locazioni e cessioni di particolari tipologie di fabbricati.

Con due ulteriori modifiche all’articolo 10 del DPR 633/72, i commi 330 e 331 della Legge

296 prevedono che:

• in tema di locazioni: sono soggette ad IVA quelle di fabbricati abitativi effettuate in

attuazione di piani di edilizia abitativa convenzionata dalle imprese che li hanno costruiti

o che hanno realizzato sugli stessi interventi di cui all'articolo 31, primo comma, lettere

c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457, entro quattro anni dalla data di

ultimazione della costruzione o dell'intervento e a condizione che il contratto abbia

durata non inferiore a quattro anni;

• in tema di cessioni: sono soggette ad IVA quelle poste in essere dalle imprese

costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese

appaltatrici, gli interventi di cui all'articolo 31, primo comma, lettere c), d) ed e), della

legge 5 agosto 1978, n. 457, entro quattro anni dalla data di ultimazione della

costruzione o dell'intervento o anche successivamente nel caso in cui entro tale

termine i fabbricati siano stati locati per un periodo non inferiore a quattro anni in

attuazione di programmi di edilizia residenziale convenzionata.

Al fine della corretta individuazione della aliquota del nuovo caso di locazioni, viene modificata

la Tabella A, parte III (operazioni al 10%) allegata al DPR 633/72, prevedendo l’introduzione di

una nuova voce strutturata come segue: 127-duodevicies) locazioni di immobili di civile

abitazione effettuate in esecuzione di programmi di edilizia abitativa convenzionata dalle

imprese che li hanno costruiti o che hanno realizzato sugli stessi interventi di cui all'articolo 31,

primo comma, lettere c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457.

6. Registro ridotto sull’acquisto delle aree

Il DL 223/2006 (art. 35, comma 15) aveva ristretto in modo massiccio le casistiche in cui era

possibile beneficiare della riduzione all’1% dell’imposta di registro sull’acquisto di aree, per la

precisione la modifica limitava l’ipotesi al caso di trasferimenti di immobili in piani urbanistici

particolareggiati, diretti all’attuazione dei programmi prevalentemente di edilizia residenziale

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Immobili e dintorni nella Finanziaria 2007

145

convenzionata pubblica, comunque denominati, realizzati in accordo con le amministrazioni

comunali per la definizione dei prezzi di cessione e dei canoni di locazione.

Il comma 306 della Finanziaria torna sulla particolare casistica, prevedendo che le parole

“edilizia residenziale convenzionata pubblica” siano sostituite con “edilizia residenziale

convenzionata”.

Pertanto, sembra di capire che ciò che conta è l’oggetto della iniziativa immobiliare, mentre

non assume più alcuna rilevanza il promotore della operazione che, dal 01.01.2007, potrà

essere tanto pubblico che privato.

7. Modifiche in tema di ICI

Il decreto estivo (art. 37) aveva ritoccato la materia della imposta comunale sugli immobili

prevedendo che:

• comma 13 (scadenze di versamento): l’acconto dell’imposta deve essere versato,

dal 2007, entro il 16 giugno, mentre il saldo entro il 16 dicembre;

• commi 53 e 54 (dichiarazione ICI): a decorrere dall'anno 2007, è soppresso l'obbligo

di presentazione della dichiarazione ICI ovvero della comunicazione prevista da alcuni

comuni. Restano fermi gli adempimenti attualmente previsti in materia di riduzione

dell'imposta. Fino alla data di effettiva operatività del sistema di circolazione e fruizione dei

dati catastali, da accertare con provvedimento del direttore dell'Agenzia del territorio,

rimane in vigore l'obbligo di presentazione della dichiarazione ovvero della comunicazione.

La circolazione e la fruizione della base dei dati catastali gestita dall'Agenzia del territorio

deve essere assicurata entro il 31 dicembre 2006. Relativamente alle regioni, alle province

e ai comuni i costi a loro carico per la circolazione e fruizione della base dei dati catastali

sono unicamente quelli di connessione.

• comma 55 (liquidazione ICI e versamento): l'imposta può essere liquidata in sede

di dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e può essere versata con modello F24.

Con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate, da emanare entro centoventi

giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentita la conferenza Stato-

città ed autonomie locali, sono definiti i termini e le modalità per l'attuazione delle

disposizioni contenute nel presente comma

La legge Finanziaria torna nuovamente sulla questione in diversi commi sparsi qua e la

nell’articolo 1 della legge 296/2006; le modifiche sono sinteticamente illustrate nel prosieguo,

cominciando proprio dalla “migrazione” dei dati ICI all’interno della dichiarazione dei redditi,

come auspicato dal DL 223/2006. In tal senso, la finanziaria distingue i periodi 2006 e 2007,

prevdendo per il primo il solo obbligo di indicazione dei dati del versamento dell’imposta,

mentre, per il secondo, anche l’obbligo di indicazione dei dati descrittivi dell’immobile.

Va infine notato che il comma 174 della Finanziaria 2006, precisa (modificando il comma 53

dell’articolo 37 del DL 223/2006) che “Resta fermo l'obbligo di presentazione della dichiarazione

A L T R E

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nei casi in cui gli elementi rilevanti ai fini dell'imposta dipendano da atti per i quali non sono applicabili le procedure telematiche previste dall'articolo 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 463, concernente la disciplina del modello unico informatico”.

ANNO 2007 (periodo 2006) PER TUTTI I CONTRIBUENTI

Nelle dichiarazioni dei redditi presentate nell'anno 2007, nel quadro relativo ai

fabbricati, per ogni immobile deve essere indicato l'importo dell'imposta

comunale sugli immobili dovuta per l'anno precedente.

ANNO 2008 ( periodo 2007)

dich

iara

zion

e

(in

att

esa

decr

eto

DP

F)

Soggetti art. 73, lettere a) e b) del TUIR

• La dichiarazione dei redditi in relazione ai periodi d'imposta in corso al 31

dicembre 2007, contiene tutte le indicazioni utili ai fini del trattamento dell'ICI.

• Tali indicazioni sono riportate nelle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi

di imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2007, solo in caso di

variazione relativa anche a solo una di esse.

Soggetti diversi dai precedenti

A decorrere dall'anno 2008, nella dichiarazione dei redditi, per ciascun fabbricato

sono specificati:

• dati dell’immobile: oltre all'indirizzo, l'identificativo dell'immobile stesso costituito

dal codice del comune, dal foglio, dalla sezione, dalla particella e dal subalterno.

Tali dati sono indicati nelle dichiarazioni da presentare negli anni successivi

unicamente in caso di variazione relativa anche a solo uno di essi;

• dati del versamento: l'importo dell'imposta comunale sugli immobili pagata

nell'anno precedente.

Con

trol

li

• In sede di controllo delle dichiarazioni effettuato ai sensi dell'articolo 36-bis

del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e

successive modificazioni, si verifica il versamento dell'imposta comunale

sugli immobili relativo a ciascun fabbricato, nell'anno precedente. L'esito

del controllo è trasmesso ai comuni competenti.

• I comuni trasmettono annualmente all'Agenzia del territorio, per via

telematica, i dati risultanti dalla esecuzione dei controlli previsti dal decreto

legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e successive modificazioni, in

materia di imposta comunale sugli immobili, ove discordanti da quelli

catastali, secondo modalità e nei termini stabiliti con decreto del Ministro

dell'economia e delle finanze, sentita l'Associazione nazionale dei comuni

italiani (ANCI).

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Immobili e dintorni nella Finanziaria 2007

147

I successivi commi da 173 a 175 dispongono quanto segue:

• in tema di fabbricati non censiti o censiti in modo non più significativo, viene

abrogato il comma 4 dell'articolo 5 del D. Lgs. 504/92, che consentiva l’assoggettamento

ad imposta sulla base di rendite similari;

• in tema di individuazione dell’abitazione principale, al comma 2 dell'articolo 8, viene

chiarito che la stessa si intende, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica;

• in tema di fallimento, si sostituisce il comma 6 dell’articolo 10 con quanto segue. Per

gli immobili compresi nel fallimento o nella liquidazione coatta amministrativa il curatore

o il commissario liquidatore, entro novanta giorni dalla data della loro nomina, devono

presentare al comune di ubicazione degli immobili una dichiarazione attestante l'avvio

della procedura. Detti soggetti sono, altresì, tenuti al versamento dell'imposta dovuta

per il periodo di durata dell'intera procedura concorsuale entro il termine di tre mesi

dalla data del decreto di trasferimento degli immobili;

• in tema di liquidazione, accertamento dell’imposta, riscossione coattiva,

rimborsi, interessi, si provvede alla abrogazione ed alla modifica di una serie di

disposizioni (commi 1, 2, 2-bis e 6 dell'articolo 11; all'articolo 12, comma 1, le parole “90

giorni” sono sostituite da “sessanta giorni”; l'articolo 13 è abrogato; il comma 6

dell'articolo 14 è abrogato) in virtù del fatto che l’intera materia della liquidazione,

accertamento, riscossione, rimborsi ed interessi dei tributi locali ha trovato una completa

revisione ed omogeneizzazione nella stessa legge Finanziaria.

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LIMITI ALLA COMPENSAZIONE AD EFFETTO DIFFERITO? a cura di Giovanni Valcarenghi*

Premessa

L’articolo 1, comma 30 della legge 27.12.2006 n. 296 introduce una norma che, al fine di

contrastarne l’indebita utilizzazione, limita l’utilizzo dei crediti in compensazione.

L’articolo 17 del D. Lgs. 241/97 consente di spendere i crediti risultanti dalle dichiarazioni e

dalle denunce periodiche presentate inserendoli nella colonna “importi a credito” del modello

F24 entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva.

L’articolo 34, comma 1, della legge 388/2000, ha introdotto un limite massimo dei crediti di

imposta e dei contributi compensabili ovvero rimborsabili ai soggetti intestatari di conto

fiscale, fissato in euro 516.456,90 per anno solare.

Secondo le nuove disposizioni, si introduce una nuova procedura che i soli titolari di

partita IVA debbono utilizzare per effettuare l’operazione di compensazione per importi

superiori a 10.000 euro; in particolare:

• entro il quinto giorno precedente quello in cui intendono effettuare l'operazione di

compensazione comunicano all'Agenzia delle entrate, in via telematica, l'importo e la

tipologia dei crediti oggetto della successiva compensazione;

• la mancata comunicazione da parte dell'Agenzia delle entrate al contribuente, entro il

terzo giorno successivo a quello di comunicazione, vale come silenzio assenso per la

compensazione.

La compensazione per i soggetti titolari di partita IVA e per importi superiori a 10.000 euro,

pertanto, non è più libera, ma vincolata ad una preventiva richiesta; ciò determina una

anticipazione (non teorica, ma pratica) di almeno 5 giorni del termine per l’espletamento

degli adempimenti. Entro il giorno 11 di ciascun mese si dovrà avere chiaro l’ammontare del

debito da coprire e la disponibilità del credito da spendere; considerando l’anticipo richiesta

da alcuni istituti bancari per lavorare la delega con gli strumenti di home banking e corporate

banking, si rischia davvero di lavorare con scadenza troppo ravvicinate.

Decorrenza della nuova procedura e differenti casistiche

Non è ad oggi chiaro come si svolgerà il rapporto all’atto pratico; infatti, il successivo comma

31 prevede testualmente che: “Con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate sono definite le modalità, anche progressive, per l'attuazione delle disposizioni del comma 30. Con il predetto provvedimento, in particolare, sono stabilite le procedure di controllo volte ad impedire l'utilizzo indebito di crediti”.

Il contenuto dell’evocato provvedimento appare davvero indispensabile per comprendere

l’effettiva impostazione pratica delle procedure; posto che si evoca la possibilità di

* Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Fiscale)

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Limiti alla compensazione ad effetto differito?

149

introduzione di modalità anche progressive, appare prioritario conoscere al più presto se tale

locuzione vada intesa come generalizzata inefficacia della previsione sino a nuovi chiarimenti,

oppure se la stessa debba intendersi attualmente già operativa per tutti i soggetti, salvo

sospensioni successivamente rese note.

Sul punto, vale la pena di rammentare che l’articolo 3, comma 2, della legge 27 luglio 2000

prevede che le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei

contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla loro entrata in

vigore o dall’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti.

Pare pertanto di potersi legittimamente sostenere che le nuove restrizioni alla

compensazione non possano che entrare in vigore in futuro, consentendo in questa prima

fase dell’anno di continuare secondo le precedenti modalità (libertà).

Dall’altro versante, se il medesimo procedimento ha il compito di fissare i criteri con cui la

compensazione possa essere eventualmente negata (cioè le procedure di controllo che

dovranno essere attivate dall’Agenzia) sino al suo varo (rectius, pratica attuazione operativa)

la comunicazione preventiva non assumerebbe altro significato che quello di un inutile

adempimento, posto che potrebbe apparire scontata la mancanza di risposta e, dunque, il via

libera alla compensazione.

Oltre alle argomentazioni in merito alla decorrenza, non del tutto chiaro appare anche

l’effettivo svolgimento degli adempimenti.

Certo è che nessuna autorizzazione va richiesta se il contribuente si limita ad indicare nella

colonna a credito del modello F24 un importo massimo di 10.000 euro; sul punto, tuttavia,

giova rammentare che non sempre i contribuenti utilizzano un unico modello che accoglie

tutti i versamenti del mese (si pensi alla piccola impresa che versa contributi e ritenute dei

lavoratori dipendenti con modello elaborato dal consulente del lavoro e l’IVA con modello

fornito dal commercialista). Come giocano tra loro questi due versamenti? Se gli stessi

fossero presentati in due giorni diversi, esponendo ciascuno un importo a credito per euro

6.000, scatterebbe comunque la limitazione, oppure no? In sostanza, “sezionando” i debiti

tributari e contributivi si può sfuggire al predetto meccanismo? Se così fosse, si assisterà ad

una moltiplicazione dei modello F24 versati a scalare nei diversi giorni che precedono la

scadenza del 16 di ciascun mese.

Trascurando le piccole posizioni ed ipotizzando l’ampia disponibilità di un credito derivante,

ad esempio, dalla posizione IVA del soggetto, non si comprende se:

• sia sufficiente una unica comunicazione ad inizio anno relativa all’intero ammontare

dell’importo da spendere in compensazione;

• sia invece richiesta una singola compensazione in relazione a ciascuna singola scadenza.

Se fosse prevalente la prima tesi, tutto sommato la problematica potrebbe essere

circoscritta ad una sola comunicazione ad inizio anno (o al momento in cui si è in grado di

quantificare il credito), in cui il contribuente riepiloga le disponibilità da “spendere”; in tal

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senso, la preventiva segnalazione all’Agenzia avrebbe il senso di anticipare il contenuto delle

dichiarazioni e perderebbe ogni significato in relazione alle compensazioni effettuate dopo il

31 luglio 2007, nuova data di scadenza dell’invio dei modelli. Non vi sarebbe, al riguardo,

alcuna difficoltà in ordine alla quantificazione degli importi a debito per altri tributi, che

potrebbe avvenire entro le usuali scadenze, fermo restando che si è già acquisito il benestare

alla compensazione.

Se fosse prevalente la seconda tesi, come sembra evincersi dal tenore della norma (comunicano all’Agenzia ……l’importo e la tipologia dei crediti oggetto della successiva compensazione) e dal

riferimento all’importo di 10.000 euro, chiaramente ancorato all’importo effettivamente utilizzato e

non a quello spettante, le difficoltà operative appaiono del tutto evidenti.

Aderendo a questa impostazione, inoltre, sembrerebbe di capire che se, a fronte di una certa

comunicazione, si fosse poi scelto di non effettuare la compensazione, l’utilizzo di quel

medesimo credito nel mese successivo dovrebbe essere nuovamente autorizzato, con la

conseguenza che potrebbero sussistere dei controlli di prima istanza in base ai quali si è

apparentemente compensato più del dovuto.

Nessun problema, invece, per l’utilizzo interno dei crediti, come potrebbe accadere

nell’ipotesi di riporto del credito annuale IVA alle successive liquidazioni, oppure allo scomputo

delle ritenute d’acconto versate in eccesso; sono queste delle ipotesi che non rappresentano

tecnicamente delle compensazioni e, pertanto, sfuggono alla disposizione in commento.

Diverso potrebbe essere il caso della compensazione di imposta su imposta (IVA su IVA,

IRES su IRES) che il contribuente intende materialmente esporre su F24; in tal caso, poiché

viene presentato un modello di pagamento, sembrerebbero applicabili le nuove cautele.

La finalità della disposizione

Ben ragionando, la disposizione potrebbe essere collegata con le nuove previsioni in termini

di riscossione varate dal decreto legge collegato alla finanziaria (DL 262/2006 convertito, con

modificazioni, dalla legge 286/2006). All’articolo 2, comma 13 è contenuta una modifica al

DPR 602/73, ove viene inserito un nuovo articolo 28-ter, titolato “Pagamento mediante compensazione volontaria con crediti di imposta”. Nella nuova norma si legge che, in sede di

erogazione di un rimborso d’imposta, l’Agenzia delle entrate verifica se il beneficiario risulta

iscritto a ruolo e, in caso affermativo, trasmette in via telematica apposita segnalazione

all’agente della riscossione. Cercando di chiudere il cerchio, considerato che i ruoli pendenti

possono essere volontariamente estinti mediante compensazione, si potrebbe ipotizzare che

il diniego alla compensazione con altri tributi potrebbe, ad esempio, derivare dall’esistenza di

pendenze esattoriali, estendendo di fatto il disposto normativo non solo ai rimborsi

(letteralmente richiamati) ma anche ai crediti che si intende utilizzare in compensazione.

Sono solo ipotesi formulate in assenza di qualsiasi indicazione che, tuttavia, paiono credibili,

anche alla luce del contenuto del successivo comma 32 dell’unico articolo della Finanziaria

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Limiti alla compensazione ad effetto differito?

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2007, ove si prevedono maggiori entrate per un importo pari a 214 milioni di euro per l'anno

2007, da iscriversi sul Fondo per interventi strutturali di politica economica.

Tali maggiori entrate potrebbero derivare:

• dalla preclusione all’indebito utilizzo dei crediti, sfruttando il carattere virtuoso della

norma, tesa evidentemente a bloccare l’utilizzo di somme non spettanti; va tuttavia

evidenziato che la compensazione è un gioco a somma zero, perché anche in caso di

comportamenti “deplorevoli” non si fa altro che dirottare fondi da un capitolo ad un altro

di entrata (è il caso, ad esempio, del soggetto che si “inventa” un credito IVA al fine di

versare i contributi INPS e le ritenute fiscali dei dipendenti). Sul punto, si può lucrare

qualche vantaggio in termini di sanzioni e interessi, ma il capitale in gioco è pur sempre

il medesimo; ciò, tra l’altro, è una conseguenza di una interpretazione non

completamente corretta delle disposizioni in tema di compensazione già fornita nel

passato dall’Agenzia ed in merito alla quale ci si soffermerà nel prosieguo;

• dalla creazione di non condivisibili ostacoli al contribuente “per bene” che, visti i

numerosi paletti da superare per completare lo slalom della compensazione, preferisce

rinunciare all’utilizzo dell’istituto regredendo alla precedente situazione in cui i crediti di

imposta divenivano una sorta di immobilizzazione finanziaria vera e propria. Anche qui, il

capitale è il medesimo; trattasi solo di spostamento nel tempo delle risorse finanziarie.

Gli effetti della compensazione indebita

Pare anche opportuno rammentare che l’amministrazione finanziaria si è pronunciata in

modo ondivago sulle conseguenze derivanti dall’utilizzo di crediti non spettanti; infatti, dopo

che con la risoluzione 70/E del 13.07.1998 era stato correttamente affermato che l’utilizzo

erroneo del credito in compensazione (per errore o in capienza) comportava un omesso

versamento del tributo a debito, si è registrato un cambio di rotta derivante dal tentativo di

risolvere alcune questioni pratiche di ripartizione dei fondi tra gli enti beneficiari. Così, con la

circolare 101/E del 19 maggio 2000 (risposta 11.1), è stato invece sostenuto che, nel caso di

compensazione di crediti inesistenti, il contribuente potrà avvalersi dell'istituto del

ravvedimento, effettuando il versamento delle somme a debito, corrispondenti al credito

erroneamente utilizzato in compensazione, maggiorate degli interessi e con il contestuale

versamento della relativa sanzione prevista per l'omesso versamento in misura ridotta in

rapporto alla data del ravvedimento.

La medesima soluzione è stata suggerita in successivi documenti di prassi; si vedano la

risoluzione 166/E del 4 giugno 2002 (ove è stato chiarito l’utilizzo del codice 8911 per il

versamento della sanzione) ed il paragrafo 6.1 della circolare 48/E del 7 giugno 2002, ove si è

sostenuta la tesi che il versamento integrativo per ripristinare il credito utilizzato e non spettante

comporterebbe la necessità di rettificare la dichiarazione di provenienza del credito stesso, al fine

di consentire la quadratura telematica in sede di liquidazione della dichiarazione.

A L T R E

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Sulla base di tali indicazioni, può essere forse compreso l’intento del Legislatore; visto che il

versamento appare comunque valido, si cerca di introdurre una sorta di “benedizione

anticipata”, in relazione alla quale sarà da verificare come potrà essere sindacata l’effettiva

spettanza del credito, specialmente in mancanza dei dati della dichiarazione.

Così resta da capire quali siano le conseguenze di una compensazione comunque effettuata

senza l’invio della comunicazione oppure senza attendere i 3 giorni di rito previsti dalla norma; da

un lato si dovrebbe concludere che non avrebbe senso l’introduzione di uno specifico obbligo

senza che la inosservanza dello stesso comporti conseguenze sanzionatorie, mentre dall’altro è

da registrare la completa inesistenza di specifiche conseguenza, a meno che non si voglia

concludere che il versamento comunque effettuato sia da considerare inesistente.

Accadrebbe allora una vera a e propria stranezza, in base alla quale il contribuente è

legittimamente titolare di un credito che, secondo il D. Lgs. 241/97 può essere utilizzato in

compensazione, ma per la sola circostanza di non avere rispettato una procedura inserita

fuori sistema si vedrebbe sanzionato per un omesso versamento. Sul punto è quanto mai

necessaria una presa di posizione dell’Agenzia.

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ALTRE QUESTIONI SULLA FINANZIARIA 2007 a cura di Duilio Liburdi*

Intermediari per la trasmissione telematica

1) Sanzioni per omessa trasmissione delle dichiarazioni divengono sanzioni tributarie e dunque:

- possibilità di ravvedimento operoso

- possibilità di definizione agevolata

2) Comunicazione degli esiti della liquidazione delle dichiarazioni

Viene inviata all’intermediario indipendentemente dal fatto che il contribuente abbia espresso volontà in tal senso. L’intermediario deve attivarsi nei confronti del contribuente ma può comunicare l’impossibilità a farlo

Interventi sugli immobili

1) Maggiori previsioni negli atti di trasferimento degli immobili in relazione al mediatore

2) Obbligo da parte dei mediatori di registrazione dei contratti preliminari

3) Obblighi di segnalazione in capo ai notai ed introduzione della responsabilità per il pagamento dell’imposta di registro in capo ai mediatori

4) Risoluzione delle problematiche di diritto transitorio sulla questione IVA –registro

5) Dati versamento ICI nel modello Unico 2007

* Pezzo aggiornato al 29/12/2006 (Quarta giornata del Master Breve 2006/2007 – Area Fiscale)

A L T R E

N O V I T À

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Controlli dell’amministrazione finanziaria

1) Obbligo di comunicazione prima di compensare crediti per importi superiori a 10 mila euro

2) Attivazione progressiva dell’obbligo e silenzio assenso da parte dell’amministrazione finanziaria

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La quinta giornata del Master Breve – Area Fiscale, affronterà il seguente argomento:

L’aggiornamento tributario 2006/2007 FINANZIARIA 2007 (2° MODULO) E ALTRE NOVITA’

Secondo il seguente calendario:

MILANO (1^ ed) 06 febbraio 2007

MILANO (2^ ed) 07 febbraio 2007

BRESCIA 07 febbraio 2007

VERONA 08 febbraio 2007

TREVISO 09 febbraio 2007

VENEZIA 09 febbraio 2007

TORINO 13 febbraio 2007

GENOVA 14 febbraio 2007

ALESSANDRIA 14 febbraio 2007

PESARO 15 febbraio 2007

ROMA 16 gennaio 2007

FIRENZE 20 febbraio 2007

BOLOGNA 20 febbraio 2007

BERGAMO 21 febbraio 2007

UDINE 22 febbraio 2007

VICENZA 27 febbraio 2007

CAGLIARI 28 febbraio 2007

Per ulteriori informazioni telefonare allo 045/8201828 o consultare il sito www.euroconference.it

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