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    Pavese controcorrente: IDialoghi con Leuc

    ARNALDO BRUNI

    Universit degli Studi di Firenze

    [email protected]

    Riassunto

    Lo studio si propone di contestualizzare iDialoghi con Leuc di Cesare Pavese nellanno incui uscirono, cio in pieno Neorealismo (1947), senza trascurare la preistoria del dibattito sulmito, a partire dai romantici. La ricostruzione di questo filone culturale consente di intenderela difficolt di Pavese che, nelle lettere, si sforza di giustificare la portata di questa sua provaeccentrica, opacizzata volutamente peraltro dalla pubblicazione coeva di un altro romanzo dituttaltro segno:Il compagno. Sotto il rispetto strutturale, si sottolineano i richiami stilistici algenere del dialogo (da Platone a Leopardi) e si segnalano alcuni riusi citazionistici dedotti daPindaro, Manzoni, Conrad e Ungaretti. Si ricorda infine linfluenza esercitata su Calvino narra-tore per il superamento del personaggio come tipologia obbligata e dunque si evidenzia il con-

    tributo di Pavese alla modernizzazione del romanzo nel secondo Novecento.Parole chiave: Mito, Novecento, Neorealismo, dialogo, stile, personaggio, Pavese.

    Pavese against the tide : IDialoghi con Leuc

    Abstract

    The present study aims at analyzing Cesare PavesesDialoghi con Leuc within the contextthe year of its publication (1947), with Neorealism spreading all around, by taking intoaccount the prehistory of the debate on myth started with romanticism. By reconstructingthis cultural approach, one can understand Paveses difficulties in trying, as it turns out from

    his correspondence, to clarify the meaning of this eccentric work of his; a work he evenattempted to hide by publishing, in the same period of time, a totally different novel (Il com-pagno). Under the respect of its structure, we emphasize the stylistic similarities between theDialoghi and the genre of dialogue (from Plato to Leopardi), and we highlight those quota-tions of Pindaro, Manzoni, Conrad, and Ungaretti. Finally, we recall Paveses influence onCalvino for what concern the idea that the importance of the character withn a novel should

    be diminished, and, by that, we direct the attention toward Paveses contribution to themodern conception of the novel in the second half of the 20th century.

    Key words: Myth, the nineteenth-century, Neorealism, dialogue, style, character, Pavese.

    Bruni, Arnaldo. 2011. Pavese controcorrente: IDialoghi con Leuc. Cuadernos de Filologa

    Italiana, n extraordinario: pgs. 73-82.

    Cuadernos de Filologa Italiana ISSN: 1133-95272011, Volumen Extraordinario, 73-82 http://dx.doi.org/10.5209/rev_CFIT.2011.37501

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    Un autore che si fa critico di se stesso, si sa, non attinge necessariamente il cul-mine della consapevolezza. Riuscirebbe tuttavia improprio pretermettere il pareredellinteressato sulla qualit del lavoro condotto a buon fine. Losservazione preli-minare cade in taglio a proposito deiDialoghi con Leuc, il libro che Pavese volle

    privilegiare per incidervi, prima del cecidere manus, un legato testamentario che anche messaggio a futura memoria (Pavese 1990)1. Il gesto acquista valore emble-matico perch si scontra con il gusto coevo, si vuol dire con linsuccesso toccato aquellinsolita mitologia, solo in tempi recenti riscattata dal limbo dellincompren-sione corrente. Gli studiosi difatti, soprattutto negli ultimi anni, si sono impegnati afondo nella decodifica di un libro segnato dalla discontinuit rispetto alla prassi let-teraria vigente nella stagione che lo incornicia.

    A segnalare leccentricit della suppellettile bastano del resto pochi dati rico-noscibili come tipici perch diffusi nellarco cronologico del quindicennio che di-stingue la parabola del Neorealismo. Il diagramma, fissato da Maria Corti fraPaesi

    tuoi (1941) eMetello (1955) (Corti 1978: 25-26), distinto da alcune direttrici inte-se come marche caratterizzanti. In particolare, si deve registrare almeno la dimen-sione americana, recepita da Vittorini e Pavese, declinata insieme con la convergen-te lezione di Verga: quel Verga che in fondo a tutti i nostri sforzi (Pavese 1966:63)2, tanto per rammentare una battuta dellinteressato. Non sono in questione soloinfluenze letterarie. Si tratta piuttosto di un sommovimento di cultura che determi-na una linea di faglia nel quadro della tradizione, visto che le novit si avvalgono incontemporanea di un risvolto eccezionale, pensando al cinema di De Sica, Rosselli-ni e Visconti. In un quadro cos articolato e dinamico risultano dunque particolar-mente incisivi quei tratti riconosciuti come determinanti perch appaiono come spieindicative di un vero e proprio ribaltamento di prospettiva. un fatto che laboli-zione dellio lirico, la fusione fra paesaggio e persone, linvadenza delloralit nella

    pagina scritta, la soppressione delle descrizioni psicologiche e la prevalenza del dia-logato, tanto per rammentare sommariamente gli spunti indotti da una poetica inderoga, determinano una frattura entro le misure della maniera diffusa. Lo strappoassume connotati vistosi e diviene ancora pi profondo, considerando il conseguen-te rifiuto della forma acquisita della prosa letteraria.

    Ogni movimento culturale segnato nella sua linea di sviluppo da una costante,improntata al bioritmo della crescita e della decadenza. Il grafico grossamente

    abbozzato sembra culminare proprio nel 1947, lanno topico della massima produ-zione neorealistica, stando almeno alle misure quantitative. Il vertice, toccato dallaspinta propulsiva della novit, ravvisabile quindi in una stagione che allinea inserie le prove emblematiche di quella che stata definita una produzione torren-ziale (Corti 1978: 27). Senza pretendere di riuscire esaustivi risulta battezzato allo-ra un lotto consistente di titoli, alcuni dei quali vanno elencati almeno come cam-

    Arnaldo Bruni Pavese controcorrente: IDialoghi con Leuc

    1 Si allude allepitaffio vergato sulla prima pagina deiDialoghi con Leuc e riprodotto fotograficamen-te nel controfrontespizio delledizione citata: Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fatetroppi pettegolezzi (Pavese).

    2 Si tratta di una lettera a Mario Tobino del 7 marzo 1946.

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    pionatura provvisoria:Prologo alle tenebre di Carlo Bernari,Il cielo rosso di Giu-seppe Berto,Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino,Dentro mi nato luomodi Dino del Boca, La parte difficile di Oreste Del Buono, stato cos di NataliaGinzburg,Loro di Napoli di Giuseppe Marotta, Un figlio ella disse di Silvio Miche-

    li, Cronaca familiare e Cronaca di poveri amanti di Vasco Pratolini, Spaccanapolidi Domenico Rea.

    Pi che la quantit, certamente parziale, colpisce la qualit. Si tratta infatti per-lopi di opere note e in qualche modo emblematiche di protagonisti non certo di unasola stagione. Il sommario catalogo costituisce in ogni modo controprova obiettivadel gesto provocatorio di Pavese. Il quale con i Dialoghi con Leuc introduce neltessuto compatto del modulo predominante una vera e propria scheggia antifrastica,

    per giunta in aperto conflitto con la tradizione antica e recente. Non si pu dimenti-care che lo scrittore agisca nel continuum di una tradizione. inevitabile perciammettere che la possibilit di innovare scaturisca dal rapporto dialettico che si pu

    istituire tra la prassi consolidata e le risultanze della contemporaneit. Sorprendequindi che la riflessione, pure ricca e articolata, su Leuc si sia sottratta finora aquesto elementare riscontro che pure deve essere censito obbligatoriamente, almeno

    per sommi capi.La gran questione della mitologia in effetti era stata liquidata nella cultura italia-

    na, almeno in apparenza, nel 1825, con la polemica dei romantici contro il Sermonesulla mitologia di Vincenzo Monti. Il significato della querelle si ricava da unipoti-posi attribuita a Manzoni che cos si sarebbe espresso a proposito del Sermone mon-tiano: il 29 bullettino del classicismo: come dire il bollettino di Napoleone annun-ciante il disastro di Mosca (Bevilacqua 1928: 192). Il paradosso della dibattuta con-

    troversia consiste nel fatto che il Leopardi del Discorso di un italiano intorno allapoesia romantica e diAlla primavera o delle favole antiche o il Monti del Sermone,per non dire dello Schiller di Gtter Griechlands, del 1788 ma tradotti in Italia nel1822 da Giovanni Rasori, avevano da parte loro buone motivazioni per supporre cheil poeta si rivolga in realt non alla ragione, vessillifera dell Arido vero, ma cheegli ricorra piuttosto alla fantasia con il miraggio del portento e della meravi-glia (Monti 1957: vv. 90-94). La vittoriosa affermazione romantica ebbe a saldareinvece, in griglia culturale egemonica, cattolicesimo e storicismo, identificando ilmito con l idolatria (Manzoni 1986: 320)3, in virt della condanna dello Chateau-

    briand del Gnie du christianisme (1802) o del Manzoni dellaLettera sul romanti-

    cismo. Di qui la proposta della storia come terreno privilegiato di realizzazione di undisegno provvidenziale preordinato, secondo una prospettiva che finisce per sostene-re un rinnovamento indifferibile per mezzo di premesse teoriche improprie. A que-sto depistaggio lecito attribuire la responsabilit dellisolamento della letteraturaitaliana da un contesto europeo diversamente articolato.

    A rendere ancora pi compatta la supremazia della cultura antimitologica hacontribuito in aggiunta la singolarit della scelta finale dei dioscuri polemici, cio di

    3 Il passo figura nella cosiddettaLettera sul romanticismo, a Cesare Taparelli dAzeglio del 22 settem-bre 1823.

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    Monti e di Leopardi. I quali, dissociandosi in prima persona dai presupposti appenacensiti, hanno frequentato di seguito ai loro manifesti teorici i dintorni di una lette-ratura alternativa, tenendo presente lintimismo dellultima lirica del traduttoredellIliade da una parte, i grandi idilli del contino di Recanati dallaltra. Lassenza

    di ragioni confessionali ha consentito altrove la tenuta del modulo mitico, dallaPhi-losophie der Mytologie (1857) di Schelling al Nietzsche diDie Geburt der Trag-die aus dem Geiste der Musik(1872), fino al Joyce dellUlysses (1922): o, sotto ilrispetto poetico, nel trapasso che congiunge idealmente Hlderlin e Keats fino agiungere a Rilke. Negli immediati dintorni si deve citare lesondante prevalenza del

    pattern, vero e proprio ritorno del rimosso, entro lo statuto del dramma moderno.Nella trafila dei recalcitranti George Steiner include una sola figura di rilievo, Ber-tolt Brecht (Steiner 1992: 251). Si ha tuttavia limpressione che, nello stilare il cata-logo dei resipiscenti, il critico non abbia tenuto conto a sufficienza delle vicendedella cultura italiana, nellambito della quale avrebbe potuto trovare pane abbon-

    dante per i suoi denti. Con tutte le cautele del caso trattando di generalizzazioni sem-pre improprie, sembra infatti di poter azzardare che la tematica in parola sia rimastaestranea alla tradizione nostrana almeno fino alle scelte europeizzanti delle trecorone di fine secolo: il Carducci barbaro, il Pascoli dei Conviviali e il DAnnunzioalcionico. Di seguito, il modulo cade nuovamente in prescrizione, nonostante ilPirandello del teatro dei miti o qualche spunto magico di Bontempelli, addiritturafino al riuso di Pavese. Il quale peraltro si giova di uno statuto teorico che sembrariagganciarsi proprio ai presupposti ottocenteschi di uno Schlegel, scrivendo inRac-contare monotono: Senza mito [] non si d poesia (Pavese 1962: 338)4.

    Tralasciando ora il merito dellarticolata fruizione storica, che andrebbe studia-

    ta a parte, i cenni sommari appena richiamati sono gi sufficienti per intendere ilcarattere antipodico o addirittura eversivo della scelta di Pavese: il quale peraltrodimostra di avere piena consapevolezza dellaudacia implicita nellopzione alter-nativa per una cultura divenuta di fronda. agevole riconoscere in effetti nella stra-tegia preliminare o di contorno un orientamento premonitore dei rischi a cui Pave-se finiva per esporsi. Fra le cautele messe in opera rientra senzaltro la decisione dicollocare il libro nella collana einaudiana dei Saggi, quasi per cirscoscrivere lu-dienza a un perimetro specialistico, laddoveIl compagno vede la luce nei Coral-li. Di pi, la scansione seriale del colophon (Il compagno, giugno 1947; I Dia-loghi, ottobre 1947) lascia intendere che lanticipo dell unico romanzo neorealista

    di questo scrittore (Corti 1978: 27) giuochi un ruolo difensivo e opacizzante. Lacronologia sembra assegnare alla prima tessera una funzione distrattiva, come se sitrattasse di un ballon dessai, in grado di calamitare attenzione e consenso a coper-tura di unopera eccentrica ed eslege. Ancora, Il compagno pare riaffermare unafede e rassicurare il lettore ufficiale in tempi in cui le ragioni di schieramento impo-nevano prese di posizione inequivoche, secondo una logica schematica e radicale,tipica di un dibattito allungatosi poi ben oltre gli anni Settanta. Non azzardatoallora far dipendere dagli inconfessati presupposti apologetici la qualit non eccel-

    4 Schlegel (1967: 192): Perch mitologia e poesia sono ununit, indivisibili.

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    sa del Compagno, nonostante il riconoscimento del premio Salento. La fragilit deltessuto narrativo del racconto, costruito su mitologie americane (le macchine, icamionisti, le bevute, linsistenza sul dialogo) e pillottato di citazionismi in con-trotendenza, presenta, stato osservato sagacemente, un improbabile travesti-

    mento torinese di Jean Gabin o di Gary Cooper (Bassani 1966: 138) 5. Proprio li-nattendibilit di questo autentico libro dello schermo pare assumere lintellettua-listico connotato di proporre, a fini pubblici, una sorta di segno algebrico ortodos-so per equilibrare linsostenibile eresia deiDialoghi. I quali, in aggiunta, non pote-vano ricevere allora attenzione adeguata, oltrech per il contesto specifico appenarammentato, anche per la vera e propria dittatura storicistica in atto, di segno cro-ciano e gramsciano, se vero che ancora nel 1947 vedono la luce leLettere dal car-cere di Gramsci, nel mentre ricorre la polemica Vittorini-Togliatti con la conse-guente chiusura del Politecnico.

    Di tale complessit Pavese si mostra consapevole, almeno a giudicare in base ai

    sondaggi degli invii editoriali, destinati a intendenti come Pietro Pancrazi, ErnestoDe Martino, Santorre Debenedetti, Paolo Milano, Franco Fortini, Giuseppe Coc-chiara e ad altri ancora (Pavese 1966). Si tratta di inoltri sempre accompagnati dalettere di sostegno, vlte a precisare e a giustificare in anticipo perplessit e dubbiavvertibili perfino fra gli interlocutori pi aperti. Hanno un carattere convergente edesplicito certe dichiarazioni che, nella trama articolata del dialogo epistolare, fun-gono da ombrello protettivo, puntualmente avvertibile perfino, si badi bene, nellacautelosa e difensiva apertura del libro: Potendo si sarebbe volentieri fatto a menodi tanta mitologia (Pavese 1972: 33).

    Sottolineando lestraneit rispetto alle misure coeve, non si vuole certo nega-

    re la convergenza dellimpatto dei Dialoghi con filoni culturali emergenti checoinvolgevano la lettura ormai avviata di Frazer, di Freud e di Jung, tanto per cita-re lopera di protagonisti in progressiva affermazione. A livello nazionale, i rifles-si laterali sono facilmente riconoscibili perch affiorano ai margini di una tramadiversamente orientata: la Collana viola di De Martino (Pavese-DeMartino1991), fortemente voluta dallo stesso Pavese, o gli studi di Mario Untersteinersulla Fisiologia del mito (1946) assumono, nella considerazione a ritroso dellostorico, un ruolo pionieristico, sollecitato da altri riecheggiamenti della culturastraniera pi affine, da Frobenius a Thomas Mann, da Paula Philippson a Kereny,autori questi gi noti o in procinto di essere tradotti e scoperti in quegli anni. Il

    sommario catalogo propone in sostanza un filone fervido e intenso, per quantogiocato in controtendenza, che stato ricostruito per intero (Jesi 1964; Corsini1964: 126-30; Wlassics 1985: 127-36).

    Volgendo finalmente le pagine del libro, salta allocchio la sua singolarit strut-turale. La scelta del dialogo come filo conduttore del discorso avviato, pur rifacen-dosi ad archetipi accusati (Platone, Luciano), si riconnette irrimediabilmente, scen-dendo per li rami, alle Operette morali di Leopardi. Non si deve dimenticare peral-tro, a margine, che fra 1946 e il 1948 furono tradotti ben sei libri di Hemingway: del

    5 Si tratta di una rassegna suiNeorealisti italiani del 1948.

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    quale, nellanno baricentro del nostro discorso, il 1947, compaiono nella versione diGiuseppe Trevisani per Einaudi proprio i Quarantanove racconti, come dire lope-ra-manifesto del dialogato in letteratura. In ogni modo, limmanenza del pretestoleopardiano ravvisabile nelle matrici filosofiche della scrittura o nellatteggia-

    mento iconoclastico che presiede allimpiego della classicit in funzione di irrive-rente spregiudicatezza, quale quinta dialettica oppositiva della dimensione moderna,sicch risulta calzante lacuta definizione del libro: Operette morali del neoreali-smo (Contini 1968: 1003). La pregnanza della struttura si avverte perfino sotto il

    profilo tematico: perch i cosiddetti contromiti, che accompagnano sotto forma dibreve didascalia in epigrafe ventisei testi su ventisette, attivano un circuito reattivoche costituisce cornice dialettica, amplificando al quadrato la tensione discorsiva.Senza avanzare la pretesa di unanalisi esaustiva e rinviando a un pertinente studiorecente (Muiz Muiz 1992: 99-132), non deve sfuggire intanto la divaricazionedellampio compasso presupposto. Lirriguardosa scorribanda prevede in sostanza

    lattraversamento di tutto il mito antico come certificano i nomi dei personaggi coin-volti. Issione, Edipo e Tiresia, Ermete e Chirone, Eros e Tanatos, Achille e Patroclo,Eracle e Prometeo, e cos via, disvelano dunque, secondo unanalisi recente, Ilmito quale racconto del nome (Sturma 2007: 41).

    La rivisitazione tuttavia acquista incisivit sotto il rispetto di unavvertita valen-za autobiografica. La tematica difatti sottoposta a una disamina che estrae spessodal serbatoio della tradizione motivi inusitati oppure esibisce scandagli divaricati,addirittura correggendo in servizio della propria ricerca i termini della semanticaarcaica. il caso, per esempio, della diversa presentazione di Orfeo che rinunciainfine a richiamare in vita Euridice per non ricondurla ancora a ripercorrere il dolo-

    roso transito della morte. A questo aspetto si pu accostare un motivo conduttorediffuso a raggiera, cio il tema dellincontro come occorrenza fatale e persistente,

    pure dichiarato concluso alla fine dei Dialoghi. Il topos in realt, inteso comecifra di poesia a norma deIl mestiere di vivere (Fare la strada e incontrare mera-viglie. Ecco il grande tema specialmente tuo), stato ricondotto, nella sua attivaimmanenza, alla suggestione della modernissima letteratura americana on theroad (Sturma 2007: 113). Altra prova questa del corto circuito fra archetipi emodernit innescato dalla frequentazione del mito e che si pu attribuire a un verae propria conseguenza delleffetto-Vico (Pierangeli 1995: 61-62), stando almeno alripensamento sul filosofo antico, non per nulla riclassificato a sorpresa da Pavese

    come narratore nellaIntervista alla radio (Pavese 1962: 295).Un impegno di tale portata comporta di necessit una preparazione assidua,

    dedotta da un allenamento sistematico e stratificato. La gestazione del libro risale ineffetti alla fine del 1945: evidente per che le premesse remote si ricongiunganoagli incunaboli della formazione classica dellautore. Lintensit di tale apprendista-to si misura del resto in base allesercizio protratto delle traduzioni, in parte coeveo immediatamente successive aiDialoghi, di tre inni omerici e della Teogonia, frut-to di unantica passione. noto infatti, che fin dai tempi del confino di Brancaleo-ne Calabro (1935), Pavese si era dedicato a questa formativa ginnastica, i cui risul-tati sono depositati nei quattro quaderni di versione da Omero e dai tragici greci con-

    servati nel Fondo Sini-Pavese (Pavese 1981; Dughera 1982).

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    Di l dalla ascendenze o convergenze letterarie, sembra utile sottolineare da ulti-mo limportanza delladozione delle griglie formali e tematiche riconoscibilinellarchitettura deiDialoghi. Riguardo allo stile, non vi dubbio che la singolaritdellimpianto riesca a sciogliere il nodo forse pi complesso rappresentato dal caso

    di Pavese scrittore. A definire il quale, va sottolineato con forza il fatto che il suoesordio di segno lirico, pensando a Lavorare stanca (Edizione di Solaria, 1936).Questa natura primaria affiora di continuo nella produzione narrativa, persinonellopera in apparenza pi eccentrica, come Paesi tuoi, dando luogo a non pochiequivoci che perlopi indeboliscono, quando addirittura non offuscano, le prove tal-volta velleitarie dello scrittore.

    Ora la tematica nuova deiDialoghipropone un terreno di sperimentazione inusi-tato che consente di svolgere dinamicamente i moduli originari, sospesi tra lettera-tura ed esigenza di referenzialit. Difatti Pavese riconosce nel mito un midollo direalt, nel segno di un memento vichiano in base al quale il mito un linguaggio

    (Pavese 1972: 33) che di fatto offre il destro allo scrittore di impostare su un pianodi esemplificazione globale i problemi cardinali delluomo contemporaneo. Lalezione di Vico e degli eredi moderni impone di ripercorrere gli ampi territori dellacultura classica perch il mito, come egli scrive pi tardi inLumanesimo non una

    poltrona, deve essere attraversato per la riduzione a chiarezza del mondo intero(Pavese 1962: 282-83).

    Unoperazione cos ambiziosa, nata al crocevia di studi tanto diversi e comples-si, d fatalmente luogo a inevitabili contraddizioni. Chi infatti ha analizzato concompetenza la difficile dialettica interna non ha mancato di rilevare unincertezzacostante fra lesigenza di leggere nel mito una proiezione della mente umana per

    esorcizzare i mostri dellinconscio oppure unprimum assoluto e invalicabile (MuizMuiz 1992: 114). Di pi, osserva la stessa studiosa subito di seguito, Pavese sem-

    bra barcamenarsi fra la censura di un ribellismo causa di infelicit e una hbris inte-sa come irrinunciabile per salvaguardare lautonomia delluomo. Per giunta, eglinon pare essere riuscito a decidere se stare dalla parte dei titani, simbolo della vitaistintiva, o di quella degli olimpici, portatori di intelligenza apollinea.

    Si deve per soggiungere, a parziale integrazione, che Pavese non aspiri ad esse-re iscritto nei ranghi dei filosofi professionisti. Sicch, fermo restando che le osci-llazioni segnalate sono in qualche modo oggettive e dunque avvertono del caratteretragico dello statuto delluomo entro il cosmo, evidente che la frequentazione del

    mito valga in quanto risulta personalizzata, stando a qualche suggerimento recente(Gugliemi 1967: 144).

    In termini concreti, tanto per abbozzare appena un tracciato possibile, nellapavesizzazione del mito non paiono trascurabili il riferimento allambivalenza delsesso, avvertito come maledizione (I ciechi, Le cavalle), linsistenza sulla culturadel sangue che accompagna luomo come una condanna (Il fiore), il mistero invio-labile del mondo (La belva), lidea di un tempo immobile o ciclico (La rupe). Inqualche caso si riconosce lidentificazione del paesaggio come matria (La strada)(Pavese 1972: 51, 63, 79, 104, 98), secondo una metafora che lascia intendere comePavese proponga copertamente una relazione di contiguit sorprendente: perch la

    cultura delle Langhe risulta succedanea dellarchetipo arcaico. La constatazione per-

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    mette di osservare che tale corrispondenza analogica ha almeno un precedente picoperto ma indubitabile in area italiana, quello di Pascoli: senza peraltro voler oraistituire una dipendenza genetica fra le esperienze di due autori in parola. Il richia-mo allusivo consente di rilevare tuttavia, fatte le debite distinzioni e invocata la

    diversit di genere, che i Dialoghi stanno ai Paesi tuoi come i Poemi conviviali aMyricae.

    Di pi, sul piano stilistico, come stato osservato (Secchieri 1991: 445-46), laproiezione mitica contribuisce a illimpidire il dettato, sospeso fra oracolarit e inci-sivit epigrafica. Tale maniera, maculata dalla lingua witty e dalla repetitio ricono-sciute da altri scavi indicativi (Mutterle 1977: 37; Pierangeli 1995: 58), conferisceuna dignit mai prima raggiunta al difficile e incerto equilibrio della scrittura diPavese, bilicata, si detto, fra spinta lirica ed esigenza comunicativa. Nella nuda,talvolta desolata, prosa di autore, scarnificata spesso di ogni aggettivazione, perfinoi reimpieghi delle citazioni allusive acquistano la forza sapienziale di auctoritatesassolute. Perci il riuso di tessere espressive di Manzoni, Ungaretti, Pindaro, Con-rad6 ed altri ancora lascia intravedere la grana screziata di una scrittura che si con-figura alla fine come una sorta di bibbia laica, in servizio di una modernit votataalla ricerca di valori pregnanti: a compenso, necessario aggiungere sotto il rispet-to sociologico, della furia distruttiva della guerra che costituisce il tragico risvoltodella riflessione indotta. Proprio questa sedimentata trama culturale consente diaccreditare, dalla parte del lettore, la consapevolezza del giudizio di Pavese che con-ferisce al libro lo spicco assoluto segnalato in apertura.

    Di l dallidentikitabbozzato, pi importa infine segnalare, prima del congedo,

    le conseguenze della spoliazione dei connotati psicologistici del personaggio comeprodotto inevitabile della fruizione dei locutori mitici protagonisti deiDialoghi. Nonmi riferisco solo al contributo oggettivo del libro in servizio delle prove maggiori diPavese, da Prima che il gallo canti a La casa in collina. Pare scontato che questiracconti si avvantaggino della prepotente spinta propulsiva che consente la defini-zione, in una forma rastremata e scolpita, del mescidato retroterra. Mi pare che siail caso piuttosto di sottolineare unaltra circostanza, di solito trascurata eppure digrande momento, definibile per via indiretta attraverso le parole dellinteressato.Alludo a un passo di Pavese critico che, ragionando di altri, sembra scoprire le cartedella propria poetica in elaborazione, per giunta in un intreccio cronologico accusa-

    to. Nella recensione al Sentiero dei nidi di ragno Pavese scrive: A ventitre anniCalvino sa gi che per raccontare non necessario creare personaggi, bens tra-sformare dei fatti in parole []. Ormai di scrittori che puntino sui grossi personag-gi come usava una volta, non ce n quasi pi. Cambia il mondo. Poveretto chi rimasto coi nonni (Pavese 1962: 273).

    6 Cfr. nellordine Pavese 1972: 43 (Passeggia brutto e testardo le campagne: A. M ANZONI,I promes-si sposi, I); ivi, 44 (Tuo padre sconta la chimera: G. UNGARETTI, Sono una creatura: La morte / si sconta/ vivendo); ivi, 57 (Cosa sono i mortali se non ombre anzitempo?: P INDARO,Pyt., VIII, 95); ivi, 89: Poiviene il giorno che dun tratto si capisce, si dentro la morte, e da allora si uomini fatti: J. C ONRAD,Linea

    dombra, I).

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    Sembra evidente che Pavese, scrivendo queste parole il 16 ottobre 1947, dunquedue giorni prima del finito di stamparediLeuc, avesse in mente proprio i suoi dia-loghi, il primo libro del momento a superare la formula del personaggio come tipo-logia obbligata.

    Il fenomeno cos significativo da innescare una dinamica che sommuove inprofondit il tessuto letterario coevo. Per averne conferma, basta pensare allitine-rario di Calvino, cio dello scrittore che di l a poco, lavorando su questo strappo,riuscir ad oltrepassare la barriera del neorealismo. La successione appare inequi-vocabile: al Visconte dimezzato (1952) segue il Barone rampante nel 1957 che,facendo compagnia a Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda, rendeesplicita la svolta riconoscibile ormai entro le misure di quegli anni cruciali. A ren-dere definitivo il percorso sopraggiunger nel 1959 il Cavaliere inesistente che sem-

    bra negare fin nel titolo il coagulo psicologico del protagonista. La prova provatadella relazione supposta, peraltro inscritta nella bibliografia richiamata e nel disce-

    polato effettivo speso da Calvino presso Pavese, si legge nellaPostfazione aiNostriantenati. Limmanenza del magistero di Pavese risulta accusata, p. es. nellallusio-ne ai critici che ebbero a parlare di un Calvino favoloso e soprattutto per la dichia-rata insofferenza nei confronti della psicologia, linteriorit, gli interni, la famiglia,il costume, la societ (specie se buona societ) (Calvino 2000: 414, 413). Di qui la

    predilezione confessata per personaggi che non abbiano altro senso che la loro fun-zionalit nellintreccio narrativo (ivi, 416): spunto questo che, considerato a ritro-so, risulta una definizione calzante dei protagonisti deiDialoghi di Pavese.

    Se questa ipotesi di lavoro appare plausibile, il nostro discorso pu dirsi in qual-che modo approdato a un esito soddisfacente. Perch alla formula vulgata, che ogni

    tanto capita ancora di leggere, relativa a un Pavese capofila del neorealismo italia-no, va sostituita pi persuasivamente la scoperta di un Pavese primo superatore delcodice neorealistico neiDialoghi con Leuc. Il che permette di chiudere questa let-tura diacronica con la ricreativa conclusione di un apparente paradosso.

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