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C86 35 Tendenze e sperimentazioni del Contemporaneo U na importante e complessa serie di av- venimenti – a livello mondiale – ha profondamente modificato, negli ultimi quarant’anni, i luoghi, le forme e le oppor- tunità dell’architettura, così come anche i modelli di crescita e di pianificazione delle città. Una nuova e fortissima esplosione de- mografica ed economica si è infatti irradiata in pressoché tutti i Paesi della sponda asia- tica del Pacifico, che sono diventati in pochi decenni importantissimi centri di produzio- ne e di esportazione per l’intero pianeta. Nelle capitali e nelle maggiori città di questi Paesi sono state aperte le filiali di mol- te banche e multinazionali europee e ameri- cane; le borse di Hong Kong, Tokyo e Singa- pore hanno pertanto assunto un’importanza pari (se non – a volte – addirittura superio- re) a quelle di New York, Londra e Franco- forte. L’arrivo di ingenti capitali occidentali ha comportato spesso una totale accettazio- ne non solo dei modelli occidentali di vita e di organizzazione sociale, ma anche di svi- luppo urbano. Più in particolare, nelle città – dove il valore delle aree edificabili è anche cresciuto a ritmi vertiginosi – è stata larga- mente utilizzata la tipologia che più di ogni altra incarna, anche simbolicamente, il po- tere economico-finanziario del capitalismo: il grattacielo. Per comprendere la rapidità e l’intensità di questo fenomeno basti ricorda- re che oggi sei delle dieci città con il più alto skyline sono asiatiche, e che quello di Hong Kong è complessivamente tre volte più alto di quello di New York [Fig. 35.1]. Se dal punto di vista strettamente tecni- co l’architettura ha saputo rispondere con efficienza – grazie anche ai progressi tec- nologici e all’impiego del computer nel cal- colo strutturale e nella modellazione tridi- mensionale – ben più complesso è stato il problema su come intervenire in ambienti completamente diversi da quelli occidentali, dove l’architettura moderna era nata ed era stata codificata. L’architettura, infatti, deve sempre tener conto sia del contesto storico e culturale sia delle condizioni climatiche e ambientali in cui viene a inserirsi, quasi in- carnando lo spirito del luogo, cioè il caratte- re e le vocazioni più veri, radicati e profondi. In molte opere del maestro giappone- se Kenzo Tange (1913-2005), ad esempio, possiamo facilmente riconoscere il rispet- to per questa vocazione territoriale locale, pur avendo egli impiegato materiali e forme tutt’altro che tradizionali. Analogamente si sono comportati grandi architetti europei e americani, quali Le Corbusier a Chandigarh e Louis Kahn a Dacca. In generale, però, in un clima di profon- da fiducia nei modelli di sviluppo occiden- tali, la tradizione è stata vissuta dalle nuo- ve generazioni di architetti (molti dei quali hanno studiato nelle università europee e americane) come un limite al rinnovamen- to della società: «Per trasformarsi in qualco- sa di creativo», ha scritto provocatoriamen- te lo stesso Tange, «la tradizione deve essere rinnegata; anziché farne l’apoteosi, bisogna profanarla». L’accettazione incondizionata dei model- li occidentali ha in effetti spesso ignorato le caratteristiche locali, dando luogo anche a imprevedibili anacronismi. È il caso dell’ar- chitetto giapponese Arata Isozaki (1931), che nel centro civico della nuova città nipponi- ca di Tsukuba (1983) ha citato testualmente la Piazza del Campidoglio a Roma [Fig. 35.2]. ITINERARIO NELLA CITTà 35 Migrazione di un simbolo: grattacieli d’Oriente Skyline Termine inglese composto da sky, cielo, e line, li- nea (letteralmente, linea del cielo). Indica il profilo all’orizzonte di un oggetto, in particolare di una cit- tà. Lo skyline di una città può essere misurato som- mando il numero di piani di tutti gli edifici superiori a una certa altezza. 35.1 Il centro finanziario di Hong Kong con evidenziati alcuni dei grattacieli più significativi. Bank of China (I.M. Pei, 1989) International Financial Center (C. Pelli, 2004) The Centre (D. Lau, N.C. Man, 1997) Cheung Kong Center (L. Daly, C. Pelli, 1999) Hong Kong & Shanghai Bank (N. Foster, 1986)

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C86 35 tendenze e sperimentazioni del contemporaneo

Una importante e complessa serie di av-venimenti – a livello mondiale – ha

profondamente modificato, negli ultimi quarant’anni, i luoghi, le forme e le oppor-tunità dell’architettura, così come anche i modelli di crescita e di pianificazione delle città. Una nuova e fortissima esplosione de-mografica ed economica si è infatti irradiata in pressoché tutti i Paesi della sponda asia-tica del Pacifico, che sono diventati in pochi decenni importantissimi centri di produzio-ne e di esportazione per l’intero pianeta.

Nelle capitali e nelle maggiori città di questi Paesi sono state aperte le filiali di mol-te banche e multinazionali europee e ameri-cane; le borse di Hong Kong, Tokyo e Singa-pore hanno pertanto assunto un’importanza pari (se non – a volte – addirittura superio-re) a quelle di New York, Londra e Franco-forte. L’arrivo di ingenti capitali occidentali ha comportato spesso una totale accettazio-ne non solo dei modelli occidentali di vita e di organizzazione sociale, ma anche di svi-luppo urbano. Più in particolare, nelle città – dove il valore delle aree edificabili è anche cresciuto a ritmi vertiginosi – è stata larga-mente utilizzata la tipologia che più di ogni altra incarna, anche simbolicamente, il po-tere economico-finanziario del capitalismo: il grattacielo. Per comprendere la rapidità e l’intensità di questo fenomeno basti ricorda-re che oggi sei delle dieci città con il più alto skyline ❚ sono asiatiche, e che quello di Hong Kong è complessivamente tre volte più alto di quello di New York [Fig. 35.1].

Se dal punto di vista strettamente tecni-co l’architettura ha saputo rispondere con efficienza – grazie anche ai progressi tec-nologici e all’impiego del computer nel cal-colo strutturale e nella modellazione tridi-mensionale – ben più complesso è stato il problema su come intervenire in ambienti

completamente diversi da quelli occidentali, dove l’architettura moderna era nata ed era stata codificata. L’architettura, infatti, deve sempre tener conto sia del contesto storico e culturale sia delle condizioni climatiche e ambientali in cui viene a inserirsi, quasi in-carnando lo spirito del luogo, cioè il caratte-re e le vocazioni più veri, radicati e profondi.

In molte opere del maestro giappone-se Kenzo Tange (1913-2005), ad esempio, possiamo facilmente riconoscere il rispet-to per questa vocazione territoriale locale, pur avendo egli impiegato materiali e forme tutt’altro che tradizionali. Analogamente si sono comportati grandi architetti europei e americani, quali Le Corbusier a Chandigarh e Louis Kahn a Dacca.

In generale, però, in un clima di profon-da fiducia nei modelli di sviluppo occiden-tali, la tradizione è stata vissuta dalle nuo-ve generazioni di architetti (molti dei quali hanno studiato nelle università europee e americane) come un limite al rinnovamen-to della società: «Per trasformarsi in qualco-sa di creativo», ha scritto provocatoriamen-te lo stesso Tange, «la tradizione deve essere rinnegata; anziché farne l’apoteosi, bisogna profanarla».

L’accettazione incondizionata dei model-li occidentali ha in effetti spesso ignorato le caratteristiche locali, dando luogo anche a imprevedibili anacronismi. È il caso dell’ar-chitetto giapponese Arata Isozaki (1931), che nel centro civico della nuova città nipponi-ca di Tsukuba (1983) ha citato testualmente la Piazza del Campidoglio a Roma [Fig. 35.2].

itinerario nella Città 35

Migrazione di un simbolo: grattacieli d’oriente

❚Skylinetermine inglese composto da sky, cielo, e line, li-nea (letteralmente, linea del cielo). indica il profilo all’orizzonte di un oggetto, in particolare di una cit-tà. lo skyline di una città può essere misurato som-mando il numero di piani di tutti gli edifici superiori a una certa altezza.

35.1 il centro finanziario di Hong Kong con evidenziati alcuni dei grattacieli più significativi.

Bank of China (i.M. Pei, 1989)

international Financial Center (C. Pelli, 2004)

the Centre (D. lau,

n.C. Man, 1997)

Cheung Kong Center (l. Daly, C. Pelli, 1999)

Hong Kong & Shanghai Bank (n. Foster, 1986)

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ItINeRaRIo NeLLa cIttà Migrazione di un simbolo: grattacieli d’oriente C87

L’importazione di forme, tipologie e sti-li è stata alimentata anche dall’alto numero di progettisti europei e americani che sono stati chiamati a rimodellare il volto delle cit-tà asiatiche. L’Estremo Oriente, del resto, è oggi il luogo dove maggiori sono le occa-sioni di lavoro e di sperimentazione per i grandi studi di architettura. Alla figura del singolo architetto, che progetta nel proprio atelier da solo o con un ristretto gruppo di collaboratori, sono subentrati i grandi studi associati con sedi dislocate in più continenti e centinaia di professionisti che vi lavora-no, sia pure spesso unificati sotto un unico nome.

È il caso, ad esempio, del britannico Nor-man Foster (1935), autore della spettacola-re sede della Hong Kong & Shanghai Bank a Hong Kong [Fig. 35.3], o dell’argentino-statu-nitense César Pelli (1926), al cui studio asso-ciato si devono le Petronas Towers di Kuala Lumpur, in Malesia [Fig. 35.4]. Petronas Tower Terminate nel 1998, le grandiose torri gemelle di Kuala Lumpur, dall’alto dei loro 452 metri, hanno prov-visoriamente strappato alla Sears Tower di Chicago il primato di più alto edificio al mondo. Nella realizzazione di queste torri sono state messe in atto varie strategie di ambientamento della tipologia del gratta-cielo alle caratteristiche del luogo. Per far fronte al clima tropicale, ad esempio, il con-sueto curtain-wall vetrato è stato sostituito da pannelli di acciaio temperato e vetro sa-tinato, ai quali è affidata più una funzione di protezione dall’irraggiamento solare che di apertura verso l’esterno. Dal punto di vista formale, invece, il coronamento delle due torri può ricordare l’architettura degli an-tichi templi khmer ❚, diffusi in tutto il Sud-Est asiatico. Taipei 101 Più evidente – anche se forse meno convincente – è il riferimento alla for-ma della pagoda nel grattacielo Taipei 101

❚Khmerantica popolazione del Sud-est asiatico. Presente fin nella regione dal iii secolo, raggiunse il suo massi-mo splendore nei secoli Xi e Xii con capitale angkor (situata nell’attuale Cambogia), dove si può ancora ammirare il loro più significativo complesso di archi-tettura sacra.

35.3 norman Foster, Hong Kong & Shanghai Bank, 1981-1986. Hong Kong.35.4 César Pelli & associates, Petronas towers, 1992-1998. Kuala lumpur, Malaysia.

35.2 arata isozaki, Centro civico di tsukuba, Prefettura di ibaraki, 1979-1983.

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innalzato nel cuore commerciale della ca-pitale taiwanese dallo studio dell’architetto cino-americano Chin Yang Lee (1938) [Fig.

35.5]. Terminato nel 2004, grazie ai suoi 101 piani e 509 metri d’altezza, è subentrato per almeno un quinquennio alle Petronas Towers nell’instabile classifica di edificio più alto del mondo, con le stesse finalità di prestigio eco-nomico e di supremazia politica per le quali le più potenti famiglie medioevali europee innalzavano le loro torri merlate.Burj Khalifa Grazie alle proprie risorse pe-trolifere, il Medio Oriente si è andato pro-gressivamente affermando, già dalla me-tà del secolo scorso, come una delle aree di maggiore concentrazione di ricchezza al mondo. Anche l’architettura riflette questo aspetto, e ne fornisce la testimonianza più spettacolare nel grattacielo Burj Khalifa a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti [Fig. 35.6]. Alla sua inaugurazione nel 2010 l’edificio si è imposto come il più alto del mondo, rag-giungendo un’altezza complessiva di ben 828 metri, che lo rendono visibile fino a 95 chilometri di distanza. La sua progettazione si deve allo studio di architettura Skidmore, Owings & Merrill LLP di Chicago, che si è ispirato al fiore Hymenocallis per la pianta a tre lobi. Nella fantascientifica struttura – realizzata in cemento e acciai speciali, rive-stita da un curtain wall – sono ospitati uffi-ci, appartamenti residenziali, un hotel e un ristorante.

Con un certo ritardo rispetto ai Paesi asiatici a economia capitalista, la Cina ha iniziato a sua volta una rincorsa ancor più accelerata verso un’urbanizzazione di ti-po occidentale, soprattutto dopo la defini-tiva acquisizione nel 1997 del territorio di Hong Kong, fino ad allora colonia inglese. Nel 2011 la Cina è diventata una nazione ur-banizzata, in cui oltre la metà degli abitanti vive in città. Oltre 700 milioni di persone in-fatti hanno lasciato le campagne, dove fino a vent’anni prima vivevano quattro cinesi su cinque, dando luogo alla più grande migra-zione interna della storia. Shanghai Shanghai, con i suoi 18 milioni di abitanti, è il simbolo più evidente dell’ur-banizzazione cinese [Fig. 35.7]: i nuovi grat-tacieli della sconfinata metropoli si elevano disordinatamente su un folto sottobosco di basse case residenziali di edilizia tradi-zionale, costruite nel corso degli anni con

35.5 C.Y. lee & Partners, taipei 101, Centro finanziario di taipei, 1999-2004. taiwan.

35.6 Skidmore, owings e Merrill, Burj Khalifa, 2004-2010. Dubai, emirati arabi Uniti.

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ItINeRaRIo NeLLa cIttà Migrazione di un simbolo: grattacieli d’oriente C89

35.7 il processo di sostituzione del tessuto urbano a Shanghai. Pressoché tutti gli edifici alti della fotografia sono successivi al 1990.

35.8 rem Koolhaas & oMa (office for Metropolitan architecture), Sede della China Central television, 2004-2009. Pechino.

materiali poverissimi, spesso prive di ser-vizi igienici e acqua potabile. Il contrasto, ovviamente, non è solo di scala, ma riguar-da anche le categorie di ricchezza e povertà, sviluppo e sottosviluppo. Lungi dall’essere risolti, questi contrasti sono anzi enfatizzati con scioccante brutalità: è come se la moder-nità post-industriale fosse stata bruscamente trapiantata in un tessuto ancora quasi me-dioevale, riproponendo – come in un film accelerato – le contraddizioni della Londra industriale ottocentesca. China Central Television Uno dei progetti più emblematici in questo contesto è quello dell’olandese Rem Koolhaas (1944) per la se-de della televisione a Pechino [Fig. 35.8]. Ko-olhaas, al pari di altri architetti quali Foster, Pelli, Gehry e Libeskind, appartiene a quel ristretto gruppo di professionisti che costi-tuiscono una sorta di star system dell’archi-

tettura contemporanea (noti a livello popo-lare con il termine archistar) e che operano in ogni continente.

Più che cimentarsi nella difficile – e per certi versi forse ormai impossibile – pianifi-cazione urbanistica a grande scala, le ammi-nistrazioni delle principali città del mondo sembrano infatti interessate ad assicurarsi soprattutto un edificio firmato da un ar-chitetto famoso. È un modo di concepire la valorizzazione della città abbastanza limi-tativo, che si accontenta di disporvi alcuni “pezzi” pregiati con la stessa logica del ricco collezionista al quale non possono mancare

un Picasso o un Warhol nel soggiorno. Del resto, guardando la sola immagine

della figura 35.8, avremmo potuto doman-darci di quale città si tratti, e avremmo do-vuto per lo meno intuire a quale continen-te si riferisca. In realtà non abbiamo alcun elemento per poter capire che il continen-te è l’Asia e la città è Pechino. Il linguaggio dell’architettura moderna si è davvero omo-logato a scala mondiale, forse anche al di là di quanto potevano immaginare Le Corbu-sier e gli altri grandi maestri dell’architettura razionalista.