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1 LA DISCIPLINA DELL'IMPUTAZIONE DI PAGAMENTO di Mauro Di Marzio (Incontro di studio cod. 3398 sul tema: «Novità nel diritto delle obbligazioni». Roma, 16-18 novembre 2009) SOMMARIO. ART. 1193 C.C. — Le questioni. — A) L'IMPUTAZIONE IN GENERALE. — 1. La disciplina dell'imputazione di pagamento si applica solo in caso di pluralità di rapporti obbligatori? — a) sì. — b) no. — 2. La disciplina dell'imputazione di pagamento si applica solo in caso di pagamenti volontari. — 3. La disciplina dell'imputazione di pagamento si applica solo in caso di pluralità di debiti omogenei. — 4. La disciplina dell’imputazione di pagamento non si applica quando il pagamento è idoneo all'estinzione di tutti i debiti. — 5. La disciplina dell'imputazione di pagamento non si applica con riguardo ai debiti gravanti sul datore di lavoro. — B) L'IMPUTAZIONE DEL DEBITORE. — 6. L'imputazione presuppone la coesistenza di due debiti entrambi esigibili. — 7. L'imputazione richiede l'idoneità del pagamento all'estinzione di almeno uno dei debiti? — a) sì. — b) no. — 8. L’imputazione può risultare da fatti concludenti. — 9. L'imputazione può risultare da elementi presuntivi. — 10. L'imputazione da parte del debitore va effettuata contestualmente al pagamento: quella successiva è inefficace perché, in mancanza di imputazione da parte del creditore, sono ormai divenuti operanti i criteri di imputazione legale. — 11. L'imputazione può essere effettuata anche in caso di pagamento a mani di un delegato del creditore. — 12. La disciplina dell’imputazione di pagamento è applicabile analogicamente in caso di pluralità di debitori o creditori, qualora uno rappresenti l'altro? — a) sì. — b) no. — C) I CRITERI LEGALI DI IMPUTAZIONE. — 13. Perché sono dettati criteri legali di imputazione. — 14. I criteri legali di imputazione si applicano in caso di mancata imputazione del debitore e del creditore. — 15. L'applicazione dei criteri legali di imputazione presuppone l'accertamento dei diversi debiti delle relative scadenze. — 16. I criteri legali di imputazione non si applicano in caso di concorso di un debito civile con un debito naturale. — 17. I criteri legali di imputazione non si applicano in caso di concorso di un debito civile con un debito prescritto. — 18. I criteri legali di imputazione si applicano anche ai pagamenti effettuati dal debitore poi fallito. — 19. I criteri legali di imputazione, nel giudizio di equità, non costituiscono principi regolatori della materia. — 20. Che cosa vuol dire «debito meno garantito»? — a) l'espressione «debito meno garantito» è usata in senso tecnico ed indica il credito assistito da garanzie reali o personali, sia pure atipiche. — b) l'espressione «debito meno garantito» non è usata in senso tecnico. — c) è meno garantito il credito per sanzioni civili rispetto a quello per contributi previdenziali. — 21. Ai fini dell'imputazione il giudice non può disporre CTU. — 22. L'imputazione dei pagamenti effettuata dal terzo debitore in violazione dei criteri legali può comportare violazione dell'obbligo di salvataggio gravante sul assicurato nei confronti dell'assicuratore contro i rischi del commercio. — 23. Imputazione e compensazione. — D) IL PROBLEMA DEL RIPARTO DELL'ONERE PROBATORIO. — 24. Provato dal debitore un pagamento idoneo ad estinguere il debito fatto valere, spetta al creditore dimostrare che quel pagamento si riferisce ad altro debito, in forza del criterio di imputazione applicabile. — 25. Il congegno di spostamento dell'onere della prova opera anche nei confronti del terzo che abbia cagionato il preteso inadempimento del debitore. — 26. Il congegno di spostamento dell'onere della prova sul creditore opera anche in caso di pagamento al creditore apparente. — 27. Il congegno di spostamento dell'onere della prova su creditore non opera in caso di ricognizione o novazione. — 28. Il congegno di spostamento dell'onere della prova sul creditore opera quando il pagamento è stato effettuato mediante emissione o girata di cambiali? — a) non può operare, perché opera invece la presunzione di esistenza del rapporto obbligatorio fondato sul titolo di credito. — b) opera anche se il pagamento avviene mediante emissione di cambiale o assegno. — c) opera quando il pagamento sia stato effettuato mediante un assegno tratto in data di gran lunga antecedente alla scadenza del debito. — 29. Provato dall'opponente a decreto ingiuntivo il pagamento di una somma idonea ad estinguere un debito fatto valere in via monitoria, il creditore opposto può chiedere, senza che ciò costituisca domanda nuova, quanto ulteriormente dovuto in forza dei rapporti di dare ed avere tra le parti — 30. L'onere probatorio in caso di quietanza riferita a più titoli. ART. 1194 C.C. — Le questioni. — 1. Il criterio di imputazione legale dettato dalla norma prevale sulla volontà del debitore. — 2. L'imputazione prioritaria agli interessi opera soltanto in caso di pagamenti volontari? — a) sì. — b) no. — 3. La norma si applica anche in materia di titoli di credito. — 4. La norma non si applica alla rivalutazione dei crediti di lavoro. — 5. Non spetta al creditore dedurre l'imputazione agli interessi, ma grava anzi sul debitore allegare e provare che il creditore aveva consentito l'imputazione al capitale. — 6. Se il creditore accetta il pagamento imputato a capitale e non ad interessi, non per questo accetta l'imputazione, né è tenuto a rifiutare il pagamento. — 7. La sottoscrizione

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LA DISCIPLINA DELL'IMPUTAZIONE DI PAGAMENTO

di Mauro Di Marzio

(Incontro di studio cod. 3398 sul tema:

«Novità nel diritto delle obbligazioni». Roma, 16-18 novembre 2009)

SOMMARIO. ART. 1193 C.C. — Le questioni. — A) L'IMPUTAZIONE IN GENERALE. — 1. La disciplina dell'imputazione di pagamento si applica solo in caso di pluralità di rapporti obbligatori? — a) sì. — b) no. — 2. La disciplina dell'imputazione di pagamento si applica solo in caso di pagamenti volontari. — 3. La disciplina dell'imputazione di pagamento si applica solo in caso di pluralità di debiti omogenei. — 4. La disciplina dell’imputazione di pagamento non si applica quando il pagamento è idoneo all'estinzione di tutti i debiti. — 5. La disciplina dell'imputazione di pagamento non si applica con riguardo ai debiti gravanti sul datore di lavoro. — B) L'IMPUTAZIONE DEL DEBITORE. — 6. L'imputazione presuppone la coesistenza di due debiti entrambi esigibili. — 7. L'imputazione richiede l'idoneità del pagamento all'estinzione di almeno uno dei debiti? — a) sì. — b) no. — 8. L’imputazione può risultare da fatti concludenti. — 9. L'imputazione può risultare da elementi presuntivi. — 10. L'imputazione da parte del debitore va effettuata contestualmente al pagamento: quella successiva è inefficace perché, in mancanza di imputazione da parte del creditore, sono ormai divenuti operanti i criteri di imputazione legale. — 11. L'imputazione può essere effettuata anche in caso di pagamento a mani di un delegato del creditore. — 12. La disciplina dell’imputazione di pagamento è applicabile analogicamente in caso di pluralità di debitori o creditori, qualora uno rappresenti l'altro? — a) sì. — b) no. — C) I CRITERI LEGALI DI IMPUTAZIONE. — 13. Perché sono dettati criteri legali di imputazione. — 14. I criteri legali di imputazione si applicano in caso di mancata imputazione del debitore e del creditore. — 15. L'applicazione dei criteri legali di imputazione presuppone l'accertamento dei diversi debiti delle relative scadenze. — 16. I criteri legali di imputazione non si applicano in caso di concorso di un debito civile con un debito naturale. — 17. I criteri legali di imputazione non si applicano in caso di concorso di un debito civile con un debito prescritto. — 18. I criteri legali di imputazione si applicano anche ai pagamenti effettuati dal debitore poi fallito. — 19. I criteri legali di imputazione, nel giudizio di equità, non costituiscono principi regolatori della materia. — 20. Che cosa vuol dire «debito meno garantito»? — a) l'espressione «debito meno garantito» è usata in senso tecnico ed indica il credito assistito da garanzie reali o personali, sia pure atipiche. — b) l'espressione «debito meno garantito» non è usata in senso tecnico. — c) è meno garantito il credito per sanzioni civili rispetto a quello per contributi previdenziali. — 21. Ai fini dell'imputazione il giudice non può disporre CTU. — 22. L'imputazione dei pagamenti effettuata dal terzo debitore in violazione dei criteri legali può comportare violazione dell'obbligo di salvataggio gravante sul assicurato nei confronti dell'assicuratore contro i rischi del commercio. — 23. Imputazione e compensazione. — D) IL PROBLEMA DEL RIPARTO DELL'ONERE PROBATORIO. — 24. Provato dal debitore un pagamento idoneo ad estinguere il debito fatto valere, spetta al creditore dimostrare che quel pagamento si riferisce ad altro debito, in forza del criterio di imputazione applicabile. — 25. Il congegno di spostamento dell'onere della prova opera anche nei confronti del terzo che abbia cagionato il preteso inadempimento del debitore. — 26. Il congegno di spostamento dell'onere della prova sul creditore opera anche in caso di pagamento al creditore apparente. — 27. Il congegno di spostamento dell'onere della prova su creditore non opera in caso di ricognizione o novazione. — 28. Il congegno di spostamento dell'onere della prova sul creditore opera quando il pagamento è stato effettuato mediante emissione o girata di cambiali? — a) non può operare, perché opera invece la presunzione di esistenza del rapporto obbligatorio fondato sul titolo di credito. — b) opera anche se il pagamento avviene mediante emissione di cambiale o assegno. — c) opera quando il pagamento sia stato effettuato mediante un assegno tratto in data di gran lunga antecedente alla scadenza del debito. — 29. Provato dall'opponente a decreto ingiuntivo il pagamento di una somma idonea ad estinguere un debito fatto valere in via monitoria, il creditore opposto può chiedere, senza che ciò costituisca domanda nuova, quanto ulteriormente dovuto in forza dei rapporti di dare ed avere tra le parti — 30. L'onere probatorio in caso di quietanza riferita a più titoli.

ART. 1194 C.C. — Le questioni. — 1. Il criterio di imputazione legale dettato dalla norma prevale sulla volontà del debitore. — 2. L'imputazione prioritaria agli interessi opera soltanto in caso di pagamenti volontari? — a) sì. — b) no. — 3. La norma si applica anche in materia di titoli di credito. — 4. La norma non si applica alla rivalutazione dei crediti di lavoro. — 5. Non spetta al creditore dedurre l'imputazione agli interessi, ma grava anzi sul debitore allegare e provare che il creditore aveva consentito l'imputazione al capitale. — 6. Se il creditore accetta il pagamento imputato a capitale e non ad interessi, non per questo accetta l'imputazione, né è tenuto a rifiutare il pagamento. — 7. La sottoscrizione

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della quietanza non dimostra il consenso all'imputazione al capitale piuttosto che agli interessi. — 8. Il consenso del creditore non può essere desunto dal progetto di distribuzione del giudice dell'esecuzione, ove pure approvato. — 9. L'azione giudiziale per il pagamento degli interessi importa l'accettazione del precedente pagamento in conto capitale. — 10. L'imputazione ad interessi extralegali presuppone che essi siano stati validamente pattuiti. — 11. Se il creditore consente l'imputazione al capitale, gli interessi maturati non producono anatocismo. — 12. L'imputazione agli interessi non trova applicazione se il credito è incerto od illiquido. — 13. L'imputazione al capitale non è invece impedita dall’illiquidità delle spese. — 14. L'art. 1194 c.c. si applica alle obbligazioni risarcitorie da atto illecito? — a) no. — b) sì. — 15. Come vanno imputati i pagamenti parziali effettuati nel corso del giudizio risarcitorio da atto illecito. — 16. L'imputazione agli interessi dei debiti previdenziali. — 17. Applicabilità della norma alla pubblica amministrazione. —

ART. 1195 C.C. — Le questioni. — 1. La gerarchia dei criteri di imputazione ed il funzionamento dell'imputazione del creditore. — 2. La quietanza può essere anche successiva al pagamento.

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Art. 1193

Imputazione del pagamento

Chi ha più debiti della medesima specie verso la stessa persona può dichiarare, quando paga, quale debito intende soddisfare.

In mancanza di tale dichiarazione, il pagamento deve essere imputato al debito scaduto; tra più debiti scaduti, a quello meno garantito; tra più debiti ugualmente garantiti, al più oneroso per il debitore; tra i più debiti ugualmente onerosi, al più antico. Se tali criteri non soccorrono, l'imputazione è fatta proporzionalmente ai vari debiti.

Le questioni. — I. Se il medesimo debitore abbia nei confronti del medesimo creditore più debiti della medesima specie ed effettui un pagamento non sufficiente ad estinguerli tutti, sorge il problema di stabilire quale dei debiti il pagamento abbia estinto. La questione, naturalmente, si pone in caso di debiti aventi ad oggetto beni fungibili omogenei, giacché, nell'ipotesi contraria, nessun dubbio sull'identificazione del debito estinto può porsi.

A tal fine è dettata la disciplina dell'imputazione di pagamento (sulla quale v. in generale RODEGHIERO, L'imputazione del pagamento. Fondamenti e disciplina, Cedam, Padova, 2005; DI MAJO, Dell'adempimento in generale. Art. 1177-1221, in Comm. cod. civ. diretto da SCIALOJA e BRANCA, Zanichelli-Foro Italiano, Bologna-Roma, 1994; BELLELLI, L'imputazione volontaria del pagamento, Cedam, Padova, 1989; BIANCA, Imputazione del pagamento, in Enc. giur. Treccani, XVI, Roma, 1989; D’ALOISIO, Brevi note sull'imputazione del pagamento, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1975, 1616; MAGAZZÙ, L'imputazione del pagamento, Giuffrè, Milano, 1971), che è in larga misura debitrice della tradizione romanistica transitata prima nel Code Napoléon attraverso l'opera del Pothier e poi nel codice civile del 1865.

Tale disciplina dà luogo ad un congegno gerarchico organizzato su tre livelli: a) il diritto potestativo di effettuare l'imputazione spetta anzitutto unilateralmente al debitore, che deve in tal caso provvedervi all'atto del pagamento (art. 1193, primo comma, c.c.); b) se il debitore non effettua l'imputazione, il corrispondente diritto si trasferisce al creditore, il quale può indicare nella quietanza il debito estinto mediante il pagamento ricevuto (art. 1195 c.c.); c) se l'imputazione non è effettuata né dal debitore, né dal creditore, entrano in gioco i criteri legali di imputazione (art. 1193, secondo comma, c.c.). Ed a quest'ultimo riguardo si rinviene la maggior novità del codice vigente rispetto a quello del 1865, la quale sta nell'abbandono del criterio legale di imputazione costituito dal «maggior interesse del debitore», che in precedenza si collocava al vertice della gerarchia dei criteri legali.

II. Il nodo principale intorno al quale ruota il dibattito dottrinale e giurisprudenziale in tema di imputazione di pagamento è costituito dal quesito se la disciplina si applichi soltanto in caso di

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pluralità di rapporti obbligatori ovvero anche di pluralità di prestazioni dovute in forza del medesimo rapporto obbligatorio (si pensi ai canoni di locazione ovvero alle rate di rendita vitalizia): sempre che, in questa seconda ipotesi, ciò sia possibile per legge o per volontà delle parti, ostandovi altrimenti la previsione dell'art. 1181 c.c. (NATOLI, L'attuazione del rapporto obbligatorio, II, Il comportamento del debitore, in Tratt. dir. civ. comm. già diretto da CICU e MESSINEO e continuato da MENGONI, XVI, Milano, Giuffrè, 1984, 142).

Secondo alcuni la lettura estensiva troverebbe fondamento sia versante della ratio che da quello sistematico: per un verso, infatti, l'esigenza di individuare il debito estinto mediante il pagamento sussisterebbe egualmente sia con riguardo a più rapporti obbligatori, sia con riguardo a più prestazioni inerenti al medesimo rapporto obbligatorio; per altro verso, l'art. 1194 c.c., dettato in tema di imputazione degli interessi e delle spese rispetto al capitale, si riferirebbe proprio alla più comune ipotesi, normativamente disciplinata, di imputazione del pagamento a ciascuna delle prestazioni sorte in dipendenza del medesimo rapporto obbligatorio.

Da altri quest'ultimo argomento viene capovolto e — ponendosi l'accento sul rilievo che capitale, interessi e spese costituiscono oggetto di un medesimo debito, come si arguisce dall'art. 1208, n. 3, c.c. — si sostiene che l’art. 1194 c.c., proprio perché ha ad oggetto un solo debito, non riguarda l’imputazione di pagamento.

Ciò detto, si sottolinea che la lettura estensiva della disciplina dell'imputazione di pagamento entrerebbe in conflitto con la regola dettata dall'art. 1181 c.c. in forza della quale il creditore può rifiutare l'adempimento parziale. Difatti, ove si ammettesse che il diritto del debitore di effettuare l'imputazione sussiste anche in caso di pluralità di prestazioni dipendenti dal medesimo rapporto obbligatorio, si finirebbe per riconoscere che, in tale ipotesi, non sussiste invece il diritto del creditore di rifiutare l'adempimento parziale. Sicché, in definitiva, la disciplina dell'imputazione di pagamento si riferirebbe soltanto al caso di pluralità di rapporti obbligatori (e ciò sulla scorta della tradizione, dal momento che i giuristi romani si misuravano col problema della destinazione del pagamento del solo caso di debiti sorgenti ex pluribus causis), mentre il pagamento riferibile ad una delle diverse prestazioni scaturite dal medesimo rapporto produrrebbe l'estinzione dell'obbligazione nei termini voluti dal debitore (ad esempio l'estinzione dell'obbligazione di pagamento di una determinata mensilità del canone di locazione e non di una altra) per effetto dell'eventuale accordo delle parti e non dell'esercizio di un diritto del debitore.

La questione in esame si interseca con quella dell'applicabilità della disciplina in caso di pluralità di rapporti obbligatori e di pagamenti non sufficienti ad estinguere nessuno dei diversi debiti ovvero sufficienti ad estinguerne soltanto uno. Si immagini un debitore che abbia nei confronti del creditore tre debiti, uno di 100, uno di 150 ed uno di 200. E si supponga che egli abbia pagato 80. Si pone qui parimenti la questione se il debitore possa in tal caso effettuare oppure no l'imputazione (con conseguenze anche molto significative: si pensi al caso che egli paghi in tal modo il solo dei tre debiti garantiti da fideiussione fino alla concorrenza di 80: così, p. es., FRAGALI, Delle obbligazioni. Fideiussione. Mandato di credito. Artt. 1936-1959, in Comm. cod. civ. diretto da SCIALOJA e BRANCA, Zanichelli-Foro Italiano, Bologna-Roma, 1957, 483). Si supponga, invece, che il debitore abbia pagato 150. Sorge qui il quesito se detto pagamento debba essere esclusivamente riferito al debito di 150 oppure possa essere imputato all'estinzione totale di quello di 100 e parziale di quello di 200, oppure all'estinzione parziale soltanto di quest'ultimo. Anche nelle ipotesi considerate, dunque, la soluzione estensiva induce ad interrogarsi sul rapporto tra imputazione di pagamento e adempimento parziale ai sensi dell'art. 1181 c.c..

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La giurisprudenza, come si diceva, non è uniforme. Sembra prevalente l'opinione che ammette l'applicabilità della disciplina dell'imputazione di pagamento nel solo caso di debiti sorgenti ex pluribus causis, ma non mancano pronunce che, pur non prendendo apertamente posizione in argomento, fanno applicazione della menzionata disciplina (in particolare con riguardo al contratto di locazione) in caso di pluralità di prestazioni dovute in forza di un medesimo rapporto obbligatorio.

E, allo stesso modo, sembra che la giurisprudenza ritenga in prevalenza che la disciplina dell'imputazione di pagamento presupponga un pagamento idoneo all'estinzione di uno almeno la più debiti, e tuttavia si rinvengono anche decisioni che paiono presupporre l'applicabilità degli artt. 1193-1195 c.c. anche in caso di pagamenti parziali.

III. È invece opinione consolidata, in giurisprudenza, quella secondo cui non ricorrono i presupposti per l'applicazione della disciplina dell'imputazione di pagamento in caso di pagamenti non volontari, ma imposti dal giudice, dovendosi in tal caso fare applicazione del provvedimento pronunciato.

In dottrina si è tuttavia ipotizzata l'applicabilità dell'imputazione di pagamento in caso di esecuzione forzata promossa da un singolo creditore nei limiti della previsione dell'art. 510, secondo comma, c.p.c., il quale stabilisce che il giudice dispone il pagamento di quanto spetta al creditore «sentito il debitore» (VITTORIA, In tema di applicabilità delle norme sull'imputazione di pagamento nella distribuzione del ricavato in sede di espropriazione forzata, in Giust. civ., 1967, I, 609).

IV. In linea di massima l'imputazione di pagamento presuppone l'identità del debitore del creditore nei diversi rapporti obbligatori concorrenti. Tuttavia, ricorrono ipotesi nelle quali, sebbene i singoli rapporti obbligatori facciano capo, tanto dal lato attivo che da quello passivo, a soggetti tra loro distinti, sorge nondimeno questione di applicazione delle disposizioni in esame.

In giurisprudenza si rinviene in proposito una prima pronuncia secondo cui le norme sull'imputazione di pagamento postulano l'esistenza di una pluralità di rapporti obbligatori della medesima specie in capo ad un unico debitore, e non sono applicabili se si tratta di due debitori diversi, sebbene rappresentati da un'unica persona. Secondo altra pronuncia, la disciplina dell'imputazione del pagamento, pur presupponendo l'esistenza di una pluralità di rapporti obbligatori omogenei tra le medesime parti, è applicabile analogicamente anche in presenza di una pluralità di creditori, qualora uno di essi sia legittimato a ricevere il pagamento sia in proprio che per conto dell'altro.

V. Quanto al funzionamento dell'imputazione volontaria di pagamento effettuato dal debitore, non si dubita che, a tenore del chiaro dato normativo, il consenso o dissenso del creditore sia irrilevante ai fini del perfezionamento della fattispecie, perfezionamento che indubbiamente richiede, d'altra parte, che la dichiarazione di imputazione, quale atto unilaterale ricettizio, pervenga a conoscenza del creditore nel quadro di applicazione dell'articolo 1335 c.c.

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È discusso, viceversa, se l'imputazione abbia natura di atto negoziale ovvero di mero atto giuridico, come è prevalentemente ritenuto per il pagamento. Ed è superfluo rammentare che da detta qualificazione discendono importanti conseguenze giuridiche, giacché solo nel primo caso potrebbe ammettersi l'impugnazione dell'imputazione per vizi del volere e, in particolare, per errore.

In assenza di specifici responsi della giurisprudenza, la dottrina è al riguardo divisa. Da alcuni si sottolinea che gli effetti dell'imputazione sarebbero corrispondenti alla determinazione volitiva del debitore, sicché, in definitiva, l'imputazione volontaria di pagamento costituirebbe strumento di autonomia privata volta alla regolazione degli interessi del dichiarante (BELLELLI, op. cit., 156; NATOLI, op. cit., 142). Altri replicano che l'imputazione è strumento destinato alla mera individuazione dei redditi che si intendono estinguere e, dunque, si colloca in una posizione ancillare rispetto al pagamento (DI MAJO, Pagamento (dir. priv.), in Enc. dir., XXI, Milano, Giuffrè, 1981, 567). A dire il vero, il menzionato dubbio non pare giustificato. Basta infatti prestare attenzione alla formulazione dell'art. 1195 c.c., il quale consente l'impugnazione dell'imputazione effettuata dal creditore in caso di dolo o di sorpresa, per constatare che la legge attribuisce rilievo decisivo alla volontà del debitore, quale elemento costitutivo della fattispecie (per quest'osservazione RODEGHIERO, op. cit., 85)..

Occorre quindi interrogarsi se l'imputazione presupponga la coesistenza di due debiti entrambi esigibili. Tale requisito, non richiesto neppure per l'operatività dei criteri legali (giacché l'art. 1193, secondo comma, prevede il criterio di imputazione al debito scaduto a fronte di quello non scaduto), non sembra in effetti essere richiesto in caso di imputazione effettuata dal debitore, salvo che non si versi in caso di pagamento sottoposto a termine in favore del creditore (si pensi al debitore che volesse estinguere anzitempo un mutuo feneratizio). In caso contrario, non pare ravvisabile un impedimento a che il debitore effetti l'imputazione del pagamento al debito non ancora scaduto, neppure potendo pretenderne la ripetizione ai sensi della previsione dettata dall'art. 1185, secondo comma, c.c.

Si è già detto, poi, del dubbio concernente la questione se l'imputazione richieda l'idoneità del pagamento all'estinzione di almeno uno dei debiti. È invece pacifico che l’imputazione può risultare da fatti concludenti: così, in caso di sussistenza di più debiti di diverso importo, l'imputazione può essere desunta dalla stessa entità della somma pagata, in quanto esattamente corrispondente alla misura di uno soltanto dei debiti concorrenti. L'imputazione può altresì essere ricostruita attraverso il ragionamento presuntivo.

L'imputazione da parte del debitore — che può essere effettuata anche in caso di pagamento a mani di un delegato del creditore — va compiuta all'atto del pagamento e non può essere operata successivamente. Ciò perché, se il debitore non effettua l'imputazione contestualmente al pagamento, scatta la facoltà di imputazione del creditore e, se neppure questi vi provveda con il rilascio della quietanza, divengono automaticamente operanti i criteri di imputazione legale. L'affermazione che precede vale ad escludere che il debitore possa effettuare l'imputazione successivamente: non invece che possa provvedervi in precedenza, preavvisando il creditore dell'imputazione del pagamento che egli si appresta a compiere.

VI. I criteri legali di imputazione sono dettati al fine di evitare che ad ogni atto di pagamento non segua puntualmente l'effetto solutorio (totale o parziale, secondo la risposta data alla questione dell'applicabilità della disciplina in esame in caso di pagamenti parziali) di una ben determinata

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obbligazione, con conseguente incertezza altrimenti gravante sulla sorte di tutti i rapporti in essere tra le parti.

Tali criteri, dunque, si applicano soltanto in caso di mancata imputazione del debitore e del creditore. E l'applicazione di essi presuppone l'accertamento dei diversi debiti delle relative scadenze.

È pacifico che i criteri legali di imputazione non possono applicarsi in caso di concorso di un debito civile con un debito naturale: in quest'ultimo caso, infatti, è dato a tutela del creditore il solo istituto della soluti retentio in caso di pagamento «spontaneamente prestato», ai sensi dell'art. 2034 c.c. Sicché, se si ammettesse l'operatività dei criteri di imputazione legale del pagamento, si finirebbe per imporre al debitore l'adempimento non spontaneo di un'obbligazione naturale.

Lo stesso ragionamento è stato in più di un'occasione ribadito dalla S.C. con riguardo all'ipotesi del debito prescritto, sul rilievo che anche detto pagamento costituisce adempimento di un'obbligazione naturale. Tale affermazione non sembra persuasiva, giacché, se è vero che in caso di pagamento del debito prescritto il solvens non può ripetere quanto pagato (art. 2940 c.c.), è altrettanto vero che il creditore ben può (tentare di) costringere il debitore al pagamento coattivo (si pensi ad un ricorso per decreto ingiuntivo concernente un debito prescritto), a meno che questi non formuli l'eccezione di prescrizione.

Con riguardo ai singoli criteri di imputazione, va rilevato che è discussa la nozione di «debito meno garantito». Secondo qualche pronuncia essa è usata in senso tecnico ed indica il credito assistito da garanzie reali o personali, sia pure atipiche. In altri casi, invece, è stato affermato che l'espressione «debito meno garantito» non è usata in senso tecnico (sicché sarebbe ad esempio meno garantito il credito per sanzioni civili rispetto a quello per contributi previdenziali). Si obbietta però a quest'ultima soluzione (la quale indurrebbe a ritenere meno garantito, tra gli altri, il debito gravante solidalmente su più debitori a fronte di quello gravante su un solo debitore, ovvero il debito la cui attuazione è più dispendiosa) che essa ha il difetto di determinare incertezza nell'identificazione del debito estinto e, dunque, di porsi in contrasto con la ratio che giustifica la norma.

Quanto al debito «più antico», pur in assenza di specifici responsi giurisprudenziali, sembra preferibile ritenere che debba essere considerato tale non già il debito precedentemente sorto, ma quello scaduto da più tempo.

Per quanto attiene all'imputazione proporzionale, la norma pone in proposito (almeno secondo l'opinione più plausibile) una deroga al principio posto dall'art. 1181 c.c., secondo cui il creditore ha diritto di rifiutare l'adempimento parziale. La previsione viene spiegata come sanzione nei confronti del creditore che, pur potendo operare egli l'imputazione, è rimasto inerte (NATOLI, op. cit., 148).

Resta infine da rammentare, in argomento, una pronuncia della S.C. secondo cui, ai fini dell'imputazione il giudice non potrebbe disporre CTU. La motivazione della decisione, inedita e risalente nel tempo, non è nota. Può supporsi che essa muova dalla considerazione che l'identificazione dei criteri di imputazione legale da applicare è questione giuridica e non tecnica. Tuttavia, è agevole replicare che, una volta risolta la questione giuridica concernente l'identificazione del criterio di imputazione (p. es. stabilendo che tra due crediti è più antico quello scaduto per primo), rimane da esaminare l'aspetto contabile, il quale sembrerebbe poter senz'altro richiedere l'ausilio di un tecnico.

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VII. Il gruppo di gran lunga più consistente di pronunce che si rinvengono al CED della Corte di cassazione sotto l'art. 1193 c.c. concerne il problema del riparto dell'onere probatorio nel caso che, provato dal debitore un pagamento idoneo ad estinguere il debito fatto valere, il creditore intenda sostenere che quel pagamento si riferisce ad altro debito.

In effetti, detta questione attiene soltanto in via mediata al problema dell'imputazione di pagamento e concerne, invece, essenzialmente la questione dell'onere della prova dell'ulteriore debito dedotto. In generale, si trova in proposito ribadito che, quando il debitore abbia dimostrato di avere corrisposto somme idonee ad estinguere il debito per il quale sia stato convenuto in giudizio, spetta al creditore-attore, che pretende di imputare il pagamento ad estinzione di altro credito, provare l'esistenza di tale ulteriore credito e le condizioni necessarie per la dedotta, diversa, imputazione, ai sensi dell'art. 1193 c.c..

È discusso se il congegno di spostamento dell'onere della prova sul creditore possa trovare applicazione anche quando il pagamento è stato effettuato mediante emissione (o anche girata) di cambiale ovvero di assegno. In alcune occasioni è stato affermato che, se il pagamento è effettuato mediante l'emissione di un titolo di credito, opera la presunzione di esistenza del rapporto obbligatorio che si riassume nel principio di astrazione processuale (art. 1988 c.c.). In altre occasioni ha invece affermato che lo spostamento dell'onere della prova si verifica anche se il pagamento avviene mediante emissione di cambiale o assegno. Così, ad esempio, si è detto che lo spostamento dell'onere probatorio ha luogo quando il pagamento sia stato effettuato mediante un assegno tratto in data di gran lunga antecedente alla scadenza del debito. Soluzione, quest'ultima, la quale si ricollega alla regola prima ricordata secondo cui l'imputazione volontaria di pagamento può essere desunta per via presuntiva.

VIII. La disciplina dell'imputazione di pagamento è richiamata in materia di compensazione dall'art. 1249 c.c., il quale stabilisce che, quando una persona ha verso un'altra più debiti compensabili, si osservano per la compensazione le disposizioni del secondo comma dell'art. 1193 c.c., ossia le regole della compensazione legale.

Nondimeno è stato ritenuto, in dottrina, che il riferimento al secondo comma dell'art. 1193 c.c. non escluderebbe l'applicabilità del primo comma e, dunque, consentirebbe al debitore il quale per primo opponga la compensazione di individuare il debito da estinguere (RAGUSA-MAGGIORE, Compensazione (dir. civ.), in Enc. dir., VII, Milano, Giuffrè, 1961, 21). Questa tesi non sembra però condivisibile. Vi osta, oltre alla chiarezza del dato normativo, costituito dal richiamo del secondo comma dell'art. 1193 c.c., la considerazione che la compensazione, secondo l'insegnamento della S.C. (non sempre condivisa dalla dottrina), determina l'estinzione dei rispettivi debiti non già per effetto della volontà dei debitori, bensì per il fatto stesso della loro coesistenza (p. es. Cass., Sez. 1, 4 maggio 1981, n. 2705. Pres. Vigorita, est. Borruso).

Occorre precisare, in argomento, che la regola appena esposta, secondo cui la compensazione opera ipso iure, comporta ricadute nell'ipotesi di compensazione di un credito di una persona contrapposto a più crediti dell'altra. In tal caso, infatti, solo se tutti debiti sono anteriori al credito vantato dal debitore è possibile fare applicazione del secondo comma dell'art. 1193 c.c. come previsto dall'art. 1249 c.c.. Viceversa se il credito sussistente da un lato corrisponde a più crediti sussistenti dall'altro lato, alcuni sorti precedentemente al primo, altri sorti successivamente, l'art. 1249 c.c. non può che trovare applicazione solo rispetto ai debiti anteriori.

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A) L'IMPUTAZIONE IN GENERALE

1. La disciplina dell'imputazione di pagamento si applica solo in caso di pluralità di rapporti obbligatori?

a) sì.

● Cass., Sez. 2, 23 marzo 1998, n. 3077. Pres. Volpe, est. Troja.

Il debitore non ha la facoltà di imputare il pagamento parziale ad una piuttosto che all'altra delle pattuite modalità di adempimento ad un'altra, se il debito ha un'unica causa — nella specie accollo di mutuo e contanti, a titolo di prezzo dell'acquisto di immobile — perché l'istituto dell'imputazione è previsto per pluralità di crediti, tra stesse parti, con causa e titolo diversi.

● La sentenza così motiva:

«Il ricorso, proposto dal Grieco, merita rigetto.

Con i due motivi, posti a sostegno (i quali vanno esaminati congiuntamente per evidente connessione), denunciando violazione delle norme di diritto (artt. 1193 e 1453 c.c.) e vizi di motivazione, il ricorrente deduce: che la somma residua dei 18.000.000 di lire pagati (cioè L. 12.000.000) in mancanza di una specifica imputazione, doveva essere imputata alla parte di prezzo scaduto, cioè all'ammontare del mutuo, e non al contante da pagare al momento della stipulazione; che erroneamente l'offerta fatta dal Grieco è stata ritenuta tardiva ed inaffidabile, ai fini della sentenza di cui all'art. 2932 c.c., anche perché non si è considerato che, con il pagamento eseguito dal Grieco il 13 maggio 1978, il Centurelli, fissando la data della stipulazione dell'atto definitivo, va riconosciuto implicitamente non esservi stata scadenza di rate di mutuo.

I due motivi sono infondati. Va rilevato, anzitutto, che la Corte di cassazione ha accolto il ricorso del Grieco sotto il profilo di un difetto di motivazione nella comparazione tra i dedotti reciproci inadempimenti, non sotto il profilo della violazione dell'art. 1193 c.c.. La censura, relativa a tale pretesa violazione, esula, quindi, dai limiti assegnati al giudice di rinvio dalla sentenza di cassazione.

Peraltro, secondo quanto è stato chiarito dalla prassi giurisprudenziale, la questione della imputazione del pagamento non è proponibile quando sussista un unico debito, anche se esso è (come vorrebbe il ricorrente) con due diverse modalità di pagamento; ma regola l'ipotesi di pluralità di crediti fra le stesse parti, aventi titolo e causa diversi (sent. 2813-94; conf. 12938-93). Per di più, la facoltà di imputare il pagamento ad uno fra più debiti va esercitata e si consuma all'atto del pagamento e una successiva dichiarazione del debitore è giuridicamente inefficace senza l'adesione del creditore (sent. 6605-88; conff. 6278-88; 5650-88)».

● Cass., Sez. L, 23 marzo 1994, n. 2813. Pres. Mollica, est. Nuovo.

L'istituto della imputazione dei pagamenti regola l'ipotesi di pluralità di crediti fra le stesse parti, aventi titolo e causa diversi, e non trova applicazione quando si tratti di unico credito; pertanto, ove l'I.N.P.S. provveda al recupero rateale, mediante ritenute sulla pensione, dell'unico credito relativo a somme indebitamente corrisposte per integrazione al minimo della pensione indiretta (risultando peraltro inesistente l'indebito per gli importi percepiti fino all'entrata in vigore del D.L.

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n. 463/1983) non è possibile imputare le somme già recuperate dall'ente a tale parte del credito, che risulta inesistente, dell'ente previdenziale, applicandosi per quelle ancora da recuperare la regola di irripetibilità di cui all'art. 52 della legge n. 88 del 1989; detta norma può trovare applicazione solo per l'eventuale credito residuo dell'istituto, risultante dal calcolo della differenza tra la somma già recuperata e quella complessivamente dovuta dall'Istituto per gli importi erogati per il periodo decorrente dall'ottobre 1983.

● Cass., Sez. 2, 29 dicembre 1993, n. 12938. Pres. Bronzini, est. Cardillo.

Le disposizioni dell'art. 1193 cod. civ., sull'individuazione del debito al quale riferire l'adempimento, presuppongono una pluralità di rapporti obbligatori tra le stesse parti ed hanno lo scopo di eliminare l'incertezza circa la sorte degli stessi, evitando che a ciascun atto di pagamento non segua l'effetto solutorio di una ben determinata obbligazione. Ne deriva che la questione dell'imputazione del pagamento non è proponibile quando sussista un unico debito, perché l'adempimento di questo, se è totale, ne determina l'estinzione e, se è parziale, comporta la permanenza dell'obbligazione di eseguire la prestazione nella parte residua. Pertanto, qualora il debitore, convenuto per il pagamento del residuo del corrispettivo (nella specie, di un appalto di lavori), eccepisca di aver corrisposto acconti maggiori di quelli ammessi dal creditore, e questi deduca che tali acconti sono già stati computati nella determinazione del saldo richiesto, spetta al debitore—convenuto, a norma dell'art. 2697 cod. civ., provare il fatto totalmente o parzialmente solutorio.

● La sentenza così motiva:

«Le disposizioni dell'art. 1193 cod. civ., dettate per l'individuazione del debito cui l'adempimento si riferisce, postulano l'esistenza di una pluralità di rapporti obbligatori tra le stesse parti, dai quali scaturiscano debiti della medesima specie verso la stessa persona, avendo lo scopo di evitare che ad ogni atto di pagamento non segua l'effetto solutorio, totale o parziale, di una ben determinata obbligazione con conseguente incertezza circa la sorte dei rapporti inter partes (v. in arg. sent. 7 febbraio 1975 n. 474).

Quando invece sussiste un unico rapporto obbligatorio fonte di un solo debito, non si pone la questione dell'imputazione del pagamento perché l'adempimento se è totale determina l'estinzione del debito e se è parziale produce l'effetto della permanenza dell'obbligo di eseguire la prestazione sia pure nella parte residua, senza che vi sia incertezza circa il debito cui l'eseguito pagamento parziale si riferisce.

In quest'ultimo caso, qualora il debitore sia convenuto per il pagamento del saldo ed eccepisca di nulla dovere o di dovere una somma inferiore a quella pretesa per avere già corrisposto acconti maggiori di quelli ammessi dal creditore e questi deduca che gli acconti sono stati computati nella determinazione del residuo importo dovuto, spetta al convenuto, come dispone l'art. 2697 cpv cod. civ., dare la dimostrazione del fatto totalmente o parzialmente solutorio eccepito provando di avere versato somme di denaro di ammontare sufficiente ad estinguere il debito o a ridurlo in misura superiore a quella indicata dal creditore».

● Cass., Sez. 3, 6 luglio 1983, n. 4559. Pres. Caleca, est. Cruciani.

Nel caso di morosità del conduttore per più canoni mensili della locazione, spetta al locatore stabilire a quali dei canoni, scaduti e non corrisposti, debbano essere imputate le somme ricevute dal conduttore, indipendentemente dalle contrarie indicazioni di quest'ultimo.

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b) no.

● Cass., Sez. 3, 3 novembre 1976, n. 4006. Pres. Stile, est. Guerrieri.

L'art 3 della legge 22 dicembre 1973 n 841, il quale dispone che la morosita puo costituire causa di risoluzione del contratto di locazione soggetto a proroga legale 'solo quando si protragga per almeno due mesi' (ovvero tre mesi, in caso di precarie condizioni economiche del conduttore), va inteso non nel senso che la morosita debba riferirsi ad almeno due mensilita, ma nel senso che la stessa, ancorche riguardante un solo canone, duri almeno due mesi. Tale situazione non ricorre quando il conduttore paghi i canoni con un costante ritardo di un mese, perche, in difetto di diversa dichiarazione del debitore, ogni pagamento ritardato va imputato al debito piu antico (art 1193 secondo comma cod civ), e, quindi, non si verifica il protrarsi per almeno due mesi della morosita relativa a ciascun canone.

► Per un ulteriore caso (sempre in materia di locazione) in cui la S.C. ha ritenuto l'applicabilità della disciplina dell'imputazione di pagamento in ipotesi di rapporti di dare ed avere derivanti dal medesimo titolo, v. infra, Cass., Sez. 3, 28 novembre 1995, n. 12305. Pres. Bile, est. Vittoria.

2. La disciplina dell'imputazione di pagamento si applica solo in caso di pagamenti volontari.

● Cass., Sez. 2, 11 gennaio 1997, n. 238. Pres. Favara, est. Mensitieri.

In tema di imputazione del pagamento, i criteri di cui all'art. 1193 cod. civ., in quanto dettati per la determinazione del debito cui l'adempimento si riferisce, si applicano ai pagamenti eseguiti volontariamente e non a quelli conseguiti coattivamente in sede espropriativa, per i quali le parti non possono che adeguarsi alla predeterminazione giudiziale.

● Cass., Sez. 3, 18 ottobre 1991, n. 11014. Pres. Schermi, est. Sommella.

I criteri di cui agli artt. 1193-1194 cod. civ. si applicano solo ai pagamenti eseguiti volontariamente e non anche a quelli coattivi, per i quali le parti non possono che adeguarsi alla predeterminazione giudiziale. (Nella specie, trattavasi di pagamento eseguito in forza di ordinanza di assegnazione di somma da imputarsi nella liquidazione definitiva del danno).

● La sentenza così motiva:

«Con il terzo motivo, i ricorrenti, denunciando l'insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia e la violazione dell'art. 1194 cod. civ., sostengono che erroneamente la Corte di merito ha disatteso la richiesta tendente ad ottenere che le somme che le somme che erano state versate ad essi dalla Compagnia Assicuratrice in forza della provvisionale e della sentenza civile del Tribunale provvisoriamente esecutiva, fossero imputate dapprima agli interessi e poi al capitale residuo, laddove invece avrebbe dovuto rilevare che l'importo della provvisionale e di quello liquidato in sentenza rappresentava un credito certo, liquido ed esigibile.

Il motivo è infondato.

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La disposizione dell'articolo 1194 codice civile — secondo cui il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi senza il consenso del creditore — presuppone la simultanea esistenza della liquidità ed esigibilità sia del credito per capitale sia del credito, accessorio (per interessi) e un pagamento parziale da parte del debitore. Pertanto, sino a quando il credito accessorio sia incerto od illogico, il debitore non è soggetto al divieto di imputare il pagamento al capitale (cfr. Cassaz. 8.3.1988 n. 2352; ord. 26.10.1960 n. 1911).

Correttamente, quindi, la Corte di merito ha ritenuto che, al momento in cui il giudice penale dispose il pagamento di una provvisionale, "in conto definitivo del danno", non era ravvisabile la anzidetta situazione di certezza e di liquidità, atteso che l'ammontare del credito risarcitorio doveva essere ancora accertato nel suo preciso ed incontrovertibile ammontare e che gli interessi maturavano complessivamente su tutto quanto dovuto.

E poiché l'imputazione di pagamento ha pur sempre natura negoziale (tant'è che anche l'articolo 1195 codice civile, nel limitare il potere debitorio di imputazione, fa salva la diversa volontà del creditore), altrettanto esattamente la Corte territoriale ha affermato che "la questione" era fuori posto con riferimento all'esecuzione della sentenza", giacché in questo caso "l'imputazione del quantum a capitale e interessi era operata direttamente dal giudice, sottraendosi alla disponibilità delle parti"; il che sta proprio a significare che i criteri di imputazione di cui agli articoli 1193 e 1194 codice civile si applicano solo ai pagamenti eseguiti volontariamente (cfr. Cassazione 30.3.1981; id. 3.12.1979 n. 6282), e non anche quelli coattivi, per i quali le parti non possono che adeguarsi alla predeterminazione giudiziale.

E quanto precede trova definitiva conferma considerando che la somma (unica e complessiva), provvisoriamente assegnata a titolo risarcitorio, è costituita dal coacervo (indistinto) delle varie "voci" di danno, in cui sono ricompresi anche gli interessi, i quali, quindi, non si possono scindere più dal capitale.

Pertanto anche su questo punto la decisione impugnata merita conferma».

● Cass., Sez. 1, 28 settembre 1991, n. 10149. Pres. Bologna, est. Carbone.

Qualora la sentenza d'appello, che riconosca e quantifichi un credito di valore, venga posta in esecuzione, con il conseguimento di versamenti parziali, e poi sia annullata in esito a ricorso per cassazione, nella nuova liquidazione del credito in sede di rinvio i suddetti versamenti devono essere detratti dall'importo complessivo del debito al momento della loro effettuazione (con la rivalutazione monetaria sulla differenza e gli interessi calcolati sul capitale via via rivalutato secondo indici annuali), mentre resta esclusa sia l'invocabilità di diversi criteri d'imputazione volontaria del pagamento parziale, difettando il presupposto di un adempimento spontaneo e non coattivo, sia l'invocabilità del criterio d'imputazione legale di cui al secondo comma dell'art. 1194 cod.civ., il quale postula la pari liquidità ed esigibilità del credito per capitale e del credito per interessi.

● Cass., Sez. 1, 14 aprile 1982, n. 2222. Pres. Sandulli, est. Scanzano.

Il creditore ipotecario, il quale, attraverso espropriazione forzata, individuale o concorsuale, in danno del debitore e su beni oggetto della garanzia rimasti in sua proprietà sia stato interamente soddisfatto del credito e degli interessi coperti dalla prelazione, nei limiti fissati dall'art. 2855 cod. civ., non può agire nei confronti del terzo acquirente di parte dei beni ipotecati, per conseguire il pagamento degli interessi esclusi dalla prelazione, neppure avvalendosi di una diversa imputazione del pagamento già ricevuto, secondo i criteri degli artt. 1193 e 1194 cod. civ., in quanto la responsabilità di detto terzo acquirente, così come quella del terzo datore d'ipoteca, resta circoscritta

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negli indicati limiti posti dall'art. 2855 cod. civ., ed inoltre i menzionati criteri d'imputazione riguardano i pagamenti volontari, non quelli conseguiti coattivamente in Sede espropriativa.

○ Sono conformi: Cass., Sez. 1, 30 marzo 1981, n. 1815. Pres. Marchetti, est. Caturani. Cass., Sez. 1, 3 dicembre 1979, n. 6282. Pres. La Farina, est. Cantillo.

● Cass., Sez. 1, 2 marzo 1976, n. 688. Pres. Giannattasio, est. Falletti.

I criteri per l'imputazione del pagamento eseguito da chi ha più debiti della medesima specie verso la stessa persona, previsti dall'art. 1193 cod. civ., riguardano i pagamenti eseguiti volontariamente e, pertanto, non sono applicabili ai pagamenti che hanno luogo in sede esecutiva (nella specie, fallimentare), per ordine del giudice e con imputazione dallo stesso determinata.

● Cass., Sez. 3, 8 gennaio 1966, n. 176. Pres. Cannizzaro, est. De Santis.

Le norme fissate dall'art. 1193 cod. civ. per l'imputazione dei pagamenti, non possono trovare applicazione in sede di collocazione dei crediti sulla somma ricavata dall'esecuzione sui beni del debitore.

○È conforme: Cass., Sez. 3, 24 agosto 1962, n. 2646. Pres. Giansiracusa, est. Salerni.

3. La disciplina dell'imputazione di pagamento si applica solo in caso di pluralità di debiti omogenei.

● Cass., Sez. 3, 25 maggio 1966, n. 1368. Pres. La Porta, est. Lania.

Le regole dettate dall'art. 1193, secondo comma, cod. civ., in materia di imputazione di pagamenti, non trovano applicazione solo quando i diversi debiti della medesima persona verso un solo creditore importano ciascuno una prestazione eterogenea rispetto all'altro.

4. La disciplina dell’imputazione di pagamento non si applica quando il pagamento è idoneo all'estinzione di tutti i debiti.

● Cass., Sez. 3, 14 dicembre 1976, n. 4636. Pres. Sbrocca, est. Schermi.

La norma di cui all'art 1193, primo comma, cod civ — secondo cui, qualora il debitore indichi quale dei suoi debiti intenda soddisfare, la somma pagata od offerta deve essere imputata unicamente al debito indicato — concerne la sola ipotesi in cui, sussistendo piu debiti, il solvens esegua od offra un pagamento idoneo ad estinguere soltanto alcuni di essi. La suddetta norma non e, invece, applicabile alla diversa ipotesi in cui il debitore esegua od offra un pagamento atto ad estinguere tutti i suoi debiti, ovvero a coprire tutte le voci del suo unico debito. In quest'ultimo caso,

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al fine di accertare l'avvenuta Estinzione di tutti i debiti o dell'intero debito suddiviso in piu voci, ovvero la sussistenza, o meno, della mora del solvens, per aver il creditore rifiutato la somma offertagli perche insufficiente, occorre riferirsi unicamente alla somma globale offerta o pagata, non avendo alcuna Rilevanza il frazionamento di detta somma, eventualmente operato dal debitore fra i suoi debiti, ovvero fra le voci del suo unico debito, in maniera errata.*

5. La disciplina dell'imputazione di pagamento non si applica con riguardo ai debiti gravanti sul datore di lavoro.

● Cass., Sez. L, 2 aprile 1987, n. 3207. Pres. Nocella, est. Baldassarre.

L'imputazione di pagamento — che, secondo la norma generale del primo comma dell'art. 1193 cod. civ., costituisce una facoltà del debitore, al mancato esercizio della quale sopperiscono i criteri legali dettati dal secondo comma dello stesso articolo si pone, invece, nel rapporto di lavoro subordinato come un Obbligo del datore di lavoro, che è tenuto alla consegna delle buste—paga previste dalla legge 5 gennaio 1953 n. 4. Tuttavia, la previsione dell'imputazione predetta, che ha la funzione di consentire al lavoratore di controllare la corrispondenza fra quanto a vario titolo dovutogli e quanto effettivamente corrispostogli, non vale a snaturare l'imputazione stessa, in quanto questa, fatta facoltativamente o in esecuzione di un Obbligo, presuppone pur sempre l'esistenza del debito e non può sostituirsi ad un valido titolo costitutivo del medesimo. (nella specie, l'impugnata sentenza — confermata dalla suprema Corte — aveva ritenuto che la somma — superiore al dovuto — corrisposta a titolo di retribuzione contrattuale comprendesse i compensi per mensilità aggiuntive ed indennità sostitutiva delle ferie).

● È conforme: Cass., Sez. L, 9 novembre 1985, n. 5498. Pres. Pennacchia, est. Amirante.

B) L'IMPUTAZIONE DEL DEBITORE

6. L'imputazione presuppone la coesistenza di due debiti entrambi esigibili.

● Cass., Sez. 3, 12 settembre 1968, n. 2930. Pres. Boccia, est. Speziale.

La possibilità che ha il debitore di imputare il pagamento, che fa al creditore, ad una piuttosto che ad un'altra ragione creditoria presuppone la loro simultanea esistenza ed esigibilità.

► Se è senz'altro esatto (ed anzi ovvio) dire che l'imputazione volontaria di pagamento presuppone più debiti esistenti (se il debito esistente è uno soltanto non v'è imputazione da compiere), non sembra altrettanto esatto affermare che debiti debbano essere simultaneamente esigibili, ben potendo il debitore effettuare il pagamento di un debito non scaduto, salvo che il termine non sia previsto a favore del creditore.

7. L'imputazione richiede l'idoneità del pagamento all'estinzione di almeno uno dei debiti?

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a) sì.

● Cass., Sez. L, 12 dicembre 1980, n. 6422. Pres. Franceschelli, est. Afeltra.

A norma dell'art 1193 cod civ, qualora il debitore, sussistendo piu debiti effettui (od offra) un pagamento idoneo per l'ammontare della somma corrisposta (od offerta) ad estinguerne soltanto alcuni, il debitore può dichiarare quali debiti intende soddisfare ed in siffatta ipotesi, data l'efficacia nei confronti del creditore, della dichiarazione di imputazione fatta dal debitore, la somma di danaro pagata (od offerta) e destinata al soddisfacimento dei debiti indicati i quali soltanto estingue.

b) no.

● Cass., Sez. 3, 1° giugno 1974, n. 1572. Pres. La Farina, est. Sgroi.

Nel giudizio di cognizione che si instaura con l'opposizione al precetto per pagamento di un credito pecuniario, ove sorga questione di imputazione dei pagamenti parziali eseguiti dal debitore ad uno piuttosto che ad altri crediti, il giudice che, ai soli fini della decisione sull'opposizione, procede all'accertamento dei crediti esistenti fra le parti e all'imputazione ad essi dei pagamenti effettuati, non eccede dai limiti del petitum, segnati dalle richieste e deduzioni non solo dell'opponente ma anche dell'opposto. In tale ipotesi elemento del thema decidendum diventa anche l'accertamento degli altri crediti dedotti dall'opposto.

○ È conforme: Cass., Sez. 1, 5 giugno 1967, n. 1230. Pres. Pece, est. Leone.

► La massima che precede sembra presupporre l'applicabilità della disciplina dell'imputazione anche in caso di pagamenti parziali. Tuttavia l'affermazione pare porsi in conflitto col principio desumibile dall'art. 1181 c.c., secondo cui il creditore ha diritto di rifiutare l'adempimento parziale. Ciò comporta che, se il debitore esegue pagamenti parziali ed effettua l'imputazione ad un determinato debito, detta imputazione non costituisce esercizio di un diritto spettante al debitore medesimo ai sensi dell'art. 1193 c.c., bensì affetto di un accordo negoziale derivante dall'adesione del creditore, il quale, potendo rifiutare l'imputazione effettuata, opta invece per l'accettazione del pagamento parziale.

8. L’imputazione può risultare da fatti concludenti.

● Cass., Sez. 1, 17 marzo 1978, n. 1347. Pres. La Torre, est. Martinelli.

La volontà di una determinata imputazione del pagamento eseguito da chi abbia più debiti della medesima specie, la quale preclude il ricorso ai criteri suppletivi fissati dall'art 1193 secondo comma cod. civ., può essere desunta, oltre che da dichiarazione espressa, anche da facta concludentia.

● Trib. Roma 14 giugno 2002, in Giur. romana, 2003, 59.

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La circostanza che l'appaltatore abbia ricevuto senza obiezioni il pagamento del corrispettivo dovutogli per capitale, in misura corrispondente all'importo fatturato e "riservandosi di richiedere" in seguito il pagamento degli interessi di mora maturati e maturandi, costituisce una condotta idonea a ritenere provato per facta concludentia che i pagamenti già ricevuti siano stati imputati, in deroga al principio di cui all'art. 1194 c.c., al capitale e non agli interessi.

9. L'imputazione può risultare da elementi presuntivi.

● Cass., Sez. 3, 7 febbraio 1975, n. 489. Pres. Stile, est. Bonelli.

La dichiarazione del debitore di voler imputare il pagamento ad un debito, piuttosto che ad un altro della medesima specie, (art. 1193, primo comma, cod. civ.), può essere desunta anche da elementi presuntivi.

○ È conforme: Cass., Sez. 3, 27 settembre 1968, n. 2984. Pres. Marletta, est. Dini.

10. L'imputazione da parte del debitore va effettuata contestualmente al pagamento: quella successiva è inefficace perché, in mancanza di imputazione da parte del creditore, sono ormai divenuti operanti i criteri di imputazione legale.

● Cass., Sez. 2, 18 marzo 2002, n. 3941. Pres. Calfapietra, est. Napoletano.

In caso di crediti di natura omogenea, la facoltà accordata al solo debitore dall'art. 1193, comma primo, cod. civ., di indicare a quale debito debba essere imputato il pagamento, va esercitata e si consuma all'atto del pagamento medesimo, sicché una successiva dichiarazione del debitore, senza l'adesione del creditore, è giuridicamente inefficace.

● Questa la motivazione:

«Va premesso che, contrariamente a quel che pare sostenere il ricorrente, l'imputazione volontaria del pagamento in presenza di più crediti di natura omogenea, prevista dal 1 comma dell'art. 1193 cod. civ., è riservata esclusivamente al debitore che esegua il pagamento, come risulta espressamente dalla norma, e può essere effettuata solo all'atto del pagamento, poiché una successiva dichiarazione del debitore è giuridicamente inefficace senza l'adesione del creditore (cfr. Cass., 17 ottobre 1988, n. 5650; Cass., 5 dicembre 1988, n. 6605).

Ne risulta che, in difetto di una tempestiva imputazione volontaria, operata dal debitore, nè questi nè il creditore possono successivamente operare in modo unilaterale l'imputazione del pagamento eseguito, dovendosi, in tal caso, fare applicazione esclusiva dei criteri legali previsti dal cpv. dell'art. 1193 cod. civ., secondo l'ordine seguito dalla norma.

Non può, pertanto, condividersi la tesi del ricorrente, secondo cui egli, in difetto di un'imputazione dichiarata al tempo del pagamento, sarebbe stato facultato ad operare l'imputazione nel corso del giudizio, prima che analoga facoltà fosse stata esercitata dai debitori».

È conforme: Cass., Sez. 3, 10 maggio 1996, n. 4435. Pres. Grossi, est. Preden.

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● Cass., Sez. 2, 7 febbraio 1975, n. 474. Pres. Ferrati, est. La Torre.

Una volta che, in base all'uno o all'altro dei vari criteri di imputazione (volontari o legali), il pagamento sia da riferire a un certo debito, l'ormai verificatosi effetto solutorio non è più revocabile dal debitore che ha pagato, e l'imputazione a un debito diverso non e ammissibile se non in virtù di accordo; rispetto al quale ogni altro criterio e sussidiario.

11. L'imputazione può essere effettuata anche in caso di pagamento a mani di un delegato del creditore.

● Cass. Sez. 3, 25 luglio 2003, n. 11558. Pres. Carbone, est. Vittoria.

La contestualità necessaria tra dichiarazione e adempimento affinché colui che ha più debiti della medesima specie verso la stessa persona possa scegliere a quale debito è imputabile il pagamento sussiste anche se esso è eseguito ad un delegato del creditore, e tale modalità soddisfa anche il requisito della recettizietà della dichiarazione.

● La pronuncia così motiva:

«2.1. — La cassazione della sentenza, col primo motivo, è chiesta per violazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 cod. proc. civ., in relazione all'art. 1193 cod. civ. ed ai principi sulla imputazione di pagamento).

Vi è svolta questa tesi.

Il 16.9.1988 è stata accreditata sul conto corrente acceso dalla Sopin presso il Banco di Santo Spirito la somma complessiva di L. 2.790.203.544, mediante due versamenti in pari data, uno di L. 1.157.366.732 ed uno di L. 1.632.809.812.

Nessuna imputazione di pagamento da parte della Università è stata in tale data portata a conoscenza della Sopin.

Il 20.9.1988 la Sopin, in applicazione dell'art. 1195 cod. civ., ha imputato i due pagamenti mediante accredito in conto del dovuto sulla fattura 80707 del 6.9.1988.

Solo successivamente, in corso di causa, l'Università ha dedotto che nelle reversali di pagamento e nelle causali di versamento aveva imputato i pagamenti ai due decreti d'ingiunzione ed al precetto del 31.7.1988, ma questa imputazione era priva di data certa ed era giunta a conoscenza della Sopin dopo la data del 20.9.1988, nella quale senza contestazioni ed in modo legittimo essa aveva imputato il pagamento ad altro suo credito.

Perciò, la dichiarazione dell'Università, in quanto successiva al pagamento, era priva di effetti.

La corte d'appello non ha considerato che l'imputazione è atto ricettizio ed ha perciò sbagliato nel decidere l'opposizione in base al primo anziché al secondo comma dell'art. 1195 cod. civ.

2.1.1. — Il motivo non è fondato.

La corte d'appello ha accertato che il Banco di Santo Spirito, tesoriere dell'Università, ha formato per ogni pagamento una coppia di scritture, datate 16.9.1988.

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La prima scrittura contiene la disposizione di pagamento e la contestuale quietanza, con firme del cassiere della tesoreria e del funzionario di sportello della medesima agenzia, che attesta la ricezione della somma per la Sopin; la seconda scrittura, della stessa provenienza, dà notizia alla Sopin che sul conto corrente da essa intrattenuto presso la medesima agenzia è stato accreditato il pagamento.

Ogni coppia di scritture contiene il distinto riferimento al numero del decreto d'ingiunzione ed al relativo importo.

Ciò posto non vi può essere dubbio sul fatto che l'imputazione è stata eseguita dal debitore con dichiarazione contestuale al pagamento: la corte d'appello ha esattamente osservato che la Sopin non è un terzo rispetto al rapporto in questione e quindi non può fare questione circa la opponibilità a sè della data delle due scritture.

Ne risulta verificata la condizione prevista dal primo comma dell'art. 1193 cod. civ., perché il pagamento sia imputato al debito scelto dal debitore nel pagare.

Che la dichiarazione di imputazione sia ricettizia non muta la conclusione.

La legge, in presenza di più debiti, attribuisce al debitore il potere di scegliere quello cui il pagamento va imputato e lo obbliga a dichiarare la sua scelta nel momento in cui paga.

Se la dichiarazione di imputazione deve accompagnare l'atto del pagamento, quando l'accompagna essa è efficacemente ricevuta per il creditore dal soggetto che egli indica per ricevere il pagamento: nel caso, dunque, quella stessa agenzia del Banco di Santo Spirito, presso cui la Sopin aveva aperto il conto per ottenervi l'accreditamento dei pagamenti e che, come la corte d'appello ha accertato, ricevutoli, ne ha dato notizia alla Sopin con la menzione della causa per cui le erano stati fatti».

12. La disciplina dell’imputazione di pagamento è applicabile analogicamente in caso di pluralità di debitori o creditori, qualora uno rappresenti l'altro?

a) sì.

● Cass., Sez. 3, 12 luglio 2005, n. 14594. Pres. Fiduccia, est. Durante.

La disciplina dell'imputazione del pagamento, pur presupponendo l'esistenza di una pluralità di rapporti obbligatori omogenei tra le medesime parti, è applicabile analogicamente anche in presenza di una pluralità di creditori, qualora uno di essi sia legittimato a ricevere il pagamento sia in proprio che per conto dell'altro. (Nella fattispecie, avendo lo stesso soggetto ricevuto un pagamento sia in adempimento di un credito proprio che in qualità di legale rappresentante di una società, a sua volta creditrice del medesimo debitore, la S.C. ha ritenuto adeguatamente motivata la sentenza impugnata, che aveva desunto dal coordinamento tra la richiesta proveniente dai creditori e la dichiarazione resa dal comune debitore all'atto dell'adempimento l'imputazione dello stesso ad entrambi i crediti).

● Questa la motivazione:

«Va rilevato in proposito che presupposto della disciplina dell'imputazione di pagamento è una pluralità di rapporti obbligatori omogenei tra le medesime parti.

Tale presupposto fa difetto nella specie, essendo unico il debitore, ma due i creditori.

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Poiché, tuttavia, l'accipiens (il P.) era legittimato a ricevere il pagamento anche per conto dell'altro creditore (la società GECO), di cui era all'epoca ed è ancora oggi rappresentante legale (in tale qualità ha sottoscritto la procura ad litem), occorre stabilire se la disciplina dell'imputazione possa ricevere egualmente applicazione.

La questione, che non risulta essere stata mai esaminata da questa Corte, sembra risolta affermativamente da autorevole dottrina sul piano dell'applicazione analogica della disciplina.

Ad ogni modo, stabilito che la facoltà di imputazione è riservata al debitore, il quale può esercitarla esclusivamente all'atto del pagamento, essendo giuridicamente inefficace l'esercizio successivo (Cass. 18.3.2002, n. 3941), e passa al creditore, ove il debitore non la eserciti, senza possibilità in nessun caso di esercizio da parte del giudice, al quale spetta soltanto di applicare in via residuale i criteri legali tassativamente indicati dall'art. 1193 c.c., va rilevato che la corte di merito ha desunto dal coordinamento della richiesta di pagamento proveniente dai creditori con la dichiarazione resa dalla comune debitrice all'atto del pagamento che la somma pagata è stata imputata ad entrambi i debiti, esprimendo un giudizio di fatto adeguatamente e correttamente motivato».

b) no.

● Cass., Sez. 3, 15 febbraio 2005, n. 2977. Pres. Giuliano, est. Segreto.

Le norme sull'imputazione di pagamento postulano l'esistenza di una pluralità di rapporti obbligatori della medesima specie in capo ad un unico debitore, e non sono applicabili nè se il debito è unico, né se si tratta di due debitori diversi, sebbene rappresentati da un'unica persona (come nella specie, in cui debitori erano due condominii rappresentati da un unico amministratore).

● Questo l’opposto ragionamento seguito dalla pronuncia:

«2.1. Ritiene questa Corte che il motivo di ricorso è in parte infondato ed in parte inammissibile.

Anzitutto è infondato nella parte in cui lamenta la violazione dell'art. 1193 c.c..

Infatti le norme sull'imputazione postulano l'esistenza tra le stesse parti di una pluralità di rapporti obbligatori della medesima specie e non sono applicabili se il debito è unico. Qualora il debitore poi eccepisca il pagamento del debito, l'attore il quale opponga che detto pagamento deve imputarsi ad altro debito, ha l'onere di provare la sussistenza delle condizioni richieste per la diversa imputazione dalla norma di cui all'art. 1193 c.c. (Cass. n. 1571/2000; Cass. n. 14071/1999; Cass. n. 4519/1998).

Sennonché nella fattispecie è completamente fuor di luogo ogni questione attinente all'imputazione di pagamento, in quanto nella fattispecie si discuteva se alcuni pagamenti effettuati dall'amministratore T., contemporaneamente amministratore di due condominii in via via (rispettivamente quello in causa via, e quello via, estraneo a questo giudizio e parte in altro giudizio contro la Thermo Casa s.n.c.) fossero da imputare ad uno o ad altro condominio.

2.2. Sennonché proprio perché si tratta di due diversi condominii, manca il presupposto essenziale per l'applicazione della disciplina dell'imputazione del pagamento, che è dato dall'unicità del debitore con una pluralità di debiti.

Nella fattispecie si trattava, invece, di due diversi condomini, sia pure rappresentati dallo stesso amministratore».

C) I CRITERI LEGALI DI IMPUTAZIONE

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13. Perché sono dettati criteri legali di imputazione.

● Cass., Sez. 2, 7 febbraio 1975, n. 474. Pres. Ferrati, est. La Torre.

Se il debitore paga senza imputazione, questa, a meno che non risulti da fatti concludenti (fra i quali potrebbe anche rientrare una sua precedente dichiarazione) o dalla quietanza del creditore da lui accettata o, in genere, dall'accordo delle parti, deriva automaticamente dall'applicazione dei criteri legali all'uopo predisposti dall'art 1193, comma secondo, cod civ, scopo della legge essendo quello di evitare con l'incertezza altrimenti gravante sulla sorte di tutti i rapporti debitori inter partes, che ad ogni atto di pagamento non segua puntualmente l'effetto solutorio (totale o parziale) di una ben determinata obbligazione.

14. I criteri legali di imputazione si applicano in caso di mancata imputazione del debitore e del creditore.

● Cass., Sez. 3, 7 febbraio 1975, n. 489. Pres. Stile, est. Bonelli.

Le norme sull'imputazione legale dei pagamenti, contenente nell'art 1193, secondo comma, cod civ, hanno carattere suppletivo rispetto alla volonta del debitore, e l'accertamento del giudice del merito, in ordine alla volonta medesima e incensurabile in sede di legittimita, se logicamente e compiutamente motivato.

○ Sono conformi: Cass., Sez. 3, 30 novembre 1977, n. 5217. Pres. Giannattasio, est. Sebastio. Cass., Sez. 3, 22 maggio 1973, n. 1492. Pres. Stile, est. Colesanti.

● Cass., Sez. 3, 29 ottobre 1982, n. 5707. Pres. Bile, est. Rebuffat.

Nella coesistenza di più debiti della medesima specie dello stesso debitore verso uno stesso creditore, qualora il primo non dichiari, quando paga, quale debito intende soddisfare (art. 1193, primo comma, cod. civ.) ne' il secondo, all'atto della quietanza, provveda ad imputare il pagamento ad uno di essi (art. 1195 cod. civ.), valgono i criteri suppletivi di cui all'art. 1193, secondo comma, cod. civ., con la conseguenza che, ove il debitore, convenuto in giudizio, eccepisca che un pagamento da lui effettuato è da imputare all'uno piuttosto che all'altro debito, ha l'Onere di fornire la prova in ordine a tale suo assunto, valendo in difetto le regole suppletive stabilite dal legislatore.

15. L'applicazione dei criteri legali di imputazione presuppone l'accertamento dei diversi debiti delle relative scadenze.

● Cass., Sez. 3, 11 luglio 1962, n. 1843. Pres. Mastrapasqua, est. Cortesani.

In mancanza di dichiarazione del debitore, è necessario, ai fini dell'imputazione dei pagamenti, a norma dell'art. 1193, secondo comma, cod. civ., l'accertamento dell'ammontare dei singoli debiti e delle scadenze rispettive.

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16. I criteri legali di imputazione non si applicano in caso di concorso di un debito civile con un debito naturale.

● Cass., Sez. 3, 28 ottobre 1976, n. 3971. Pres. Toro, est. Corda.

Nel concorso di due obbligazioni, l'una civile (nella specie, di restituzione di somma di denaro produttiva di interessi legali), e l'altra naturale (nella specie, di corresponsione su quella somma di interessi ultralegali, solo verbalmente pattuiti), l'imputazione del pagamento parziale, in Mancanza di diversa dichiarazione del debitore, va fatta in primo luogo con riguardo all'obbligazione civile. In tale situazione, pertanto, il pagamento parziale, che copra il debito civile, priva il creditore di Azione per esigere ulteriori adempimenti.*

17. I criteri legali di imputazione non si applicano in caso di concorso di un debito civile con un debito prescritto.

● Cass., Sez. 2, 18 marzo 2002, n. 3941. Pres. Calfapietra, est. Napoletano.

I criteri legali d'imputazione, quali previsti dall'art. 1193 citato, riguardano solo le obbligazioni per le quali il creditore possa pretendere l'adempimento e non si riferiscano, quindi, ai debiti prescritti, il cui pagamento costituisce un caso di adempimento di obbligazione naturale e, pertanto, esaurisce i suoi effetti nella soluti retentio, senza che, pertanto, tali obbligazioni possano essere compresi tra quelli cui riferire il pagamento effettuato dal debitore.

● Questa la sintetica motivazione:

«Non v'è dubbio che, dovendosi operare l'imputazione legale con riferimento al momento in cui l'imputazione stessa viene eseguita, debba tenersi conto solo delle obbligazioni per le quali il creditore possa pretendere in quel momento l'adempimento, non anche dei crediti eventualmente estinti per prescrizione, poiché dai crediti prescritti non può derivare altro effetto che quello della soluti retentio in caso di pagamento eseguito nonostante l'estinzione del debito.

In tal senso è l'unico precedente giurisprudenziale rinvenibile in tema (Cass., 1 agosto 1990, n.7686)».

● Cass., Sez. L, 1° agosto 1990, n. 7686. Pres. Ruperto, est. Aliberti.

Il criterio dell'imputazione del pagamento, quale previsto dall'art. 1193 cod. civ., riguarda solo le obbligazioni per le quali il creditore possa pretendere l'adempimento e non si riferisce anche ai debiti prescritti, il cui pagamento costituisce un caso di adempimento di obbligazione naturale e pertanto esaurisce i suoi effetti nella soluti retentio, senza che gli stessi possano essere compresi tra quelli cui riferire il pagamento effettuato dal debitore.

● La sentenza così motiva:

«La Corte osserva che la norma di cui all'art. 1193 c.c. (imputazione del pagamento) è contenuto nel capo relativo all'adempimento delle obbligazioni e che per il pagamento di un debito prescritto non nasce — ex parte creditoris — un diritto all'adempimento. La norma di cui all'art. 1193 c.c. ha riguardo ad obbligazioni per le quali il creditore possa

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pretendere l'adempimento del debitore ed è dettato per determinare a quale obbligazione ogni singolo adempimento vada imputato.

Il pagamento del debito prescritto costituisce un caso di adempimento di obbligazione naturale, obbligazione imperfetta non presidiata da azione giudiziaria, i cui effetti si esauriscono nella soluti retentio (cfr. artt. 2034, 2940 c.c.).

Conclusivamente: il disposto dell'art. 1193 c.c., siccome riguardante obbligazioni per le quali il creditore possa pretendere l'adempimento, non si riferisce anche ai debiti prescritti, e dunque il giudice del merito, nell'applicare il criterio di imputazione di cui all'art. 1193 c.c., non può comprendere nei debiti ai quali riferire il pagamento, anche quelli prescritti».

► La soluzione, condivisibile nel risultato finale, non lo sembra quanto a motivazione. Emerge infatti che la S.C., in entrambe le sentenze citate, ha inteso equiparare il debito prescritto all'obbligazione naturale: ma, mentre in caso di obbligazione naturale il creditore non ha azione, in caso di debito prescritto nulla impedisce al creditore di agire in giudizio per il pagamento, restando onerato il debitore di formulare l'eccezione di prescrizione. Piuttosto, i criteri legali di imputazione, in caso di concorso di un debito civile con un debito prescritto, non possono operare perché essi precluderebbero al debitore, appunto, il diritto di far valere la prescrizione.

● Cass., Sez. L, 23 gennaio 1987, n. 657. Pres. Zappulli, est. Giannantonio.

Nell'ipotesi di una pluralità di debiti per omesso versamento da parte del datore di lavoro dei contributi dovuti dall'INAM (cui poi è subentrato ex lege l'INPS), il pagamento, fatto da quest'ultimo all'istituto, di una somma senza l'indicazione del debito al quale il versamento va riferito, può essere imputato, in base ai criteri di cui all'art. 1193 cod. civ., al debito più antico, purché questi non risulti prescritto per la decorrenza del termine di cinque anni di cui all'art. 10 della legge n. 138 del 1943.

18. I criteri legali di imputazione si applicano anche ai pagamenti effettuati dal debitore poi fallito.

● Cass., Sez. 1, 17 marzo 1978, n. 1347. La Torre, est. Martinelli.

I criteri dettati dall'art 1193 cod civ, per l'imputazione del pagamento eseguito da chi ha piu debiti della medesima specie verso la stessa persona, trovano applicazione anche con riguardo ai pagamenti effettuati dal debitore prima della dichiarazione di fallimento, salvo il loro assoggettamento a revocatoria, ove ne ricorrano i presupposti di legge.

19. I criteri legali di imputazione, nel giudizio di equità, non costituiscono principi regolatori della materia.

● Cass., Sez. 2, 25 marzo 2000, n. 3630. Pres. Spadone, est. Mazzacane.

Non sussiste la violazione dei principi regolatori della materia — che il giudice conciliatore doveva osservare nella decisione secondo equità ai sensi dell' art. 113 cod. proc. civ. nel testo previgente — se in caso di controversia tra soggetti sulla riferibilità di un pagamento, in presenza di

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una pluralità di forniture commerciali ed in assenza di imputazione da parte del debitore, non sono stati applicati i criteri stabiliti dall' art. 1193 cod. civ., secondo comma, perché essi non attengono alle fonti del rapporto obbligatorio o al carattere patrimoniale della prestazione, ne' incidono sulla configurazione tipica delle obbligazioni, ma regolamentano l' efficacia del pagamento nel particolare caso di più debiti della medesima specie nei confronti di una stessa persona.

20. Che cosa vuol dire «debito meno garantito»?

a) l'espressione «debito meno garantito» è usata in senso tecnico ed indica il credito assistito da garanzie reali o personali, sia pure atipiche.

● Cass., Sez. 1, 30 maggio 1983, n. 3708. Pres. Granata, est. Cantillo.

Nell'applicazione dei criteri legali di imputazione del pagamento, ai quali deve farsi ricorso in Mancanza di un'imputazione espressa da parte del solvens, la locuzione "debito meno garantito" deve essere interpretata nel suo significato tecnico-giuridico, con riguardo, cioè, alle garanzie reali o personali, ancorché atipiche, che rafforzano ogni singola obbligazione, in sè considerata, facilitandone l'adempimento o l'attuazione coattiva; ai predetti fini, pertanto, meno garantita, tra più obbligazioni scadute, è quella che o non è assistita da alcuna garanzia, oppure è assistita da una garanzia di minor forza, per natura, estensione, graduatoria di prelazione e così via, rispetto a quelle che assistono le altre obbligazioni, mentre agli stessi fini, non può farsi riferimento ad altri elementi, non agevolmente ne' oggettivamente verificabili, attinenti alle concrete e svariate modalità delle obbligazioni ed ai rapporti in cui esse sono inserite. (Nella specie, alla stregua del principio di cui in massima, la suprema Corte ha ritenuto corretta la statuizione della Corte d'appello che, fra due debiti pecuniari scaduti, riguardanti l'uno il prezzo dovuto in esecuzione di un contratto preliminare di vendita di un immobile, l'altro il prezzo dovuto per analogo contratto definitivo, aveva escluso di poter qualificare quest'ultimo, ai fini dell'imputazione di un pagamento, "meno garantito" rispetto al primo, per il solo fatto che nel contratto definitivo, a differenza che nel contratto preliminare, si era avuto il trasferimento del bene al debitore).

b) l'espressione «debito meno garantito» non è usata in senso tecnico.

● Cass., Sez. 3, 1° giugno 1974, n. 1572. Pres. La Farina, est. Sgroi.

La locuzione meno garantita, usata nell'art. 1193 cod. civ. per indicare il secondo dei criteri suppletivi — destinato ad entrare in funzione quando non vi sia stata imputazione espressa da parte del debitore e sussista una pluralità di debiti scaduti — non deve intendersi in senso rigorosamente tecnico, con riferimento alle tipiche forme di garanzie reali o personali; sicché vi può rientrare non solo la figura della solidarietà passiva, ma anche il riferimento alla minore speditezza o alla maggiore dispendiosità dell'attuazione. E lo stabilire quale, fra più debiti, sia da ritenere meno garantito e compito riservato esclusivamente al giudice del merito, il cui apprezzamento in proposito e insindacabile in Cassazione se non inficiato da vizi di logica o di diritto.

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► Questa seconda soluzione appare criticabile. I criteri legali di imputazione di pagamento necessitano, per se stessi, del massimo grado di oggettività, sicché, se si intende l'espressione «debito meno garantito» in senso tecnico, si finisce per ingenerare incertezza sul credito che il pagamento effettuato ha estinto.

c) è meno garantito il credito per sanzioni civili rispetto a quello per contributi previdenziali.

● Cass., Sez. L, 18 ottobre 2002, n. 14818. Pres. Senese, est. Filadoro.

In tema di imputazione di pagamento, qualora un datore di lavoro abbia una pluralità di debiti verso un ente previdenziale, il pagamento parziale va imputato alla estinzione del debito relativo alle sanzioni civili, in quanto credito meno garantito, piuttosto che al capitale ma rappresentato dalle contribuzioni omesse.

● La sentenza è così motivata:

«Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia omessa motivazione del giudice di secondo grado circa l'imputazione data dal consulente tecnico d'ufficio ai pagamenti per lire 63.288.179 effettuati dopo il gennaio 1988 dalla società ricorrente.

Ad avviso della ricorrente, il calcolo delle sanzioni compiuto dal consulente tecnico di ufficio non terrebbe in alcun conto i tempi dei pagamenti delle somme indebitamente versati all'INPS per la posizione contributiva poi annullata.

Anche queste censure si rivelano infondate. L'art. 1193 codice civile stabilisce che:

"Chi ha più debiti della medesima specie verso la stessa persona può dichiarare, quando paga, quale debito intende soddisfare.

In mancanza di tale dichiarazione, il pagamento deve essere imputato al debito scaduto: tra più debiti ugualmente garantiti, al più oneroso per il debitore: tra più debiti ugualmente onerosi, al più antico.

Se tali criteri non soccorrono, l'imputazione è fatta proporzionalmente ai vari debiti".

Appare corretta, alla luce dei principi formulati da questa Corte (Cass. 1 giugno 1974 n. 1572), la motivazione della sentenza impugnata, secondo la quale "il credito meno garantito risulta essere quello per sanzioni civili e, pertanto, l'imputazione operata dall'Istituto ed avallata, in punto conteggi, dalla CTU risulta ineccepibile"».

21. Ai fini dell'imputazione il giudice non può disporre CTU.

● Cass., Sez. L, 12 dicembre 1980, n. 6422. Pres. Franceschelli, est. Afeltra

La questione relativa all'imputazione di vari pagamenti ai sensi dell'art 1193 cod civ non puo essere delegata ad un consulente tecnico.

► La sentenza è inedita, per cui non si è in condizioni di fornire la motivazione. È da credere che il principio discenda dalla considerazione che l'individuazione del criterio legale da applicare (debito scaduto; tra più debiti scaduti, quello meno garantito; tra più debiti ugualmente garantiti, il più oneroso per il debitore; tra i più debiti ugualmente onerosi, il più antico) richiede la soluzione di quesiti giuridici ai quali non può rispondere l'ausiliare.

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Tuttavia non sembra che l'utilizzo della CTU possa essere ritenuto interdetto quando sia il giudice, nel formulare il quesito, ad individuare il criterio di imputazione da applicare.

22. L'imputazione dei pagamenti effettuata dal terzo debitore in violazione dei criteri legali può comportare violazione dell'obbligo di salvataggio gravante sul assicurato nei confronti dell'assicuratore contro i rischi del commercio.

● Cass. 22 giugno 2007, Sez. 3, n. 14579. Pres. Nicastro, est.D'Amico.

Ai fini della perdita dei benefici assicurativi, ai sensi dell'articolo 1915 cod. civ., non occorre lo specifico e fraudolento intento di creare danno all'assicuratore, essendo sufficiente la consapevolezza dell'obbligo previsto dalla suddetta norma e la cosciente volontà di non osservarlo. (Nella fattispecie, relativa ad una polizza contro i rischi del commercio, la S.C. ha confermato la sentenza della corte di merito che aveva dichiarato la società assicurata decaduta dal diritto all'indennizzo — causa un credito insoluto verso una ditta estera — per avere violato, nei confronti della convenuta assicuratrice, gli obblighi contrattuali di "salvataggio", perché, dopo il sinistro, aveva proseguito le forniture al cliente in rilevante esposizione debitoria, con imputazione dei pagamenti in contanti ai più recenti debiti piuttosto che a quelli più vecchi ed onerosi coperti dalla garanzia assicurativa).

23. Imputazione e compensazione.

Cass. 26 maggio 1953, n. 1556.

In tema di compensazione, se tutti i debiti sono anteriori al credito vantato dal debitore, trova applicazione l'art. 1193, comma 2, c.c., con la imputazione di quel debito che gradatamente abbia le caratteristiche volute da detto articolo; ma se taluni debiti sono anteriori ed altri posteriori al credito, la disposizione sopra citata trova applicazione solo riguardo ai debiti anteriori.

D) IL PROBLEMA DEL RIPARTO DELL'ONERE PROBATORIO

24. Provato dal debitore un pagamento idoneo ad estinguere il debito fatto valere, spetta al creditore dimostrare che quel pagamento si riferisce ad altro debito, in forza del criterio di imputazione applicabile.

● Cass., Sez. 2, 7 febbraio 1975, n. 474. Pres. Ferrati, est. La Torre.

Chi agisce in giudizio per il recupero di un credito può allegare ed ha il diritto di provare in corso di causa, senza con ciò dar luogo a mutamento della domanda, che il pagamento eccepito dal debitore si riferisce ed e imputabile, in base alle intercorse intese, a un credito diverso da quello azionato.

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● Cass., Sez. 3, 31 marzo 2007, n. 8066. Pres.-est. Di Nanni.

In tema di pagamento, allorché una parte agisca per l'adempimento di un proprio credito e l'altra parte dimostri di aver pagato somme di denaro senza imputare il pagamento a quel credito, spetta al creditore, il quale intenda sostenere che quel pagamento doveva essere imputato ad altro credito già scaduto, dare la prova dell'esistenza di quest'ultimo.

● La pronuncia, sul punto, così motiva:

«2. Con il secondo motivo, B.A. sostiene che, avendo pagato un suo debito verso la Società Hermada, spettava a quest'ultima fornire la prova dell'esistenza di altri debiti ai quali aveva imputato il pagamento di quanto richiesto con l'atto di precetto: censura di violazione degli artt. 1193 e 2697 c.c., degli artt. 2727, 2728, 2729 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., e difetto di motivazione.

Il motivo travisa la sentenza impugnata e non è fondato.

2.1. L'art. 1193 c.c., dispone che la parte che ha più debiti della stessa specie verso un'altra parte, quando paga, può dichiarare quale debito intende soddisfare. In mancanza di questa dichiarazione, la facoltà dell'imputazione del pagamento spetta al creditore, che la eserciterà osservando le indicazioni contenute nel comma 2, della norma, dando la prova dell'esistenza dei vari crediti da lui vantati.

In questo senso si è già espressa la giurisprudenza di questa Corte, dichiarando che quando una parte agisce per l'adempimento di un proprio credito e l'altra parte dimostra di aver pagato somme di danaro senza imputare il pagamento a quel credito, ma allegando di averlo adempiuto, spetta all'attore, il quale intenda sostenere che quel pagamento doveva essere imputato ad altro credito già scaduto, dare la prova dell'esistenza di quest'ultimo: Cass. 19 gennaio 2005, n. 1064; 28 novembre 1995, n, 12305.

2.2. Nella fattispecie, la sentenza impugnata non ha violato le norme sull'imputazione dei pagamenti, perché ha accertato l'esistenza di crediti che dovevano essere soddisfatti prima di quello cui si riferisce il B..

In altri termini, la sentenza impugnata ha applicato correttamente le disposizioni contenute nel citato art. 1193 c.c., avendo accertato l'esistenza di altri crediti che dovevano essere soddisfatti in luogo di quello portato dall'atto di precetto opposto».

○ Sono conformi: Cass., Sez. 2, 3 febbraio 1998, n. 1041. Pres. Patierno, est. Santilli. Cass., Sez. L, 11 maggio 1982, n. 2947. Pres. Buffoni, est. Chiavelli.

● Cass., Sez. 3, 7 settembre 1977, n. 3902. Pres. De Santis, est. Maiella.

Il creditore che agisce per il pagamento di un suo credito e tenuto unicamente a fornire la prova del rapporto o del titolo dal quale deriva il suo diritto, e non anche a provare il mancato pagamento, poiché il pagamento integra un fatto estintivo, la cui prova incombe al debitore che l'eccepisca; soltanto di fronte alla comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva, e cioè puntualmente eseguito con riferimento ad un determinato credito, l'Onere della prova viene nuovamente a gravare sul creditore, il quale controdeduca che il pagamento deve imputarsi a un credito diverso. L'Onere del convenuto di provare il fatto estintivo rappresenta, perciò, un prius logico rispetto all'onere di provare la diversa imputazione del pagamento, nel senso che l'onere del

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creditore acquista la sua ragion d'essere soltanto dopo che il debitore abbia dato la prova esauriente e completa del fatto estintivo.

● Cass., Sez. 3, 28 novembre 1995, n. 12305. Pres. Bile, est. Vittoria.

Quando una parte agisce per l'adempimento di un proprio credito ed il convenuto dimostra di aver pagato delle somme, ancorché senza imputazione a quel credito, ma allegando di averlo così adempiuto parzialmente o per l'intero, spetta all'attore, il quale intenda sostenere che quel pagamento, in applicazione delle regole stabilite dall'art. 1193, secondo comma, cod. civ., doveva essere imputato ad altro credito già scaduto, dare la prova dell'esistenza di quest'ultimo.

● La sentenza così motiva:

«9. — Il sesto ed ultimo motivo del ricorso principale denunzia vizi di violazione di norme di diritto e di norme sul procedimento (art. 360 nn. 3 e 4 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 112 e 116 dello stesso codice ed all'art. 1181 cod. civ.) I ricorrenti sostengono che il tribunale non avrebbe potuto rifiutarsi di esaminare le fotocopie dei vaglia prodotte a dimostrazione dell'avvenuto parziale pagamento delle somme da loro dovute, fotocopie che erano state prodotte su sollecitazione dello stesso collegio; osservano che dall'esame dei vaglia, mercè i chiarimenti richiesti, era agevole giungere alla determinazione delle somme pagate.

Il motivo, per le ragioni di seguito esposte, non consente la cassazione del punto della decisione contro cui è rivolto.

Gli attuali ricorrenti, nel proporre appello, avevano dedotto di aver pagato, con vaglia postali, somme superiori a quelle accertate dal pretore.

Risulta dalla motivazione della sentenza, ma anche dal motivo di ricorso, che i vaglia postali indicati nel ricorso in appello non erano stati depositati con questo, ma solo nell'udienza di discussione, dopo che il collegio del tribunale aveva richiesto alle parti chiarimenti sul punto.

Il tribunale ha detto che "A prescindere dall'irritualità della produzione" gli atti prodotti, "per la loro genericità" trattandosi di versamenti per cifre variabili dalle centomila lire al milione, "e per la mancanza di ogni imputazione di pagamento" non consentivano la ricostruzione del reciproco ed avere.

La decisione del tribunale si presenta sorretta da un duplice argomento e come tale è stata intesa e sottoposta a critica da parte del ricorrenti.

Orbene, il secondo argomento non è conforme a diritto.

Quando una parte agisce per l'adempimento d'un proprio credito ed il convenuto dimostra di aver pagato delle somme, ancorché senza imputazione a quel credito, ma allegando di averlo così adempiuto parzialmente o per l'intero, spetta all'attore, il quale intenda sostenere che quel pagamento, in applicazione delle regole stabilite dall'art. 1193, comma 2, cod. civ., doveva esser imputato ad altro credito già scaduto, dare la prova della sua esistenza (Cass. 11.5.1982 n. 2947, 11.7.1979 n. 4004): il tribunale, dunque, svolge un ragionamento illogico e contrario a diritto, quando sostiene che il vario importo dei pagamenti e la mancanza di imputazione al credito di cui si discuteva li rendevano inidonei alla prova di quanto sostenuto dagli appellanti.

È invece conforme a diritto il primo argomento, l'impiego del quale avrebbe anzi dovuto far sì che il tribunale si astenesse dall'esame del contenuto dei documenti».

► La sentenza merita di essere segnalata perché riguarda un caso in cui è stata ritenuta l'applicabilità della disciplina dell'imputazione di pagamento con riguardo ad i rapporti di dare ed avere derivanti dalla stipulazione del medesimo contratto di locazione.

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● Cass., Sez. 2, 27 luglio 2006, n. 17102. Pres. Elefante, est. Ebner.

Quando il debitore abbia dimostrato di avere corrisposto somme idonee ad estinguere il debito per il quale sia stato convenuto in giudizio, spetta al creditore-attore, che pretende di imputare il pagamento ad estinzione di altro credito, provare le condizioni necessarie per la dedotta, diversa, imputazione, ai sensi dell'art. 1193 cod. civ.

○ Sono conformi: Cass., Sez. 2, 26 giugno 2006, n. 14741. Pres. Pontorieri, est. Bognanni. Cass., Sez. 2, 19 gennaio 2005, n. 1064. Pres. Pontorieri, est. Oddo. Cass., Sez. 3, 5 agosto 2002, n. 11703. Pres. Giustiniani, est. Perconte Licatese. Cass., Sez. 2, 12 febbraio 2000, n. 1571. Pres. Baldassarre, est. Mazzacane. Cass., Sez. 2, 15 dicembre 1999, n. 14071. Pres. Baldassarre, est. Paolini Zambelli. Cass., Sez. 2, 5 maggio 1998, n. 4519. Pres. Volpe, est. Annunziata. Cass., Sez. 3, 11 marzo 1994, n. 2369. Pres. Longo, est. De Aloysio. Cass., Sez. 2, 15 dicembre 1988, n. 6823. Pres. Parisi, est. Anglani. Cass., Sez. 2, 13 aprile 1987, n. 3655. Pres. Lo Coco, est. Anglani. Cass., Sez. 3, 12 dicembre 1986, n. 7417. Pres. Lo Surdo, est. Taddeucci. Cass., Sez. 3, 6 novembre 1986, n. 6509. Pres. Bile, est. Giuliano. Cass., Sez. 2, 15 gennaio 1986, n. 173. Pres. Carotenuto, est. Viale. Cass., Sez. 3, 30 luglio 1985, n. 4379. Pres. Scribano, est. Iannotta. Cass., Sez. L, 17 maggio 1985, n. 3053. Pres. Pennacchia, est. Ravagnani. Cass., Sez. 3, 21 febbraio 1980, n. 1256. Pres. Pedace, est. Guerrieri. Cass., Sez. 3, 11 luglio 1979, n. 4004. Pres. Moscone, est. Sebastio. Cass., Sez. 2, 26 marzo 1979, n. 1753. Pres. Ferrati, est. Maresca. Cass., Sez. 2, 8 febbraio 1979, n. 869. Pres. Pratis, est. Parisi. Cass., Sez. 2, 3 novembre 1978, n. 4986. Pres. Novelli, est. Colasurdo. Cass., Sez. 3, 23 febbraio 1978, n. 912. Pres. Sbrocca, est. Sebastio. Cass., Sez. 3, 22 luglio 1976, n. 2920. Pres. Stile, est. Ferrero. Cass., Sez. 1, 1° giugno 1976, n. 1977. Pres. Mirabelli, est. Valore. Cass., Sez. 3, 13 ottobre 1975, n. 3304. Pres. Pedroni, est. Iliceto. Cass., Sez. 2, 14 febbraio 1975, n. 580. Pres. Novelli, est. Baroni. Cass., Sez. 3, 28 settembre 1973, n. 2450. Pres. Maccarone, est. Ridola. Cass., Sez. 3, 27 luglio 1973, n. 2194. Pres. Boccia, est. Palladino. Cass., Sez. 2, 5 marzo 1973, n. 595. Pres. Rossi, est. Carotenuto. Cass., Sez. 2, 6 ottobre 1972, n. 2880. Pres. Pratillo, est. Berri. Cass., Sez. 3, 11 luglio 1972, n. 2339. Pres. Malfitano, est. Ferrero. Cass., Sez. 3, 4 gennaio 1972, n. 50. Pres. Malfitano, est. Pedroni. Cass., Sez. 3, 19 settembre 1970, n. 1606. Pres. Vinci Orlando, est. Auriti. Cass., Sez. 3, 14 aprile 1970, n. 1031. Pres. Vallillo, est. Grimaldi. Cass., Sez. 1, 3 maggio 1969, n. 1467. Pres. Stella Richter, est. Virgilio. Cass., Sez. 3, 14 aprile 1969, n. 1193. Pres. Maccarone, est. Lania.

● Cass., Sez. 3, 9 gennaio 2007, n. 205. Pres. Preden, est. Calabrese.

Il creditore che agisce per il pagamento di un suo credito è tenuto unicamente a fornire la prova del rapporto o del titolo dal quale deriva il suo diritto e non anche a provare il mancato pagamento, poiché il pagamento integra un fatto estintivo, la cui prova incombe al debitore che l'eccepisca; soltanto di fronte alla comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva (cioè puntualmente eseguito con riferimento ad un determinato credito) l'onere della prova viene nuovamente a gravare sul creditore, il quale controdeduca che il pagamento deve imputarsi ad un credito diverso o più antico.

● Cass., Sez. 2, 18 dicembre 1999, n. 14282. Pres. Paolini, est. Goldoni.

Qualora il convenuto per il pagamento di un determinato debito eccepisca di nulla dovere per avere già effettuato il pagamento, il creditore, che neghi l'imputabilità di tale pagamento al debito

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dedotto in giudizio, non può limitarsi ad allegare e provare l'esistenza di più debiti della controparte stessa, ma deve altresì provare che gli stessi sono scaduti oppure, in caso di debiti omogenei, che l'imputazione va fatta proporzionalmente ad essi.

25. Il congegno di spostamento dell'onere della prova opera anche nei confronti del terzo che abbia cagionato il preteso inadempimento del debitore.

● Cass., Sez. 1, 5 luglio 2002, n. 9815. Pres. Grieco, est. Di Amato.

Il principio secondo cui, quando il debitore ha dimostrato di avere eseguito i pagamenti idonei ad estinguere il debito per il quale sia stato convenuto in giudizio, spetta al creditore che assuma doversi imputare questi pagamenti ad estinzione di altre sue ragioni dimostrare le condizioni necessarie della dedotta, diversa imputazione (nessun onere al riguardo incombendo al debitore), rileva anche nei rapporti tra il creditore ed il terzo al quale il creditore addebiti l'evento dannoso rappresentato dall'inadempimento del debitore. In questo caso il creditore danneggiato non può limitarsi a provare il credito verso il debitore, ma deve dare anche prova dell'inadempimento del debitore, poiché tale inadempimento rappresenta il danno provocato dal terzo e, quindi, va ad integrare la fattispecie costitutiva della sua pretesa. Se, tuttavia, il terzo, invertendo parzialmente l'onere probatorio, produce documenti dai quali risultino pagamenti del debitore astrattamente idonei ad estinguere il credito (e, quindi, ad escludere il danno), il creditore non può limitarsi ad allegare la molteplicità dei rapporti intercorsi con il debitore e la non riferibilità dei pagamenti ai crediti che assume essere rimasti inadempiuti, ma deve dare la prova di tali diverse imputazioni.

26. Il congegno di spostamento dell'onere della prova sul creditore opera anche in caso di pagamento al creditore apparente.

● Cass., Sez. 2, 30 marzo 2000, n. 3893. Pres. Volpe, est. Mensitieri.

In tema di pagamento al creditore apparente, al fine di escludere la buona fede del debitore e la conseguente applicabilità del principio sancito — a tutela dell'affidamento del debitore stesso — dalla norma di cui all'art. 1189 cod. civ., qualora quest'ultimo, nell'eseguire il pagamento, dimostri di avere corrisposto al creditore apparente (o a chi appaia autorizzato a riceverlo per conto del creditore) somma idonea all'estinzione del debito, e l'attore, titolare del credito della cui estinzione si controverte, controdeduca che l'eseguito pagamento è da imputare ad un debito diverso da quello dedotto in giudizio, è sull'attore che incombe l'onere di provare l'esistenza del diverso rapporto che lo giustifica, intercorso — in ipotesi — tra il convenuto debitore ed il terzo a cui il pagamento fu effettuato.

○ È conforme: Cass., Sez. 2, 14 gennaio 1975, n. 150. Pres. Ferrati, est. Parisi.

27. Il congegno di spostamento dell'onere della prova su creditore non opera in caso di ricognizione o novazione.

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● Cass., Sez. 3, 23 aprile 1979, n. 2291. Pres. Moscone, est. Sebastio.

Il principio in forza del quale il creditore, a fronte della dimostrazione, da parte del debitore, di un pagamento astrattamente idoneo all'estinzione dell'obbligazione dedotta in giudizio, e tenuto, ove invochi la ricorrenza di una pluralità di rapporti obbligatori, a fornire la prova dell'assunta imputabilità di detto versamento a un credito diverso da quello azionato, non opera nel caso in cui, in data successiva al versamento medesimo, quest'ultimo credito sia stato oggetto di novazione o ricognizione, o comunque di atto idoneo ad accertarne la persistenza implicando ciò un'implicita esclusione della concreta riferibilità ad esso di pregressi pagamenti.

28. Il congegno di spostamento dell'onere della prova sul creditore opera quando il pagamento è stato effettuato mediante emissione o girata di cambiali?

a) non può operare, perché opera invece la presunzione di esistenza del rapporto obbligatorio fondato sul titolo di credito.

● Cass., Sez. 3, 18 ottobre 2005, n. 20134. Pres. Fiduccia, est. Travaglino.

Il principio secondo cui, quando il convenuto per il pagamento di un debito dimostri di aver corrisposto una somma di denaro idonea all'estinzione del medesimo, spetta al creditore, il quale sostenga che il pagamento sia da imputare all'estinzione di un debito diverso, allegare e provare di quest'ultimo l'esistenza, nonché la sussistenza delle condizioni necessarie per la dedotta diversa imputazione, non può trovare applicazione nel caso in cui il debitore eccepisca l'estinzione del debito fatto valere in giudizio per effetto dell'emissione (o girata) di cambiali andate a buon fine, atteso che, implicando tale emissione (o girata) la presunzione di un rapporto fondamentale idoneo a giustificare la nascita di un'obbligazione cartolare, resta a carico del debitore convenuto l'onere di superare tale presunzione, dimostrando il collegamento tra il precedente debito azionato ed il successivo debito cartolare, con la conseguente estinzione del primo per effetto del pagamento delle cambiali.

● Il brano della sentenza dedicato al tema è il seguente:

«Nel lamentare violazione e falsa applicazione degli artt. 1193, 1988, 2697 c.c.; carenza di motivazione su un punto decisivo della controversia, i ricorrenti osservano che, nonostante la rituale proposizione, in sede di appello, della doglianza secondo cui il principio di diritto applicato dal giudice di primo grado, e sostanzialmente confermato in sede di gravame — principio secondo il quale, allorché il debitore convenuto per l'adempimento di un'obbligazione pecuniaria fornisca la prova di un pagamento, pur in assenza di imputazione, astrattamente idoneo ad estinguere il credito, spetta all'attore il quale alleghi che quel pagamento doveva in realtà essere imputato ad un credito diverso fornire la prova dell'esistenza di quest'ultimo (nonché della sussistenza delle condizioni necessarie per la dedotta, diversa imputazione, ai sensi dell'art. 1193, comma II c.c.) -, non potesse trovare applicazione nella specie, e cioé ogni qual volta il debitore eccepisca di aver estinto il debito fatto valere in giudizio tramite l'emissione di cambiali, ancorché regolarmente pagate, atteso che l'emissione delle stesse racchiude in sé la presunzione di un rapporto fondamentale idoneo a giustificare la nascita dell'obbligazione cartolare, la Corte d'appello aveva ciononostante ritenuto "poco credibile" e, comunque, "sfornita di riscontri probatori" la prospettazione, da parte degli appellanti, dell'esistenza di un rapporto obbligatorio di mutuo, con ciò ritenendo, in sostanza, che incombesse agli attori l'onere di fornire la prova dell'esistenza del detto rapporto contrattuale.

Il motivo è fondato.

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Questa Corte ha, difatti, più volte affermato (Cass. sez. II, 12.8.1977, n. 3735; sez. I, 11.2.1985, n. 1121; sez. II 9.10.1997, n. 9784) che il principio, secondo cui, quando il convenuto per il pagamento di un debito dimostri di aver corrisposto una somma di denaro idonea all'estinzione del medesimo, spetta al creditore, il quale sostenga che il pagamento sia da imputare all'estinzione di un debito diverso, allegare e provare l'esistenza di tale ultimo debito, nonché la sussistenza delle condizioni necessarie per la dedotta diversa imputazione, non può trovare applicazione ove dal debitore si eccepisca l'estinzione del debito fatto valere in giudizio per effetto dell'emissione (o girata) di cambiali andate a buon fine, atteso che, implicando tale emissione (o girata) la presunzione di un rapporto fondamentale idoneo a giustificare la nascita di obbligazione cartolare, resta a carico del debitore convenuto di vincere tale presunzione, dimostrando il collegamento fra il precedente debito azionato ed il successivo debito cartolare, con la conseguente estinzione del primo per effetto del pagamento delle cambiali, mentre la Corte cagliaritana ha, in proposito, da un canto invertito inopinatamente tale onere probatorio, ritenendo "poco credibile e comunque sfornita di riscontri probatori" la prospettazione, da parte degli appellanti, dell'esistenza di un rapporto obbligatorio di mutuo; dall'altro, anziché richiedere alla società appellata la prova rigorosa dell'insussistenza di un rapporto sottostante a quello cambiario, con conseguente, inequivoca imputabilità al rapporto di locazione delle somme indicate nei titoli cartolari, sostituendo all'attività dimostrativa di parte convenuta proprie, personali, del tutto ipotetiche congetture, il più delle volte neanche prospettate dalla stessa società C. (cfr. supra, sub 1, 2, 4, 5 della parte narrativa della presente sentenza)».

● Cass., Sez. 2, 12 agosto 1977, n. 3735. Pres. Ferrati, est. Maresca.

Il debitore che eccepisca l'estinzione del debito portato da una cambiale, ancorche priva di efficacia cartolare, ma pur sempre valida come promessa di pagamento (art 1988 cod civ), sostenendo di aver emesso o girato in favore del creditore altra cambiale andata a buon fine, e della quale, pertanto, abbia ottenuto la restituzione, ha l'onere di provare che il primo titolo sia stato sostituito dal secondo. in difetto di tale dimostrazione, deve ritenersi che le due cambiali rappresentino distinti rapporti obbligatori, con la conseguente inidoneita del possesso dell'una, da parte del debitore, a fornire la prova dell'estinzione dell'altra.

b) opera anche se il pagamento avviene mediante emissione di cambiale o assegno.

● Cass., Sez. 2, 7 giugno 1980, n. 3677. Pres. Moscone, est. Caleca.

Anche se il possesso della cambiale da parte del debitore cartolare fa sorgere una presunzione juris tantum di pagamento del debito incorporato nel titolo, senza, tuttavia, la possibilità di identificazione del rapporto causale, qualora il debitore cambiario convenuto per il pagamento di un debito ne eccepisca il pagamento, producendo le cambiali a suo tempo emesse e ritornate in suo possesso, l'attore il quale opponga che tale pagamento debba imputarsi all'estinzione di un debito diverso da quello incorporato nelle cambiali, è tenuto a provare l'esistenza di quest'altro credito, nonché le condizioni necessarie per la dedotta diversa imputazione a norma dell'art 1193 cod civ.

● Cass., Sez. 1, 22 dicembre 1978, n. 6155. Pres. Aliotta, est. Borruso.

Il principio in forza del quale, ove il debitore dimostri di aver corrisposto al creditore una somma idonea all'Estinzione del debito, spetta al creditore, il quale controdeduca che l'eseguito pagamento e da imputare ad un credito diverso da quello preteso, di fornire la relativa prova, trova applicazione anche nel caso in cui il debitore sostenga che quell'adempimento sia avvenuto a mezzo di emissione di assegno bancario, e la circostanza appaia verosimile in relazione a date ed importi, nel senso

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che, in tale situazione, il creditore, che chieda il pagamento dell'assegno e dell'ulteriore debito, e tenuto a dimostrare la diversa causale dell'emissione dell'assegno.

● Cass., Sez. 2, 17 maggio 1962, n. 1115. Pres. Varallo, est. Iannitti Piromallo.

La funzionale idoneità dell'assegno bancario a concretare un negozio solutorio fa si che colui il quale assuma di averlo ricevuto ad altro titolo debba fornirne la dimostrazione. Sicché la prova di un asserito pagamento, quale fatto estintivo di una obbligazione, può essere validamente fornito con la dimostrazione dell'avvenuta emissione di un assegno, non sussistendo contraddizione tra il valore cosi attribuito al rilascio del titolo e l'astrattezza dello stesso.

c) opera quando il pagamento sia stato effettuato mediante un assegno tratto in data di gran lunga antecedente alla scadenza del debito.

● Cass., Sez. 1, 15 febbraio 2007, n. 3457. Pres. Proto, est. Giusti.

Il principio secondo cui, quando il convenuto per il pagamento di un debito dimostri di avere corrisposto una somma di denaro idonea all'estinzione del medesimo, spetta al creditore-attore, il quale sostenga che il pagamento sia da imputare all'estinzione di un debito diverso, provare di quest'ultimo l'esistenza, nonché le condizioni necessarie per la dedotta diversa imputazione, non trova applicazione nel caso in cui il debitore eccepisca l'estinzione del debito per effetto dell'emissione di un assegno bancario negoziato in favore del creditore prenditore in una data significativamente anteriore a quella in cui il credito fatto valere in giudizio sia divenuto esigibile, giacché proprio la diversità di data, facendo venir meno la verosimiglianza del collegamento tra il credito azionato (nella specie, prima rata di liquidazione della quota in favore del socio uscente) ed il titolo di credito (emesso ancora prima che prendesse effetto il recesso del socio), pone a carico del debitore l'onere di dimostrare la causale dell'emissione dell'assegno e, conseguentemente, che il rilascio del titolo di credito è volto ad estinguere in via anticipata il debito per cui è processo.

● La pronuncia, sul punto, così motiva:

«4.1. — Innanzitutto, non sussiste la lamentata violazione della regola dell'onere della prova, che la Società ricorrente ritiene sussistente sul rilievo che, avendo essa debitrice dimostrato di avere emesso in data 22 dicembre 1995, in favore del creditore, un assegno bancario, andato a buon fine, di importo corrispondente al credito azionato, incombeva al creditore provare che l'eseguito pagamento era da imputare ad un credito diverso (ripartizioni di utili maturati nel corso dell'anno 1995) da quello preteso (prima rata di liquidazione della quota in favore del socio uscente, di cui al patto in previsione del recesso del socio, recante la data del 20 dicembre 2005), divenuto esigibile (in data 30 gennaio 1996) successivamente al rilascio del titolo di credito.

Invero, di regola, quando il convenuto per il pagamento di un debito dimostri di avere corrisposto una somma di denaro idonea all'estinzione del medesimo, spetta al creditore-attore, il quale sostenga che il pagamento sia da imputare all'estinzione di un debito diverso, provare di quest'ultimo l'esistenza, nonchè le condizioni necessario per la dedotta diversa imputazione (Cass., Sez. 3, 5 agosto 2002, n. 11703; Cass., Sez. 2, 27 luglio 2006, n. 17102). Ma questo principio non trova applicazione nel caso in cui il debitore eccepisca l'estinzione del debito per effetto dell'emissione di un assegno bancario negoziato in favore del creditore prenditore in una data significativamente anteriore a quella in cui il credito fatto valere in giudizio sia divenuto esigibile, giacchè proprio la diversità di data, facendo venir meno la verosimiglianza del collegamento tra il credito azionato (nella specie, prima rata di liquidazione della quota in favore del socio uscente) ed il titolo di credito (emesso ancora prima che prendesse effetto il recesso del socio), pone a carico

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del debitore l'onere di dimostrare la causale dell'emissione dell'assegno e, conseguentemente, che il rilascio del titolo di credito è volto ad estinguere in via anticipata il debito per cui è processo (cfr. Cass., Sez. 1, 2 dicembre 1978, n. 6155; e, più in generale, in fattispecie di deduzione del debitore dell'estinzione del debito mediante emissione o girata di cambiali, v. Cass., Sez. 1, 11 febbraio 1985, n. 1121; Cass., Sez. 3, 18 ottobre 2005, n. 20134)».

29. Provato dall'opponente a decreto ingiuntivo il pagamento di una somma idonea ad estinguere un debito fatto valere in via monitoria, il creditore opposto può chiedere, senza che ciò costituisca domanda nuova, quanto ulteriormente dovuto in forza dei rapporti di dare ed avere tra le parti

● Cass., Sez. 2, 11 novembre 2008, n. 26945. Pres. Vella, est. Trombetta.

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo nel quale l'opponente eccepisca e dimostri di aver corrisposto una somma idonea ad estinguere l'obbligazione posta a base del provvedimento monitorio, non costituisce domanda nuova, all'interno dello stesso rapporto pluriennale di fornitura incontestatamente intercorso tra le parti, la richiesta di parte opposta volta ad ottenere la differenza tra quanto corrisposto e quanto dovuto, non risultando diverso né il petitum (per la stessa entità della somma residua) né la causa petendi (trattandosi di esposizioni debitorie relative al medesimo rapporto). Spetta però al creditore, attore in senso sostanziale, allegare e dimostrare che il pagamento effettuato debba imputarsi all'estinzione parziale del debito complessivo, estendendo l'indagine all'intero rapporto di fornitura intercorso tra le parti ai fini della verifica dell'efficacia dell'imputazione di pagamento eseguita dal debitore.

● La pronuncia, sul punto, così motiva:

«La sentenza impugnata va confermata, pur modificata in parte nella motivazione.

Se, infatti, è corretta l'affermazione della Corte territoriale secondo cui ove all'attore che agisca per ottenere il pagamento di un debito il convenuto opponga di aver corrisposto una somma idonea ad estinguerlo, spetta all'attore, che sostenga debba imputarsi il suddetto pagamento all'estinzione di altri debiti, provare sia l'esistenza dei crediti corrispondenti che le condizioni necessarie per la diversa imputazione; e se, quindi, è corretta la ratio della decisione che ha respinto la domanda di pagamento per L. 22.133.646 avanzata dalla Floricoltura Ognibeni per non aver essa provato l'esistenza dei rapporti cui imputare la somma di L. 30.622.000, che la Agricola Comelli aveva corrisposto con gli assegni prodotti e che superava sia l'ammontare, da lei riconosciuto, della somma portata dalle fatture specificamente indicate nel ricorso per decreto ingiuntivo, sia la somma richiesta ed ingiunta; non è invece condivisibile l'affermazione della Corte d'Appello che reputa inammissibile estendere l'istruttoria al complesso dei rapporti di forniture piante e fiori intercorsi fra le parti e durati una pluralità di anni, ritenendo che in tal modo venga a mutare, ampliandosi, la pretesa dedotta dalla Floricoltura Ognibeni nel ricorso per decreto ingiuntivo.

Invero, quella che apparentemente, per la sua formulazione, si presenta come domanda nuova e come tale è stata ritenuta dalla Corte d'Appello (cioè la richiesta condanna dell'Agricola Comelli al pagamento delle differenze tra il complessivamente dovuto ed il complessivamente percepito), sottende ed esprime niente altro che la linea difensiva della Floricoltura Ognibeni, volta ad escludere l'effetto estintivo del pagamento opposto dalla Agricola Comelli, la quale facendo valere pagamenti per una cifra superiore a quella ingiuntale, ha necessariamente esteso il campo di indagine all'accertamento dell'esistenza o dell'estinzione degli altri suoi debiti verso la Floricoltura (pacifica essendo fra le parti l'esistenza di un rapporto pluriennale di forniture di piante e fiori); e ciò al fine di verificare a quali delle forniture debbano imputarsi i pagamenti dedotti, questione divenuta centrale nella soluzione della controversia proprio in seguito alla linea difensiva opposta dall'Agricola Comelli.

In tali termini si è già pronunciata questa Corte nella sentenza 474/75.

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La stessa Azienda Agricola Comelli, del resto, (v. controricorso pag. 5) ammette che la somma versata in eccedenza su quella ingiunta si riferisce ad altre forniture intercorse fra le parti, ma ritenendole estranee all'oggetto del presente giudizio, che limita alle sole fatture espressamente indicate nel ricorso per d.i., NON considera che, quantomeno per la somma originariamente richiesta di L. 22.133.646, la domanda formulata dalla Floricoltura Ognibeni e riportata come subordinata nelle conclusioni in calce alla sentenza d'appello, NON è nuova, non avendo subito alcuna modifica rispetto a quella originaria, ne' nel petitum (richiedendosi sempre la medesima somma rispetto a quella indicata nel ricorso per d.i.), ne' nella causa petendi essendo il credito azionato fondato sempre e solo sulle forniture di piante e fiori intercorse fra le parti; e ciò, soprattutto, dovendosi tener conto che il giudizio di merito introdotto con l'opposizione al d.i. proposta dall'Agricola Comelli, è teso ad accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall'opposto, attore in senso sostanziale, e, quindi, ad accertare i fatti costitutivi del diritto in contestazione con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza che decide sull'opposizione (v. sent. 6514/07).

Ciò comporta che, anche ove risultasse accertato che il valore delle fatture specificamente indicate nel ricorso per d.i. aumenti a poco più di L. 6.000.000, come sostiene l'opponente, la domanda formulata dalla Floricoltura Ognibeni NON può ritenersi limitata a quell'ammontare dal momento che: l'estratto autentico notarile delle scritture contabili 11.11.98, pacificamente secondo le parti, allegato al ricorso per d.i. (anche se successivamente non rinvenuto in atti dalla Corte d'Appello) documenta l'esistenza di numerose altre fatture dal 6.5.94 al 24.6.95; le parti riconoscono la durata pluriennale del rapporto; l'Azienda Agricola Comelli oppone pagamenti per un ammantare di molto superiore alle richieste di controparte.

Ne deriva che l'indagine estesa al complesso dei rapporti di forniture di piante e fiori intercorsi fra le parti diventa strumentale "in funzione dell'accoglimento o del rigetto dell'originaria domanda" e consequenziale "all'imputazione di pagamento fatta valere dall'opponente" ed alla sua efficacia, tenuto conto che la facoltà del debitore, di cui all'art. 1193 c.c., di dichiarare quale debito egli intenda estinguere si consuma all'atto del pagamento e diventa(ove esercitata successivamente, inefficace senza l'adesione del creditore.

La giurisprudenza di legittimità, in recenti pronunce, non contrasta quanto sopra esposto quando, nel confermare il divieto per l'opposto di formulare domande nuove nel giudizio di merito introdotto dalla opposizione dell'ingiunto, ritiene tali quelle che comportano la integrale sostituzione del titolo della domanda (v. sent. 6022/07; 13086/07); mentre reputa semplice "emendatio" (ritenuta in sè ammissibile) l'estensione nel giudizio di opposizione della richiesta di pagamento di contributi previdenziali ed accessori ad un periodo più ampio di quello indicato nel ricorso per decreto ingiuntivo (v. sent. 7688/04)».

► Il principio affermato non sembra persuasivo. Se il ricorrente in monitorio chiede la somma X in pagamento di una determinata fattura ed il debitore, in sede di opposizione, dimostra di aver pagato un importo idoneo all'estinzione di quel debito, il creditore può senz'altro dimostrare che il pagamento effettuato deve essere invece imputato ad un diverso debito dello stesso debitore e che questi, pertanto, è effettivamente e tuttora tenuto al pagamento della somma X ai fini dell'estinzione del debito documentato mediante la fattura, ma non può invece chiedere la somma Y riferita all'altra o ad altre fatture. E ciò perché una simile domanda, è nuova non solo sotto il profilo del petitum, ma anche della causa petendi, giacché fondata su un diverso rapporto contrattuale. Il riferimento a Cass. n. 474 del 1975, d’altronde, non risulta essere in termini.

30. L'onere probatorio in caso di quietanza riferita a più titoli.

● Cass., Sez. L, 22 gennaio 1980, n. 522. Pres. Alibrandi, est. Nocella.

Nell'ipotesi in cui un pagamento si riferisca a diversi titoli, menzionati nel documento di quietanza, non incombe al creditore dimostrare le singole imputazioni, ma compete al debitore, secondo i normali principi di distribuzione dell'onere probatorio, provare l'imputazione del pagamento ad uno piuttosto che ad altro titolo.

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Art. 1194

Imputazione del pagamento agli interessi

Il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore.

Il pagamento fatto in conto di capitale e d'interessi deve essere imputato prima agli interessi.

Le questioni. I. Secondo l'opinione del tutto prevalente il primo comma della norma in commento pone un limite alla facoltà di imputazione altrimenti spettante al debitore ai sensi dell'art. 1193, primo comma, c.c., limite esclusivamente valicabile grazie al consenso del creditore.

Questa tesi è avversata da chi obietta che l'imputazione del pagamento agli interessi si collocherebbe al di fuori della disciplina dell'imputazione, giacché l'art. 1194 c.c. fa riferimento non già ad una pluralità di debiti, ma ad un debito unico articolato in capitale, interessi e spese. Poiché, dunque, la norma regola (com’è indubbio) un'ipotesi di pagamento parziale, essa sarebbe estranea alla materia della vera e propria imputazione, concernente il solo caso di più debiti distinti (ma v., in proposito, sub art. 1193 c.c., Le questioni, II, ove si dà conto della diversa opinione secondo cui l'art. 1194 c.c. testimonierebbe l'applicabilità della disciplina dell'imputazione di pagamento non soltanto in caso di pluralità di rapporti obbligatori, ma anche di pluralità di prestazioni dovute in forza del medesimo rapporto obbligatorio).

II. È generalmente ritenuto, inoltre, che la ratio della norma risieda nel conservare al creditore il beneficio dell'ulteriore fruttificazione del capitale (p. es. DI MAJO, Pagamento, cit., 567; NATOLI, op. cit., 149; in giurisprudenza espressamente, di recente, Cass., Sez. 3, 23 febbraio 2005, n. 3748. Pres. Vittoria, est. Perconte Licatese, cit. infra, n. 14)

III. L'imputazione del pagamento al capitale invece che agli interessi è consentita con il consenso del creditore, consenso che può risultare non soltanto da dichiarazione espressa, ma anche da fatti concludenti. Si discute, in proposito, se detto consenso possa essere desunto dal fatto stesso dell'accettazione del pagamento effettuato dal debitore ed imputato non agli interessi ma al capitale. A fronte dell'opinione dottrinale che ammette simile ricostruzione della volontà del creditore (BELLELLI, op. cit., 67) sta la contraria affermazione della giurisprudenza, la quale osserva invece che dalla lettera dell'art. 1194 c.c. non può dedursi un onere del creditore che non voglia accettare l'imputazione del pagamento parziale al capitale di rifiutare il pagamento medesimo. Sicché bene il creditore può accettare il pagamento imputato dal debitore al capitale e pretendere che sia al contrario imputato come per legge (v. in tal senso, Cass., Sez. L, 21 gennaio 2004, n. 975. Pres. Sciarelli, est. Cataldi, cit., infra, n. 6).

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Sul piano del riparto degli oneri probatori, poi, è il debitore a dover provare il consenso del creditore all'imputazione del pagamento parziale al capitale, mentre per il creditore la deduzione di non aver prestato tale consenso costituisce mera difesa.

IV. La giurisprudenza del tutto prevalente ritiene che la norma in commento trovi applicazione soltanto in caso che il debito degli interessi sia certo, liquido ed esigibile, con la conseguenza che, in caso di debiti non ancora esigibili, illiquidi o incerti, il debitore non sia assoggettato al divieto di imputazione del pagamento parziale prima agli interessi che al capitale. Non manca però una pronuncia postasi consapevolmente in contrasto con l'orientamento prevalente (Cass., Sez. 3, 23 febbraio 2005, n. 3748. Pres. Vittoria, est. Perconte Licatese, cit. infra, n. 14).

L'indirizzo più diffuso trova ampia applicazione, in particolare, in tema di obbligazioni risarcitorie del danno aquiliano, riguardo alle quali i pagamenti parziali possono dunque essere liberamente imputati al capitale.

V. Con riguardo all'imputazione delle spese, occorre rammentare che, ai sensi dell'art. 1208, n. 3, c.c., l'offerta di pagamento deve estendersi anche ad esse, sia liquide che non liquide, in quest'ultimo caso per una somma approssimativa «con riserva di un supplemento, se è necessario». Ciò vuol dire che il pagamento parziale, in ossequio al disposto dell'art. 1194 c.c., deve essere imputato agli interessi, alle spese liquide e, in una misura da individuarsi approssimativamente, a quelle non liquide. Il resto, infine, viene imputato al capitale.

VI. Il secondo comma dell'art. 1194 c.c. è volto a dirimere il dubbio che si presenta quando il pagamento è fatto senza ulteriori precisazioni in conto sia di capitale che di interessi.

1. Il criterio di imputazione legale dettato dalla norma prevale sulla volontà del debitore.

● Cass., Sez. 3, 22 maggio 1973, n. 1492. Pres. Stile, est. Colesanti.

Le norme circa l'imputazione legale del pagamento hanno carattere suppletivo, prevalendo su di esse la volontà espressa dal debitore, salvo il disposto dell'art. 1194 relativo all'imputazione del pagamento agli interessi.

2. L'imputazione prioritaria agli interessi opera soltanto in caso di pagamenti volontari?

a) sì.

● Cass., Sez. L, 29 luglio 2008, n. 20574. Pres. Senese, est. Roselli.

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L'art. 1194 cod. civ., che prescrive di imputare i pagamenti parziali prima agli interessi e quindi al capitale, si riferisce esclusivamente ai pagamenti volontari e non a quelli eseguiti coattivamente per ordine del giudice. (Fattispecie in tema di ordinanza provvisoria ex art. 423 cod. proc. civ., ritenuta dalla S.C. comprensiva di capitale ed accessori maturati fino al momento della sua emanazione).

● La sentenza così motiva:

«Col primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 1194 c.c., e artt. 112, 423, 429, 433, 434 c.p.c., e vizi di motivazione, per avere la Corte d'appello negato l'imputazione agli interessi, prima che al capitale, di quanto pagato dal debitore in esecuzione dell'ordinanza emessa dal Tribunale ai sensi dell'art. 425 cit. Il motivo non può essere accolto poiché il criterio di imputazione del casamento, ad interessi e spese prima che ai capitale, indicato nell'art. 1194 c.c., vale per i pagamenti spontanei e non per quelli coattivi, come sono quelli imposti dal Giudice (Cass. 18 ottobre 1991 n. 11014; 11 gennaio 1997 n. 238; Cons, Stato, Sez. 4^, 9 febbraio 1998 n. 253).

Nel caso di specie, la Corte d'appello ha esattamente ritenuto legittima l'ordinanza provvisoria del Tribunale, corrispondente alla previsione dell'art. 423 cit., e della quale l'attuale ricorrente non sostiene ora un'errata esecuzione. Deve intendersi che essa comprenda capitale e accessori maturati fino al momento della sua emanazione».

● Cass., Sez. L, 17 settembre 1991, n. 9668. Pres. Antoci, est. Giannantonio.

Le somme non contestate di cui il giudice abbia disposto il pagamento con ordinanza nel corso del giudizio ai sensi dell'art. 423 cod. proc. civ. debbono essere imputate al capitale e non agli interessi che risulteranno dovuti all'esito del processo.

● Cass., Sez. L, 12 giugno 1982, n. 3596. Pres. Coletti, est. Genghini.

L'ordinanza con la quale il giudice del lavoro dispone, ai sensi dell'art. 423 cod. proc. civ., il pagamento di somme non contestate o, comunque, relative al diritto che ritiene accertato ha una peculiare natura, che la distingue dalla condanna provvisionale di cui all'art. 278 cod. proc. civ., e le somme stesse, così assegnate, debbono essere imputate al capitale e non agli interessi che risulteranno definitivamente dovuti all'esito del processo, sul capitale complessivamente liquidato, tenendosi conto al riguardo che tale somme possono essere produttive di interessi solo fino al momento in cui se ne verifica la percezione in via anticipata rispetto al residuo del detto capitale complessivo.

b) no.

● Cass., Sez. 3, 27 luglio 2001, n. 10281. Pres. Di Nanni, est. Talevi.

La normativa contenuta nell'art. 1194 cod. civ. contiene criteri di imputazione dei pagamenti di carattere generale, pertanto applicabili non solo nell'ambito del processo di cognizione ma anche nell'ambito del processo di esecuzione.

● La sentenza è così motivata:

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«Divenuto esecutivo il decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del Tribunale di Udine al n. 2241/83 in data 7.10.83 a favore della S.r.l. AEDIFICAT COSTRUZIONI e nei confronti di GALLERIO Anna e AITA Idana per il pagamento di lire 16.000.000, somma capitale, oltre accessori e spese, la Curatela del Fallimento della S.r.l. predetta intimava con atto 24 luglio 1992 alle ingiunte Gallerio e Aita precetto per il pagamento di totali lire 38.142.470 oltre accessori. […] Con il terzo motivo il ricorrente denuncia "Falsa ed errata applicazione dell'art. 1194 c.c. e difetto di motivazione" rilevando in estrema sintesi: — A) che "...la somma (L. 7.148.266) pagata dal terzo pignorato alla Curatela era inferiore all'importo relativo agli interessi e spese esposti nell'atto di precetto 10.4.89...." precedente a quello in questione, con la conseguenza che detto pagamento "... doveva essere imputato — ed è stato effettivamente imputato nell'atto di precetto de quo — a parziale deconto del credito per interessi, rivalutazione e spese...", — B) che "... poiché nell'atto di precetto oggetto del presente giudizio di opposizione gli interessi e la rivalutazione per il periodo durante il quale il terzo pignorato ha effettuato le trattenute mensili nei confronti della Aita sono stati conteggiati sempre e soltanto sul capitale (che comunque, come detto, non è stato in alcun modo ridotto a seguito dei pagamenti da parte del terzo), è chiaro che la questione concernente l'individuazione della data da considerarsi ai fini del pagamento è in realtà del tutto indifferente... ". In altri termini, se si segue la tesi (in parte implicita) di detto ricorrente si deve concludere che ogni problematica in diritto concernente il momento a cui si deve far riferimento ai fini del computo di interessi e rivalutazione (se quando il terzo trattiene mensilmente le singole somme; ovvero quando l'importo totale entra nella disponibilità del creditore) diviene irrilevante posto che comunque (qualunque di tali due tesi in diritto si segua) ai sensi dell'art. 1194 cit. nella specie quanto pagato non ha inciso sul capitale (che è rimasto integralmente dovuto).

Deve dunque ritenersi indubbia la pregiudizialità del terzo motivo sul primo ("Violazione e/o errata applicazione degli artt. 1176 e segg. c.c. e degli artt. 543 e segg. c.p.c.") concernente appunto la questione di diritto supra esposta. A questo punto appare palese anche la pregiudizialità con riferimento al secondo motivo "Violazione e/o errata applicazione degli artt. 2697 c.c. e 112 c.p.c." che concerne in sostanza la possibilità di attribuire alla volontà del creditore il fatto che questi abbia percepito l'importo "in unica soluzione".

Il terzo motivo di ricorso (certamente ammissibile indipendentemente da ogni indagine circa la sua novità in quanto la possibilità e l'interesse a proporlo sono sorti solo in seguito alla decisione di secondo grado ed alla relativa motivazione) deve ritenersi (nella sua parte essenziale) fondato in quanto il Giudice di secondo grado ha valutato le problematiche in questione prescindendo completamente dall'art. 1194 c.c..

A tal proposito va ribadito il seguente principio di diritto (cfr. tra le altre Cass. n. 1994 del 10/07/1973): la normativa contenuta nell'art. 1194 c.c. ("Imputazione del pagamento agli interessi") contiene criteri di imputazione dei pagamenti di carattere generale e pertanto applicabili non solo nell'ambito del processo di cognizione ma anche nell'ambito del processo di esecuzione.

La Corte di Appello avrebbe pertanto dovuto valutare la fattispecie alla luce di tale normativa tenendo tra l'altro presente che le argomentazioni in diritto ed in fatto del debitore (da essa in concreto accolte) avrebbero perso ogni rilevanza (con la conseguenza che non avrebbero potuto neppure essere esaminate) qualora l'eventuale corresponsione immediata al creditore di ogni singola somma trattenuta mensilmente non fosse stata comunque idonea (sulla base della normativa in questione) a coprire tutte le spese e gli interessi esigibili sino al momento della corresponsione stessa, ed a diminuire inoltre il capitale».

● Cass., Sez. 3, 10 luglio 1973, n. 1994. Pres. Bocci, est. Ridola.

Il criterio legale di cui all'art. 1194 cod. civ. — di imputare i pagamenti agli interessi e alle spese, prima che al capitale — è applicabile anche in sede di opposizione all'esecuzione motivata dall'asserito pagamento del credito per il quale si procede.

► Sul tema dell’applicabilità della disciplina dell’imputazione di pagamento ai pagamenti non volontari v. pure sub art. 1193 c.c..

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3. La norma si applica anche in materia di titoli di credito.

● Cass., Sez. 3, 20 luglio 1993, n. 8063. Pres. Sciolla Lagrange Pusterla, est. Di Nanni.

I principi in materia di imputazione di pagamenti, dispositivamente stabiliti negli artt. 1193 e 1194 cod. civ., in particolare il principio per cui il pagamento che non estingua tutte le obbligazioni del debitore deve essere imputato prima agli interessi già scaduti e poi al capitale (diversamente il capitale, venendo pagato, cesserebbe di produrre interessi), è applicabile anche in materia di titoli di credito, per cui, in caso di pagamento parziale di una cambiale, adempiuta l'obbligazione degli interessi, resta in piedi (in tutto o in parte) quella relativa al capitale, che può esser fatta valere secondo le caratteristiche proprie del titolo.

● La pronuncia così motiva:

«La debitrice, infatti, ha censurato la sola correttezza del procedimento di imputazione e non la sua esattezza. Il problema che il motivo pone è, quindi quello della corretta applicazione da parte della sentenza impugnata delle disposizioni in tema di imputazione di pagamenti.

4.3. Il pagamento di una somma di denaro effettuato da chi è debitore di una pluralità di debiti è regolato dalle disposizioni contenute negli artt. 1193 e 1194 cod. civ., nel senso che, dispositivamente, sono stabiliti i criteri di imputazione dei pagamenti.

In particolare è stabilito (art. 1194 cit.) che il pagamento che non estingue tutte le obbligazioni del debitore deve essere imputato prima agli interessi già scaduti e poi al capitale: diversamente il capitale, venendo pagato, cesserebbe di produrre interessi. Questa regola vale anche quando i vari crediti sono portati da titoli diversi, in quanto la norma presuppone unicamente l'omogeneità (nel senso "della stessa specie", per come si esprime l'art. 1193, cit.) dei debiti e non certo la loro assoluta identità. Da questa premessa discende che, adempiuta l'obbligazione degli interessi attraverso il procedimento di imputazione, quella relativa al capitale resta (in tutto o in parte) in piedi e può essere fatta valere dal creditore secondo le caratteristiche del credito, compresa quella che esso è portato da titoli di credito. 4.4. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di questi principi, dichiarando che i pagamenti erano stati correttamente imputati prima agli interessi scaduti e che "le cambiali poste alla base della procedura esecutiva non potevano considerarsi pagate". Ed infatti, i titoli di credito non potevano considerarsi interamente pagati, in quanto le somme che la Gramellini aveva versato non avevano estinto (completamente) le obbligazioni cambiarie, l'adempimento delle quali è stato chiesto quindi, correttamente dal Casadei attraverso il procedimento esecutivo».

4. La norma non si applica alla rivalutazione dei crediti di lavoro.

● Cass., Sez. L, 2 aprile 1982, n. 2034. Pres. Franceschelli, est. Ravagnani.

La rivalutazione dei crediti di lavoro, prevista dall'art. 429 terzo comma cod. proc. civ. non costituisce un accessorio dei crediti stessi sotto il profilo di un successivo incremento dei medesimi, ma è uno strumento per la loro quantificazione secondo i valori monetari in atto al momento della liquidazione, talché, ove tali crediti siano controversi, l'adempimento parziale posto in essere dal debitore in corso di causa non dà luogo ad alcuna possibilità di imputazione del pagamento secondo le previsioni degli artt. 1193 e 1194 cod. civ., ma costituisce una causa di estinzione parziale del credito, la cui rivalutazione deve essere necessariamente calcolata per il tempo successivo, fino alla data della decisione e soltanto sulla differenza ancora dovuta al lavoratore.

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5. Non spetta al creditore dedurre l'imputazione agli interessi, ma grava anzi sul debitore allegare e provare che il creditore aveva consentito l'imputazione al capitale.

● Cass., Sez. 3, 9 ottobre 2003, n. 15053. Pres. Duva, est. Amatucci.

Il criterio legale di imputazione del pagamento agli interessi anziché al capitale (in difetto del consenso del creditore) di cui all'art. 1194 cod. civ. non costituisce fatto che debba essere specificamente dedotto in funzione del raggiungimento di un determinato effetto giuridico, risolvendosi, per converso, in una conseguenza automatica di ogni pagamento, con la conseguenza che non incombe sul creditore l'onere di dedurre i limiti estintivi del pagamento sul capitale, ma grava sul debitore quello di allegare che il detto creditore aveva consentito che il pagamento fosse imputato al capitale anziché agli interessi.

○ È conforme: Cass., Sez. 1, 20 maggio 2005, n. 10692. Pres. Proto, est. Rordorf.

● Cass., Sez. 3, 14 marzo 1988, n. 2434. Pres.-est. Schermi.

In tema di imputazione di pagamento, ai sensi del primo comma dell'art. 1194 cod. civ. — secondo cui il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi ed alle spese, senza il consenso del creditore — qualora il debitore convenga in giudizio il creditore per l'accertamento dell'estinzione del credito a seguito di una pluralità di successivi pagamenti, pretendendo di imputarli prima al capitale e poi agli interessi ed alle spese, ha l'onere di allegare e provare il consenso del creditore a siffatta imputazione, trattandosi di condizione dell'azione, la cui esistenza o meno deve essere accertata d'ufficio dal giudice, e con riguardo alla quale la deduzione del convenuto creditore circa la mancanza del suo consenso, configura una mera difesa, diretta a sollecitare il relativo potere-dovere da parte del giudice, come tale proponibile in ogni momento del giudizio di merito e, quindi, anche nella comparsa conclusionale di appello.

6. Se il creditore accetta il pagamento imputato a capitale e non ad interessi, non per questo accetta l'imputazione, né è tenuto a rifiutare il pagamento.

● Cass., Sez. L, 21 gennaio 2004, n. 975. Pres. Sciarelli, est. Cataldi.

Poiché l'art. 1194 cod. civ. contiene un criterio legale di imputazione, in forza del quale il debitore, senza il consenso del creditore, non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi e alle spese, allorquando il creditore corrisponda una parte soltanto della somma complessivamente dovuta, e dia quindi luogo ad un adempimento parziale, è facoltà del creditore accettare il pagamento, senza che da tale accettazione possa desumersi la rinuncia alla imputazione delle somme secondo il criterio legale, anche qualora l'offerta di pagamento parziale sia accompagnata da una imputazione operata dal debitore e difforme da quella legale.(Nella specie, la sentenza impugnata, cassata dalla S.C., sulla base del rilievo che il creditore ha la possibilità di rifiutare la prestazione accompagnata dalla imputazione fatta dal debitore, aveva ritenuto che il ricevimento della somma, imputata dal debitore a capitale, comportasse anche accettazione, da parte del creditore, della imputazione effettuata dal debitore, così gravando il creditore dell'onere, non previsto ne' desumibile dall'art. 1194 cod. civ., di rifiutare il pagamento).

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● La sentenza così motiva:

«Con l'unico motivo di ricorso, denunciando violazione dell'art. 1194 c.c. i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere il giudice del gravame ritenuto che il creditore, che non accetti l'imputazione data dal debitore, debba rifiutare il pagamento.

Il motivo è fondato.

L'art. 1194 c.c. contiene un criterio legale di imputazione per cui il debitore, senza il consenso del debitore, non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi ed alle spese. Ai sensi dell'art. 429, applicabile nel caso di ritardato pagamento del trattamento di fine rapporto — che, se anche corrisposto dal fondo di garanzia costituito presso l'INPS non cambia la sua natura di credito di lavoro — gli interessi e la rivalutazione sono componenti del credito che deve essere soddisfatto integralmente cioè in tutte le sue parti: non c'è dubbio pertanto che, nel caso in cui il debitore corrisponda solo una parte della somma complessivamente dovuta, si tratta di pagamento parziale. In presenza di pagamento parziale, stante la facoltà del creditore di accettarlo, non può desumersi da siffatta accettazione la rinuncia dello stesso alla imputazione secondo il criterio legale (v. Cass. 17 giugno 2002, n. 12869; 11 dicembre 2002, n. 17661). Con la sentenza impugnata, affermando che il ricevimento della somma imputata dal debitore a capitale è sufficiente ai fini del consenso in quanto il creditore aveva la possibilità di rifiutare la prestazione accompagnata dalla imputazione fatta dal debitore, il Tribunale in sostanza grava il creditore che non intende dare il suo consenso all'imputazione al capitale indicata dal debitore, del pesante onere di rifiutare il pagamento stesso, onere di cui nell'art. 1194, norma improntata all'esigenza di tutelare la posizione del creditore (Cass. 29 luglio 1999 n. 8254), non v'è traccia.

Nel caso in esame, quindi, in mancanza di consenso dei lavoratori creditori, l'imputazione del pagamento doveva venir effettuata secondo i criteri legali previsti dall'art. 1194 c.c., imputando la somma pagata anzitutto ad interessi e rivalutazione».

7. La sottoscrizione della quietanza non dimostra il consenso all'imputazione al capitale piuttosto che agli interessi.

● Cass., Sez. L, 11 dicembre 2002, n. 17661. Pres. Trezza, est. Cellerino.

Nell'ipotesi di pagamento parziale, il versamento va imputato agli interessi e non al debito capitale, a meno che non ci sia la prova del consenso del creditore ad una diversa imputazione; non costituisce prova sufficiente, nel caso di pagamento effettuato da una amministrazione pubblica, il fatto che il privato creditore, tenuto a rilasciare ricevuta di pagamento, abbia sottoscritto per quietanza il titolo di spesa in cui l'amministrazione stessa abbia imputato a deconto del capitale la somma erogata a parziale pagamento del debito.

○ È conforme: Cass., Sez. 1, 20 maggio 2005, n. 10692. Pres. Proto, est. Rordorf.

● Cass., Sez. L, 4 settembre 2002, n. 12869. Pres. Mileo, est. Vigolo.

Allorquando debitrice sia una pubblica amministrazione e questa provveda ad un pagamento parziale, la circostanza che la stessa, in base alle norme concernenti la contabilità generale dello Stato, sia tenuta a rilasciare ricevuta degli assegni tratti sull'istituto incaricato del servizio di tesoreria e a quietanzare gli altri titoli di spesa, così come la circostanza che la dichiarazione di ricevuta estingua il debito dell'amministrazione, lasciano impregiudicato il problema della

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imputazione del pagamento, non potendosi dalla eventuale specificazione della imputazione contenuta nel titolo di spesa desumersi l'accettazione da parte del creditore di tale imputazione.

8. Il consenso del creditore non può essere desunto dal progetto di distribuzione del giudice dell'esecuzione, ove pure approvato.

● Cass., Sez. 3, 7 gennaio 1980, n. 87. Pres. Moscone, est. Mattiello.

Il consenso del creditore, che, ai sensi dell'art. 1194 cod. civ., è necessario perche il pagamento sia imputato al capitale piuttosto che agli interessi e alle spese, non può essere ravvisato nella accettazione, da parte del creditore medesimo, del provvedimento reso dal giudice dell'esecuzione ai sensi degli artt. 596 e 598 cod. proc. civ., che è insuscettibile di giudicato, avendo natura di ordinanza, ed e dotato di operatività limitata all'ambito del procedimento esecutivo.

9. L'azione giudiziale per il pagamento degli interessi importa l'accettazione del precedente pagamento in conto capitale.

● Cass., Sez. L, 8 agosto 2006, n. 17948. Pres. Mercurio, est. Morcavallo.

Alla proposizione della domanda giudiziale per il conseguimento degli accessori del credito previdenziale possono ricondursi effetti sostanziali indiretti derivanti dalla volontà manifestata dalla parte, se pure mediante il ministero del difensore, pertanto, così come ne deriva l'effetto di interrompere la prescrizione del diritto del quale distintamente si domanda il riconoscimento giudiziale, allo stesso modo può considerarsi conseguente l'implicita accettazione del pagamento parziale, eseguito dall'Istituto debitore, come pagamento del capitale, e ciò, configurando il consenso richiesto dall'art. 1194 comma 1, cod. civ., vale ad escludere l'imputabilità del suddetto pagamento agli accessori del credito.

10. L'imputazione ad interessi extralegali presuppone che essi siano stati validamente pattuiti.

● Cass., Sez. 2, 25 gennaio 2000 n. 819. Pres. Lugaro, est. Settimj.

Al creditore non può essere riconosciuta la facoltà di imputare i pagamenti ricevuti ad estinzione del debito, ad interessi extralegali, ove questi ultimi non siano stati fatti oggetto di una valida pattuizione ai sensi dell'art. 1284, terzo comma cod. civ. Ove invece sia mancata una tale pattuizione, il debitore può sì, per sua determinazione, pagare gli interessi in misura superiore a quella legale assolvendo in tal modo ad un'obbligazione naturale (dal che la conseguente irripetibilità di quanto pagato), ma se egli non abbia a manifestare un tal tipo di volontà, il creditore non può certo destinare le somme da lui ricevute al soddisfacimento di quella che finisce per presentarsi come un'obbligazione meramente naturale del solvens, invece che all'estinzione della obbligazione effettivamente pattuita, la quale sola gli consente l'esercizio di azioni giudiziarie.

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11. Se il creditore consente l'imputazione al capitale, gli interessi maturati non producono anatocismo.

● Cass., Sez. 1, 17 luglio 1991, n. 7960. Pres. Falcone, est. Maltese.

Per il congiunto disposto degli artt. 1194 e 1283 cod. civ., se il creditore consente che il pagamento della somma corrispondente a quanto dovuto per capitale sia imputato al capitale piuttosto che prima agli interessi, gli interessi già maturati per un periodo inferiore al semestre non sono produttivi a suo favore di ulteriori interessi.

12. L'imputazione agli interessi non trova applicazione se il credito è incerto od illiquido.

● Cass., Sez. 3, 18 ottobre 1991, n. 11014. Pres. Schermi, est. Sommella.

In tema di imputazione di pagamento, la disposizione prevista dall' art. 1194 cod. civ. — secondo cui il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi ed alle spese senza il consenso del creditore — presuppone la simultanea esistenza della liquidità e della esigibilità sia del credito per capitale che del credito accessorio (per interessi o per spese), sicché fino a quando sia incerto od illiquido il credito accessorio il debitore non è soggetto al divieto di imputare il pagamento al capitale.

○ È conforme: Cass., Sez. 3, 8 marzo 1988, n. 2352. Pres. Mattiello, est. Taddeucci.

13. L'imputazione al capitale non è invece impedita dall’illiquidità delle spese.

● Cass., Sez. 3, 5 dicembre 1966, n. 2850. Pres. Giansiracusa, est. Cusani.

In tema sia di offerta reale, che di imputazione di pagamento deve tenersi conto del credito per spese, al pari di ogni altro accessorio, soltanto se esso sia certo e, ove sia illiquido, solo limitatamente ad una somma anche minima. Pertanto il debitore non è soggetto al divieto di imputare il pagamento al capitale piuttosto che alle spese, quando di queste non sia già certa l'esistenza.

14. L'art. 1194 c.c. si applica alle obbligazioni risarcitorie da atto illecito?

a) no.

● Cass., Sez. 1, 16 aprile 2003, n. 6022. Pres. Saggio, est. Salvago.

La disposizione dell'art. 1194 cod. civ. secondo la quale il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi o alle spese senza il consenso del creditore,

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presuppone che tanto il credito per il capitale quanto quello, accessorio per gli interessi e le spese, siano simultaneamente liquidi ed esigibili. Pertanto, in tema di risarcimento del danno, i versamenti di somme effettuati in favore del creditore prima della liquidazione (giudiziale o negoziale) non sono imputabili agli interessi ma al capitale.

○ Sono conformi: Cass., Sez. 3, 26 giugno 1997, n. 5707. Pres. Giuliano, est. De Aloysio. Cass., Sez. 3, 14 marzo 1996, n. 2115. Pres. Meriggiola, est. Marletta. Cass., Sez. L, 1° luglio 1994, n. 6228. Pres. Donnarumma, est. Rovelli.

● La sentenza così motiva:

«Con il terzo motivo, la Solasquez, denunciando violazione degli art. 1194, 2056, 1223 e 1224 cod. civ. si duole che la sentenza pur avendo accertato l'esistenza di un danno da rivalutarsi, che alla data di versamento dell'acconto da parte dello Schiatti ammontava all'importo di L. 300.000.000, abbia detto acconto imputato al solo capitale disapplicando del tutto il principio fissato dall'art. 1194 cod. civ. che vieta l'imputazione al capitale piuttosto che agli interessi senza il preventivo assenso del creditore.

Questo motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte, già ricordata dai giudici di appello e che la società non ha contestato, ha più volte affermato che la disposizione secondo la quale il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi o alle spese senza il consenso del creditore, presuppone che tanto il credito per il capitale quanto quello, accessorio per gli interessi e le spese, siano simultaneamente liquidi ed esigibili. Pertanto, in tema di risarcimento del danno, i versamenti di somme effettuati in favore del creditore nel corso del processo prima della liquidazione (giudiziale o negoziale) non sono imputabili agli interessi, ma al capitale (Cass. 5707/1997; 2115/1996; 6228/1994)».

● Cass., Sez. 3, 27 ottobre 2005, n. 20904. Pres. Fiduccia, est. Trifone.

La disposizione dell'art. 1194 cod. civ., secondo cui senza il consenso del creditore il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi od alle spese, presuppone la simultanea esistenza della liquidità e della esigibilità di ambedue i crediti, e cioè sia di quello per capitale che dell'altro, accessorio, per interessi o spese. Pertanto, in tema di risarcimento del danno derivante da atto illecito, i versamenti di somme effettuati in favore del creditore prima della liquidazione (giudiziale o negoziale) non sono imputabili agli interessi ed agli accessori, non essendo applicabile il criterio previsto dal citato art. 1194 cod. civ., che presuppone, appunto, l'esistenza di un debito pecuniario, da considerarsi, invece, in questo caso, inesistente fino alla liquidazione.

○ È conforme: Cass., Sez. 3, 10 marzo 1990, n. 1982. Pres. Quaglione, est. Cherubini.

● La sentenza così motiva:

«Con il primo motivo d'impugnazione — deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli art. 1193 e 1194 cod. civ. — i ricorrenti criticano la sentenza di secondo grado assumendo che il giudice del merito avrebbe dovuto imputare gli acconti di lire 12.361.000 e di lire 7.639.000 (corrisposti, rispettivamente, prima dell'introduzione del giudizio e nel corso di esso) alle spese, agli interessi ed alla rivalutazione e non invece al capitale liquidato a titolo di risarcimento dei danni.

Il motivo non può essere accolto.

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La disposizione dell'art. 1194 cod. civ., secondo cui senza il consenso del creditore il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi od alle spese, presuppone la simultanea esistenza della liquidità e della esigibilità di ambedue i crediti, e cioè sia di quello per capitale che dell'altro, accessorio, per interessi o spese.

Pertanto, in tema di risarcimento del danno, i versamenti di somme effettuati in favore del creditore prima della liquidazione (giudiziale o negoziale) non sono imputabili agli interessi ed agli accessori, non essendo applicabile il criterio previsto dall'art. 1194 cod. civ., che presuppone l'esistenza di un debito pecuniario, inesistente fino alla liquidazione del danno. Il principio è del tutto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis: Cass., n. 8333/2004; Cass., n. 11450/2003; Cass., n. 6022/2003) e della suddetta regola di diritto il giudice del merito ha fatto corretta applicazione, avendo imputato al capitale i versamenti effettuati dall'assicuratore prima della definizione della controversia».

● Cass., Sez. 3, 3 maggio 2004, n. 8333. Pres. Nicastro, est. Amatucci.

In materia di risarcimento del danno, i versamenti di somme effettuati a favore del danneggiato nel corso del processo di liquidazione non sono imputabili agli interessi, non essendo utilizzabile il criterio previsto dall'art. 1194 cod. civ., che presuppone l'esistenza di un debito pecuniario.

● La sentenza così motiva:

«5. Col quinto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 1194 c.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione sul metodo di computo degli acconti per avere la corte d'appello disposto la rivalutazione del solo acconto di L. 100.000.000, senza riguardo al versamento di L. 221.335.046 effettuato dalla società assicuratrice il 30.3.1998 in esecuzione della sentenza di primo grado, e per non aver considerato che gli acconti versati dalla società assicuratrice dovevano essere imputati "prima agli interessi, poi al maggior danno e, quindi, al capitale":

5.1. La censura è infondata per l'assorbente ragione che la norma di cui all'art. 1194 c.c. è dettata per i debiti di valuta, mentre nei debiti di valore la modalità liquidatoria costituita dal riconoscimento di interessi (cosiddetti compensativi) sulla somma determinata in riferimento all'epoca della taxatio non vale a far assumere all'importo così determinato la natura di obbligazione accessoria di un debito pecuniario connessa alla naturale produttività del denaro, ma ne lascia integra la natura di equivalente monetario del valore perduto dal creditore. Ne consegue che dalle somme versate dal debitore in epoca anteriore alla definitiva liquidazione occorre tener conto riducendo i vari importi ad espressioni monetarie in tutto omogenee e che, a tale fine, se la modalità liquidatoria del danno da ritardo è costituita dal riconoscimento di interessi (cosiddetti compensativi, ma estranei al concetto di interesse in senso proprio, costituenti obbligazione accessoria dei soli debiti di valuta), questi vanno anch'essi considerati ai fini della comparazione tra le somme complessivamente risultanti.

Il riferimento all'art. 1194 c.c. è, dunque, del tutto improprio».

● Cass., Sez. 3, 21 aprile 2006, n. 9356. Pres. Fiduccia, est. Petti.

L'art. 1194 cod. civ. (che prescrive di imputare i pagamenti parziali prima agli interessi, e quindi al capitale) è stato dettato con riferimento alle obbligazioni pecuniarie, sicché esso non trova applicazione in materia di risarcimento del danno derivante da atto illecito.

● Cass., Sez. 3, 23 luglio 2003, n. 11450. Pres. Giuliano, est. Talevi.

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In materia di risarcimento del danno, i versamenti di somme effettuati a favore del danneggiato nel corso del processo di liquidazione non sono imputabili agli interessi, non essendo utilizzabile il criterio previsto dall'art. 1194 cod. civ., che presuppone l'esistenza di un debito pecuniario, in realtà insussistente fino alla liquidazione del danno; ne consegue che i suddetti versamenti devono essere imputati al capitale, mentre gli interessi legali devono essere calcolati sull'intero importo liquidato, con decorrenza dalla data dell'evento dannoso fino a quella di corresponsione degli acconti.

● Cass., Sez. 3, 23 luglio 2003, n. 11450. Pres. Giuliano, est. Talevi.

In materia di risarcimento del danno, i versamenti di somme effettuati a favore del danneggiato nel corso del processo di liquidazione non sono imputabili agli interessi, non essendo utilizzabile il criterio previsto dall'art. 1194 cod. civ., che presuppone l'esistenza di un debito pecuniario, in realtà insussistente fino alla liquidazione del danno; ne consegue che i suddetti versamenti devono essere imputati al capitale, mentre gli interessi legali devono essere calcolati sull'intero importo liquidato, con decorrenza dalla data dell'evento dannoso fino a quella di corresponsione degli acconti.

● La sentenza così motiva:

«Il ricorrente incidentale Perfetto denuncia "Erroneità della sentenza ai sensi dell'art. 360, n. 3, C.P.C., per violazione e falsa applicazione, dell'art. 1194 c.c." esponendo le seguenti doglianze.

La disposizione prevista dall'art. 1194 c.c. presuppone la simultanea esistenza della liquidità ed esigibilità sia del credito per capitale che del credito accessorio sicché sino a quando i suddetti crediti siano liquidi non è possibile imputare i pagamenti parziali prima agli interessi. La Corte di Cassazione ha poi avuto modo più volte di osservare che il disposto dell'art. 1194 c.c. non si applica in tema di risarcimento del danno da illecito extracontrattuale.

Nella fattispecie, pertanto, non poteva essere fatta applicazione del criterio indicato dall'art. 1194 c.c. poiché, vertendosi in tema di risarcimento del danno da fatto illecito, il credito del Pettinato alla data del pagamento della somma di L. 12.000.000, ancorché esigibile, non era liquido essendo intervenuta la liquidazione solo con la pronuncia giudiziale. Poiché detto acconto di L. 12.000.000 superava sia l'importo capitale che la rivalutazione, determinati dalla Corte di Appello alla data del 24 Gennaio 1.992 rispettivamente in L. 9.205.495 ed in L. 2.217.603, il residuo credito del Pettinato di L. 1.181.507 era composto di soli interessi; ne consegue che non poteva essere riconosciuta dalla Corte su tale importo ne' l'ulteriore rivalutazione ne' ulteriori interessi.

Il motivo (nella sua parte essenziale) è fondato.

Infatti nell'impugnata decisione si afferma che "...il pagamento di L. 12.000.000..." è "...da imputarsi ex art. 1194 c.c. dapprima agli accessori...".

Tale tesi è giuridicamente errata.

Infatti "Poiché' l'art. 1194 cod. civ. (il quale prescrive di imputare i pagamenti parziali prima agli interessi, e quindi al capitale) è stato dettato con riferimento alle obbligazioni pecuniarie, esso non trova applicazione in materia di risarcimento del danno derivante da atto illecito" (v. Cass. n. 02115 del 14/03/1996; cfr anche Cass. n. 6228 del giorno 1/7/1994 "In tema di risarcimento del danno i versamenti di somme effettuati a favore del danneggiato nel corso del processo di liquidazione non sono imputabili agli interessi, non essendo applicabile il criterio previsto dall'art. 1194 cod. civ., che presuppone l'esistenza di un debito pecuniario, in realtà insussistente fino alla liquidazione del danno; conseguentemente i suddetti versamenti devono essere imputati al capitale mentre gli interessi legali devono essere calcolati sull'intero importo liquidato, con decorrenza dalla data dell'evento dannoso fino a quella di corresponsione

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degli acconti"). L'impugnata sentenza è viziata per non aver applicato tali principi di diritto. Il Giudice di rinvio dovrà procedere al computo in questione applicandoli».

b) sì.

● Cass., Sez. 3, 23 febbraio 2005, n. 3748. Pres. Vittoria, est. Perconte Licatese.

In tema di risarcimento del danno da parte dell'assicuratore della R.C.A. al danneggiato, e nell'ipotesi di versamenti di somme in acconto compiuti in favore di costui nel corso del processo di liquidazione, la norma di cui all'art.1194, comma primo, cod. civ. (a mente della quale "il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore"), contemplando un'ipotesi di pagamento parziale — essendo il debito avente ad oggetto il capitale e gli interessi un'unica vicenda obbligatoria — fa riferimento al caso in cui il creditore accetti un pagamento parziale che potrebbe legittimamente rifiutare, ed è posta, pertanto, nell'interesse del medesimo creditore che, ove costretto a subire anche la diversa imputazione operata dal debitore, perderebbe il beneficio dell'ulteriore fruttificazione del proprio capitale. Ne consegue l'erroneità dell'interpretazione che rinviene il presupposto applicativo del detto art. 1194 nella contemporanea liquidità del credito per capitale e di quello per accessori, sia perché nulla di simile è dato arguire dalla lettera della disposizione in parola, sia perché , essendo quest'ultima posta a tutela dell'interesse del creditore, essa non può risolversi — rettamente intesa la sua portata applicativa — in un pregiudizio per quest'ultimo sol perché suo credito risarcitorio è, per definizione (e senza sua colpa), illiquido fino alla sentenza che lo converte in obbligazione pecuniaria.

● La sentenza così motiva:

È infondato anche il secondo motivo del ricorso incidentale. Avendo il Tribunale disposto che l'acconto fosse imputato prima alla rivalutazione e agli interessi e il residuo al capitale, e avendo la sentenza d'appello, pur senza diffondersi, confermato tale imputazione; vorrebbe la ricorrente incidentale, invocando a sostegno di tale sua pretesa la giurisprudenza di questa Corte Suprema, che il criterio fosse invertito e che quindi la provvisionale fosse imputata invece dapprima al capitale e per il residuo alla svalutazione e agli interessi.

Non ritiene il Collegio di poter condividere questo indirizzo, sebbene più volte affermato, in relazione ai crediti di valore, dalla giurisprudenza di legittimità, ad avviso della quale la norma dell'art. 1194 c.c. presupporrebbe la simultanea liquidità ed esigibilità del credito per capitale e del credito accessorio; di guisa che, in tema di risarcimento, non sussistendo, fino alla liquidazione del danno, un debito pecuniario, gli acconti versati al danneggiato nel corso del processo di liquidazione dovrebbero essere imputati non agli interessi ma al capitale (Cass. 1^ luglio 1994 n. 6228; 18 ottobre 1991 n. 11014; 8 marzo 1988 n. 2352).

Ed infatti l'art. 1194 1^ comma c.c. (secondo cui "il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore") contempla un'ipotesi di pagamento parziale, essendo il debito, avente per oggetto il capitale e gli interessi, un debito unico, come risulta dall'art. 1208 n. 3 c.c.. La norma fa dunque riferimento al caso in cui il creditore accetta un pagamento parziale che potrebbe legittimamente rifiutare, ed è a favore del medesimo creditore il quale, se fosse costretto a subire anche la diversa imputazione operata dal debitore, perderebbe il beneficio dell'ulteriore fruttificazione del proprio capitale.

Ciò premesso, nessuna valida ragione può indurre a rinvenire il presupposto applicativo della norma nella contemporanea liquidità del credito per capitale e del credito per accessori, sia perché nulla di simile si arguisce dalla lettera della disposizione, la quale non prescrive quello speciale requisito; sia perché, essendo la stessa, come si è detto, posta a tutela dell'interesse del creditore, non sì vede perché questi, solo perché il suo credito risarcitorio è, per definizione, e non per sua colpa, illiquido fino alla sentenza che lo traduce in credito pecuniario, dovrebbe trovarsi

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svantaggiato rispetto al creditore di una somma immediatamente liquida, tanto per il capitale quanto per gli accessori. Del resto, a conferma dell'applicabilità dell'art. 1194 c.c., dettato per i debiti fruttiferi, anche il debito risarcitorio è per natura fruttifero, a decorrere dal di del fatto dannoso, a prescindere dalla mora e dalla liquidità; ed anzi, nell'illecito aquiliano, gli interessi, definiti perciò compensativi, assurgono a componente del debito, destinati come sono a compensare il creditore danneggiato del mancato godimento del capitale durante il tempo occorrente per la liquidazione.

L'unica differenza, non decisiva, rispetto al caso ordinario del debito liquido per capitale e accessori, è che l'imputazione sarà rinviata al momento in cui sarà nota la somma definitivamente liquidata, e, con essa, sarà possibile il calcolo esatto dell'eventuale residuo dovuto.

In forza di quanto esposto, valido non solo per gli interessi ma altresì per la rivalutazione, che rappresenta anch'essa un accessorio o meglio un adeguamento naturale del credito per il capitale all'inflazione sopravvenuta 'medio tempore', la sentenza impugnata dev'essere confermata anche in punto d'imputazione».

15. Come vanno imputati i pagamenti parziali effettuati nel corso del giudizio risarcitorio da atto illecito.

● Cass., Sez. 3, 30 maggio 2007, n. 12725. Pres. Fiduccia, est. Petti.

Non è imputabile agli interessi il versamento della provvisionale effettuato nel corso del processo a favore del danneggiato per il danno biologico derivatogli dall'illecito da circolazione stradale. È infatti inapplicabile l'art. 1194 cod. civ., che presuppone l'esistenza di un debito pecuniario già certo ed esigibile in ordine al quale imputare l'acconto secondo i criteri di quella norma, considerato che nella specie il debito di valore determinato dall'illecito non è valutabile sino al tempo della liquidazione del danno ovvero della sua identificazione, come danno biologico, in base ad un punteggio che ne consenta la valutazione in equivalente pecuniario.

● Cass., Sez. 3, 3 settembre 2005, n. 17743. Pres. Duva, est. Segreto.

Qualora, nelle more tra primo e secondo grado del giudizio risarcitorio per illecito aquiliano, il debitore adempia parzialmente la propria obbligazione, il giudice d'appello, al fine di stabilire l'eventuale debito residuo ed il suo ammontare, deve procedere alla comparazione tra valori resi omogenei in termini di valore reale. A tal fine può procedere come segue: a) esprimere in moneta attuale tutti i valori, rivalutando dall'epoca del fatto la somma equivalente all'entità del danno e dall'epoca del versamento quella corrisposta in acconto; b) ridurre l'acconto al minor valore che, in termini di espressione monetaria, avrebbe avuto all'epoca del fatto produttivo del danno, rivalutando poi la differenza tra le due somme da comparare; c) rivalutare l'importo originariamente equivalente al danno sino all'epoca dell'acconto, raffrontare i valori a quella data e rivalutare la differenza da tale data all'attualità; d) rapportare il valore monetario di acconto e danno ad una data intermedia — ad esempio quella della decisione di primo grado — e quindi effettuare il calcolo tra il dare e l'avere.

● La sentenza così motiva:

«4. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 360, n. 3 c.p.c., in riferimento all'art. 1224 , c. 2, c.c. ed ai principi di diritto di cui alla sentenza Cass. S.U. n. 1712/1995. Lamenta il ricorrente che la

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sentenza impugnata ha provveduto a rivalutare al settembre 2000 solo gli acconti, ma non anche la sorte capitale relativamente alla liquidazione del danno, ferma al 1996.

Assume il ricorrente che la corte di merito ha posto erratamente lo sbarramento massimo della somma in L. 349.061.231 (euro 180,275,10).

5.1. Ritiene questa Corte che il motivo in parte è infondato ed in parte è fondato.

È innanzitutto infondato nella parte in cui ritiene che il giudice di appello non abbia provveduto all'omegeizzazione dei dati, componenti il calcolo del dovuto.

In linea di principio va affermato che la liquidazione del danno extracontrattuale, che deve essere effettuata con riferimento alla data della sentenza, quando deve tener conto degli acconti versati anteriormente dal danneggiante o dal responsabile civile, deve essere compiuta sottraendo questi importi in maniera che i termini del calcolo siano omogenei (Cass. 10 marzo 1999, n. 2074).

5.2. Nei debiti di valore, allorché il responsabile abbia corrisposto delle somme nell'intervallo di tempo intercorso tra il fatto produttivo del danno e la liquidazione definitiva, al fine di stabilire l'eventuale debito residuo ed il suo ammontare, occorre procedere alla comparazione fra valori omogenei.

Il metodo più agevole è quello di esprimere in moneta attuale entrambi i valori, rivalutando dall'epoca del fatto la somma originariamente equivalente all'entità del danno e quella corrisposta in acconto dalla data in cui è stata effettivamente versata.

La differenza esprimerà, in moneta attuale, il residuo credito (o anche l'eventuale debito restitutorio) del danneggiato.

Ma può anche ridursi l'acconto al minor valore che, in termini di espressione monetaria, esso avrebbe avuto all'epoca del fatto produttivo del danno, effettuarsi la comparazione di cui s'è detto e rivalutarsi poi la differenza dalla stessa data all'attualità.

È anche possibile rivalutare l'importo originariamente equivalente al danno sino all'epoca dell'acconto, fare a quel punto un raffronto tra valori omogenei in relazione a quella data e rivalutare la differenza da tale data all'attualità, ovvero rapportare il valore monetario di acconto e danno ad una data intermedia (come la decisione di primo grado) e quindi effettuare il calcolo tra il dare ed avere.

Ciò da cui non può prescindersi è che i dati siano stati preventivamente resi omogenei in termini di valore reale, prima di procedere ad ogni forma di calcolo».

● Cass., Sez. 3, 1° dicembre 1999, n. 13358. Pres. Iannotta, est. Manzo.

Qualora, nelle more tra primo e secondo grado del giudizio risarcitorio per illecito aquiliano, il debitore adempia parzialmente la propria obbligazione, il giudice d'appello, anche ove riformi la decisione di primo grado, deve tenere debito conto dei versamenti effettuati medio tempore. A tal fine, deve ritenersi corretto l'operato del giudice di secondo grado che proceda come segue: a) rivaluti il credito risarcitorio alla data della sentenza di primo grado; b) rivaluti i pagamenti parziali alla data in cui sono stati effettivamente percepiti, sottraendoli quindi dal credito complessivo; c) computi il danno da lucro cessante, secondo i criteri stabiliti da Cass., Sez. Un. 17 febbraio 1995 n. 1712, utilizzando quale base di calcolo l'intero credito risarcitorio, per il periodo compreso tra la data della sentenza di primo grado, ed il pagamento dell'acconto; e la somma residua dopo il pagamento dell'acconto, per il periodo compreso tra il pagamento stesso e la sentenza di secondo grado.

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● Cass., Sez. 2, 4 maggio 2005, n. 9230. Pres. Spadone, est. Schettino.

Il giudice d'appello, in tema di liquidazione dei danni per debiti di valore, deve rivalutare la somma liquidata in primo grado, con applicazione cumulativa degli interessi sino alla data della pronuncia, in modo da reintegrare completamente il patrimonio del danneggiato per tutte le perdite subite in conseguenza dell'eventi dannoso, ma, nel compiere tale operazione, non può prescindere dagli eventuali pagamenti che siano stati già fatti al creditore e dalle modalità e dai criteri, anche di carattere temporale, con cui si è proceduto alla liquidazione, con la conseguenza che, nell'operare una ulteriore rivalutazione e nell'attribuire ulteriori interessi, deve tener conto necessariamente dei detti pagamenti, debitamente motivando in ordine ai criteri seguiti per stabilire periodo di riferimento dell'ulteriore rivalutazione nonché decorrenza e modalità di calcolo degli ulteriori interessi. (Sulla base di tali principi la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che non vi si era conformata).

● Cass., Sez. 3, 23 febbraio 2005, n. 3747. Pres.-est. Preden.

In caso di versamento di acconti anteriormente alla liquidazione, il giudice deve tenerne conto (senza che trovi nel caso applicazione la regola posta dall'art. 1194 cod. civ. secondo cui il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi, valevole esclusivamente per le obbligazioni di valuta), devalutando alla data dell'evento dannoso sia il credito risarcitorio rivalutato che l'acconto versato, e detraendo quest'ultimo dal primo, sulla differenza residua computando quindi gli interessi calcolati secondo i richiamati criteri (Nel formulare il suindicato principio la S.C. ha disatteso il diverso orientamento secondo cui il danno da ritardo nella corresponsione della somma di risarcimento del danno da fatto illecito va, in caso di pagamento di acconti anteriormente alla liquidazione, computato detraendo dall'importo rivalutato del credito originario la somma pagata in acconto — previa rivalutazione della medesima, al fine di rendere omogenee le due entità —, e procedendosi quindi al calcolo degli interessi secondo i criteri dettati dalla citata Cass., Sez. Un., n. 1712 del 1995, da computarsi sull'intero importo dovuto, per il periodo che va dalla data dell'evento dannoso al versamento dell'acconto, e sulla somma che residua all'esito della detrazione dell'acconto rivalutato, per il periodo che va dalla corresponsione di quest'ultimo alla data della liquidazione).

● Cass., Sez. 1, 28 settembre 1991, n. 10149. Pres. Bologna, est. Carbone.

Qualora la sentenza d'appello, che riconosca e quantifichi un credito di valore, venga posta in esecuzione, con il conseguimento di versamenti parziali, e poi sia annullata in esito a ricorso per cassazione, nella nuova liquidazione del credito in sede di rinvio i suddetti versamenti devono essere detratti dall'importo complessivo del debito al momento della loro effettuazione (con la rivalutazione monetaria sulla differenza e gli interessi calcolati sul capitale via via rivalutato secondo indici annuali), mentre resta esclusa sia l'invocabilità di diversi criteri d'imputazione volontaria del pagamento parziale, difettando il presupposto di un adempimento spontaneo e non coattivo, sia l'invocabilità del criterio d'imputazione legale di cui al secondo comma dell'art. 1194

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cod. civ., il quale postula la pari liquidità ed esigibilità del credito per capitale e del credito per interessi.

16. L'imputazione agli interessi dei debiti previdenziali.

● Cass., Sez. L, 29 luglio 1999, n. 8254. Pres. Mileo, est. Vidiri.

Poiché l'art. 1194 cod. civ. contiene un criterio legale di imputazione, per cui il debitore — senza il consenso del creditore — non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi ed alle spese, nel caso di credito previdenziale (sul quale, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 156 del 1991, maturano interessi e rivalutazione monetaria) non è possibile, senza la prova di detto consenso, imputare il pagamento alla sorte capitale, precludendo la rivendicazione di interessi e rivalutazione monetaria, ma è compito del giudice accertare l'ammontare degli accessori maturati, imputando la somma pagata prima agli interessi e poi alla sorte capitale. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato inammissibile la domanda di indennità di malattia per il fatto che il relativo credito, limitatamente alla sorte, era già stato pagato prima dell'inizio del giudizio di merito e che l'inammissibilità della domanda principale non poteva conferire autonomia alla domanda degli accessori).

17. Applicabilità della norma alla pubblica amministrazione.

● Cass., Sez. 1, 29 luglio 2004, n. 14465. Pres. Losavio, est. Genovese.

In tema di pagamenti nell'ambito del rapporto contrattuale nascente dall'appalto di opere pubbliche, l'art. 4 della legge 10 dicembre 1981, n. 741 (abrogato dall'art. 231 del d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, ma applicabile ratione temporis), dettato insieme ad altre disposizioni volte ad accelerare le procedure per l'esecuzione di opere pubbliche, e secondo il quale l'importo degli interessi per ritardato pagamento, dovuti in base a norme di legge, di capitolato generale e speciale o di contratto, viene computato e corrisposto in occasione del pagamento, in conto o a saldo, immediatamente successivo ha il solo fine di richiamare l'attenzione della Pubblica Amministrazione sull'onere economico in maturazione, e configura il principio di capitalizzazione economica degli interessi, e comporta che tali interessi devono essere computati e corrisposti, senza la necessità di apposite domande o riserve (In applicazione di tale principio, la Corte ha respinto il ricorso dell'Amministrazione secondo il quale gli arbitri, prima, e i giudici di merito, poi, avevano violato le norme sulla contabilità pubblica, non essendo applicabile, al pagamento dell'Amministrazione, i principi propri dell'imputazione dei pagamenti, contenuti nell'art. 1194 cod. civ.).

● Cass., Sez. 5, 9 marzo 2004, n. 4767. Pres. Saccucci, est. Amari.

In tema di ritardato rimborso dell'IVA da parte dell'Amministrazione finanziaria, le leggi tributarie, a differenza di quelle civilistiche, non contengono regole espresse sulla imputazione, al capitale o agli interessi, del «rimborso parziale» eseguito dall'Amministrazione debitrice. Infatti, la

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materia, che è oggetto di una speciale e minuziosa disciplina, incomparabile con quella civilistica, è stata apprestata dal legislatore in considerazione di esigenze connesse alle operazioni di liquidazione dell'imposta e a quelle degli uffici preposti allo svolgimento di complessi procedimenti restitutori; e il potere di accertare e liquidare la somma da restituire al contribuente è attribuito, in ragione della diversa natura dell'obbligazione tributaria, esclusivamente all'Amministrazione fiscale, senza che via sia alcuna possibilità d'intervento del creditore (in applicazione di tale principio, la Corte ha confermato la sentenza di merito e respinto il ricorso del contribuente che mirava all'imputazione del pagamento ricevuto, ai sensi dell'art. 1194 cod. civ., agli interessi e, per la parte eccedente, al capitale).

● Cass., Sez. L, 12 novembre 2003, n. 17047. Pres. Mattone, est. Dell'Anno.

L'indennizzo dovuto ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati, previsto dalla legge n. 210 del 1992, ha natura non già risarcitoria ma assistenziale in senso lato, riconducibile alle prestazioni poste a carico dello Stato sociale in ragione del dovere di solidarietà sociale, ed è alternativo rispetto alla pretesa risarcitoria volta ad ottenere l'integrale risarcimento dei danni subiti in conseguenza del contagio, ove sussista una colpa delle strutture del Servizio sanitario nazionale; ne consegue che, con riferimento alle somme dovute a tale titolo, sono dovuti, in caso di ritardo nella erogazione, gli interessi legali con la applicabilità di tutte le disposizioni che regolano la materia, incluso il disposto dell'art. 1194 cod. civ..

● Cass., Sez. L, 4 settembre 2002, n. 12869. Pres. Mileo, est. Vigolo.

La prassi amministrativa, a differenza degli usi (costituenti fonte del diritto: art. 8 disp. sulla legge in generale), non ha efficacia erga omnes e non ha vero carattere di generalità; essa si limita a connotare il comportamento di fatto dei singoli uffici nei rapporti interni e con il pubblico, senza essere tuttavia accompagnata dalla convinzione della sua doverosità. (Fattispecie relativa alla dedotta esistenza di una prassi amministrativa derogatoria dell'art. 1194 cod. civ., in forza della quale, per l'imputazione del pagamento parziale di debiti dell'amministrazione al capitale anziché agli interessi, non sarebbe necessario il consenso del creditore: la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la rilevanza della addotta prassi amministrativa).

● Cass., Sez. 5, 3 agosto 2001, n. 10653. Pres. Cantillo, est. Di Palma.

In tema di rimborso di imposte non dovute, nel caso in cui la restituzione della somma versata per il pagamento dell'imposta e la corresponsione dei relativi interessi siano disposte dall'Amministrazione Finanziaria con distinti ordinativi di pagamento ed a distanza di tempo l'uno dall'altro, il pagamento "parziale" dell'Amministrazione finanziaria (nella specie prima tranche, essendo stati restituiti: con una prima tranche l'imposta indebitamente versata e con una seconda tranche gli interessi) non deve essere imputato prima agli interessi ai sensi dell'art. 1194, comma secondo, cod. civ., essendo la fattispecie regolata esclusivamente dalla "speciale" disciplina di cui all'art. 44 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.

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Art. 1195

Quietanza con imputazione

Chi, avendo più debiti, accetta una quietanza nella quale il creditore ha dichiarato di imputare il pagamento a uno di essi, non può pretendere un'imputazione diversa, se non vi è stato dolo o sorpresa da parte del creditore.

Le questioni. — I. La norma in commento, nell'ordine gerarchico, pone il secondo dei criteri di imputazione, destinato ad operare se all'imputazione non abbia provveduto il debitore.

II. L'imputazione del creditore ha una configurazione strutturale in parte diversa da quella del debitore. Quest'ultimo è infatti titolare di un diritto potrestativo che si esercita mediante un atto unilaterale ricettizio: senza che occorra, dunque, in alcuna misura il consenso del creditore. L'imputazione del creditore, invece, richiede l'accettazione della quietanza contenente l'imputazione. Ci si interroga, in proposito, se l'imputazione del creditore abbia anch'essa natura di atto unilaterale oppure costituisca atto negoziale bilaterale.

Seguendo la prima impostazione, l'accettazione del debitore sarebbe riferita alla quietanza intesa come documento diretto a costituire prova dell'avvenuto pagamento. L'accettazione della quietanza, quindi, non darebbe luogo ad un negozio bilaterale, ma precluderebbe al debitore di reclamare, in un secondo tempo (salvo il caso di dolo o sorpresa), un'imputazione diversa da quella risultante dalla quietanza. Insomma, sarebbe ben possibile che il debitore accetti la quietanza (e cioè la prenda materialmente in consegna come prova del pagamento), ma rifiuti l'imputazione, provvedendo egli stesso ad effettuare un'imputazione diversa, ovvero rimettendosi ai criteri di imputazione legale.

Altri ritengono invece che l'imputazione del creditore si perfezioni con l'accettazione della quietanza da parte del debitore, intesa come accettazione sia del documento che del suo contenuto. Solo in tal modo potrebbe spiegarsi per quale ragione l'imputazione, una volta accettata la quietanza, divenga irretrattabile, salvo il caso di dolo o di sorpresa.

Sulla questione si è in tempi abbastanza recenti pronunciata la S.C. prestando piena adesione alla prima ricostruzione. Val quanto dire che l'accettazione dell'imputazione è atto distinto dall'accettazione della quietanza nella sua materialità: e tale accettazione concernente l'imputazione può realizzarsi espressamente e, altrimenti, si realizza per fatti concludenti qualora il debitore non provveda ad una pronta contestazione della quietanza. Si può dire, semplificando, che la quietanza con imputazione comporta per il debitore, il quale non abbia egli effettuato l'imputazione, una sorta di rimessione in termini (RODEGHIERO, op. cit., 109): il debitore può cioè ricevere la quietanza e, attraverso una pronta contestazione, sostituire all'imputazione effettuata dal creditore la diversa imputazione a lui gradita.

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III. Non sembra dubitabile (sia in considerazione del dato letterale, sia in considerazione della ricostruzione appena effettuata) che l'imputazione del debitore non possa che essere contenuta nella quietanza. Sicché, ove il creditore rilasci una quietanza senza imputazione, non potrà provvedervi successivamente e scatterà l'applicazione dei criteri legali. La quietanza può però essere rilasciata successivamente al pagamento.

IV. Il debitore può comunque porre nel nulla l'imputazione del creditore quando questa sia stata effettuata con dolo o con sorpresa. Ed in tal caso il debitore recupera il diritto potestativo («non può pretendere un'imputazione diversa») di effettuare egli stesso l'imputazione.

Mentre la nozione di dolo non richiede particolari chiarimenti, si discute del significato dell'espressione «sorpresa», che compare nel codice civile in questa sola occasione. Si ritiene, in linea di massima, che la sorpresa sia qualcosa di meno intenso del dolo e che la menzione di essa, dunque, sia volta ad ampliare la protezione del debitore. Si può dire, con approssimazione, che costituisce sorpresa l'approfittamento delle condizioni soggettive (anche di disattenzione o di ignoranza) del debitore. Così, ad esempio, potrebbe ricondursi all'ambito della sorpresa l'imputazione del pagamento al debito prescritto, quando la prescrizione, nota al creditore, sia ignota al debitore.

1. La gerarchia dei criteri di imputazione ed il funzionamento dell'imputazione del creditore.

● Cass., Sez. 2, 13 dicembre 2005, n. 27405. Pres. Calfapietra, est. Bognanni.

In tema di imputazione del pagamento, quando il debitore non si avvalga della facoltà di dichiarare quale debito intenda soddisfare, la scelta, come desumibile dall'art. 1195 cod. civ., spetta al creditore, il quale, nello stesso documento di quietanza, può dichiarare di imputare il pagamento ad uno o più debiti determinati, subentrando i criteri legali di cui all'art. 1193 cod. civ., che hanno carattere suppletivo, solo quando né il debitore né il creditore abbiano effettuato l'imputazione. La dichiarazione di imputazione del creditore deve però essere accettata dal debitore e, qualora sia inserita nello stesso documento contenente la quietanza, la ricezione del documento da parte del debitore si riferisce solo alla quietanza in esso contenuta e soddisfa il suo interesse a conservare la prova documentale dell'avvenuto pagamento, ma non presuppone un accordo sull'imputazione; perché la ricezione del documento assuma valore di prova dell'accettazione dell'imputazione operata dal creditore è necessario, difatti, che da parte del debitore essa non venga immediatamente o prontamente contestata, atteso che la mancata tempestiva contestazione assume il valore dell'acquiescenza.

● La pronuncia, al riguardo, è così motivata:

«La Corte d'appello ha affermato, alla luce dei documenti prodotti dalle parti in causa, che il 22 aprile 1982, allorché L.M. aveva effettuato la consegna dell'appartamento oggetto del contratto preliminare alla D.G. che ne aveva preso possesso, erano state redatte due scritture: il verbale di consegna, in cui le parti dichiaravano che l'esecuzione delle varianti (cioè i lavori di modifica rispetto alle previsioni del capitolato) rispondevano a quanto richiesto dalla D.G., e

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una dichiarazione, sottoscritta dal solo L.M. in cui lo stesso attestava di aver ricevuto dalla D.G. con riferimento al contratto preliminare in questione, la somma di 12.500.000 lire, la quale comprendeva il corrispettivo per le modifiche interne apportate all'appartamento, la revisione prezzi come da conteggi approvati, e quanto dalla stessa dovuto a titolo di residuo prezzo da pagare alla consegna.

Secondo la Corte d'appello queste due scritture non erano mai state contestate dalla D.G. la quale solo il 12 gennaio 1983, cioè quasi un anno dopo, aveva inviato ai promittenti venditori una diffida in cui manifestava la volontà di stipulare l'atto definitivo di vendita offrendo di pagare la sola somma di 3.500.000 lire.

Dalle predette scritture pertanto si desumeva con certezza la prova che la D.G. dopo aver commesso l'esecuzione delle modifiche dell'appartamento oggetto del preliminare, ne aveva accettato la consegna dichiarando che i lavori effettuati corrispondevano a quanto da lei richiesto, che la revisione prezzi corrispondeva ai conteggi approvati in precedenza e che solo una parte della somma di 12.500.000 era imputabile a quanto ella doveva ancora pagare in contanti a titolo di prezzo.

Ne derivava che la D.G. col versamento in questione, aveva estinto il debito per l'esecuzione delle migliorie e la revisione prezzi, ma era rimasta inadempiente all'obbligo di completare il pagamento del prezzo della vendita, e con l'atto stragiudiziale del 12 gennaio 1983 non aveva offerto per intero la prestazione ancora dovuta, contestando tardivamente e in modo del tutto indiretto il contenuto del documento del 22 aprile 1982; per cui non era possibile accogliere la sua domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c., domanda che, pertanto, andava rigettata.

Come appare evidente da quanto finora riassunto, la Corte d'appello, con la sentenza impugnata, dopo avere accertato che il documento del 22 aprile 1982 incorporava sia la quietanza liberatoria sia la dichiarazione di imputazione, non è incorsa nelle denunziate violazioni di legge né in ordine al valore probatorio delle scritture né in ordine alla motivazione.

Per quanto riguarda il primo aspetto, l'art. 1193 co. 1 c.c. dispone che chi ha più debiti della medesima specie verso la stessa persona può dichiarare, quando paga, quale debito intende soddisfare. Quando - come nel caso di specie - il debitore non si avvalga della facoltà riconosciutagli da questa norma, la scelta - come si desume dall'art. 1195 c.c. - spetta al creditore, il quale, nello stesso documento di quietanza, può dichiarare d'imputare il pagamento ad uno o più debiti determinati; e ciò significa che i criteri legali dettati dal 2° co. dell'art. 1193 hanno carattere suppletivo e sono applicabili solo quando il debitore non abbia effettuato l'imputazione e manchi l'imputazione effettuata dal creditore.

Dall'art. 1195 c.c. si desume, inoltre, che la dichiarazione d'imputazione del creditore deve essere accettata dal debitore.

Ciò posto, deve rilevarsi che quando, come nel caso di specie e nel solco d'una antica tradizione dell'istituto, la dichiarazione d'imputazione (negozio giuridico unilaterale con cui il creditore esercita la sua facoltà di scelta) è inserita nello stesso documento contenente la quietanza (dichiarazione di scienza con funzione di prova documentale e scopo liberatorio) la ricezione del documento da parte del debitore si riferisce solo alla quietanza in esso contenuta e soddisfa il suo interesse a conseguire e conservare la prova documentale dell'avvenuto pagamento, ma non presuppone un accordo sull'imputazione; la ricezione del documento può costituire prova dell'accettazione dell'imputazione operata dal creditore solo quando, da parte del debitore, la stessa non venga immediatamente o comunque prontamente contestata; la mancata tempestiva contestazione assume il valore dell'acquiescenza e conferisce al documento valore di prova certa dell'accettazione da parte del debitore dell'imputazione operata dal creditore.

Sulla base di tali certezze la Corte d'appello ha correttamente deciso la questione in esame, aggiungendo che l'accettazione dell'imputazione non consentiva alla D.G. un'imputazione diversa da quella operata dal creditore, come disposto dall'art. 1195 c.c., considerato che non era stata mai neppure dedotto il ricorso al dolo o alla sorpresa da parte del L.M.

Non v'è dubbio, infatti, che il debitore può disattendere l'imputazione operata dal creditore e sostituirla con una imputazione diversa, denunziando il dolo o la sorpresa messa in atto dal creditore stesso per procurarsi l'accettazione della sua scelta, e cioè proponendo un'azione di annullamento dell'accettazione per vizio della volontà o quanto meno operando una contestazione sollecita e diretta per far valere il dovere di correttezza e di leale esercizio dei diritti cui le parti devono ispirarsi nell'esecuzione dei contratti.

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A differenza di quanto afferma la ricorrente, la motivazione posta dalla Corte d'appello a sostegno della decisione è sufficiente e non contraddittoria anche in ordine al contenuto, giudicato assolutamente "chiaro" del documento in questione, per cui anche sotto questo aspetto i primi due motivi di ricorso sono infondati e vanno pertanto rigettati».

● Cass., Sez. 3, 29 ottobre 1982, n. 5707. Pres. Bile, est. Rebuffat.

Nella coesistenza di più debiti della medesima specie dello stesso debitore verso uno stesso creditore, qualora il primo non dichiari, quando paga, quale debito intende soddisfare (art. 1193, primo comma, cod. civ.) né il secondo, all'atto della quietanza, provveda ad imputare il pagamento ad uno di essi (art. 1195 cod. civ.), valgono i criteri suppletivi di cui all'art. 1193, secondo comma, cod. civ., con la conseguenza che, ove il debitore, convenuto in giudizio, eccepisca che un pagamento da lui effettuato è da imputare all'uno piuttosto che all'altro debito, ha l'onere di fornire la prova in ordine a tale suo assunto, valendo in difetto le regole suppletive stabilite dal legislatore.

2. La quietanza può essere anche successiva al pagamento.

● Cass., Sez. 3, 5 febbraio 1997, n. 1108. Pres. Sciolla Lagrange Pusterla, est. Vittoria.

La dichiarazione di avere ricevuto una somma determinata a titolo di pagamento fatta dal creditore al proprio debitore ha natura di quietanza indipendentemente dalla sua contestualità con il pagamento in essa menzionato, dato che il debitore che non ne abbia fatto richiesta all'atto del pagamento non perde per questo il diritto al rilascio della quietanza. Ne consegue che la dichiarazione del creditore d'esser già stato pagato in precedenza per una parte, rilasciata al momento di ricevere il pagamento del residuo, va qualificata come quietanza relativamente anche al pagamento pregresso, onde la sua data può essere provata con ogni mezzo a norma dell'art. 2704 ultimo comma cod. civ., anche al fine di dimostrare l'intervenuta estinzione del credito pignorato per gli effetti di cui all'art. 2917 cod. civ.