Orologio Solare Campo Marzio

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Nicola Severino Storia dell'obelisco e dell'orologio solare di Augusto in Campo Marzio Copyright - Roccasecca, 1997 Prima edizione

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Orologio Solare Campo Marzio

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Nicola Severino

Storia dell'obelisco edell'orologio solare di Augusto

in Campo Marzio

Copyright - Roccasecca, 1997

Prima edizione

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Prefazione

Sotto l'imperatore Cesare Augusto, figlio di Giulio, Roma fu abbellita conl'innalzamento di decine di obelischi trafugati nelle molte città egizieassoggettate dagli eserciti romani. Nulla, meglio di questi antichissimimonumenti innalzati dai potenti faraoni egizi, poteva rendere gloria alla setedi divismo degli imperatori romani. Nonostante gli enormi sacrifici richiestiper imbarcarli su enormi navi, i Romani riuscirono a trasportare 42 obelis-chi a Roma. Uno di questi, in particolare, ha stimolato la curiosità di let-terati e scienziati di ogni tempo perchè la sua funzione non era destinata,come in genere lo era, solo a rendere omaggio alla divinità solare, ma a quel-la più ambiziosa di fungere da gnomone per un gigantesco orologio solareche rientra in un ben più complesso progetto di sistemazione urbanistica ditutta l'area del Campo Marzio. Tale era l'idea e la pretesa del divo Augustoper il quale il sogno fu ben presto realtà.

Per questo motivo, l'obelisco del Campo Marzio ha suscitato l'interesse diuna ragguardevole mole di illustri personaggi che si sono avvicendati, inogni tempo, nel cercare di ricostruirne la storia e di spiegare scientificamentel'ambizioso progetto dell'antico imperatore. Negli ultimi tempi, due arche-ologi tedeschi hanno affrontato seriamente, soprattutto dal punto di vistascientifico, questa ricerca che per le generalità e la storia appartieneall'archeologia e per l'aspetto tecnico appartiene puramente alla gnomonica.Il loro prezioso lavoro ha portato alla luce una parte dell'antica linea merid-iana dell'intero orologio solare, confermando il pensiero di quanti in prece-denza hanno fermamente creduto che l'obelisco fosse un'enorme gnomone diun gigantesco orologio solare e non di una sola linea meridiana. Ma primache fossero intrapresi questi scavi archeologici quali erano gli studi relativiall'obelisco di Campo Marzio?

E' principalmente a questa domanda che il presente scritto vuole tentare didare una risposta, sebbene parziale e sommaria. Infatti, il campo di ricercastorica relativo a questo argomento è sconfinato e le possibilità di sondarlosono molto limitate, almeno per chi scrive che per mestiere non appartienealla schiera dei ricercatori professionisti.

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Tuttavia, sarà interessante scoprire cosa scrivevano antichi eruditi a talproposito, prima che Champollion arrivasse a decifrare correttamente igeroglifici. Prima, quindi, di avere una lettura corretta dei geroglifici scol-piti sull'obelisco; sarà ancora interessante rimaneggiare il testo di Plinioattraverso le Disquisizioni Pliniane di studiosi come Claudio Salmasio(XVII secolo) e La Turre Rezzonici (XVIII secolo), di studiosi di gnomonicacome Athanasius Kircher e Francesco Jaquier. Non manca, inoltre, unbuon rendiconto storico circa il primo ritrovamento archeologico dell'obelis-co, attraverso le numerose citazioni in antichi codici, topografie e libri dalRinascimento fino al nostro secolo.

In Campo Marzio si è scavato, si sta scavando. Forse un giorno tornerà allaluce un altro piccolo tratto dell'orologio di Augusto. Ma siamo ancora benlontani dalla utopistica proposta del celebre ammiraglio gnomonistaGirolamo Fantoni il quale, nel suo eccellente articolo sulla meridiana diAugusto, accarezzava un'idea ambiziosa almeno quanto quella dell'impera-tore romano più vecchio di duemila anni: costruire una galleria sotto le caseromane del Campo Marzio perchè tutti potessero ammirare la bellezza delpiù grande orologio solare che il mondo abbia mai conosciuto.

Nicola Severino

Si ringraziano i proff. Rakob e Buchner dell'Istituto ArcheologicoGermanico, l'ing. Gianni Ferrari di Modena, Edmondo Marianeschi diTerni, Fabrizio Vedelago di Treviso, Charles K. Aked della British SundialSociety, la Biblioteca dell'Abbazia di Montecassino e Casamari. Tutti i cal-coli gnomonici relativi alle dimensioni dell'orologio solare di Augusto inCampo Marzio, sono stati effettuati con il programma "Meridiane" diGianni Ferrari.

Dedico questo volume all'amico Gianni Ferrari

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Indice:Naturalmente Internet 1

I Romani e la misura del tempo 2

Naturalmente Plinio 5

Il primo orologio solare romano 7

Storia, significato, etimologia degli obelischi 12

Il Campo Marzio 17

L'orologio solare di Augusto 18

Le scoperte di Rakob e Buchner 20

Il Rinascimento egizio nella Roma barocca 26

Raccolta di citazioni sulla scoperta dell'obelisco di Campo Marzio 28

Ricostruzione della storia degli scavi dell'obelisco 36

Il cartiglio di Psammetico II 52

Documenti : il testo di Plinio 54

Chi era Fecondo Novo ? 56

Interpretazione della versione di La Turre Rezzonici 58

L'obelisco-gnomone di Augusto (di P.G Boffito) 63

L'altezza dell'obelisco 65

Bibliografia 69

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La storia dell'orologio solare che Cesare Augustofece installare nel Campo Marzio circa duemilaanni fa, comincia - guarda caso - su Internet. Nonnel senso che nella grande rete telematica vi sitrovi rappresentata sotto forma digitale la storiadel più grande orologio solare che un uomo abbiamai costruito. Ma un semplice indizio, o megliouna data che, secondo l'autore della pagina Web incui la notizia compare, dovrebbe considerarsicome la "scoperta" archeologica da cui ebbe iniziol'eterno ed ancora incompiuto compito di riportarealla luce il "solarium" di Augusto in CampoMartio.

Ma Internet è un ragnatela in cui è davvero impos-sibile sperare di trovare il classico "ago nel pagli-aio": da dove può esser saltata fuori una notizia delgenere? Da una "sundial link" presente nellepagine Web dedicate alla Gnomonica che appas-sionati come Daniel Roth si impegnano a divul-gare attraverso Internet. In particolare, la notizia èstata a sua volta presa da una pagina sulle anti-chità romane intitolata "Other Romes" scritta prob-abilmente nei primi mesi del 1996. Peraltro l'autore dichiara anche la fonte che risultaessere il Codice Vaticano Latino 8492 fol. 21 recto.Dopo una notizia sul Borromini e sul progetto diPiazza Navona, si legge:

"A. Laelius Podager, Record of Discovery ofAugustu's Sundial"Iacopo Mazzocchi, 1521

"Iacopo Mazzocchi's first printed collection of Romaninscriptions was re-used by many scholars as a fieldnotebook. In this copy a Roman scholar gives a firsthandaccount of how the remains of Augustus's huge sundi-al were discovered early in the sixteenth century, by abaker digging a latrine. As Pope Julius II had no fundsto spare, it was rebuired, not to be unearthed until thetwentieth century."

L'autore, probabilmente americano, di questa pag-ina ci regala quindi la "registrazione della scopertadell'orologio solare di Augusto", avvenuta sottoPapa Giulio II e pubblicata nella collezione di anti-chità romane di Jacopo Mazzocchi nel 1521.

Ma in Italia, e specialmente a Roma, non c'è bisog-no di "navigare" in Internet per conoscere la datadella "scoperta", e a dir bene della scoperta arche-ologica, dell'orologio solare di Augusto.Innanzitutto è possibile dimostrare, comevedremo e documenti alla mano, che la scopertadei resti dell'obelisco solare che Augusto feceinstallare nel Campo Marzio come gigantesco gno-mone di un orologio solare orizzontale, è anteriorealla data riportata dall'autore della "postilla inter-nettiana".

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NATURALMENTE INTERNET

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Come è noto, la scienza dei romani è in gran partedi origine greca. Essi la ereditarono attraverso laloro egemonia imperiale e quindi a seguito dei lorocontatti con i filosofi greci che avvennero anchegrazie alla mediazione del popolo etrusco. In par-ticolare i Romani ereditarono dagli Etruschi quellache poi divenne la più romana delle discipline: l'a-grimensura. E' questa una scienza che consisteprincipalmente nella misurazione di limiti e confi-ni. Una pratica quindi che stava molto a cuore aiRomani dal momento che se ne dovevano spessoservire per stabilire i limiti delle proprietà e deiconfini delle terre conquistate. Dall'agrimensura,pertanto, deriva il termine groma da cui il popolareappellativo di gromatico. Il termine groma, siriferisce al particolare strumento usato per l'agri-mensura e, letteralmente dovrebbe equivalere allaparola greca ������ (gnomon). Attraverso lognomone, quindi, i Romani arrivarono al concettodi Templum, cioè l'Universo quadripartito, similead un immenso cerchio (o sfera), nel cui centro sitrova l'uomo. Lo gnomone servì a ritrovare i quat-tro punti cardinali di questo Universo, cioè ilDecumanus, che divide il cerchio in due metà, unasettentrionale e l'altra meridionale (linea Est-Ovest); il cardo, rappresentato dalla linea Nord-Sud, divide a metà le prime due parti.

All'inizio della loro storia, i Romani scandivano iltempo della loro giornata lavorativa, religiosa esociale solo sulla base dei due momenti principalidel giorno-chiaro: l'alba e il tramonto. Essidenominavano dies il giorno e nox la notte e l'indo-mani era detto postridie e il giorno successivo postdiem tertium eius diei (il terzo giorno dopo quelgiorno). Allo stesso modo la vigilia era detta pridiee il giorno precedente ante diem tertium 1. Questoavvenne fino a circa 460 anni dalla fondazionedell'Urbe. Infatti, il punto di riferimento principaledell'intera giornata, cioè il mezzogiorno (meridies),venne ufficializzato solo nel 338 a.C.

Intorno al 274 a.C. i Romani adottarono finalmentela suddivisione del giorno e della notte in 24 partiuguali con suddivisione duodenaria del giorno-chiaro. E' il sistema delle ore cosiddette "tempo-rarie" o "ineguali", di durata variabile a secondadelle stagioni. Al tempo in cui Gerusalemme fuespugnata da Pompeo, cioè 63 anni a. C., era in usoil sistema del "Quadripartito" per cui sia il giornoche la notte erano suddivisi in quattro parti ugualidella durata di tre ore ciascuna, ma facendo inmodo che in ogni periodo dell'anno, sia la notteche il giorno venisse diviso sempre in dodici ore.Ognuna di queste quattro parti furo chiamata"Vigilia". Una notte era formata da quattro vigiliedi tre ore ciascuna che cominciavano al tramonto eterminavano col sorgere del Sole.La prima era chiamata "Vespera", la seconda"Media-nox", la fine della terza era detta"Galicinium", dal canto del gallo, e l'ultima"Conticinium", contata dal tempo del silenzio,ossia dal tacere del gallo. La descrizione diMacrobio sulla divisione duodenaria del giornopresso i Romani, è alquanto chiara e completa:

"Il primo tempo del giorno è chiamato inclinazionedella mezzanotte; poi viene Gallicinio e quindiConticinio, quando i galli tacciono e anche gliuomini allora riposano. Poi viene diluculo, cioèquando si comincia a distinguere il giorno; poimattino quando il giorno è chiaro. Dal mattino siarriva al mezzogiorno dal quale nasce il "tempusocciduum" cioè il tempo che va fino al tramonto;quindi arriva il supremo momento, "suprema tem-pestas", cioè l'ultimo tempo del giorno che vienecosì espresso nelle dodici Tavole: "Il tramonto delsole sarà il momento supremo"; quindi vi sono iVespri, il cui nome è tratto dai Greci che furonoispirati dalla stella Hespero, da cui l'Italia è chia-mata Hesperia poichè era vicina al tramonto. Daquesto momento si dice "prima fax" , cioè primaparte della notte in quanto si accendono le prime

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I ROMANI E LA MISURA DEL TEMPO

1 A. Dosi-F. Schnell, Vita e costumi dei Romani antichi, in Museo della Civiltà Romana,, Spazio e Tempo, vol.14, pag. 65, ed.Quasar, Roma, 1992.

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fiaccole. Poi viene notte "Concubia", cioè nottefonda e quindi "Intempesta", poichè non è favorev-ole allo svolgersi delle azioni".

Nella tavola 1 è rappresentata la suddivisione delgiorno e della notte dei Romani, secondo l'inter-pretazione di Giovanni Poleno 2.

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2 Joannes Polenii, Historiae Fori Romani, Romae, 1737

Anni quidemvertentis initiumcapiunt aliia

Solstitiis Hyberno ut RomaniAestivo ut Athenienses

Aequinoctis Autumnali ut AsianiVerno ut Arabes, Damasceni

Sic diem incipiuntalii ab

Ortu, ut Babilonii.Meridie, ut Umbri, Hetrusci.Occasu, ut Athenienses, Judaei.Media nocte, ut Romani, Aegyptii, Hyparchi.

Continetautem hicdies

Mane.MeridiesOcciduum sive serenum tempus.Solis iccasus sive suprema tempestas

VesperPrima faxConcubiumNox intempestaMedia noxMedia noctis inclinatioGalliciniumConticinium

Lucem, cujuspartes sunt

DiluculumCrepusculum

Tenebras, seunoctem, cujuspartes sunt

Tavola 1

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L'ora temporaria, che fino ad oggi ha ricevutodiversi nomi, è caratterizzata da una durata vari-abile per tutto l'anno a seconda della durata delgiorno (e della notte), per il fatto che essa deveessere in ogni caso sempre pari alla dodicesimaparte del giorno o della notte. E' evidente che essacresce a partire dal solstizio d'inverno, ha unadurata uguale alle ore notturne solo nei giorni diequinozio (perché la durata del giorno è uguale aquella della notte), raggiunge la sua durata massi-ma nel giorno del solstizio d'estate e quindi com-incia a decrescere in modo inverso fino al solstiziod'inverno. Se ne deduce che quando le ore diurnesono più lunghe, quelle della notte sono più cortee viceversa.La prima ora temporaria, comincia alla latitudinedi Roma, intorno alle 4 e 27 minuti del nostroorologio nel solstizio estivo e alle 7 e 33 del sol-stizio invernale. Quindi, d'estate, a Roma, l'oratemporaria varia tra 1 ora e 15 minuti delle nostreore normali e si riduce a circa 45 minuti (semprerispetto alle nostre ore) nel solstizio invernale.Marziale rileva il fenomeno con le parole: "Horanec aestiva est nec tibi tota perit" 3. Così, in altreparti si legge "hiberna addito", per indicare untempo molto breve. S. Agostino è più chiaro ditutti scrivendo: "Hora brumalis aestiva comparataminor est" 4.

Durata delle ore temporarie alla latitudine diRoma:

Durata delle ore diurne temporarie al solstiziod'inverno

I ora prima 7.33 - 8.17II hora secunda 8.17 - 9.2III hora tertia 9.2 - 9.46IV hora quarta 9.46 - 10.31V hora quinta 10.31 - 11.15VI hora sexta 11.15 - mezzogiornoVII hora septima mezzogiorno-12.44VIII hora octava 12.44 - 1.29IX hora nona 1.29 - 2.13X hora decima 2.13 - 2.58XI hora undecima 2.58 - 3.42XII hora duodecima 3.42 - 4.27

Durata delle ore diurne temporarie al solstizioestivo

I hora prima 4.27 - 5.42II hora secunda 5.42 - 6.58III hora tertia 6.58 - 8.13IV hora quarta 8.13 - 9.29V hora quinta 9.29 - 10.44VI hora sexta 10.44 - mezzogiornoVII hora septima mezzogiorno-1.15VIII hora octava 1.15 - 2.31IX hora nona 2.31 - 3.46X hora decima 3.46 - 5.2XI hora undecima 5.2 - 6.17XII hora duodecima 6.17 - 7.33

I Romani usavano specificare se l' ora era estiva(hora aestiva) o invernale (hora brumalis). Inoltre,essi tenevano particolarmente all'organizzazionedella giornata quotidiana seguendo un precisoitinerario in funzione delle ore. Tracce di questaorganizzazione la possiamo trovare in un famosoepigramma di Marziale :

Prima salutantes atque continet hora;Exercet raucos tertia causidicos:

In quintam varios extendit Roma labores;Sexta quies lassis, septima finis erit:

Sufficit in nonam nitidis octava palaestris,Imperat excelsos frangere nona toros.

Hora libellorum decima est, Eupheme, meorum,Temperat ambrosias cum tua cura dapes;Et bonus aetherio laxatur nectare Caesar,

Ingentique tenet pocula parca manu.Tunc admitte jocos: gressu timet ire licenti

Ad matutinum nostra Thalia Jovem.

Erano inoltre assegnate delle ore fisse per i "bal-nea", in genere la ottava in estate e la nona in inver-no, detta anche "hora lavandi", ed altre ancora.

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3 Mart. Lib. XII. Epigr. 14 De vera Relig. LXXX.

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La gran parte delle cose che sappiamo sulla scien-za antica, greca e romana, provengono da opere acarattere enciclopedico, redatte perlopiù attornoall'inizio dell'era Cristiana. Gli autori di questemonumentali opere, rivolte a raccogliere cog-nizioni relative su tutto il sapere dell'epoca, o soloper alcune discipline, non erano scienziati come loerano Archimede, Tolomeo o Galeno.

Ne è un classico esempio Cicerone il quale, puravendo elaborato una versione dei Phaenomena diArato, non era certo un astronomo. Ma forse ilmaggiore autore di questo caratteristico enciclope-dismo romano fu Caio Plinio Secondo Maggiore,vissuto dal 23 al 79 d.C. Pare che per redarre la suaopera "Naturalis Historia", dedicata all'imperatoreTito, e rivolta ai lettori desiderosi di conoscere inmodo facile tutta la scienza della sua epoca, abbialetto e compendiato più di duemila opere scienti-fiche.Nei suoi trentasette libri, Plinio raccoglie infor-mazioni circa la cosmologia, la geografia,l'antropologia, la fisiologia dell'uomo, la zoologia,la botanica e la mineralogia. Anche se l'opera diPlinio è molto lontana dai risultati ottenuti dagliscienziati greci, si deve prendere atto che maiprima di lui fu tentata un'impresa tanto audace. E,soprattutto, bisogna tener conto che senza questagrande enciclopedia antica, gran parte delleconoscenze di allora ci sarebbero oggi ignote. E, in effetti, l'argomento oggetto di questo scritto emolte informazioni sulla gnomonica di quel tempoci sono pervenute solo grazie a Plinio. E' anchevero che alcune notizie fanno rimanere perplessigli studiosi di gnomonica. Per esempio, non si èmai capito per quale motivo Plinio abbia citatoAnassimene e non Anassimandro (come è piùprobabile che sia) quale inventore a Sparta del-l'orologio solare. Oppure, come mai non abbiafatto cenno degli innumerevoli orologi solari cheerano in uso ai suoi tempi, dal momento che sap-piamo dell'esistenza degli orologi citati daVitruvio.

A parte Varrone e Censorino, le uniche citazionisui primi orologi solari che ebbe Roma, comevedremo, sono di Plinio, come sua è l'unica men-zione dell'orologio solare di Augusto in CampoMarzio.La Historia Naturalis ci è giunta attraverso unaprocessione infinita di ignoti amanuensi che sisono prodigati nel trascrivere, compendiare, inter-pretare, arricchire e ...purtroppo, modificare a pro-prio piacimento il testo originale che risulta, oggi,irrimediabilmente e profondamente corrotto inmoltissime parti.

Questo stato di cose ha portato, soprattutto nei sec-oli XVII e XVIII, alcuni autori eruditi alla stesura diopere destinate ad emendare, nel possibile e sullascorta di tutti i codici e documenti antichi allora adisposizione nelle più celebri biblioteche cristiane,i passi che risultavano profondamente modificatidell'opera di Plinio. Tra questi autori, si distinseroparticolarmente il francese Claudio Salmasioprima, e Antonio Giuseppe Comite a TurreRezzonici dopo, con le loro opere "DisquisitionesPlinianae".Ai nostri tempi si sono scomodati addirittura un'e-sercito di studiosi, diretti da Jean Soubiran, le cuiricerche, condotte sulla scorta di molti codici epubblicate dalle edizioni francesi Belle Lettres,hanno portato alla redazione di quella chedovrebbe essere la versione "definitiva" del testopliniano. Ma come è ovvio supporre, esistono solocorrezioni su correzioni. Il vano tentativo non èsolo un sogno degli autori moderni. Insomma, ilpovero Plinio quando scrisse la sua opera, nonsapeva affatto che sarebbe stato perseguitato datutti questi studiosi per più di duemila anni!

Ma pare che, soprattutto in diversi passi letteraridel testo di Plinio che più ci interessano dal puntodi vista della gnomonica, le frasi emendate risulti-no addirittura più oscure di quelle tramandatecidall'antichità. E' il caso, per fare un esempio, del"costruttore" dell'orologio di Augusto. Laddove in

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NATURALMENTE PLINIO

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molti testi rinascimentali, e anche fino al nostrosecolo, veniva indicato Manlio Matematico (di cuisappiamo almeno qualcosa), oggi risulterebbe uncerto "Facondio Novo" di cui non si può supporrenemmeno l'esistenza! Ma di questo parleremo piùapprofonditamente nelle pagine seguenti.

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Come si è detto, le notizie relative all'uso degliorologi solari in Roma sono quelle tramandateci daPlinio nella famosa "Storia Naturale". Il capitolo 60del libro secondo di tale opera riassume tutto quel-lo che sappiamo a tal proposito. Noi lo riproponi-amo in una moderna traduzione in quanto il testopliniano è più semplice e chiaro di quanto hannoscritto finora gli gnomonisti nei loro trattati 5.

"Il terzo accordo riguardò la divisione del tempo inore...(...). Anche questa innovazione giunse conritardo in Roma. Nelle leggi delle dodici tavole 6 siparla solo di alba e di tramonto; alcuni anni dopofu aggiunto il mezzogiorno, che era annunciato dalmesso dei consoli quando scorgeva il sole fra iRostri e la Grecostasi 7. Quando poi il sole si erainclinato dalla colonna Menia verso il carcere, ilmesso annunziava l'ultima ora del giorno; maquesto soltanto nei giorni sereni. Tale uso duròfino alla prima guerra punica. Fabio Vestale 8 rac-conta che, undici anni prima della guerra controPirro 9, Lucio Papirio Cursore collocò il primoorologio solare presso il tempio di Quirino, nelmomento in cui consacrava tale tempio scioglien-do il voto fatto da suo padre. Ma Fabio Vestale nondescrive il funzionamento di questo orologio, nondice il nome del suo costruttore, nè il luogo dovefu costruito; e tace anche il nome della fonte da luitenuta presente. Marco Varrone 10 afferma che ilprimo orologio collocato in un luogo pubblico fu

quello fatto sistemare su una colonna presso iRostri durante la prima guerra punica dal consoleMario Valerio Messalla dopo la presa di Catania inSicilia; questo orologio fu trasportato da Catania30 anni dopo la data a cui la tradizione attribuiscel'orologio di Papirio, cioè nell'anno 491 di Roma(263 a.C.). Le linee di questo orologio non cor-rispondevano con precisione alle ore; tuttavia essorimase la massima autorità per novantanove anni,finchè Quinto Marcio Filippo, che fu censoreinsieme a Lucio Paolo 11, fece installare accanto aquello antico un nuovo orologio diviso con mag-giore precisione; e questo dono risultò fra gli attipiù graditi della sua censura...".

Ritornando al capitolo 60 del Libro II di Plinio,come si vede, nelle versioni moderne si riporta cheRoma ebbe il suo primo orologio solare "undicianni prima della guerra contro Pirro", mentre indiverse versioni precedenti è scritto "dodici anniprima..." (ante duodecim annos...), e ClaudioSalmasio (XVII secolo) indica altri codici che ripor-tano "ante III decim annos", cioè 30 anni prima dellaguerra contro Pirro e quindi il primo orologiosolare dei Romani potrebbe datarsi al 311 a.C, ma èun'ipotesi da scartare, in quanto la dedica del tem-pio di Quirino avvenne nel 293 a.C., e quindi èquesta la data in cui Roma ebbe il suo primoorologio solare.

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IL PRIMO OROLOGIO SOLAREROMANO

5 Plinio II il Giovane, Storia Naturale, C. 60, 212 p. 131, lib. II. Edizione Einaudi, Torino, 1982.6 composte secondo la tradizione, tra il 451 e il 450 a.C.7 I Rostri erano la tribuna da cui parlavano gli oratori; la Grecostasi era il luogo dove gli ambasciatori attendevano prima diessere introdotti in Senato.8 Di Fabio Vestale, antico scrittore romano, non si sa quasi nulla.9 Dunque nel 293 a.C. Il Commentaire di Jean Soubiran al testo di Plinio delle "Belles Lettres", riporta: "Le primier cadran solaireaurait été installé en 293 avaint J.-C., onze ans avant la guerre de Pyrrhus. Seloc la juste observation du P. Hardouin, le chiffre "onze",donné par la plupart del ms., est à maintenir. En effet la guerre de Pyrrhus est datée par Pline lui-meme (8, 16) de l'an de RomeCCCLXXII (=282 avant J.-C.) et la dédicace du temple de Quirinus a eu lieu en 293 avant J.-C. (Tite-Live, 10 46, 7). L'événement auraitdonc eu lieu onze ans avant cette guerre...".10 Antiquitates rerum humanarum XV, fr. 3 Mirsch.11 nel 164 a.C.

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A dimostrazione di come sia stato corrotto il testodi Plinio e di come sia possibile anche perautorevoli studiosi cadere in errore quando gliavvenimenti sono incerti, è interessante notare cheClaudio Pasini, autore di uno dei più popolari edaccreditati libri sulla gnomonica di questo secolo(almeno in Italia) Orologi Solari, 1900, riporta (e conlui anche diversi altri scrittori) la data del 263 a.C.12

per il primo orologio solare di Roma, ma egli siconfonde forse con la frase di Varrone (citato daPlinio subito dopo) che menziona quello chedovrebbe essere il primo orologio solare installatonel Foro di Roma, ma il secondo che ebbe Roma.Infatti, anche Censorino scrive: "Illud satis constatnullum in foro prius fuisse quam id quod M. Valeriusex Sicilia advectum ad Rostra in columna posuit", sup-ponendo che si tratti del primo orologio solareposto nel foro di Roma.Si tratta di un orologio trafugato dai Romani moltotempo dopo aver sconfitto l'esercito di Pirro edopo aver assoggettato la città di Catania.

Ma come è ovvio, l'orologio, costruito per la latitu-dine di Catania, non poteva funzionare bene per lalatitudine di Roma e quindi, secondo quanto èsempre stato scritto nei libri, indicò ai Romani leore inesatte per 99 anni (nec congruebat ad horas ejuslinea: patuerunt tamen ei annos undecentum). Fu solonel 164 a.C. che M. Filippo censore ne fece costru-ire uno più preciso per la latitudine di Roma.

Anche a questo proposito gli autori, soprattuttostorici non esperti di gnomonica, non si sono dis-pensati dal fare osservazioni eccessive e fuoriluogo. Jérome Carcopino, nel suo libro La vita quo-tidiana a Roma, edito dalla Universale Laterza nel1967, scrive: "...M. Valerio Messalla aveva riportatotra il suo bottino di Sicilia il quadrante solare diCatania, e lo fece rimontare tal quale sul comitium, doveper più di tre generazioni, le linee tracciate sul polos perun'altra latitudine dispensarono ai romani ore senzarapporto alcuno con la realtà...(...) ci è lecito credere chedurante questo lungo periodo (99 anni), rimasero con

ostinazione più che nel loro errore, nella loro ignoran-za...".

Innanzitutto, è molto probabile che l'orologiotrafugato a Catania fosse del tipo "hemyciclum adenclima succisum", che pochi decenni prima avevainventato Beroso Caldeo in Grecia, e non il "polos"che è invece il vecchio "hemisphaerium". Inoltre,stando alle parole di Plinio, l'hemicyclium è forsel'orologio antico più adatto ad essere installato suuna colonna, come quello che si vede nell'anticaPompei, non certo l'hemisphaerium nel quale,essendo a calotta emisferica, diventa difficile leg-gere le ore se posto troppo in alto come su unacolonna da piazza.E' probabile che Messalla sia stato anche attiratodalla novità di un orologio solare nuovo, mai vistoprima. Comunque, l'orologio di Catania avrebbe si indica-to a Roma ore inesatte, ma con un'approssi-mazione non maggiore di 5-10 minuti che all'epocanon poteva essere tanto evidente da fare scalpore,se si considera che anche oggi, nonostante gli innu-merevoli impegni della vita quotidiana, 5-10 minu-ti rientrano nelle approssimazioni "umane". E'sbagliato quindi asserire, solo sulla base di questofatto citato da Plinio, che i Romani furono pocoaccorti nelle scienze.

Il modo di fare storia della gnomonica è stato sem-pre caratterizzato, dal Rinascimento ad oggi, dauna ingiustificabile negligenza da parte di moltiautori, nel raccogliere citazioni e fonti senza maiverificarne la veridicità. E' per questo che i libri dignomonica contengono moltissimi "luoghi comu-ni" storiografici i quali non fanno altro che ripeterele approssimazioni e gli errori di autori poco accor-ti, o di quanti hanno inteso la storia degli orologisolari materia "bistrattata" adatta solo a formareuna breve introduzione ai trattati tecnici sull'argo-mento.Per curiosità si riporta il breve passo che riguardai primi orologi solari di Roma, nelle versioni di due

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12 Pirro attaccò per la prima volta i Romani nel 281 a.C., quando accorse in aiuto dei Tarentini che si ribellavano a Roma, macon l'ambito disegno di annettere al suo regno anche la Magna Grecia. Il Commentario di J. Soubiran riporta: " M'. ValeriusMaximus Messala obtint, en meme temps que son collègue M'. Otacilius Crassus, dès 263 avant J.-C. - c'est-àdire, la seconde année de laI° guerre punique - le consulat et la conduite de la guerre en Sicile. La meme année 263 (= an de Rome 491) marque la prise de Catane. Cechiffre - an de Rome 491 - correspond à l'intervalle de temps - trente ans - qui, seloc Pline, s'est écoulè depuis l'installation en 293 avantJ.-C. (= an de Rome 461) du cadran solaire de Papirius".

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celebri autori di gnomonica, Oddi Muzio daUrbino, in "Orologi Solari", del 1614 e di ClaudioPasini, in "Orologi Solari" del 1900. Il lettore noteràsenz'altro la ripetizione, quasi letterale, delleinformazioni fornite da Muzio circa trecento anniprima e date ormai per scontate.

Oddi Muzio : "...E perciò fu molto stimato l'horologio,che doppo la presa di Catania vi trasportò M. Val.Messala, e l'altro che trent'anni dopo, vi fu condotto daL. Papirio Cursore per adempiere il voto fatto da Papiriosuo Padre ; che sebbene né l'uno, né l'altro mostraval'hore puntualmente giuste, per essere fabbricati alClima di Sicilia, se ne servirono nondimeno per lo spa-tio quasi di cento anni, finche da Q. Marcio FilippoCensore, ne fu posto un'altro vicino a questi due, fab-bricato dalla propria latitudine di Roma....".

Claudio Pasini : "La prima meridiana fu portata aRoma da Catania al tempo della prima guerra punica(263 a.C.) da Marco Valerio Messala e fu posta, comenarrano Varrone e Plinio, fra le colonne (rostra vetera)della tribuna del Foro. Trent'anni dopo un altro ne fucondotto da L. Papiro Cursore, e sebbene né l'uno nél'altro indicassero esattamente le ore, essendo fatti per lalatitudine di Sicilia, i Romani se ne servirono per circacent'anni, finchè da Q. Mario Filippo Censore ne fuposto un terzo vicino a questi due, costruito per la lati-tudine di Roma...".

In seguito furono costruiti molti altri orologi solarisparsi per tutta la città, tanto da far disperare ilparassita della Boeotica di Plauto che si lamentadicendo:

Ut illum Di perdant, primus qui horas repperit,Quique adeo primus statuit hic solarium,

Qui mihi comminuit misero articulatim diem.Nam me puero venter hic erat solarium

Multum omnium istorum optumum ac verissumum.Ibi iste monebat esse, nisi cum nihil erat,

Nunc etiam quod est, non estur nisi soli lubet.Itaque jam oppletum est oppidum solariis

Major pars populi aridi reptant fame.

Il cui significato è: "Possano gli Dei perdere coluiche è stato il primo a portar quest'orologio; untempo la fame era per me la migliore e la più certaora che mi avvertiva; ma oggi non posso che man-giare quando piace al sole: bisogna consultarne ilcorso e tutta la città è piena di orologi" 13.

Il termine "solarium" per indicare un orologiosolare, era molto diffuso presso i Romani. LeoAllazio, nel De mensura Temporum, del 1645 (cap.VI), scrive che "i Romani chiamavano Solario non soloil luogo costruito sulla sommità delle case (solaio), nelquale ci si riscalda, ma anche un luogo frequentato ecelebre perchè qui, come ipotizza Pietro Vittorio, c'eradisegnato in qualche parete una "ratio horarum",ovvero un orologio solare.

E' certo che al tempo di Vitruvio i Romani dove-vano servirsi abitualmente sia degli orologi solariche delle clessidre a sabbia o ad acqua, ne è unaprova il capitolo IX dell'Architettura, dedicato allagnomonica e alle diverse specie di orologi solari.Sicuramente il famoso architetto dovette avere sot-t'occhi tutti gli orologi elencati di cui Roma e leProvince ne dovevano essere piene. A noi sonopervenuti un buon numero di esemplari e, oltre aigià citati ritrovamenti di orologi solari, possiamoaggiungere un interessante elenco che fece P.Romano 14:

"Nella tenuta di Grotta perfetta, in occasione discavi, si rinvenne un orologio solare marmoreo conlo stilo di ferro. A Tor Paterno, negli ultimi anni del1700 se ne trovò uno di grande interesse.Purtroppo, però, fu portato in Inghilterra e solouna copia in gesso se ne riservò il Museo Vaticano.Il Settele rilevò che le linee orarie che negli altriorologi sono delimitate dai circoli dei tropici, inquesto erano prolungate fin quasi alla base dellostilo. Lorenzo Re, professore all'Università LaSapienza di Roma, possedeva nel 1815 un orologiosolare trovato presso il Circo di Caracalla.L'Antonini (1790), riprodusse in incisione bendiciotto altri orologi solari rinvenuti in Roma e

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13 Il testo latino l'ho trascritto dall'opera di Salmasio e sono evidenti alcune parole non uguali alle altre versioni, d'altra partelui assegna a queste dei diversi significati.14 P. Romano, Orologi di Roma, Anonima Romana Stampa, Roma, 1944. p. 6. Esemplare edito in sole trecento copie.

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A queste citazioni vorrei aggiungere, per nondimenticarmene, un interessante orologio ritrova-to nel vecchio Porto di Anzio. Senz'altro non se nesono visti altri uguali. Sembrerebbe appartenerealla famiglia degli Scaphen perchè si tratta di unorologio descritto in uno scafio e poggiato su unpiedistallo.

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nella Provincia. Il cosiddetto orologio solare "capi-tolino" fu trovato presso Castelnuovo di Porto.Benedetto XIV (1751) lo fece restaurare, mettervi lostilo e collocare su una finestra del MuseoCapitolino affinchè anche oggi - secondo quantodice l'iscrizione incisa sopra - ci potesse mostrare leore ineguali degli antichi".

fig. 1 Emicyclum romano trovato nel territorio di Velletri. Immagine tratta da “Manuale di vari orna-menti... che contiene la serie de’ Candelabri Antichi”, di Carlo Antonini, Roma, 1790 (per gentileconcessione di Mario Arnaldi di Ravenna). Si noti la pregevole fattura artistica e l’accorgimentotecnico di rappresentare le linee orarie temporarie non come delle linee diritte, ma come porzionidi curve racchiuse tra i semicerchi corrispondenti alle linee del solstizio estivo ed invernale (siveda a tal proposito N. Severino, Storia della Gnomonica, 1994)

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fig. 2 Ricostruzione di una meridiana bizantina, risalente al 500 d.C. circa, il cuioriginale si trova a Londra nello Science Museum, inv. 1983, n. 1393. Si tratta diuna versione migliorata della meridiana romana del III secolo d.C. ultimamenteidentificata con l’orologio solare citato da Vitruvio col nome “Pros Pan Clima” chesignifica “per tutte le latitudini”. Infatti, si tratta di una meridiana portatile univer-sale. (immagine tratta da Enciclopedia Storia delle Scienze, G. Einaudi Ed., 1991)

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C'era una volta l'Egitto...

Quando i Greci cominciarono ad interessarsi aimonumenti degli antichi Egizi, rivolsero partico-lare attenzione agli obelischi e alle piramidi.Attorno al 3000 a.C. sembra che qualcosa disomigliante ad un blocco di pietra, o forse proprioun monolito a quattro facce, e modellato sul ver-tice a forma di cuspide piramidale (detto alla grecapyramidion), fosse consacrato al dio sole primor-diale: e Re, o He-Harakhti o Khepri (il sole all'al-ba), Ra (il sole allo zenit) e Atum (il sole al tra-monto). Tali pietre erano denominate ben, o benbenle quali, secondo la tradizione, erano da tempoimmemorabile esistite a Junu (significa "pilastro"),luogo denominato successivamente dai Greci"Heliopolis", la città consacrata al dio sole. AnchePlinio testimonia che gli obelischi simboleggia-vano i raggi del sole, e perchè questa funzionefosse più evidente, gli egiziani ricoprirono d'oro edi altro metallo riflettente le cuspidi di questimonoliti. Gli Egiziani, chiamavano anticamente gli obelischicol nome man e, successivamente, tekhen, o tekhenu,la cui etimologia è incerta. Essi erano consideratil'espressione più antica ed astratta della lucesolare. Il vertice figurava il punto di partenza delraggio, il centro stesso del potere solare; la baseinvece la materia informe che la luce solare, sim-bolo di quella divinità, trasformava in cosmo 15.

Athanasius Kircher così definisce gli obelischi:"Columnae hieroglyphiacae quadrilaterae sensim ver-sus apicem gracilescentes et, deinde in parvam pyrami-dem truncatae" 16. Una iscrizione dovuta all'impera-tore Teodosio (347-395 d.C) sulla base dell' obelis-co da questi eretto nell'ippodromo diCostantinopoli (originario di Karnak e fatto costru-ire da Tutmosis III), riporta: "KIO' NA

TETRAPLEURON , etc.", in latino "Columnamquadrilateram simper terrae incubans onus Soluserigere Theodosius Imperator Ausus est, etc.".

I primi grandi ed importanti obelischi furonoinnalzati proprio ad Eliopolis, città che doveva poiessere tormentata dalla furia degli eserciti romani,tanto che un solo obelisco, quello di Sesostri I(1971-1928 a.C.) sembra sia rimasto in piedi inquell'antica città. Ma anche a Tebe, pilastro merid-ionale di Eliopolis, furono eretto molti obelischi,ed anche qui ne sono rimasti in piedi solo tre!Infine, Pi-Ramesse, la città del più megalomanefaraone dell'Egitto, Ramsete II, fu riempita diquesti "spiedi" calcarei, anche a costo di usurpare ilsuolo delle altre antiche città, trafugando blocchiinteri degli obelischi innalzati dai faraoni prece-denti .

I Greci, coniarono per il termine tekhen la nuovaparola obelìskos che significa "spiedino" dalla suacaratteristica forma sottile e allungata. Mentre gliarabi lo denominarono messalah, con riferimentoad un grosso ago. Le occasioni per costruire ed erigere gli obelischicerto non mancavano ai faraoni egizi. Oltre che aconsacrarli al dio sole, venivano eretti anche accan-to ai templi nei giorni in cui veniva festeggiato ilgiubileo del sovrano che, in genere, si rinnovava altrentesimo anno di regno e successivamente ognitre anni. Altra occasione era data dalle vittoriedelle battaglie militari. Di conseguenza, su quasitutti gli obelischi si trovano raffigurate le iscrizioniin geroglifico che attestano il significato della loroerezione. Ma raramente i fatti narrati rispecchianola storia vera. Particolarmente sospette, per esem-pio, sembrano le vanterie riportate sugli obelischiinnalzati da Ramsete II, mentre più veritiere sem-brano quelle di Tutmosis III.

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STORIA, SIGNIFICATO,ETIMOLOGIA DEGLI OBELISCHI

15 Simboli, miti e misteri di Roma, Newton Compton, p. 4916 A. Kircher, Obeliscus Phamphilius, Romae, 1650

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La maggior parte degli obelischi sono di granito,ma ne esistono anche altri di quarzite e basalto.Grandi cave di granito rosso si trovano in Egittopresso l'area di Aswan, soprattutto dall'isolaElefantina e di Seheil. Non si conoscono testi egiziche attestino le procedure di costruzione degliobelischi, ma ci resta una importante testimonian-za dalla quale è stato possibile dedurre quasi ogniparticolare sul procedimento di fabbricazioneusato dagli Egiziani: un obelisco incompiuto che èrimasto nell'originario sito di Aswan (fig.3).Questo obelisco è un monumento mancato a causa

di una spaccatura verificatasi nel banco di roccia.Dopo i necessari sondaggi per accertare la naturadella roccia e la sua compattezza, si procedeva aldistacco delle fiancate del monolito. Tale distaccopoteva avvenire, presumibilmente, mediante colpidi percussori realizzando una trincea attorno almonolito. Dopo che era stato staccato dalla rocciamadre, doveva essere trasportato fino al pianoro equindi fino al Nilo per essere poi imbarcato etrasportato nella città di destinazione. Per l'in-nalzamento dello stesso, il lettore può farsi un'ideaosservando la fig. 4 18.

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17 Habachi L., I segreti degli obelischi, Newton Compton, Roma, 1978, p.11 e segg.18 Ibid. pag.33

fig. 4 Innalzamento di un obelisco secondol’antico metodo egizio (da Habachi, I segretidegli Obelischi)

fig. 3 Obelisco incompiuto di Aswan

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fig. 5a Trasporto di obelischi per via fluviale e marittima (illustrazione tratta da G. Cipriani, Gliobelischi egizi. Politica e cultura nella Roma barocca, Olschki ed. 1993)

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fig. 5b Trasporto di obelischi per via fluviale, da J. Comes a Turre Rezzonici,Disquisitione Plinianae, 1767.

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fig. 6 Pianta degli obelischi di Roma (da C. D’Onofrio, Obelischi di Roma, Roma, 1965.

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Prima di parlare dell'Obelisco di Augusto, saràutile qualche informazione storica sul luogo per ilquale l'imperatore aveva deciso di effettuare la suabonifica e i suoi progetti di sistemazione architet-tonica.

Il termine Campo Marzio indica, generalmente, lapianura compresa tra il Campidoglio e il Tevereche si estende fino alle pendici del Quirinale e delPincio. Tuttavia, la zona orientale della Via Lata, fuesclusa dal Campo Marzio attorno al 221 a.C.,dopo che fu costruita la via Flaminia. Ma Campo Marzio, poteva anche significare unagrande zona sgombra di edifici pubblici e destina-ta a zona militare, oppure, in senso più ristretto, lazona destinata ai comizi centuriati e poi a quellielettorali.

La leggenda sulle origini di Campo Marzio loricollega ai Tarquini che ne dovevano essere i pro-

prietari in qualità di agro regio. Quando invece iTarquini furono espulsi da Roma, l'area del CampoMarzio divenne pubblica. Nella zona centralesorgeva un santuario molto antico, l'Ara di Marte,che assumeva evidentemente un significato piùpropriamente militare. Al centro erano i "Saepta",una grande piazza rettangolare dove si riunivanoin età repubblicana i comizi centuriati e quelli elet-torali. Della prima fase repubblicana, restano soloalcuni santuari quale testimonianza edilizia. Nel IIsecolo a.C. comincia a svilupparsi un tipo diurbanistica monumentale, soprattutto nell'area cir-costante il Circo Flaminio.

Nel periodo augusteo il Campo Marzio fu oggettodi opere di bonifica da parte dell'imperatore ilquale rivolse la sua attenzione all'urbanizzazionedella parte centrale della pianura ed al rifacimentointegrale del complesso di edifici circostante ilCirco Flaminio.

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IL CAMPO MARZIO

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L'Imperatore, a decorazione del Campo Marzio,pensò di far erigere un orologio solare grandiosoche fosse a un tempo calendario e indicatore delleore, e fra l'Ara Pacis e i portici di Agrippa, nelmezzo di un gran parco innalzò un obelisco, desti-nato a proiettare l'ombra sopra un gran pavimentodi travertino. L'obelisco-gnomone, fu rimossodalla sua sede originaria ad Eliopolis, in Egitto,nell'anno 12 a.C.; esso fu eretto dal faraonePsammetico II, seicento anni prima dellarimozione. Fu trasportato con una grossa chiattafino al porto di Pozzuoli e trasferito su un'altraimbarcazione con la quale raggiunse la foce delTevere. La descrizione dell'orologio ci è stata lasci-ata, come al solito, dal naturalista Plinio il Vecchionel seguente passo della sua Historia Naturalistratto dalla traduzione di Antonio Corso, RossanaMugellesi e Giampiero Rosati, recentemente pub-blicato dalla Einaudi (vol. V, Libro XXXVI, .15,pag.627):

All'obelisco che è nel Campo Marzio il divino Augustoattribuì la mirabile funzione di segnare le ombre proiet-tate dal sole, determinando così la lunghezza dei giornie delle notti: fece collocare una lastra di pietra cherispetto all'altezza dell'obelisco era proporzionata inmodo che, nell'ora sesta del giorno del solstizio d'inver-no l'ombra di esso fosse lunga quanto la lastra, edecrescesse lentamente giorno dopo giorno per poiricrescere di nuovo, seguendo i righelli di bronzo inser-iti nella pietra: un congegno che vale la pena conoscere,e che si deve al matematico Facondo Novio. Questiaggiunse sul pinnacolo una palla dorata, la cui estrem-ità proiettava un'ombra raccolta in sé, perchè altrimen-ti la punta dell'obelisco avrebbe determinato un'ombrairregolare - a dargli l'idea fu, dicono, la testa umana.Questa registrazione del tempo da circa trent'anni nonè più conforme al vero, forse perchè il corso del sole nonè rimasto invariato, ma è mutato per qualche motivoastronomico, oppure perchè tutta la terra nel suo comp-lesso si è spostata in rapporto al suo centro (un fatto che- sento dire - si avverte anche in altri luoghi), oppure

semplicemente perchè lo gnomone si è smosso in segui-to a scosse telluriche, ovvero le alluvioni del Teverehanno provocato un abbassamento dell'obelisco, anchese si dice che se ne siano gettate sottoterra fondamentaprofonde tanto quanto è alto il carico che vi si appoggia.

Quindi Plinio ci fa sapere che la lettura dell'ora"dopo trent'anni non corrispondeva più, sia che il solestesso avesse mutato il suo corso per qualche rivolgi-mento celeste, sia che tutta la Terra si fosse spostata dalsuo centro, -come riferiscono essere stato osservatoanche in altri luoghi- sia che lo gnomone si sia inchina-to sul posto a causa dei terremoti, sia infine che il ter-reno abbia ceduto in seguito alle inondazioni delTevere". Ma il commento di Plinio fa sorriderealcuni archeologi i quali non ammettono che unmatematico romano potesse sbagliarsi nei suoi cal-coli, e ancor meno che un architetto facesse dellecattive fondazioni, anche con tutti i terremoti edalluvioni possibili. Ma è evidente che le cause sonoda ricercare, molto probabilmente, in un semplicedissesto del suolo a causa di qualche terremoto,con un conseguente spostamento dell'obelisco che,sebbene all'apparenza non risulti, si rende evi-dente nella lettura dei punti d'ombra. Ma perquesto aspetto, si veda più avanti il paragrafo rel-ativo al testo di Plinio commentato dal Rezzonici.

L'orologio fu inaugurato il 9 a.C., per integrare unprogetto architettonico ed urbanistico speciale : " Ilgigantesco "solarium" venne finito e inaugurato nelgennaio del 9 a.c., insieme con un altro elemento delgrande progetto, la famosa "ara pacis". Il complessorisultava composto dal "solarium", dall'"ara pacis", dal"mausoleo" (tomba imperiale) e dall'"ustrino"(inceneritore), elementi tutti collegati tra loro geometri-camente, topograficamente e simbolicamente, raccolti inuna tematica unitaria dominata dall'esaltazione delladivinità imperiale" 19. In effetti, è molto probabile che ladisposizione dell'orologio solare di Augusto fosse taleche "l'ombra della boccia collocata sulla cima dell'o-belisco, che simboleggiava Augusto, il sole Apollo, toc-

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L’OROLOGIO SOLARE DI AUGUSTO

19 G. Fantoni, La meridiana di Augusto, Orologi. Le misure del tempo, ed. Technimedia, Roma, n° 10, 1988, p. 107.

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cava l'Ara Pacis (l'altare della pace) in un dato momen-to a confermare che Augusto era nato per la pace.Infatti, quest'altare segnala la linea equinoziale checoincideva con la data di nascita dell'imperatore (23 set-tembre). Inoltre, l'asse tracciato dall'obelisco all'altaredella pace formava un angolo retto con quello dell'o-belisco del Mausoleo di Augusto" 20.

Il testo di Plinio, già fortemente discusso dagli eru-diti di tre-quattro secoli fa, dà delle indicazionipiuttosto precise sulla natura calendariale delmonumento, ma non sulla funzione di orologio. IlBandini, nel secolo XVIII, per meglio chiarire ladescrizione di Plinio, suppose che "verso tramon-tana si formasse un lastricato di pietre quadrate, dilunghezza proporzionata all'altezza dell'obelisco,cioè di tale lunghezza, che potesse da tutta l'altez-za del monolito ricevere l'ombra meridiana nelgiorno del solstizio d'inverno, la quale ombra è lapiù lunga fra quelle meridiane, che sieno gettatedal sole in tutto l'anno e quindi che si facesse seg-nare in questo strato per lungo con delle lamine oregole di bronzo indorato le lunghezze delleombre meridiane in diversi tempi dell'anno, e che,finalmente, si volesse che si denotassero ancora legrandezze o quantità dei giorni e delle notti pari-mente con delle righe di bronzo indorate e incas-trate nel detto pavimento. Queste linee dovevanogiacere perpendicolarmente a traverso dellameridiana e dovevano essere di diversegrandezze, corrispondendo da una parte allalunghezza dei giorni e dall'altra a quelle dellenotti. Onde, battendo l'ombra della palla, posta incima all'obelisco, in una di esse o vicino ad alcunadelle medesime, doveva mostrare il rapporto chela lunghezza di tutto quel giorno aveva con tuttaquella notte, o con qualunque altro giorno e l'altra

notte dell'anno, col mostrare il rapporto di quellerighe alle altre righe di bronzo" 21. Probabilmente lalinea meridiana calendariale venne realizzatadopo che fu innalzato l'obelisco, e non si conoscecome fosse stata posata la sfera sulla sua cima. Sicrede che il globo fosse inserito in maniera che nonsuperasse l'altezza della guglia, o dopo aver recisatanta parte della guglia stessa, quanta era lagrandezza della sfera; oppure poteva, questa,essere incastrata nella cuspide in modo che l'uno el'altro avessero uguale altezza 22. Il Fantoni ha calcolato gli intervalli tra i regoli delledate che avrebbe dovuto disporre il costruttoreFacondio Novo, o Manilio matematico, dispostiperpendicolarmente alla linea meridiana. Egli hatrovato che lo spazio tra ogni regolo è nullo ai sol-stizi, quando anche la variazione della lunghezzad'ombra è praticamente nulla, e raggiunge un mas-simo di 56 cm nei periodi di febbraio e novembre.Inoltre egli ha calcolato che per un'altezza dell'o-belisco pari a 29.42 metri, l'eventuale orologiosolare avrebbe avuto i suoi punti orari estremi (ore1 e 11 temporarie) lontani 260 metri dallo stessoobelisco-gnomone. In un orologio solare di talidimensioni è difficile pensare che vi siano stateinserite tutte e sette le linee di declinazione solare.Sicuramente vi era riportata la linea equinozialeperché, come detto, rientrava nel progetto urbanis-tico dell'imperatore 23. Plinio pare facesse riferimento anche ad una even-tuale indicazione sullo strumento della durata deigiorni e delle notti. Ciò si ottiene mediante duesegmenti compresi tra il punto estremo della lineameridiana e i punti mediani degli spazi orari tra le3-4- e 8-9 sulla curva del solstizio estivo. Ma pareche non siano state ancora ritrovate tracce diqueste linee.

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20 A. Dosi-F. Schnell, Spazio e tempo, in Vita e costumi dei Romani antichi - Museo della civiltà romana, edizioni Quasar, Roma,1992, p.75.21 P. Romano, op. cit. pag. 1022 Idem, p. 1023 G. Fantoni, op. cit., pag. 110

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Nel 1976, l'archeologo tedesco Buchner, insiemepoi al suo collega Rakob, dell'Istituto ArcheologicoGermanico di Roma, intrapresero le ricerche del-l'antico "solarium" di Augusto, sulla scorta di tuttele possibili informazioni disponibili. Lo studio diBuchner rappresenta soprattutto una sintesi del-l'immenso progetto augusteo di urbanizzazionedel Campo Marzio, e perciò le notizie sull'orologiosolare si fondono insieme ad una marea di altreconsiderazioni archeologiche sui monumenti delluogo.

Anche se lo studio di Buchner si presenta oggicome la soluzione al dilemma se l'obelisco camp-ense fosse un gigantesco gnomone per la sola lineameridiana o per un intero orologio solare, è tut-tavia doveroso precisare che già nel XVI secolo ilMasi, e nel XVII secolo, il Kircher, sostennero chedovesse trattarsi di un intero orologio solare ad oretemporarie. Addirittura Kircher, nel suo volumeObeliscus Pamphilius, del 1650, ci regala un diseg-no di come doveva essere l'orologio di Augusto.Ed è assolutamente sorprendente vedere, oggi,come quel disegno combaci perfettamente con imoderni progetti dell'antico tracciato (fig. 32).Nel XVIII secolo, il noto Francisco Jaquiero, scrive-va una erudita nota al testo di Antonio GiuseppeComes Turre Rezzonici, "Disquisitiones Plinianae"(che riprenderemo tra breve) in cui è molto esplic-ito a tal riguardo :"Insignem Campi Martii Obeliscum, non unicè admeridianum tempus indicandum (ut Mathematicisvidetur) ab Augustus positum, sed integras Sciothericihorologii vices praestisse, ostendere confido ex verbis".

Inoltre, la scoperta di Buchner del tracciato origi-nale è solo una "riscoperta", in quanto, come sivedrà meglio nelle citazioni storiche, esso furitrovato nel 1463.

La ricostruzione dell'intero orologio solare, secon-do Buchner, rispetto alla moderna topografia di

Roma, è visibile nella fig. 8, in cui si vede pure chenon sono comprese le linee orarie 1 e 11, perchétroppo distanti dalla base dell'obelisco e perchécomunque con questa soluzione si rispettava l'in-tera lunghezza della linea meridiana, in accordocon le parole di Plinio "...in modo che l'ombra fossepari alla larghezza del selciato all'ora sesta del sol-stizio invernale...".

Nel 1979 Buchner mette mano ai picconi e comin-cia a scavare, insieme a Rakob, nella Via di CampoMarzio, ma senza successo. Lo scavo successivo,invece, effettuato nella cantina dell'edificio cheporta il numero civico 48, della stessa strada, portòinsperatamente alla luce un tratto del pavimentocon il tracciato antico, per una lunghezza di circa20 metri quadri che comprende la linea meridianacon i regoli disposti in questo punto a una distan-za di circa 26 cm l'uno dall'altro, e una tratta dilinea diurna (la quale è difficile dire se sia intera osolo la parte che si vede) relativa ala fine dei segnidell'Ariete e del Leone e l'inizio della Vergine e delToro.Pare che ci sia qualche perplessità sul fatto chel'antico selciato è stato ritrovato ad una profonditàdi scavo di circa 6,30 metri sotto il livello stradale,in quanto gli archeologi si aspettavano di trovarload almeno 8 metri di profondità. Ciò ha fatto ipo-tizzare che l'originario complesso gnomonico,messo fuori "servizio" - come scrive Plinio - a causadelle inondazioni, o dei terremoti, o da un colos-sale incendio, fosse stato ripristinato da qualchesuccessore di Augusto che lo avrebbe ricostruitoad una quota più elevata. La datazione degli arche-ologi, per questa nuova ristrutturazione del-l'impianto, è all'incirca l'epoca di Domiziano. Ma, aquesto punto, ci viene da pensare se fu mai piùpossibile ricostruire, e con precisione, un talegigantesco orologio solare dopo che fu quasi com-pletamente distrutto dalle calamità naturali e per-ché mai, un imperatore romano come Domizianonon si sia degnato di lasciare memoria di un così

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LE SCOPERTE DIBUCHNER E RAKOB

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importante "restauro" come, per esempio, unasemplice frase scolpita sulla base dell'obeliscooriginario. Proprio come aveva fatto Augusto amemoria del suo mega progetto.Altri dettagli degli scavi si leggono ancora inFantoni 24: "Ai lati della meridiana, con stupende let-tere in bronzo di 25 cm, sono indicati i nomi greci deisegni zodiacali...si leggono le ultime due lettere di Leon(...��) e le prime quattro lettere di Parthenos, laVergine (��...); dall'altra parte di trovano leultime due lettere di Krios, l'Ariete (...��) e le primequattro di Tauros, il Toro ( ��...). Sulla strisciabronzea che divide i segni zodiacali, dove finisce il Leonee comincia la Vergine, vi è un'indicazione meteorologi-ca stagionale: CESSANO I VENTI ETESI (� ������� � ����� ��); si tratta di quei venti periodicisettentrionali che soffiano in Egeo d'estate e cessanoall'avvicinarsi dell'autunno...(...)...All'estremo sud

dello scavo è stata messa in luce la scritta INIZIOESTATE (QEROUS ARCH) sistemata presso i regolidei primi giorni di maggio...".

Sembra che in tempi recenti Buchner e Rakob sianoriusciti a trovare il punto esatto dove era installatol'obelisco-gnomone, ma nel frattempo gli scavi e lericerche sul solarium di Augusto sono stati conge-lati. Così, in attesa di buone novelle, o che in occa-sione del futuro Giubileo si faccia strada l'utopisti-ca proposta di Fantoni, cioè di realizzare una gal-leria turistica sotterranea per poter ammirare davicino l'antica meraviglia gnomonica, dobbiamoaccontentarci di ciò che è possibile estrapolaredalle fonti storiche, ormai quasi completamenteesaurite e sviscerate da quanti sono stati attratti,nel corso di secoli, da questa leggenda gnomonica.

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24 G. Fantoni, op. cit. p. 114.

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fig. 8 Orologio di Augusto come disegnato da Buchner nella topografia romana (da die Soinnenuhrdes Augustus, PhVz, Mainz, 1980)

fig. 7 Orologio di Augusto come disegnato da G. Fantoni (da La meridiana di Augusto, inOrologi, Le misure del tempo, Technimedia, 1988)

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fig. 10 (sopra) Particolare della linea meridiana con la scritta“Cessano i vento Etesi” (disegno dell’autore)

fig. 9 (a destra) Schizzo della porzione di linea meridianatrovata da Buchner (disegno Fantoni)

fig. 11 (sotto) Itinerario di Einsedeln. (da Lanciani)

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fig. 12 Pianta di Roma di A. Strozzi come si vedenel Cod. Laur. Red. 77-1474 (da Lanciani)

fig. 13 Disegno del Solarium di Augustonella topografia di Roma (Lanciani)

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fig. 14 Particolare della fig. 13. E’ evidente l’errore effettuato nel disegnare la disposizione dell’orologio diAugusto (si confronti con la fig. 8). L’obelisco è nel posto giusto, ma l’orologio (tutto il tracciato orario)deve essere capovolto. Inoltre, si nota nel disegno approssimativo delle linee diurne, certamente non cal-colate, come nel caso Buchner-Fantoni. L’errore è grave, perchè è altresì evidente che non è tipografico.Infatti, l’autore ha voluto far combaciare la fascia che chiude l’estremità destra delle linee di declinazionecon la navata principale della Chiesa di S. Lorenzo in Lucina, mentre nel disegno di Buchner si vede tut-t’altra cosa. (da Lanciani R., Storia degli scavi di Roma)

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Possiamo solo cercare di immaginare quale fu lostupore dei Romani quando videro arrivare nellepiazze di Roma i giganteschi monoliti trafugati inEgitto. Fu proprio Cesare Augusto che cominciòad innalzare i primi obelischi in Roma, e ne adottòanche il simbolismo solare.Il primo, provenienteda Eliopolis (XIV-XIII secolo a.C.), si trova oggi aPiazza del Popolo. Il secondo, stessa provenienzacon iscrizioni di Psammetico II (VI secolo a.C.)volle destinarlo a gigantesco gnomone di un mon-umentale orologio solare, ed è quello che più ciinteressa. Oggi si trova in Piazza Montecitorio. Neseguirono parecchi altri, non sappiamo quanti,forse una trentina, ma sicuramente erano molti dipiù dei tredici che sono stati ritrovati fino ad oggi25. Ma dei tanti obelischi che adornavano le piazzedella Roma imperiale solo uno non fu abbattutodalla furia pagana dell'Alto Medioevo: quello eret-to nel circo Vaticano.Non bisogna dimenticare che da quando l'Egittoentrò a far parte dell'Impero romano, il culto diIside si diffuse in tutta l'Europa. Già il De mirabilisurbis Romae, di Magistro Gregorio, sul finire del XIIsecolo, testimoniava che l'interesse per la culturaegizia era vivo nel medioevo.Il "mistero del paganesimo" e i "misteri egizi",come erano definite le iscrizioni geroglifiche sullefacciate degli obelischi, furono oggetto di rinnova-to interesse a cominciare dal XV secolo con ildomenicano Nanni da Viterbo che pubblicava unaraccolta di apocrifi con il culto di Osiride e influen-zando il Papa Alessandro VI. Nacquero così gliaffreschi del Pinturicchio negli appartamenti deiBorgia e il romanzo Hypnerotomachia Poliphili, diFrancesco Colonna, illustrato con disegni di

geroglifici..Ma il primo documento da cui scaturìquesto clima di rinascimento egizio a Roma,provocando un vero sincretismo religioso frapaganesimo e cristianesimo, fu forse una versionegreca del codice Hieroglyphica di Orapollo (unautore egiziano del IV secolo d.C.), acquistata nel1419 dal sacerdote fiorentino Cristoforo de'Buondelmonti 26 che arrivò a Firenze nel 1422. Cosìanche il Corpus Hermeticum di Ermete Trismegisto,il De Iside et Osiride di Plutarco e il De misteriis diGiamblico, tradotti dal greco e divulgati daMarsilio Ficino, ebbero molta eco fra gli eruditi.La fame di geroglifici e di reperti egizi, dunque,muoveva gli studiosi alla ricerca di questi antichimonumenti e, nonostante fosse nota l'ubicazioneesatta di alcuni degli obelischi sparsi per le piazzedi Roma, si dovette attendere l'operato di Sisto Vperchè alcuni di essi venissero di nuovo innalzatial cielo e riacquistare così l'antico splendore.Ma Sisto V, nel suo pur nobile intento, non fu maimosso da alcuna passione per gli Egizi, consideratipiuttosto idolatri, dall'ambizione di elevarsi all'al-tezza dei faraoni e degli imperatori. A questoproposito scrive Giovanni Cipriani 27: Sisto V, a differenza di numerosi suoi predecessori, nonamò mai in podo particolare le testimonianze del mondoantico. Deciso avversario di ogni forma di paganesimovide nelle opere della classicità la tangibile sopravviven-za della passata idolatria e non esitò a distruggerle perfar trionfare l'immagine di una nuova Roma, una Romacristiana ancor più doviziosa e superba di quella deiCesari. La sua instancabile attività edilizia e di pianifi-cazione urbana è strettamente connessa a questo ide-ale...destinato a trasformare in un breve volger d'anniuna città pigra e sonnolenta in un vasto cantiere pul-

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IL RINASCIMENTO EGIZIONELLA ROMA BAROCCA

25 Secondo Pubblio Vittore e Michele Mercati, furono trasportati a Roma 48 obelischi. C. Tempesti, Storia della vita e geste di SistoV, Roma, 1754 tomo I, p. 22, riporta: "Quarantadue obelischi, tra grandi e piccoli, furon da' Cesari innalzati in diversi luoghi per orna-mento della città, capitale di tutto il mondo". In un manoscritto di Andrea Asulano Aldi del 1518 è scritto "Obelisci parvi XLII", men-tre in un'altra edizione della stessa opera: "Obelisci parvi quadraginta duo". 26 A. Cattabiani, op. cit., p.5427 G. Cipriani, Gli obelischi egizi. Politica e cultura nella Roma barocca., Leo Olschki Editore, Firenze, 1993, p. 9

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sante di vita. Solo in pochi casi Sisto V non solo ebberispetto ma vera e propria ammirazione per il frutto dellavoro e dell'ingegno degli antichi. L'esempio degliobelischi egizi è forse il più significativo...".

Durante tutto il XVI secolo, il fascino esercitato daquesti "misteri egizi", conquistò l'animo dei piùgrandi artisti e l'ingegno delle menti più feconde.Giovanni Pierio Valeriano scriveva la sua sintesisull'argomento, dal titolo Hieroglyphica; VincenzoCartari evocava gli dei egizi nel suo Imagini de i deide gli antichi, Marsilio Ficino e Giordano Brunopubblicavano i loro studi sull'ermetismo, mentre ilgrande architetto Domenico Fontana escogitava ipiù incredibili metodi per trasportare gli obelischida una piazza ad un'altra e per innalzarli.Nacquero addirittura specifici trattati sul modo ditrasportare obelischi, come quello mitico diCamillo Agrippa, Trattato di trasportar la guglia, equelli più generici sugli obelischi di Roma (unoper tutto quello di Michele Mercati del 1589).

L'unico obelisco rimasto in piedi dal medioevo,quello Vaticano che giaceva presso l'antico Circo diNerone, fu eretto nel Vaticano, sotto Sisto V, il 27settembre 1586.Una nuova era cominciava, e due anni dopo altriobelischi furono eretti, in Piazza Santa MariaMaggiore, in Piazza del Popolo e in S. Giovanni inLaterano. E nei versi del fiammingo FilippoPoelarius "non si scorgeva alcun accento critico neiconfronti del passato paganesimo, emergeva solola sacralità del monumento (obelisco Vaticano),una sacralità che non sarebbe venuta meno con iltrascorrere dei secoli e che sarebbe giunta fino anoi", scrive Cirpiani nell'opera citata.Era questa la strada che portò paradossalmente aduna interpretazione cristiana dei favolosi monu-menti egizi, ulteriormente rafforzata nel secolosuccessivo dal gesuita Athanasius Kircher e la suafantastica interpretazione dei geroglifici associan-do il simbolismo delle steli egizie con la Trinitàcristiana.

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La documentazione principale relativa al ritrova-mento archeologico dell'obelisco "campense",come viene anche denominato l'obelisco diAugusto in Campo Marzio, e la documentazionerelativa ai primi tentativi di recupero, è sintetizza-ta nell'eccellente ed insostituibile opera di RodolfoLanciani, Storia degli scavi di Roma. Si tratta soprat-tutto di citazioni tratte da opere generiche sull'an-tica topografia romana, da avvisi urbani e da operearcheologiche sulle antichità di Roma. Gran partedi questa documentazione può essere qui riassun-ta come segue :

1)"Nel 1484, poco dopo la morte di Papa Sisto IV,avvenuta il 13 agosto, furono composte da un dis-cepolo di Pomponio Leto (morto nel 1498), le"excerpta a Pomponio dum inter ambulandumcuidam dominio ultramontano reliquias ac ruinasurbis ostenderet". Queste note di topografiaromana furono inserite nella raccolta "de Romaprisca et nova varii auctores" dell'Albertini, edi-zione del Mazzocchi 1510 (poi del 1515 e 1522)sotto il titolo "Pomponius Laetus de vetustateurbis". Il De Rossi ne ha ritrovato il testo genuinonel codice Marciano latino X, n. 195 e l'ha divulga-to negli Studii e documenti di Storia e Diritto, annoIII, 1882, p. 49 e sgg."

Come si capisce da questo breve stralcio dell'operadel Lanciani, la notizia divulgata su Internet, di cui

abbiamo detto all'inizio, si riferisce all'edizione delMazzocchi del 1522 (e non 1521) da cui l'autore nericava che la data della scoperta dell'obelisco è il1521, senza peraltro tenere conto delle precedentiedizioni del 1515 e la prima del 1510. E' evidenteche la vera scoperta dovrebbe essere retrodatata dialmeno 25 anni circa, attorno al 1484 anno in cuifurono redatte le "note di topografia romana"stampate poi dal Mazzocchi. Ma è ancora piùprobabile che i resti dell'obelisco siano statiritrovati prima della pubblicazione delle note ditopografia romana, attorno al 1463 quando furonoeffettuati i primi scavi della cappella del CardinalCalandrino nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina,come dice appunto la prossima citazione.

2)Il codice originale, rintracciato dal De Rossi, ripor-ta al foglio 27 "Ubi est domus nova facta, quae estcappellanorum cuiusdam cappellae s. Laurentii(edificata dal card. Calandrino circa il 1463), fuitbasis orologii nominatissimi" - cioè il piedistallodell'obelisco di Augusto - "ubi est ephm(ephebeum?) capellanorum, ibi fuit efossumhorologium: quod habebat VII gradus circum, etlineas distinctas metallo inaurato. Et solum campierat ex lapide amplo quadrato, et habebat lineaseasdem: et in angulis quatuor venti ex opere musi-vo cum inscriptione ut BOREAS SPIRAT etc".

Quindi, insieme al ritrovamento del piedistallo

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RACCOLTA DI CITAZIONI SULLASCOPERTA DELL’OBELISCO

DI CAMPO MARZIO

28 E' parere dell'autore che gli orologi orizzontali del tipo rinvenuto ad Aquileia e a Pompei, nonchè il famoso orizzontale trova-to negli scavi di Sante Amendola nel 1814 presso la Vigna Cassini, a destra dell'Appia Antica, a Roma, ed illustrato da FrancescoPeter negli Atti dell'Accademia Romana di Archeologia del 1823, siano da identificare con il "Discum un planitia" di Vitruvio enon con il "Pelecinum", come in voga attualmente, perchè quest'ultimo è stato finalmente identificato dal vostro autore con il"Pelignum" descritto da Cezio Faventino nel XXXVII libro della sua opera De diversis Fabricis Architectonicae, del IV secolo d.C.,di cui un esemplare è visibile nel Calendario di Lambecio, sempre del IV secolo d.C., su un sarcofaco cristiano a vasca del IIIsecolo e soprattutto nel noto mosaico romano (I-II secolo) di Treviri, ora conservato nel Landesmuseum di Trier. A tale propos-ito si veda N. Severino, "Storia della Gnomonica" e "Pelecinum, o Pelignum?" in Bulletin n° 97.2, 1997, della British Sundial Society.

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dell'obelisco, fu rinvenuto anche un orologiosolare di marmo, sicuramente del tipo "discum inplanitia", cioè un orologio orizzontale ad ore tem-porarie con le curve dei solstizi e la lineaequinoziale del tutto simile all'orologio impropria-mente denominato "pelecinum" di Aquileia 28.

3)Il testo del Lanciani offre anche una nota moltointeressante in cui dice che il de Rossi ha fattonotare come tutti gli scrittori che pendono dal testopomponiano ripetano in coro l'errore dell'utfacente parte della iscrizione VT BOREAS SPIRAT.Solo Iacopo Lauro nella sua "Origin. Urb. Rom.",edizione del 1612, scrive correttamente "additis hisverbis BOREAS SPIRAT".

Nel 1512, Antonio Lelio, ovvero il Lilius Podagerdella notizia comparsa su Internet, scrive una pos-tilla al foglio n.12 del codice vaticano 1108, conte-nente la silloge epigrafica stampata in Roma daJacopo Mazzocchi nel 1521 29:

4)"Sub Julio II pont. max. in regione Campi Martiipost aedem D. Laurentii in Lucina, et propedomum cardinalis Crassi, in domunculae cujus-dam tonsoris horticulo, dum in eo pro conficiendalatrina foderetur, detecta est basis obelisci omni-um, qui in urbe extent, ut conspicari erat maximi.Obeliscus jacebat, nec videri poterat an totus inte-ger esset, quippe cuius ima tantum pars videbatur.In basi erat inscriptio, quam ego legi, sed non rectede ea memini (CIL, VI, 702)... In hoc obelisco gno-mon olim ille erat percelebris de quo Plinius mem-init. Quin vicini, qui circa illum insulas habent,asseverabant omnes pene se ipsos, dum pro confi-ciendis cellis vinariis alias fodissent, invenissevaria signa caelestia ex aere, artificio mirabili, quaein pavimento circa gnomonem hunc erant. Iulioprincipi in bellis tunc, ut semper, implicitissimo, utobeliscum hunc iterum erigi...facere, suasere qui-dem permulti, persuasit autem nemo. Ideo tantumantiquitatis miraculum a tonsore illo iterum sepul-tum est".

Sono le stesse cose descritte nel codice 11400, già diGio. Battista Bandini, postillato da AntonioAgostini, e da quest'ultimo offerto in dono aGiovanni Metello.

L'iscrizione del piedistallo fu copiata anche daGiuliano Sangallo nei pugillari Sanesi 8. VI. 5(obelisco di champo marzio).

5)Ligorio (Bodl. 76) descrive l'obelisco "in casa diSpandocchi"; forse si tratta di un nuovo ritrova-mento, al quale sembra anche accennare Panvinioin "Descr. Urbe Romae", Libro I, c. XX de ludisCircensibus. Nel codice vaticano 3439 f. 2', sonosegnati geroglifici "in obelisci sub aedibus CampiMartij jacentis parte".

6)Dall'Opusculum de mirabilibus novae et veterisUrbis Romae..." di Andrea Fulvio, con le stampedel Mazochio del 1510, si ricava:

"in loco ubi nunc est domus nova Capellae apos-tolorum Philippi et Jacobi in ecclesia S. Laur. inLucina fuit Basis nominatissima Urbis: non longe aqua est obeliscus semisepultus: ubi effossum fuitHorologium cum lineis et gradibus deauratis: inangulis vero. iiii. venti ex opere musivo" f. 29', 30.

7)Da un'altra fonte, questa volta più tarda, del 1526,si ha:

"l'obelisco solare si vede oggi spezzato in molteparti et ricoperto di terra à pie del monteAccettorio che da noi poco fa è stato veduto scop-erto con la sua base, ove sono intagliate le infra-scritte lettere".

8)"Superioribus diebus 1587 detectus fuit celebrisobeliscus qui pro gnomone steterat in campo mar-tio, igne ferroque excisus". Da Bargaei, Epist. DeUrbis eversoribus, apud Bandini, p. 102.

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29 Il Lanciani inserisce ancora una nota importante per le ricerche bibliografiche. Pare che Antonio Lelio mandò a regalare questolibro con le sue note "marginalia" manoscritte a Felice Trofimo, vescovo di Chieti. Dopo di lui, sembra sia venuto in possesso diAntonio Colozio.

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9) Al tempo parimente di Sisto V, presso s. Lorenzo inLucina, dalla parte verso Campo Marzo il cavaliereFontana vi trovò una gran guglia di granitoEgiziano... maltrattata dal fuoco... Fu risoluto dilasciarla stare". Da Vacca, mem. 45.

10)Nel Campo Martio ancora hoggidi si passa sopral'obelisco dietro la chiesa di San Lorenzo in Lucinaper quella strada che và all'arco di Domitiano...Questo obelisco si vede oggi spezzato in molteparti et ricoperto di terra a piè del monte Acetorioverso il Tevere, che da noi poco fa è stato vedutoscoperto, con la sua base, ove sono intagliatele...lettere". Da Fulvio-Ferrucci, p. 138

11)1587, 14 marzo "s'è cominciato a dare un taglio inCampo Martio per dissotterrare un'altro obelisco,et forza sarà di mandare a terra alcune case in queicontorni per questo... (21 marzo). I manuali ren-dono in Campo Marzo il terreno alla fossa fatta daloro per disotterrare l'obelisco... tutto in pezzi etcotto dal fuoco". Da Avvisi Urb. 1055, c. 101 e 113.

12)"... l'Obelisco del Sole, il quale collocato daAugusto nel Campo Marzo, e dissotterrato dalRegnante Sommo Pontefice Benedetto XIV amatis-simo delle Antichità, giace al presente nel sitodetto la Vignaccia, non lungi dal luogo, da cui fucavato. Si legge in esso:

....ESAR. I..IVI...VGVSTVS.

.....NTIFEX.M......MVSPXII. COS. XI TRIB. POT. XIV..EGVPTO. IN POTESTATEM

...OPVLI. ROMANI. REDACTASOLI. DONUM. DEDIT

(da Storia Romana,del padre G. Granara, Roma, 1744).

Una prima osservazione da fare riguarda la datadella scoperta archeologica dell'obelisco. Alcuniautori riportano il 1463 che è l'anno in cui il card.

Calandrino edificò la cappella di S. Lorenzo inLucina. Ma non sappiamo se l'obelisco fu ritrovatodurante o dopo la costruzione della chiesa. Le notedi topografia romana dell'allievo di PomponioLeto furono composte ventun anni dopo, sicchènon è dato sapere se per tutto questo tempo fu taci-uta la scoperta dell'obelisco o se questo fu trovatoappunto verso il 1484.

Una seconda osservazione ci permette di abolireun luogo comune : quello della seconda scopertaarcheologica dell'obelisco che si fa risalire al 1502.Come è evidente, invece, il Lanciani stesso ritieneopportuno precisare che "la notizia relativa alSolarium di Augusto - riportata al n° 4 - ed al pontif-icato di Giulio II deve riferirsi all'anno 1512 e non al1502".

Mentre l'opera del Granara ci conferma che l'o-belisco era ancora sotto terra nel 1744, cioè appenaquattro anni prima degli scavi di Pio VI Braschi.

I fatti relativi alle scoperte e agli eventi successividi riparazione ed innalzamento dell'obelisco sonoben rievocati e narrati con dovizia di particolari daPietro Romano in un libro ormai introvabile, daltitolo "Orologi di Roma" 30.

dall'opera di P. Romano:

Risulta che l'obelisco nel terzo secolo era racchiusofra le sontuose fabbriche che in quel tempo deco-ravano il Campo Marzio, dopo cioè che Aurelianotirò le mura dalla porta Collina sino al sottopostopiano. Sembra però che venisse trascurato, perchèdi esso nè Publio Vittore, nè Ammiano Marcellinofanno menzione. Dall'"Anonimo" dell'artistaEinsiedeln (fig.11), sappiamo che era ancora inpiedi nell'ottavo secolo e si ritiene che sia cadutoallorchè nel 1084 ( sotto Gregorio VII) le truppe diRoberto il Guiscardo appiccarono il fuoco nellazona del Campo Marzio. In una iscrizione si leggeva che avendo Augusto,pontefice massimo, imperatore, ridotto l'Egitto insignoria del Popolo Romano, dedicò tale obeliscoal dio Sole (Soli donum dedit). Quanto alle epigrafiritrovate nelle vestigia dell'obelisco, il De Rossigiustamente osserva: "Se quattro soli venti erano

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30 P. Romano, Orologi di Roma, ed. Anonima Romana Stampa, 1944.

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effigiati ed indicati con lettere ai quattro angoli, èdifficile intendere come nella escavazione che misein luce uno solo dei quattro punti cardinali e pre-cisamente il lato boreale, poterono essere vedute levestigia delle simili epigrafi di lati rimanenti. Ilbellissimo orologio solare scoperto nel 1879 inAquileia ci mostra otto venti segnati in cerchi. Inaltri orologi solari ed anemoscopi con epigrafigreche-latine i venti sono dodici. Cosiffatto proba-bilmente fu quello di Augusto nel Campo Marzio,cioè non quattro soli, ma otto o dodici quivi furonoi venti designati da epigrafi latine".Caduto l'obelisco, questo rimase a poco a pocosepolto sotto le rovine delle fabbriche del CampoMarzio. Tuttavia, Pomponio Leto ne potè vederequalche resto, perchè così l'indicò "dove è la chiesadi S. Lorenzo in Lucina con gli orti, ivi fu il CampoMarzio nel quale si tenevano i comizi, e dove èstata fabbricata la nuova casa che è dei Cappellanidi S. Lorenzo, ivi fu la base dell'orologio...(..)..NelCampo Marzio, dove è l'Epitaffio de' Cappellani,ivi fu scavato un orologio che aveva sette gradinell'intorno e le linee listate di metallo indorato; ilsuolo del terreno era di grosse pietre quadre eaveva le medesime linee e negli angoli i quattroventi colla iscrizione: Ut boreas spirat. Nel Cinquecento si occuparono dell'orologioanche il Volterrano, il Fulvio (che però fece moltaconfusione), il Marliano e il Gamucci, non dandoperò maggiori particolari. Solo Lucio Fauno rileva:"Un trar di mano da questo tempio (di S. Lorenzoin Lucina), si vede oggi rotto in molti pezzi quelobelisco di CX piedi che Augusto collocò nelCampo Marzio, nel quale dice Plinio che era scrit-ta l'interpretazione della Filosofia degli Egizi... Inuno dei lati di quest'obelisco era questo titolo cheanco si legge: Caesar etc. Qui presso è stato inquesta età, cavandosi, trovato un orologio da sole,antico, colle sue linee e gradi distinti, di metalloindorato, e negli angoli erano quattro immagini diventi, lavorati di mosaico, con queste parole: UtBoreas spirat" 31.Antonio Lelio, quasi dello stesso tempo, in una suanota, riferisce che "Imperando Giulio II P.M. nellevicinanze della chiesa di S. Lorenzo in Lucina,presso la casa del Card. Grassi, nell'orto di unacasuccia di un certo barbiere, mentre si scavavaper fare una fogna, si scoperse la base del più

grande obelisco...Era in questo obelisco quel cele-bre gnomone insigne per l'autorità di Plinio. Cheanzi i vicini che avevano delle corti all'intorno,affermavano che nello scavar le cantine avevanotrovato vari segni celesti di bronzo di un artificiomirabile, disposti nel pavimento all'intorno dellognomone. Giulio, benchè ne fosse avvertito,impedito dalla guerra, nè eresse, nè accordòquest'obelisco, laonde quel barbiere lo ricoprì diterra sì come stava poco avanti".L'obelisco fu scoperto la seconda volta al tempo diSisto V e precisamente nel 1587, come riferiscepure Pietro Angelico da Barga, nell'Epistola de pri-vatorum Urbis eversoribus. Conferma il Vacca nellesue Memorie (si veda Fea, in Miscellanee): "Altempo di Sisto V, presso S. Lorenzo in Lucina, dallaparte verso Campo Marzio, il cav. Fontana vi trovòuna gran guglia di granito egiziaco e pervenutoalle orecchie di S.S. commise che si scoprisse, conintenzione di drizzarla in qualche luogo, ma il sud-detto cavaliere, trovandola maltrattata dal fuoco edatane ragguaglio a S.S. fu risoluto di lasciarlastare". Il Mercati, dal canto suo, assicura che "fu ritrovataalquanto scantonata e qualche poco corrosa dalfuoco", e Jacopo Lauro aggiunge "che non si potèscavare per certi impedimenti, come fu fatto neglialtri, dei quali il Pontefice aveva comandato che sene facesse ricerca".Sembra che anche Alessandro VII avesse in animodi far dissotterrare l'obelisco, incaricando dei rela-tivi studi il Gesuita Athanasius Kircher, il qualerisulta aver fatto degli scandagli, e sconsigliatal'opera. Risulta, però, da una lettera di Kircher adAlessandro VII, pubblicata nel Tomo I dellaMiscellanea Filologico-critica antiquaria del Fea (sec.XVIII), che consigliò di innalzare l'obelisco nelleTerme Diocleziane, davanti alla basilica di S. Mariadegli Angeli.Nel 1744 vide la luce il libro "Le vestigia e rarità diRoma Antica ricercate e spiegate da Francesco diFicoroni", aggregato alla Reale Accademia di Francia.Libro Primo dedicato alla santità di nostro signoreBenedetto XIV, Nella stamperia di Girolamo Mainardi,in Roma MDCCXLIV, dove in un breve passo silegge: "Il grande obelisco solare ripieno di GeroglificiEgizi riman sepolto, e serve per materiale di fabbrica inuna piazzetta dietro il convento di S. Lorenzo in Lucina,

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31 ibid. pag. 10 e segg.

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vedendosene una porzione della maggior grossezza sottod'una bottega; e questo è il più vasto obelisco di granitoTebaide de i portati in Roma da Augusto".

Il merito di aver fatto tornare alla luce gli avanzidell'obelisco spetta a Benedetto XIV, che nel 1748,quindi solo quattro anni dopo, incaricò dellabisogna il romano Nicola Zabaglia, capo deiSampietrini. La felice operazione compiuta dalloZabaglia gli aumentò la popolarità al punto che sicantò per le strade di Roma, in quella circostanza:

"Passai per Campo Marzio e viddi buglia.E dissi che robb'è tanta canaglia?Me fu risposto ch'era per la guglia

Che facea mette su mastro Zabaglia" 32

Dalle relazioni del tempo si legge:"Principiato lo scavo del terreno nel cortile dellacasa, si scoperse la cima del piedistallo che esiste-va in piedi senza esser niente mosso dalla suaprima fissazione, sopra la di cui estremità restavaancora appoggiata la parte inferiore della guglia,caduta verso l'aspetto di mezzogiorno. Questagiaceva infranta in cinque pezzi, colla parte inferi-ore più elevata e posava al principio sopra delpiedistallo; il rimanente poi declinava, ma piùimmerso nel suolo, essendo la cuspide più spro-fondata del rimanente di esso. La superficie diquesto obelisco, che in parte restava occupata nelmuro divisorio delle cantine dello stabile e in parterestava sotto la strada pubblica, scoperta che fu, sitrovò tutta scortecciata e spogliata di geroglifici, laquale scortecciatura si estendeva anche dai duelati, per la metà incirca della loro lunghezza, e illato che riposava sopra il terreno con la metà incir-ca degli altri due lati, poco o niente era danneggia-to nella superficie, conservando impressi i gerogli-fici. Continuatosi a sprofondare lo scavo nel luogo

del piedistallo, cominciò a scoprirsi in quella parteche riguardava ponente, l'iscrizione scolpita in bel-lissimi caratteri e consecutivamente l'altra in carat-teri egualmente grandi nel lato opposto e rispetti-vamente all'aspetto di levante, le quali iscrizionisono del tutto uniformi. Gli altri due lati, poi nonavevano iscrizioni.Trovato lo zoccolo in travertino dell'obelisco, sirinvenne il pavimento della stessa pietra, il qualerestava sott'acqua talmente, che per poter estrarrei suddetti marmi e il suo piedistallo, si abbisognògiorno e notte l'opera di molti uomini ad asciuttarel'acqua per mezzo delle trombe. Sotto il pavimen-to fu ritrovata altra platea di sassi di peperino dipiù pezzi, che nella superficie mostravano la stes-sa grandezza di quelli di travertino. Questi poierano ben connessi tra di loro e murati sopra ilmasso del fondamento, quali vi sono rimasti, nonmettendo conto scavarli" 33.Perchè non si perdesse la memoria del sito pressocui giaceva l'obelisco, fu murata una lapide sullacasa segnata con il numero civico 3 al Largodell'Impresa (oggi Piazza Gabriele D'Annunzio 34).La lapide, dice: "Benedictus XIV Pont. Max -Obeliscum hieroglyphicis notis eleganter insculp-tum Aegypto in potestatem Populi Romani redac-ta - Ab imp. Caesare Augusto Roman advectum -Et strato lapide regulisque ex aere inclusis - Addeprehendendos solis umbras - Dierumque ac noc-tium magnitudinem - In Campo Martio erectum etsoli dicatum - Temporis et barb. injuria confractumjacentemque - Terra ac aedificiis obrutum - Magnaimpensa ac artificio eruit - Publicoq. rei literariaebono propinquu. in locu transtulit - Et ne antiquaesedis obelisci memoria - Vetustate exolesceret -Monumentum poni iussit - Anno rep. sal. MDC-CXLVIII pont. IX" 35.Tuttavia, soltanto quarantasei anni dopo che erastato rimesso alla luce, l'obelisco solare veniva

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32 Il Cancellieri, nella "Lettera sopra lo scoprimento e la traslazione della colonna di Antonino Pio e con varie notizie intorno all'o-belisco solare...", in Roma, 1821, riporta un'altra frase che era stata trovata scritta su un cartello presso la colonna Antonina chedoveva esser trasportata: "Levatemi dal cul tanta canaglia; Chi vuol, ch'io vada al destinato luogo, Faccia venir da me Mastro Zabaglia". 33 Idem, pag. 16, 1734 Ai tempi di P. Romano, cioè al 1946.35 L'obelisco elegantemente inciso con geroglifici, portato dall'Imperatore Cesare Augusto in Roma, dopo che l'Egitto era statoridotto in potestà del Popolo Romano, eretto nel Campo Marzio e dedicato al sole su un pavimento marmoreo con indicazioniin bronzo per segnare le ombre che fa il sole e la durata dei giorni e delle notti, spezzato e giacente per le ingiurie de tempo e de'barbari, ricoperto di terra e da edifici, Benedetto XIV, Pont. Mass., con grave spesa e maestria lo disseppellì e a pubblico van-taggio della cultura, lo trasportò in un luogo vicino e ordinò che venisse posta questa lapide, affinchè la memoria dell'antica sededell'obelisco non venisse a cadere per il trascorrere del tempo.

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restaurato dall'Architetto Antinori (per ordine diPio VI), mediante alcune lastre ricavate dai blocchidel fusto della colonna Antonina, e collocato sullapiazza di Montecitorio".

Verso la metà del XVIII secolo, molti tra i più eru-diti letterati si pronunciarono sulla questione sel'obelisco fosse lo gnomone della sola linea merid-iana o di un intero orologio solare. Innanzitutto ènecessario premettere che non abbiamo oggi nes-suna testimonianza dell'uso nell'antichità di stru-menti solari che utilizzavano solo la linea meridi-ana quale unica indicazione del mezzogiorno. E',anzi, difficile convincersi che in quell'epoca fosserocostruiti orologi solari a tale scopo, perché non sene conosce un motivo preciso. Contrariamente aquanto, invece, accadeva dal Rinascimento in poi,quando si comincio a sentire la necessità, sia dalpunto di vista astronomico che gnomonico, dicostruire le grandi linee meridiane con gnomonialtissimi il cui scopo, però, era sostanzialmente

quello di studiare e migliorare il calendario e leosservazioni astronomiche relative al calcolo del-l'obliquità dell'eclittica e varie altre cose.

Ma senza tener conto di queste semplici osser-vazioni, Scipione Maffei scriveva: "Il fine dell'o-belisco adunque era per conoscere e per contrassegnareogni giorno le ombre del sole, e con ciò la lunghezza deigiorni e delle notti. Di additar le ore (nel testo diPlinio) non si parla. Una meridiana con segni che sifacciano a luogo nel campo, può servire facilmenteanche di orologio solare in parte : ma che a ciò servissequella di cui parliamo, Plinio non indica".

L'enciclopedico Ludovico Antonio Muratori, alcontrario, sosteneva che: "era destinato dell'obeliscoad insegnare quant'ore in ciaschedun giorno lucesse ilsole sopra terra, e le righe di bronzo additavano, nonsolo queste, ma o chiaramente o per illazione quelleancora della notte".

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fig. 16 Orologio di Augusto addirittura disegnato con linee orarie italiche (!) daF. Nardini, Roma Antica 1666. L’immagine dimostra come nel XVII secolo ilsistema orario detto “all’italiana” dilagava in tutte le città

fig. 15 Orologio di Augusto con linee orarie astronomiche in una topografia romana del ‘700.

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fig. 17 Straordinaria immagine dell’obelisco diCampo Marzio (sulla destra) come disegnato nelCodice Coner del Soane Museum di Londra. Sivede l’iscrizione dedicatoria sulla base. Nelcodice è scritto: “reperto fuit anno 1512”

fig. 18 un’altra rara immagine di un frammentodell’obelisco di Campo marzio in un disegno delCodeice Vaticano Latino 3439 del XVI secolo.Entrambe queste immagini sono tratte dallainsostituibile opera di Rodolfo Lanciani “Storiadegli Scavi di Roma”.

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Avvertenza: la ricostruzione qui proposta dellastoria degli scavi relativi all'obelisco di Augusto inCampo Marzio, prende in considerazione la rac-colta precedente di citazioni, derivanti dalle operedi Rodolfo Lanciani, alcuni spunti del libro di P.Romano, di cui si è comunque riportato tuttol'essenziale sull'argomento. I paragrafi cheseguono, invece, sono riassunti, o trascritti perintero dall'opera di Cesare D'Onofrio, "Obelischi diRoma", libro ormai consultabile solo in qualchegrande biblioteca.

Dall'opera di D'OnofrioSeguendo le citazioni che abbiamo tratto dallefonti originali, dopo l'unica informazione relativaall'Alto Medioevo, e cioè che l'obelisco era ancorain piedi nell'VIII secolo come testimonia l'Itinerariodi Einsiedeln, troviamo le note di topografiaromana di Pomponio Leto che scrisse forse attornoal 1475. Ma è bene specificare che le note di Leto,furono riprese da un suo discepolo, come ciavverte Lanciani, e come è stato detto prima.Pomponio Leto era un colto umanista che vestivaancora da vero romano antico ed abitava in unacasa sul Quirinale.Il passo che ci interessa è il seguente:

"Dove è la chiesa di S. Lorenzo in Lucina con gli horti,ivi fu il Campo Marzo... E dove è stata fabbricata lanuova casa che è dei Cappellani di S. Lorenzo, ivi fu labase dell'orologio rinomatissimo...(...)...Nel CampoMarzo, dove è l'epitaffio dei Cappellani, ivi fu scavatoun orologio...". Questa notizia riguarda il ritrova-mento di un normale orologio solare orizzontalecon la scritta Borea Spirat, di cui abbiamo già dettoprima.

L'altra interessante notizia, è tratta da AntonioLelio Podager (a cui si riferisce la notizia in

Internet). Proponiamo ora la versione tradotta initaliana del testo originale presentato prima nellaraccolta di citazioni al n° 4):Al tempo di Giulio II (1503-1513) nella regione delCampo Marzo, poco lontano dalla chiesa di S. Lorenzoin Lucina, e vicino alla casa del cardinal Grassi, in unorticello di una casetta di un certo barbiere, mentre vi siscavava per fare una fogna, è stata scoperta la base d'unobelisco, il più grande di tutti quelli che si ritrovano aRoma come possiamo capire. L'obelisco stava giacente,né si poteva conoscere se era tutto intero, perché di essodi vedeva solo la parte inferiore. Nella base era unaiscrizione, che io lessi, ma non me ne ricordo bene,benchè benissimo mi sovviene il nome di D. Augusto, ele parole "Aegypto in potestatem populi romani redactaSoli donum dedit". In questo obelisco era una volta quelcelebre gnomone, di cui fa menzione Plinio. Perché anzii vicini che posseggono del terreno all'intorno di esso,quasi tutti asseveravano che nello scavare altrove perfarvi delle cantine avevano trovato varj segni celesti dibronzo di un artifizio mirabile, che erano nel pavimentoall'intorno di questo gnomone. Molti persuasero ilPrincipe Giulio, allora intrigatissimo, come lo fu sem-pre, nelle guerre, di alzare nuovamente questo obelisco,e di ridurlo all'antica sua forma, insieme con lo gno-mone ; ma nissuno lo poté di ciò persuadere. Per la qualcosa un si gran miracolo dell'antichità fu di nuovo daquel barbiere sepolto" 36.Per quanto riguarda la citazione al n° 11), "si trat-tava degli operai di Sisto V che, Domenico Fontana allatesta, erano andati con picconi e badili in Campomarzionell'abitazione di quell'antico barbiere (ora passata a un"tessitore"), e lì avevano cominciato a mettere in luce iresti di quell'obelisco per vedere esattamente di cosa sitrattava" 37. Dopo uno scavo molto superficiale, eforse scoraggiato dalle cattive condizioni in cui eral'obelisco ed in previsione dei troppi lavori direstauro che sarebbero occorsi, nonché della possi-

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RICOSTRUZIONE DELLA STORIADEGLI SCAVI DELL’OBELISCO

36 Il testo latino è del codice vaticano 1108 la cui traduzione è quella data dal Bandini, L'obelisco di Cesare Augusto nel Campo Marzo,Roma, 1750, riportata anche da Cesare D'Onofrio, Gli obelischi di Roma, Bulzoni, Roma.37 Cesare D'Onofrio, op. cit., p. 283.

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bilità di far crollare alcune case nei dintorni, efors'anche per le enormi spese da sostenere, "fucoperta di nuovo di terreno la guglia che ivi dirizzòAugusto, stata scoperta quattro dì prima per cavarla;ma vedendo che per il fuoco come per il tempo era con-sumata assai et le littere jeroglifice tutte spente la las-ciarono stare, et era in detta piazza dove vi era la puntasottoterra da otto palmi et il culo di detta guglia sta nelcortile di una casetta di un tessitore sopra terra un terzoet è grossa più assai di quella di san Pietro". Così,recita il codice Chigi G. IV, 108, c. 179v, in data 18marzo 1587. Lo stesso scavo e la stessa rinuncia ad estrarre l'o-belisco è narrata dal Vacca nelle sue Memorie del1594 (per il testo si confronti il capitolo sul libro diP. Romano)."Una mattina del luglio 1666 l'obelisco ricevette unavisita illustre : si trattava del gesuita Atanasio Kircher,il quale era andato - certamente per incarico diAlessandro VII - a rendersi conto di persona di quellafamosa reliquia, spinto a ciò anche dalla sua fame digeroglifici 38...(...)...La sua relazione al pontefice termi-nava così: "Essendo dunque la presente guglia spartitain più frammenti, sarà più facile il cavarla fuori, e dimeno spesa, come anche ad alzarla ; nel resto io mirimetto al parere degli Architetti" 39. Tre anni dopo ilmedesimo Kircher tornava sull'argomento e in un'altralettera suggeriva al pontefice di innalzare l'obelisconella piazza delle Terme di Diocleziano dinanzi a S.Maria degli Angeli e di dedicarlo alla ImmacolataConcezione 40. Alessandro VII, tuttavia, pur interessan-dosi l'anno seguente dell'obelisco venuto in luce allaMinerva, di questo non volle o non ebbe il tempo dioccuparsi (egli morì nel maggio del 1667) 41.

Sempre dal D'Onofrio si ricavano ulterioripreziose informazioni, anche da vari Diari dell'e-poca :"In un libro pubblicato nel 1685 col titolo "L'arte direstituire a Roma la tralasciata navigazione del suoTevere", ma che finiva col trattare un po' di tutto,

l'olandese Cornelio Mayer, curiosa figura di 'inven-tore', dopo aver suggerito di adattare a meridiane gliobelischi di Roma, per quella ancora giacente nelCampomarzio ne proponeva il recupero (ivi compresoanche il sistema di estrazione con certe sue infallibili"viti" per cavarlo fuori) e l'innalzamento dinanzi alQuirinale fra i Dioscuri. Quindi, aggiungeva (p. 85):"Mi venne desio d'insinuare che volendo farservire la medesima guglia al primevo suo uso sipotrebbe lasciare nella sommità sotto la Croce unaapertura à foggia d'un piccolo cerchio per il qualetraguardando la stessa della Tramontana potrebbe-si formare sopra il piano opposto ad essa guglia unhorologgio da sapere l'hore notturne". Ma la pro-posta del Mayer non fu presa in considerazione, sicchèl'obelisco continuò i suoi sonni ; come pure i Romani, iquali non furono spinti dalla curiosità di alzarsi di notteper andare lassù a Montecavallo a vedere l'ora.Finalmente arrivò l'ora decisiva: nel 1748 BenedettoXIV, il simpatico bolognese papa Lambertini, ne ordinòl'estrazione. In data 6 aprile di quell'anno scriveva ungiornale 42: "In congiontura di essere stato demolitoper farvi nuova Fabrica un sito spettante alli P.P.Agostiniani della Congregazione di Lombardia inS. Maria del Popolo, esistente al portone delPalazzo dell'E.mo Tanari in Campo Marzo, vi sivede sotterraneamente una Guglia, la quale, perquanto se ne scopre fin'ora, che è meno della metàdella di lei lunghezza, è lunga palmi 50, in circa,occupando lo spazio di due cantine, nelle quali si èsempre veduta, e vi era fabbricato sopra il murodivisorio fra una Casa, e l'altra di quelle, che già sisono demolite. La di lei larghezza nel piede è dipalmi 9 per ogni verso, e dal rimanente di essa, sic-come si estende sotto la Piazzetta avanti il portonedel Palazzo dell'Impresa del Loto, non se ne puòsapere la precisa lunghezza, ma per quanto puòcongetturarsi sempre si accosterà in tutto alli palmi150".Benchè nota la sua esistenza forse da sempre, l'im-provvisa rimessa in luce dell'obelisco suscitò una certa

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38 Infatti Kircher fu il pioniere dell'Egittologia e il suo interesse, che varcava ogni confine del sapere, per i geroglifici in un peri-odo in cui era proprio intento a ricercarne il più recondito significato per la tanto attesa decifrazione, lo spinse sicuramente adeffettuare dei sopralluoghi nel sito dell'antico obelisco.39 La lettera in latino fu pubblicata dal Bandini nell'opera citata (p. 102). Qui la citazione è tratta da Cesare D'Onofrio, op. cit., p.284.40 Lettera del 27 ottobre 1666, pubblicata dal Fea in Miscellanea, I, pp. 22, e CCCXXI. Cit. tratta da Cesare D'Onofrio, op. cit. pag.284.41 Cesare D'Onofrio, op. cit., p. 284.42 "Diario ordinario", n. 4791.

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emozione : tanto che lo stesso pontefice un mese dopoquel fortuito riscoprimento volle degnarsi di andarlo avedere coi propri occhi. "Nostro Signore il giorno volle portarsi ad osser-vare l'antica Guglia...ultimamente riscoperta... sicondusse il Santo Padre a dirittura al Palazzodell'E.mo Lercari, e quivi smontato, e salito inquell'appartamento, dove erasi fatta aprire pre-ventivamente per comodo di Sua Santità una portacorrispondente all'appartamento dell'altro con-tiguo Palazzo dell'E.mo Tanari, per questa passòSua Beatitudine, e da quelle finestre, come piùvicine a detto sito, osservò la medesima Guglia,sempre servito dalli due Portatori, oltre la suaCorte Nobile" 43

Il Papa Benedetto XIV - contrario di Sisto V - eradeterminato nel tirar fuori la guglia e "per questaimpresa - scrive il Bandini 44- venne prescelto tra tuttigli altri quel rinomatissimo Niccolò Zabaglia 45, chemorto ultimamente 46, benchè in un'estrema vecchiezza,fu generalmente compianto in Roma da tutti quelli chehanno qualche impegno per lo pubblico bene. Questi eraestremamente rozzo, giacchè non solo non aveva tintu-ra alcuna di lettere...(...)...Ma pur dotato essendo dallanatura di una incredibile acutezza di mente, era nell'in-ventare delle macchine semplicissime per sollevare, etrasportare de' gran pesi, talmente ingegnoso, e nell'ad-operar le medesime così assiduamente esercitato, cheavea eccitata l'ammirazione di tutta Roma. Chiamatopertanto dal Pontefice, si addossò l'incumbenzacommessagli, promise di sodisfare al suo impegno inbreve tempo, e con pochissima spesa, e per se nonrichiese altra mercede, che quella sola de' semplici vol-gari operai, a' quali viene pagato il travaglio delle lorbraccia, e non l'industria della lor mente".

Ed ecco come dalle parole del Renazzi 47:"dopo un certo spazio di tempo comincia dalloscavo a spuntar fuori uno de' cinque gran pezzidella guglia ; ecco che s'appoggia sul labro del ter-reno, e finalmente vi resta collocato. L'aria risuonò

allora di evviva, tutto il popolo giulivo e festoso,battendo palma a palma fece eco agli elogi, de'quali gli spettatori più intelligenti e più culti a gararicolmavano l'ingegnoso Inventore di una macchi-na sì semplice e sì operante".Dalla metà di maggio ai primi di agosto 1748, mas-tro Zabaglia aveva estratto "con una facilità mar-avigliosa" i pezzi dell'obelisco, per accantonarliprovvisoriamente "nel cortile contiguo al Palazzodell'Impresa del Lotto" 48, nell'orto detto dellaVignaccia, corrispondente all'incirca all'attualearea compresa dalla piazza del Parlamento. Nellostesso giorno (3 agosto) in cui fu estratta la basecon l'iscrizione e che fu esposta nel medesimo cor-tile, la Santità Sua "si compiacque portarsi prima adosservare non solo quella, ma anche tutti gl'altri pezziivi collocati, il che fece dismontato dalla sua carrozza, econ molta sua soddisfazione, per veder terminata contanto buon ordine un opera si difficile, commendandonebenignamente l'Autore ivi presente" 49. A perpetua memoria dell'impresa "sopra una delleporte del nuovo casamento nella strada di CampoMarzo spettante ai PP. Agostiniani... ultimamenterifabricato, nel sito appunto dove giaceva l'anticaGuglia d'Augusto" fu murata una epigrafe nellaquale (tutt'ora al suo posto) prima viene riassuntoil brano di Plinio, quindi si dice che Benedetto XIVtale obelisco "trasferì nelle adiacenze a pubblicogodimento delle belle arti" 50.Stando a questa espressione si direbbe, quindi, chetutta la fatica e i progetti di papa Lambertini con-sistessero nella estrazione del monumento augus-teo per renderlo, così steso a terra, di pubblicaragione. Ed infatti, di innalzamento vero e proprio,al tempo di Benedetto XIV, non si parlò mai.Dovranno trascorrere - continua D'Onofrio - all'in-circa altri 40 anni perché finalmente l'antico obelis-co eliopolitano, dai geroglifici osannanti alle gloriedel faraone Psammetico II (594-589 a.C.), potessenuovamente sorgere in piedi; non solo, ma addirit-tura con l'ambizione di tornare alle augustee fun-

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43 "Diario ordinario" n. 4803, in data 4 maggio 1748.44 Op. cit. p. 10345 di cui si è già detto nella parte dedicata al libro di P. Romano46 Morì il 27 gennaio 1750, quando aveva 86 anni47 Renazzi, Castelli e ponti, 1824, p. 26 (si noti che la stesura del libro di Renazzi era già pronta nel 1739).48 "Diario ordinario", n. 4809 in data 18 maggio 174849 ibid. n. 4842, del 3 agosto 174850 "Publicoque rei literariae bono propinquum in locum transtulit".

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zioni di gigantesco "horiuolo".

Ma prima dell'innalzamento, ci si doveva mettered'accordo come e dove impiantarlo di nuovo equesto costituiva certo un problema di non pococonto, almeno dal punto di vista topografico edunque dell'urbanistica della città.

L'architetto che al tempo di Pio VI Braschi si stavaspecializzando proprio negli innalzamenti degliobelischi era Giovanni Antinori. Egli si trovò inpolemica col cavaliere Nicola d'Azara, Ministro diS.M. Cattolica, in quanto sosteneva, nel 1787,"doversi ritrovare un punto (in cui si dovevaerigere l'obelisco) in cui veggasi il Salustiano, ilFlaminio, e il Marzio. Questo punto lo veggo nellapiazza di Spagna, ove posato il piè nell'imbocco diStrada Condotti, girando intorno lo sguardovedremo l'obelisco Flaminio, il Pincio e il Marzio,situato che questo sia verso il Collegio diPropaganda più lontano dalla Barcaccia che si può,perché l'occhio abbia in ogni linea conducente aquesti oggetti una conveniente distanza" 51. E' evidente l'intenzione di Antinori di sistemare gliobelischi come fondali di rettifili in modo che essiapparissero in un discorso urbanistico coordinato.In risposta al progetto di Antinori, così scrivevaqualcuno ispirato dalle opposte ragioni del cava-lier d'Azara :"Santo Padre, la lodevole smania antiquaria d'inalzarel'obelisco solare e la vituperosa idea di condannarlo colàai due Macelli ad una posizione diametralmente oppos-ta alla sua natura, diede luogo ad un lungo ragiona-mento fra il valoroso Cavaliere D. Niccolò Azara, el'Antinori...Piacque al medesimo (cavaliere) umiliare invoce queste proposizioni alla S. Vostra, la quale...approvò benignamente il pensiero dell'Architetto, fuoriche il luogo ove innalzare quest'obelisco. Il sito propos-to dall'Antinori era soltanto per secondare l'impegno di"situare le guglie su linee terminabili" in un puntoquasi concentrico, perché lo spettatore di là ne vedessepiù d'una, come oggi veggonsi alle Quattro Fontane,unico vantaggio nel progetto miserabile de' due Macelli.

La deliberazione della S.V. di alzare questo solare obelis-co innanzi alla Curia Innocenziana è la più convenevolee la più nobile, si perché lo restituisce al Campo Marziopoco distante dal sito dove giacque...". Dopo di che,l'anonimo autore della lettera proponeva il trasfer-imento della base istoriata della colonna Antoninache si trovava giacente nella piazza dal 1704, epurtroppo consigliava di restaurare l'erigendoobelisco di Augusto proprio con la stessa colonnaAntonina, sulla quale del resto erano già statimessi gli occhi addosso per segarne i pezzi neces-sari a rattoppare l'obelisco sallustiano che in queimesi lo stesso Antinori stava erigendo.A questo proposito si ha la testimonianza diFrancesco Cancellieri 52 sia sul destino della colon-na Antonina, di cui ne traccia liberamente la storiaaffinchè ne resti almeno qualche memoria, sia delprogetto di erigere l'obelisco:

"Ivi è rimasta giacente per terra (la colonnaAntonina), quasi del tutto inosservata, e senza onore,finchè Pio VI, mosso da improvvidi Consiglieri, che gliela fecero credere inservibile ad ogni altro uso, non sideterminò di far tassellare, e riattare con le sue lastrel'Obelisco Solare, col proprio suo Piedistallo, avendoperò avuto l'avvertenza di far segare a parte le dueIscrizioni Greche dell'imo, e del sommo scapo della stes-sa Colonna, che furono trasportate al Museo Vaticano,come si dichiara nel Diario del Chracas n. 1664, 11 Dic.1790...";

e ancora:

"Io ebbi la sorte di essere il principal Promotore, nonsolo dell'erezione dell'Obelisco Solare, ma eziandio dialtri due, con la Supplica da me presentata a quel granPontefice, a nome del Sallustiano, per farlo erigere fra idue Colossi sul Quirinale, coll'Augusteo sul CollePincio, gemello dell'altro innalzato da Sisto Vsull'Esquilino, e col Barberino sul Torrione di PortaPia, a fine di nobilitare, con la vista di quattroObelischi, il Quadrivio delle quattro Fontane. Lamedesima Supplica fu da me stampata a parte per

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51 A. St., Camerale II, Ant. E B. Arti, busta 6, fasc. 150 : la lettera (in copia) non ha data, ma si può da altri elementi dedurre chesia degli inizi del 1787. Anche l'architetto Giovanni Antonio Antolini propose a Pio VI "tre diversi siti" con altrettanti modelli :cfr. "Diario ordinario" n. 1272, del 10 marzo 1787. Cfr anche il dispaccio dell'agente lucchese Bottini del 4 agosto : "Si parla seri-amente di far inalzare avanti il palazzo di Montecitorio l'obelisco Solare... e sotto la direzione del noto arch. Sig. Antinori...", in"Arch. St. Ital.", serie IV, vol. XX, 1887, p. 425.52 Lettera di F. Cancellieri "... sopra lo scoprimento e la traslazione....", op. cit., p. 21.

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Saggio della Carta, e de' nuovi Caratteri, coì quali dove-va stamparsi in 4 Volumi in 4. la mia Opera deSecretariis Ethnicorum, Christianorum, ac veteris, etnovae Basilicae Vaticanae, e presentata a quell'immor-tale Pontefice, che si degno di adottarne il progetto, conla sola diversità di aver eretto al Quirinale l'Augusteo,in vece del Sallustiano, innalzato alla Trinità deiMonti". E per fortuna che andò così. Perchè spodestare lognomone di Augusto della sua principale funzioneera un'operazione errata almeno quanto quella direstaurare lo stesso obelisco con la ColonnaAntonina!Il consiglio dell'Azara quindi prevalse, e la PiazzaMontecitorio fu prescelta per il nuovo innalzamen-to. Nell'agosto del 1788 veniva steso un contratto pri-vato tra l'Antinori e la Reverenda Camera, di cuiecco i brani più importanti:"Inoltratasi la magnificenza del Nostro Sovranonel pensiero nobilissimo di rendere a Roma il piùsuperbo antico decoro col ristaurare, ed erigere igiacenti e guasti obelischi, de' quali sola può coro-narsi la Città Regina : è piaciuto al Santo Padre diordinare il difficile risarcimento dell'obeliscosolare abbandonato finora, come incapace di piùreggersi, e di determinarne il nuovo collocamentonel centro della piazza si Monte Citorio, ove pre-sentemente si stà il piedistallo istoriato Antonino,e questo trasportare nel Vaticano, come degnissi-mo di gelosa custodia nel Pio Museo.Per tale gloriosa impresa degnatasi Santità Sua dirichiamare la mano del suo suddito GiovanniAntinori già clementemente esperimentata in sim-ili opere, il medesimo Architetto si obbliga per lasomma di scudi 24 mila a quanto distingue quiappresso.I. Di trasportare il piedistallo di Monte Citorio alMuseo Pio nel Vaticano...IV. Trasportare il piedistallo di granito, su cuiposar dee l'obelisco dalla vignaccia al Montecitorio; tassellarlo e collocarlo al luogo destinato.V. Risarcire ad uso d'arte tutto l'obelisco, lasciandointatti i geroglifici, com'essi sono: aggiungendovi

le facce mancanti, senza però richiamare su d'esseper mezzo della impostura i non intesi egizianimisteri ; sostituirvi il primo pezzo di nuovo...VI. ...Finalmente dare perfetta e compita l'operanel termine di 3 anni, incominciandola il mese diagosto dell'anno corrente 1788" 53

Tolto dalla piazza di Montecitorio il basamentoistoriato che per circa 80 anni aveva invano spera-to di funzionar nuovamente da sostegno allacolonna Antonina, l'Antinori nel gennaio 1790 cipose la base dell'obelisco con la duplice iscrizionedi Augusto 54.Ci vollero tuttavia due anni e mezzo perché l'operaarrivasse a compimento, anche a causa deinumerosi e difficili restauri all'assai danneggiatoobelisco.Finalmente: "Martedi mattina (15 giugno 1792) allapresenza di un'infinità di popolo, fu innalzato grossopezzo dell'obelisco solare innanzi alla CuriaInnocenziana, la quale operazione, direttadall'Architetto Antinori, riuscì felicemente, e fu conpiacere osservata dalle Madame di Francia, dall'appar-tamento di Monsig. Albani, Uditore della Camera che lefece servire di scelti gelati" 55. Stando ad alcuni docu-menti 56, sembra che il Tesoriere cardinal Ruffoavesse avuto a cuore non solo l'erezione dell'o-belisco, ma che ne avesse propugnato anche ilripristino ad orologio solare. Il capo scalpellino chenel 1793 aveva steso sulla piazza una serie di selci-guida sui quali sarebbero andati progressivamentea cadere i raggi solari raccolti e convogliati nel forodella grande palla di bronzo fissata sull'obelisco,scriveva che il card. Ruffo aveva "bastanti luminella gnomonica, non solo per farla eseguire aqualunque vivente, quasi oserei dire ad unautoma".Del resto, benchè ormai la palla di bronzo ornatacon i bellissimi Eoli che soffiano vento con le gotegonfie (emblema araldico di papa Braschi 57), fossestata fissata lassù, i più accreditati "professori" sierano pronunciati contro il vano disegno che l'o-belisco potesse funzionare da orologio solare. Eccodue brani (1794) di illustri personaggi:

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53 Nel contratto notarile, che fu rogato il 5 settembre, si stabilì che i lavori cominciassero col gennaio seguente.54 Dispacci del Bottini, pp. 427, 432, 434 e 43555 Ibid. p. 440, in data 19 giugno 1792.56 Nello stesso fascicolo citato alle note precedenti. Un frammento di questo obelisco, col cartello del faraone Psammetico, fu diproprietà del conte Camillo Orlando-Castellano di cui diremo alle pagine seguenti.

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Gioacchino Pessuti si opponeva "per ragioni...ovvieper chiunque abbia non leggiera tintura di ottica edastronomia... la destinazione, ch'ebbe anticamente ilnostro obelisco di servir di pubblico orologio, fu dettatadalla mancanza degli orologi a ruota che abbiamonoi...", e opponendo a quello degli antichi Romanil'intenso traffico stradale della fine del Settecentoriteneva assurdo pensare ad una stabilità assolutadell'obelisco appunto "per il continuo passaggio digente e carrozze" in quella piazza.L'abate Giuseppe Calandrelli a sua volta sostene-va, ironizzando, che quell'adattamento "non potrànon dare un ridicolo al paese, come se fosse privode' lumi dell'astronomia" e che volersi proprioridurre a conoscere il mezzodì "coll'uso di unognomone sia impresa non che da Sovrano, ma

bensì riservata al povero laico cappuccino il qualenel suo egualmente povero orticello con un chiodofitto nel muro... indica ai suoi confratelli il prossi-mo punto di mezzogiorno".

Come risulta evidente, questi ampi passi testimo-niano che l'opera di D'Onofrio sugli obelischi diRoma, è tra le più ricche di citazioni e riferimentiche sia stata pubblicata in epoca relativamentemoderna ed è una fonte preziosa soprattutto per ilperiodo relativo allo scavo di benedetto XIV eall'innalzamento dell'obelisco sotto Pio VI Braschi.Per questo motivo, e per l'ottimo lavoro di sintesisvolto dal D'Onofrio, abbiamo scelto di trascriverei passi più importanti come sopra riportati.

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57 Dal volume "Gli Orologi", Fabbri, 1966-1984, p. 15, si legge: "L'architetto fece un modello (della cuspide) con le stelle, l'arbusto e ilcherubino sbuffante - lo stemma di papa Braschi - e il Papa lo approvò. Ma gli astronomi del Collegio Romano modificarono il progetto : allun-garono il collo della cuspide e abbassarono la finestrella oblunga per permettere ai raggi del sole di segnare anche durante i mesi estivi il mez-zogiorno sul lastrico della piazza. E' possibile, nelle belle e assolate giornate, vedere il raggio del sole che segna il mezzogiorno esatto dell'o-ra solare. Ma è molto difficile, senza le opportune tabelle recanti le indicazioni circa la differenza con l'ora media, sapere l'ora esatta. Così, lapiù vecchia meridiana di Roma, e forse anche dell'Europa intera, dà il segno del mezzogiorno - che come tutti i Romani ben sanno - non servea nessuno".

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fig. 19 Mastro Nicola Zabaglia (da D’Onofrio)

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fig. 20 Estrazione dell’obelisco a cura di Nicola Zabaglia in una diversa prospettiva.

fig. 21 Estrazione dell’obelisco a cura di Zabaglia. Nell’immagine originale è scritto che la guglia futrovata a 14 palmi sotto terra. (da D’Onofrio)

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fig. 22 Dipinto in cui si vede Antinori che presenta al papa Pio VI Braschi il modellino del-l’obelisco da erigere (da D’Onofrio)

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fig 23 L’obelisco di Campo Martio come appare dopo ilrestauro. Sono ben visibili i numerosi “scantonamenti”che nettono in mostra le parti mancanti riempite con iresti dell’antica Colonna Antonina (da D’Onofrio).

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fig. 25 Frammento dell’obelisco diMontecitorio appartenuto al conte donCamillo Orlando Castellano. (da l’Urbe)

fig. 24 Un modellino della guglia effettuatodall’Antinori e presentata per il restauro(Amsterdam, collezione Morpurgo - Da “GliOrologi”, Fabbri)

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fig. 27 L’obelisco di Montecitorio dopo l’innalzam

entoin una incisione di D

omenico Am

ici.

fig.26 L’obelisco innalzato in una incisione di G. Vasi.

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fig. 28 Il progetto di far funzionare l’obelisco, nel 1972, come gnomone di unalinea meridiana in un acquarello di Ferdinando Bonsignori (da D’Onofrio)

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fig. 29 Immagine ottocentesca dell’obelisco.

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fig. 30 L’ultimo restauro dell’obelisco nel 1964 (da D’Onofrio)

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fig. 31 La guglia di Antinori ingabbiata nell’impalcatura (da D’Onofrio)

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Come si è visto, i "misteri egizi" erano ancora taliall'epoca in cui fu innalzato l'obelisco. Infatti, l'illu-minante e tanto attesa decifrazione dei geroglificiavvenne per merito di Champollion solo nei primidecenni dell'Ottocento e confermata univer-salmente solo mezzo secolo dopo. Quindi, all'e-poca di Benedetto XIV e di Pio VI si credeva anco-ra, seguendo anche le errate indicazioni di Plinio,che l'obelisco fosse appartenuto in Egitto, alfaraone Ramsete il Grande, ovvero Sesostri (comepure arbitrariamente l'attribuisce l'iscrizione allabase dell'obelisco) della XII Dinastia egizia. Mentrenell'erudita dissertazione di Rezzonici, nelle sue"Disquisizioni Pliniane", ritiene di dover attribuirel'obelisco non a Sesostri ma a Sochide 58.Ora invece che sono stati letti correttamente tutti igeroglifici che si sono salvati sull'obelisco, siamosicuri di aver trovato il suo vero antico padrone inPsammetico II. A tal riguardo, mi sembra interes-sante riportare un'altro prezioso documento cheho rintracciato nell'articolo Frammenti dell'obelisco diMontecitorio, scritto dal conte Camillo Orlando-Castellano, il quale conservava in casa un pezzosicuramente appartenente alla guglia di Augusto,sfuggita quindi al rimescolamento di pezzi effet-tuato durante il restauro e l'innalzamento.L'articolo fu pubblicato nella rivista "L'Urbe", n° 5,XXVII, Roma, 1964 :

...Per buona fortuna dell'insigne monumento e perbuona pace di quanti amano Roma sopravvenne, il 16giugno 1964 la notizia che l'obelisco - a seguito degliesami e delle ispezioni effettuate in ogni parte di esso -presenta qualche sconnessione dei pezzi di sienite 59 persfaldatura delle grappe in ferro (poste nel 1792), con-sunte dal tempo, e taluni più notevoli danni al globo dibronzo e alla cuspide. E tali opere sono state subitoaffrontate; l'obelisco ingabbiato durante i lavori; la cir-colazione nella piazza parzialmente ripristinata con

cautele sagge ed opportune; il portone di PalazzoMontecitorio, peraltro, venne per un certo tempo chiu-so per ridurre il traffico...V'è da dire che l'allarme è sorto durante l'esame dell'o-belisco nelle periodiche indagini tecniche e statiche,assai opportune, degli antichi monumenti ...Probabilmente è meno noto che un frammento diquest'obelisco, andato disperso, non fu incluso all'epocadella ricostruzione del 1792. Esso fece parte dellacollezione del veliterno cardinale Stefano Borgia - picco-la ma importante raccolta di antichità egizie - che, nel1817, si aggiunse al Museo Nazionale di Napoli...Ed èben strano che il Marucchi, nella sua tanto pregevoleopera sugli obelischi egiziani di Roma, di tale frammen-to non faccia cenno. Quel pezzo si trova ora nel MuseoNazionale di Napoli, "Collezione Egizia", sala XVII, n.999, ove è ben visibile.La notizia che precede, nota agli studiosi ed agli egit-tologi ancor più, va completata con la seguente menoconosciuta: che nelle collezioni della mia Casa vi è altrocimelio (lungh. 0,24, alt. 0,44, profond. 0,20 - misuredel cartiglio : alt. 0,26, largh. 0,13), del medesimoobelisco.Fu nel febbraio del 1957 che, avendo avuto la fortuna diconoscere il valoroso giovane egittologo prof. SergioBosticco, gli segnalai un frammento che egli, con inter-esse, esaminò e studiò...Il frammento è in granito rosso (sienite), presenta unafaccia levigata con resti di iscrizione geroglifica monu-mentale accuratamente incisa, il cui breve testo...é,come lo ha letto il Bosticco:

"...(am)ato, Psammetico, v(ivente) co(me) R(e)..."

...le anzidette dimensioni del cartiglio concordano per-fettamente con quelle ricorrenti nell'altro frammentoche proviene con sicurezza dalla fascia ornamentale chestava alla base dell'obelisco di Montecitorio. L'autore conclude il suo articolo chiedendosi se

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IL CARTIGLIO DI PSAMMETICO II

58 La Turre Rezzonici, Disquisitiones Plinianae", 1767 (vedi oltre), p. 288: "sed decantatum Campi Martii Obeliscum non a Sesostre,sed a Sochide excisum indubiis ostendam argumentationibus". E ancora: "Adde Riccardianum codicem, qui infra Campi Martii Obeliscuma Sochide excisum testatur". Ne parla anche il Bandini nell'op. cit., praefat. Pag. XVIII.59 Plinio aveva così denominato la pietra di cui era fatto il monolite e perché essa era originaria di Siene in Egitto.

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questi due pezzi siano i soli "cimeli vaganti" delsecolare obelisco, quasi ad esortare a chi per casoconservasse in casa qualche pezzo dello stesso, diportarlo alla luce della conoscenza.Questo frammento offre l'occasione per ricordareuno dei quesiti non ancora risolti riguardo ilfaraone che volle l'estrazione dell'obelisco. Sopraciascun lato della cuspide si nota in alto unoscarabeo alato che regge un disco solare e in bassoscene in cui il re compare sotto l'aspetto di unasfinge sdraiata. Date le cattive condizioni del mon-umento, come si è potuto capire dalla precedentericostruzione storica, una gran parte del testo orig-inale è andata perduta. Ciò che rimane contieneepiteti convenzionali e la menzione dei nomi del re60: "L'Horus d'oro, colui che abbellisce le Due Terre,

amato da Atum, signore di Eliopoli ; il re dell'Altoe Basso Egitto, Neferibre, amato da Re-Harakhti,figlio del suo stesso corpo, colui che prende laCorona Bianca e che unisce la Doppia Corona,Psammetico, amato dalle Anime di Eliopoli. Nelprimo (giubileo). L'ultimo elemento dell'iscrizionerisulta il più importante, in quanto contiene unriferimento al primo giubileo. Può sembrare stranoche Psammetico II, il cui regno durò soltanto seianni, abbia celebrato un giubileo, ma risulta altresìattestato un altro sovrano che lo celebrò dopo unregno di soli tre anni. Una spiegazione possibile èche tali sovrani abbiano computato i loro giubileida una data precedente nel regno dei predeces-sori".

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60 L. Habachi, I segreti degli obelischi, Newton Compton, Roma, 1978, p.104.

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L'unica descrizione antica che abbiamo del solari-um di Augusto ci è stata lasciata da Plinio nella suaStoria Naturale. Ma, come si è detto prima, il testopliniano risulta oggi profondamente corrotto. Perquesto ci pare interessante mettere a confrontoalcune delle versioni più importanti redatte dalmedioevo ad oggi.

1) versione di Arduino , Paris, 1685 (da La TurreRezzonici)"Ei, qui est in Campo, Divus Augustus addiditmirabilem usum, ad deprehendendas Solisumbras, dierumque ac noctium ita magnitudines,strato lapide ad magnitudinem Obelisci, cui parfieret umbra, brumae confectae die, sextam hora,paulatimque per regulas (quae sunt ex aereinclusae) singulis diebus decresceret, ac rursusaugesceret: digna cognitu res ingenio foecundoManlius Mathematici. Apici auratam pilam addi-tit, cujus umbra vertice colligeretur in se ipsa, aliasenormiter jaculante apice, ratione (ut ferunt) acapite hominis intellecta".

2) versione di Cristoforo Heilbronner (HistoriaMatheseos Universae, 1742)"De illo (obelisco) qui est in Campo Martio prognomone. Ei qui est in Campo, Divus Augustusaddidit mirabilem usum, ad deprehendendas Solisumbras, dierumque et noctium magnitudines,strato lapide, ad Obelisci magnitudinem, cui parfieret umbra Romae, confecto diei, hora sexta, pau-latimque per regulas, quae sunt ex aere inclusae,singulis diebus decresceret et rursus augesceret,digna cognitu res et ingenio foecundo. ManliusMathematicus, apici auratam pilam additit, cujusvertice umbra colligeretur in semetipsam, aliaatque alia incrementa jaculantem, ratione, ut fer-unt, a capite hominis intellecta".

3) versione di La Turre Rezzonici (PlinianaeExercitationes, 1767):Ei, qui est in Campo Divus Augustus addiditmirabilem usum ad deprehendendas Solisumbras, dierumque ac noctium horas, magnitu-

dine strato lapide ad magnitudinem Obelisci, cuipar fieret umbra brumae confectae die, sextamhora; paulatimque per regulas, quae sunt ex aereinclusae, singulis diebus decresceret, ac rursusaugesceret. Digna cognitu res et ingenio foecundoManlii Mathematici. Is apici auratam pilam addi-tit, cujus vertice umbra colligeretur in se ipsam,alia enormiter incrementa jaculante apice: ratione,ut ferunt, a capite hominis intellectam".

4) versione del codice fiorentino Riccardianusdel secolo X-XI"Ei, qui est in Campo, D. Augustus addiditmirabilem usum ad deprehendendas Solis umbrasdierumque annotium ita magnitudines strato lapi-de ad magnitudinem Obelisci cui par fieretumbrarum et confectae die sextam hora, paula-timque per regulas quae sunt ex aere inclusae sin-gulis diebus decresceret, ac rursus augesceret.Digna cognitu res ingenio Facundin' L.Mathematicus apici auratam pilam additit, cujusumbra vertice colligeretur in se ipsa alias enor-miter jaculante apice ratione ut ferunt a capitehominis intellecta".

5) versione del Codice ambrosiano I."Ei qui in Campo Divus Augustus addiditmirabilem usum ad deprehendendas Solis umbrasdierumque ac noctium horas magnitu. strato lapi-de ad magnitudinem Obelisci cui par fieretumbrarum effectus dies et hora paulatimque perregulas quae sunt ex ere incluse singulis diebusdecrescere ac rursus augescere. Digna cognitu reset ingenio Facundo. Manlius Mathematicus apicisauratam pallam additit, cujus vertice umbra col-ligeretur in se ipsa aliam Solem imitari jaculanteapice ratione ut ferunt a capite hominis intellecta".

6) versione del Codice ambrosiano II."Ei qui est in Campo Divus Augustus addiditmirabilem usum ad deprehendendas Solis umbrasdierumque ac noctium horas magnitudine stratolapide ad magnitudinem Obelisci, cui par fieretumbrarum effectus dies et horas, paulatimque per

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DOCUMENTI: IL TESTO DI PLINIO

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regulas quae sunt ex aere inclusae singulis diebusdecrescere ac rursus augescere. Digna cognitu reset ingenio facundo. Manilius Mathematicus apiciauratam pilam additit cujus vertice umbra col-ligeretur in semetipsam, alias incrementa jaculanteapice, ratione, ut ferunt a capite hominis intellec-ta".

7) versione delle "Belles Lettres" a cura di JeanSoubiran."Ei qui est in Campo Divus Augustus addiditmirabilem usum ad deprehendendas Solis umbrasdierumque ac noctium ita magnitudines, stratolapide ad longitudinem Obelisci, cui par fieretumbra brumae confectae die sexta hora paula-timque per regulas, quae sunt ex aere inclusae, sin-gulis diebus decresceret ac rursus augesceret,digna cognitu res, ingenio Facundi Novi mathe-matici. Is apici auratam pilam additit, cujus verticeumbra colligeretur in se ipsam, alias enormiter jac-ulante apice, ratione, ut ferunt, a capite hominisintellecta. Haec observatio XXX iam fere annis noncongruit, sive solis ipsius dissono cursus et caelialiqua ratione mutato sive universa tellure a centrosuo aliquid emota (ut deprehendi et aliis in locisaccipio) sive urbis tremoribus ibi tantum gnomoneintorto sive inundationibus Tiberis sedimentomolis facto, quanquam ad altitudinem inpositioneris in terram quoque dicuntur acta fundamen-ta".

La corrispondente traduzione in francese è:"Le divin Auguste donna à celui qui est au Champde Mars la fonction remarquable de marquer lesombres projetées par le soleil et de déterminer

ainsi la longueur des jours et des nuoits. Il fit exé-cuter un dallage proportionnel à la longueur del'obélisque de facon que l'ombre, à la siexièmeheure du solstice, d'hiver égalàt la longueur dudallage, ensuite, peu à peu, décrùt, puis augmen-tàt jour après jour en passant par des réglettes debronze incrustées, système qui mérite d'étre connuet qui est dù au génie inventif du mathématicienFacundus Novius. Celui-ci fin encore placer sur lapointe de l'obélisque une boule dorée dont l'ombredu sommet se ramassàt sur elle-mème, autrementla point proietait une ombre démesurée. Il avaitpris' dit-on, pour principe la tète humaine...".

Il commento delle "Belles Lettres" al passo diPlinio:

"En 10 av. J.-C., Auguste dédia cet obélisque ausoleil et en fit l'aiguille d'un cadran solaire consti-tué par un pavement de marbre disposé au pied del'obélisque. Des lignes dorées, incrustées dans lemarbre, indiquaient midi aux différentes saisonsde l'année. Des fragments du pavement avec leslignes dorées, ainsi que des fugures exécutées enmosaique et rapreésentant les vents et les corpscélestes, furent mis au jour à la fin du XV° siècle etau cours du XVI° siécle. Ils ont été recouverts parla suite. L'bélisque lui-mème fut dégagé et redresséau XVIII° siécle; il se trouve aujourd'hui PiazzaMontecitorio", e dopo alcuni riferimenti bibli-ografici aggiunge Soubiran "On ne sait rien surFacundus Novius, en dehors de la notice de Pline".Notificando che nulla si sa su questo ignotoFacondo Novio all'infuori della notizia di Plinio.

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Ma forse sarebbe meglio dire che nulla si sa diquesto ignoto matematico all'infuori del suo nomearbitrariamente o volutamente introdotto nelletraduzioni. Ma c'è di più: nella "Storia Naturale" diPlinio pubblicata da Einaudi, da cui abbiamo trat-to la versione italiana del passo che ci interessa,riportata precedentemente in questo testo,Facondo Novio viene addirittura presentato comese fosse un personaggio a tutti ben noto: "Matematico ideatore dell'orologio solare in CampoMarzio promosso da Augusto intorno al 10 a.C.: proba-bilmente a lui si deve la reinterpretazione dello gno-mone in chiave urbanistica e l'idea di adottare unobelisco a un tempo come asta dello gnomone e pernospaziale della piazza adibita a orologio solare". E perfortuna che in una nota al testo venga detto che"Facondo Novio è altrimenti sconosciuto", se noper questo scritto di Plinio.

Se tra cinquecento anni andassero perduti tutti icodici della "Storia Naturale" di Plinio e si salvassesolo questa traduzione della Einaudi, probabil-mente Facondo Novio, da illustre personaggiosconosciuto, godrebbe tra i futuri studiosi, di unafama (gratuita) al pari degli enciclopedisti romani.

E' anche da annotare che se nelle note al testo uffi-ciale delle "Belles Lettres" sono state riportate conzelante precisione le corrispondenti parole trovatenei codici antichi consultati, nessun riferimento,invece, è stato dato sul termine Facundus Novius.Infatti, ecco le annotazioni al testo delle BellesLettres, relative al capitolo 10 che abbiamo trascrit-to dall'originale:

"ac noctium; ac noetium; anno etium; longi-tudinem; magnitu-; fieret; -re; umbra brumae;umbrarumae; -rum romae; decresceret; -scere;novi; non; mathematici is; ticis; thici; in se; ipse; in;ipsam; ipsa".

Si tratta naturalmente di parole ricavate da diverseversioni antiche dei codici dell'opera di Plinio. Ma,come si vede, nulla si ricava sulla giustificazionedell'adozione del termine "Facundi Novi".

Come si può vedere dai testi trascritti prima, nelcodice fiorentino Riccardiano (X-XI secolo) è ripor-tato il nome "Facundin' L.", dove L. potrebbe sig-nificare "Liberti", ma nulla dice l'autore, e il com-mentatore, su questo ignoto personaggio; mentrenei due Ambrosiani (e in un altro detto Principeeditione), peraltro non citati nelle Belles Lettres, èdistintamente riportato "Manilius Mathematicus".Nei codici Vaticani 1951. 1952, 1957, citati daRezzonici, si legge "foecundo ingenio", mentreHarduino cita altri codici che riportano "ingeniimajestate, ingenii magnitudine, ingenii non importuni,sagacis ingenii, ingenio audaci", e via dicendo.D'altra parte anche autorevoli studiosi moderni dignomonica si fanno meraviglia chiedendosi chipossa essere questo eterno sconosciuto, denomina-to Facondo Novio, così come giustamente fal'Ammiraglio Fantoni nel suo eccellente articolo Lameridiana di Augusto 61. Egli ipotizza, inoltre, chepossa trattarsi di un autore greco sconosciuto elatinizzato con questo nome per esaltare la diviniz-zazione imperiale.Più propenso sarei per l'identificazione con il cele-bre romano Manilio, visse proprio al tempo diAugusto, autore del "Poema Astronomicon". Dellostesso parere furono il Vossio e Albertus Fabricius.Anche il Bandini 62 riporta il nome di Manliomatematico, come è indicato nell'EnciclopediaPopolare, alla voce gnomone, del 1846. Ma,purtroppo, è difficile oggi stabilire con precisionequale doveva essere il passo originale, dopo tuttele modifiche apportate dagli amanuensi nei codiciantichi. In ultimo, non è da tenere a conto anche un certo

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CHI ERA FECONDO NUOVO ?

61 In Orologi le Misure del tempo, n. 12, ottobre 1988, Ed. Technimedia, Roma.62 Dell'obelisco di Cesare Augusto, Roma 1750

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Epigene di Bisante che, secondo Seneca 63, si dis-tinse proprio al tempo di Augusto come un affer-mato studioso di Gnomonica dopo essersi formatopresso la scuola caldea, per cui fu soprannominato

Epigene Gnomonico. Ciò potrebbe, inoltre, spie-gare anche il perchè furono adottati i nomi greciper abbellire le indicazioni della linea meridiana dibronzo ricavata nell'antico pavimento.

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63 Questioni naturali, Lib. VII, cap. 3

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Cercheremo ora di rendere alcune osservazionifatte da La Turre Rezzonici nella sua opera relati-vamente ad alcuni importanti passi da lui stessoemendati.

Ei, qui est in Campo(1) Divus Augustus(2) addiditmirabilem usum(3) ad deprehendendas Solisumbras, dierumque ac noctium horas(4), magnitu-dine strato lapide ad magnitudinem Obelisci(5),cui par fieret(6) umbra brumae confectae die, sex-tam hora(7); paulatimque per regulas, quae suntex aere inclusae, singulis diebus decresceret, acrursus augesceret(8). Digna cognitu res et ingeniofoecundo Manlii Mathematici(9). Is apici(10)auratam pilam additit, cujus vertice umbra(11) col-ligeretur in se ipsam(12), alia enormiter incremen-ta jaculante apice: ratione, ut ferunt, a capitehominis intellectam(13)".

1) Si tratta del Campo Martio, citato poco primadallo stesso Plinio.

2) Nel codice Riccardiano appare D. nel modo incui i Romani usavano scrivere il prenome e quindi"Divus" in questo caso.

3) L'uso mirabile dell'obelisco deve essere quellodi destinarlo non solo a gnomone di una lineameridiana, ma di un gigantesco orologio solare ecalendario gnomonico: "Quod velim adnotares, estusus mirabilis deprehendendis Solis umbris,dierum, et noctium horis adjectum, ut omnibusperpensis emergat sciothericum horologium aPlinio describi, non unice lineam illam, quamNeoterici meridianam vocant..." D'altra parte già ilMasi e il Kircher, erano dell'opinione che l'obeliscognomone era destinato per un intero orologiosolare-calendario e ciò è ben visibile nell'eccellentedisegno effettuato da Kircher nel suo libro

"Obeliscus Pamphilius" (fig.32).

4) dierumque ac noctium horas.Si trova nei codici Ambrosiani, in tutti i codiciPolitiani, nei Vaticani nn° 1951 e 1953, e pressoAleriensis Episcopi, Beroaldi, Dalecampii ed altricodici. "Dierum ac noctium" si trova invece neicodici Vaticani 1950. 1952. 1954. 1955. e lo stesso silegge in Flavus Blondus (Rom. instaurat. lib. II,num. LXXV - Bandini. Praefat. pag. XVIII).Aleriensis Episcopus scrive: "dierumque ac noctiummagnitudines: strato lapide ad Obelisci magni-tudinem"; mentre Dalencampius emenda in:"dierum que ac noctium magnitudines etiam, ac horasstrato lapide ad Obelisci magnitudinem, cui par fieretumbrarum ejectus, paulatimque, etc." (edizione Hack,sec. XVIII, tomo III, p. 650). Weidler infine ripor-ta: "strato lapide ad umbrae Obelisci magnitudinem,cui par fieret umbra, bruma confecta fere hora sexta"(Consul. epistol. Weidler. ad Marinon. apudBandinium num X fol. LX).

5) Obelisci. Qui nasce la questione se Plinio intendesse unorologio solare completo di linee orarie o se l'o-belisco fosse lo gnomone per la sola linea meridi-ana del mezzogiorno. Per Harduino, Plinio nonscrive "horarum" (nullam horarum mentionem fecissePlinium praeter unicam horam sextam) per indicareun orologio. Ma per Marinonius, Maffejus,Muratore, Bosium, Wolfium, Heinsiumque, edaltri, Plinio intendeva con "horam", od "horarum"proprio un orologio solare completo. D'altra parte,se con "dierumque ac noctium ita magnitudines",Plinio intendeva parlare di una costruzione cheindicasse in senso calendariale la durata dei giornie delle notti in tutto l'anno, ciò poteva farsi soloattraverso le linee ipotizzate da Buchner nel suostudio, disposte trasversalmente sulle rette orarie.

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INTERPRETAZIONE DELLAVERSIONE DI LA TURRE REZZONICI

(VERS. 4)

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6) Par fieret.Tutti d'accordo su questo passo in cui si dice che ilpavimento doveva essere grande per l'equivalentelunghezza dell'ombra dello gnomone nel giornodel solstizio invernale, all'ora Sesta. Zieglero eDalecampio si presero lo scomodo di calcolarequesta grandezza, considerando alla latitudine diRoma e nel giorno del solstizio estivo, nell'oraSesta, un obelisco di cubiti 48 e 3/4 gettava un'om-bra pari alla nona parte della sua altezza, cioè paria 43 cubiti, 1/4 e 10/12.

7) Sexta hora.In Episcopus Aleriensis, manoscritti del 1470 e1472, si legge "cui par fieret umbrarum Romae confec-to die sexta hora", ma il Hermolai Barbari, inCastigationes Plinianae, nel 1473, corregge inumbra, alla quale segue decresceret et augesceret.Il codice Riccardiano riporta: "umbrarum et confectedie hora sexta";l'Ambrosiano I.: "cui par fieri umbrarum effectus dieset horas";il Laurentianus e Vaticanus 1951: "UmbrarumRomae confecto die".Il Vaticanus 1559, e il Palatino: "Romae umbrarumconfecto die".Il Codice A, o I. Politianus: "Umbra Romae confectodie".Il Codice B, o II. : "umbra tum Romae".

In Rezzonici ed in Salmasio, vi è una notevole dis-sertazione erudita su questo passo di Plinio.Trattandosi di un orologio solare e riferendosiPlinio alla lunghezza dell'ombra dell'obelisco almezzogiorno del solstizio invernale, gli autorihanno pensato bene di emendare il passo riportatodegli antichi codici, come "Umbra Romae confectodie", che non ha senso, nel modo in cui suggerisceanche Salmasio e Scaligero:

"ad deprehendendas solis umbras, Brumaeconfecta diei, hora sexta".

Salmasio fa notare che anche Manilio, nel terzolibro (sicuramente parla del Poema Astronomicon)usa il termine "Brumae sidus". Infatti, è facilecredere che il termine "Brumae" sia stato trasfor-mato in "Romae".La frase "Brumae confecta die", però non cor-risponde al modo di dire degli scrittori antichi

quando parlavano del solstizio invernale. Infatti,in Vitruvio si legge "dies brumalis", e non "diesBrumae confectae"; Manilio scrive: "Ternis fuerit silongior horis Brumali nox forte die...". Ed anche qui silegge "brumali die", e non "brumae confectae".Nell'antichissimo codice Politiani, si legge "rume",che appartiene senz'altro alla parola "brume".Volendo proprio mescolare le varie citazioni, sipotrebbe anche scrivere, come suggerisceScipionis Maffei (Cit. epist. ad Bandin. fol. XLV): "cuipar fieret umbra Romae brumali die sexta hora", rifer-endosi più precisamente al giorno del solstizioinvernale di Roma. Ma siccome Plinio parla giàdell'obelisco situato nel Campo marzio, è evidenteche sarebbe stato superfluo scrivere anche"Romae".

8) Ac rursus augesceret.Per questa frase le differenze fra i vari codici sonomolto contenute. Essa comunque si riferisce all'an-damento della durata dei giorni la quale cresce edecresce nel corso dell'anno.

9) Ingenio foecundo Manilii Mathematici.Si veda il paragrafo "Chi era Fecondo Novo?".

10) - 11) - 12) -13) Is apici... Cuius vertice umbra...col-ligeretur in se ipsa...intellecta.Nei codici vaticani citati da Rezzonici con i numeri1950. 1952. 1955. 1957, si legge "cujus vertice cumumbra".Il Pigafetta descrive il globo che sarebbe statoposto sulla sommità dell'obelisco: "E questo pomo dirame finissimo, e coperto di fogli d'oro... non è mescola-to l'oro col metallo, ma sopraposto, ed il rame è doratocon molte coperte e lame d'oro". Sembra che ancheAmmiano Marcellino parlasse di sfere sovrappostead obelischi, come riporta Rezzonici: "...quanquamnon ignorem Ammiani Marcellini verba, ex quibus col-ligunt Eruditi aliorum etiam Obeliscorum vertici pilamfuisse impositam, eamquae aeneam, auro circumduc-tam: "Sphaera superimponitur ahenea, aureis laminisnitens" (Lib. XVII.4.)Anche Montucla si esprime a tal riguardo scriven-do, ma evidenziando che il matematico Manlioaveva disposto il globo sull'obelisco non per la ras-somiglianza alla testa umana, ma per meglio con-vogliare sull'orologio il punto gnomonico diproiezione: "Le mathematicien Manlius qui dirigea cetouvrage, termina l'obeliscque par un globe, non pour

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lui donner de la ressemblance avec la figure humaine,come le dit Pline souvent peu heurex dans ses coniec-tures, mais asin que le sommet de l'obélisque étant censéau centre de ce globe, le milieu, de l'ombre, qu' il pro-jetteroit, designàt la hauteur du centre du Soleil".

Il codice Dalecampii (edizione Hack, tomo III, p.650), riporta: "an pilam sic imposuerit, ut extaret totahumani capitis similitudine", che è quanto riportatoanche nelle versioni moderne. Si sbagliava, quindi,Montucla nel suggerire la "ressemblance avec la fig-ure humaine", in quanto il globo sull'obelisco dove-va rassomigliare proprio ad una testa umana(intellecta).

Dopo la descrizione dell'orologio, Plinio, scriveche le indicazioni orarie non sono più attendibili eper spiegarne le ragioni ricorre a varie cause natu-rali, tra cui un presunto errore del cammino delsole, uno spostamento dell'asse terrestre (!), inon-dazioni e terremoti. Il passo ufficiale è quello delle"Belles Lettres":

Haec observatio XXX iam fere annis non congruit, sivesolis ipsius dissono cursu et caeli aliqua ratione mutatosive universa tellure a centro suo aliquid emota (ut dep-rehendi et aliis in locis accipio) sive urbis tremoribus ibitantum gnomone intorto sive inundationibus Tiberissedimento molis facto, quamquam ad altitudineminpositi oneris in terram quoque dicuntur acta funda-menta.La cui traduzione francese è:Les données de l'observation initiale ne sont plus val-ables depuis environ trente ans; c'est que ou bien lacourse du soleil lui-meme est differente et a changé pourquelque raison due à l'économie céleste; ou bien la terreentièere s'est un peu dèplacée par rapport à son proprecentre (et j'apprends qu'en d'autres lieux aussi on l'a

observé); ou bien les secousses particuliérs ressentier àRome ont tordu le gnomon; ou bien enfin les inonda-tions du Tibre ont produit un affaissement de la masse,bien que, dit-on, l'on ait poussé aussi les fondations enterre à proportion de la hauteur de la charge imposée.

Il Codice Riccardiano recita:Haec deservatio XXX iam fere annis non congruit sivesolis ipsius dissono cursu, et caeli aliqua ratione muta-to, sive universa tellure a centro suo aliquid emota (utdeprehendi et aliis in locis accipio) sive urbis tremoribusibi tantum gnomone intorto, sive inundationibusTiberis sedimento molis facto quamquam ad acti-tudinem impositione res in terram quoque dicunturacta fundamenta

Codice I. Ambrosiano:Haec dies XXX. iam fere annis non congruit, sive solisipsius dissono cursu et caeli aliqua ratione mutato siveuniversa tellure a centro suo emota (ut deprehendi etaliis in locis accipio) sive urbis tremoribus ibi tantumgnomone intorto sive inundationibus Tiberis et imensofacto mol' q q,aptitudinem inpositione intraris quoquedicuntur iacta fundamenta.

Codice II. Ambrosiano:Haec observatio XXX. iam fere annis non congruit,sive solis ipsius dissono cursu et caeli aliqua rationemutato sive universa tellure a centro suo emota (ut dep-rehendi et aliis in locis accipio) sive urbis tremoribus ibitantum gnomone intorto sive inundationibus Tiberissedimento facto molis qq. aptitudinem inpositioneinterra quoque dicuntur iacta fundamenta.

Il termine dierum observatio, compare in molti cod-ici antichi e nn si capisce per quale ragione la paro-la dierum sia stata abolita. In ogni caso essa vuoleindicare.

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fig. 33 L’orologio solare di Augusto come immaginato da Padre Giovanni Boffito e disegnatoda Padre Giovanni De Bernard barnabita in “La Bibliofilia”, dicembre 1937 p. 465

fig. 32 L’orologio solare di Augusto come immaginato da Kircher (da ObeliscusPhamphilius, 1650)

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fig. 34 Il frontespizio del più ampio e importante trattato sulla storia dell’obelisco di CesareAugusto in Campo Marzio, scritto da Angelo Maria Bandini e pubblicato nel 1750, due annidopo l’innalzamento del monolito.

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Molta importanza avrebbe potuto avere nella sto-ria dell'astronomia e della cronografia l'obelisco-gnomone di Augusto, se fosse durato più a lungonell'uffizio a cui era stato principalmente destina-to. Con l'esatta determinazione infatti degliequinozi e dei solstizi avrebbe potuto servire diperpetuo controllo al calendario di recente rifor-mato, risparmiando il dissesto secolare che dovevarendere necessaria nel Cinquecento la riformaGregoriana. L'obelisco rimane, ed è quello diMontecitorio, uno dei due obelischi per ordine diAugusto asportati dall'Egitto, ma lo scopo, per cuiera stato collocato nel Campo Marzio, venne menonon molto tempo dopo, quando forse non eraancora trascorso il mezzo secolo dal suo innalza-mento.

Plinio è degli scrittori antichi quello che meglio ciinforma nella sua Historia, XXXVI, 10 (15), di ques-ta degna opera di Augusto, ma presentando ilpasso qualche difficoltà di lettura e d'interpre-tazione, ho creduto bene di ricorrere al vetustocodice pliniano della Biblioteca Riccardiana (sec.X.XI) 65, trascrivendovelo esattamente e aggiun-gendo quella che secondo me dovrebbe esserefedele traduzione.

"Ei (obelisco) qui est in campo, Augustus addiditmirabilem usum ad deprehendendas solis imbrasdierumque ac (testo: an) noctium ita magnitudinesstrato lapide ad magnitudinem obelisci, cui parfieret (t.: fiere) umbrarum et confectae die (al:umbra brumae confectae die) sexta hora paula-timque per regulas quae sunt ex aere inclusae sin-

gulis diebus decresceret (t.: decrescere) ac rursusaugesceret. Digna cognitu res ingenio Facundini(t.: facundin; al. Facundi, Facundi Novi; Faciendinon cod Laurenziano; foecundo Manlius; & c). L.(Liberti) mathematici (t.: mathematic). Is apiciauratam pilam addidit, cuius vertice umbra col-ligeretur in se ipsa; alias enormiter iaculante apice,ratione, ut ferunt, a capite hominis intellecta. Haecdeservatio (al. observatio) XXX iam fere annis noncongruit, sive solis opsius dissono cursu et coelialiqua ratione mutato (t.: relato) sive universa tel-lure a centro suo aliquid emota, ut deprehendi etaliis (t.: alis) in locis accipio, sive urbis tremoribusibi tantum gnomone intorto sive inundationibusTyberis sedimento molis facto, quamquam ad alti-tudinem (t.: actitudine) impositione res (al. ad alti-tudinem impositi oneris) in terra quoque dicunturacta fundamenta".

Segue la traduzione in italiano che pochissimo sidiscosta da quelle già riportate. Il commento diBoffito al testo pliniano è il seguente:

"Il passo è irrimediabilmente corrotto qua e là, manon sì da nascondere del tutto il significato.Esaminiamolo particolarmente, cominciando dal-l'autore dell'impresa. Che sia stato Augusto a vol-erla è fuor di dubbio. Alcunchè di simile avevapotuto forse vedere a Sira, o ad Atene o altrove. Laconoscenza dell'astronomia era abituale nellafamiglia Cesarea: Giulio Cesare aveva scritto untrattato De astris, citato da astronomi di profes-sione, come Tolomeo e Germanico tradusse Arato.Augusto a sua volta ci teneva ad ornare le sue

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L’OBELISCO-GNOMONEDI AUGUSTO

di Padre Giuseppe Boffito 64

64 Questo articolo venne pubblicato nella rivista "La Bibliofilia" del dicembre 1937. Come è evidente, il padre Boffito era convin-to che l'obelisco fosse lo gnomone per la sola linea meridiana calendariale e non per un intero orologio solare. Noi abbiamodeciso di trascrivere le parti più importanti di questo articolo perchè in linea con il tipo di ricerche e considerazioni storiche pro-poste in questo volume, e anche perchè la rivista è ormai consultabile solo nelle grandi biblioteche.65 Si tratta dello stesso codice Riccardiano citato da Rezzonici e del quale abbiamo riportato numerosi stralci.

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monete e gemme del segno di Capricorno, sotto ilquale, se non nato, era stato concepito. Un collabo-ratore peraltro aveva avuto nell'impresa: un certoFacondino o Facondo Novo, forse liberto (se l'ab-breviazione "L." va interpretata così). Come Cesarenella riforma del calendario s'era associato il grecoSosigene, così Augusto aveva preposto ai lavoriquesto matematico: fosse greco o latino non impor-ta qui definire, sebbene il nome sembri rivelarloper romano. Ma quele era l'uso, che Plinio esaltacome "mirabile", a cui l'obelisco era stato adattato?Forse quello d'un volgare orologio solare? Gliorologi solari erano divenuti comunissimi inRoma....(...)....Doveva essere quindi qualcosa dipiù e di meglio per venir detto "mirabile". Già, l'ac-cenno iniziale al solstizio d'inverno, quando l'om-bra meridiana doveva essere due volte e un quintopiù lunga dell'altezza dell'obelisco, farebbe esclud-ere per sè che si trattasse d'un comune quadrantesolare. Si aggiunge poi la descrizione del lastrico dimarmo intersecato da regoli di bronzo, lastrico chesi prolungava solo in un senso o direzione e nontutto all'intorno, come sarebbe stato necessario sel'obelisco avesse dovuto far da gnomone o stilod'orologio solare. Per l'esattezza poi dell'osser-vazione scientifica si noti l'accorgimento adopera-to dal matematico augusteo, la sostituzione cioèalla cuspide, che con la sua penombra avrebbepotuto facilmente trarre in inganno, d'un globoaureo il cui centro d'ombra o linea centrale dovevacoincidere col punto preciso della linea meridianadov'erano segnati i solstizi e gli equinozi. La ricostruzione che io ne ho tentata......"

L'autore informa che ha adottato, per il suo diseg-no effettuato dal padre Giovanni De Bernard barn-abita, le misure fornite dal testo di Giacomo Stuarte O. Marucchi ed è quello visibile nella fig. 33.Inoltre, in una nota riporta le sue considerazionicontro le teorie di Kircher e Masi:" Volendo farsi ragione dell'interpretazioneerronea data al testo di Plinio da Atanasio Kircher(Obeliscus Pamphilius, pag. 80, Roma, L. Grignani,1650) da Giacomo Masi (e forse da qualche altro) iquali ci vedono un comune orologio solare,sebbene più gigantesco, converrà ricordare che difatto in alcuni scavi fatti sul principio del

Cinquecento in Campo Marzio vennero alla lucealcuni avanzi di un quadrante solare, non apparte-nenti però al gnomone augusteo. Accanto a questo,o più o meno discosto da questo, che non daval'ora che a mezzogiorno, era una necessità ci fos-sero dei veri orologi in quella località così frequen-tata...".

Naturalmente, si tratta della scoperta riportatanella nostra citazione n° 2, cioè i frammenti del-l'orologio solare orizzontale con la scritta "BoreasSpirat".

Come già si è detto, nell'antichità, soprattutto nel-l'ambito di un progetto topografico, sebbene didimensioni imperiali quale quello che Augusto ris-ervò al Campo Marzio, non vi era necessità diavere a disposizione orologi precisissimi adatti averificare i solstizi e gli equinozi e l'obliquità del-l'eclittica, come invece fu fatto nel Rinascimento.L'ambizioso progetto di realizzare un enormeorologio solare, completo almeno delle sue partiessenziali, può benissimo rientrare nel desideriodell'imperatore di dedicare al Sole, come già ave-vano fatto gli Egiziani, la piazza del CampoMarzio e l'obelisco.

E' inverosimile quindi che l'imperatore abbiaapprovato di far realizzare solo una linea meridi-ana, sebbene questa sia la principale in un orologiosolare sulla quale è possibile ricavare dati calen-dariali, e non i un progetto più grandioso, comeappunto quello di realizzare ciò che sembra impos-sibile: ovvero un intero orologio solare dalledimensioni eccezionali. E' pur vero che se si con-siderano anche le linee orarie estremme, la 1 e la 11temporaria, si dovette ricorrere ad un pavimentolargo circa mezzo chilometro (!), sul quale èalquanto difficile andare (proprio nel senso delmovimento) a leggere l'ora verificando laposizione del vertice d'ombra dell'obelisco. L'ipotesi però di Buchner che prevede un orologiosenza le suddette linee orarie, riduce di moltoquesto inconveniente. Ma, come si è visto, aKircher, al Masi e agli altri che perseguirono l'ideadi un intero orologio solare, è stata resa giustiziadagli stessi scavi archeologici.

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L'altezza dell'obelisco di Psammetico II è un altrorebus sul quale sono stati scritti paragrafi rompi-capo sulla base di varie interpretazioni non solodel testo pliniano, ma anche di vari altri riferimen-ti.Vediamo gli autori moderni cosa propongono inmerito :

Come si vede già da questa breve lista, le misuresono in alcuni autori piuttosto approssimative.Come è evidente, il problema vero e proprio non èl'altezza attuale del monolito la quale dovrebbeessere, tra le più precise, quella indicata daRavaglio, cioè 21,791 metri e con la base e puntale,33,272 metri. Ma è l'altezza che esso aveva quandosvolgeva le sue funzioni di gnomone alla meridi-ana di Augusto?Dalla tabella precedente si legge che il prof.Buchner ha calcolato essere, questo valore, pari a100 piedi romani (assumendo il piede romanoantico pari a 0,2942 metri), cioè 29, 42 metri, che èl'altezza ideale assunta dal Fantoni per il calcolodel tracciato orario della meridiana. Ma siamosicuri che è l'altezza giusta ?Vediamo cosa ne pensavano gli studiosi di qualchesecolo fa.Innanzitutto, partiamo dalla fonte principale,Plinio, il quale nella Storia Naturale ci lascia ilseguente passo: "Is autem quem divus Augustus in Circo Magno statu-

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L’ALTEZZA DELL’OBELISCO

FONTE misure altezza obeliscoFantoni G.: La meridiana di Augusto, Orologi. Le misure del tempo,Technimedia, Roma, 1988 29.42 metriHabachi L., I segreti degli obelischi, newton compton, Roma, 1978 metri 21,79 - piedi 71,50Ravaglioli A., Questa è Roma, TEN, Roma, 1994 metri 21,791 - con basamento e

puntale : metri 33,272Orlando-Castellano C.,Frammenti dell'obelisco di Montecitorio, L'Urbe, n.5, 1964 metri 21.80 - con il piedistallo e

il globo e la cuspide : metri 29.Buchner E. Altezza originale : mt.29,42 - piedi

romani 100

it excisum est a rege Psemetnepserphreo, quo regnantePythagoras in Aegypto fuit, LXXXV pedum et dodran-tis praeter basim eiusdem lapidis ; is vero quem incampo Martio, novem pedibus minor, a sesothide" 66. E già le note dell'edizione "Les Belles Lettres", dacui è tratta la citazione, mettono in evidenza che inaltri codici antichi sono riportate diverse misurepari a piedi romani LXXXV ; XXCV ; CXXV.Il Buchner ha adottato la lunghezza del piederomano pari a metri 0,2942. Tenendo conto chePlinio indica 9 piedi in meno rispetto alla misurada lui indicata per l'obelisco del Circo Massimo, leprecedenti altre misure, indicate negli altri codici,diventano:

LXXXV. 3/4 - IX= 76. 3/4 piedi romani x 0,2942 =22, 49 metri (senza base)XXCV. 3/4 è pari sempre a 85. 3/4 e dà lo stessorisultato ;CXXV. 3/4 - IX = 116. 3/4 piedi romani x 0,2942 =34, 51 metri

66 Plinio il Vecchio, Storia Naturale, lib. XXXVI, cap. 9, 71. Edizione "Les Belles Lettres", Paris, 1969

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E' strano che in un codice sia saltato fuori questovalore di CXXV piedi, che sembra piuttosto il con-trario di XXCV. Forse il copista avrà voluto indi-care il valore compresa la base dell'obelisco.La versione delle "Disquisizioni Pliniane" diRezzonici, riporta: "Is autem Obeliscus, quem DivusAugustus in Circo Magno posuit, excisum est a RegeSemetempferteo, quo regnante Pythagoras in Aegyptofuit, XXCII. Pedum, et dodrantis praeter basim ejusdemlapidis. Is vero, quem in Campo Martio, IX. Pedumminor a Sochide". Rezzonici fa notare che in alcuni manoscritti èriportato il numero XXCV e in altri LXXXV, eavverte che essi indicano lo stesso numero, 85, indue maniere diverse di scrittura. Il Bandini, dal canto suo, si esprime in questomodo:"At hic jam statim innotescit, quam facile hic numerusin illum 125. Sit a librariis commutatus. Si in vetustiscodicibus scriptum fuit XXCII. Admodum facile inprimis transposita notula C pro XXC. Scribi potuitCXX. Et quidem huius transpositionis habemus non-nullos Florentinos Riccardianae, ac LaurentianaeBibliothecae codices ; in quibus, ut ex amici litteris adme Florentia datis nuper accepi, habetur XXCV. Liceteditiones omnes passim habeant CXXV. Deinde binaelitterae II nonnihil inclinatae admodum facile abirepotuerunt in V. Hoc autem pacto salva Plinii fide,ejusque loco consentiente cum re ipsa, jam habebiturXXCII, cum dodrante, pro quo suum illud CXXV.Cum dodrante corrupti codices, atque editiones e cor-ruptis codicibus derivatae, nobis obtrudunt".In un esemplare membranaceo di Andrea AsulanoAldi, in Venezia, anno 1518, si legge :"Obelisci magni VI. II. In circo maximo, major estpedum. CXXXII. Minor pedum LXXXVIII. Semis.unus in Vaticano pedum. LXXII. Unus in campo mar-tio ped. LXXII. Due in Mausoleo Augusti pares singuliped. XLII. Semis. OBELISCI parvi XLII. In plerisquesunt notae Aegyptiorum."In una edizione postuma, pubblicata anche daGraevio e Bandini, si legge :"Obelisci magni sex. Duo in Circo Maximo, major estpedum CXXXII. Minor pedum LXXXVIII. Semis:

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unus in Vaticano pedum LXXII : unus in CampoMartio ped. LXXII. Duo in Mausoleo Augusti paressinguli pedes XLII. Semis. In Insula Tyberis unus.Obelisci parvi quadraginta duo. In plerisque sunt notaeAegyptiorum".Rezzonici riporta altri due esempi tratti da mano-scritti antichi, in cui si riporta :...In Campo Martio unus, altus pedes octoginta duossemis" e l'altro...In Campo Martio unus, altus pedes LXXII.-S.-. dove la S. significa "semis".Nel primo caso si ha 82 piedi e mezzo. Nel secon-do 72 piedi e mezzo.Rodulfino Venuto, in una sua opera sulle antichitàromane del secolo XVII, scrive:"Augusto fece collocare nel Campo Marzio il maggioredi quegli obelischi alto cento undici piedi senza contareil piedistallo..." e in una nota si legge: "l'obelisco èlungo XCV. Palmi Romani, la base era il pezzo più con-servato, ed in piedi alto palmi XIX....In tutto quest'o-belisco era alto palmi CXII" dove è evidente l'errorecommesso, in quanto l'altezza compresa la basenon è di CXII. Ma di CXIV palmi.La base, secondo l'indicazione del Venuto, sarebbealta metri 4,21 (mentre il Fantoni riporta 6 metri).Non meno confusa è la situazione relativa allafrase "IX. Pedum minor" di Plinio.Nei codici Ambrosiani I., Riccardianus,Medicaeus, Academicus e Gudianus, si legge IX.Pedum; in altri è annotato VIIII. Pedum che è lostesso., ma almeno sembrano tutti indicare la cifraIX.Secondo il gesuita Athanasius Kircher (sec. XVII),l'obelisco era alto piedi 125. 3/4, meno i 9 piedicome indicato da Plinio, si arrivava a piedi 116.3/4. Francesco Jacquier, commentando questopasso 67 fa notare che un orologio solare con unobelisco di tale altezza, pari a 34.46 metri, necessi-ta di un lastricato di palmi 1702, pari a circa 450metri. Infatti, la coordinata oraria orizzontale,ovvero l'ascissa del punto orario della Prima oratemporaria per tale orologio (considerando unalatitudine di 42° 15' prossima a quella di CampoMarzio e l'altezza dell'obelisco come anzidetto),

67 Francisco Jaquerio ad Antonius Joseph Comes a Turre Rezzonici S.P.D., epistola pubblicata in A.J. Comes a Turre Rezzonici,Disquisitiones Plinianae, 1767, Tomo II, pag. 393: Kircherus vulgatae adhaerens lectioni, quae Semetempfertei Obelisco pedes 125. 3/4attribuit: necessario debeat Sciotherico, novem pedum minori, adscribere pedes 116. 3/4; unde cum Masooani horologii figuram exhibet, coge-batur strati lapidis longitudinem proferre palmorum 1702. Verum si Campi Obeliscus vix attingebat pedes 73. 3/4: strato lapidi sufficientpedes 1071. uncia 1. puncti 5. atomi 2.

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dista dalla base dell'obelisco metri 226. Se si con-sidera la stessa estensione dalla parte opposta, cioèl'ascissa dell'ora 11 pari ancora a 226 metri, si hache il lastricato deve essere largo almeno 452 metri.Mentre, osserva Jacquier, per un obelisco di piedi73. 3/4, pari a 21,74 metri, la precedente coordina-ta diventa di metri 142.6 ed occorre quindi un las-tricato di 285 metri di lunghezza.

Tirando le somme, sembra un'impresa impossibilequella di stabilire sulla base dei documenti storici,la vera altezza dell'obelisco, con o senza base. Assumendo il palmo romano pari a mt. 0,264 68, lemisure date da Rudolfino Venuto danno per l'o-belisco una lunghezza (compresa la base) pari ametri 30,09, in buono accordo anche con lalunghezza prevista da Buchner.Ma se adottiamo per esempio le misure romanecome specificato nel libro "Spazio e Tempo. Vita ecostumi dei Romani antichi", di A. Dosi-F. Schnell,ed. Quasar, già citato nel testo, si ha che il Palmusmaior, usato nel tardo Impero, equivaleva a 12 dig-

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iti, pari a 0,222 metri, mentre 1 pes = 4 palmi =metri 0,296 ; 1 decempedes o pertica = 10 piedi =2,960 metri e quindi 1 piede = 0.296 metri.Quindi, le misure di Venuto, diventano 114 palmix 0,222 metri = 25,30 metri che sommata alla basedi 4,21 metri dà una'ltezza dell'obelisco pari a29,51 che ci sembra tra le più verosimili, in accordocon quanto scrive Plinio.Prendendo l'indicazione data in alcuni codici paria 95 piedi (XXCV), e sottraendo 9 piedi come dicePlinio, si ha 86 piedi, pari a metri 25,456 che som-mati alla base di 4,21 metri dà un'altezza totale di29,66 metri, anche questa in ottimo accordo con lemisure probanti.L'indicazione di Buchner, di 100 piedi romani,diventa : 29,63 metri.Per una latitudine prossima a quella del CampoMarzio , di circa 41° 51' e adottando tre diversemisure per l'obelisco gnomone, si ottengono iseguenti dati: (i calcoli sono effettuati col program-ma "Meridiane" dell'ing. Gianni Ferrari diModena)

68 da Dizionario UTET, voce "palmo".

Altezza obelisco: 100 piedi romani secondo Buchner = 29.42 metri

Lunghezza linea meridiana (compresa tra le due curve dei solstizi invernale ed estivo): 53.9 metriPunto estremo dell'ora temporaria 1 dall'obelisco: 249.3 metri

Distanza linea equinoziale dall'obelisco (sull'intersezione con la linea meridiana): 26.7 metri

Altezza obelisco adottando 1 palmo romano antico pari a 0.296 metri = 29.63 metri

Lunghezza linea meridiana: 54.4 metriPunto estremo dell'ora temporaria 1 dall'obelisco: 251 metri

Distanza linea equinoziale dall'obelisco: 27 metri

Altezza obelisco secondo il testo di Plinio85.3/4 piedi - 9 piedi = 76.3/4 piedi x 0,296 = 22.62 + 4,21 (base) = 26.84 metri

Lunghezza linea meridiana: 48.3 metriPunto estremo dell'ora temporaria 1 dall'obelisco: 227.4 metri

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Distanza linea equinoziale dall'obelisco: 24.4 metriLe prime due misure concordano abbastanza benecon il piano topografico e la sovraapposizione del-l'orologio come proposto da Buchner. La terzamisura avvicina la linea equinoziale all'obelisco dicirca 3 metri. Troppo pochi per ipotizzare una dis-connessione del piano urbanistico di Augusto serivolto all'esaltazione e divinizzazione della pro-pria immagine. Infatti, se egli in qualche modovolle paragonarsi agli antichi faraoni, e verosimil-mente al grande Ramsete II, imitando l'effetto deltempio di Abu-Simbel, (in determinati giorni del-l'anno il sole illumina le statue del faraone ricavatedentro una lunga caverna all'interno di una mon-tagna) non lo possiamo sapere. Il sole, nei giorni diequinozio, sorge esattamente ad est, cioè indirezione della linea equinoziale la quale, essendorivolta perfettamente verso l'Ara Pacis, è ovvio

concludere che i raggi del sole nascente vadano adilluminare il monumento augusteo. Ed è ancorapiù invitante supporre che l'imperatore avesse pre-disposto un qualche altare, o qualcosa di simile, sucui i raggi del sole, all'alba del suo compleanno,risplendessero della sua gloria. Tre metri, quindi,non sono molti per sviare una ipotesi del genere,per cui anche un obelisco di 26 metri di altezza,come indicato da Plinio, potrebbe rientrare nellesupposizioni.

Per finire, l'unica cosa che resta da fare per scoprireesattamente quanto era alto l'originario gnomone,sarebbe quella di riuscire a determinare lalunghezza della linea meridiana, mediante altriscavi, conosciuta la quale si ha immediatamentel'altezza dell'obelisco come fatto realizzare daAugusto.

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AUTORE TITOLO EDIZIONE

Agrippa C. Trattado di trasportar la Guglia in su la piazza di S. Pietro Roma, Zanetti, 1583Angeli Da Barga P. Commentarius de obeliscus.... Firenze, Sermartelli, 1589D'Onofrio Cesare Gli obelischi di Roma Roma, Bulzoni, 1967Marucchi Orazio Gli obelischi egiziani di Roma Roma, Loecher, 1898Mercati M. De gli obelischi di Roma Roma, Basa, 1589Pigafetta F. d'intorno all'historia della aguglia et alla ragione del muoverla Roma, Grassi, 1586Andreola Amina Obelischi a Roma Roma, Nuova ed. Spada, 1978Cipriani Giovanni Obelischi egizi. Politica e cultura nella Roma barocca Firenze, Olschki, 1993AA.VV. Obelischi di Roma Artemide, 1995Bandini A.M. De obelisco Caesaris Augusti e Campi Martii Roma, 1750

ruderibus nuper eruto commentariusBostrius G.M. Commentarium epistolicum de Sesostridis Roma, 1751

Augusti et Benedicti XIV obeliscoCipriani G.B. Su i 12 obelischi egizi che adornano la città di Roma Roma, 1823Coletti A.M. Gli obelischi: storie e leggende Albano Laziale, 1927De Rossi G.B. Nuova raccolta degli obelischi et colonne

antiche dell'alma città di Roma Failla F. Gli obelischi Roma, 1954Grisolia G. Gli obelischi egiziani di Roma Napoli, 1935Marucchi Orazio Cenni generali sugli obelischi egiziani di Roma Roma, 1896Muratori C.A. Dell'obelisco di Cesare Augusto scavato dalle Napoli, 1762

rovine di Campo MarzioUngarelli L.M. Interpretatio Obeliscorum Urbis Roma, 1842Zoaga G. De origine et usu obeliscorum Romae, 1797Rezzonici Disquisitiones Plinianae 1767(Comite a Turre A.J.)Orlando-Castellano Frammenti dell'obelisco di Montecitorio L'Urbe, Roma, 1964 n° 5CamilloPlinio il Vecchio Storia Naturale Libro XXXVI, cap. 10Donati De' Dittici sec. XVIIIZaccaria F. A. Storia letteraria d'Italia Tomo II, 1750Muller G.C. De obelisco gnomone Augusti Caesaris 1706Moroni Romano Gaetano Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica Vol. XLVIII p. 185, Venezia, 1748Pietrangeli C. Via del Corso 1961Bosticco S. Frammenti inediti dell'obelisco campensea "Aegyptus" XXXVII, 1957Habachi L I segreti degli obelischi newton compton, Roma, 1978Kastl H, Olaf H. Gli obelischi di Roma e le loro epigrafi Roma, Edizioni d'Italia, 1970Buchner E. die Sonnenuhr des Augustes, Mainz, 1982Romano P. Orologi di Roma Roma, Anonima Romana

Stampa, 1943Fantoni Girolamo La meridiana di Augusto Orologi. Le misure del tempo,

12 Technimedia, 1988Pietrangeli C. Via del Corso 1961 pp. 39-40Marchetti Longhi in "Atti V Congr. Naz. Studi Romani II, 531-544Gatti in "B.C." LXVIII (1940) pp. 266-268Lanciani R. L'itinerario di EinsiedelnLanciani R. Storia degli scavi di RomaDe Rossi G.B. Note di topografia romana 1882 pp. 49-87Vacca Flaminio Memorie... 1594AA.VV. Diario Ordinario Roma, anno 1748Albertini de Roma prisca et nova... Mazochi 1510De Rossi G.B. Pomponius Laetus de vetustate urbis Studi e docum. Di stora e diritto,

anno III, 1882Boscovich Epist. Ad Bandinus num III fol. XIV sec. XVIIIMaffei Scipione Epist. Ad Bandinus num. VI fol. XLVIII sec. XVIIIFlavius Blondus Romae Instauratae lib. IINardini Roma Antica Roma, 1666

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE