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Horti Hesperidum Studi di storia del collezionismo e della storiografia artistica Rivista telematica semestrale LE IMMAGINI VIVE coordinamento scientifico di Carmelo Occhipinti L’età contemporanea a cura di Carmelo Occhipinti Roma 2015, fascicolo II, tomo II UniversItalia

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Horti Hesperidum

Studi di storia del collezionismo e della storiografia artistica

Rivista telematica semestrale

LE IMMAGINI VIVE coordinamento scientifico di Carmelo Occhipinti

L’età contemporanea a cura di Carmelo Occhipinti

Roma 2015, fascicolo II, tomo II

UniversItalia

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Il presente volume riproduce il fascicolo II (tomo II) del 2015 della rivista telematica semestrale Horti Hesperidum. Studi di storia del collezionismo e della storiografia artistica.

Direttore responsabile: Carmelo Occhipinti Comitato scientifico: Barbara Agosti, Maria Beltramini, Claudio Castelletti, Francesco Grisolia,

Valeria E. Genovese, Ingo Herklotz, Patrick Michel, Marco Mozzo, Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, Ilaria Sforza

Autorizzazione del tribunale di Roma n. 315/2010 del 14 luglio 2010 Sito internet: www.horti-hesperidum.com/

La rivista è pubblicata sotto il patrocinio di

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Dipartimento di Studi letterari, Filosofici e Storia dell’arte

Serie monografica: ISSN 2239-4133 Rivista Telematica: ISSN 2239-4141

Prima della pubblicazione gli articoli presentati a Horti Hesperidum sono sottoposti in forma anonima alla valutazione dei membri del comitato scientifico e di referee sele-zionati in base alla competenza sui temi trattati. Gli autori restano a disposizione degli aventi diritto per le fonti iconografiche non individuate. PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA © Copyright 2015 - UniversItalia – Roma

ISBN 978-88-6507-794-8 A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la riproduzione di questo libro o parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.

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INDICE

TOMO I BRAM DE KLERCK, Inside and out. Curtains and the privileged beholder in Italian Renaissance painting 5 VALERIA E. GENOVESE, Statue vie: lavori in corso 29 DANIELA CARACCIOLO, «Qualche imagine devota da riguardare»: la questione delle immagini nella letteratura sacra del XVI secolo 51 CRISTINA ACUCELLA, Un’ekphrasis contro la morte. Le Rime di Torquato Tasso sul ritratto di Irene di Spilimbergo 89 MARIA DO CARMO R. MENDES, Image, devotion and pararepresentation: approaching baroque painting to neuroscience, or a way to believe 127 NINA NIEDERMEIER, The Artist’s Memory: How to make the Image of the Dead Saint similar to the Living. The vera effigies of Ignatius of Loyola. 157 ALENA ROBIN, A Nazarene in the nude. Questions of representation in devotional images of New Spain 201 PAOLO SANVITO, Arte e architettura «dotata di anima» in Bernini: le reazioni emotive nelle fonti coeve 239 TONINO GRIFFERO, Vive, attive e contagiose. Il potere transitivo delle immagini 277 ABSTRACTS 307

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TOMO II

PIETRO CONTE, «Non più uomini di cera, ma vivissimi». Per una fenomenologia dell’iperrealismo 7 ARIANA DE LUCA, Dall’ekphrasis rinascimentale alla moderna scrittura critica: il contributo di Michael Baxandall 27 A. MANODORI SAGREDO, La fotografia ‘ruba’ l’anima: da Daguerre al selfie 77 FILIPPO KULBERG TAUB, «They Live!» Oltre il lato oscuro del reale 91 ALESSIA DE PALMA, L’artista Post-Human nel rapporto tra uomo e macchina 105 ABSTRACTS 115

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EDITORIALE

CARMELO OCCHIPINTI

Vide da lontano un busto grandissimo; che da principio im-maginò dovere essere di pietra, e a somiglianza degli ermi colossali veduti da lui, molti anni prima, nell’isola di Pasqua. Ma fattosi più da vicino, trovò che era una forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dosso e il gomito a una montagna; e non finta ma viva; di volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi; la quale guardavalo fissamente; e stata così un buono spazio senza parlare, all’ultimo gli disse: «Chi sei?»

G. LEOPARDI, Dialogo della natura e di un islandese

Poco prima che si chiudesse l’anno 2013, nel sito internet di «Horti Hesperidum» veniva pubblicato il call for papers sul tema delle «Immagini vive». Nonostante la giovane età della rivista – giravano, ancora, i fa-scicoli delle sole prime due annate –, sorprendentemente vasta fu, da subito, la risposta degli studiosi di più varia formazione: archeologi, medievisti, modernisti e contemporaneisti. In poche settimane, infatti, il nostro call for papers si trovò a essere rilancia-to, attraverso i siti internet di diverse università e istituti di ri-cerca, in tutto il mondo. Risonanza di gran lunga inferiore, no-nostante l’utilizzo degli stessi canali, riuscivano invece a ottene-re le analoghe iniziative di lì a poco condotte da «Horti Hespe-ridum» su argomenti specialisticamente meglio definiti come quello della Descrittione di tutti i Paesi Bassi (1567) di Lodovico Guicciardini (a proposito dei rapporti artistici tra Italia e Paesi nordici nel XVI secolo), e del Microcosmo della pittura (1667) di

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C. OCCHIPINTI

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Francesco Scannelli (a proposito del collezionismo estense nel XVIII secolo). Evidentemente era il tema in sé, quello appunto delle «Immagi-ne vive», a destare una così inaspettata risonanza. Tanta riso-nanza si dovrebbe spiegare – mi sembra – in ragione di una nuova e sempre più diffusa esigenza, molto sentita ormai da parte degli studiosi di storia artistica (sollecitati, più o meno consapevolmente, dagli accadimenti del mondo contempora-neo): l’esigenza, cioè, di indagare certa qualità ‘attiva’ che le im-magini avrebbero posseduto nel corso della storia, nelle epoche, nei luoghi e nei contesti sociali e religiosi più diversi prima che esse diventassero, per così dire, gli ‘oggetti’ – in un certo senso ‘passivi’ – della moderna disciplina storico-artistica, prima cioè che le stesse immagini si ‘trasformassero’ in ‘reperti’, diventan-do, così, non necessariamente qualcosa di ‘morto’ (rispetto a una precedente ‘vita’ perduta), bensì diventando, in ogni caso, qualcosa di ‘diverso’ da ciò che originariamente esse erano state. Già per il solo fatto di essere ‘guardate’ sotto una prospettiva disciplinare come quella della storia dell’arte, che è vincolata a proprie istanze di astrazione e di scientificità (in funzione, per esempio, delle classificazioni o delle periodizzazioni), le imma-gini non hanno fatto altro che ‘trasformarsi’: ma è vero che, per loro stessa natura, le immagini si trasformano sempre, per effet-to della storia e degli uomini che le guardano, e dei luoghi che cambiano; tanto più, oggi, le immagini continuano a trasformar-si per effetto dei nuovi media i quali, sottraendole a qualsivoglia prospettiva disciplinare, ce le avvicinano nella loro più impreve-dibile, multiforme, moderna ‘vitalità’. Il fatto è che, immersi come siamo nella civiltà nuova del digita-le – la civiltà delle immagini virtuali, de-materializzate, de-contestualizzate che a ogni momento vengono spinte fin dentro alla nostra più personale esistenza quotidiana per ricombinarsi imprevedibilmente, dentro di noi, con i nostri stessi ricordi, così da sostanziare profondamente la nostra stessa identità – ci sia-mo alla fine ridotti a non poter più fare a meno di questo flusso magmatico che si muove sul web e da cui veniamo visceralmente nutriti, e senza il quale non riusciremmo proprio a decidere al-cunché, né a pensare, né a scrivere, né a comunicare, né a fare

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ricerca. In questo modo, però, le immagini che per via digitale, incessantemente, entrano per così dire dentro di noi sono im-magini del tutto prive della loro materia, del loro stesso corpo, perché internet, avvicinandocele, ce le impoverisce, ce le tra-sforma, ce le riduce a immateriali parvenze. Ma così diventa ad-dirittura possibile – ed è questo per molti di noi, come lo è per molti dei nostri studenti, un paradosso davvero mostruoso – diventa possibile, dicevo, studiare la storia dell’arte senza quasi che sentiamo più il bisogno di andare a vedere le opere d’arte, quelle vere, senza cioè riconsiderarle concretamente in rappor-to, per esempio, all’esperienza nostra del ‘paesaggio’ di cui esse sono state e continuano a essere parte: non può che venirne fuori, ormai, una storia dell’arte fatta di opere ridotte alla par-venza immateriale la quale, distaccatasi dalle opere d’arte ‘vere’, non conserva di esse alcuna idea di fisicità, né possiede la ben-ché minima capacità di coinvolgimento emotivo che derivava anticamente dalla ‘presenza’, dalla ‘corporeità’, dal rapporto col ‘paesaggio’ e col ‘contesto’, nonché dalle tradizioni e dai ricordi che, dentro quel ‘paesaggio’, dentro quel ‘contesto’, rivivevano attraverso le immagini, vivevano nelle immagini. La storia dell’arte ha finito per ridursi, insomma, a una storia di immagini ‘morte’, staccate cioè dai contesti culturali, religiosi, rituali da cui esse provenivano: in fondo, è proprio questo tipo di storia dell’arte, scientificamente distaccata dalla ‘vita’, a rispecchiare bene, nel panorama multimediale e globalizzato che stiamo vi-vendo, il nostro attuale impoverimento culturale. In considerazione di quanto detto, questa miscellanea sulle «Immagini vive» è stata pensata anzitutto come raccolta di te-stimonianze sugli orientamenti odierni della disciplina storico-artistica la quale – oggi come non mai afflitta, per di più, dall’arido specialismo accademico che l’ha ridotta alla più morti-ficante inutilità sociale –, ambisce, vorrebbe o dovrebbe ambi-re, alla riconquista dei più vasti orizzonti della storia umana, nonché alla ricerca dei legami profondi che uniscono il passato al presente e, dunque, l’uomo alla società e le civiltà, seppure lontane nello spazio o nel tempo, l’una all’altra.

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Ebbene questi due fascicoli della V annata (2015) di «Horti He-speridum», ciascuno diviso nei due tomi che ora finalmente pre-sentiamo, raccolgono i contributi di quanti, archeologi, medievi-sti, modernisti e contemporaneisti, abbiano voluto rispondere al nostro call for papers intervenendo su argomenti sì molto diversi, però tutti collegati a un’idea medesima: quella di verificare, nel passato come nel presente, una certa qualità ‘attiva’ che sia sto-ricamente appartenuta, o appartenga, alle immagini. Esattamente come lo enunciavamo nel sito internet di «Horti Hesperidum», alla fine del 2013, era questo il contenuto del no-stro call for papers:

La rivista semestrale «Horti Hesperidum» intende dedicare il pri-mo fascicolo monografico del 2015 al tema delle “Immagini vive”. Testimonianze letterarie di varie epoche, dall’antichità pagana all’età cristiana medievale e moderna, permettono di indagare il fenomeno antropologico dell’immagine percepita come presenza “viva”, capace di muoversi, parlare, interagire con gli uomini. Saranno prese in particolare considerazione le seguenti prospettive di indagine: 1. Il rapporto tra il fedele e l’immagine devozionale 2. L’immagine elogiata come viva, vera, parlante, nell’ekphrasis let-teraria 3. L’iconoclastia, ovvero l’“uccisione” dell’immagine nelle rispetti-ve epoche

Ora, una siffatta formulazione – cui ha partecipato Ilaria Sforza, antichista e grecista – presupponeva, nelle nostre intenzioni, le proposte di metodo già da noi avanzate nell’Editoriale al primo primo numero di «Horti Hesperidum» (2011), dove avevamo cercato di insistere sulla necessità di guardare alle opere d’arte secondo un’ottica diversa da quella più tradizionalmente disci-plinare che, in sostanza, si era definita, pure nella molteplicità degli indirizzi metodologici, tra Otto e Novecento. Allora, infat-ti, ci chiedevamo: Ma sono pienamente condivisibili, oggi, intenzioni di metodo come le seguenti, che invece meritano la più rispettosa storicizzazione? Ri-

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muovere ogni «ingombro leggendario», auspicava Longhi, che si frap-ponesse tra lo storico e le opere. Considerare queste ultime con il do-vuto distacco scientifico. Guardarle «in rapporto con altre opere»: evi-tare cioè di accostarsi all’opera d’arte – come però sempre accadeva nelle epoche passate – «con reverenza, o con orrore, come magia, come tabù, come opera di Dio o dello stregone, non dell’uomo». Ne-gare, in definitiva, «il mito degli artisti divini, e divinissimi, invece che semplicemente umani». Queste affermazioni, rilette oggi alla luce di nuove esigenze del nostro contemporaneo, finiscono per suonare come la negazione delle storie dell’arte in nome della storia dell’arte. Come la negazione degli uomini in nome dello storico dell’arte. Come la negazione dei modi di vedere in nome della connoisseurship. Come la negazione, in definitiva, della stessa ‘storia’ dell’arte. Infatti la storia ha davvero conosciuto miracoli e prodigi, maghi e stregoni, opere or-ribilmente belle, sovrumane, inspiegabili, e artisti terribili e divini. Lo storico di oggi ha il dovere di rispettare e comprendere ogni «ingom-bro leggendario», senza rimuoverlo; dovrebbe avere cioè il dovere di sorprendersi di fronte alle ragioni per cui, anticamente, a destar «me-raviglia», «paura», «terrore» erano i monumenti artistici del più lonta-no passato come anche le opere migliori degli artisti di ogni presente. Quell’auspicato e antiletterario distacco scientifico ha finito in certi casi per rendere, a lungo andare, la disciplina della storia dell’arte, guardando soprattutto a come essa si è venuta trasformando nel pa-norama universitario degli ultimi decenni, una disciplina asfittica, non umanistica perché programmaticamente tecnica, di uno specialismo staccato dalla cultura, dalla società, dal costume, dalla politica, dalla religione». In effetti, dalla cultura figurativa contemporanea provengono segnali ineludibili – gli odierni storici dell’arte non possono non tenerne conto – che ci inducono a muoverci in ben altra dire-zione rispetto alle indicazioni enunciate da Roberto Longhi nel-le sue ormai lontane Proposte per una critica d’arte (1950) alle quali ci riferivamo nell’appena citato Editoriale di «Horti Hesperidum» del 2011. Pensiamo, per esempio, a quanto si verificava in seno alla 55a Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Ve-nezia (2013), quando artisti e critici dovettero condividere il bi-sogno di ritrovare la fede – quella fede che, anticamente, era co-sì sconfinata – nel ‘potere’ delle immagini, e di ritrovare, ten-tando di recuperarla dal nostro passato, «l’idea che l’immagine

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sia un’entità viva, pulsante, dotata di poteri magici e capace di influenzare, trasformare, persino guarire l’individuo e l’intero universo»: d’altronde una tale idea non la si poteva affatto rite-nere estranea alla tradizione culturale da cui noi stessi prove-niamo nonostante che la modernità ‘illuministica’ abbia tentato di cancellarla, respingendola come vecchia, come appartenente a una «concezione datata, offuscata da superstizioni arcaiche»1. Così, persino sulle pagine del catalogo della stessa Biennale del ’13 (come pure su quelle dell’11, dove era fatta oggetto di rim-pianto addirittura la potenza mistica di cui in età medievale era capace la ‘luce’, contro il buio introdotto da una deprecata età dei ‘lumi’), l’urgenza di un rinnovato sguardo sul passato e sulla storia era già di per sé un fatto sorprendente e audace: tanto più se, per contrasto, ripensiamo all’altrettanto audace rifiuto del passato che lungo il XX secolo fu provocatoriamente mosso, in nome della modernità, da parte delle avanguardie e delle neo-avanguardie. Del resto, «la parola ‘immagine’ contiene nel suo DNA, nella sua etimologia, una prossimità profonda con il corpo e con la morte: in latino l’imago era la maschera di cera che i romani creavano come calco per preservare il volto dei defunti»2: ma visto che gli uomini del nostro tempo se ne sono dimenticati, serviva ricordare ai visitatori della Esposizione Internazionale che il misterio primigenio della scultura funeraria era, ed è, quel-lo «di opporre alla morte, all’orizzontalità informe, la vericalità e la rigidità della pietra»3. Di fronte a questa nuova disponibilità dei ‘contemporaneisti’ nei confronti della ‘storia’, gli storici dovrebbero, da parte loro, tornare a cercare nel contemporaneo le motivazioni della loro stessa ricerca. Sottratte alle rispettive dimensioni rituali, magi-che, funerarie, devozionali e religiose – quelle dimensioni che la civiltà moderna, multimediale e globalizzata ha tentato di annul-

1 La Biennale di Venezia. 55a Esposizione d’arte. Il palazzo enciclopedico, a cura di M. Gioni, Venezia, Marsilio, 2013, p. 25. 2 Ibidem, p. 25. 3 Ibidem, p. 26.

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lare definitivamente – le immagini sono diventate vuoti simula-cri, come paiono esserlo quando le si vedono esposte, scientifi-camente classificate, dietro le vetrine o dentro le sale dei musei al cui interno esse hanno finito per arricchirsi di significati nuo-vi, certo, ma diversi da quelli che molte di esse possedevano al tempo in cui – citiamo sempre dal catalogo dell’esposizione del ’13 – «magia, miti, tradizioni e credenze religiose contavano quanto l’osservazione diretta della realtà»4.

4 Ibidem, p 28.

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DALL’EKPHRASIS RINASCIMENTALE

ALLA MODERNA SCRITTURA CRITICA: IL CONTRIBUTO DI MICHAEL BAXANDALL

ARIANA DE LUCA

1. Introduzione I shall begin with such an excursion – an analogy as preliminary de-vice or emblem of some characteristics of the Self. This replaces what might otherwise be a definition of ‘identity’. For reasons quite outside this project there is pinned up to the left of my desk a postcard of sand dunes in a lurid evening light, titled: In-stant de rêve dans l’Erg tihodaï. Sand dunes are fascinating in many ways – the uncertainty about how far they may either be slowly creeping along or secretly renewing themselves on the spot; an uncanny oppo-sition between softness and robustness; various ways they can make nonsense of our normal experience of distance; their storing of heat or cool; their conflicting response to light as between grain and dune, element and whole. As well as buying kitsch postcard of them I have read about dunes. But my purpose in invoking them here is to find a

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preliminary analogy for a particular set of properties of the personal identity and to avoid, at last for the moment, others. It is not that persons are like sand dunes: in most ways they are not. Rather it is that, in spite of the dissimilarity, half-a-dozen main properties of sand dunes resonate with half-a-dozen properties of the personal con-sciousness I want to keep in mind49. Questa è una delle prime pagine di Episodes - A Memory Book, l’autobiografia di Michael D. K. Baxandall (1933-2008) uscita postuma nel 2010. In altre sedi ho studiato il complesso posizionamento metodo-logico sotteso alla vasta ed eterogenea produzione di Baxandall che è considerato uno dei più raffinati, originali e influenti sto-rici dell’arte del XX secolo. Nonostante la poliedricità di inte-ressi dell’autore, ho potuto individuare tre costanti, quasi tre centri gravitazionali che fanno da sfondo all’intero itinerario della sua ricerca: 1) l’analisi della natura del linguaggio in genera-le e della critica d’arte nello specifico, in quanto resoconto ver-bale di oggetti che per loro natura si esprimono attraverso un medium differente; 2) la ricostruzione dei meccanismi di perce-zione visiva, dagli aspetti fisici a quelli neurologici e psichici o indotti dalle abitudini culturali; 3) la definizione di una metodo-logia interpretativa più adeguata all’oggetto, in modo da colmare la distanza tra i due linguaggi verbale e visivo50. Inoltre, tenendo conto delle notizie ormai a disposizione degli studiosi ricavabili innanzitutto dall’autobiografia, poi anche dal-le interviste51, dai necrologi52 e soprattutto dal fondo di docu-menti personali depositato alla Cambridge University Library53, ho tracciato una biografia intellettuale dell’autore54. 49 BAXANDALL 2010a, p. 17. 50 Cfr. DE LUCA 2009, pp. 103-115; DE LUCA 2014, pp. 42-179. 51 Cfr. BAXANDALL 1994a e BAXANDALL 1996. 52 Cfr. ART HISTORIAN AND INTELLECTUAL 2008; ART HISTORIAN WHO ADDRESSED

2008; COLE 2008; GRIMES 2008; HIRSCH 2008; HONORARY FELLOWS 2008; LEDO 2008; MACLAY 2008; MCGRATH 2008; SAUMAREZ SMITH 2008; LOVELL-HOING 2009; POTTS 2009. 53 Il fondo, The Papers of Michael Baxandall, contiene documenti personali, fotografie e corrispondenza, appunti di lavoro relativi a lezioni, conferenze e pubblicazioni, mate-

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IL CONTRIBUTO DI MICHAEL BAXANDALL

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Nell’autobiografia lo studioso prende in considerazione i primi venticinque anni della sua vicenda umana: l’infanzia e l’ambiente familiare55, la formazione accademica con gli inse-gnamenti da lui considerati più significativi56, le esperienze di viaggio e le personalità che lo affascinarono57, le prime attività lavorative a Londra presso il Warburg Institute58 ed il Victoria and Albert Museum59. Ivi descrive anche il suo lento approdo allo studio della storia dell’arte, in considerazione della sua for-mazione principalmente letteraria e del suo primitivo interesse verso la scrittura di romanzi60. È interessante osservare come l’autore di Episodes ricostruisca gli avvenimenti, le atmosfere e le conoscenze giovanili indivi-duando, nel contempo, quei fattori attivi di ‘influenza’ che mag-giormente avrebbero contribuito alla costruzione della propria personalità di uomo e di studioso. In proposito egli ha utilizzato la suggestiva metafora delle dune di sabbia che si rivela estre-mamente funzionale a definire quel processo di lamination, cioè di stratificazione delle esperienze che danno sostanza al caratte-

riali manoscritti e dattiloscritti di vario genere (tra cui alcuni inediti) nonché un’ampia collezione delle recensioni alle opere dello studioso. Cfr. THE PAPERS OF MICHAEL

BAXANDALL. Catalogo on line < http://janus.lib.cam.ac.uk/db/node.xsp?id= EAD%2FGBR%2F0012%2FMS%20Add.9843 > (01.10.2014). 54 Cfr. DE LUCA 2014, pp. 20-41. 55 Sia suo padre David che suo nonno furono entrambi curatori di museo. 56 Baxandall frequentò il Downing College di Cambridge dove seguì le influenti le-zioni di lingua e letteratura inglese di Frank Raymond Leavis (cfr. LEAVIS 1954). In ambito storico-artistico modello fondamentale fu Ernst Gombrich (cfr. GOMBRICH 1960) anche se le limitazioni cronologiche del progetto autobiografico lasciano solo intuire tale influenza che sarà esplicitamente dichiarata in altri luoghi (cfr. BAXAN-DALL 1994a, p. 8; BAXANDALL 1996, p. 42; BAXANDALL 2003a, p. X [trad. it., p. 12]). 57 Studiò a Pavia, St. Gallen e Munich. Durante il soggiorno italiano scoprì l’affinità con Antonio Gramsci e il suo concetto di «intellettuale organico» (cfr. GRAMSCI 1975). 58 Baxandall fu part-time Assistant in the Photographic Collection of the Warburg Institute tra il 1958 e il 1959. 59 Assistant Keeper presso il Department of Architecture and Sculpture del Victoria and Albert Museum dal 1961 al 1965. 60 Questa ambizione giovanile fu coronata con la pubblicazione del romanzo A Grasp of Kaspar, uscito anch’esso postumo nel 2010 (cfr. BAXANDALL 2010b).

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re dell’uomo, anche qualora la forma esteriore subisca modifi-cazioni causate da fattori esterni e contingenti: A virtue of the sand dune as emblem is that it acknowledges the ac-tive presence of the past – in the lamination – while allowing the de-ferment of particular complexities of the idea of human memory61. Come sottolinea Lina Bolzoni nella sua recensione al volume, la minuziosa descrizione della cartolina che riproduce le dune di sabbia procura a Baxandall un modello cognitivo per raccontare la storia della sua vita che tiene conto del funzionamento della memoria. Le dune diventano un’immagine efficace di come si costruisce la me-moria: il vento agisce di continuo sui granelli di sabbia, per cui la su-perficie si muove e si trasforma, ma subito appena sotto, e in profon-dità, si creano e si solidificano i diversi strati, quelle lamine che i po-poli del deserto hanno nominato con grande precisione e ricchezza62. Nell’introduzione al medesimo volume, Carlo Ginzburg ha os-servato che si tratta di un vero e proprio esercizio di ekphrasis, un tema che lo stesso studioso definisce centrale nel lavoro di Baxandall a vari livelli: A question of self-identity. On the threshold of Episodes we find the beginning of an answer: a long, analytic, hypnotic description of sand dunes. The reader is asked (the chapter is ironically entitled “Rules of Engagement”) to compare a sand dune and its properties with a per-son – similarities and dissimilarities being equally significant. This ex-ercise belongs to ekphrasis, the ancient literary genre that involved the precise description of objects or places, either real or imaginary. Al-ready the close connection between Episodes and Baxandall’s oeuvre emerges – ekphrasis has been in many ways at the center of his schol-arly work63.

61 BAXANDALL 2010a, p. 21. 62 BOLZONI 2010, p. 46. 63 GINZBURG 2010, p. 8.

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Effettivamente, tra gli altri suoi meriti, a Baxandall viene rico-nosciuto quello di aver contribuito significativamente all’analisi dell’impiego dell’ekphrasis nel discorso storico-critico artistico, sia tramite l’analisi delle esperienze rinascimentali (Manuele Cri-solora, Guarino da Verona e allievi, Jacopo Sadoleto), sia nella riflessione metodologica moderna. In senso generale l’ekphrasis, l’esercizio retorico di descrizione che ha lo scopo di esporre agli uditori o ai lettori la forma, la qualità e le condizioni di un oggetto assente come se fosse pre-sente davanti agli occhi, costituisce il luogo specifico della con-tesa tra letteratura e arti figurative, tra dicibile e visibile. È pro-babilmente sotto quest’aspetto che se ne può cogliere l’urgenza nella riflessione baxandalliana in quanto, cioè, inerisce al princi-pale campo d’indagine dello studioso: il problema di commisu-rare parole e concetti con le peculiarità visive delle immagini che si esprimono mediante un differente sistema mediale. Vedremo in seguito che a partire da Giotto and the Orators: Hu-manist Observers of Painting in Italy and the Discovery of Pictorial Com-position 1350-1450 (1971)64, che analizzava la lingua dei primi cri-tici d’arte rinascimentali sulla base dei casi concreti dei loro scritti, lo studioso ha poi sempre meditato sui limiti del linguag-gio letterario nell’ambito specifico del discorso artistico. Con il fondamentale articolo The Language of Art History del 1979, ripubblicato in più occasioni con leggere modifiche e che è la base dell’introduzione di Patterns of Intention - On the Historical Explanation of Pictures (1985)65, Baxandall maturò la sua acuta ed articolata riflessione sulla natura del linguaggio impiegato per descrivere le opere d’arte. Una volta constatata la «basic absur-dity of verbalizing about pictures»66 egli teorizzò (e praticò) le potenzialità di un linguaggio «ostensivo», il quale, cioè, per quanto rimanga di tipo indiretto e obliquo, acquisti concretezza di riferimento dalla mutua relazione con un oggetto costante-mente presente.

64 BAXANDALL 1971. 65 BAXANDALL 1979; BAXANDALL 1980b; BAXANDALL 1991; BAXANDALL 1985a. 66 BAXANDALL 1979, p. 461.

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Il motivo principale per cui nell’antichità le opere d’arte furono raccontante a parole risiede nel fatto che esse non potevano es-sere riprodotte facilmente. È anche per tale necessità che la tra-dizione ecfrastica si protrasse a lungo ponendosi, in un certo senso, all’origine stessa del discorso sull’arte. Tuttavia, se la le-gittimità della parafrasi verbale fu per secoli fondata sull’assenza dell’oggetto, data la necessità di fornirne un equivalente concet-tuale, il procedimento ostensivo, invece, postula ineludibilmente un rovesciamento di impostazione, come ha giustamente osser-vato Francesco Peri: La legittimità della parafasi verbale si è fondata per secoli sull’assenza dell’oggetto, sulla necessità di fornire un surrogato, un’immagine mentale, un doppio virtuale dell’opera indisponibile: la descrizione aspirava a riprodurla al proprio interno, con gli strumenti dell’eloquenza, rendendo superflua – o quantomeno procrastinabile – l’ispezione diretta. Il procedimento «ostensivo», al contrario, rovescia su se stesso questo modello, che peraltro entra in crisi già intorno alla metà del Settecen-to: la descrizione non è più, per così dire, un processo in contumacia, ma esige la presenza dell’oggetto o di una sua riproduzione, non entra in concorrenza con la cosa, non la espunge per ricrearla a partire dalla propria sostanza, ma si limita a guidarne l’esame diretto, dirigendo l’attenzione del riguardante67. Si vedrà inoltre che, secondo Baxandall, nell’attuale epoca delle immagini con la loro multiforme riproducibilità, le ekphràseis, in-tese come riflessioni postume rispetto alla visione, si caratteriz-zano come una guida per lo sguardo e contengono l’indicazione di un percorso scandito da momenti di marcata attenzione. Nel 2003 in Words for Pictures - Seven Papers of Reinassence Art and Criti-cism, che è una raccolta di saggi in parte già pubblicati68, Baxan-dall tornò ancora sulla questione del linguaggio, ma con la nuo-

67 PERI 2009, pp. 200-201. 68 Cfr. BAXANDALL 1963, BAXANDALL 1973, BAXANDALL 1982, BAXANDALL 1990; BAXANDALL 1992; BAXANDALL 2003a, pp. 27-97 (trad. it., pp. 43-116).

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va consapevolezza che emerge soprattutto dai testi inediti69. Af-frontando le nozioni ottiche, che egli aveva approfondito so-prattutto negli anni Novanta, e constatando che anche la visio-ne procede secondo una sequenza temporale, Baxandall spostò il problema su un altro livello, quello dei meccanismi della per-cezione e dell’attenzione. La polarità tra visione e scrittura viene qui recuperata nel riconoscimento delle enforced discriminations (distinzioni obbligate) implicite nei due differenti media espressi-vi, mentre nell’analisi critica confluisce la riflessione sui condi-zionamenti derivanti da tutti i sistemi di linguaggio connessi a una data opera: fonte testuale, tradizione esegetica, tradizione iconografica ed anche tradizione storiografica. A giudizio dell’autore, nel valutare un’opera lo storico dell’arte dovrebbe essere sempre pienamente consapevole di tutti questi sistemi di condizionamento. Nella postfazione all’edizione italiana di Parole per le immagini, in-titolata Linguaggio che mostra linguaggio che nasconde. La critica d’arte di Michael Baxandall70, Peri osserva efficacemente che: Come pochi altri studiosi della sua generazione Baxandall ha avuto sentore della “condizione linguistica” del proprio mestiere, dell’imponderabile intervallo buio che separa il visibile dal dicibile71. Allan Langdale, dal canto suo, ha rilevato che se il grande con-tributo di Gombrich all’analisi dello stile risiede nell’impiego delle teorie della psicologia e della percezione, quello di Baxan-dall va invece riconosciuto nelle sue esplorazioni sulla funzione determinante del linguaggio in rapporto al modo in cui si vede la realtà72. La sensibilità baxandalliana verso il fenomeno linguistico si iscrive nella generale tendenza della «svolta linguistica» che, se-condo molti, avrebbe contrassegnato la filosofia del XX secolo

69 Cfr. BAXANDALL 2003a, pp. 1-26; pp. 98-164 (trad. it., pp. 17-42; pp. 117-192). 70 PERI 2009, pp. 195-204. 71 Ivi, p. 199. 72 Cfr. LANGDALE 1995.

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e che complessivamente farebbe del linguaggio l’orizzonte im-prescindibile di ogni esperienza conoscitiva o esistenziale dell’uomo73. D’altra parte alle pioneristiche analisi di Baxandall sul proprium delle immagini e sull’incommensurabilità dei linguaggi sono in gran parte debitrici le ulteriori riflessioni dei Visual Culture Stu-dies74 e dei recenti orientamenti filosofici denominati pictorial turn da Thomas J. Mitchell75 e iconic turn da Gottfried Bohem76. Questi ultimi hanno teorizzato l’esigenza, propria della nostra epoca, di riconoscere le qualità visuali dell’immagine e di asse-gnare ad esse una ‘logica’ (di natura ontologica e gnoseologica) che è diversa e autonoma rispetto all’ambito linguistico-verbale. Recentemente in La scrittura delle immagini - Letteratura e cultura visuale, Michele Cometa ha collocato le riflessioni di Baxandall inerenti i rapporti tra letteratura (testo/parola) e arti figurative (immagini) tra i contributi più stimolanti nel recente dibattito sull’ekphrasis, in particolare nell’ambito della più ampia interro-gazione diffusasi in area anglosassone sulla rappresentazione77. Nell’antichità l’ekphrasis fu definita guardando all’efficacia dei suoi effetti come «un discorso descrittivo che pone l’oggetto sotto gli occhi con vivida chiarezza»78. La composizione delle ekphràseis antiche divenne uno dei più avanzati esercizi per l’acquisizione delle abilità retoriche e fu intesa come uno stile di descrizione avente lo scopo, per così dire, di far vedere attraver-so la parola. In questo senso, una delle principali caratteristiche

73 Cfr. WRIGHT 2006, p. 33: «On the matter of the actual object of art criticism, it is helpful to bring up the so-called “linguistic turn” in philosophy. It is argued that, from our limied perspective, we cannot know the world as it really is, independently of our sensory experience of it. Experiences must be formulated verbally, in clear and well-constructed statements. Baxandall has indicated that his explanations are con-cerned with human experiences of the art object formulated in words, as distinct from the thing in itself». 74 Cfr. WALKER 1998; STURKEN-ARTWRIGHT 2001; JAY 2002; SMITH 2008. 75 Cfr. MITCHELL 2008. 76 Cfr. BOHEM 2009. 77 Cfr. COMETA 2012.

78 Attribuita a Ermogene di Tarso, Progymnasmata, 10 (ed. H. Rabe, p. 22).

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dell’ekphrasis sarebbe, dunque, l’enàrgheia, intesa come forza della rappresentazione visiva79. Ruth Webb nei suoi studi sulla differenza sostanziale tra ekphra-sis antica e moderna80 ha sostenuto che proprio l’effetto della vividezza, cioè l’«effetto nella mente dello spettatore che mima l’atto del vedere», sarebbe ciò che principalmente caratterizzava l’ekphrasis classica, essendo essa rivolta ad un ascoltatore-spettatore più che ad un lettore. D’altra parte l’enàrgheia, in quanto effetto sullo spettatore, caratterizza anche il discorso ec-frastico moderno, quello che con Umberto Eco possiamo chiamare «patto ecfrastico»81. Entro tale prospettiva l’energia risulta una categoria ben presente nella scrittura di Baxandall, specie quando egli analizza gli affreschi di Tiepolo82 o di Piero della Francesca83. L’ekphrasis temporalizza la ricezione, descrive gli effetti emozio-nali e psicologici, fa rivivere al destinatario un’esperienza percet-tiva ed è una sorta di immedesimazione nell’atto del guardare84. Ecco perché nel Novecento, dalle moderne teorie letterarie e dagli studi di cultura visuale, la descrizione ecfrastica delle im-magini è stata riproposta come una problematica centrale. 79 Per l’etimologia del termine e la sua traduzione in latino cfr. BOYLE 1997, pp. 6-7: «The mental visualizations of enargeia resulted from phantasiai or visiones. The term was almost synonymous in later classicism with ekphrasis; while Latin translations were demonstratio, evidentia, illustratio, repraesentatio, and sub oculossubiecto. The common equiva-lents, evidentia and illustratio, were often synonymous among rhetoricians. Yet illustra-tion was the most exact rendering, since enargeia means a “bringing into light”. To bring things into the light is also to bring things into a field of visual perception». Cfr. anche ZANKER 1981. 80 Cfr. WEBB 1999, pp. 7-18; WEBB 2009 . 81 Cfr. ECO 2002. 82 Cfr. ALPERS-BAXANDALL 1994, pp. 165 (trad. it., pp. 169-170). Cfr. anche ROSSI

1998, p. 141 e AURENHAMMER 1996, pp. 106-116. 83 Cfr. BAXANDALL 2003a, pp. 130, 144, 152, 161 (trad. it., pp. 154, 170, 179, 190). 84 Cfr. COMETA 2012, p. 90. In proposito Webb, che tra gli altri cita anche Baxandall, ha annotato che la teoria dell’enàrgheia offre un modo per evitare i problemi impliciti in una rappresentazione della realtà esterna attraverso il medium del linguaggio: non è la realtà in sé ma l’impatto della percezione di questa realtà a essere rappresentato. E, sebbene il linguaggio sia in sé un medium non iconico, la sua produzione e ricezione attiva immagini conservate nella mente del parlante o dell’ascoltatore. Cfr. WEBB 2009, p. 128.

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D’altra parte il genere ecfrastico rimane irrinunciabile per la sto-ria dell’arte, ogni forma della quale, in fin dei conti, se ne serve. Nell’arco della sua produzione Baxandall ne ha fatto costante ricorso sia adoperandola occasionalmente che riflettendo sulla fenomenologia del suo impiego. 2. Giotto and the Orators: relativismo linguistico e descrizioni rinascimen-tali di opere d’arte In Giotto and the Orators (1971)85 Baxandall investiga la critica dell’arte umanistica come caso linguistico. Il punto di partenza è l’analisi delle potenzialità del latino rinascimentale, e più in ge-nerale del linguaggio, per comunicare un’esperienza artistica. Nella sua interessante recensione al volume, Marco Collareta annota: [Baxandall] parte dal ragionevole presupposto che, non essendo gli umanisti degli studiosi d’arte di professione, le loro categorie vadano ricostruite all’interno dei loro interessi primari. Ora, questi interessi variano dalla grammatica alla poesia, dalla retorica alla teoria politica, ma trovano un loro saldo denominatore comune nell’uso di un latino modellato sui classici. È questa lingua artificiale che costituisce il filtro attraverso cui gli umanisti leggono la realtà. Posti di fronte a un’opera d’arte, essi tendono di fatto a registrare quello che il loro lessico, la loro sintassi, i loro topoi letterari lasciano passare86. Il nostro autore, dunque, muovendo dall’analisi strutturale della lingua degli umanisti, ha mostrato come la stessa organizzazione formale del latino, e più ancora la riflessione dei medesimi auto-ri umanisti su tale organizzazione, abbiano avuto forza determi-nante per configurare il loro gusto e le loro categorie critiche riferite all’arte. I giudizi di valore che si applicano ai soggetti ar-tistici sono veicolati dai concetti e questi, a loro volta, dai ter-mini capaci di esprimerli. Ciò comporta che per riflettere su 85 BAXANDALL 1971, pp. 78-96 (trad. it., pp. 120-139). 86 COLLARETA 1994, p. 30.

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un’opera d’arte occorre possedere dei concetti da esprimere mediante parole. In tal modo Baxandall poté osservare in che misura la riconquista del latino da parte degli umanisti, con le categorie logiche proprie di questa lingua, influenzò in maniera determinante il modo degli umanisti di parlare, e dunque di pensare, riguardo all’arte. Nel latino neo-classico e neo-ciceroniano preferito da questi au-tori le pressioni formali risultano particolarmente significative. Rispetto alle lingue neoromanze, osserva Baxandall, il linguag-gio classico appare al suo interno grammaticalmente maggior-mente differenziato e inoltre possiede opportunità lessicali più precise e costrutti sintattici più elaborati. A livello di vocabolario, per esempio, gli umanisti potevano op-tare tra differenziate gamme sinonimiche (albus / candidus), sfu-mature di significato (decus / decor), evoluzioni di significato (ars / ingenium), metafore intersensoriali (translucida / versicolor)87. Sul piano sintattico della costruzione delle frasi, con alcune ec-cezioni come Guarino da Verona, prevaleva un periodare com-plesso di tipo paratattico, largamente basato sulla corrisponden-za delle parti, generalmente simmetriche ed opposte88. Nello stile o forma retorica, predominava l’uso del paragone con una propensione per la comparazione e l’interscambio di senso metaforico fra la terminologia della critica letteraria e quella della critica artistica89. Le strutture stilistiche, logico-sintattiche, grammaticali e lessicali del latino, rispetto al volgare, offrivano agli autori umanisti di-verse e più ampie possibilità di scelta espressiva. Dall’osservazione del comportamento linguistico dei latinisti ri-nascimentali, Baxandall allarga quindi il discorso alle possibilità e ai limiti di ogni linguaggio generalmente inteso, quale conven-zionale semplificazione e compromesso tra la complessità del reale e la possibilità di esprimerlo:

87 Cfr. BAXANDALL 1971, pp. 8-20 (trad. it., pp. 31-43). 88 Cfr. ivi, pp. 20-31 (pp. 44-56). 89 Cfr. ivi, pp. 31-44 (pp. 56-70).

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Any language, not only humanist Latin, is a conspiracy against experi-ence in the sense of being a collective attempt to simplify and arrange experience into manageable parcels. The language has a limited num-ber of categories, grouping phenomena in its own way, and a very limited number of conventions for setting these categories in relation to each other. [...] In our normal speech we struggle to compromise between the complexity and variety of experience on the one hand, and the relatively limited, regular, and simple system of our language on the other. Because a degree of regularity and simplicity is neces-sary if we are to be understood, and because also the language itself has been deeply involved in our acquiring ways of discriminating at all, the system of the language is always pressing us to conform with it90. Se ciò risulta comprovato per il linguaggio in generale, lo è an-che, e forse maggiormente, per lo specifico linguaggio della cri-tica d’arte che è largamente di tipo retorico, epidittico e indiret-to: Art criticism, making remarks about paintings, is usually epideictic rhetoric: that is, it discusses art in terms of value, praise or dispraise, and demonstrates the speaker’s skill. [...] Further, there are in any case not many terms specific or proper to the interest of paintings, and above the level of “big”, “smooth”, “yellow”, “square” our discourse must quickly become oblique. [...] At any time very little is said about paintings in direct descriptive terms. It is a sort of linguistic activity specially exposed to pressure from the forms of the language in which the remarks are made91. In questo impegno originario, nel quale riconosce il generale ruolo costitutivo del linguaggio nella cultura visuale, Baxandall si è rifatto agli studi del relativismo linguistico e in particolare al concetto di enforced discrimination di Benjamin Lee Whorf92 come

90 BAXANDALL 1971, p. 44 (trad. it., p. 70). 91 Ivi, pp. 45-46 (p. 71). 92 WHORF 1956.

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ha opportunamente constatato Langdale93 e come lo stesso au-tore ha, in parte, esplicitamente dichiarato94. Secondo la Linguistic Relativity, una lingua modella e struttura l’esperienza totale dell’uomo, la sua percezione, i suoi modi di pensare, la sua visione del mondo, la sua stessa organizzazione culturale. Di qui la cosiddetta ipotesi di Sapir-Whorf che suppo-se l’esistenza di relazioni sistematiche tra le categorie grammati-cali della lingua parlata da un individuo e il modo in cui costui sarebbe in grado di cogliere il mondo che lo circonda, di capirlo e di comportarsi al suo interno. To exercise a language regularly on some area of activity or experi-ence, however odd one’s motives may be, overlays the field after a time with a certain structure; the structure is that implied by the cate-gories, the lexical and grammatical components of the language. For what we can and do conveniently name is more available to us than what we cannot. [...] It is intuitively obvious enough that learning a label for any class of phenomenon directs our attention to the quality by which the class is delimited. Any name becomes a selective sharp-ener of attention. Quite how far this will be important for the way someone attends to a painting will depend on his purpose and inter-est both in using the words and in seeing the pictures95. Se è vero che tutto ciò che può essere espresso in una lingua può esserlo anche in un’altra, è anche vero, però, che esistono differenze relative a: ciò che i parlanti tendono a dire e scelgono di dire, ciò che le lingue permettono ai loro parlanti di dire age-volmente, ciò che le lingue obbligano i loro parlanti a dire. Sif-fatta argomentazione ha interessato buona parte della riflessione 93 Dapprima nella tesi Art History and Intellectual History (LANGDALE 1995), poi nell’articolo Linguistic Theories and Intellectual History in Michael Baxandall’s Giotto and the Orators (LANGDALE 1998). 94 Nell’intervista del 1994 Baxandall confermava di aver letto le opere di Benjamin Lee Whorf ma di non aver aderito in toto al relativismo linguistico perché, a suo giu-dizio, le riflessioni di Whorf sarebbero andate troppo oltre. Secondo Baxandall, infat-ti, avere una parola per indicare una cosa facilita il pensare a tale cosa, ma non è ne-cessario, come intendeva Whorf, avere una parola riguardante una data cosa per pen-sarla. Cfr. BAXANDALL 1994a, p. 3. 95 BAXANDALL 1971, pp. 47-48 (trad. it., pp. 73-74).

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di Baxandall. Egli riteneva che una lingua può offrire delle con-trapposizioni, e quindi obbligare a scegliere un’opzione specifica entro una classe di concetti simili ma differenziati, che altre lin-gue non posseggono. Ciascun linguaggio (anche non verbale) divide le esperienze in un certo modo che solo chi lo usa è in grado si distinguere. All languages are, from one point of view, systems for classifying ex-perience: their words divide up our experience into categories. Each language makes this division in a different way, and the categories embodied in the vocabulary of one language cannot always be trans-ferred simply into the vocabulary of another language96. Nella prefazione di Giotto and the Orators Baxandall aveva dichia-rato di voler identificare nella grammatica e nella retorica una «linguistic component in visual taste»97: The grammar and rhetoric of a language may substantially affect our manner of describing and, then, of attending to pictures and some other visual experiences98. Passando ad analizzare le tipologie di critica del primo Rinasci-mento, dunque, l’autore ha presentato una antologia di scritti, tra cui quelli ecfrastici di Manuele Crisolora, di Guarino da Ve-rona e di Tito Vespasiano Strozzi99. I temi delle descrizioni nella letteratura antica solevano riguar-dare persone, azioni, tempi, luoghi, stagioni e molte altre cose, tuttavia uno dei soggetti preferiti delle ekfràseis retoriche classi-che furono, come è noto, le opere d’arte, come già per le Imagi-nes di Filostrato. Analoga attitudine venne mantenuta anche nel-la cultura bizantina, per il cui tramite il genere retorico

96 Ivi, p. 8 (p. 31). 97 Ivi, p. VII (p. 19). 98 Ibidem. 99 Cfr. ivi, pp. 78-96 (pp. 120-139).

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dell’esercizio ecfrastico penetrò in Occidente durante il Rina-scimento100. Guarino da Verona101 era stato allievo di Manuele Crisolora, un umanista e diplomatico bizantino che, tornato in Italia da Bi-sanzio verso il 1395, divenne insegnante di greco e redasse la celebre grammatica Erometata, che fu il manuale più usato nell’Europa occidentale. La sua attitudine letteraria verso la pit-tura e la scultura, secondo Baxandall, avrebbe contribuito a formare in maniera importante il repertorio storiografico uma-nistico, soprattutto con le nozioni di verosimiglianza, varietà ed in-tensità di espressività emotiva. Ciò spiegherebbe perché fu attorno a Pisanello (fig. 1) che ben presto andò concentrandosi la principale attività ecfrastica di Guarino e dei suoi discepoli. I loro commenti incorporarono i motivi caratteristici delle ekphràseis bizantine sulla pittura, com-presa l’insistenza sulla verosimiglianza fisionomica delle figure e sulla ricca diversificazione dei vari elementi dell’immagine. Non si tratta propriamente di componimenti in forma ecfrastica poi-ché essi non descrissero tanto una determinata opera d’arte, quanto piuttosto le qualità distintive della produzione del pitto-re in generale e la loro varietà. L’ammirazione di Guarino e seguaci per Pisanello mostrerebbe come soprattutto questo artista tardogotico, ma anche Gentile da Fabriano e i fiamminghi, abbiano maggiormente corrisposto al gusto degli intenditori e scrittori di arte rinascimentali, a diffe-renza della concezione odierna di arte umanistica che è invece allineata sulla tradizione di Giotto e Masaccio102.

100 Cfr. WEBB 2001. 101 Cfr. LIPANI 2009, pp. 225-256. 102 Questa puntualizzazione fu recepita come centrale dai lettori di Giotto and the Ora-tors, come Baxandall ha notato nella Prefazione all’edizione italiana del libro, p. 16: «Tuttavia, non pensavo di stare fissando come punto fondamentale quello che invece la maggioranza dei lettori ha considerato tale (e il lettore ha sempre ragione): ciò che si è recepito come problema principale del libro è che i primi umanisti non predilige-vano necessariamente quel tipo di pittura che noi ora chiamiamo, in modo più libero, “umanistica”, nel senso della mutata visione massaccesca dell’uomo in senso monu-mentale. No: a loro piaceva Gentile da Fabriano, e soprattutto Pisanello».

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Baxandall aveva trattato di questi argomenti già in uno dei pri-missimi articoli intitolato Guarino, Pisanello and Manuel Chrysoloras (1965)103. Qui faceva anche riferimento ad un significativo con-tributo del 1960 di Svetlana Alpers sulle ekphràseis di Vasari104. Secondo Baxandall, diversamente da Vasari che nel Cinquecen-to disponeva già di alcune categorie critiche ed anche di un’immediata esperienza delle opere d’arte, come aveva rilevato Alpers, per Guarino l’ekphrasis avrebbe in pratica rappresentato l’unica risorsa critica disponibile, in uno stretto legame con la tradizione retorica classica105. Di conseguenza il suo gusto este-tico sarebbe stato significativamente influenzato dalle categorie linguistiche di cui disponeva. Alquanto diverso, invece, a parere di Baxandall, sarebbe il caso di Leon Battista Alberti grande umanista ed artista egli stesso106. 3. The Language of Art History: il linguaggio ostensivo della critica di Baxandall Come ho anticipato, le riflessioni sul linguaggio proposte da Baxandall, dapprima nell’articolo The Language of Art History107 e successivamente nella densa introduzione a Patterns of Intention intitolata Language and Explanation108, sono acute e di nodale im-portanza. Egli parte dalla constatazione che la natura della pittu-ra è di per sé ineffabile. Lo storico dell’arte, pertanto, dovendo parlare di ciò che è ineffabile, s’imbatte in un vero e proprio pa-radosso. È innegabile la difficoltà di recuperare termini chiari o univoci che indichino, senza ambiguità, ognuna delle possibilità visuali scelte o respinte dall’artista.

103 BAXANDALL 1965. 104 Cfr. ALPERS 1960. 105 Cfr. BAXANDALL 1965, p. 192. 106 Cfr. BAXANDALL 1971, pp. 121-139 (trad. it., pp. 163-184). 107 Cfr. BAXANDALL 1979; BAXANDALL 1980b; BAXANDALL 1991. 108 BAXANDALL 1985a, pp. 1-11 (trad. it., pp. 10-26).

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La descrizione di una qualunque opera d’arte, scrive, «would not enable us to reproduce the picture»109. Inoltre «colour se-quences, spatial relations, proportions, often left and right, and other things are lacking»110. Smembrando uno dei consueti elenchi riassuntivi che Baxandall adotta per ricapitolare le sue argomentazioni possiamo facil-mente individuare i tre passaggi fondamentali del suo discorso. (1) Firstly, the nature of language or serial conceptualization means that the description is less a representation of the picture, or even a representation of seeing the picture, than a representation of thinking about having seen the picture. To put it in another way, we address a relationship between picture and concepts111. Il punto di partenza è che la critica d’arte, nella lettura dell’oggetto, procede necessariamente attraverso un linguaggio fatto di parole, di termini e concetti, che chiaramente non è il ‘linguaggio’ dell’opera. In ciò Baxandall aderisce a quel versante storiografico, in qualche modo di matrice leonardesca, che rico-nosce l’autorità dell’ordine pittorico, cioè la non riproducibilità, attraverso il linguaggio verbale, del medium visivo che è il lin-guaggio del pittore. We do not explain pictures: we explain remarks about pictures – or rather, we explain pictures only in so far as we have considered them under some verbal description or specification112. Oggetto della descrizione non è l’immagine in sé, quanto piut-tosto la mutua relazione che si instaura tra l’immagine e i con-cetti, tra l’immagine e le parole che essa innesca con l’atto di es-sere osservata113.

109 Ivi, p. 3 (p. 12). 110 Ibidem. 111 Ivi, p. 11 (pp. 24-25). 112 Ivi, p. 1 (p. 10). 113 Cfr. ivi, pp. 4-5 (pp. 14-16 ).

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(2) Secondly, many of the more powerful terms in the description will be a little indirect, in that they refer first not to the physical picture itself but to the effect the picture has on us, or to other things that would have a comparable effect on us, or to inferred causes of an ob-ject that would have such an effect on us as the picture does [...]114. I termini impiegabili per riprodurre non l’oggetto, ma gli effetti che esso produce, sono, dunque, necessariamente di tipo indi-retto, anche perché mediano tra l’immagine e la rappresentazio-ne dei concetti che essa suscita. Riguardo ai termini adoperabili dalla critica d’arte Baxandall propose una classificazione, con l’avvertenza che alcuni potreb-bero contemporaneamente appartenere a più classi. Secondo l’articolo del 1979 tale tipizzazione lessicale prevede parole: 1. comparative or metaphorical, che sembrano puntare a un tipo di interesse visuale introducendo comparazioni (parole come rhy-thmic, striplike). 1.bis. Tra queste un gruppo di termini si riferisce a opere d’arte figurative come se le cose o persone rappresentate siano attuali (figures agitated, calm, spirited). 2. causal or inferential, che caratterizzano un’opera d’arte con rife-rimento all’azione o all’agente che le ha prodotte (sensitive, skil-led). 3. subject or ego words, che contrassegnano un’opera d’arte descri-vendo la sua azione sull’osservatore o la reazione di questi ad essa (disturbing, unpleasant)115. Come ha spiegato Paul Tucker, in una perspicace analisi del saggio116, la natura dell’opera d’arte come artefatto, dal punto di vista di Baxandall, implicherebbe che il commento miri ad avvi-cinare tale aspetto di prodotto dell’uomo (comprendente in sé cause intrinseche) ai fenomeni estrinseci ad esso relazionati. In

114 Ivi, p. 11 (pp. 24-25). 115 BAXANDALL 1979, p. 457. 116 Cfr. TUCKER 2007.

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massima parte si tratterebbe dei fattori che ne hanno guidato la creazione o esistenza come opera d’arte: l’artista, il fruitore, quello che Baxandall riconduce alla nozione di similia (cioè le entità alle quali le opere sono comparate esplicitamente o trami-te metafore) e l’argomento della rappresentazione. Ciascun fe-nomeno (o set di fenomeni) considerabile dalla critica d’arte vie-ne associato ad uno dei quattro modi del linguaggio descritti prima. La triade di tipi lessicali è stata proposta da Baxandall at-traverso un diagramma (fig. 2) nel quale le quattro classi sono state organizzate intorno all’oggetto artistico: 1. similia, cioè le metafore, 2. l’artefice, 3. il fruitore e 1.bis, la materia di rappre-sentazione. Le relazioni indicate dal diagramma rappresentano il campo referenziale all’interno del quale Baxandall situa l’atto della critica. In Patterns of Intention, le tre categorie lessicali, pur mantenendo il loro senso distintivo, verranno così rinominate: 1. Comparison words, 2. Cause words, 3. Effect words, mentre il sottogruppo 1.bis. (Matter of representation) è scomparso117 (fig. 3). La maggior parte delle argomentazioni che si possano pensare e, quindi, dire su un’immagine – attraverso la scelta dei tre tipi di parole – si pone in un rapporto vagamente periferico rispetto all’immagine stessa la quale, implicitamente fa pensare al suo processo di realizzazione da parte di un pittore e alla sua rice-zione da parte di un osservatore. We have to use concepts of these indirect or peripheral kinds. [...] And the three principal indirect moods of our language – speaking directly of the effect on us, making comparisons with things whose effect on us is of a similar quality, making inferences about the pro-cess which would produce an object having such an effect on us – seem to correspond to three modes of thinking about a picture, which we treat as something more than a physical object. Implicitly

117 È possibile cogliere l’evoluzione del pensiero di Baxandall sulla «classification of the types of indirect art-critical words» osservando la successione delle diverse elabo-razioni del medesimo schema, prima di essere pubblicato in Patterns of Intention con-servate nel fondo della Cambridge University Library. Cfr. THE PAPERS OF MICHAEL BAXANDALL, MS Add. 9843/7/2/2.

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we treat it as something with a history of making by a painter and a reality of reception by beholders118. (3) Thirdly, the description has only the most general independent meaning and depends for such precision as it has on the presence of the picture. It works demonstratively – we are pointing to interest – and ostensively, taking its meaning from reciprocal reference, a sharpening to-and-fro, between itself and the particular119. Il lessico utilizzato dalla critica o dalla storia dell’arte – perché per lui i due termini sono equivalenti120 – non può che essere quantitativamente limitato e qualitativamente di tipo dimostrati-vo, non descrittivo, poiché presuppone un riferimento visivo che non può essere eluso. L’oggetto si rende disponibile nella sua realtà concreta, per il mezzo di una riproduzione (fotogra-fia, proiezione, stampa), oppure nella memoria o, ancora, come effetto derivato da una associazione cognitiva. The words and concepts one may wish to handle as a mediating “de-scription” of the picture are not in any normal sense descriptive. What is determining for them is that, in art criticism or art history, the object is present or available – really, or in reproduction, or in memory, or (more remotely) as a rough visualization derived from knowledge of other objects of the same class121. Secondo Baxandall, quindi, lo storico dell’arte userebbe alcuni termini presumendo che il suo ascoltatore li interpreti in modo

118 BAXANDALL 1985a, pp. 6-7 (trad. it., pp. 17-18). 119 Ivi, p. 11 (pp. 24-25). 120 Tradizionalmente si ammette una distinzione disciplinare tra la ‘storia dell’arte’ (che procura il vocabolario, la terminologia e l’apparato teoretico necessario per una investigazione e spiegazione delle opere d’arte) e la ‘critica d’arte’ (che è descrizione, interpretazione e valutazione delle opere d’arte). Cfr. ad esempio KLEINBAUER 1982, pp. 7-14). Poiché, secondo Baxandall, anche una storia dell’arte procura inevitabil-mente giudizi di valore, per quanto di tipo implicito, la diversificazione disciplinare sarebbe puramente convenzionale. Egli utilizzò Art History e Art Criticism sostanzi-almente come sinonimi: «art history – a term I use interchangeably with art criticism» (BAXANDALL 1979, p. 455). Si veda anche BAXANDALL 1994a, p. 13. 121 BAXANDALL 1985a, p. 8 (trad. it., p. 20).

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sofisticato e specializzato, per esempio ricorrendo alla compa-razione mentale con altre opere d’arte e all’esperienza di un pre-cedente uso di tali termini nella critica d’arte. Il lettore di critica d’arte diverrebbe perciò, in qualche modo, anche un fruitore dell’arte in oggetto. Tucker ha sostenuto che l’esistenza di un pubblico con un ac-cesso indipendente all’opera (che sarebbe il focus dell’attenzione e delle parole del critico), sarebbe il presupposto fondamentale della definizione di Baxandall sulla natura mediatica della ‘de-scrizione’ critico-artistica122. Quando si formula una descrizione su un’opera d’arte, si recla-ma la sua presenza davanti agli occhi di chi parla e di chi ascolta e si innesca in tal modo un processo bidirezionale, di mutuo ar-ricchimento, tra i concetti espressi e l’oggetto artistico, che Ba-xandall spiega col termine ottico sharpen. Concepts and object reciprocally sharpen each other. [...] This is the nature of the critical act we are concerned with: the concept sharpens perception of the object, and the object sharpens the reference of the word123. Il linguaggio ostensivo della critica inferenziale acquista maggio-re precisione quanto più aderisce all’opera d’arte attraverso la mutua relazione che con essa innesca. Il discorso storico-artistico concepito da Baxandall richiede, quindi, un ineludibile riferimento visivo. Description is made up of words, generalizing instruments, that are not only often indirect – inferring causes, characterizing effects, mak-ing various kinds of comparison – but take on the meaning we shall actually use only in their reciprocal relation with the picture itself, a particular. And behind this lies a will to remark on an interest in the picture124.

122 Cfr. TUCKER 2007. 123 BAXANDALL 1985a, pp. 34- 35 (trad. it., p. 55). 124 Ivi, p. 10 (p. 23).

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Come abbiamo anticipato, Michele Cometa ha posto bene in risalto la portata delle riflessioni di Baxandall in questi due scrit-ti. Egli scrive: È merito di Michael Baxandall, prima in un seminale articolo intitola-to Il linguaggio della storia dell’arte (1979) e poi nel fondamentale studio Forme dell’intenzione (1985), aver attirato l’attenzione sulle profonde trasformazioni che la riproducibilità tecnica ha comportato per la scrittura ecfrastica. In poche ma essenziali battute Baxandall125 schiz-za l’evoluzione che va dalla disponibilità delle incisioni (si pensi al Lessing che del Lacoonte conosce solo riproduzioni!) all’uso delle dia-positive in bianco e nero di Heinrich Wölfflin che trasforma ogni atto ecfrastico in una descrizione “ostensiva”, condotta in presenza del quadro più o meno fedelmente riprodotto. Ben diverse erano le de-scrizioni di Vasari che muovevano dall’implicita e ineludibile totale assenza dell’immagine nella testa (e negli occhi) dei lettori126. Cometa ha inoltre osservato quanto Baxandall abbia insistito – certo in riferimento soprattutto alla spiegazione storica di un quadro – sul complesso processo di filtro che gli schemi mentali dell’osservatore giocano sull’interpretazione, e sull’enorme dif-ferenza che vi è tra una spiegazione al cospetto del quadro (ef-fettivamente presente sotto gli occhi o riprodotto attraverso al-tri media) e un’interazione che faccia appello alla memoria o ad-dirittura ne tematizzi l’inadeguatezza127. Non va per altro dimenticato che l’assenza delle immagini era stata il presupposto di tanta critica d’arte e che questo aveva implicato, come ricorda Baxandall, che le ekphràseis si basassero sulla memoria più che sulla percezione128. Precisamente l’assenza delle immagini aveva implicato che i segmenti ecfrastici fossero basati sulla memoria, piuttosto che sulla percezione. Le migliori ekphràseis, tuttavia, come l’analisi di 125 Cfr. BAXANDALL 1985a, p. 8 (trad. it., pp. 20-21). 126 COMETA 2012, p. 71. 127 Cfr. BAXANDALL 1985a, pp. 10-11 (trad. it., p. 24); COMETA 2012, pp. 121-123. 128 COMETA 2012, p. 77.

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Baxandall evidenzierà, contengono nondimeno la sequenza di un identificabile percorso visivo. Alcune ulteriori riflessioni dello studioso, in effetti, riguarde-ranno la questione dell’antitesi tra la simultaneità di percezione dell’opera d’arte contro la temporalità di successione della scrit-tura. Nel paragrafo The Problem of Linearity: Words about Words and Words about Shapes del su menzionato articolo129, Baxandall ribadisce che la critica letteraria consta di parole riguardanti le parole, mentre la critica d’arte consta di parole riguardanti le forme. Un brano di critica letteraria, cioè, essendo linguaggio ha la stes-sa forma lineare del suo oggetto: un brano di letteratura. Il criti-co letterario può lavorare in parallelo con il suo testo. In tal modo il testo e la ricezione di esso hanno una robusta progres-sione sintagmatica. Una pittura, invece, o la percezione di essa, non possiede tale progressione interna per poter essere accosta-ta alla sequenza del linguaggio che ad essa viene applicata. Un’estesa descrizione di una pittura è ‘obbligata’ dalla struttura del linguaggio usato, fino al punto che esso potrebbe essere considerato come una violazione del modo di percepirla. Ciò anzitutto perché gli individui non vedono in maniera lineare. Anche se essi percepiscono una pittura mediante una sequenza di scansioni, più o meno dal primo sguardo essi si formano un’impressione generale dell’insieme. Ciò che segue è la visione dei dettagli, l’annotazione delle relazioni, la percezione dell’ordine, e così via. La sequenza della scansione è, sì, influenzata dal generale modo di vedere e dalle peculiarità della pittura, tuttavia non è compa-rabile con la regolarità e il controllo di un brano di linguaggio. Cosicché, mentre la lettura di un testo è progressiva, la perce-zione di una pittura si basa su una rapida, irregolare, simultanea occhiata su e intorno ad un campo visuale130. Il linguaggio, proprio a motivo della sua temporalità lineare, dunque, non si coniuga con l’esperienza percepita di uno spazio

129 Cfr. BAXANDALL 1979, pp. 459-460. 130 Cfr. ivi, p. 460.

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che si offre totalmente alla visione simultanea, nonostante l’atto di guardare il quadro possa svolgersi con una certa temporalità lineare, o successione di sequenze oculari. Anche perché per vedere noi usiamo la mente e la mente usa concetti. When addressing a picture we get a first general sense of a whole very quickly, but this is imprecise; and, since vision is clearest and sharpest on the foveal axis of vision, we move eye over the picture, scanning it with a succession of rapid fixations. [...] Obviously the optical act of scanning is not all there is to looking: we use our minds and our minds use concepts131. Ciononostante Baxandall ha fatto notare che secoli di critica d’arte dimostrerebbero come i migliori critici d’arte, Vasari e Boudelaire tra quelli di maggior valore, abbiano sviluppato un loro modo di aggirare il paradosso di scrivere riguardo ai feno-meni visivi attraverso differenti sistemi, ma principalmente con un atteggiamento positivamente ostensivo e obliquo. Secondo l’autore, per le possibilità della critica d’arte, le parole di tipo inferenziale, che cioè deducono le cause delle opere d’arte, rappresentano il principale veicolo di precisione dimo-strativa. Di qui sostanzialmente nasce la sua proposta metodo-logica a favore di una critica inferenziale. What we say in the course of inferential criticism takes its meaning and precision from the reciprocal relation between the words we of-fer and the present work of art132. Volutamente e, probabilmente, provocatoriamente, Baxandall evitò nei suoi scritti di impiegare termini appartenuti al tradizio-nale linguaggio della storia dell’arte e si ingegnò nella sperimen-tazione di un ‘nuovo’ lessico aperto con originalità verso nuove categorie interpretative. Alcuni termini, quali charge («incarico»), brief («agenda»)133, troc («mercato»)134 ne sono un valido esempio.

131 BAXANDALL 1985a, p. 4 (trad. it., pp. 13-14). 132 Ivi, p. 111 (p. 162). 133 Cfr. BERMINGHAM 1988, p. 124.

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D’altra parte egli aveva già coniato metafore dense di significato e destinate ad avere un’enorme fortuna critica (si pensi all’influenza del suo period eye135) e, di preferenza, ha sempre adoperato un linguaggio altamente figurativo. Alcune peculiari scelte lessicali adottate da Baxandall in coerenza con questo principio, ad esempio per l’analisi delle opere di Piero della Francesca, Jean-Baptiste-Siméon Chardin e Pablo Picasso, sono state studiate da Carl R. Hausman136 e alcune ricorrenze termi-nologiche, quali pattern e habit, da Allan Langdale137. Peter Mack138 ha recentemente portato l’attenzione sulle qualità letterarie di alcuni brani romanzati presenti in The Limewood Sculptors of Renaissance Germany di Baxandall139, qualità riflesse, se si vuole, già a partire dalla studiata polisemia dei titoli delle sue opere. Non è un caso che talvolta questi ultimi abbiano creato problemi di trasposizione nella traduzione in altre lingue. A questo proposito appare indicativo il titolo scelto per l’ultima monografia Words for Picturesdove il for va inteso nella più ampia accezione140.

134 Cfr. LANGDALE 1995, pp. 256-264. 135 Cfr. BAXANDALL 1972; BAXANDALL 1980a. 136 Cfr. HAUSMAN 1991, pp. 101-128. 137 Cfr. LANGDALE 1995, pp. 316-324 e pp. 383-384. 138 Cfr. MACK 2013. 139 Cfr. BAXANDALL 1980a. 140 Nella Nota del traduttore dell’edizione italiana, si precisa che la polisemia della preposizione for in Words for Pictures sia riflessa solo in modo pallido nell’italiano ‘per’ di Parole per le immagini (cfr. PERI 2009, pp. 195-204); Baxandall stesso ne aveva esplic-itato i molteplici sensi: «Words directed twowards, or in representation of, or on be-half of, or as a basis for, or occasionally in place of the art» (cfr. BAXANDALL 2003a, p. VIII [trad. it., p. 10]).

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4. Enforced discriminations, Words for Pictures e la percezione psico-visiva Nel lavoro dello storico che usa necessariamente il linguaggio verbale per accostare il linguaggio pittorico, oltre alle irriducibili discrepanze tra i due sistemi mediali, sono da tenere in conto le enforced discriminations proprie di ciascun linguaggio. Questo tema, applicato al linguaggio verbale in Giotto and the Orators nel 1971, fu da Baxandall declinato in chiave pittorica con il saggio Pictorially Enforced Signification: St. Antonius, Fra An-gelico and the Annunciatio141 (1993). Nel caso di un dipinto, si trat-terà di «pictorially enforced discriminations», cioè delle risposte date da un pittore, con le sue abilità, ad uno specifico problema posto in determinate circostanze. Trattando delle diverse rap-presentazioni dell’Annunciazione nel passo evangelico di Luca, nel celebre dipinto del Beato Angelico e nella Summa theologica di sant’Antonino Pieruzzi (1450), l’articolo sviluppa una possibile descrizione della relazione tra le raffigurazioni rinascimentali di episodi biblici e le esposizioni teologiche su tali soggetti. Una somigliante procedura, con una simile applicazione di ar-gomenti, la ritroviamo anche in Words for Pictures, prima in rife-rimento al linguaggio verbale, poi, più concretamente, a quello pittorico. A sort of divergence between pictorial rendering of something and verbal rendering of the same things inherent in the instruments each employs. One way of thinking about this divergence is as picture and verbal text each being committed to a medium that enforces different systems of discrimination. For instance, Indo-European languages like Greek, Latin, Italian and verbal text to a lesser extent English insist on highly explicit discrimi-nation about time or tense [...]. On the other hand, pictorial represen-tation insists on other sets of discrimination, which the verbal repre-sentation does not. Most kinds of depiction involve a centre and boundaries, for instance, and left and right, up and down, spatial rela-tions and even an angle of view of some sort, and more interesting kinds of specificity that follow from these coming together. [...] The

141 Cfr. BAXANDALL 1993.

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things that language must be decisive about and picture must be deci-sive about are different. It is not, by the way, that pictures do not represent narrative “well”. It is rather that they do not replicate the grammatical and syntactical commitments of a verbal narrative well. They are committed to a structure and balance of narration that is actively different142. Circa l’affresco preso in esame nell’ultimo saggio della raccolta, Piero della Francesca’s The Resurrection of Christ143 (fig. 4), Baxandall ha mostrato, così come vale per la maggior parte dei dipinti re-ligiosi, che esso non abbia a che fare unicamente con il resocon-to narrativo dell’episodio che si legge nei vangeli. Per affrontare questo tema pittorico Piero della Francesca si sarebbe eviden-temente confrontato anche con le molte formulazioni della teo-logia del tempo e con le sue espressioni liturgiche e devozionali. So painting, on the one hand, and theological exegesis, on the other are incommensurable and divergent discourses. They are incommen-surable in that their required elements and structures cannot conform with each other. They are divergent because their media enforce, and had historically and accumulatively enforced, different sorts of choice and representational development. And this means that a theological compendium cannot easily be used as a dictionary for reading Piero della Francesca’s significations because it is a dictionary of a different language or medium of invention144. Piero, a giudizio di Baxandall, dovette inoltre confrontarsi con la tradizione pittorica (a lui anteriore o contemporanea) sul te-ma della Resurrezione e con un contesto storico che potrebbe aver dato al suo dipinto una colorazione politica, nel caso speci-fico in senso marcatamente anti-fiorentino145. 142 BAXANDALL 2003a, pp. 122-123 (trad. it., pp. 145-146). 143 Cfr. Ivi, pp. 117-164 (pp. 141-192). 144 Ivi, p. 126 (pp. 149-150). 145 Cfr. ivi, pp. 131-134 (pp. 155-159); BAXANDALL 2003b; THE PAPERS OF MICHAEL

BAXANDALL, MS Add. 9843/5/13, The P of PdF; THE PAPERS OF MICHAEL BAXAN-DALL, MS Add. 9843/5/13, Piero della Francesca’s Eloquence: Asyndeton, Apocope, Hendia-dys; THE PAPERS OF MICHAEL BAXANDALL, MS Add. 9843/5/15, versione dat-tiloscritta di Pictorial Events and Cultural Causes.

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Per di più, oltre alle tradizioni delle fonti testuali, per il critico che se ne occupa esiste anche una enforced discrimination rappre-sentata dalla storiografia critica a lui anteriore. All criticism lives with co-presences, whether something like the Bible or Ovid’s Metamorphoses, or just other criticism – as, for example, any-one intending to discourse on Piero della Francesca will have to do with the co-presence of Roberto Longhi146. Portando un esempio personale, Baxandall ammette di aver su-bito il condizionamento (o meglio di aver scelto di esserne in-fluenzato147) delle pagine dalla prosa altamente metaforica di Roberto Longhi148, verso cui egli nutrì una profonda ammira-zione149. In Words for Pictures, ad esempio, ha definito «super-ba»150 l’ekphrasis di Longhi sulla Resurrezione di Sansepolcro e l’ha riportata per intero come Appendix II, sia in italiano che in tra-duzione inglese151. Longhi’s ekphrasis aimed to provide verbal equivalents of paintings. Baxandall, as he once argued in a polemical essay, was more interest-ed in an inferential criticism, mediated by ekphrasis. He was deeply aware that since words and pictures pertain to different spheres, the referential quality of the former must be problematic. But he proved

146 BAXANDALL 2003a, p. 114 (trad. it., p. 136). 147 Cfr. BAXANDALL 1985a, pp. 58-62 (trad. it., pp. 88-92). 148 Nel linguaggio di Longhi si riconoscono alcuni tratti distintivi, quali un periodare estremamente ricercato ed efficace ed uno stile letterario originale e carico di metafo-re. Cfr. PREVITALI 1982. 149 Come egli stesso ebbe a dire nell’intervista del 1996: «I admire Longhi hugely. I think he is an immensely interesting person. I know there are political problems and that sort of thing, but he’s one of the people who one would bring in defense of the notion that real art history is connoisseurship, attribution. A lot of people, Richard Wollheim, for example, have said this. And Longhi I would adduce as evidence for this. Looking at pictures very closely with a view to determining who they may be by is an immensely valuable way of looking at pictures. Incidentally, I find this very res-onant with F. R. Leavis’s literary criticism, where the training, again, was identifying the authors, with reasons. So I would be with Longhi. I’m not sure how far it is a polarity there in Italy» (cfr. BAXANDALL 1996, p. 92). 150 BAXANDALL 2003a, note 2 p. 118. 151 Ivi, pp. 163-164 (trad. it. nota 2, p. 140)

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to be intractable to attempts to turn him into a reluctant postmodern-ist. He was committed to a different and a more ambitious project: showing that words for pictures can, as it were, suggest patterns of intention and web of causal relation152. Nonostante l’iniziale scetticismo nelle possibilità di comunicare l’arte, nell’ultimo Baxandall è evidente il tentativo di riconoscere legittimità alla scrittura critica. Oltre che da Ginzburg, l’approccio possibilista di Baxandall è stato sottolineato anche da Campbell nella recensione all’ultimo volume pubblicato dall’autore, il quale anzi, nelle posizioni di Baxandall, coglie be-ne una precisa evoluzione. Words for Pictures (2003), in effetti, se-gna un ritorno alle tematiche e alle problematiche linguistico-filosofiche delle origini, connesse con il «relativismo linguistico» di Giotto and the Orators e dei primi articoli, ma ora con un orien-tamento più positivo. The main difference between the account of Renaissance “art criti-cism” given here and that given in the earlier books is that the present one is relatively free of qualifications about the inadequacy of human-ist language (“a conspiracy against experience”), and the limiting na-ture of its categories, in the description or analysis of works of art. Emphasis now tends to fall on what is productive and enabling153. In Patterns of Intention Baxandall asseriva che il linguaggio verbale come strumento generalizzatore risulterebbe inadeguato a ri-produrre l’immagine154 eppure contestualmente portava avanti l’infaticabile tentativo di risolvere la sfasatura insita nel suo im-piego per definire le entità visive e le qualità ottico-percettive delle immagini. Nelle decadi seguenti si dedicò ad approfondire la scienza del Settecento ma soprattutto le più recenti teorie del-la percezione, con particolare riguardo al problema

152 GINZBURG 2010, p. 8. 153 CAMPBELL 2006, pp. 178-180. 154 Cfr. BAXANDALL 1985a, p. 3 (trad. it., p. 13).

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dell’attenzione, come emerge da Shadows and Enlightenment (1995)155, la più anomala tra le sue pubblicazioni. Nel saggio Jacopo Sadoleto’s Laocoon, uno dei tre inediti di Words for Pictures, troviamo un compendio di tutte le sue precedenti ar-gomentazioni sul linguaggio, però arricchite dai nuovi spunti di riflessione. Nella descrizione composta dal giovane umanista ferrarese Jacopo Sadoleto Baxandall individua un diagramma di percorsi di ispezione oculare e percezione cognitiva innescati dall’oggetto artistico e determinati dall’attenzione. Qui egli torna ad analizzare in dettaglio uno scritto rinascimen-tale, precisamente la sezione vv. 8-43 del poemetto che Sadole-to compose in lode del celebre gruppo scultoreo del Laocoonte nel 1506, anno del suo rinvenimento156 (fig. 5). Ottemperando pienamente ai precetti classici della descrizione, per la sua capa-cità di rendere un oggetto assente come se fosse presente da-vanti agli occhi del lettore, il poemetto – che è peraltro ispirato al modello linguistico virgiliano – fu subito percepito come una perfetta ekphrasis ed è a tutt’oggi una delle più famose descrizio-ni rinascimentali di un’opera d’arte. Baxandall individua in esso la seguente sequenza descrittiva157:

1) a) the question of order ; b) summary of elements vv. 8-11

2) an emotional response vv. 12-13 3) a formal description vv. 14-16 4) Laocoon and the snakes vv. 17-33 5) first soon vv. 34-38 6) second soon vv. 39-43

155 Cfr. BAXANDALL 1995. 156 Il gruppo del Laocoonte fu scoperto a Roma il 14 gennaio 1506, in una stanza sotterranea vicino alle rovine del Bagno di Tito. Fu subito stabilita una connessione con la scultura che Plinio aveva descritto nella sua Naturalis Historia, senza tener con-to del fatto che quella ritrovata non fosse scolpita di un unico pezzo di pietra e che il Bagno di Tito non era la Casa di Tito menzionata dallo scrittore latino. La notizia del ritrovamento si diffuse velocemente: tutta Roma accorse a vedere il gruppo statuario, fino a che fu acquistato dal papa Giulio II e nel giugno, prese posto nel Belvedere al Vaticano. Cfr. BAXANDALL 2003a, pp. 102-103 (trad. it., pp. 122-123). 157 BAXANDALL 2003a, p. 106 (trad. it., p. 124).

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Al primo, fondamentale, impatto d’insieme (vv. 8-11), segue la risposta emotiva (vv. 12-13), quindi uno schema formale del gruppo (due serpenti in un cerchio, tre persone, vv. 14-16), in-fine il resoconto dettagliato delle singole parti (Laocoonte, i due figli, i serpenti, vv. 17-43): un percorso cognitivo-interpretativo, parallelo, anche se a rigore non equivalente, ad un percorso di scansione oculare. What first? What last? Sadoleto’s starting-point is a limited from of the issue of how a temporally linear medium, language relates to a work of visual art. And visual art, though incrementally perceived, is not, in its own structure, temporally linear but simultaneously acces-sible to vision – at any moment all there. (Let us leave out of account the obvious complication that sculpture is open to multiple view-points, since Sadoleto does not address this property; his account is of a single, presumably frontal view). [...] For it is not here a matter of he respective representational competences of verbal arts and visual arts. Rather, is a matter of the relation of verbal commentary to its visual object. Art criticism refers to the experience of visual art in the medium of language, which – whatever resistance middle-scale syn-tactic structures may put up, and whatever degree of global grasp may be attained by rereading – is in important respect linear. Even if we take the words as an only incidentally sequential notation of the state of mind, that notation still urges that things come up in some order. But the visual art – however progressive through time both the ocular act of scrutiny and the mental process of perception may be – is more simultaneously accessible, at least in the sense that the sequence of our perception of it is not fully predetermined158. La sequenza descrittiva appare, dunque, a Baxandall come un saggio, quanto mai perspicace ed elaborato, delle possibilità stesse del linguaggio letterario di ‘tradurre’ il processo di scanning oculare di un’opera d’arte visiva159.

158 Ivi, p. 112 (pp. 133-134). 159 Similmente MENGALDO 2005, p. 38: «La descrizione verbale non mima l’opera, ma lo sguardo che percorre l’opera».

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His sequence is active, in that it does not just work by rote down from head to the toe but moves inferentially about in response to the needs and promptings of a mind; and it is coherent, in that the movement involves clear relations of parts to wholes, and parts to action, and actions to causes. This active coherence of the sequence surely attaches itself to the sense of the sculpture. The very sequence is interpretation but it is also evaluation, since an automatic or jum-bled or disjunctive sequence would speak of an unexcited or unor-ganized or uncomposed experience. Linearity insists on sequence, and sequence implies particular order or particular disorder. There is no description without evaluation160. Si tratta di un movimento inferenziale attivo, che risponde coe-rentemente ai bisogni della mente. È pertanto un’interpretazione perché comporta un giudizio di valore161 soggettivo ed arbitrario162. What do our “descriptions” of a work of art cover? Evidently experi-ence over the work rather than, directly, the works itself163. Poiché però la percezione ha una velocità e un andamento che non possono essere sottoposti alle regole della sintassi, Baxan-dall si domanda se quella di Sadoleto sia la rappresentazione della visione del Laocoonte nel suo svolgersi, il vero e proprio flusso dell’esame oculare, oppure l’accumularsi della rappresen-tazione percettiva ricavata da questo esame164. Al termine dell’analisi egli sembra optare per la rappresentazio-ne del pensiero che segue all’esperienza della visione. A verbal representation is most safely taken as representing thought, in fact or at least, a state of mind: words match concepts and the rela-tionships of concepts. Perhaps the quality of the poem might partly

160 BAXANDALL 2003a, p. 114 (trad. it., pp.135-136). 161 Cfr. BAXANDALL 1971, p. 87 (trad. it., p. 129): «The ekphrasis is a device of epi-deictic, the rhetoric of praise of blame: there are no neutral ekphraseis». 162 Cfr. BAXANDALL 1985a, p. 11 (trad. it., p. 24). 163 BAXANDALL 2003a, p. 114 (trad. it., p. 136). 164 Ivi, p. 109 (p. 130).

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be met by saying that it is, proximately, a representation of a state of mind after having been looking at the sculpture165. In questa prospettiva l’ekphrasis, che procede dunque al passo della mente e non soltanto a quello dell’occhio, presuppone la visione ma è sempre successiva rispetto ad essa. Ad analoghe conclusioni era già giunto nell’introduzione di Patterns of Inten-tion166. Un’ekphrasis diviene così un’esperienza primariamente verbale, comunque logica e ovviamente basata su un continuum delle parole piuttosto che sui movimenti random dell’occhio nell’atto di percepire. Ciò a maggior ragione poiché il processo della stessa percezione è troppo veloce e inconscio per poter essere espresso a parole. Evidenziando però come le ekphràseis siano una guida per lo sguardo, l’indicazione di un reale percorso scandito da momenti di marcata attenzione, l’analisi viene arricchita con le nozioni fisiologiche e psicologiche del processo di percezione psico-visiva dell’uomo, che è l’altro fondamentale caposaldo della ri-cerca di Baxandall. Oggi constatiamo che a partire dalla celebre nozione di period eye, Baxandall è stato tra i primi ad introdurre l’analisi della fisio-logia dell’organo visivo nel discorso storico-artistico, illustran-do, nondimeno e in parallelo, il ruolo che certi condizionamenti culturali (abitudini, aspettative) svolgono nei processi visivi de-gli individui167. Da qui egli ha poi sempre più approfondito e fatto notare la rilevanza che scienza ottica e psicologia della percezione visuale hanno in un dato contesto storico-culturale, con una sensibilità senz’altro derivata dalla lezione di Ernst Gombrich168. Con tale approccio entrano in gioco tutti gli aspetti coinvolti nell’esperienza percettiva, quali: il campo di vi-sione nitida centralizzato; la visione foveale diversa da quella parafoveale, le funzioni di coni e bastoncelli; l’inquietudine

165 Ibidem. 166 Cfr. BAXANDALL 1985a, pp. 1-11 (trad. it., pp. 10-26). 167 Cfr. BAXANDALL 1972, pp. 29-108 (trad. it., pp. 41-103). 168 Cfr. BAXANDALL 1996, p. 54; GOMBRICH 1960.

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dell’occhio, ovvero i rapidi movimenti (le saccadi) che l’occhio compie per compensare il declino dell’acutezza della visione dalla fovea alla parafovea; le relazioni con le risorse neuronali progressivamente accumulate dalla mente tramite la successione di esperienze; le proprietà della visione (acuità, attenzione, me-moria, costruzione); la distinzione tra il fuoco cognitivo (o at-tenzione) e lo schema di fissazioni oculari (o esame); la rapida integrazione di successive fissazioni169. Ad ognuno di questi aspetti, Baxandall farà corrispondere alcu-ne specifiche qualità visuali presenti nei dipinti, dimostrando che gli artisti che le impiegarono, evidentemente, possedettero una chiara cognizione dei loro meccanismi e dei loro effetti nell’osservatore170. Ad esempio, egli ha saggiato a più riprese la possibilità di acco-starsi alle opere di Chardin e alle sue cause con le potenzialità offerte dalle scienze della percezione, dapprima inquadrandole nel contemporaneo fervente milieu illuministico (dall’empirismo di Locke, alla teoria dei colori di Newton, con i loro intermedia-ri), poi ripensandole alla luce delle teorie sulla conoscenza e del-le fondamentali categorie psico-filosofiche dell’attenzione e dell’inquietudine171, al cui studio si era dedicato negli anni No-vanta. Queste ultime caratterizzano anche il saggio su Tiepolo scritto insieme a Svetlana Alpers ed il complesso libro del 1995 dedicato alle ombre172. Tuttavia è stato Piero della Francesca l’artista maggiormente considerato dall’indagine baxandalliana, a tal punto che al suo interno è possibile cogliere pienamente la progressiva evoluzio-ne nella metodologia dello studioso173. Particolarmente signifi-

169 Cfr. THE PAPERS OF MICHAEL BAXANDALL, MS Add. 9843/5/12. 170 Cfr. BAXANDALL 1994b; BAXANDALL 2003a. 171 Cfr. BAXANDALL 1985a; BAXANDALL 1985b; BAXANDALL 1995; BAXANDALL

2001; BAXANDALL 2006. 172 Cfr. ALPERS-BAXANDALL 1994; BAXANDALL 1994c; BAXANDALL 1995. 173 Sulla rilevanza e ricorrenza di Piero negli scritti di Baxandall (BAXANDALL 1966; BAXANDALL 1972; BAXANDALL 1985a; BAXANDALL 2003a; BAXANDALL 2003b; THE

PAPERS OF MICHAEL BAXANDALL, MS Add. 9843/5/13 e MS Add. 9843/5/15) cfr. DE LUCA 2014, pp. 177-256.

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cativo a tale proposito è il punto di arrivo rappresentato dal saggio finale di Words for Pictures, che è dedicato interamente alla Resurrezione di Piero a Sansepolcro. Di questo studiatissimo ca-polavoro (fig. 4) Baxandall individua sette «eventi pittorici», de-finiti come le risultanze dell’insieme di fattori che hanno deter-minato alcune scelte da parte del pittore e che sono state fissate per mezzo di segni bidimensionali sulla superficie piana dell’affresco: «(1) a compound Christ, (2) a distracting banner, (3) an anomalous red, (4) the legless guard, (5) the sarcophagus front and its reticences, (6) disjunctive object perspectives, (7) a distance crux at the lance head»174. Attraverso la serrata analisi condotta a partire da questi sette dati visivi nei quali ci si imbat-te ‘guardando attentamente’ l’opera, Baxandall prova a saggiare i significati propriamente pittorici dell’affresco di Piero, e lo fa servendosi dei più sottili strumenti della scienza ottica e della psicologia della percezione visiva. Come si vede l’apporto psico-visivo costituisce l’elemento più innovativo del saggio che, non a caso, ha assunto il rilievo di testamento metodologico dell’autore175. In effetti, esso compendia mirabilmente tutti i fi-loni della riflessione di Baxandall sul linguaggio, sulle qualità ot-tiche degli oggetti artistici in relazione alla visione e sulla meto-dologia del discorso critico storico-artistico con le sue determi-nanti enforced disciminations.

174 BAXANDALL 2003a, p. 119 (trad. it., p. 142). 175 Cfr. PERI 2009, p. 202.

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Didascalie Fig. 1. Pisanello, San Giorgio e la principessa, affresco e tempera, cm

223x430, 1433-1435 circa. Verona, Chiesa di Sant’Anastasia. Fig. 2. Riproduzione dello schema da BAXANDALL 1979, p. 458. Fig. 3. Riproduzione dello schema da BAXANDALL 1985a, p. 6. Fig. 4. Piero della Francesca, La Resurrezione di Cristo, affresco, cm

225x200, prima 1474. Sansepolcro, Pinacoteca Comunale. Fig. 5. Jacopo da Sadoleto, De Laocoontis statua, vv. 8-43, a fronte del

Laocoonte, marmo, metà II secolo a. C., h 242 cm. Roma, Musei Va-ticani, Cortile del Belvedere.

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Similia(I)

The maker(II)

The beholder(III)

Matter of representation(I.bis)

ප ප[ The object ]

COMPARISON WORDSresonance (of colours)

columnar (drapery)scaffolding (of proportion)

CAUSE WORDSassured handling(frugal) paletteexcited (blots and scribbles)

EFFECT WORDSpoignantenchantingsurprising

THEPICTURE

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Quid primum summumve loquar? Miserumne parentem Et prolem geminam? An sinuatos flexibus angues Terribili aspectu? Caudasque irasque draconum, 10 Vulneraque, et veros, saxo moriente, dolores? Horret ad haec animus, mutaque ab imagine pulsat Pectora non parvo pietas commixta tremori. Prolixum vivi spiris glomerantur in orbem Ardentes colubri, et sinuosis orbibus ora, 15 Ternaque multiplici constringunt corpora nexu. Vix oculi sufferre valent crudele tuendo Exitium casusque feros: micat alter, et ipsum Laocoonta petit, totumque infraque, supraque Implicat, et rabido tandem ferit ilia morsu. 20 Connexum refugit corpus, torquentia sese Membra, latusque retro sinuatum a vulnere cernas. Ille dolore acri, et laniatu impulsus acerbo Dat gemitum ingentem, crudosque avellere dentes Connixus, laevam impatiens ad terga chelydri 25 Objicit: intendunt nervi, collectaque ab omni Corpore vis frustra summis conatibus instat. Ferre nequit rabiem, et de vulnere murmur anhelum est. At serpens lapsu crebro redeunte subintrat Lubricus intortoque ligat genua insima nodo. 30 Crus tumet, obsepto turgent vitalia pulsu Liventesque atro distendunt sanguine venas. Nec minus in natos eadem vis effera saevit. Amplexuque angit rabido, miserandaque membra 35 Dilacerat: jamque alterius depasta cruentum Pectus, suprema genitorem voce cientis Circumjectu orbis, validoque volumine fulcit. Alter adhuc nullo violatus corpora morsu Dum parat adducta caudam divellere planta, 40 Horret ad aspectum miseri patris, haeret in illo: Et jamjam ingentes fletus, lacrimasque cadentes Anceps in dubio retinet timor [...]

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