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29 MARTEDÌ 30 OTTOBRE 2007 Gli spettacoli ERNESTO ASSANTE Il punk ritorna 30 anni dopo senza creste e provocazioni L’ambiente SARAH LYALL Addio ghiacci la Groenlandia ora scopre la primavera Quasi 400mila super-pendolari, modi di vita sempre più simili: così la fusione virtuale si avvicina alla realtà DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ENRICO FRANCESCHINI LONDRA U na è la città che “never sleeps”, che non dorme mai, come can- ta Frank Sinatra, l’altra è la città che va a dormire alle undici di sera, ora di chiusura della maggior parte dei suoi pub, ri- storanti, locali (si fa per dire) notturni. Una è la città dei grat- tacieli, l’altra è la città delle casette vittoriane. Una è la città che ha per sindaco un miliardario, il magnate dei media Mi- chael Bloomberg, l’altra è la città che ha per sindaco un anarco-socialista, Ken Livingstone detto “il Rosso”. L’elenco potrebbe continuare per un pez- zo: qualche tempo fa un settimanale americano le ha esaminate tutte in un servizio intitolato “New York contro Londra”, per stabilire quale delle due può aspirare al titolo di autentica capitale del mondo, e ha assegnato spor- tivamente il primato a Londra, di un soffio, in virtù del recente sorpasso della City su Wall Street come cittadella finanziaria più ricca del pianeta. Ma un giornale che di finanza se ne intende, e che ha a Londra la sua se- de principale, il Financial Times, suggerisce ora un diverso verdetto, anzi un diverso confronto: non più New York “contro” Londra, bensì New York “più” Londra. Il risultato è NyLon, abbreviazione di NewYorkLondon, me- galopoli di oltre venti milioni di abitanti, distesa sulle due sponde — anzi- ché di un fiume o di uno stretto — di un oceano: l’Atlantico. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE CON UN COMMENTO DI JOHN LLOYD COLUM MCCANN Q uesto weekend, il primo match della regular season del cam- pionato di football Americano si è giocato nel nuovo stadio londinese di Wembley. La pioggia se n’è allegramente infi- schiata, cadendo a secchiate sui giocatori dei New York Giants e dei Miami Dolphins impegnati a scivolare, rotola- re e inciampare sulla veneranda erba. A New York, il manto sintetico dello stadio dei Giants si crogiolava inutilizzato sotto il sole au- tunnale. Forse l’unica cosa che ancora ci divide, ormai, è il clima. New York. London. Nylon. Quasi 6500 chilometri, ma la distanza è poca, di questi tempi. Chi cammina lungo la Quinta Avenue ha le stesse probabilità di sentir par- lare in cockney che di ascoltare le nasali profondità dell’accento di Brooklyn. Chi entra in un pub del Greenwich Village può ordinare una pinta di Bodding- tons con la stessa facilità con cui può scolarsi una Budweiser. Nelle celebri com- pagnie pubblicitarie di Madison Avenue, ormai lavorano tanti sudditi di Sua Maestà quanti yankee. Provate ad andare in perlustrazione sugli scaffali di qualsiasi grossa libreria e avrete le stesse probabilità di trovare un romanzo di Ian McEwan che un libro di Cormac McCarthy. Intrufolatevi in una galleria d’arte giù a Tribeca ed è ragionevolmente probabile che ci troviate qualcuno che compra un dipinto staccando l’assegno da un libretto della londinese ban- ca Lloyd’s. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE New York + Londra ecco la città globale Ny Lon Urss, la memoria del terrore La cultura SIMONETTA FIORI L o storico Andrea Gra- ziosi ha ricostruito la storia dell’Urss dal 1914 al 1945 sulla base di nuovi documenti accessibili dal 1991 negli archivi di Mosca: L’Urss di Lenin e Stalin (1914- 1945), edito dal Mulino. «Il filtro ideologico ha finito per appan- nare l’occhio dello storico: per anni vi è stato chi ha negato la realtà del lavoro forzato e della carestia e quando ciò non è sta- to più possibile ha ingaggiato battaglie sul numero dei morti», spiega l’autore. I tempi sono cambiati. «Oggi è possibile ac- costarsi a quella storia con uno sguardo più libero e attrezzato». Bamiyan, il mito tra le macerie Il reportage ROGER COHEN L a gente parla dei Buddha come se fosse- ro ancora lì. Le gigante- sche statue furono di- strutte a Bamiyan in Afghani- stan dai talebani nel marzo del 2001 nella loro ansia di liberare il Paese dagli dei degli infedeli. E il vuoto di quella ferita rievoca l’inizio di una guerra senza fine. Oggi i visitatori sono attratti dall’assenza di quello che l’u- manità ha perduto. E’ un’azien- da italiana che si è occupata dei primi lavori di recupero dei Buddha, la Trevi spa di Cesena, che ha compiuto i lavori di con- solidamento delle nicchie in cui erano scolpite le celebri statue. MARTEDÌ LA DEMOCRAZIA DELLE DINASTIE VITTORIO ZUCCONI L a pubblicità ci spiegherebbe il fenomeno con la po- tenza del brand name, della riconoscibilità del mar- chio che impone il prodotto perché si chiama McDo- nald’s, Rolex, Disney o Ferrari. E poiché la politica è oggi fi- glia del marketing, il successo di parenti e affini di leader po- litici, è sempre più affare di famiglia. Nel nome il presagio della vittoria. La signora Kirchner succede in Argentina al si- gnor Kirchner. Bush succede a Bush. Clinton ha ottime pro- babilità di succedere a Clinton. Indira Neru prese il posto del padre Neru in India, come Benazir Ali Bhutto ereditò il po- tere dal suo, Zulfikar Bhutto e un Kennedy sarebbe suben- trato a un Kennedy, senza l’intervento di un assassino. Se il secondo Bush avesse fatto meglio, l’America vederebbe un terzo Bush (Jeb) in corsa. La forza del clan, la garanzia che il brand, il nome, offre al pubblico, insieme con la rete di fi- nanziatori e di sostegni creata dal capo tribù, sta creando un «braminato», una vera “casta”, questa sì, come nelle mo- narchie o nelle autocrazie. In assenza di vere discriminanti ideologiche e di qualità, si vota un nome, come si sceglie una benzina, pur sapendo che sono tutte uguali. Per abitudine, per sicurezza, per riflesso pavloviano. Repubblica Nazionale

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MARTEDÌ 30 OTTOBRE 2007Gli spettacoli

ERNESTO ASSANTE

Il punk ritorna30 anni doposenza crestee provocazioni

L’ambiente

SARAH LYALL

Addio ghiaccila Groenlandiaora scoprela primavera

Quasi 400mila super-pendolari, modi di vita sempre più simili: così la fusione virtuale si avvicina alla realtà

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

ENRICO FRANCESCHINI

LONDRA

Una è la città che “never sleeps”, che non dorme mai, come can-ta Frank Sinatra, l’altra è la città che va a dormire alle undicidi sera, ora di chiusura della maggior parte dei suoi pub, ri-storanti, locali (si fa per dire) notturni. Una è la città dei grat-tacieli, l’altra è la città delle casette vittoriane. Una è la cittàche ha per sindaco un miliardario, il magnate dei media Mi-

chael Bloomberg, l’altra è la città che ha per sindaco un anarco-socialista,Ken Livingstone detto “il Rosso”. L’elenco potrebbe continuare per un pez-zo: qualche tempo fa un settimanale americano le ha esaminate tutte in unservizio intitolato “New York contro Londra”, per stabilire quale delle duepuò aspirare al titolo di autentica capitale del mondo, e ha assegnato spor-tivamente il primato a Londra, di un soffio, in virtù del recente sorpassodella City su Wall Street come cittadella finanziaria più ricca del pianeta.

Ma un giornale che di finanza se ne intende, e che ha a Londra la sua se-de principale, il Financial Times, suggerisce ora un diverso verdetto, anziun diverso confronto: non più New York “contro” Londra, bensì New York“più” Londra. Il risultato è NyLon, abbreviazione di NewYorkLondon, me-galopoli di oltre venti milioni di abitanti, distesa sulle due sponde — anzi-ché di un fiume o di uno stretto — di un oceano: l’Atlantico.

SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE CON UN COMMENTO DI JOHN LLOYD

COLUM MCCANN

Questoweekend, il primo match della regular season del cam-pionato di football Americano si è giocato nel nuovo stadiolondinese di Wembley. La pioggia se n’è allegramente infi-schiata, cadendo a secchiate sui giocatori dei New YorkGiants e dei Miami Dolphins impegnati a scivolare, rotola-re e inciampare sulla veneranda erba. A New York, il manto

sintetico dello stadio dei Giants si crogiolava inutilizzato sotto il sole au-tunnale.

Forse l’unica cosa che ancora ci divide, ormai, è il clima.New York. London. Nylon. Quasi 6500 chilometri, ma la distanza è poca,

di questi tempi.Chi cammina lungo la Quinta Avenue ha le stesse probabilità di sentir par-

lare in cockney che di ascoltare le nasali profondità dell’accento di Brooklyn.Chi entra in un pub del Greenwich Village può ordinare una pinta di Bodding-tons con la stessa facilità con cui può scolarsi una Budweiser. Nelle celebri com-pagnie pubblicitarie di Madison Avenue, ormai lavorano tanti sudditi di SuaMaestà quanti yankee. Provate ad andare in perlustrazione sugli scaffali diqualsiasi grossa libreria e avrete le stesse probabilità di trovare un romanzo diIan McEwan che un libro di Cormac McCarthy. Intrufolatevi in una galleriad’arte giù a Tribeca ed è ragionevolmente probabile che ci troviate qualcunoche compra un dipinto staccando l’assegno da un libretto della londinese ban-ca Lloyd’s.

SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE

New York + Londraecco la città globale

NyLon

Urss, la memoriadel terrore

La cultura

SIMONETTA FIORI

Lo storico Andrea Gra-ziosi ha ricostruito lastoria dell’Urss dal 1914al 1945 sulla base di

nuovi documenti accessibili dal1991 negli archivi di Mosca:L’Urss di Lenin e Stalin (1914-1945), edito dal Mulino. «Il filtroideologico ha finito per appan-nare l’occhio dello storico: peranni vi è stato chi ha negato larealtà del lavoro forzato e dellacarestia e quando ciò non è sta-to più possibile ha ingaggiatobattaglie sul numero dei morti»,spiega l’autore. I tempi sonocambiati. «Oggi è possibile ac-costarsi a quella storia con unosguardo più libero e attrezzato».

Bamiyan, il mitotra le macerie

Il reportage

ROGER COHEN

La gente parla deiBuddha come se fosse-ro ancora lì. Le gigante-sche statue furono di-

strutte a Bamiyan in Afghani-stan dai talebani nel marzo del2001 nella loro ansia di liberareil Paese dagli dei degli infedeli. Eil vuoto di quella ferita rievocal’inizio di una guerra senza fine.Oggi i visitatori sono attrattidall’assenza di quello che l’u-manità ha perduto. E’ un’azien-da italiana che si è occupata deiprimi lavori di recupero deiBuddha, la Trevi spa di Cesena,che ha compiuto i lavori di con-solidamento delle nicchie in cuierano scolpite le celebri statue.

MARTEDÌ

LA DEMOCRAZIA DELLE DINASTIE

VITTORIO ZUCCONI

La pubblicità ci spiegherebbe il fenomeno con la po-tenza del brand name, della riconoscibilità del mar-chio che impone il prodotto perché si chiama McDo-

nald’s, Rolex, Disney o Ferrari. E poiché la politica è oggi fi-glia del marketing, il successo di parenti e affini di leader po-litici, è sempre più affare di famiglia. Nel nome il presagiodella vittoria. La signora Kirchner succede in Argentina al si-gnor Kirchner. Bush succede a Bush. Clinton ha ottime pro-babilità di succedere a Clinton. Indira Neru prese il posto delpadre Neru in India, come Benazir Ali Bhutto ereditò il po-tere dal suo, Zulfikar Bhutto e un Kennedy sarebbe suben-trato a un Kennedy, senza l’intervento di un assassino. Se ilsecondo Bush avesse fatto meglio, l’America vederebbe unterzo Bush (Jeb) in corsa. La forza del clan, la garanzia che ilbrand, il nome, offre al pubblico, insieme con la rete di fi-nanziatori e di sostegni creata dal capo tribù, sta creando un«braminato», una vera “casta”, questa sì, come nelle mo-narchie o nelle autocrazie. In assenza di vere discriminantiideologiche e di qualità, si vota un nome, come si sceglie unabenzina, pur sapendo che sono tutte uguali. Per abitudine,per sicurezza, per riflesso pavloviano.

Repubblica Nazionale