2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte...

24
rivista di ecologia senza compromessi Sai cosa mangi? Sicurezza alimentare e trasparenza di informazione pagina 6 pagina 5 pagina 10 pagina 18 Salvaguardare il paesaggio dalla speculazione edilizia Il legame tra ambiente naturale e benessere delle persone Da slow food a slow towns: come si vive nelle città che rallentano # 75 / maggio-giugno 2013 2,50 Una firma contro la vivisezione 1 milione di firme di cittadini europei contro la Direttiva 2010/63/UE sugli animali utilizzati a fini “scientifici”

Transcript of 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte...

Page 1: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

rivi

sta

di e

colo

gia

sen

za c

om

pro

mes

si

Sai cosa mangi?Sicurezza alimentaree trasparenzadi informazione

pagina 6pagina 5 pagina 10 pagina 18

Salvaguardareil paesaggiodalla speculazioneedilizia

Il legame tra ambiente naturale e benessere delle persone

Da slow fooda slow towns: come si vive nellecittà che rallentano

#75

/mag

gio-

giug

no 2

013

€ 2,

50

Una firma controla vivisezione1 milione di firme di cittadini europei contro la Direttiva 2010/63/UE sugli animali utilizzati a fini “scientifici”

Page 2: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

7 buoni motivi per sostenere FARE VERDE

com

un

ità

invi

atec

i le

foto

del

vo

stro

gru

pp

o lo

cale

: inf

o@

fare

verd

e.it

Gru

pp

o d

i Far

e v

erd

e m

essi

na,

mar

e d

’inve

rno

20

12

non accettiamo sponsorizzazioniper preservare la nostra libertà di opinione ed espressione, non accettiamo denaro da aziende. Viviamo solo con le quote versate dai nostri soci e i contributi di amministra-zioni pubbliche (quindi, fondi dei cittadini) che condividono i nostri progetti.

siamo Volontari per l’ambientee’ una scelta culturale di impegno disinte-ressato per l’ambiente, ma è anche un modo per evitare che il denaro e l’economia siano l’unica misura della qualità della nostra vita. pensaci, il nostro lavoro non retribuito crea servizi senza figurare nei conti del pil!

riduciamo gli sprechi energeticirealizziamo progetti per ridurre i consumi energetici a parità di servizi, dimostrando sul campo che il nucleare non serve.

proponiamo il Vuoto a rendere sugli imballaggiper ridurre i rifiuti, nonostante lo strapotere economico delle lobby degli imballaggi e de-gli inceneritori.

promuoViamo il compostaggio dei rifiuti “umidi”perchè la frazione organica, nonostante sia il 30% dei rifiuti, è la meno sponsorizzata.

puliamo il mare d’inVernopuliamo le spiagge a gennaio, quando non servono ai bagnanti e il problema dell’inqui-namento del mare non fa audience...

xfare+Verde: la nostra riVista, dal 1995 senza pubblicitàabbiamo scelto di non avere neanche una riga di pubblicità, per garantire l’indipendenza editoriale della nostra rivista.

fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto. da subito. da tutti.

Essere sempre dalla parte dell’ambiente, senza padrini, senza padroni è una scelta che ci costa. Dal 1986 la paghiamo in termi-ni di impegno personale e in termini economici. Da oggi puoi pagarla anche tu, iscriviti subito a Fare Verde. Vai su www.fareverde.it

2

Page 3: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

Altro che “isola che non c’è”! L’isola esiste, eccome, anche se se ne parla poco, pochissimo, quasi per niente. Non viene raccontata ai bambini (cui causerebbe di certo incubi), ma ne-anche se ne parla nel mondo dei grandi, che pure avrebbero da rifletterci e rovinarcisi il sonno. Non è citata nei libri di scuola e neppure vi approdano i turisti, neppure quelli più stravaganti, alla ricerca di posti insoliti.

Eppure l’isola esiste, anzi, sono almeno 5 isole, tutte gran-dissime, al punto che qualcuno, provocatoriamente, ha pensato di riconoscerle quale un nuovo Stato. Uno Stato che tutti noi abbiamo contribuito a realizzare. Ma di questo non possiamo esserne orgogliosi: niente a che fare con la titanica conquista di terre strappate al mare nei polder olandesi, e ancor meno con avventurose conquiste in mari lontani.

A riconoscere il nuovo Stato, con tanto di capitale, bandiera e mito fondante, è stata l’UNESCO, su iniziativa di un’artista ita-liana, Maria Cristina Finucci. Al momento non ci sono ricono-scimenti ad opera degli altri Stati, che forse temono la tendenza all’espansionismo del nuovo arrivato.

Lo Stato ha una struttura federale, perché ingloba 5 vastissime isole presenti nei tre oceani, ed ha una superficie pari a quella del Texas. Pur essendo uno Stato “multietnico”, ha un nome inglese, forse quale riconoscimento a quel mondo occidentale che, con il suo modello culturale ed economico, più di tutti ha contribuito a fondarlo. Si chiama Garbage Patch State, Stato delle immondizie: cinque enormi masse di rifiuti di plastica gal-leggianti, che le correnti marine hanno raggruppato e portano in giro negli oceani. Un fenomeno che diventa sempre più grande

L’isola che non dovrebbe esserci

edit

ori

ale

di Giancarlo Terzano

e preoccupante, in parallelo con l’indifferenza con cui tendiamo a liberarci dei rifiuti.

Come per le grandi opere collettive, ognuno di noi può dire di aver contribuito alla sua realizzazione. Anziché mattoncino per mattoncino, stavolta bottiglia per bottiglia, busta per busta, va-schetta per vaschetta. Ogni qualvolta abbiamo “dimenticato”, al mare, o lungo un fiume, uno dei tantissimi oggetti o imballaggi in plastica, che fanno parte della nostra vita quotidiana. Beni effimeri, cui non diamo alcun valore economico, che nel giro di pochissimo tempo si trasformano da “indispensabili” a rifiuto, per il cui smaltimento passeranno centinaia di anni.

E cambia poco se, anziché al mare, la bottiglia la lasciamo in un bosco, o addirittura in un cestino dei rifiuti, non destinato alla raccolta differenziata: in questi casi, non saranno le isole galleggianti degli oceani ad ingrossarsi, ma finiremo comunque per ingrossare le tantissime “isole sotterranee terrestri”, le disca-riche, con uguale spreco di risorse e danno ambientale (seppur meno visibile).

Come ogni vero Stato, il Garbage Patch State è il frutto del-la storia di uomini ed ha una civiltà fondante. Ovviamente, la “civiltà” è la nostra, quella dei consumi esasperati, dello spreco di risorse, dell’indifferenza verso le conseguenze ambientali dei nostri atti. Quella che nell’ultimo secolo ha già saccheggiato fo-reste e campi, profondità della terra e del mare, ma che non sa fermarsi o cambiare rotta.

L’isola c’è, purtroppo. E, per quanto incredibile, non è il frutto della nostra fantasia. Il mondo ormai conosce bene la rotta che ci porta verso di essa, sta a noi invertire tale cammino.

Lavoro a tempo e da tempo producoqualche domanda? se poi ci sarà…ma sembra un’offerta e spesso m’illudodi vendere il tempo non ho più l’età. terziario, primario non solo operaiopretendo rispetto, ho l’anzianitàe mentre speravo nel giorno ufficialein cui finalmente poter riposarenel tempo ho perduto la mia libertàche adesso ritrovo, ma in mobilità. Da giovane il tempo sembrava volarepotrei ricordare e ancora parlareil boom economico rese vitale la tele, la macchina in ogni cittàed era uno spasso bruciare e aumentaredi numero e debito, in ogni realtà. e questo è il passato e il presente un futuro, che sembra più buiose ancora pensiamo di viver da solie di non condividere il mondo coi soli che potran cambiare per l’umanità. nel capitalismo diritti e valori

son presto scomparsi, non è novitàla gran maggioranza, nella situazioneha perso ricchezza, salute, onestà. non voglio accusare nessuno (è normale,né banche e banchieri, né borse né caste)ma qui gli interessi son tanti si sa e certo prostrarsi in ginocchio a pregaredi essere assunti da schiavi a metàriporta alla mente un mestiere diffusoin cui si richiede flessibilità. Dal punto di vista della selezionesiam l’unica specie ad estinguer sé stessaperché non rispetta le generazioniche viver dovranno in questa monnezza. purtroppo lo scopo vuole esser raggiuntose ancor si continua a crear povertàe ancora a sfruttare risorse finiteper quindi passare a persone sfiniteintanto che cambi la mentalità. non credo poi dunque di esser confusose associo all’ambiente il mio posto in futurola terra è il settore più in crisi che ha fusoe il lavoro è lo specchio d’una società.

poesiA

Lavoro sostenibile

di Osel Navi

3

Page 4: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

som

mar

io

xFare+Verdeidee e fatti per vivere l’ambienteperiodico di fare Verde onlusregistrazione del tribunale di roma n. 522del 24 ottobre 1995spedizione in abbonamento postale d.l.353/2003 (conv. in l. 27/02/2004 n46) art 1, comma 2 - dcb roma

Direttore Responsabile: gloria sabatiniDirezione e redazione:Via del serafico 63 - 00142 romae-mail: [email protected] fax: 06 929 41 889Progetto grafico: massimo de maioImpaginazione: emanuela guerraStampato in proprio.

Per collaborare a xFare+Verde:gli articoli vanno corredati di eventualemateriale iconografico (foto, disegni, ecc.)e forniti su file a [email protected] immagini (solo in bianco e nero) vanno salvate in formato Jpeg (.jpg). non si assicura la pubblicazione di immagini fornite in digitale di scarsa qualità (sono richiesti almeno 300 dpi di risoluzione e 10 cm di base). fotografie e materiali iconografici inviati a mezzo posta vanno indirizzati a: fare Verde onlus Via del serafico 63 - 00142 roma

3 L’isola che non dovrebbe esserci

5 La mortificazione normativa del paesaggio in italia

6 sai cosa mangi? La sicurezza alimentare e la necessità di un’informazione trasparente

10 Da slow food a slow towns

12 una firma contro la vivisezione

18 La Attention restoration theory: il legame tra la natura e la qualità della vita

21 un ambientalista a Dakar

23 prendiamo iniziativa: Campobasso. educazione ambientale nelle scuole

#75

/mag

gio-

giug

no 2

013

Alla redazione di questo numero hannocollaborato gratuitamente:giancarlo terzano, giampaolo persoglio,marianna gambino, osel navi, sandro marano, sarah magni, savino gambatesa, simone cretella

Abbonamenti:abbonarsi per 5 numeri (a luglio/agosto non usciamo)costa solo 10,00 euroda versare sul ccp n. 9540 5007intestato a: ass. ambientalista fare Verde onlusVia del serafico 63 - 00142 roma(causale: abbonamento xfare +Verde)

L’abbonamento è gratuito per chi si iscrive a Fare Verde

Per iscriversi a Fare Verde Onlus: [email protected] - www.fareverde.itTel. 333 2985 873 - Fax: 06 929 41 889

si ringrazia in particolar modo quanticomprando il giornale o, meglio ancora, sottoscrivendone l’abbonamento ci aiutano a continuare su questa strada. per chi crede che l’ambiente abbia bisogno di impegno concreto ed un progetto nuovo, l’abbonamento a xfare +Verde é un gesto coerente e conveniente.

4

Page 5: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

In un articolo apparso sul Sole 24 ore del 24 febbraio 2013 intito-lato “Paesaggio: ecco come diamo i numeri” Salvatore Settis torna per l’ennesima volta (finora inascoltato dai politicanti che siedono in Parla-mento) a parlare di paesaggio e, in particolare, ad affrontare la questio-ne relativa all’impatto dell’edilizia sul paesaggio e sul consumo di suolo. E lo fa ponendo l’accento su quello che possiamo considerare un pecca-to d’origine in materia di norme: il divorzio tra tutela dell’ambiente e politica urbanistica. Per la verità, già nella legislazione d’epoca fasci-sta c’era stato un “mancato raccordo fra tutela dei paesaggi (legge Bottai, 1939) assegnata alle Soprintendenze e pianificazione urbanistica control-lata dai Lavori Pubblici.” Entrambe le leggi, però, contenevano dei cor-rettivi contro l’eccessivo consumo di suolo, sancendo la supremazia dello Stato sull’interesse privato. Succes-

La mortificazione normativa del paesaggio in Italia

paes

aggi

o

di Sandro Marano

L’edilizia può essere fattore trainante dell’eco-nomia solo se si intende come manutenzione e riconversione ecologica degli edifici, nel ri-spetto per la tutela dell’ambiente e della ridu-zione del consumo di suolo.

sivamente, il peccato normativo si è aggravato con la Costituzione Italia-na che “assegnando allo Stato la tu-tela del paesaggio (art. 9) e a Regioni e Comuni le competenze urbanistiche (art 117) ha ulteriormente moltiplica-to le competenze.” Fino poi a giun-gere all’attuale situazione normativa, frutto del pressappochismo della casta politica e della perdita del senso dello Stato (l’interesse collettivo) , cioè “al disordinato accavallarsi delle nozio-ni giuridiche non solo di paesaggio (di competenza statale), ma anche di ambiente (con un proprio Ministero) e di suoli agricoli (con relativo Mi-nistero).” La ricostruzione postbellica fu di fatto l’occasione per il saccheg-gio del territorio. Emblematico a que-sto proposito è il film di Antonioni L’avventura (1960), dove le scene ini-ziali lasciano intravedere lo scempio di Roma da parte dei palazzinari. Di grande rilievo, anche sotto il profilo della teoria economica ed etica della

decrescita, l’annotazione che fa, en passant, Settis: fu proprio allora, nel-la ricostruzione indiscriminata e fa-melica seguita al dopo guerra, che si è radicato uno dei pregiudizi con cui più bisogna fare i conti e che è duro a morire, cioè che l’edilizia sia un fat-tore trainante dell’economia. E’ vero invece che spazi notevoli di occupa-zione utile si aprono nella manuten-zione e riconversione ecologica degli edifici, come ha dimostrato Maurizio Pallante nei suoi saggi.

Peraltro, secondo il rapporto Ance-Cresme dell’ottobre 2012 il 10% del territorio italiano è a rischio idrogeo-logico, il 44% a elevato rischio sismi-co, mentre i danni si calcolano in 3,5 miliardi di euro l’anno. La proposta di Settis per superare il vicolo cie-co in cui ci troviamo è conseguente alla sua critica: è, non a torto, quella “di ricomporre in uno questi aspetti, avendo di mira il principio costitu-zionale dell’utilità sociale”. In altre parole, occorre adottare una nuova politica del territorio che misuri “la necessità di nuove edificazioni in re-lazione alle esigenze abitative, tenen-do conto di fattori spesso trascurati: l’incidenza dei fabbricati abbandonati o degradati suscettibili di riuso e la quantificazione delle unità abitative di recente costruzione che sono rima-ste invendute o sfitte”.

5

Page 6: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

scandali alimentari, importazioni da paesi con minori controlli, informazioni incomplete … trop-po spesso rischiamo di non conoscere ciò che fi-nisce sulle nostre tavole. La sicurezza alimentare richiede un’informazione completa e trasparen-te, che indichi gli ingredienti e le provenienze, con controlli e sanzioni per le violazioni.

Sai cosa mangi?La sicurezza alimentare e la necessità di un’informazione trasparentedi Savino Gambatesa

Ha fatto scalpore, nella prima set-timana di febbraio di quest’anno, lo scandalo della presenza di carne di cavallo nelle lasagne Findus in Gran Bretagna, che invece avrebbero dovu-to contenere solo carne di manzo. Lo scandalo detto anche “horsegate” ha avuto un’appendice anche in Irlanda con gli hamburger prodotti dalla mul-tinazionale alimentare irlandese ABP (che riforniva gli oltre 500 punti ven-dita di Burger King nel Regno Unito) e poi in Portogallo, Francia (l’azienda multinazionale francese Spanghero acquistava carne dalla Romania con elevate quantità di carne equina) ed in Italia, dove il colosso svizzero Ne-stlé ha dovuto ritirare dal mercato ra-violi e tortellini con marchio Buitoni

per il sospetto che contenessero carni equine non dichiarate.

In Italia i controlli sono stati subito disposti tramite il servizio veterinario delle Asl, al fine di verificare presso gli stabilimenti di macellazione la presenza di una sostanza, il “fenilbu-tazone” nelle carni. Il fenilbutazone è il principio attivo di un farmaco anti-infiammatorio non steroideo che vie-ne utilizzato in campo veterinario per la cura dei cavalli sportivi affetti da lesioni infiammatorie dell’apparato muscolo-scheletrico. Il farmaco non può essere somministrato a cavalli al-levati a scopo alimentare per gli evi-denti rischi per l’uomo che consumi quelle carni.

Il fenomeno sembra, quindi, non

marginale se, dai controlli effettuati in Germania su diversi campioni, la carne equina è risultata essere pre-sente in una percentuale abbastanza rilevante.

E’ proprio la Germania, però, che acquista i maggiori prodotti alimen-tari dalla Cina. Paese questo con il maggior rischio di contaminazione dei prodotti agricoli. In Cina, infat-ti, i terreni sono i più inquinati del mondo per la massiccia presenza di pesticidi, fertilizzanti e metalli pe-santi come cadmio, mercurio, cromo e piombo. Una rilevazione del Mi-nistero dell’Ambiente, ormai datata, della fine degli anni novanta, aveva censito una percentuale altissima di terreni inquinati. Almeno 1,85 mi-lioni di ettari, pari ad un decimo dei terreni agricoli cinesi. Da allora l’in-quinamento è decisamente aumenta-to e l’ultimo censimento elaborato nel 2006 non è stato ancora pubblicato. Anche l’inquinamento dell’aria delle città è in costante crescita, tanto che il 23 e 24 gennaio scorso a Pechino le polveri sottili hanno toccato i 933 microgrammi per metro cubo e le au-torità hanno invitato gli abitanti del-la città a restare nelle loro abitazioni, visto che i pazienti affetti da problemi respiratori hanno subìto un aumento del 20 – 30 per cento.

Dalla Cina si importa ormai qua-si tutto: miele (la Cina è il maggiore esportatore mondiale), funghi, aspa-ragi, aglio, pomodori. I produttori ci-nesi riescono a soddisfare le esigenze delle aziende importatrici europee sia nel prezzo che nella quantità e per questo sono senz’altro preferiti ad al-tri produttori. Le fragole, ad esempio, vengono vendute dai cinesi in secchi da cinque chilogrammi ad un prezzo imbattibile, ma con quali rischi per il consumatore finale? Ne sanno qual-cosa le migliaia di bambini tedeschi che, a settembre scorso, hanno sof-ferto di diarrea e vomito dopo aver mangiato nelle mense scolastiche fra-gole provenienti dalla Cina contami-nate da “norovirus”.

Eppure i paesi europei continuano

alim

enta

zion

e6

Page 7: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

alim

enta

zion

ead importare prodotti agricoli dalla Cina. Più dell’80 per cento dell’aglio venduto a livello globale arriva dalla Repubblica Popolare Cinese, dove la famosa azienda agricola “Success” ne produce diecimila tonnellate l’anno.

Tra le grandi aziende alimentari si è quindi posto il problema di definire alcuni standard qualitativi per cui nel 2000, a seguito di una serie di crisi di sicurezza alimentare, è stata fon-data la GLOBAL FOOD SAFETY che, attraverso gruppi di lavoro tecnici, definiscono i requisiti di sicurezza alimentare lungo l’intera catena di approvvigionamento alimentare, la distribuzione e l’imballaggio. La GFS sta sviluppando un programma di potenziamento delle capacità per le piccole imprese e/o meno sviluppate, facilitando il loro accesso ai mercati locali.

Ma i rischi di contaminazione am-bientale funzionano anche al con-trario. Questa volta è la produzione di determinati alimenti, come carne, formaggi o verdure che causa un au-mento di gas serra.

Una ricerca effettuata dalla ENVI-RONMENTAL WORKING GROUP ha analizzato i prodotti che causano più emissioni di gas serra. Lo studio, inti-tolato “Meat eat less eat greener”, in-credibilmente vede al primo posto la carne di agnello, poi quella di manzo ed il formaggio.

Infatti, per produrre un chilogrammo di carne di agnello vengono rilasciati nell’atmosfera ben 39 chilogrammi di CO2. Per la carne di manzo, invece, la

quantità di CO2 è di 27 chilogrammi per ogni chilogrammo di carne. Per la produzione di formaggio, la quantità di CO2 rilasciata nell’atmosfera è di 13,5 chilogrammi.

Gli alimenti più virtuosi sono i po-modori e le lenticchie; per ogni chi-logrammo di prodotto si rilascia in atmosfera solo un chilogrammo di anidride carbonica.

In Italia la normativa sulla indica-zione degli ingredienti contenuti nei prodotti è regolamentata dal Decreto Legislativo 27 gennaio 1992 n. 109 e dal Decreto Legislativo 8 febbraio 2006 n. 114. Quest’ultimo è stato emanato in attuazione delle direttive 2003/89/CE, 2004/77/CE e 2005/63/CE in ma-teria di indicazione degli ingredienti contenuti nei prodotti alimentari.

Con questa normativa vengono fissati i principi e definite le finalità dell’etichettatura dei prodotti alimen-tari. L’etichettatura e le modalità di realizzazione sono destinate ad assi-

curare la corretta e trasparente infor-mazione del consumatore, e devono essere effettuate in modo da non in-durre in errore l’acquirente sulla na-tura, identità, qualità, composizione, quantità, conservazione, origine, pro-venienza, modo di fabbricazione e di ottenimento del prodotto.

D.Lgs. 27 gennaio 1992 n. 109Capo I - Disposizioni generaliArticolo 2 - Finalità dell’etichettatura dei prodotti alimentari1. L’etichettatura e le relative moda-lità di realizzazione sono destinate ad assicurare la corretta e trasparente informazione del consumatore. Esse devono essere effettuate in modo da:a) non indurre in errore l’acquirente sulle caratteristiche del prodotto ali-mentare e precisamente sulla natu-ra, sulla identità, sulla qualità, sulla composizione, sulla quantità, sulla conservazione, sull’origine o la pro-venienza, sul modo di fabbricazione o di ottenimento del prodotto stesso;b) non attribuire al prodotto alimen-tare effetti o proprietà che non pos-siede;c) non suggerire che il prodotto ali-mentare possiede caratteristiche particolari, quando tutti i prodotti alimentari analoghi possiedono ca-ratteristiche identiche;d) non attribuire al prodotto alimen-tare proprietà atte a prevenire, curare o guarire una malattia umana nè ac-cennare a tali proprietà, fatte salve le disposizioni comunitarie relative alle

7

Page 8: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

alim

enta

zion

e acque minerali ed ai prodotti alimen-tari destinati ad un’alimentazione particolare.2. I divieti e le limitazioni di cui al comma 1 valgono anche per la pre-sentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari.

Il Decreto Legislativo 8 febbraio 2006 n. 114, ha modificato l’art. 5 del D.Lgs. 109/1992 ed ha specificato la nozione di “Ingredienti”.

Articolo 5 - Ingredienti1. Per ingrediente si intende qualsiasi sostanza, compresi gli additivi, utiliz-zata nella fabbricazione o nella pre-parazione di un prodotto alimentare, ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma modificata.2. Gli ingredienti devono essere desi-gnati con il loro nome specifico; tut-tavia:a) gli ingredienti, che appartengo-no ad una delle categorie elencate nell’allegato I e che rientrano nella composizione di un altro prodotto ali-mentare, possono essere designati con il solo nome di tale categoria;b) gli ingredienti, che appartengono ad una delle categorie elencate nell’al-legato II devono essere designati con il nome della loro categoria seguito

dal loro nome specifico o dal relativo numero CEE.b bis) la designazione “amido(i) che figura nell’allegato I, ovvero quella “amidi modificati di cui all’allegato II, deve essere completata dall’indica-zione della sua origine vegetale speci-fica, qualora l’amido possa contenere glutine. Qualora un ingrediente appartenga a più categorie, deve essere indicata la categoria corrispondente alla fun-zione principale che esso svolge nel prodotto finito.2 bis. Gli ingredienti, elencati nell’Al-legato 2, sezione III, o derivati da un ingrediente elencato in tale sezione, utilizzati nella fabbricazione di un prodotto finito e presenti anche se in forma modificata, devono essere in-dicati nell’elenco degli ingredienti se non figurano nella denominazione di vendita del prodotto finito. 2 ter. Le sostanze derivate da ingre-dienti elencati nell’Allegato 2, sezio-ne III, utilizzate nella fabbricazione di un prodotto alimentare e presenti anche se in forma modificata, devono figurare in etichetta col nome dell’in-grediente da cui derivano; detta di-sposizione non si applica se la stessa sostanza figura già col proprio nome nella lista degli ingredienti del pro-dotto finito. 2 quater. Gli ingredienti elencati all’Allegato 2, sezione III, devono fi-

gurare nell’etichettatura anche delle bevande contenenti alcool in quantità superiore a 1,2 per cento in volume. L’indicazione dell’ingrediente o degli ingredienti o dei derivati di cui all’Al-legato 2, sezione III, è preceduta dal termine “contiene”, se detti ingredien-ti non figurano nella denominazione di vendita o nell’elenco degli ingre-dienti. 3. L’elenco degli ingredienti è costi-tuito dalla enumerazione di tutti gli ingredienti del prodotto alimentare, in ordine di peso decrescente al mo-mento della loro utilizzazione; esso deve essere preceduto da una dicitura appropriata contenente la parola “in-grediente”.4. L’acqua aggiunta e gli altri ingre-dienti volatili sono indicati nell’elenco in funzione del loro peso nel prodot-to finito. L’acqua aggiunta può non essere menzionata ove non superi, in peso, il 5 per cento del prodotto fi-nito.5. La quantità di acqua aggiunta come ingrediente in un prodotto alimentare è determinata sottraendo dalla quan-tità totale del prodotto finito la quan-tità degli altri ingredienti adoperati al momento della loro utilizzazione.6. Nel caso di ingredienti utilizzati in forma concentrata o disidratata e ricostituiti al momento della fabbri-cazione, l’indicazione può avvenire nell’elenco in base al loro peso prima

8

Page 9: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

alim

enta

zion

e

della concentrazione o della disidra-tazione con la denominazione origi-naria.7. Nel caso di prodotti concentrati o disidratati, da consumarsi dopo essere stati ricostituiti, gli ingredienti pos-sono essere elencati secondo l’ordine delle proporzioni del prodotto ricosti-tuito, purché la loro elencazione sia accompagnata da una indicazione del tipo “ingredienti del prodotto ricosti-tuito” ovvero “ingredienti del prodotto pronto per il consumo”.8. Tipi diversi di frutta, di ortaggi o di funghi, dei quali nessuno abbia una predominanza di peso rilevante, quando sono utilizzati in miscuglio in proporzioni variabili come ingredien-ti di un prodotto alimentare, possono essere raggruppati nell’elenco degli ingredienti sotto la denominazione generica di “frutta”, “ortaggi” o “fun-ghi” immediatamente seguita dalla menzione “in proporzione variabile” e dalla elencazione dei tipi di frut-ta, di ortaggi o di funghi presenti. Il miscuglio è indicato, nell’elenco degli ingredienti, in funzione del peso glo-bale della frutta, degli ortaggi e dei funghi presenti. 9. Nel caso di miscuglio di spezie o di piante aromatiche in cui nessuna delle componenti abbia una predomi-nanza di peso rilevante, gli ingredien-ti possono essere elencati in un altro ordine, purché la loro elencazione sia

accompagnata da una dicitura del tipo “in proporzione variabile”.10. Le carni utilizzate come ingre-dienti di un prodotto alimentare sono indicate con il nome della specie ani-male ed in conformità a quanto pre-visto all’allegato I. 10 bis. Gli ingredienti, che costitui-scono meno del 2 per cento nel pro-dotto finito, possono essere elencati in un ordine differente dopo gli altri ingredienti. 10 ter. Gli ingredienti simili o sosti-tuibili fra loro, suscettibili di essere utilizzati nella fabbricazione o nella preparazione di un prodotto alimen-tare senza alterarne la composizio-ne, la natura o il valore percepito, purché costituiscano meno del 2 per cento del prodotto finito e non siano additivi o ingredienti elencati nell’Al-legato 2, sezione III, possono essere indicati nell’elenco degli ingredienti con la menzione “contiene... e/o...”, se almeno uno dei due ingredienti sia presente nel prodotto finito. 11. Un ingrediente composto può fi-gurare nell’elenco degli ingredienti con la propria denominazione previ-sta da norme specifiche o consacrata dall’uso in funzione del peso globale, purché sia immediatamente seguito dalla enumerazione dei propri com-ponenti.12. La enumerazione di cui al com-ma 11 non è obbligatoria:

a) se l’ingrediente composto, la cui composizione è specificata dalla nor-mativa comunitaria in vigore, rappre-senta meno del 2 per cento del pro-dotto finito; detta disposizione non si applica agli additivi, salvo quanto disposto all’articolo 7, comma 1;b) se l’ingrediente composto, costi-tuito da miscugli di spezie e/o erbe, rappresenta meno del 2 per cento del prodotto finito; detta disposizione non si applica agli additivi, salvo quanto disposto all’articolo 7, comma 1;c) se l’ingrediente composto è un prodotto per il quale la normativa comunitaria non rende obbligatorio l’elenco degli ingredienti. 13. La menzione del trattamento di cui all’art. 4, comma 3, non è obbli-gatoria, salvo nel caso sia espressa-mente prescritta da norme specifiche; l’ingrediente sottoposto a radiazioni ionizzanti, tuttavia, deve essere sem-pre accompagnato dall’indicazione del trattamento.

Si attende ora una riforma più strut-turata della materia, che forse vedrà a breve un Decreto Legislativo. Infatti, il Consiglio dei Ministri nella seduta del 14 settembre 2012 ha approvato il Disegno di Legge di delega al Governo in materia di sicurezza alimentare.Il Decreto legislativo da adottare do-vrà prevedere la realizzazione di un testo unico della normativa e regola-mentare la materia sui principi ed i criteri fondamentali dell’Unione Eu-ropea.Innanzitutto, si dovrà sfoltire la nor-mativa solo formalmente vigente ma superata ed ordinare in manie-ra omogenea i diversi settori che ri-guardano la sicurezza alimentare.Si dovranno potenziare le sanzio-ni penali e amministrative previste dalla normativa di settore e coordi-nare meglio tutti i soggetti coinvol-ti nell’attività di controllo ufficiale. Ciò al fine di assicurare al Ministero della Salute e alle autorità europee un canale privilegiato di accesso ai dati raccolti durante le attività di controllo.

9

Page 10: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

stili

di v

ita

Nelle strade di queste città si in-contrano produttori locali che ven-dono i propri prodotti in strutture ambulanti, i supermarket offrono ai visitatori una selezione di prodotti da forno fatti in casa, artigianato e ortofrutta, i sindaci di queste città si impegnano ad esaltare i tratti distin-tivi del luogo, le tradizioni e le pro-duzioni locali, promuovere eventi per la comunità, offrire un alto standard di ospitalità turistica, incrementare la qualità della vita tutelando l’am-biente e le sue risorse.

Molte di queste attività sono o erano la normalità in molti comuni di Italia, infatti è da un movimento italiano che è partita l’iniziativa che non vuol essere solo un logo. La lo-gica del movimento Slow Food si è

diffusa in tutto il mondo e si è allar-gata anche in altri settori della vita quotidiana, alle comunità locali e al governo delle città.

Il Movimento Cittaslow, rete in-ternazionale delle città del buon vi-vere, è nato nel 1999 dall’intuizione di Paolo Saturnini, allora sindaco di Greve in Chianti, fatta propria dai sindaci delle città di Bra Francesco Guida, di Orvieto Stefano Cimicchi e di Positano Domenico Marrone, e accolta da Carlo Petrini, Presidente di Slow Food.

I Comuni che aderiscono all’asso-ciazione sono animati da individui che rispettano il succedersi delle sta-gioni, che pensano di essere quel che si mangia e sono quindi attenti alla genuinità dei prodotti alimentari,

valorizzano le tradizioni artigiane, di preziose opere d’arte, di piazze, di teatri, di botteghe, di caffè, di risto-ranti, luoghi dello spirito e paesag-gi incontaminati, tradizioni pagane, riti religiosi nel rispetto della storia e della cultura di un luogo e di un lento e quieto vivere.

Il fatto curioso, è notare come il movimento “SlowFood” abbia preso piede in luoghi che non godono di una grande reputazione culinaria. Prendiamo come esempio la Citta-slow di Aylsham, in Inghilterra, dove Slow Food ha un’immagine troppo raffinata, di alta gastronomia e un po’ snob. La logica è un’altra e tanti cittadini lo hanno compreso e si im-pegnano in iniziative per promuovere semplicemente i loro prodotti, quale che sia il loro cibo locale o tradizio-ni. Le comunità si sono organizzate su misura, in base alle loro possibi-lità e propensioni, organizzando tal-volta dei festival, come nel caso di Ayslam Food festival. Ma l’impegno verte anche per un sistema più ECO: iniziative per la riduzione dei rifiuti, per la mobilità sostenibile e l’effi-cientamento energetico degli edifici e per l’illuminazione stradale.

Altre resistenze alla diffusione di buone pratiche, di diversi stili di vita o di iniziative che difendono tradi-zioni, provengono dal timore di tor-nare indietro, di sembrare retrogra-di, dell’abbandono della modernità, della comodità e della tecnologia. Tematiche per altro molto affrontate in questo periodo di crisi economica e sociale che vede tutta l’umanità, paesi occidentali compresi, costretta fare i conti con il problema dell’ap-provvigionamento di risorse scarse o prossime a terminare come il petro-lio e l’accessibilità a beni comuni e decisivi come l’acqua potabile e cibi sani.

Il movimento “Slow” lotta per “la difesa del tranquillo e il lento piacere materiale contro la follia universale della fast life”. Del resto la confusio-ne fra efficienza e frenesia aveva ca-ratterizzato lo sviluppo economico e

in attesa che i Governi centrali facciano riforme strutturali, le realtà locali fanno rete e si mobilita-no, in italia e nel mondo, all’insegna dello “slow”, del piacere lento e della sostenibilità locale.

Da slow food a slow townsdi Marianna Gambino

10

Page 11: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

IL MOVIMENTO SLOW.

Ci sono ad oggi 167 Cittaslow in 25 Paesi del mondo (dato aggior-nato a novembre 2012), Australia, Austria, Belgio, Cana-da, Cina, Corea del Sud, Dani-marca, Finlandia, Francia, Ger-mania, Irlanda, Italia, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti, Sud Africa, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria.Anche negli USA dove nel 2010 sono stati lanciate tre Cittaslow in California, rallentando la su-premazia di colossi quali McDo-nald’s, Kentucky Fried Chicken e Taco Bell,

Slow in inglese significa anche stupido, da qui l’iniziale diffi-denza verso il movimento che ha preso piede anche nei paesi an-glofoni.

Da slow food a slow towns

culturale di tutta la seconda metà del secolo scorso, dominato dalla frene-sia di essere “più veloci per produrre di più”. Ma così facendo la qualità di-venta un valore secondario, elemento da limare il più possibile, ottenendo a volte imbarazzanti risultati, sia per i prodotti, sia per le realtà urbane. Probabilmente stiamo varcando un punto di non ritorno e da quel punto in avanti, volenti o nolenti, bisogne-rà “decrescere”, consumare meno, adottare pratiche e stili di vita più sobri che abbiano sempre presente il consumo critico di risorse. Per for-tuna, c’è sempre più gente che se ne rende conto, anche tanti giovani che aggiungono entusiasmo, conoscenze e consapevolezza.

“La qualità della vita” come punto di riferimento, accomuna anche altre associazioni come quella, nata nel 2005, dei Comuni virtuosi, che conta

più di 60 comuni. Essi dicono no al consumo del suolo, vogliono ridur-re l’impronta ecologica, promuovere una corretta gestione dei rifiuti, in-centivare nuovi stili di vita più sobri e sostenibili, autoproduzione, filiera corta, cibo biologico e di stagione, sostegno alla costituzione di grup-pi di acquisto, turismo ed ospitalità sostenibili, promozione della cultura della pace, cooperazione e solidarie-tà, diffusione del commercio equo e solidale, banche del tempo, finanza etica, etc, favorendo il più possibile l’autoproduzione di beni e lo scambio di “servizi”, sottraendoli al mercato per una società della sobrietà ispirata ai temi della de-crescita” (dall’art. 4 dello Statuto dei Comuni Virtuosi). Sempre con meno timore si parla in-fatti di Decrescita Felice, come uni-ca soluzione, essendo comunque la decrescita economica già in atto, c’è

la volontà di molti di renderla meno indolore e addirittura “felice”.

Se guardiamo la nostra Peni-sola, ma senza perdere lo sguardo internazionale, di fronte all’immo-bilismo legislativo statale, avanti all’assenza di iniziative alternative e di riforme strutturali, gli enti locali si fanno promotori del cambiamento con l’appoggio e in collaborazione dei cittadini, promotori e partecipi di tante iniziative, più che semplici spettatori.

Speriamo che la sensibilità e la lungimiranza di questi piccoli go-verni locali raggiunga e coinvolga anche il governo centrale, per una svolta che dia un segnale forte. Forse un’utopia, ma per raggiungere grandi risultati, bisogna anche avere gran-di obiettivi, e quindi un governo che tenda alla felicità dei suoi cittadini e non alla sola crescita economica.

stili

di v

ita

11

Page 12: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

Una firma contro la vivisezionedi Giancarlo Terzano

L’obiettivo è ambizioso, ma raggiungibile: rac-

cogliere, entro il 1 novembre 2013, un milio-

ne di firme di cittadini europei per rivedere la

Direttiva 2010/63/ue, quella sulla protezione

degli animali utilizzati ai fini scientifici. una

direttiva che, nonostante il nome garantista,

non fa passi avanti sul tema del superamento

della vivisezione e anzi, per alcuni aspetti, co-

stituisce un regresso rispetto alla normativa

europea precedente e a quella italiana.

La scorsa estate, ha avuto una va-sta eco mediale la questione di Green Hill, l’allevamento a Montichiari (BS) di cani beagle destinati alla speri-mentazione. Dopo numerose denun-ce, giudiziarie e giornalistiche, sui maltrattamenti cui erano sottoposti i suoi involontari “ospiti”, la Procura di Brescia dispose finalmente il se-questro della struttura e dei cani, che sono stati provvisoriamente affidati a volontari. Una questione tuttavia non chiusa, che prosegue oggi nei tri-bunali, e che comunque ha avuto il merito di attirare l’attenzione su un mondo, quello della sperimentazio-ne sugli animali, che non gradisce i riflettori. Perché, nonostante il senso comune della gente veda negativa-mente le sofferenze inferte agli ani-mali (in un sondaggio del 2006, oltre l’80% dei cittadini europei esprime-va la sua contrarietà al metodo), ba-sta non rendere visibile il fenomeno, tenerlo nascosto entro le mura dei laboratori, magari depurandolo dei suoi aspetti di concreta sofferenza attraverso l’asettico linguaggio scien-tifico o burocratico (come fa la Diret-tiva 2010/63, che chiama “procedure” quelli che sono esperimenti su esseri senzienti).

Sul tema vivisezione ci siamo già

espressi (vedi dossier L’Inferno della vivisezione, in xfare+vede n. 42/2004, http://www.fareverde.it/blog/articoli-e-interviste/dossier-14.html), eviden-ziando le riserve etiche, ma anche scientifiche, che caratterizzano tale pratica, nonché le alternative possi-bili. Sul piano etico, si tratta di pren-

dere atto che gli animali sono esse-ri senzienti, e che ripugna applicare loro trattamenti che noi umani defi-niremmo senza esagerazioni torture (accecamenti, ustioni, avvelenamenti, virus e cancri procurati, …). Tanto più che, sul piano scientifico, tali tratta-menti non appaiono giustificati: le differenze genetiche che esistono tra le varie specie animali determinano che ciò che è buono o cattivo per un animale non sempre è tale anche per l’uomo. Gli esempi del botulino, inno-cuo per i gatti ma tossico per l’uomo, o quello contrario della penicillina, utile all’uomo ma nociva per le cavie, sono solo alcuni tra i più noti, che attestano la divergenza di risultati tra le specie, con il risultato finale che l’unica vera sperimentazione, valida per gli uomini, è quella fatta sugli uo-mini stessi. Il che significa che la vi-visezione non è soltanto crudele, ma è anche, sul piano scientifico, inutile e addirittura dannosa, potendo dare via libera a prodotti testati su animali che si riveleranno pericolosi per gli uomi-ni o, al contrario, ritardare l’utilizzo di prodotti validi ma risultati negativi

anim

alis

mo

12

Page 13: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

anim

alis

mo

Fonte: Ministero della Salute, G.U. 53 marzo 2011, n. 53

tab. 1 – animali utilizzati in italia per fini scientifici o sperimentali nel triennio 2007-2009

per qualche specie animale (come fu il caso della penicillina).

Le alternative, peraltro, ci sarebbero. La ricerca clinica, l’epidemiologia, au-topsie e biopsie, le colture di cellule e di tessuti umani, tecniche in vitro, of-frono dati più attendibili per la nostra salute, in quanto relativi a esperienze sull’uomo. Eppure, tradizioni scien-tifiche e pigrizie culturali, facilità di accesso ai test e carriere universitarie costruite sulla ricerca, i consolidati interessi economici, perpetuano il si-stema; che trova impulso anche nel tentativo, prima di introdurre un nuo-vo farmaco o altro prodotto, di poter dire di aver fatto tutto il possibile. Ma “tutto il possibile” non è, è solo un inutile e a volte fuorviante “di più”.

Così i numeri della vivisezione ri-mangono alti. Gli ultimi dati disponi-bili per l’Italia, pubblicati nel marzo 2011 e relativi al triennio 2007-2009 (il Ministero della Salute li pubblica con cadenza triennale), parlano, per il solo 2009, di circa 830.000 anima-li utilizzati, in massima parte topi e ratti, ma anche cani, gatti, scimmie, cavalli, conigli, uccelli, pesci, anfi-bi, ovini, suini e bovini … un vasto elenco di specie, con animali gene-ticamente diversissimi tra loro e ri-spetto all’uomo, che volta per volta sono ritenuti “degni”, dai ricercatori, di sperimentazioni (tab.1). E sebbene la fredda contabilità evidenzi dei mi-glioramenti (ogni anno si riduce il nu-mero di animali utilizzati e nel 2009 sono scomparsi dagli elenchi i gatti), sono ancora tantissimi gli animali co-stretti nei laboratori a subire violenze di dubbia utilità.

In Europa, i numeri più alti si re-gistrano in Francia, Regno Unito e Germania, paesi in cui la ricerca e l’industria farmaceutica hanno un peso notevole. Nell’ultimo dato dispo-nibile (anche l’UE pubblica i dati con cadenza triennale), relativo al 2008, gli animali utilizzati sono stati oltre 12.000.000, per l’80% roditori (topi e ratti) e conigli (tab. 2).

In materia di cosmetici, finalmente è stato eliminato il ricorso alla vivi-

sezione. A conclusione di un lungo percorso a tappe, durato quasi 20 anni, dall’11 marzo di quest’anno la produzione e la commercializzazione di cosmetici nell’Unione Europea do-vrà essere ottenuta totalmente senza esperimenti sugli animali. Un grande risultato, anche perché, una volta che l’Europa chiude le frontiere ai pro-dotti non cruelty-free, c’è da sperare che anche il resto del mondo, a par-tire da Cina e Stati Uniti, si adeguerà a produzioni non crudeli, pur di far entrare i loro cosmetici nel Vecchio Continente.

Non marcia, invece, nella stessa di-rezione la nuova Direttiva 2010/63, denominata, forse un po’ troppo eu-femisticamente, Sulla protezione degli

animali utilizzati ai fini scientifici, e le cui disposizioni si applicano dal 1 gennaio 2013.

Con essa, l’Europa non solo non ha avuto il coraggio di dire no alla vivisezione, ma, nell’intento di ar-monizzare le leggi tra i diversi Stati, è giunta anche a risultati regressivi rispetto ad alcune legislazioni nazio-nali più protettive e alla stessa prece-dente normativa comunitaria (la Dir. 86/609/CEE, recepita in Italia con il D.Lgs. 27.1.1992, n. 116).

Scopo primario della Dir. 63 è quello di ravvicinare le disparità tra gli Stati membri, e garantire così “il corretto funzionamento del mercato interno”. Preso atto che i livelli di protezione degli animali nei diversi paesi erano

13

Page 14: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

*dati del 2007

tab. 2 – animali utilizzati a scopo d’esperimento nei paesi membri della ue nel 2008

*

anim

alis

mo differenti, l’Unione Europea ha deciso

di intervenire con norme di maggior dettaglio, che però in alcuni casi ri-bassano il livello di protezione rag-giunto in alcuni Stati.

Gli imbarazzi del legislatore sono ben leggibili nelle premesse della Di-rettiva: 56 articoli di “considerando”, nei quali si affermano il valore intrin-seco degli animali, la consapevolezza che sia scientificamente dimostrato che possano provare dolori e angosce, l’opportunità di ridurre al minimo in-dispensabile le sofferenze, l’auspicio di arrivare ad una completa elimina-zione delle procedure su animali vivi, l’opportunità di agevolare lo sviluppo di approcci alternativi. Premesse che tuttavia vengono poi smontate dall’af-fermazione che scientificamente non sia ancora possibile farne a meno e che l’impiego di animali vivi continui ad essere necessario per tutelare la sa-lute umana e animale e l’ambiente.

Nel concreto, tale contraddizione porta al risultato che nessuna delle pur tante buone disposizioni riesce a diventare un argine assoluto, e tutte, come vedremo, sono oggetto di pos-sibili deroghe. Un’occasione persa per l’Europa, che magari, pur continuando a ritenere utile la vivisezione, avrebbe comunque potuto fissare come invali-cabili alcune misure di “civiltà”, come, ad esempio, l’obbligo di anestesia o il divieto di utilizzare cani randagi.

Nel suo linguaggio burocratico-scientifico, la nuova Direttiva defini-sce asetticamente “procedure” le pra-tiche di sperimentazione sugli animali (la Dir. 86/2609/CEE parlava invece di “esperimento”, conservando almeno il senso dell’incognita dei risultati). Una lettura dell’allegato VIII, che classifica le “procedure” in base alla gravità, e in particolare del terzo gruppo, quel-lo delle procedure gravi, ci restituisce per intero l’idea di cosa si parla: prove di tossicità o di potenza dei vaccini che hanno come fine ultimo la morte (tra queste il c.d. LD50, che prevede che si iniettino negli animali dosi cre-scenti di prodotti, finché la metà delle cavie non muore), irradiazione o che-

mioterapia in dosi letali, induzione di tumori, interventi chirurgici in grado di causare deterioramenti persistenti, fratture e traumi, riproduzione di ani-mali con alterazioni genetiche, scosse elettriche, immobilizzazione forzata, isolamento completo per lunghi perio-di di specie socievoli (es. cani), nuoto forzato fino a esaurimento … (vedi riquadro Classificazione della gravità delle procedure). Vogliamo davvero considerarle asetticamente semplici “procedure”?

Vediamo adesso alcuni degli aspetti più criticati della nuova Direttiva.

Gli Stati membri non potranno adot-tare nuove norme più protettive.Mentre la precedente direttiva, la n. 86/609/CEE, pur ugualmente volta ad avvicinare le legislazioni naziona-li e ad evitare distorsioni al mercato, consentiva ai singoli Stati membri di adottare norme più rigide per la pro-tezione degli animali, la 2010/63 con-sente solo di mantenere le misure più favorevoli già vigenti al 9 novembre 2010, ma non di fissarne di nuove (art.

2). La stessa salvaguardia delle misure già vigenti al 9 novembre 2010 non consentirà, comunque, di vietare o ostacolare l’uso di animali allevati o tenuti in altri Stati membri (con mi-nori garanzie), né di ostacolare l’im-missione sul mercato di prodotti deri-vanti dall’uso di tali animali.

Gli effetti di tale limitazione sono purtroppo prevedibili: non solo nel futuro gli Stati membri non potranno legiferare in senso più protettivo, ma anche le attuali norme più protettive vengono di fatto ad essere svuotate dall’obbligo di garantire comunque la libera circolazione di animali e di prodotti ottenuti tramite regole meno rigorose. In fin dei conti, gli Stati oggi più protettivi potranno solo conti-nuare a limitare i loro cittadini e le loro imprese, ma dovranno comun-que aprire le porte ad animali tenu-ti e prodotti ottenuti secondo norme meno protettive. E’ purtroppo facile prevedere che le imprese degli Stati più protettivi lamenteranno di essere discriminate rispetto ai loro concor-renti europei, con il fondato rischio di una revisione peggiorativa anche

14

Page 15: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

tab. 2 – animali utilizzati a scopo d’esperimento nei paesi membri della ue nel 2008Fonte: Commissione Europea, Sesta relazione sulle statistiche riguardanti il numero di animali utilizzati a fini sperimentali o al altri fini scienti-fici negli Stati membri dell’Unione europea SEC(2010) 1107.

anim

alis

mo

delle norme nazionali oggi più favo-revoli agli animali.

Obbligatorietà dei soli metodi so-stitutivi previsti dalla legislazione dell’Unione. Nonostante tra i “considerando” la direttiva auspichi la sostituzione dell’uso di animali vivi negli esperi-menti e affermi l’intento di agevolare e promuovere approcci alternativi, i metodi sostitutivi non sono stati resi obbligatori, a meno che siano ricono-sciuti dalla legislazione dell’Unione (artt. 4 e 13).

La prima bozza della Direttiva consentiva invece agli Stati membri di vietare sperimentazioni sugli ani-mali laddove lo stesso risultato fosse raggiungibile attraverso altri metodi scientificamente soddisfacenti che non ne prevedessero l’uso. Nella ver-sione definitivamente approvata, fer-

mo restando il divieto di alcuni me-todi in base alle legislazioni nazionali (purché sempre già vigenti al 9 no-vembre 2010), diventano obbligatori i soli metodi sostitutivi ammessi da leggi dell’Unione Europea.

In realtà, sono pochi i metodi sosti-tutivi previsti dall’Unione, a danno di molti altri test sostitutivi già afferma-ti che i singoli Stati membri, in base anche al loro livello di sensibilità, avrebbero potuto rendere obbligatori.

Specie minacciate di estinzione.In linea generale, le specie minacciate di estinzione non possono essere uti-lizzate per esperimenti (art. 7). Tale regola, tuttavia, può essere derogata, oltre che per la ricerca finalizzata alla conservazione della specie stessa, an-che per ricerche per la salute di esseri umani, animali e piante, e per testare l’efficacia e l’innocuità di medicinali

e prodotti alimentari.La condizione richiesta è che sia

impossibile raggiungere lo scopo dell’esperimento utilizzando spe-cie diverse: una valutazione, questa sull’impossibilità, inevitabilmente ri-messa al mondo stesso della ricerca.

Anche qui la nuova direttiva è più ampia rispetto a quella del 1986, che pur ammettendo, quale eccezione, la sperimentazione per le specie in via d’estinzione, richiedeva il requisito dell’essenzialità delle verifiche medico biologiche (in teoria, oggi si potrebbe sperimentare su un panda o su una ti-gre anche per un banale raffreddore).

L’art. 7 esclude inoltre dal divie-to di sperimentazione gli animali, pur appartenenti a specie minacciate d’estinzione, nati o allevati in cattivi-tà o riprodotti artificialmente.

Primati non umani.La sperimentazione sui primati non umani (scimpanzé, gorilla, oranghi, macachi ecc.) costituisce uno dei pun-ti più dibattuti, in considerazione del-la loro maggiore vicinanza all’uomo, sia dal punto di vista genetico che da

15

Page 16: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

La gravità della procedura è determinata in base al livello di dolore, sofferenza, angoscia o danno prolungato cui sarà pre-sumibilmente sottoposto il singolo animale nel corso della pro-cedura stessa.

Le categorie previste sono 4:1) non risveglio: le procedure condotte interamente in ane-stesia generale da cui l’animale non può riprendere coscienza. 2) Lieve: le procedure sugli animali che causano probabilmente dolore, sofferenza o angoscia lievi e di breve durata, nonché le procedure che non provocano un significativo deterioramento del benessere o delle condizioni generali degli animali. 3) Moderata: le procedure sugli animali che causano probabil-mente dolore, sofferenza o angoscia moderati e di breve dura-ta, ovvero dolore, sofferenza o angoscia lievi e di lunga durata, nonché le procedure che provocano probabilmente un dete-rioramento moderato del benessere o delle condizioni generali degli animali. 4) Grave: le procedure sugli animali che causano probabilmen-te dolore, sofferenza o angoscia intensi, ovvero dolore, soffe-renza o angoscia moderati e di lunga durata, nonché le proce-dure che provocano probabilmente un deterioramento grave del benessere o delle condizioni generali degli animali.

Sono esempi di procedura “grave”: a) prove di tossicità in cui la morte è il punto finale, o si pr-vedono decessi accidentali e sono indotti stati patofisiologici gravi. Ad esempio, prova di tossicità acuta con dose unica (cfr. orientamenti OCSE in materia di prove); b) prova di dispositivi che, in caso di guasti, possono causare dolore o angoscia intensi o la morte dell’animale (ad esempio dispostivi cardiaci); c) prova di potenza dei vaccini caratterizzata da deterioramen-to persistente delle condizioni dell’animale, graduale malattia

che porta alla morte, associate a dolore, angoscia o sofferenza moderati e di lunga durata; d) irradiazione o chemioterapia in dose letale senza ricostitu-zione del sistema immunitario, ovvero con ricostituzione e rea-zione immunologica contro l’ospite nel trapianto; e) modelli di induzione di tumori o tumori spontanei che si prevede causino malattia progressiva letale associata a dolore, angoscia o sofferenza moderati di lunga durata Ad esempio, tumori che causano cachessia, tumori ossei invasivi, tumori metastatizzati e tumori che causano ulcerazioni; f) interventi chirurgici e di altro tipo in anestesia generale che si prevede causino dolore, sofferenza o angoscia postoperatori intensi, oppure moderati e persistenti, ovvero deterioramento grave e persistente delle condizioni generali dell’animale. Pro-duzione di fratture instabili, toracotomia senza somministra-zione di idonei analgesici, ovvero traumi intesi a produrre in-sufficienze organiche multiple; g) trapianto di organi in cui il rigetto può causare angoscia in-tensa o deterioramento grave delle condizioni generali dell’ani-male (ad esempio xenotrapianto); h) riproduzione di animali con alterazioni genetiche che si pre-vede causino deterioramento grave e persistente delle condi-zioni generali, ad esempio morbo di Huntington, distrofia mu-scolare, nevriti croniche recidivanti; i) uso di gabbie metaboliche con limitazione grave del movi-mento per un lungo periodo; j) scosse elettriche inevitabili (ad esempio per indurre impoten-za acquisita); k) isolamento completo di specie socievoli per lunghi periodi, ad esempio cani e primati non umani; l) stress da immobilizzazione per indurre ulcere gastriche o in-sufficienze cardiache nei ratti; m) nuoto forzato o altri esercizi in cui il punto finale è l’esau-rimento.

CLASSIFICAZIONE DELLA GRAVITA’ DELLE PROCEDURE (all. VIII alla Direttiva 2010/63)an

imal

ism

o

quello comportamentale ed intelletti-vo. Nel settembre 2007, il Parlamento europeo chiese alla Commissione di metter fine all’uso in esperimenti delle scimmie antropomorfe e di quelle pre-levate dall’ambiente naturale; richie-sta che, dopo le reazioni di ricercatori e scienziati, portò alla costituzione di un apposito comitato scientifico che sancì che, allo stato delle conoscenze, non era ancora possibile fare a meno dei primati nella ricerca biomedica.

In base agli ultimi dati, risalenti al 2008, sono 9.568 i primati in Europa utilizzati in esperimenti, principal-mente finalizzati a valutare la sicurez-za ed efficacia dei farmaci e dispositivi medici (la legislazione europea in ma-teria di farmaci prevede per altro che l’autorizzazione alla commercializza-zione di nuovi prodotti possa essere effettuata solo dopo che la sperimen-tazione ha riguardato un’altra specie animale, diversa dai roditori).

Anche per i primati, la Direttiva vie-ta, in linea generale, la sperimentazio-ne, ammettendola però per la ricerca di base (una novità del testo finale

approvato) e quella medica condotta allo scopo di “evitare, prevenire, dia-gnosticare o curare affezioni umane debilitanti o potenzialmente letali” e sempre che sia impossibile raggiunge-re lo scopo utilizzando specie animali diverse (art. 8). La stessa norma, pe-raltro, chiarisce che per “affezione de-bilitante” si intende “la riduzione delle normali funzioni fisiche o psichiche di una persona”: una accezione ab-bastanza ampia, tale da comprendere raffreddori, mal di testa, influenze …

Due “clausole di salvaguardia” con-tenute nell’art. 55, consentono peral-tro ai singoli Stati membri di dero-gare, ammettendo in via provvisoria l’uso dei primati anche al di fuori dei casi di affezioni umane debilitanti o potenzialmente letali, e l’uso di scim-mie antropomorfe, altrimenti vietato.

Animali prelevati allo stato selvatico.L’art. 9 prevede che gli animali prele-vati allo stato selvatico non possano essere utilizzati per la sperimentazio-ne. Ciò per ragioni scientifiche, visto che non se conoscono i precedenti e

che la cattura comporta spesso trau-mi e lesioni, oltre che etiche, vista la maggiore angoscia di un animale vis-suto allo stato naturale e poi costretto in un laboratorio.

Anche questo principio tuttavia è suscettibile di deroghe, laddove sia scientificamente provato che è impos-sibile raggiungere lo scopo utilizzan-do un animale allevato.

Per i primati, tuttavia, nel timore che gli esemplari disponibili negli al-levamenti non fossero sufficienti per le richieste di esperimenti, l’art. 10 prevede una moratoria che potrebbe arrivare anche al novembre 2022, che consente l’impiego di animali cattura-ti in natura.

Animali randagi e selvatici di specie domestiche.

Vittime di sperimentazione potran-no essere anche cani e gatti randagi. Nonostante, in linea di massima, gli animali randagi e selvatici delle spe-cie domestiche non possano essere impiegati nelle “procedure”, la Diretti-va concede deroghe nel caso di “studi

16

Page 17: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

anim

alis

moriguardanti la salute e il benessere di

tali animali o gravi minacce per l’am-biente e la salute umana o animale e” sia “scientificamente provato che è impossibile raggiungere lo scopo … se non utilizzando un animale selvatico o randagio” (art. 11).

Anche qui la nuova direttiva co-stituisce un peggioramento rispetto a quella precedente, che, in maniera più netta, escludeva gli esperimenti per gli animali randagi delle specie dome-stiche e la stessa possibilità di deroghe per cani e gatti.

Sofferenze degli animali e riutilizzo.Nelle sue premesse, la Direttiva rico-nosce che gli animali sono esseri sen-zienti e che sarebbe opportuno fissare limiti massimi di dolore, al di là dei quali non dovrebbero essere soggetti a sperimentazioni. E, opportunamen-te, fissa livelli di gravità differenziati, a seconda dell’entità e della durata delle sofferenze.

Tuttavia, il solito sistema di deroghe rischia di annullare le buone intenzio-ni. In materia di anestesia, ad esem-pio, l’art. 14 impone che gli esperi-menti siano effettuati sotto anestesia totale o locale, ma non assolutizza tale principio di civiltà, e consente in-vece di derogarvi, quando l’anestesia sia ritenuta incompatibile con lo sco-po dell’esperimento.

Anche l’art. 15, nel vietare l’effet-tuazione di procedure in grado di causare dolori, sofferenze o angosce che potrebbero protrarsi oltre l’espe-rimento e non essere alleviate, ha la sua “clausola di salvataggio” che au-torizza l’adozione di misure provvi-sorie (seppur per motivi eccezionali e scientificamente giustificati).

Lascia perplessi anche la possibi-lità di riutilizzo degli stessi animali: seppur limitata alle sole “procedure” classificate come lievi o moderate, essa consente un riutilizzo teoricamente illimitato, per esperimenti, peraltro, non sempre leggeri (tra le “procedure moderate” rientrano ad esempio anche operazioni chirurgiche, l’induzione di tumori, l’irradiamento e la chemiote-

rapia, test di tossicità cronica). Inoltre, in “casi eccezionali” non meglio spe-cificati, potrà essere autorizzato anche il riutilizzo, seppur per una sola volta, di animali sottoposti a trattamenti che comportano “intenso dolore, ango-scia o sofferenza” (cioè le “procedure” classificate come gravi).

Le disposizioni della Direttiva sono in vigore dal 1° gennaio scorso (non in Italia, che a causa del vuoto di go-verno non ha ancora approvato la legge di recepimento).

I cittadini europei possono però far sentire il loro dissenso, attraverso il c.d. diritto di iniziativa, una sorta di petizione popolare che, una volta raccolte almeno 1 milione di firme in almeno 7 paesi dell’Unione, obbliga la Commissione Europea a valutare la ri-chiesta e a rispondere in merito.

Contro la Direttiva 2010/63 è partita quindi una raccolta di firme, per chie-

derne l’abrogazione e la presentazione di una nuova direttiva, stavolta “fina-lizzata al definitivo superamento della sperimentazione animale e che renda obbligatorio per la ricerca biomedica e tossicologica l’utilizzo di dati spe-cifici per la specie umana in luogo dei dati ottenuti su animali” (www.stopvivisection.eu.it). Tra gli organiz-zatori del Comitato promotore, e suo referente per l’Italia, il professor Gian-ni Tamino, biologo presso l’Università di Padova e storico ambientalista. Per firmare, basta andare sul sito istitu-zionale http://ec.europa.eu/citizens-initiative/public/initiatives/ongoing/details/2012/000007/it, e sottoscrivere la dichiarazione di sostegno, indican-do gli estremi di un valido documen-to di riconoscimento. Per i cittadini italiani, è necessario aver compiuto 18 anni (non serve invece l’iscrizione nelle liste elettorali). La raccolta di fir-me si concluderà il 1 novembre 2013.

17

Page 18: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

La Attention Restoration Theory: il legame tra natura e qualità della vitail contatto con un luogo naturale porta un

benessere totale. La persona recupera dallo

stress attenzionale quotidiano e vive uno sta-

to emozionale di fascinazione che stimola una

rigenerazione fisica e mentale.

di Sarah Magni*

Secondo la teoria di Kaplan (1989, 1995) denominata Attention Resto-ration Theory (ART), la possibilità di trascorrere un periodo di tempo in un ambiente naturale dona beneficio cognitivo e benessere, viene quindi vissuta un’esperienza rigenerativa. La permanenza in un luogo naturale conduce principalmente a due bene-fici: prima di tutto l’individuo ha un recupero della fatica attenzionale in seguito all’abbandono momentaneo di tutte le distrazioni della vita quo-tidiana che producono affaticamento della concentrazione, in secondo luo-go viene concesso alla mente un mo-

mento di riflessione durante il quale diventa possibile pensare a questioni e problemi personali. Questi benefici sono essenzialmente legati al tipo di luogo e alle sue caratteristiche quali-tative; esiste cioè un legame tra i ca-ratteri dell’ambiente e il grado di re-storation, cioè di benessere, che esso può generare. Tra le caratteristiche fondamenta-

li necessarie per beneficiare questo tipo di recupero vi è quella di being away, essa corrisponde al discosta-mento dell’ambiente rispetto a quello frequentato quotidianamente. Fonda-mentale risulta essere l’extent che rap-

presenta la complessità del luogo cir-costante ma al contempo la coerenza rispetto allo schema mentale, all’idea di quel tipo di ambiente acquisita tramite l’esperienza. La complessità promuoverà in questo senso la neces-sità di esplorazione del luogo. Nasce la possibilità di spostarsi all’interno di uno spazio non necessariamente esteso, come un parco o un giardino, che viene valutato cognitivamente come un mondo contenente diverse informazioni interessanti. Secondo gli studi di Kaplan anche la presenza di costruzioni in pietra, legno o con un effetto antico facilitano l’esperienza ristorativa (Kaplan, Kaplan e Ryan; 1998). Il luogo naturale potrebbe es-sere situato all’interno di un ambiente urbano costruito ed evocherebbe allo stesso modo una sensazione di benes-sere, quindi la sua frequentazione abi-tuale porterebbe ad un miglioramento della qualità della vita. Inoltre non sarebbe necessaria la presenza fisica all’interno di un luogo naturale, an-che la vista del paesaggio da una fi-na

tura

e b

enes

sere

18

Page 19: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

natu

ra e

ben

esse

re

nestra può creare, anche se in misura moderata, benessere interiore.Per sviluppare questa teoria psi-

cologica Kaplan fa riferimento al significato di attenzione dato da Ja-mes (1892), il quale gli attribuisce un carattere volontario e involontario. Secondo James l’attenzione volonta-ria è l’orientamento cognitivo, la ri-sposta a diversi stimoli che richiede uno sforzo di volontà per mantenere la mente coinvolta, l’individuo è ten-tato da distrazioni in quanto l’oggetto con cui dovremmo relazionarci pos-siede poco fascino intrinseco, provoca uno stato di noia ma la necessità di coinvolgimento. L’attenzione invo-lontaria non richiede alcuno sforzo, essa viene orientata senza fatica, al contrario la presenza di altri stimoli ritenuti dall’individuo più interessanti porta ad uno sforzo volto alla repres-sione delle distrazioni generando in tal modo un meccanismo che le inibi-sce, tutto questo genera affaticamento mentale (Kaplan, 1977). James descrive gli stimoli che pro-

ducono attenzione involontaria come portatori di «qualità emozionante» (Ja-mes, 1892), che conducono a una for-ma di attenzione prodotta dall’emo-zione, inoltre la loro visualizzazione provoca un aumento della capacità di ricordo nel tempo. Si tratta di un’espe-rienza meno controllata ma non del tutto automatica in quanto esistono altri fattori da cui dipende, ad esempio

intenzionalità, controllabilità, obietti-vo, in questo senso i comportamenti umani non possono essere dichiarati completamente volontari o involonta-ri (Kaplan, Barman; 2010).Partendo dal concetto di attenzione

Kaplan sviluppa la teoria secondo la quale l’attenzione involontaria, pro-vocata dalla visione di ambienti na-turali, causa uno stato emozionale nei soggetti che egli denomina fascination (Kaplan, 1978), dimensione che va da soft a hard (Kaplan, 1995). La visione di ambienti naturali può

evocare soft fascination cioè fascino moderato, uno stato d’animo in grado di coinvolgere l’attenzione in modo non completo, non così intenso da escludere la riflessione. Prodotta da piacere estetico, mediante l’osserva-zione di elementi naturali come pian-te, animali, i cicli della natura e i cam-biamenti stagionali (Kaplan, Kaplan e Ryan; 1998), tale attività riuscirebbe a non provocare sforzo della mente.Hard fascination corrisponde invece

a livelli molto alti di coinvolgimento della mente, essa impedisce la rifles-sione attirando completamente l’at-tenzione; può essere generata dalla pratica di sport, oppure da attività legate al contatto con la natura con-dotte durante la permanenza in un ambiente naturale, come la pratica dell’escursionismo. L’esperienza naturale è dotata di

compatibilità tra l’ambiente e le in-

clinazioni umane (Kaplan, 1989), in questo senso la fascination provoca-ta dalla presenza di elementi naturali potrebbe avere una spiegazione in-nata, legata all’evoluzione. Secondo una spiegazione di tipo evoluzioni-stico infatti, la sopravvivenza di un individuo dipende anche dal livello di attenzione verso l’ambiente circo-stante: più esso è in grado di procura-re coinvolgimento, minore è lo sforzo attenzionale e maggiore la possibilità di rispondere in modo efficace a ciò che ci circonda. Nel determinare i caratteri che de-

finiscono un luogo come preferito la maggior parte degli studi considera-no gli ambienti naturali proprio per i loro effetti benefici e la necessità di rigenerazione da parte dell’individuo. La personalità risulta importante per definire il legame con questo luogo nel senso che ci deve già essere una predisposizione e quindi compatibi-lità con le proprie inclinazioni, que-sto permette all’individuo di sentirsi emotivamente legato ad un ambiente naturale (Mayer e McPherson-Frantz, 2004). La possibilità di sperimenta-re attività all’aria aperta da bambini invita a una maggiore necessità di trascorrere del tempo a contatto con la natura nell’età adulta, per ricerca-re un’esperienza ritenuta qualitati-vamente positiva. L’attenzione senza sforzo prodotta da fascination, quindi il coinvolgimento dell’individuo sen-za affaticamento mentale, condurreb-be quindi ad uno stato di restoration, rigenerazione: esso corrisponde al re-cupero da stress e da stanchezza men-tale, ma anche al recupero fisico. La presenza di elementi naturali ridur-rebbe la frequenza cardiaca (Laumann et al. 2003), la presenza di vegetazio-ne e fauna porta a una riduzione dello stress e al miglioramento dell’umore grazie alla diminuzione della pressio-ne sanguigna (Hartig et al. 2003). Gli ambienti urbani sono carenti di

queste caratteristiche e possiedono quindi poca potenzialità di generare recupero fisico e mentale, essi indu-cono uno sforzo dato dalla attenzione

19

Page 20: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

natu

ra e

ben

esse

reLa sopravvivenza di un individuo dipende anche dal livel-

lo di attenzione verso l’ambiente circostante: più esso è in

grado di procurare coinvolgimento, minore è lo sforzo at-

tenzionale e maggiore la possibilità di rispondere in modo

efficace a ciò che ci circonda.

volontaria volta alla concentrazione verso molte attività poco stimolanti, mentre la conduzione di numerose at-tività legate alla permanenza in am-bienti naturali può produrre recupero tramite una fascinazione più o meno completa. Si denota un legame tra il tipo di ambiente in cui si trascorre la quotidianità e il grado di irritabilità. Gli individui che vivono in zone cen-trali della città sono maggiormente costretti alla presenza di molteplici distrazioni, svolgono numerose atti-vità e si relazionano con molte per-sone, ciò conduce ad una maggiore stanchezza mentale, irritabilità e im-pulsività. La mancanza di elementi naturali provoca con maggiore facili-tà uno stato aggressivo che potrebbe diventare cronico data la mancanza di possibilità di recupero psico-fisico (Kuo, 1992); in questo senso il pa-esaggio è attualmente considerato fattore determinante per il benesse-re sociale e individuale. Il tipo e la qualità della restoration dipendono quindi dal tipo di fascination: si avrà una rigenerazione maggiore a livelli di coinvolgimento più elevati. Il le-game tra ambiente e livello di resto-ration e guarigione non è nuovo: alla natura era infatti tradizionalmente riconosciuta una importante azione terapeutica grazie alle piante che per-mettono la guarigione. Inoltre esisto-no storicamente molti luoghi naturali sacri che nella credenza popolare sa-rebbero miracolosi ai fini di benessere e salute (Inghilleri, Rainisio; 2010). Negli ultimi anni si sta assistendo al

ritorno di una concezione della salute di tipo olistico; il corpo umano deve essere considerato come espressio-ne di diversi componenti biologiche, fisiche, psicologiche, sociali e cultu-rali. Quando si tratta di salute biso-gna quindi approcciarsi a tutti questi aspetti che compongono un indivi-duo, non si tratta dunque solo di sa-lute fisica di una determinata parte del corpo ma di benessere dell’indivi-duo nella sua totalità. In questo senso si è dotato di maggiore importanza il ruolo dell’ambiente nella quotidianità

per giungere a questo livello di be-nessere psicofisico: la natura viene sempre di più considerata come un mezzo di recupero dalle conseguen-ze negative della vita moderna ed è

sempre più alta la consapevolezza che la sua presenza contribuisca a fa-vorire il miglioramento della qualità della vita.* psicologa

20

Page 21: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

sud

del m

ondo

Un ambientalistaa Dakardi Giampaolo Persoglio

Sono a Dakar da un mese esatto, sbar-cato come cooperante, capo progetto di una ONG Italiana per la costruzione di un impianto fotovoltaico su un Li-ceo alla periferia della città.

Arrivo con l’anima dell’ambienta-lista, di chi è felice di poter mettere insieme la passione, la convinzione e il lavoro. Mi sento fortunato, non a tutti è concessa la possibilità di esse-re pagato per fare qualcosa che non vada contro i propri principi che sono quelli di Fare Verde e quelli che mi ac-compagnano da una vita. Questo sulla carta, sul terreno metterò alla prova la teoria e la verificherò al giudizio dei fatti, capirò se il mondo della Coo-perazione, al di là dell’immagine che vuole proiettare di sé, rappresenta un aiuto reale e fattivo alla popolazione locale o è solo l’immagine del narcisi-smo occidentale, la figura imbellettata che il bianco saggio e sviluppato vuo-le donare alla propria coscienza.

Io parto con una tabula rasa nella mente, non ho preconcetti e soprat-tutto non mi sento un salvatore del mondo né tantomeno un ricco che va ad aiutare dei poveri indigenti. Non ho la concezione di una mia superiorità, né economica né culturale, sono però consapevole della cultura, dell’educa-zione e dell’esperienza che nella mia vita ho messo da parte. Parto spinto da grande curiosità, sono interessato a conoscere, capire e contaminarmi di

una esperienza nuova da vivere sca-vando sotto la superficie delle cose.

Fatta questa debita premessa mi ac-cingo a guardare la realtà che mi si presenta sotto la lente dell’ambienta-lista, per capire la gente del luogo che rapporto ha con ciò che lo circonda e che consapevolezza c’è del problema ambientale.

Girare per la città mette a contatto diretto con una realtà urbana caotica e indisciplinata, il traffico è esagerato ed è creato da una grande quantità di auto vecchie che propagano esalazioni venefiche. La mobilità pubblica è affi-data a scarsi mezzi, soprattutto picco-li autobus scassati dai quali escono i fumi più neri che si possa immaginare. Da qualche giorno ho lo scooter e rim-piango il traffico di Milano per l’odore pestilenziale di smog che ti entra nei polmoni e ti si appiccica addosso.

La gente di Dakar vive tutto ciò come una normale routine, chi ha l’auto-mobile più grande e potente sorpassa strombazzando i veicoli lenti (soprat-tutto taxi, ce ne sono migliaia), fiero della propria superiorità meccanica e strafottendosene di chi gli sta intor-no. Vige semplicemente la legge del più forte e gli status symbol sono gli stessi che abbiamo in Europa: i SUV, col Porsche Cayenne in testa, a seguire gli altri bisonti della strada che girano impuniti anche sulle nostre strade.

Dal lato rifiuti la situazione non è

certo migliore, anzi rappresenta la più evidente problematica in ogni angolo di strada. La raccolta è demandata alla società di origine francese Veolia che gestisce il servizio di camion i quali fanno una specie di raccolta porta a porta. I camion passano strombaz-zando a lenta velocità nei quartieri per fare in modo che chi di dovere (di solito sono le donne che gestiscono le faccende domestiche) si avvicini a conferire il proprio sacchetto di spaz-zatura rigorosamente indifferenziata. I camion di Dakar portano i rifiuti rac-colti nella grande discarica di Pikine, uno dei sobborghi della città, discarica che ha dimensioni enormi e crea non pochi problemi alla vivibilità della zona. Ma in realtà una grande quanti-tà di rifiuti non va a finire in discarica ma termina la propria vita negli angoli delle strade o in mini discariche create dal nulla nelle tante zone di risulta dei quartieri. L’urbanizzazione selvaggia che ha subito Dakar soprattutto negli ultimi 30 anni ha portato al proliferare di quartieri senza troppa logica, attra-versati da strade perlopiù di sabbia e con frequenti angoli pieni di materiale edile di risulta, ricettacolo di rifiuti di ogni genere.

Trovare un cestino in giro è impos-sibile, cosa che incentiva in maniera sostanziale il gettare qualunque cosa ovunque. Le zone pulite ci sono ma sono le zone dei ricchi e delle amba-sciate, isole “felici” disconnesse dal tessuto urbano reale che è fatto di ben altra realtà.

Da quando ho preso casa a Yoff, nella zona nord, vado spesso, la sera, sulla spiaggia. L’Oceano è affascinan-te e il viverci vicino offre uno spazio di conforto al riparo dal turbine della città. La spiaggia di Yoff è più pulita di quanto il quartiere lasci pensare, ci sono zone di accumulo di rifiuti così come oggetti ingombranti qua e là disseminati sul bagnasciuga (soprat-tutto copertoni di automobili usati dai ragazzi come pali per le porte da cal-cetto), ma in generale il panorama è meno contaminato qui che in mezzo ai quartieri.

21

Page 22: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

Quello che più colpisce, al di là di come appare la città, è la mancanza di consapevolezza della popolazione Se-negalese della situazione che appare. E’ chiaro che agli occhi di un euro-peo la condizione di degrado appaia fin troppo evidente, ma mi sembra incomprensibile di come gli abitanti della città non si pongano il benchè minimo problema di far qualcosa per contribuire al miglioramento delle condizioni delle strade e dei quartieri. E si tratta spesso di persone che hanno vissuto esperienze all’estero ed hanno avuto la possibilità di vedere e per-cepire come si vive “al di fuori”. Ma forse, più che questo, lascia perplessi la perdita repentina di ogni collega-mento con l’esperienza rurale che è patrimonio della stragrande maggio-ranza di abitanti della città, essendo spesso nati nelle regioni interne del Paese e cresciuti in un ambiente agri-colo e maggiormente a contatto con la natura.

La cultura rurale, in ogni angolo del pianeta, abitua a convivere con le risorse ed a conoscerne il valo-re, rendendo ogni scarto una risorsa, naturale o artificiale, da recuperare e rimettere nel circolo di uso e consu-mo. Qui queste esperienze, nell’ambi-to urbano, spariscono e la frenesia da consumo sembra una occupazione tal quale quella che percepiamo nella no-stra civiltà europea.

Probabilmente anche qui in Senegal sono stati esportati i dettami della cul-tura dello sviluppo, addobbati da tutte le tossine che appestano la vita euro-pea oggigiorno, solo che qui la curva di esperienza non ha ancora raggiun-to l’apice ed il declino che viviamo da noi, o quantomeno non si è raggiunta quella minima consapevolezza che dovrebbe suonare come campanello d’allarme per capire che è il momento di cambiare rotta prima di schiantarsi contro l’iceberg. Forse, come diceva un mio carissimo professore universi-tario, è ancora troppo forte la spinta a cercare di migliorare la propria condi-zione di vita e allinearla agli standard europei, da potersi rendere conto dei

problemi che tale spinta comporta.Il quadro che disegno è tratteggiato

a tinte fosche, me ne rendo conto, ma come ho premesso non sono arrivato qui né col mito del “buon selvaggio” né con la consolatoria asserzione che “poverini non sono abituati”, vedo le cose per quello che sono, o meglio mi appaiono, e così le descrivo.

Forse la mia griglia di interpretazio-ne è troppo europea, indiscutibilmente critica verso qualcosa che mi appare troppo decisamente inconcepibile, nell’ottica di pensare che condizioni di vita migliori siano possibili. Ma affer-mo questo anche perché mi sono im-battuto in strati di popolazione locale che hanno una percezione simile alla mia, sono consapevoli del problema e cercano di fare qualcosa per trovare soluzioni.

Due settimane fa ho partecipato ad un evento organizzato dalla Scuola Frcana di Management di Dakar, un ente di formazione post-universitaria che raccoglie studenti da tutti i Paesi d’Africa e che gode di un certo pre-stigio. All’interno dell’evento ho ap-prezzato molto il discorso del Diret-tore della Scuola, un intervento privo di autocommiserazione e al contrario ricco di spunti e di stimoli per tutti quelli che erano lì ad ascoltare. Il Di-rettore, mettendo in risalto gli spesso ottimi risultati che gli studenti africa-ni sono capaci di ottenere nelle loro esperienze all’estero, ha posto il pro-blema di come sia possibile che tali capacità, una volta messe in gioco nei rispettivi Paesi di origine, non siano capaci di produrre delle direttrici reali di cambiamento, sia in campo sociale

che economico che politico. Nessun alibi quindi, ma una sferzata ad esse-re motori primi del cambiamento, so-prattutto in un contesto globale in cui tutta l’Africa risiede e con cui condivi-de i problemi. A dimostrazione di ciò il Direttore ha più volte posto l’esem-pio citando la sostenibilità, l’ambien-te, l’economia verde, riflettendo sul fatto che chi meglio degli Africani, ricchi di una cultura che li ha sem-pre posti a stretto contatto con l’Am-biente, possa essere sensibile ai temi del rispetto della Natura e del corretto uso delle risorse? Le responsabilità dei Paesi sviluppati sono evidenti, tali da creare all’Africa enormi problemi cau-sati dallo sfruttamento sconsiderato e dall’aver fatto attecchire la cultura dello “sviluppo a tutti i costi”. Ma la Società africana, almeno negli strati maggiormente istruiti e consapevoli, dimostra di conoscere lo stato delle cose e di avere la volontà di decide-re del proprio destino, avendo capito i problemi e conosciuto gli strumenti corretti da adoperare.

Forse il compito di chi come me la-vora nella Cooperazione, dove i temi della sostenibilità e degli stili di vita legati alla cultura sono ormai patri-monio comune di intervento, è proprio questo: fungere da fratelli maggio-ri che hanno già vissuto, sbagliato e compreso le strade da battere e quelle da abbandonare, indicare gli strumen-ti adatti per intervenire, evitare che la smania del benessere porti a provo-care più danni che benefici, spiegare che il futuro è spesso nella tradizione legata alla cultura, al luogo, al proprio passato.

sud

del m

ondo

22

Page 23: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

pre

nd

iam

o in

izia

tiva

Campobasso

di Simone Cretella

Educazione ambientale nelle scuole della provincia di Campobasso

Si è svolto in Molise “XFARE+VERDE”, il progetto di educazione ambientale e tutela del territorio promosso dal grup-po di Campobasso di Fare Verde, con il patrocinio dell’Assessorato all’Ambien-te della Provincia di Campobasso.Il progetto ha visto la realizzazione di un corposo programma didatti-co in diverse scuole elementari del capoluogo molisano e di altri centri, per trasmettere ai giovanissimi stu-denti le nozioni basilari del rispetto ambientale, con particolare attenzione

alla Riduzione ed al corretto smal-timento dei rifiuti (le 4R), ma anche pillole di Decrescita Felice e rispar-mio energetico. Numerosi i laboratori di autoproduzione che hanno visto tanti entusiasti bambini cimentarsi divertiti con la produzione del sapone vegetale, di uova pasquali con carta riciclata, pannelli 3D sulla degrada-bilità dei rifiuti nell’ambiente e di collarini porta bicchieri “anti usa e getta”. Il “Portabicchiere” ecologico è diventato un oggetto “alla moda” tra

i ragazzi delle scuole che hanno par-tecipato ai corsi ed ai laboratori “le 4 R : Riduzione, Riutilizzo, Riciclaggio, Recupero”. Questo semplice oggetto, realizzato rigorosamente con mate-riali recuperati, servirà ai ragazzi per bortarsi il bicchiere personale riutiliz-zabile da casa in occasione delle feste a casa di amici, a scuola, presso le ludoteche, ecc..., ed evitare di sprecare inutilmente centinaia e centianaia di bicchieri di plastica usa e getta.Nell’ambito del progetto è stata anche rilanciata la campagna per il corretto trattamento dei rifiuti organici attra-verso la realizzazione di giornate dedi-cate alla promozione del compostaggio domestico per informare ed indirizzare la cittadinanza all’impianto di piccole compostiere familiari, condominiali, di quartiere. Nell’ambito di “XFARE+VERDE” sono state organizzate diverse giornate eco-logiche in collaborazione con gli isti-tuti scolastici ed i ragazzi coinvolti nei percorsi educativi, con attività pratiche ludiche ed educative.Infine, è stata allestita presso la Biblioteca Albino di Campobasso, una piccola “biblioteca verde” dedicata alla cultura ecologista e a disposizione dei cittadini, con testi e pubblicazioni di riferimento del mondo ambientalista, green economy, decrescita felice, con-sumo critico, ecc….

Porta bicchiere ecologico, per evitare l’usa e getta alle feste con gli amici.

23

Page 24: 2,50€¦ · editoriale della nostra rivista. fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno con-creto.

la scelta di essere sempre dalla parte dell’ambiente, senza pa-drini, senza padroni, di lavorare per una società equa, solidale, ecologica è una scelta che ci costa. dal 1986 la paghiamo in ter-mini di impegno personale e in termini economici. da oggi puoi pagarla anche tu, senza sborsare un centesimo in più.

AIuTAcI cON IL 5x1000 DELLE TuE TASSE: NON TI cOSTA NuLLA.

VERSA IL 5x1000 DELLE TuE TASSE A FARE VERDEVersare il 5x1000 delle proprie tasse a Fare Verde ONLuS anche quest’anno è possibile e non costa nulla, come l’8x1000 destina-to alla chiesa cattolica o alle altre religioni previste dai modelli dell’Agenzia delle Entrate.

basta compilare la scheda del 5x1000 presente in tutti i moduli per la dichiarazione dei redditi (cud, 730 e modello unico), con il codice di fare Verde onlus: 9620 3500 580se non sei obbligato a presentare la dichiarazioni dei redditi, ma per-cepisci redditi (ad esempio la pensione), puoi sempre consegnare solo la scheda, insieme a quella dell’8x1000.

NON AccETTIAmO SPONSORIzzAzIONIper preservare la nostra libertà di opinione ed espressione, non accettiamo denaro da aziende. Viviamo solo con le quote versate dai nostri soci e i contributi di amministrazioni pubbliche (quindi, fondi dei cittadini) che condividono i nostri progetti.

SIAmO TuTTI VOLONTARIsiamo forse l’unica associazione nazionale interamente basata sul volontariato. dal presidente al semplice iscritto siamo tutti volontari. e’ una scelta culturale di impegno disinteressato per l’ambiente, ma è anche un modo per evitare che il denaro e l’economia siano l’unico orizzonte della nostra vita.

PROPONIAmO IL VuOTO A RENDERE SugLI ImbALLAggIper ridurre i rifiuti, nonostante lo strapotere economico e politico delle lobby degli imballaggi e degli inceneritori.

PROmuOVIAmO IL cOmPOSTAggIO DEI RIFIuTI “umIDI”perchè la frazione organica, nonostante sia in termini quantitativi la più importante, è l’unica non sponsorizzata da grandi gruppi industriali.

PuLIAmO IL mARE D’INVERNOpuliamo le spiagge a gennaio, quando non servono ai bagnanti e il problema dell’inquinamento del mare non fa audience...

AD AgOSTO SIAmO AI cAmPI ESTIVI ANTINcENDIOin prima persona ci impegnamo per difendere i nostri boschi dalla piaga degli incendi boschivi. intervenendo direttamente sul fuoco.

xFARE+VERDE: LA NOSTRA RIVISTA, DAL 1995 SENzA PubbLIcITàdifendiamo l’indipendenza editoriale della nostra rivista bimestrale scegliendo di non avere neanche una riga di pubblicità. e ci riusciamo. dal 1995. ininterrottamente.

cI bATTIAmO PER IL DIALOgO INTERETNIcO IN kOSOVOci battiamo perchè sia superato l’odio tra serbi e albanesi in Kosovo. lavorando sulle nuove generazioni. per una più equa ripartizione delle risorse, promuoviamo un commercio internazionale equo e solidale.

fare Verde dal 1986 è l’associazione delle scelte difficili. Quelle che costano caro. è il nostro metodo. Perché l’ambiente non ha bisogno di dichiarazioni, ma di impegno concreto. Da subito. Da tutti.

DAI uNA mANO ALL’ASSOcIAzIONE DELLE ScELTE DIFFIcILI

1 mondo x tutti

5x1000

SE NON cI cREDI, INFORmATI.fare Verde è una onlus (organizzazione non lucrativa di utili-tà sociale) ai sensi del del d.lgs. n° 460/97 ed è associazione di protezione ambientale riconosciuta dal ministero dell’ambiente ai sensi dell’art.13 della legge 349/86. le attività di fare Verde le tro-vi on line: digita www.fareverde.it. la sede nazionale è a roma in via del serafico 63 - 00142 roma - email: [email protected]

DIFFONDI quESTO VOLANTINOfotocopia e distribuisci questo volantino. aiutaci a trovare altre persone disposte ad aiutarci senza sborsare un euro in più delle proprie tasse.