24. Il decollo industriale dell’Italia · ostacolo allo sviluppo economico razionale: alle grandi...

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Il decollo industriale dell’Italia

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Il decollo industriale dell’Italia

• Nel XVIII secolo il primato dell’Italia era ormai un ricordo.

• La penisola appariva prevalentemente agricola, arretrata e con tutti i segnali del sottosviluppo.

• Dal XVI secolo, il Mediterraneo era stato relegato a un ruolo di secondo piano e la frammentazione politica dell’Italia aveva contribuito al declino.

• L’occupazione napoleonica aveva introdotto in Italia sistemi giuridici e amministrativi più avanzati ma aveva avuto risvolti negativi sull’economia (imposte francesi e interruzione dei normali traffici commerciali).

• In Italia mancanza le materie prime, come ferro e carbone, che erano alla base dei nuovi sviluppi industriali.

• Le caratteristiche fisiche della penisola facevano ostacolo allo sviluppo economico razionale: alle grandi distanze tra nord e sud, da cui derivavano alti costi di trasporto, si univano le difficoltà di collegamento tra ovest ed est a causa della catena appenninica.

• Le condizioni climatiche rendevano parte del territorio inadatto alla coltivazione, mentre la frammentazione politica accompagnava la frammentazione economica, con i commerci gravati da barriere doganali e tariffarie.

• La parola “Italia” rappresentava più un’“espressione geografica” più che una realtà politicamente o economicamente esistente.

• L’industrializzazione dell’Europa centro-settentrionale aveva approfondito il divario regionale, favorendo le regioni del nord che già potevano vantare contatti commerciali e una sia pur limitata esperienza industriale, rispetto a quelle del sud in cui continuò a dominare una classe di proprietari terrieri legati al latifondo e scarsamente propensi agli investimenti per il miglioramento agricolo o per l’industria.

• Alla fine delle guerre napoleoniche il Pil pro-capite, che ancora nel 1700 era l’80% di quello britannico, si era ridotto al 53%.

Facevano da ostacolo allo sviluppo:

• La lenta crescita della popolazione: fra metà Settecento e metà Ottocento la popolazione passò da 15,5 a meno di 25 milioni (incremento intorno al 60%, inferiore a quello di altri paesi).

• Le dotazioni geografiche e naturali: terreno poco fertile e solo per metà della sua estensione arabile; poche le zone pianeggianti; scarse le risorse minerarie.

• Il sistema dei trasporti: strade insufficienti; non esisteva una rete fluviale interna; distanze molto grandi e costi elevati.

• La scarsa disponibilità di capitali e l’assenza di un mercato nazionale.

• I prodotti italiani erano costosi e non concorrenziali sui mercati internazionali; il mercato interno era ristretto a causa del permanere di un’agricoltura di sussistenza.

• Il Risorgimento fu frutto di una attività politica e militare condotta “dall’alto”, senza trasformazioni sociali ed economiche di fondo, con l’apparato dirigente degli stati che veniva incorporato nel nuovo Regno e la conservazione di strutture ed equilibri sociali preesistenti.

• Al momento dell’unificazione il 60% della popolazione era analfabeta; la massa della popolazione pagò il processo di unificazione in termini di aumento di imposte.

Dove si lavorava:

• L’agricoltura era l’attività prevalente (69,7% della popolazione attiva) seguita da industria (18,1%) e servizi (12,2%).

Conseguenze economiche del Risorgimento:

• abbattimento delle barriere interne, unificazione amministrativa e monetaria (lira italiana introdotta nel 1862), presenza di un nuovo codice civile e commerciale, tutti fattori favorevoli alla creazione di un mercato interno più ampio e uniforme.

• Vi erano tre banche di emissione: Banca Nazionale Sarda (dal 1866 Banca Nazionale del Regno d’Italia), Banca Nazionale Toscana, Banca Toscana di Credito; poi anche Banco di Napoli e Banco di Sicilia e, dopo l’annessione di Roma nel 1870, la Banca Romana.

• Processo condotto dall’alto e guidato dalla classe dominate settentrionale, finì per acuire gli svantaggi delle regioni meno sviluppate, soprattutto del sud, che si trovarono a pagare la concorrenza delle regioni più efficienti del nord e la pesante pressione fiscale necessaria a pagare il carico debitorio del nuovo stato.

Il periodo dopo il 1861 si può dividere in tre periodi:

• il ventennio successivo all’Unità (1861-1880), durante il quale il paese gettò le basi della sua crescita puntando soprattutto sull’agricoltura;

• la fase 1881-1896, segnata dalla crisi agraria e dalla scelta a favore dell’industrializzazione;

• la fase 1897-1914, in cui si realizzò il primo decollo industriale, il cosiddetto “take off” italiano.

• Ponendo uguale a 100 il Pil del 1861, esso giunse a 131 nel 1896 e a 198 nel 1913.

1861-1880

• Scelta del libero scambio; dal 1861 al 1872 le esportazioni crebbero da 478 milioni di lire a 1,3 miliardi, anche grazie all’accresciuta produzione agricola che permise di commercializzare molti prodotti della terra.

• Investimenti in opere pubbliche: la viabilità ordinaria aumentò del 60%; si cercò di portare ovunque il telegrafo; le ferrovie, che contavano 2.800 chilometri nel 1861, nel 1880 contavano 9.500 chilometri.

• Grandi quantità di capitali impiegate nelle costruzioni ferroviarie, imponendo uno sforzo gravoso al bilancio; essendo il paese privo di materie prime e di industrie pesanti, gran parte dei materiali dovette essere importata.

• 1865 privatizzazione della rete ferroviaria; ma già pochi anni dopo lo Stato dovette di nuovo intervenire per riacquistare alcune linee.

• 1885 la rete ferroviaria passava allo Stato, affidata in gestione a tre società private.

• 1905 nazionalizzazione delle ferrovie.

• La costruzione delle ferrovie innescò lo sviluppo di altri settori (industria meccanica, metallurgica, siderurgica) e fece da stimolo agli investimenti nelle industrie e in alcuni settori dell’agricoltura.

• Le ferrovie accorciarono le distanze (non solo fisiche), ridussero le differenze regionali e resero più efficace l’unità politica.

• L’intervento statale fu decisivo nel creare artificialmente un settore di industria pesante, grazie anche al ritorno del protezionismo negli anni ’80.

• Industrie dipendenti da protezioni tariffarie e altre forme di assistenza; interessate alle forniture di armamenti e quindi ruolo di pressione nell’orientare la politica estera e coloniale del governo, che dirottò ulteriormente le poche risorse disponibili verso usi improduttivi.

• Dualismo: accanto a un numero ridotto di grandi imprese che potevano paragonarsi a quelle dei paesi più avanzati, sopravviveva un gran numero di piccole industrie arretrate e un settore agricolo ancora esteso e con una struttura pre-capitalistica.

• Nel 1866, con la terza guerra d’indipendenza, fu introdotta l’inconvertibilità della moneta (corso forzoso), fino al 1883.

1881-1896

• La congiuntura economica negativa degli anni 1870 sorprese il nuovo stato ancora in una posizione finanziaria difficile.

• L’arrivo del grano americano e russo determinò un crollo dei prezzi agricoli.

• La crisi agraria e la crescita delle fabbriche portarono industriali e proprietari terrieri a coalizzarsi per chiedere un ritorno al protezionismo; nuove tariffe (1878 e 1887).

• Guerra commerciale con la Francia (1888-1891): per alcuni anni gli scambi commerciali fra i due paesi risultarono compromessi, con gravi conseguenze soprattutto per l’Italia, che aveva nella Francia il suo principale partner commerciale.

• Nel 1888-1894 si ebbe una crisi economica e bancaria. • Speculazioni edilizie; le imprese coinvolte furono sostenute

dalle banche, ma quando il boom delle costruzioni a Roma per la capitale e a Napoli per il risanamento cessò, molte società si trovarono in difficoltà e trascinarono con loro anche gli istituti bancari.

• Scandalo della Banca Romana (1893): la Banca Romana, a fronte dei 60 milioni autorizzati, per cui possedeva sufficienti riserve auree, aveva emesso biglietti di banca per 113 milioni di lire, incluse banconote false per 40 milioni emesse in serie doppia.

• Furono ridotti a tre gli istituti di emissione: Banca d’Italia (nata dalla fusione di Banca Nazionale del Regno d’Italia, Banca Nazionale Toscana e Banca Toscana di Credito), Banco di Napoli e Banco di Sicilia; la Banca Romana fu messa in liquidazione.

• Si istituirono le banche miste per il finanziamento delle industrie: Banca Commerciale Italiana (1894) e Credito Italiano (1895).

• Anni 1870 e 1880 non favorevoli alla crescita di un paese ritardatario.

• Il surplus sociale derivante dal lavoro agricolo continua a essere destinato ad impieghi improduttivi o a un mercato di beni di lusso e di servizi, che non favorisce un’industria diffusa.

• Le alte imposte gravanti sulla popolazione limitano il potere d’acquisto dei consumatori più poveri e quindi il mercato dei manufatti rimane limitato.

1897-1914

• Decollo industriale italiano 1896-1914 (crisi ciclica del 1907).

• Spinta politica all’industrializzazione.

• Rimase in vigore la svolta protezionista con le tariffe doganali del 1878 e del 1887.

• Lo Stato aumentò gli aiuti diretti e indiretti all’industria pesante.

• Nacque il “triangolo industriale”: Piemonte, Liguria, Lombardia.

• Industria tessile • I progressi più importanti si registrarono nell’industria

cotoniera: si avvantaggiò della tariffa del 1878; i prodotti riuscirono a conquistare il mercato interno e internazionale; grandi fabbriche in Piemonte, Lombardia e nel Mezzogiorno, ma rimase anche una tradizione di industrie a carattere familiare.

• L’industria della lana conobbe uno sviluppo più lento ma continuo; si diffuse in Piemonte (Biella), nel Veneto (Schio e Valdagno), in Toscana (Prato); prevalsero le piccole imprese, tranne rare eccezioni (fabbrica di Alessandro Rossi di Schio).

• L’industria della seta mantenne una quota importante (circa un terzo) del mercato mondiale; ruolo molto importante (mantenne l’Italia sui mercati internazionali anche nei momenti più difficili, integrò i redditi delle famiglie contadine, permise l’accumulazione di capitale).

• Industria siderurgica

• Conobbe un notevole sviluppo, appoggiata dallo Stato e sostenuta dalla Banca Commerciale e dal Credito italiano.

• 1884 nacque la Terni, che si avvantaggiò della tariffa doganale del 1887.

• 1905 nacque l’Ilva, per la gestione dello stabilimento a ciclo integrale di Bagnoli, vicino a Napoli.

• Alla vigilia della Grande Guerra la produzione di acciaio aveva raggiunto quasi un milione di tonnellate (ma la Germania ne produceva 17 milioni).

• Industria meccanica • Conobbe uno sviluppo minore, anche perché meno

protetta dai dazi doganali. • Si sviluppò la produzione di locomotive e carrozze

ferroviarie, di navi a vapore in ferro, di motori elettrici, di biciclette e automobili.

• 1853 a Genova era nato l’Ansaldo (produzione di locomotive e navi), poi passata sotto il controllo della famiglia Perrone.

• Le automobili erano fabbricate da una sessantina di piccoli produttori (Isotta Fraschini, Lancia, Alfa, Bianchi).

• 1899 a Torino nacque la Fiat, su iniziativa di un gruppo di esponenti della nobiltà e della ricca borghesia torinese; nel 1914 deteneva la metà dell’intera produzione nazionale di automobili.

• Industria chimica e industria della gomma (Pirelli, 1872).

• Industria elettrica: sfruttava i corsi d’acqua; attirò molti capitali dalle banche miste; l’iniziatore di questo ramo fu Giuseppe Colombo, fondatore della società Edison (1884).

• Nel 1914 il consumo pro-capite italiano di elettricità era superiore a quello della Gran Bretagna.

• Industria delle armi: poté avvantaggiarsi di un forte aiuto statale, reso necessario dalla debolezza dell’industria pesante.

• Sia per le industrie pesanti che per quelle basate sulle nuove tecnologie fondamentale furono il finanziamento delle banche e il ruolo dello Stato.

• Nel 1914 l’Italia appariva ormai sotto molti aspetti un paese industriale avanzatoi.

• Nel periodo 1896-1914 tassi di crescita intorno al 6,7%.

• Industrializzazione “macrocefala”: impulso dato all’industria pesante dall’intervento statale e dal sostegno bancario; concentrazione industriale; industrializzazione limitata a pochi settori e ad aree geografiche ristrette.

• Dualismo economico: accanto a un’Italia industrializzata e avanzata continuava a coesistere un paese che mostrava molteplici segnali di disorganizzazione sociale e di arretratezza.

• Alla vigilia della Grande Guerra la struttura economica italiana era tipica di un paese ritardatario.

• Settore moderno, avanzato e accentrato, che interessava soprattutto l’industria pesante; le industrie di questi settori tendevano a unirsi in cartelli e accordi verticali, sostenute dalle grandi banche di investimento.

• L’agricoltura rimaneva preponderante ed era caratterizzata da scarsa produttività e basso potere di acquisto.

• Il mercato interno per un’industria moderna che produceva su larga scala rimaneva ristretto; l’industria continuava a dipendere dagli aiuti statali sotto forma di commesse o di protezione doganale.

• Industrie dipendenti dalle banche e banche dipendenti dalla prosperità industriale.

• Blocco di interessi in grado di influenzare le decisioni politiche.

• L’economia italiana aveva fatto grandi progressi ma non era riuscita a superare i ritardi ereditari.

• Grandi disparità regionali non superate ma anzi accentuate dall’unificazione politica.

• La Grande guerra (1915-18) fu un forte incentivo per il settore industriale più moderno ma acuì le contraddizioni esistenti favorendo una crisi sociale che aprì strada all’ascesa del fascismo.