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Ghisi Grütter 24. Disegno e immagine Sulla città plurale: riflessioni sul libro di Lucio Altarelli Herzog & De Meuron, fabbrica Ricola Europe Mulhouse, Francia del 1992 16 aprile 2016 Codice ISSN 2420-8442

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Ghisi Grütter

24. Disegno e immagine Sulla città plurale: riflessioni sul libro di Lucio Altarelli

Herzog & De Meuron, fabbrica Ricola Europe Mulhouse, Francia del 1992

16 aprile 2016 Codice ISSN 2420-8442

È necessario che i professori di architettura siano sempre infor-mati e aggiornati. Spesso sentono il dovere di sentirsi “attuali”,ma la contemporaneità essendo fagocitante, non lascia tempidi approfondimento di cui normalmente hanno bisogno gli stu-diosi, i ricercatori. Così i professori hanno il “complesso” dei gior-nalisti d’architettura e questi invece quello di non essere profes-sori. Forse questo è un libro che può ben sintetizzare le due posi-zioni.La città plurale. Architetture e Paesaggi della Post-modernitàtratta di un fenomeno composito che può essere consideratocome una città “orizzontale”, non moderna, declinata in ottoparti che sono (in ordine di apparizione): la città plurale, la cittàarcheologica, la città degli oggetti, la città comunicazionale, lacittà dei riflessi, la città tatuata, la città elettronica e la cittàaracnea. La città orizzontale è definita in contrapposizione aquella verticale, antinaturalistica del moderno: silos, ciminiere egrattacieli, linee tendenti alla piramide che vogliono sancire,secondo l’autore, gerarchie e sottomissioni contrapposte agliscambi e alle contaminazioni della contemporaneità. La struttura del libro in brevi racconti è stata scelta sia per la pos-sibilità di leggere i brani separatamente e non in sequenza, siaper poter leggere il capitolo senza interruzioni, cosa che, peresempio, avveniva nel romanzo ottocentesco. Anche la struttu-ra del libro vuole essere post-moderna.Lucio Altarelli, architetto e Professore di “Progettazione architet-tonica” all’Università “La Sapienza” di Roma, usa forme suggesti-ve di narrazione della realtà attuale. Secondo lui, la città puòessere considerata un palinsesto di forme visibili, il luogo dell’uni-tà del molteplice. Infatti, la città post-moderna «comprime lecategorie dell’unità a vantaggio dell’epifania del molteplice»1

e presenta istanze sociali e culturali variegate. Il flâneur diCharles Baudelaire e di Walter Benjamin e il “conoscitore analiti-co” del tessuto urbano di stampo ancora ottocentesco, oggi sismarriscono nei meandri del paesaggio urbano contempora-neo, più vicino all’immagine smaterializzata di vetrine trasparen-ti con merci e prodotti retroilluminati. Così scrive: «Quello che nella città tradizionale era declinato alsingolare, come classe sociale, stile, moda, linguaggio, religione,scienza e paesaggio, nel contemporaneo è pronunciato attra-verso numerosi plurali, dove ogni categoria comprende al pro-

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SULLA CITTÀ PLURALE: RIFLESSIONI SUL LIBRO DI LUCIO ALTARELLIdi Ghisi Grütter

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prio interno intere genea-logie e appartenenze».2La città, intesa come uninsieme di relazioni mate-riali e sociali, di forme spa-ziali e di forme comunica-tive, divenuta nella cultu-ra contemporanea unfenomeno totale e totaliz-zante: «Il mondo si è fattometropoli: fuori non c’èpiù nulla...La metropolinon come metafora, macome concreta condizio-ne spaziale del vivere pre-sente»3 leggiamo in uneditoriale di Gomorra.Territori e culture dellametropoli contempora-nea.

La città contemporanea sembra realizzare un futuro “altro”rispetto a quello promesso dalla scienza evolutiva moderna epositivista, non consequenziale in senso logico con gli eventi, svi-luppato in modo non lineare dal codice genetico dello spaziofisico e concettuale della modernità. Dentro la città contempo-ranea, al contrario delle aspettative logiche della modernità,c’è spazio per la compresenza contraddittoria di high technolo-gy edilizia e di autocostruzione, di informe e di pianificato, di glo-balizzato e di contestualizzato, di architetture materiali e imma-teriali - fatte di luce e immagini, statiche e dinamiche - che sisovrappongono fino a generarsi le une nelle altre attraverso letecniche di video mapping, che trovano la massima espressionenelle fête des lumière.

Al contrario della cittàmoderna, la città con-temporanea, e con essala sua forma e la suaarchitettura, si sottrae alcontrollo di ogni teoriache scientificamentes’impegni a spiegarcela,eludendone la verificabi-lità o la falsificabilitàattraverso la sperimenta-zione e il valore predittivodelle sue conclusioni. Neiterritori urbani contempo-ranei la pratica del pro-getto sembra sfuggiredefinitivamente adapprocci di tipo razionali-

The Old American CanFactory, Brooklyn, NY èun’ex manifattura di sei edi-fici di 40.000 mq al marginedi un parco. Costruita tra il1865 e il 1901presenta cortilee terrazze come spazi tran-quilli adatti a un uso teatra-le, performances, mostre edeventi in generale.

Installazione di AndreaLanini, “Banchetto Sospeso”sei tavoli allestiti per riflette-re, tetto terrazzo di Seven,via Assisi a Roma 2014.

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sta: la quantità dellevariabili in campo ela continua ridefinizio-ne degli equilibriendogeni determina-ti dall’autoregolazio-ne dei sistemi fannoentrare in scenamodalità, sensibilità ecapacità conoscitivedi tipo multidisciplina-re e persino a-discipli-nare, dentro le quali ilcontrollo complessivosembra sfuggire aogni approcciodeterministico, cioè aogni tentativo dicostruire gli estremi di una univocità nella ricerca di una solu-zione possibile. Secondo Altarelli nel passaggio dalla modernità alla post-modernità e conseguentemente nel transito dalla condizionesolida a quella gassosa, convivono i nuovi codici e i linguaggidella contemporaneità. Superato il rigore del moderno e lasua ideologia totalizzante, la città apre all’evento, all’istanta-neo, alla casualità, che si sovrappongono alla città esistentemodificandone l’uso e il senso. Pensiamo ad esempio aglieventi del loisir e della creatività contemporanea: mostre, per-formances, flash-mobs, ma anche sunlights e videowalls nelcentro storico o sull’edificio monumento. Per contro, anche iluoghi abbandonati o i reperti archeologici diventano base escenario appropriato per istallazioni o per temporary stores.Nell’azione artistica contemporanea, infatti, i luoghi sono“altri”, sono fuori il museo, mentre lo spazio urbano diventa ilfondale privilegiato per le performances. Infatti oggi, nel-

Mimmo Paladino a Napoli,installazione a Piazza del

Plebiscito nel 1995. Finalmenteliberata dalle auto, la piazza ètornata a essere centro nevral-

gico dell'Arte internazionalecontemporanea a Napoli.

L'installazione di Paladino haconquistato una popolarità

imprevista, suscitando l'interes-se dei passanti e l'attenzione

dei mass media di tutto ilmondo.

Mazurka ‘klandestina’ aMilano, 2013.12010000

Il movimento nasce nel 2008:un gruppo di persone decide

di darsi appuntamento inPiazza Affari e di danzare la

notte intera. In un’intervista unodei fondatori racconta:

«L’idea è nata dopo la delusio-ne dell’ennesimo concerto,

che non ci aveva soddisfattoperché avevano suonato soloquattro Mazurke francesi. Cosìabbiamo deciso di continuare

a ballare nel parcheggio,spontaneamente, eravamo in

quindici quella notte aPaderno Dugnano».

l’evento artistico, non sono solo l’artista e il pubblico a con-frontarsi, ma anche l’opera inserita nel luogo che, a suavolta, dialoga sia con il creativo sia con l’utente. Inoltre, èspesso adottato lo shock come forza espressiva da moltiartisti contemporanei. Un altro elemento importante delcontemporaneo è la rottura tra i confini delle discipline conuna conseguente contaminazione di generi. Una sorta dicittà anarchica versus la città democratica del moderno.La città plurale è anche la città delle invasioni barbariche,soggetti alternativi a quelli del passato. Così scrive Baricco,«…i barbari sono il principio e lo strumento della mutazione.Il barbaro non è l’estraneo, il diverso che ci assedia dal-l’esterno. I barbari siamo noi stessi in quanto immersi nel flus-so della storia: soggetti passivi e nello stesso tempo attoridel cambiamento, in sospeso tra eventi subiti e azioni pro-mosse».4 Le invasioni barbariche della post-modernità pos-sono essere considerate come trasmigrazione di popolazio-ni contemporaneamente alla fine definitiva del mondoclassico. Per l’autore è Roma a incarnare con la sua storiamillenaria tra valori della durata e invasioni della contem-poraneità, la città plurale per antonomasia (ma è mai statauna città moderna?) con le sue dissolvenze tra memoria eoblio, tra permanenza e provvisorietà, Città di Dio e Città

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Sopra ex scalo merci della stazionedi Cotignola, Ravenna, sede di unteatro dove i vagoni fanno dacamerini, bar e foyer, 2015.

Di lato Break dancers Next Stop inallenamento tra i binari della stazio-ne dismessa di Mondovì, 2016.

Alberto Burri, “Sacco eRosso” del 1954

Sotto il Grande Cretto,opera di Land Art a

Gibellina di Alberto Burri,1984/89.

oscura del potere, città perenne-mente in bilico tra l’oro della suastoria e la porpora del vissuto deisuoi abitanti. Roma è la città palin-sesto di varie identità come angelie demoni, sacro e profano, bellez-za aristocratica e somma sciatte-ria.

Vorrei qui parlare prevalentementedi altri due capitoli del libro, con iquali sento maggiore affinità: lacittà archeologica e la città comu-nicazionale. Nel primo LucioAltarelli parla dello straniamentoprodotto dalle vestigia del passatoall’epoca del Grand Tour e anchedella cultura americana, in parti-colare della letteratura, che hauno sguardo di contaminazione edi perdita d’innocenza nel varcare l’Oceano, nella fattispecie inItalia. Così in Daisy Miller di Henry James, la protagonista si amma-la e muore per aver visitato l’insalubre anfiteatro e così, ne Il faunodi marmo di Nathaniel Hawthorne, è descritta una Roma malsanae malinconica.

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Per i progettisti gli edifici esistenti subiscono unprocesso di “ruderizzazione” e acquisiscono unulteriore valore e rendono l’architettura permea-bile alla natura. Georg Simmel afferma: «Il fasci-no delle rovine è che un’opera dell’uomo vienepercepita alla fine come un’opera della natu-ra».5 Nella rovina la memoria non è ricordo, maha un ruolo di apertura al nuovo come sostieneHenry Bergson: «la memoria…non consiste asso-lutamente in una regressione del passato, ma acontrario, in un progresso del passato nel presen-te».6Con la sua aspirazione tassonomica Altarelli arri-va a definire la rovina come metafora, o ancheessenza oppure sottrazione. Nel primo caso citaPiranesi che accosta in maniera paratattica laMole Adriana, l’Isola Tiberina, Piazza Navona e learchitetture d’invenzione come i frammenti mar-morei della Forma Urbis di altre incisioni - quindirovina metafora della frammentarietà. Per parla-re invece della rovina come sottrazione l’autoreaffronta il tema della “perdita” del carattere

costruttivo dell’architettura, che però rivendica una sua esteticasottrattiva. In tal modo le tecniche dello scavo, del taglio e del-l’erosione affiancano le tecniche dell’aggiungere nella composi-zione; basti pensare ai tagli di Lucio Fontana, alle astrazioni diMarc Rothko, agli strappi di Alberto Burri che tendono alla smate-rializzazione e alla ricerca di essenzialità evocando il paesaggiooriginario come paesaggio perduto. Molte sono anche le opere

architettoniche delsecolo scorso com-poste con questicriteri: la casa delGirasole di LuigiMoretti del 1949, adesempio, presentaun grande taglionel prospetto, cosìcome il taglio dia-gonale della scaladel Padiglionesovietico diKostantin Melnikova Parigi del 1925 o ilcretto di Burri aGibellina del 1984,una sorta di rovinache copre altrerovine. Anche lesolcature delM e m o r i a l e

Melnikov, Padiglionedell'URSS, Exposition desArts Décoratifs, Parigi 1925.

Sotto, Luigi Moretti,Palazzina del Girasole aRoma del 1949, foto diGabriele Basilico.

all’Olocausto di Peter Eisenman a Berlino e le incisioni di DanielLibeskin nel Museo ebraico sempre a Berlino possono essereletti come esempi di estetica della sottrazione. Fra tutti i gruppioggetto di massacri e repressioni sanguinarie nella storiarecente, il popolo ebraico si è fatto carico di conservare vivala memoria dell'olocausto con un messaggio ecumenico cheriguarda l'umanità intera, attraverso varie iniziative come lacostruzione di musei, di monumenti, di memoriali, con l'istituzio-ne di giornate mondiali. La finalità è una sola: non dimentica-re. Il progetto di Peter Eisenman è uno degli ultimi costruiti perricordare la Shoah. La sua scelta è anti-monumentalistica,minimalista, senza concessioni celebrative, non si preoccupadi piacere, non cerca consenso, egli stesso dichiara «Nonvoglio che i visitatori si commuovano per poi andar via con lacoscienza pulita». Punta sull'originalità di una soluzione che diarchitettonico non ha molto. Peter Eisenman è uno dei pochiarchitetti a fare una vera architettura concettuale, legata nonalla forma, ma al concetto della forma, con connotazioni lin-guistiche così anomale da renderla quasi inclassificabile. Moltisi chiedono se il Memoriale di Berlino sia architettura, scultura oinstallazione. Non c'è niente di criticabile in questa indefinitez-za, o pluri-significanza. Del resto non ha importanza stabilirecosa sia esattamente ciò che ha realizzato: è ciò che ognunovuole che sia in quel tempo e in quel luogo.

Nel capitolo della La città comunicazionale l’autore cita PeterBehrens come primo architetto progettista di immagine coor-dinata: i suoi progetti per le officine AEG infatti vanno dallafabbrica, ai prodotti industriali, al marchio grafico, ai manifestie ai dépliants. “La pubblicità è l’arte del XX secolo” affermava Marshall Mc-Luhan.L’uso odierno di vari mezzi di comunicazione, di immaginisovrimposte - retroproiettate, serigrafate o quant’altro - ha

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Peter Eisenman, Memoriale pergli ebrei assassinati d’Europa,

Berlino del 1999.

Peter Behrens, manifesto peruna lampada AEG, 1908.

J.R., Wrinkle ofthe City,Shanghai 2010.

AlexandreFarto a.k.a.Vhils, fotogra-fie applicate aLondra.

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cambiato rapidamente anche lafruizione dello spazio urbano. Si puòfar risalire questa tendenza adalcuni principi contenuti nel libroLearning from Las Vegas del 1972(la traduzione italiana è solo del1985) di Robert Venturi e del suogruppo: una sorta di profezia urba-na. Questa città presenta edificiarchitettonici illeggibili, indifferentitotalmente al contesto: il loro unicoruolo è quello di "sostenere" un'inse-gna luminosa comunicante edaccattivante. Dall'analisi di questacittà, Venturi è arrivato a proporreuna tipologia d'architettura "neu-tra" (lo shed decorato) che delegaalle scritte, ai cartelloni e ai colori lapropria identità architettonica efunzionale. Nelle maggiori metropoli “l'architet-tura della comunicazione” oggi hail sopravvento su quella spaziale. Inmolti casi la "pelle" degli edificinasconde completamente la strut-tura architettonica. Molte cittàcome Tokio, Osaka, New York e Shanghai, sono fatte per esse-re fruite prevalentemente di notte con l'illuminazione artificia-le anche se, in alcuni casi, vengono applicate nuove soluzio-ni tecnologiche che permettono, anche di giorno, proiezionicontinue sulle facciate degli edifici. I confini delle discipline,come già detto, si frantumano e laprogettazione architettonica fa iconti con la grafica, la fotografia, ilcollage, il lettering7 e il lightining.Architettura come mass mediumintitolava un suo libro Renato DeFusco alla fine degli anni Settanta.8Inoltre, lo svilupparsi dell’informati-ca e del tele-lavoro ha ridotto l’esi-genza di spazi funzionali caratteriz-zati formalmente usando in modosempre più crescente, la luce artifi-ciale. La forma esterna e la “pelle”dell’edificio hanno assunto il com-pito di comunicare la sua identitàinterna. In altre parole, si sono mol-tiplicate le architetture che affida-

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Murales nel quartiereTestaccio di Roma

Lo shed decorato di RobertVenturi

Flagship storeLouis Vuitton aTokyo, di JunAoki del 2004.

Apple store aTokyo di B.CywinskiJackson del2004.

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no appartenenza e significato “all’in-volucro” piuttosto che alla spazialitàinterna. Con esse si è registrata la per-dita comunicativa dei temi assegnatitradizionalmente al rivestimento ester-no degli edifici ed emerge comemaniera di significare quella “parlan-te”: materiali, nuove figurazioni e tec-nologie multimediali sono applicatioggi alla ricerca della massima persua-sione e della più efficace informazionenel complesso fenomeno della cittàcontemporanea. Si perdono, in questomodo, i parametri di riferimento dellatradizione architettonica moderna: l'in-volucro talvolta diventa vuoto e privodi significati, si annulla il rapporto traforma e funzione, si azzera la riconosci-bilità tipologica e cambia completa-mente il parametro del genius loci.Poiché ciò che conta è l'immagine delprodotto, questo è ridotto alla suaessenzialità mentre il packaging e lapubblicità ne diventano la "pelle"impregnata di tutte quelle caratteristi-che che vengono a mancare al pro-dotto stesso.9L’architettura è intesa come epidermi-de al di là di qualsiasi carattere forma-le o funzionale. Si svuota di senso l’ideatradizionale dell’involucro come luogodi espressione formale per introdurneuna più complessa, che pone al cen-tro della concezione architettonica lasensibilità verso l’interno e l’esterno,basata su una nuova analogia tracorpo e edificio. Così scrive FrancoPurini: «L'edificio si è scisso in due realtàche non comunicano, un interno cherisponde a proprie logiche spaziali ecostruttive, e un esterno che invecedialoga con la città rifiutando spessoqualsiasi rimando al linguaggio con-venzionale dell'architettura come esitodi una sorprendente performance arti-stica. L'involucro si separa da ciò checontiene configurandosi come un eso-scheletro, una superficie vibratile cheospita immagini in movimento facen-

Mikimoto Flagshipstore di Toyo Ito, Tokyo 2006.

Hermés store di Renzo Piano, Tokyo 2001.

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dosi come in alcune opere giapponesi, emissione diretta delcontesto».10

Si fa esperienza dell’urbano attraverso gli spazi di consumo. Adifferenza di quanto avviene nel mall, la città non è riprodotta,è piuttosto lo spazio commerciale a insinuarsi nella forma urba-na in senso strutturale collegandone fisicamente le parti.L’”esperienza” è un aspetto fondamentale per un’altra declina-zione commerciale che è il flagship store, o negozio monomar-ca, caratterizzato dall’offerta di esclusività. Nel caso specificodei marchi più prestigiosi della moda, la proposta del negoziocome “luogo di esperienza” deriva direttamente dal fenomenodel total living: l’appartenenza a uno stile di vita, inizialmentetestimoniata dal prodotto, è ora proposta in senso lato, offrendoluoghi dove, prima ancora che trovare oggetti, è possibile vive-re esperienze esclusive. Il coinvolgimento del cliente/consumatore negli spazi commer-ciali svolge un ruolo essenziale e si può ottenere anche con l’al-lestimento di installazioni artistiche e l’utilizzo di tecnologia inte-rattiva. Le case d’alta moda collaborano con architetti di famainternazionale per ottenere prestigio e creare una strategia dibrand a lungo termine, basti citare i progetti di Toyo Ito per Tod’s

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La Ginza di Tokyo, foto diSaverio Silli del 2010.

oppure di Massimiliano Fuksas per Armani. Gli architettihanno così l’occasione di eseguire accurati interventi diristrutturazione o di progettare edifici ex-novo destinati adiventare punti di riferimento visivi, dove elementi, talvoltaironici e giocosi, si integrano negli interni offrendo al clienteuna nuova esperienza d’acquisto. Cambiando le relazionitra venditore e consumatore si sono modificate anche lecaratteristiche dei luoghi storicamente deputati allo scam-bio di beni e servizi, arricchendoli di innumerevoli tipologielegate ai nuovi stili di vita. Il commercio si sta trasformando,sempre più, in espressione del tempo libero e gli spazi divendita, arricchendosi della presenza dell’arte e conferen-do una sorta di nobilitazione all’atto di scambio, sembrano

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Toyo Ito, Tod’s OmotesandoBuilding, Tokyo 2004.

Paolo Miccichè, La Cavalleria Rusticana, allestimento dell’Opera di Mascagni, 2009 al Teatro di Cagliari.

Paolo Miccichè, Romagnificat, Natale di Roma 21aprile 2010.

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dover assolvere la funzionedi far dimenticare al consu-matore la natura stessa delcapitale su cui si fonda. Il negozio non è più finaliz-zato alla vendita – si puòcomprare successivamen-te anche in internet – èdiventato una sorta di sofi-sticato show-room strategi-co per il marketing.Fondamentali sono le suecaratteristiche e cioè l’ubi-cazione, il personaleaddetto, le dimensioni delnegozio, i servizi accessori,le soluzioni di store designutilizzate e il nome del pro-gettista, tutti fattori perce-piti dal consumatore cometestimonianze del valorestesso dell’azienda. Il con-sumatore vuole trovarecoinvolgimento ed intratte-nimento, quindi, architettie designers sono alla conti-nua ricerca di metodi per-suasivi e di spazi scenogra-fici da inserire nei luoghiuna volta di vendita.Contemporaneamente il“meticciato” di allestimentie di insegne, di artistico ocommerciale, forme diconsumo e consumo di forme, ha prodotto un’estetica diffusadi una città “leggera”, trasparente, penetrabile. Una tendenzain atto è quella di ampliare i confini della comunicazione versopiù vasti territori con forme diverse di relazione tra comunicazio-ne e comunità di utenti, tra comunicazione e arte e tra comu-nicazione e città, ibridando sacro e profano, estetica diffusa ediffusione dell’estetica. La Bigness e la Città generica teorizza-te da Koolhaas11 trovano seguito nel contemporaneo e fannoriferimento a contenitori che inglobano al loro interno varie fun-zioni senza neanche denunciarle all’esterno. Ciò ha scavalca-to anche lo shed decorato definito da Robert Venturi.L’involucro generico di Venturi e la Città generica di Koolhaascostituiscono, in ogni caso, le due figure della contemporanei-tà che hanno operato una forte revisione critica al funzionali-smo.

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La Ginza di Tokyo, foto diSaverioSilli del 2010.

La profezia di Paul Valèry sembra ormai un dato acquisito. Cosìaffermava «Come l'acqua, il gas e la corrente elettrica, entra-no grazie ad uno sforzo quasi nullo, provenendo da lontano,nelle nostre abitazioni per rispondere ai nostri bisogni, così sare-mo approvvigionati di immagini e di sequenze di suoni che simanifestano ad un piccolo gesto, quasi a un segno, e poi cilasciano».12 La comunicazione visiva all’affacciarsi del nuovomillennio ha assunto un ruolo così importante da indurre adaffermare che, all'interno dei meccanismi comunicativi dellasocietà contemporanea, esista prima l'immagine e poi il pro-dotto. Ma neanche questo oggi basta. La nuova tendenzapost-moderna sembra essere quella del soft marketing per unacrisi della cultura dello shopping dovuta sia alla crisi economi-ca sia al predominio della Rete. Secondo Rem Koolhaas«Recentemente…lo shopping ha raggiunto un punto di satura-zione; la curva di crescita della sua redditività ha toccato in uncerto qual modo il culmine e oggi lo shopping si trova in unasituazione più critica, che lo costringe a inseguire il cliente».13

Secondo Altarelli gli utenti di internet sono più attenti di quellidegli altri media, conoscono le logiche della pubblicità, masono meno suggestionabili; diffondono il loro giudizio sempreon-line. Il pubblico oggi vuole partecipare, chiede interattivitàe la pubblicità tradizionale non crea dialogo. Ciò non significache non ci sia comunque la supremazia del consumo, anzi. Adesempio La Nike ha invitato i suoi clienti a riprendersi con losmartphone indossando le sue scarpe e con il materiale ottenu-

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Fura dels Baus è un gruppospagnolo, nato nel 1979 aBarcellona, che ha iniziatocome gruppo di teatro popo-lare di strada ma man manoha avuto successo internazio-nale includendo attori, atleti,tecnici, walkers, designers,managers e così via.

to ha organizzato spot televisivi e materiale per siti web. Oggistiamo vivendo il transito tra la stagione dei mass media e quel-la dei new media procurando una crisi del visibile verso la supre-mazia del sistema delle relazioni in contrapposizione al sistemadegli oggetti e una derealizzazione ad opera del digitale. Cosìafferma Altarelli: «Alla fisicità delle insegne degli spectacular diTimes Square e di Piccadilly Circus subentra l’imponderabile leg-gerezza delle relazioni e dei comportamenti dei new media trail visibile e l’immateriale. Alla galassia Gutenberg di Mc Luhansubentra l’evanescente mondo di Google».14

NOTE

1 Lucio Altarelli, La città plurale, Architetture e Paesaggi della Post-modernità, postmedia.books, 2015, p.14.

2 Ibidem.

3 Editoriale del n.1 di Gomorra. Territorie culture della metropoli contempo-ranea, Febbraio 1998. Costa&Nolan.Genova 1998.4 Alessandro Baricco, I barbari.Saggio sulla mutazione, FandangoLibri, Roma 2006, p. 179.

5 Georg Simmel, Saggi sul paesaggio,Armando editore, Roma 2006.

6 Henry Bergson, Materia e Memoria,Laterza, Bari 1996, p. 197.

7 I futuristi italiani avevano già intuitonegli anni ‘30 l’importanza delle scrit-te elettriche e cubitali alle quali saran-no affidate le facciate delle case edelle nuove architetture.

8 Renato de Fusco, Architettura comemass medium, Dedalo Bari, ristampa-to nel 2005.

9 cfr. Ghisi Grütter, L’architettura dellacomunicazione, in Immagine azien-dale e progettazione grafica, Kappa,Roma 2011, pp.13/48.

10 Franco Purini, Comporre l’architet-tura, Editori Laterza, Bari 2000, p. 168.

11Cfr. Rem Koolhaas, Bigness ovvero ilproblema della grande dimensione,

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Anish Kapoor, Sky Mirror,Rockfeller Center, New York,

2006

in Junkspace, Quolibet, Macerata 2006, a cura di Gabriele Mastrigli.

12 in Ghisi Grütter, op. cit. p. 15.

13 Rem Koohlaas, Junkspace in “Domus” n. 883 del 2001, in RemKoolhaas, Antologia di testi su Bigness, progetto e complessità artificiale,Kappa Roma 2004, a cura di Federico Bilò, p. 91.

14 Lucio Altarelli, op.cit. p. 124.

Lucio Altarelli è Professore ordinario di “Composizione Architettonica”presso l'Università di Roma "La Sapienza". È docente e membro del dotto-rato "Architettura-Teorie e Progetto" del Dipartimento "DiAP" de "LaSapienza", del master in "Lighting Design"; dell"'Accademia Adrianea diArchitettura e di Archeologia" e del "Premio Piranesi". È inoltre coordina-tore del Laboratorio di "Allestimenti e Multimedialità" del DiAP. Tra le pub-blicazioni più recenti: Allestire, Gangemi; Light City, Meltemi; Il sublimeurbano, con R, Ottaviani, Mancosu; II mostro di SanLorenzo, con MassimoCasavola, Gangemi; Anticocontemporaneo in Allestire l'antico, a cura diG. Donini, R. Ottaviani, Quodlibet.

Roma 16 aprile 2016

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