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KAIRÓS 6/2001 SOMMARIO 2 9 23 29 31 46 48 KAIROS Il Crocifisso risorto La Parola Dal futuro al presente S.Pagani La Tradizione Gridare il Vangelo con la nostra vita M. Lafon La Preghiera Signore sei Risorto G. Basadonna Letture Spirituali La fede di chi ama R. Vignolo KRONOS Parliamo … dei nostri bambini Se cerchi un libro

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KAIRÓS 6/2001

SOMMARIO

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KAIROS Il Crocifisso risorto

La Parola

Dal futuro al presente

S.Pagani

La Tradizione

Gridare il Vangelo con la nostra vita

M. Lafon

La Preghiera

Signore sei Risorto

G. Basadonna

Letture Spirituali

La fede di chi ama

R. Vignolo

KRONOS Parliamo … dei nostri bambini

Se cerchi un libro

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IL CROCIFISSO RISORTOIL CROCIFISSO RISORTOIL CROCIFISSO RISORTOIL CROCIFISSO RISORTO VEGLIA DI PASQUA ANNO 2001

Fratelli e sorelle che che vivete nella promessa dei «discepoli del Signore» voi avete partecipato alla veglia di pasqua e passate i vostri giorni nella fede e nell’amore, nel dolore e nella speranza, a voi l’angelo dice: «So che cercate Gesù, il crocifisso, non è qui è risorto» Il «crocifiso è risorto», il «crocifisso» e non un altro e da oggi noi impariamo a tenere strettamente uniti la morte con la vita il peccato con la grazia il dolore con l’amore perché senza il crocifisso non c’è il risorto e senza la risurrezione non ha senso un crocifisso.

KAIRÓS

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1. LA MORTE CON LA VITA Terremo strettamente uniti la morte con la vita a. La tentazione è di rimanere solo nella morte rimanere solo nella morte significa che tutto va a finire in niente, che nessun progetto ha un senso che nessuna vocaziona ha un fine, che non c’è eternità per la storia. Rimanere nella morte significa pensare che le cose belle sono slo un inganno Che il bene è una presa in giro, che il donarsi è una perdita totale, che la comunione è impossobile che tutto è legato alla terra e che la verità è un mito raffinato. Rimanere sono nella morte significa pensare che Gesù di Nazareth ha solo la forza di un romanzo, e che la sua risurrezione è solo l’entusiasmo degli amanti. Fuoco d’artificio, pesante risveglio nel nulla. b. L’illusione è di credere solo alla naturale esuberanza della vita

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La naturale esuberanza della vita è la signora del nostro tempo: bellezza, potere, successo, Il vitalismo della terra la festa dei frutti che passano e delle età che si susseguono. c. La rivelazione del Vangelo di Pasqua tiene strettamente unite la morte e la vita, in questo vangelo la vita assume la morte, la raccoglie dai suoi inspiegabili frammenti la getta nella luce della pasqua, la rende una fede difficile, che solo lo Spirito può sostenere. Benedetto lo Spirito che è giunto fino a noi e anche stanotte trasforma le nostre ossa aride i nostri deserti sterili in canti di gioia. Il vangelo di pasqua tine unite in Gesù la morte e la vita e noi le portiamo entrambi nel nostro corpo mortale

2. IL PECCATO CON LA GRAZIA Terremo strettamente uniti il peccato con la grazia a. La tentazione è di soccombere alla disperazione

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sotto il peso del peccato Il peccato è oscuro perché deforma l’uomo. Esso tradisce perché confonde i pensieri, i discernimenti, le interpretazioni dei cuori, la visione del mondo. Dopo infiniti sforzi per uscire da questa prigione maledetta ci si può disperare nel proprio peccato. b. L’illusione è di pensare ad una grazia che si può comperare con il nostro merito Il nostro merito è fragile, ci fa insuperbire, ci porta in alto e poi ci fa cadere nell’abisso, ci fa essere come dei e ci fa toccare la polvere. Il nostro merito è la spazio lasciato volutamente alla grazia, questa è la nostra fragile libertà, nella quale possiamo amare. c. La rivelazione del vangelo di Pasqua dice di tenere strettamente uniti il peccato con la grazia. Solo così siamo salvi, abbiamo speranza, crediamo al domani: al nostro domani e a quello del mondo. La morte di Gesù salda il peccato d’origine con la assoluta fedeltà di Dio. L’uomo in Gesù non è stato abbandonato ma nel maledetto della croce è apparsa l’opera di Dio.

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3. IL DOLORE E L’AMORE Terremo strettamente uniti il dolore e l’amore a. La tentazione è di credere alla vittoria devastante del dolore Il dolore si riversa a fiumi nelle strade del mondo. Oggi in questa chiesa ho visto le anime attarverso molte lacrime, molto dolore, dolore di morte per malattie inguaribili, dolore di ingiustizie per eredtà rubate, dolore ferito per amori infranti, dolore di corpi repressi, amputati, consumati, confusi, respinti. Il dolore deturpa il volto dell’uomo rovina le memorie, impedisce il futuro, provoca singhiozzi e amarezze, istruisce drammatiche domanade, non fornisce risposte. Il dolore sembra insinuare l’inganno in ogni progetto, sembre cancellare la qualità della vita sulla faccia della terra. Il dolore sembra rendere inutile e bigiarda la fede. Il potere devastante del dolore è una grande tentazione tra i figli degli uomini.

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b. L’illusione è di pensare alla forma ingenua dell’amore L’illusione è credere che si possa amare senza soffrire pensare che l’amote sia una fusione facile, un sentire spontaneo, credre che l’amore sia un richiamo istintivo, un corpo guarito, senza ferite, senza lacerazioni, senza strappi, L’illusione è di pensare che si possa amare naturalmente per gioco, per divertimento, fino alle forme dell’estasi. Non è così l’amore nel mondo Non è fatto solo di corpi perché i corpi invecchiano Non è fatto solo di anime perché le aime gemono. La forma ingenua dell’amore non dura nella storia La forma ingenua dell’amore è la più grande illusione. c. La rivelazione di Pasqua dice invece di tenere strettamente uniti il dolore con l’amore Il vangelo di Pasqua insegna che non si può amare senza soffrire e con non si deve soffrire senza amare. E noi terremo sempre insieme il soffrire e l’amore la fede e la speranza la vocazione e la missione, il corpo e l’anima il presente e il futuro l’iniziativa e l’attesa. Saremo insieme impazienti e lungimiranti, amanti e amati, forti e deboli, feriti e non morti, criciffissi e risorti. Rendici sempre o Signore

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paradosso della storia e profeti dell’eternità.

IL CROCIFISSO È RISORTO

Il crocifisso è risorto: questo è il nostro vangelo questa è la nostra vocazione: tenere insieme nel mondo la morte con la vita il peccato con la grazia il dolore con l’amore

Voi ragazzi che custodite nel cuore il desiderio del ministero presbiterale voi donne che avete consacrato il corpo e l’anima al Signore e voi che nel matrimonio avete imparato a fare di due una cosa sola tenete alto questo vangelo. E’ risorto il crocifisso.

Noi tutti che amiamo questo crocifisso risorto forma dei nostri segreti e dei nostri affetti

predicheremo quella vita che fiorisce dalle infinite morti quotidinae

sosterremo quella lotta impari contro il peccato ma che è possibile con la sola forza della grazia.

e rimarremo fino alla fine in quella forma obediente di amore che solo giorno dopo giorno verrà purificata dal dolore.

Questa è la nostra speranza Questo è il nostro sacrificio Questa è la nostra pasqua.

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Dal futuro

al presente

di Severino Pagani

La Parola

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ASCOLTO DELLA PAROLA

Dal Vangelo secondo Giovanni

Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. Quand'ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava. Poi, disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». Così parlò e poi soggiunse loro: «Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo»...

Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di due miglia e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà».Gli rispose Marta: «So che risusciterà nell'ultimo giorno».

Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita: chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?».Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo». Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: «Il Maestro è qui e ti chiama». Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui.

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Maria, dunque, quando giunse dov'era Gesù, vistolo

si gettò ai suoi piedi dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: «Dove l'avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!».

Ma alcuni di loro dissero: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?». Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato.Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare». (Gv. 11-1,44)

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ALLA PRESENZA DEL SIGNORE Signore, sono così preoccupato della qualità dei miei giorni e delle mie relazioni. Vengo a te perché mi aiuti a superare le situazioni di paura, di sfiducia, di stanchezza che sembrano condurre alla morte. Ti prego, insegnami che per aver accesso alla qualità della vita devo credere in te, fidarmi del tuo Vangelo, dimenticare me stesso. Potrò risorgere da questa morte? Apri il mio cuore all'ascolto della tua Parola. Signore, lo so: per questo mi devo rendere libero da ogni forma di presunzione e di attaccamento; quando mi preoccupo soltanto di me, dei miei stati d'animo, delle mie cose, spesso mi illudo. Devo credere al futuro, alla verità della promessa di risurrezione: allora sì potrò sostenere la speranza, ravvivare la volontà, rimettermi in cammino con quell'ottimismo discreto che riscalda e ridà energia al cuore della gente. Apri il mio cuore all'ascolto della tua Parola. Signore, «tutte le parole sono logore e stanche, tutte le parole sono esaurite» (Qohelet); ti prego aiutami ad essere tra i miei fratelli segno di bontà e di fiducia. Da' vita ai miei anni e anni alla mia vita. Rendimi una presenza che sana il vuoto di molte persone e il dolore di molte lacrime. Spesso l'uomo nasconde il vuoto che ha nel cuore, rendimi attento a questo soffrire, paziente nell'aspettare, docile nel restare vicino, consolante e vero nel parlare. Aiutami a credere alla risurrezione e alla vita. Apri il mio cuore all'ascolto della tua parola.

PROPOSTA DI MEDITAZIONE Il brano che ci è proposto, come tutti i brani di Giovanni che abbiamo già avuto modo di meditare, si può considerare un brano di teologia: dice qualcosa sul mistero di Dio e sul mistero dell'uomo. Questa

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pagina, che ci offre l'episodio della risurrezione di Lazzaro, è una pagina unica nei Vangeli; in essa possiamo ritrovare il nostro tema (il segreto della vita) prendendo come luogo specifico di attenzione il passaggio dalla morte alla vita. Giovanni mette questo suo brano nel Vangelo quasi per dire che la risurrezione di Gesù è un evento singolarissimo, primizia di ogni credente, un «segno» della divinità di Cristo, della sua signoria sulla morte, risposta ultima alla contraddizione del mondo. In questa prospettiva allora, la risurrezione di Lazzaro va interpretata come un'anticipazione della risurrezione di Gesù. Giustamente la nostra riflessione può perciò esprimersi in questo titolo: «Dal futuro al presente», cioè dal futuro della risurrezione di Gesù ai segni della risurrezione che troviamo già nel presente. Molto spesso è in nome della speranza che attraversiamo il presente; proprio perché sappiamo che il nostro futuro è un futuro di risurrezione, abbiamo la gioia e la speranza di reggere le fatiche del presente. La domanda si fa subito personale: Signore, sono veramente un uomo, una donna, che a partire dalla tua risurrezione è capace di sperare? Aiutami a liberarmi da ogni forma di tristezza colpevole, di ripiego su me stesso, di chiusura verso il futuro! Il «segno» della risurrezione di Lazzaro, l'ultimo compiuto da Gesù prima della sua passione, è tra tutti il più grande: la vita che si è manifestata nel Verbo, ed è donata a tutti coloro che credono in lui, affronta il momento contraddittorio della morte umana, con il suo corteo di lacrime e l'oscura prospettiva del sepolcro. Non c'è risposta credibile all'interrogativo sul senso della vita se non si affronta la sfida lanciata dalla prospettiva della tomba. Il racconto dimostra chiaramente che Gesù intese offrire all'uomo un segno capace di rivelare il suo potere sulla morte, e la speranza definitiva mentre spesso si conduce un'esistenza inattaccabile. Questo

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segno fu voluto e preparato. Gesù infatti attende che Lazzaro sia morto e giunge dalle sorelle solo quattro giorni dopo la sepoltura. Marta e Maria, che non capiscono perché mai abbia tardato tanto, bonariamente sembrano rimproverarlo (cf Gv 11, 21.32). La risposta di Gesù a Marta costituisce l'apice del racconto e fornisce la chiave di lettura del segno: «Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me anche se morto vivrà e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno» (Gv 11, 25-26). Vediamo di incontrare più da vicino i protagonisti del racconto. Gesù è colui al quale viene detto: «vieni e vedi» (v. 34); l'espressione ricalca le sue stesse parole all'inizio dell'esperienza di fede proposta ai due discepoli del Battista: «Venite e vedrete» (Gv 1, 39). Dunque Gesù è colui che si reca a “vedere” dove la vita dell'uomo si interroga definitivamente (un sepolcro), così come il discepolo è colui che si reca a “vedere” chi è Gesù. Dunque la scena di Betània contiene l'invocazione a non trattenerci lontano dal «mistero», del morire, mistero della verità della nostra «vita», spesso lasciato senza considerazione nelle nostre giornate. Ci pensiamo così poco; spesso i nostri problemi non sono nient'altro che... problemi esteriori: riuscire a mangiare, riuscire a vestirsi ... Marta è colei che dice: «So che risusciterà nell'ultimo giorno» (v. 24). Sembra una frase imparata nel catechismo della sinagoga, espressione della fede comune d'Israele, che forse gli amici giudei le hanno ripetuto tante volte in quei giorni per consolarla (v. 19). La casa di Betània è piena di persone che sono ripiegate: è significativa proprio la presenza dei giudei ostili a Gesù, legati a un loro mondo passato. C'era una dottrina che ha perso il peso di parole di vita eterna! Il pensiero di Marta è fisso sul fratello morto e continua a esserlo anche nella richiesta che fa a Gesù. Forse anche per noi la dottrina cristiana è diventata un peso morto, parole vuote, frasi fatte.

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Anche Maria resta la donna che piange nello spettacolo di un'umanità ripiegata su se stessa, incapace di alzare lo sguardo al Dio della vita. Uno spettacolo che rivela tanta nostra esperienza. Proviamo a pensare che cosa “diciamo” quando ripetiamo le parole del Credo: la risurrezione della carne e la vita eterna. Quale entusiasmo di fede suscita in noi? Proviamo a considerare che cosa ci riesce di dire con franchezza davanti al mistero della morte di un amico (Lazzaro era “amico” di Gesù e dei suoi discepoli: cf v. 11). Nelle descrizioni di Giovanni risulta davvero mirabile la fusione tra la tragedia di un amico morto e la percezione che in questa tragedia è presente il mistero di Dio e il mistero della salvezza. Cerchiamo di avvicinarci di più a questo mistero. Osserviamo come è costruito questo brano. Qual è la tesi centrale? Tutti i brani di Giovanni sono una catechesi per la fede, in cui è possibile subito individuare la fase centrale che si costituisce come una professione di fede. Ritroviamo sinteticamente quattro momenti di riflessione in questo brano: innanzitutto la morte raggiunge e attraversa l'umanità di Gesù; secondo, l'uomo di fronte alla povertà della morte cerca una risposta in Gesù; terzo, Gesù si presenta come il Signore della Vita, e ti provoca alla fede; quarto, ci sono motivi per non credere e motivi per credere, come sempre: tu da che parte stai? a. La morte attraversa l'umanità di Gesù Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. Quand'ebbe dunque sentito che era malato... Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: «Dove l'avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a

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vedere!». Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!»... Dalla lettura di questi versetti si vede che Gesù soffre davvero: è un uomo con dei sentimenti umani, un Dio profondamente umano; e la morte dell'uomo, che è un'esperienza terribile, incontra l'esperienza di Gesù e lo sconvolge. Il problema drammatico della morte che l'uomo incontra nella sua vita ha attraversato l'umanità di Gesù; Gesù ha sofferto, si è commosso, ancora oggi è vicino e comprende l'umanità. Anche nella vicenda di Lazzaro, nel momento in cui ha visto Marta e Maria soffrire, ha sofferto anche lui, dimostrando così di essere vicino. Gesù è uno che ama davvero, che partecipa intensamente a quello che avviene nella vita dei suoi amici, soffre della sofferenza di coloro che conosce. Il terzo giorno, per Giovanni, è sempre il momento dei grandi avvenimenti, l'andare in Giudea già è un cammino verso la Pasqua; sembra che Gesù dica: «Andiamo incontro alla Croce, andiamo ad amare fino alla fine». E poi, ancora, è come se Gesù dicesse: «Io vado a farlo risorgere». “Quattro giorni” significa nel Vangelo di Giovanni che Lazzaro ormai è morto davvero. Dopo quattro giorni non si aspetta più niente. L'umanità di Gesù è vicina alla sofferenza di Marta e di Maria: ha il cuore di un uomo. Gesù è uno che invita ad andare a vedere; “vedere” indica per Giovanni l'intimità dei rapporti personali. Gesù non ha vergogna di scoppiare in pianto. Puoi dire di conoscerti e di fermarti a considerare la ricchezza della umanità di Gesù, di fronte ai problemi e alle sofferenze umane? Quale tratto dell'umanità di Gesù è più vicino al tuo sentire spirituale?

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b. La morte dell'uomo cerca risposta in Gesù Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!... Maria, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui. Maria, dunque, quando giunse dov'era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!»... Quando l'uomo si incontra con la morte spontaneamente cerca qualcuno per domandarne il motivo, il perché, «Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro...». Marta ha certamente fede in Gesù, ma è una fede insufficiente, non regge il momento drammatico della morte. Anche oggi, l'uomo di fronte a tante situazioni di morte è troppo ripiegato su se stesso, è spezzato e affranto, non è più capace di coltivare speranze. Forse sarebbe anche stato possibile salvare Lazzaro, ma Gesù non c'era, e ora non c'è più niente da fare. Quante volte pensiamo e rimproveriamo a Dio le sue presunte lentezze, le sue lontananze, la sua insensibilità, la sua indifferenza. Sembra un Dio che è sempre in ritardo sui bisogni e sulle aspettative degli uomini. E anche sulle nostre. «Maria, dunque, quando giunse dove era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». E Gesù sembra rispondere: «Ma perché ci credi così poco?». In quest poca fede noi depositiamo le nostre domande e le domande di ogni uomo. Domande offerte, domande impazienti, domande legittime: ma Signore perché? Sono interrogativi che sfidano la fede, di fronte ad un amico che muore in un incidente stradale, davanti a malattie insopportabili, davanti alle diverse forma della solitudine e della disperazione: ma Signore, perché?

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c. Gesù, il Signore della vita, mi interroga sulla fede Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?».Gli risponde: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo». Questo è il punto centrale del brano di Giovanni ed è per sostenere questa tesi che Giovanni ha raccontato ed interpretato il brano di Lazzaro. In ogni capitolo del Vangelo di Giovanni, il centro è una professione di fede, è il riconoscimento della identità e della missione di Gesù, il Signore! Dovremmo esercitarci a leggere il Vangelo, per individuare in ogni capitolo il centro, la tesi, la definizione della identità di Gesù. Alla vera identità di Gesù si può dare l'assenso della propria libertà: lì si consuma la fede. Qui le parole di Marta, che sta per assistere alla risurrezione di Lazzaro, sono una professione di fede. Marta sa riconoscere il segno, si affida, il suo rapporto con Gesù la introduce in una fiducia senza condizioni. Certamente la vera prova della verità proclamata da Marta sarà la risurrezione di Gesù: egli risorgendo farà capire che è veramente lui la risurrezione e la vita. Così, di fronte alla memoria della Pasqua del Signore, davanti ai segni che ancora Gesù e la santità dei fratelli mettono sul nostro cammino, siamo provocati alla fede, come coloro che sperano. Credi tu questo? Come rispondi alle domande drammatiche dell'uomo contemporaneo di fronte al soffrire? Come vivi le contraddizioni che incontri, dove sembra non esserci speranza e non si vede via d'uscita?

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d. I motivi per non credere e il miracolo della fede Ma alcuni di loro dissero: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?». Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro... «Non ti ho detto che se credi, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra... Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che ti mi hai mandato»... Il Vangelo di Giovanni puntualmente mette in campo nei suoi racconti qualcuno che distoglie dalla fede; ne mostra le sue non-ragioni: queste persone hanno sempre le parole pronte. Ci sono anche nell'oggi persone così, pragmatiche, realiste, sicure, con un parere ineccepibile, senza scampo. Sono quelli che dicono: «Marta, ma Lazzaro è veramente morto, cosa vuoi farci?... Signore, dovevi venire prima!». Anche noi, nelle piccole morti quotidiane, pur credendo, facciamo fatica a credere che il Signore possa intervenire anche dopo. Nella vita quotidiana non riusciamo a credere che il Signore possa intervenire in una prospettiva più grande della nostra. Siamo portati a rinchiudere Dio nell'ambito delle nostre possibilità. È veramente difficile, non solo agire, ma anche pensare diversamente. Eppure: «Se credi, vedrai la gloria di Dio...». Gesù crede a questo miracolo della fede, lo crede pssibile anche per noi. «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato»: è il miracolo della fede. Giovanni ha ricordato e spiegato il «segno» di Lazzaro come luogo per suscitare la fede nella risurrezione di Gesù. Il segreto della vita sta nel fidarsi che la risurrezione di Gesù è la chiave che interpreta tutte le contraddizioni della storia e tutte le raccoglie,

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sciogliendole in una definitiva comunione con lui. Certamente non si tratta di una fede facile, di una soluzione a portata di mano, immediata, senza il tempo del soffrire e dell'attesa. Saremo capaci di tenere aperta una così grande prospettiva? La libertà umana è fragile e ha bisogno del dono della grazia di Dio: la fede va invocata nella preghiera, va sostenuta con una vita umile e laboriosa, va irrorata con la fatica della carità. E la promessa vedrà il suo compimento. Lo Spirito Santo, che Gesù ci ha donato nella sua Pasqua ci custodisca per la vita eterna. Questo è l'Amen del cristiano.

PER LA PREGHIERA L'umanità di Gesù di fronte alla morte. Signore aiutami a contemplare la tua ricca umanità: le tue parole, i tuoi sentimenti, le tue commozioni, il tuo modo di rapportarti con le persone. Ti chiedo di avvicinarmi a tutta la ricchezza del tuo cuore. Tu sei stato vicino al soffrire degli uomini: costruisci in me un affettuoso sentire nei tuoi confronti, dona calore alla mia preghiera, bontà alle mie relazioni, condivisione di fronte ai bisogni dei miei fratelli. Costruisci dentro di me un'umanità come la tua, mite e umile, docile allo Spirito, vivace nel desiderio di ubbidire alla volontà del Padre. Ti ringrazio, o Signore, continua a parlarmi attraverso l'umanità delle persone che incontro. Lo smarrimento dell'uomo di fronte a Gesù. Signore Gesù, come ho saputo finora mettermi davanti al mistero del morire? Ho da domandarti perdono per la mia ristrettezza di orizzonti, per la mancanza di vigilanza nei miei ritmi di vita, come se il futuro fosse solo cosa mia. Mi affido a te, o Signore, so che provvederai per la mia vita. Non lasciarmi da solo nei momenti del mio smarrimento, di fronte alla disperazione dei miei fratelli rimani vicino. Accompagna coloro che non riescono a credere, perché sono provati dalla vita e dalle prove difficili

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che essa impone. Costruisci nel mio cuore una sincera devozione verso tua madre, Maria. Vergine madre prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte. Il Vangelo della Risurrezione. Apri o Gesù la mia mente e il mio cuore verso l'orizzonte di una cristiana speranza. Voglio credere al Signore della vita. Non voglio abbandonarmi alla sfiducia e al pessimismo; credo alla possibilità che gli uomini hanno di migliorare la vita personale e la convivenza civile; voglio credere all'impegno sociale e al valore della partecipazione politica. Credo nei ragazzi che crescono e nel loro futuro, ti prego per le generazioni che verranno. Voglio vivere e agire in ogni giorno sapendo che il futuro è nelle tue mani, e che la storia è una storia di salvezza. Signore Gesù, proclamo la tua risurrezione! Signore aumenta la mia fede.

PER NON DIMENTICARE Maestro buono cosa devo fare per avere la vita? Cercherò di andare oltre i semplici e immediati problemi quotidiani, per dedicare tempo e attenzione alle grandi questioni del nascere e del morire. Sarò particolarmente vicino a qualche persona che soffre e che ha bisogno di speranza. Farò qualche esercizio spirituale per imparare a “consolare” cristianamente qualcuno che soffre. Cercherò di interpretare il presente a partire dal futuro della risurrezione di Gesù.

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Gridare

il Vangelo

con la nostra vita

di Michel Lafon

La Tradizione

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(È Gesù che parla:) “Ancor prima di nascere, io lavoro a quest'opera, la santificazione degli uomini... e spingo la madre mia a collaborare con me. (..) Un giorno, dirò ai miei apostoli: Predicate; e affiderò loro questa missione... Qui, io dico alle altre anime, a tutte quelle che mi amano ma che non hanno ricevuto la missione di predicare, dico loro di santificare le anime portandomi in mezzo a loro, silenziosamente... (…) Tutte, tutte operate per la santificazione del mondo, come mia madre: senza parlare, in silenzio, andate a fondare i vostri devoti rifugi in mezzo a coloro che non mi conoscono... e portate loro il Vangelo, predicandolo non con le parole ma con l'esempio, non annunciandolo ma vivendolo: santificate il mondo, portatemi nel mondo..., come Maria mi ha portato a Giovanni... ” (CE, 2 1-22).

“Si fa del bene non in misura di quello che si dice e che si fa, ma in misura di ciò che siamo, nella misura in cui la grazia guida le nostre azioni, nella misura in cui lasciamo vivere Gesù in noi e le nostre azioni vengono da Gesù che agisce in noi e attraverso di noi... L'anima fa del bene in proporzione alla sua santità: teniamo sempre presente questa verità” (RD, 645 646).

“La nostra intera esistenza, tutto il nostro essere deve gridare il vangelo "sui tetti"; tutta la nostra persona deve respirare Gesù, tutte le nostre azioni, tutta la nostra vita devono gridare che noi apparteniamo a Gesù, devono offrire l'immagine di una vita evangelica; tutto il nostro essere deve essere una predicazione vivente, un riflesso di Gesù, un profumo di Gesù, qualche cosa che proclami Gesù, che mostri Gesù, che brilli come un'immagine di Gesù” (MSE, 314 meditazione).

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Fra qualche secondo, Signore Gesù, scomparirai per sempre agli occhi dei tuoi apostoli. Quale compito lascerai loro, in questo istante estremo? Quali sono le tue ultime parole sulla terra? Non si rivolgono anche a noi? « ...Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria, fino agli estremi confini della terra” (At 1,8).

Signore, essere tuo testimone non vuol forse dire essere la tua immagine, essere un “vangelo vivente”? “Le persone lontane da Gesù devono, senza libri e senza parole, conoscere il Vangelo tramite l'esempio della mia vita... Vedendomi, si deve vedere chi è Gesù” (RD, 647). Quale responsabilità! Si richiede nientemeno che la santità del testimone! Non è forse vero che dubitiamo dei discorsi di un oratore che vive diversamente da come predica? “Vivere il Cristo”, osservava padre Peyriguère, “è forse il modo più efficace di divulgarlo! Ci sono troppi apostoli che lo diffondono ma non abbastanza che lo vivono”.

Per andare più in profondità: è necessario soprattutto essere trasparenti. Signore Gesù, se sei tu a vivere in me, siano tue le parole che la mia bocca pronuncia, tuoi gli atti che io compio! «Tutta questa mistica dell'apostolato che vive le cose dal di dentro» (Peyriguère). Se sei tu a vivere in me, sei tu ad agire attraverso i miei modi di procedere e li rendi veramente efficaci. Se anche ignoro ciò che si verifica - in modo invisibile - nelle mie relazioni con qualsiasi mio fratello, se i “risultati” di questa amicizia non possono essere conteggiati nei bilanci dell’apostolato, lo sai tu, Signore: che bisogno ho di saperlo anch’io?.

Signore, fa' che io non ricerchi il mio successo, ma sia tu ad agire! Fa' che la mia testimonianza sia disinteressata, perché “la volontà di testimoniare uccide la testimonianza” (Varillon).

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Fammi strumento docile nelle tue mani. Ogni strumento è diverso; ognuno conserva la propria intelligenza e il proprio carattere, i propri doni e i propri limiti. Per l'opera da realizzare non conta il pennello, conta l'artista. Signore, solo tu puoi evangelizzare! E fa' che non mi accorga nemmeno di essere testimone!

Come modello di questa docilità nell'evangelizzazione, Fratel Carlo ci presenta Maria nel mistero della sua Visita ad Elisabetta. Maria evangelizza e santifica san Giovanni “non con le sue parole, ma recando a lui in silenzio Gesù, nella sua abitazione ”. Seguendo il suo esempio, dobbiamo “evangelizzare e santificare i popoli infedeli recando Gesù in mezzo a loro, in silenzio, (…) portandolo nella nostra vita, una vita evangelica, di cui dobbiamo offrire l'esempio ed esserne immagini viventi” (CEA, 472).

Fratel Carlo, commentando questa pagina del Vangelo (Lc 1,39-41), tende a idealizzare le motivazioni della Vergine Maria. Nel suo scritto, questo episodio familiare, del tutto ordinario, assume un po’ l'aspetto di una processione del Santo Sacramento! Maria “porta Gesù in sé, come noi dopo la santa Comunione ”, “con un raccoglimento, una contemplazione, un'adorazione incessanti” (CEA, 473). Secondo il Foucauld, Maria non si è recata in visita a sua cugina “per entusiasmarsi reciprocamente cantando le meraviglie operate in lei da Dio ”..., “ è ancor meno una visita di carità materiale per aiutare sua cugina negli ultimi mesi di gravidanza e nel parto” (CEA,472). Perché no, invece? Il Vangelo sottolinea giustamente che Maria si fermò da Elisabetta per tre mesi, cioè fino alla nascita di Giovanni Battista. Secondo la mia opinione - e Fratel Carlo mi perdoni! - trovo del tutto verosimile che Maria abbia voluto molto semplicemente

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confidare a Elisabetta il mistero che si era prodotto in lei e che altrettanto semplicemente ci tenesse a darle un aiuto.

Penso che sia stupendo che, proprio quando lei si recava da sua cugina per farle una semplice visita e aiutarla, in un gesto spontaneo di affetto, senza il pensiero nascosto di portarle il Figlio di Dio, Gesù abbia voluto intervenire, proprio attraverso questo incontro così ordinario. Per Fratel Carlo, questo mistero della Visitazione simboleggia l'atteggiamento profondo che ispirerà il comportamento dei suoi discepoli nelle loro relazioni con la gente. E nel suo entusiasmo visionario, in una circostanza nella quale è tutto solo, senza nessuno glielo chieda, annota (2 luglio 1904): “ Festa della Visitazione della Santissima Vergine: festa patronale di tutte le fraternità dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle del Sacro Cuore di Gesù...” (CB, 143). Per la sua discendenza spirituale, infatti, Fratel Carlo non prevede soltanto religiosi e religiose. Per lui l'apostolato, nei paesi di missione, non è appannaggio di specialisti: vi sono chiamati anche i laici. “ So molto bene ”, egli scrive, “a che cosa Dio chiama tutti i cristiani, uomini e donne, preti e laici, celibi e sposati: a essere apostoli, apostoli tra mite l'esempio e la bontà, tramite un contatto caritatevole..., ecc.”. “Ogni cristiano deve essere apostolo; non è un consiglio, è un comandamento, è il comandamento della carità” (LLM, 128, 271).

Convinti che Gesù vive in noi e per mezzo nostro agisce in tutte le relazioni umane, noi andiamo incontro ai nostri fratelli. È il primo passo su questa strada dell'amore fraterno è quello del rispetto. Liberatomi da ogni sentimento di superiorità, desidero rispettare profondamente ogni essere umano, tutto ciò che lo fa diverso da me, per il suo ambiente, la sua cultura, le sue convinzioni religiose... E desidero amarlo soltanto per se stesso.

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A un amico musulmano che, per stuzzicarlo, gli domandava: “Allora, tu preghi per la mia conversione? ”, il piccolo Fratel Andrea rispondeva: “No, non prego per la tua conversione: prego affinché tu faccia la volontà di Dio ”. Tutto qui. Io posso sì augurarmi l'evoluzione di quel mio amico, che mi renderebbe felice, ma essa corrisponde ai disegni di Dio? Signore Gesù, insegnami questo umile e paziente rispetto dell'altro, che adora “l'ignoto del disegno di Dio” su di lui. Signore Gesù, insegnami l'amore gratuito per mio fratello, secondo l'immagine dell'infinita tenerezza di nostro Padre che ama ciascuno di noi, in modo gratuito. Signore Gesù, io credo che tu vuoi agire attraverso di me: fa' che io sia trasparente, liberami da ogni opacità, perché possa diventare un tuo riflesso e perché tu ti possa rivelare attraverso la mia vita. Fa' che io predichi il Vangelo in silenzio, ogni giorno...

«Mio Dio, si compia in me e in tutte le tue creature la tua volontà.» «Mio Dio, fa' che tutti gli esseri umani vadano in cielo! Amen.»[M.LAFON, “Una voce dal deserto”, Ed. Paoline, Torino 1998, pp. 49-54]

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Signore sei risorto

di Giorgio Basadonna

La Preghiera

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Signore sei risorto

Signore Gesù, come avevi predetto sei risorto: hai vinto la morte e l’odio di chi ti condannato, hai vinto il peccato di tutti gli uomini per i quali hai offerto la tua vita. Noi crediamo nella tua resurrezione: dopo aver seguito la tua passione dolorosa, noi sappiamo che tu sei vivo. Aiutaci ad avere con te un rapporto vivo, a non relegarti in un ricordo lontano nel tempo, aiutaci ad amarti presente ora qui con noi, a venerare il tuo amore spinto fino alla morte per noi e a sentirti oggi insieme con noi, dentro la nostra vita. Tu sei presente nell’Eucaristia dove offri di nuovo la tua passione e la tua morte: sii il centro della nostra vita, delle nostre comunità, sii l’unico e totale punto di riferimento, oggi e sempre, e sia la nostra fede un rapporto con te vivo oggi e per sempre.

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La fede

di chi ama

di Roberto Vignolo

Letture Spirituali

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GESÙ APPARE A MARIA MADDALENA Maria stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbuni!», che significa: Maestro! Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». Maria di Magdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto (Gv 20,11-18). • IN RICERCA DELL 'AMATO

Se pensiamo che la fede sia un tranquillante dell'anima e comunque un possesso indiscusso di comode certezze, ci sbagliamo di grosso. Anche quando la fede giunge all'esperienza della pace, essa resta sempre dal principio alla fine una grande e rischiosa avventura spirituale, anzi la più grande che sia offerta agli uomini. Essa pone sempre, come condizione di partenza, la ricerca di Dio, la ricerca di Cristo. Ricerca non superficiale bensì

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appassionata, che coinvolge tutto me stesso, dalla testa ai piedi. E se cercare vuol dire sentire la mancanza di qualcuno di cui si ha bisogno assoluto, allora è chiaro che arriviamo a credere veramente in Cristo solo quando sentiamo che la sua assenza dalla nostra vita è un fatto insopportabile. Come ci è indispensabile l'aria che respiriamo, non possiamo non averlo in noi e attorno a noi. Non possiamo stare lontani da lui; e perciò dobbiamo cercarlo.

Forse però ce ne rendiamo conto solo quando, proprio come la Maddalena, lo abbiamo perso, quando si è sottratto a noi e non lo abbiamo più a nostra disposizione.L'esperienza di Maria Maddalena è proprio quella di chi, avendo perso il Signore che l'ha amata fino alla fine (Gv 13, 1), capisce che Egli è veramente l'unica insostituibile verità della sua vita e si mette a cercarlo con una forza indomabile.

Non solo l'ha perso (così ha pensato) quando sul Calvario l'ha visto morire crocifisso, senza riuscire a capire che quella morte portava il grande frutto (Gv 12,24-25) della fede sua e di tutta la comunità dei credenti; ma anche ora che, a notte fonda viene al sepolcro di Gesù, e non ne trova più il corpo è come se lo perdesse di nuovo. Non solo la vita di Gesù, ma anche il suo misero corpo, le sono stati sottratti. Al dramma si aggiunge la cocente delusione di non poter piangere vicino a quello che restava del suo amato Signore.

L'ha perso una seconda volta (così crede) ma non desiste e pian-gendo continua a cercarlo.Il suo però non è il pianto di una disperata o di un'illusa che ha visto svanire il suo ideale (troppo bello per essere vero!). Guai alla fede sentimentale, che vive solo

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di emozioni! Ma quanto povera e arida è la fede che non sa versare lacrime per lui! Proprio quel pianto, proprio quel dolore sono una grande sincera espressione di fede. È sincera infatti quella fede che accetta coraggiosamente la perdita dell'Amato, che riconosce apertamente e sfoga il suo dolore e che, invece di farne un'occasione per autocompiangersi o per impigrirsi, trae dal dolore stesso una nuova energia di ricerca che conduce a una convinzione più profonda e a una dedizione autentica.

Fede vera è quella di chi non si stanca di ripetere: «Dove sei Signore?»; è amore incondizionato alla persona di Cristo, disposto - come ogni vero amore! - a cercarlo ovunque finché non lo si sia incontrato. Non a caso il Vangelo di Giovanni descrive la Maddalena con i tratti della sposa che cerca il suo sposo improvvisamente sparito:

Sul mio letto, lungo la notte. ho cercato l'amato del mio cuore. L'ho cercato ma non l'ho trovato. Voglio alzarmi e fare il giro della città per le strade e per le piazze; voglio cercare l'amato del mio cuore. L'ho cercato ma non l'ho trovato ... Era scomparso e io venni meno per la sua scomparsa. L'ho cercato ma non l'ho trovato l'ho chiamato ma non m'ha risposto (Ct 3,1-2; 5,6).

E come la sposa interroga tutti quelli che incontra: «Avete visto l'amato del mio cuore?» (Ct 3,3), così Maddalena domanda a quello che crede sia il giardiniere: «Se tu l'hai portato via dimmi dove l'hai messo e io andrò a prenderlo! » (Gv 20,15).C'è una potenza incredibile in questa ricerca di Maria Maddalena, una passione così intensa per Cristo che non si arrende nemmeno di fronte alla sua morte e alla sua assenza. Niente può travolgerla

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perché forte come la morte è l'amore tenace come gli inferi è la passione... una fiamma del Signore (Ct 8,6)!

C'è un banco di prova, meglio ancora, una vera e propria scuola che ci fa maturare: quando non sento più Gesù così presente e vicino come prima, sicché sono tentato di abbandonare o di annacquare la mia fede, mi è invece offerto il momento migliore per rinsaldarla cercandolo e amandolo anche quando mi sembra assente, riconoscendolo come il tutto della mia vita, come qualcuno che è il Signore: il «mio» Signore che possono portare via dal sepolcro senza che però svanisca la mia appartenenza a lui. Qui Maddalena incarna la parola di Paolo:

Chi ci potrà separare dall'arnore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? ... Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori, per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte, né vita ... né presente, né avvenire, ... né alcuna altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio in Cristo Gesù nostro Signore (Rin 8,35 ss.)

Con il suo slancio appassionato, Maria Maddalena è, per l'evangelista Giovanni, molto di più che una singola credente e testimone. Totalmente aderente al Signore non appartiene più a se stessa. Seconda solo a Maria, madre di Gesù e dei credenti, Maddalena è una figura universale, una vera e propria immagine viva della chiesa sposa di Cristo, santa e peccatrice, indefettibile nel suo legame a lui, eppure sempre bisognosa di conversione, che in ogni tempo cerca i segni del Signore risorto.

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• INCONTRATI DAL RISORTO

Se Maria Maddalena cerca e ama il Signore, con una fede sincera e intensa, tuttavia la sua non è ancora una fede matura e autentica.Per giungere all'incontro con colui che ella cerca, deve lasciarsi purificare profondamente nel suo stesso animo. Prigioniera del suo dolore e accecata dal suo stesso pianto, non sa riconoscere i segni della risurrezione di Cristo già avvenuta: la pietra del sepolcro ribaltata, le bende a terra, i due angeli in bianche vesti seduti dove era deposto Gesù e infine Gesù stesso che lei scambia per il giardiniere. Tutto è lì ad attestare che non è morto ma vive. Lei però non sa vederlo.

Maria Maddalena, che rischia di sciupare un grande potenziale di amore perché troppo condizionata dalla sua sensibilità, dal suo modo di «sentire» Cristo, siamo in fondo tutti noi quando, attaccati al nostro sentimento, alle nostre abitudini, non sappiamo uscire da noi stessi adeguandoci a Gesù che, mentre si rivela in modo sempre nuovo così pure ci sollecita a rinnovare il nostro spirito confermandolo con il suo dono di vita.

Anche nella nostra vita quotidiana Gesù depone i segni evidenti della sua risurrezione, riconoscendo i quali la nostra fede sarebbe più gioiosa e più salda. Ma sappiamo riconoscerli? Anche noi, ciechi come Maddalena siamo già stati interpellati da Gesù risorto che ci chiede di verificare con lui perché ci lamentiamo e quale sia l'orientamento della nostra vita: «Perché piangi, chi cerchi?» (Gv 20,15). Ma anche per noi tutto questo è inutile, finché non abbandoniamo la nostra confusa ricerca per lasciare a lui l'iniziativa dell'incontro, cioè se non cediamo a lui la libertà di manifestarsi quando e come vuole. Nel pieno della nostra faticosa

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e sofferta ricerca lui stesso ci viene incontro improvvisamente e ci trova prima che noi troviamo lui. Così noi dobbiamo assolutamente cercare, finché non sia lui a incontrarci. E, quando questo avviene, dobbiamo rinunciare ad afferrarlo per lasciarcene invece afferrare; non seguire il nostro impulso personale, ma ascoltare la sua voce che pronuncia il nostro nome: «Maria!».

Mettiamo a tacere il nostro io, e lasciamolo parlare! Allora sentiamo due cose: è proprio lui, è la sua voce che ci parla, ed ha il nostro nome sulle sue labbra. In quel momento il buio si squarcia una volta per tutte. Altre oscurità potranno, episodicamente, calare sulla mia vita, ma non potranno più sopraffare la luce del Risorto che mi chiama per nome. Altre voci potranno distrarmi momentaneamente, per la mia debolezza o cattiva volontà, ma solo alla sua voce io tornerò sempre a prestare l'ascolto obbediente e il servizio del mio amore. Ne sarà possibile recalcitrare (per quanto?) e anche rifiutarla, ma impossibile confonderla, perché nessuna voce se non la sua è in grado di dare vita, di comunicare la potenza della risurrezione, di farmi uscire come Lazzaro dalla tomba (Gv 11,43; 5,27-29). La sua voce che mi chiama pervade il cuore anzitutto di una grande gioia, realizzando fedelmente la sua promessa:

Voi piangerete e vi rattristerete mentre il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia. La donna, quando partorisce è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi ora siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia (Gv 16,20-23).

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Gioia che non si può più perdere e che alimenta dentro di me

pace e certezza per l'oggi e per il domani perché la sua voce è garanzia di un cammino sicuro il cui futuro è custodito a un tempo da Gesù e dal Padre:

Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna, e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è il più grande di tutti, e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. lo e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10,27-29).

La voce del Risorto dissolve l'ambiguità cronica del mio io che così spesso sa confondere il bene col male, l'amore di Dio e degli altri con l'egoismo di chi adora se stesso. Solo lui, che mi conosce nell'intimo (Gv 10, 14), possiede l'energia che intacca questa mia ambiguità (incontrollabile perfino a me stesso) per scuotere e far venire a galla quel fondo nascosto del mio io più vero, quella personalità nuova con cui il Padre mi ha creato a immagine del suo Figlio. Morto e risorto per me egli suscita in me una libertà impensabile e sovrana, perché mi dona addirittura la sua stessa libertà di Figlio che è stato capace di farsi nostro servo (Gv 13,1 ss.), di sacrificare la sua vita per noi e di riprenderla di nuovo (Gv 10, 17-18), sempre per trasmettere a tutti noi la sua stessa disponibilità di offerta, quell'obbedienza all'amore che è l'unica vera libertà (perché è il segreto della vita divina).

Ma allora da quando Gesù risorto ha pronunciato il nome di Maddalena e con il suo quello di noi tutti, vuol dire che io, tu, tutti quanti non siamo più prigionieri di noi stessi. Colui che ha

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vinto la morte ha vinto anche la morte del mio cuore ripiegato su se stesso, per aprirmi con tutte le inie forze alla risposta spontanea (che non è più solo di Maddalena, ma di ogni credente e della chiesa tutta): «Rabbuni!», che vuol dire: «Tu sei il mio signore, il mio maestro, il mio sposo, il mio Dio! Tu, l'unico che sei il tutto. Tu occupi ogni spazio della mia vita, sei il più vicino anche quando ti ho pensato assente, tu ridoni a me la vita con potenza e attualità impensabili, proprio quando ti sentivo diventare ormai solo un lontano malinconico ricordo!».

Un attimo, e la decisione della fede e della vocazione è presa una volta per sempre. Non un entusiasmo momentaneo, destinato a scemare. Non uno sforzo sovrumano con cui si fa violenza a se stessi. È l'attimo in cui la risposta dell'uomo riflette tutta la potenza della parola che gli è stata rivolta. È l'attimo in cui «non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me!» (Gal 2,20). L'attimo indimenticabile della nascita della nuova creatura, con cui la Pasqua di Gesù mi dona la grazia della conversione. «Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per lui che è morto e risorto per loro» (2Cor 5,15). • «SALGO AL PADRE, MA È PER VOI !»

Il cammino non finisce qui, anzi comincia. Tutto ciò che precede è in fondo solo una premessa, una lunga rincorsa per giungere a un più profondo incontro con Cristo e per ricevere da Lui la missione di testimoniare a tutti che egli è vivo.

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A questo scopo c'è ancora qualcosa che deve essere trasformato: ancora troppo legata all'esperienza del passato, Maria Maddalena vorrebbe quasi afferrare Gesù per ristabilire con Lui le stesse relazioni di prima. Di nuovo il suo affetto potente la spingerebbe, come la sposa del Cantico, ad abbracciare l'amato:

Finalmente ho trovato l'amato del mio cuore! L'ho stretto fortemente e non lo lascerò (Ci 3,4)! Ma di nuovo questa sua energia deve lasciarsi purificare dal Cristo che sale al Padre e affida a lei una missione.

L'incontro personale con il Risorto ci inserisce in un doppio movimento: nello slancio con Cristo che sale verso il Padre e nella missione verso i fratelli. Entrare con decisione in questo slancio: ecco la nostra Pasqua, la nostra conversione! Certo, Gesù che sale al Padre non ci lascia immediatamente soddisfatti, anzi ci lascia piuttosto perplessi. Di nuovo siamo tentati di pensare a un allontanamento, a un distacco. Si insinua in noi un senso di tristezza e quasi il sospetto che la nostra fede dovrà affidarsi a un assente, a una figura che, non essendo a contatto diretto con noi, ci appare bella ma terribilmente astratta, evanescente, irreale.

Tuttavia la prontezza e la gioia con cui Maddalena (reagendo alla parola di Gesù che si sottrae al suo abbraccio) butta ogni sua energia nella missione affidatale, ci invitano a riflettere che la «partenza» di Gesù è un distacco da noi solo in apparenza. La sua ascensione è in realtà l'ultimo atto di un grande movimento di amore con cui egli rimane per sempre in noi. Egli infatti ci pervaderà sempre più intimamente mediante il suo Spirito Consolatore (Gv 15,26 ss.; 16,7 ss.); con esso sarà per sempre radicato nel nostro cuore, diventando così disponibile a un

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abbraccio invisibile, ma più reale e definitivo. Non solo, ma noi stessi entriamo definitivamente nella vita del Padre: con la sua ascensione infatti il nostro mondo è trascinato dentro il mondo di Dio. Vale la pena fermarsi a contemplare almeno qualche istante questo mirabile movimento di amore che, partito dal mistero dell'incarnazione, tutto penetra e avvolge.

Gesù scende dal cielo mandato dal Padre, entra nel mondo con la missione di Figlio, e si fa servo suo e nostro, per farci entrare nella libertà di figli. Fa sua la nostra carne, e si lega a noi per sempre: così quando ora torna al Padre, non si presenta più a lui semplicemente come era venuto. Ci torna con quel corpo preso da una di noi, ma segnato per l'eternità dalle piaghe della passione, trasfigurato dalla risurrezione: entrambe sperimentate per noi.

E poiché ha operato tutto questo come figlio e servo obbediente del Padre, ora può ritornare a lui dopo aver riallacciato dentro di noi quel contatto vitale con il Padre che la nostra disobbedienza aveva spezzato e dimenticato. Con il suo ritorno la nostra umanità viene ricondotta a quel Dio da cui proveniamo ma da cui tutti, per il peccato, siamo sfuggiti richiudendoci in noi stessi e spegnendo in noi la sua vita. Ecco a cosa serve la sua «ascensione»: a ridarci accesso a quella vita per la quale siamo fatti e scelti, in modo personale e irripetibile dall'eternità; a prepararci nella casa del Padre quel posto dove un giorno saremo raccolti tutti attorno alla mensa di Dio che sarà «tutto in tutti» (ICor 15,28). Lì Gesù ci precede per mostrare al Padre che l'alleanza con cui egli ci ha giurato eterna amicizia è ormai stretta una volta per tutte, e nulla e nessuno può più romperla. «Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo», era

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stato più volte promesso nell'Antico Testamento: ora è venuto il momento della realizzazione, proprio quando Gesù dichiara a Maddalena:

Non cercare di trattemermi perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro (Gv 20,16-17). «TU CHE HAI VISTO , FA' VEDERE!»

Così alla nostra vita (e non solo a quella della Maddalena) viene impressa una svolta definitiva e un nuovo stile. Ci è aperto infine l'unico vero e insuperabile orizzonte della nostra esistenza: quello di una vita che vale solo se è missione donataci da Cristo, solo se è vissuta in movimento verso l'alto, incontro al Padre. Verso l'alto si apre la mia vita verso il Padre! E non in solitudine ma assieme a Cristo e ai fratelli!

Questo significa che non sono destinato a sparire in un oscuro e anonimo destino senza lasciare traccia; la mia vita non può più trascinarsi da un'evasione a un'altra. Non può più essere un dosaggio, calcolato e meschino, di molto egoismo e di pochi momenti di generosità. Non ho più il diritto di pensare e agire solo in base al mio «io». Non ho più nemmeno l'alibi di sentirmi schiacciato dalle mie colpe (o dai miei sensi di colpa), o paralizzato da un Dio implacabile e ostile, che mi caricherebbe di esigenze fuori dalla mia portata.

La mia vita deve, può cambiare, è già mutata, perché Gesù ha fatto la sua Pasqua, è «passato» da questo mondo al Padre.

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Non sono al mondo per cogliere ogni tanto qualche gratificazione in mezzo a molte delusioni. Solitudine e chiusura in me stesso, contrapposizione e sospetto sistematico verso il prossimo: tutto questo Gesù l'ha liquidato per me. Né Dio né gli altri sono più nemici da combattere o estranei da fuggire, o con cui avere il meno possibile da condividere. Verso il Padre in una fiducia filiale, verso gli altri per una condivisione fraterna: ecco dove Cristo porta la mia vita, ecco dove devo e posso farla andare.

Un Padre che è quello di Gesù: un'abissale stupenda libertà di amare, immutabile nel suo donarsi totalmente e gratuitamente, una fonte inesauribilmente prodiga di sé, capace di rivivificare tutto ciò che incontra. Da Lui, che è amore, provengo, in lui vivo, a lui torno, con Cristo e coi fratelli: lui è il senso della mia vita. Gesù che sale al cielo mi riporta in questo flusso di amore, mi apre il sentiero della vita e della libertà che io, con le mie forze, non saprei trovare né aprire. Questa via è essenzialmente una missione da accogliere: «... va' dai miei fratelli e di' loro ... : "Ho visto il Signore! "». Certo, per essere mandati bisogna averlo visto, perché solo chi lo ha contemplato, lo ha cercato con dolore solitario, chi ha ascoltato il proprio nome chiamato da lui, solo costui può testimoniare agli altri il Signore.

La Maddalena ci invita tutti a verificarci: su quale base costruiamo la nostra missione? Su quale fondamento costruiamo la comunità fra noi? La sua esperienza ci ricorda che saremo utili agli altri nella misura della personale incondizionata dedizione al «mio Signore», nella misura del costante e prolungato incontro con lui, nella ricerca, nella preghiera e nel suo ascolto.

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Ma il suo messaggio per noi è anche questo: «vede» veramente il Signore, resta nel ricordo costante di lui solo chi si lascia mandare da lui ai fratelli. Se lo hai visto, se ti è apparso, fallo vedere, indicalo agli altri! Se non correrai questo rischio, ti dimenticherai presto di lui e non conoscerai la gioia bellissima della fraternità della fede che ci fa la «famiglia», la chiesa di Gesù. Gli altri hanno diritto di sentire e di vedere la tua fede, e tu hai il dovere di annunciarla. Non è carità, ma semplice giustizia. Offri loro la tua testimonianza di fede: ciò che il Signore ti ha detto, senza pretese, solo per obbedire a chi ti ama e per amare chi ti incontra. Da' senza timore la Parola che hai ricevuta, e nella fede, che anche con la tua testimonianza si accenderà in loro, di nuovo sarai incontrato dal Risorto. [intervento di Roberto Vignolo – insegnante di Sacra Scrittura presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale - alla comunità monastica di Bose]

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“… due di loro

erano in cammino

… e conversavano

di tutto quello

che era accaduto”.

Kronos

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Laboratorio CAED

Parliamo … dei nostri bambini

Quale metafora per descrivere il cammino proposto dal Laboratorio CAED in questi mesi? Molte immagini hanno condotto per passaggi sfumati alla parte più profonda di noi stessi … : “ …la punta di un iceberg …”, “ … una porta aperta su una realtà misteriosa, nascosta, ma affiorante …”, “… un viaggio…”.

Queste alcune delle immagini che i partecipanti agli incontri organizzati dal Laboratorio CAED hanno suggerito durante la serata conclusiva dello scorso 19 marzo, per esplicitare il vissuto che ha caratterizzato gli incontri di formazione tenuti da Lina Pellegrin, psicologa e psicoterapeuta.

Le serate hanno permesso di conoscere alcuni nuclei teorici della psicologia freudiana e di giungere ad un confronto e ad una condivisione di esperienze. Durante i cinque incontri, infatti, è stato descritto lo sviluppo affettivo del bambino nell’età che va da 0 a 11 anni circa, a partire quindi dal primo anno di vita, così importante e determinante per lo sviluppo della personalità dell’individuo, fino alla cosiddetta fase di latenza.

Il dibattito e le riflessioni personali conseguenti hanno certamente messo in discussione alcuni luoghi comuni relativi all’educare e hanno invitato a superare una lettura puramente intuitiva e a volte un po’ frettolosa dei comportamenti dei più piccoli. Più conosciamo infatti e più gli orizzonti si aprono. Più conosciamo e meglio metteremo a fuoco e sapremo affrontare i problemi dei bambini.

La teoria freudiana ha messo in evidenza le diverse fasi dello sviluppo affettivo del bambino e ne ha colto gli apprendimenti profondi: il

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senso di fiducia, la costituzione del Sé, l’autonomia, la capacità di iniziativa, l’identità personale, …

Come accompagnare allora i più piccoli verso una sana e matura costituzione della propria personalità? Ogni bambino ha bisogni diversi, ogni giorno. Occorre allora sensibilità e un’attenzione particolare e costante per cucire con pazienza e intelligenza l’abito adatto a quel singolo giorno. Occorre comprendere cosa è necessario in quel momento così unico e irripetibile che è il contesto, sempre nuovo, fatto di esperienze, di vissuti e di processi profondi, inconsci, le cui coordinate appaiono spesso indecifrabili.

Occorre molta flessibilità e plasticità … Per accompagnare nello sviluppo i bambini è necessario l’amore, ma un amore intelligente. Il genitore che sa associare il buon senso all’intelligenza delle cose è in grado di affrontare il compito educativo con fiducia e con serenità. Saprà mettersi costantemente in discussione e ricominciare. Lascerà in eredità ai propri figli il senso di autostima, la capacità di fronteggiare le frustrazioni e le difficoltà. Ogni bambino di fatto potrà crescere e vivere bene quando saprà di essere nel cuore e nella mente di qualcuno.

Al termine di questo percorso, un sincero ringraziamento va alla dott.ssa Lina Pellegrin, che con semplicità e competenza ha guidato il gruppo di lavoro del Laboratorio. La sua grande esperienza è stata una ricchezza e un aiuto per tutti al fine di comprendere e riportare nella vita quotidiana i principi teorici enunciati.

Un ringraziamento anche a quanti hanno collaborato in forma diversa alla buona riuscita dell’iniziativa.

E per il prossimo anno, perché non proseguire dando un’occhiata al mondo dell’adolescenza?

Il Centro di Accompagnamento Educativo

Kairós 6/2001

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SE CERCHI UN LIBRO Ballestrero Anastasio BEATI QUELLI CHE ASCOLTANO Ancora L. 20.000 In principio era la Parola. In principio era il silenzio. In principio era l’ascolto. Questi tre termini, fra loro in rapporto di circolarità, costituiscono il filo d’oro della storia della salvezza. Purtroppo l’uomo di oggi, distratto dalla chiacchiera e assordato dal rumore, ha smarrito, con la capacità di ascoltare in silenzio la Parola, il gusto e la gioia della vita. Le meditazioni riproposte in questo libro, invitano il lettore ad «ascoltare oggi la voce del Signore». Riscoprire la beatitudine dell’ascolto – ascolto di Dio, dell’uomo, del mondo – non è un privilegio di pochi, ma vocazione di tutti. Ascoltare dunque non è solo un’arte che impegna l’intelligenza e la capacità di concentrazione, ma è il modo concreto di mettere Dio al primo posto nella nostra vita. Giudice Franco GESỨ VOLTO DI DIO Paoline L. 16.000 Dove scoprire il volto di Dio? Lo sguardo umano potrebbe vagare nell’immensità dello spazio; oppure rendersi prigioniero di ciò che in questo mondo attrae di più perché sa recare una felicità immediata seppur non duratura. Questo libro guida a scoprire nella vicenda umana di Gesù di Nazareth il volto stesso di Dio e, nel medesimo tempo, aiuta a ritrovare un’impostazione di vita in grado di salvaguardare la dignità dell’uomo e richiamare l’importanza del suo impegno nel mondo.