23Discepolo
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Transcript of 23Discepolo
IL DISCEPOLOun porto sicuro per tutti coloro che cercano
la via, la verità e la vita
Provvedimento del Presidente del Tribunale
di Modena Iscritto al n.1866 del 19/02/2008
del Registro Stampe e Periodici.
anno 7 - n. 23trimestrale - gennaio/marzo 2014€ 5,00
COPIA OMAGGIO
Copyright 2007
questa rivista è emanazione della Draco Edizionifondata nel 2006, per diffondere in termini moderni l’antica conoscenza esoterica.
in collaborazione con l’associazione Atman, fondata nel 1994 per la diffusione del raja yoga e dell’esoterismo,
di Energheia, fondata nel 1996, la prima scuola italiana per terapeuti esoterici,di Agnihotri I Custodi del Fuoco, Il Sentiero di Guarigione del Guerriero di Fuoco,
fondata nel 2010 come scuola di Yoga, Vita e Salute,e dell’omonimo portale www.yogavitaesalute.it, fondato nel 2012.
Nel tempo tutto cambia e niente cambia. Le realtà essenziali della vita, le sue strutture fondamentali, l’ana-tomia e la fisiologia della coscienza rimangono fedeli all’emanazione primordiale di quel verbo che tutto pervade. Nel tempo, quello che cambia sono i modi della manifestazione, sempre più aderenti alle forme cangianti che lo spirito può usare, di era in era, nel suo lungo pellegrinaggio tra le pieghe della materia. Nello spirito che discende nella carne si compie la parabola del figliuol prodigo che prima o poi ritornerà nella casa del padre. Questa rivista, in fin dei conti, vuole solo prendere atto dei modi diversi oggi necessari ad esprimere adeguatamente le immutabili verità dell’antica saggezza esoterica. Questo spazio vuole essere utile a tutti i pellegrini che nel loro viaggiare sono arrivati a rivolgere gli occhi verso la casa in cui sono nati. Che il potere del padre, l’amore del figlio e la sapienza dello spirito santo ci uniscano in un’unica vita.
Massimo Rodolfi
La tensione è tale che il Mondo freme. Gli eventi sono in pressione. A tutti i livelli le energie del-la Luce sono impegnate a fondo per salvarlo dalla distruzione, mentre le tenebre si insinuano, con ma-schere luminose, decise ad annientare ciò che la Luce crea e, dove possibile, a demolire le basi stesse dell’opera creativa. Nell’epoca grave dell’Armageddon è specialmente necessario sapere quali sono le forze che causano le azioni di ogni singolo giorno, di ogni singolo evento, di ogni fenomeno; poiché è l’ora della decisione, e non ci sono mezze misure sulla via del Mondo del Fuoco.
Maestro Morya
Immagine di copertina: Fotografia di Manuela Baccin“Fluttuare nel cielo della nostra anima”
Collaborazione progetto grafico Simona MurabitoStampato presso la tipografia Nuovagrafica s.c.
Sommario
Editoriale Curatore: Massimo Rodolfi
C’È UNA GUERRA IN CORSO... E NOI SIAMO L’ULTIMA SPERANZA! pag. 2 Letteratura e spiritualità Curatore: Anna Todisco
I FRUTTI DELLA FATICA pag. 4 il Raja Yoga e l’esoterismo Curatore: Luca Tomberli
GLI OTTO STADI DELLO YOGA pag. 7 Antica saggezza e scienza moderna Curatore: Gianluca Fontana
THE MAGIC OF SCIENCE... pag. 10 Conoscere la conoscenza Curatore: Andrea Innocenti
I SENSORI DELLA COSCIENZA ASSOLUTA (terza parte) pag. 13 Il Sentiero Iniziatico Curatore: Massimo Rodolfi
NON CREDETE ALLE PROFEZIE! COSTRUIAMO INSIEME IL FUTURO pag. 16 Scienze dell’India Antica Curatore: Alessandra Petrocchi
LA SACRALITÀ DELLA PAROLA NEL CANTO VEDICO pag. 18 Mitologia e Sentiero Iniziatico Curatore: Graziano Fornaciari
ERCOLE E IL RIPULIMENTO DELLE STALLE D’AUGIA pag. 21 Astrologia esoterica Curatore: Maria Grazia Barbieri
MARTE, NETTUNO E IL 6° RAGGIO pag. 25 Geometria Sacra Curatore: Enrica Battaglia
L’OTTO DANZANTE pag. 27 Fitoterapia energetica Curatore: Donatella Donati
IMITA L’ORMONE, VIVRAI SENZA FATICA... pag. 29 La coppia sul sentiero Curatore: Giorgio Ricci Garotti e Monica Giovannini
UN PASSO VERSO IL TANTRA pag. 31 Educare per la consapevolezza Curatore: Anna Grazia Fiorani
SINDROME ADHD, LA SINDROME DELL’IPERATTIVITÁ, MA QUALE IPERATTIVITÁ? pag. 33 La Comunicazione Umana Curatore: Anna Maria Fabene
I CARE... MI È CARO! pag. 36 Psicologia Curatore: Diana Ferrazin
DAI! GIOCHIAMO UN PO’ INSIEME (seconda parte) pag. 38 Le fiabe della Manu Curatore: Manuela Baccin
CANTO DI GUERRA (terza parte) pag. 40
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Non mi sto riferendo semplicemente all’eter-
na lotta tra il Bene e Il Male, ma a qualcosa di
molto più specifico, che riguarda questi tem-
pi. Certo il problema nasce da quando lo ‘Spi-
rito aleggiava sulle acque’, cioè da quando,
all’inizio della creazione, fu necessario spin-
gere in ‘relazione’ due forze fondamentali,
per esprimere la terza.
Spirito e Materia, che nel loro rapporto gene-
rano Coscienza. Yin e Yang, che nella loro re-
lazione esprimono la dinamica del Tao. Pola-
rità positiva e negativa, che trovano armonia
nella neutralità, o se preferite, Rajas e Tamas,
che si compongono in Sattva.
Bene, adesso che vi ho fatto un po’ di cosmo-
gonia gratis, veniamo ai tempi nostri... nei
millenni, questa relazione duale e conflittua-
le, che Hegel ha descritto come tesi-antitesi-
sintesi, ha assunto nella storia dell’umanità,
un’infinità di ‘vesti’ e di contorni, che ovvia-
mente non staremo qui a ripercorrere, però
tutti i tempi non sono uguali.
Vi sono appuntamenti particolari, nei cicli pre-
cisi della vita cosmica, dai quali non si può
prescindere, e mi sa proprio che in questi
anni, sulla faccia della Terra, stiamo vivendo
proprio una singolarità specifica. Nella ma-
tematica precisa del cosmo, siamo giunti in
prossimità di un appuntamento unico, forse
già visto, nella sua cadenza, ma irripetibile
nella sua specificità.
La fine di un ciclo, la fine di un’era, l’inizio di
una nuova avventura per l’umanità, che po-
trebbe confermare la sacralità della nostra
natura, per ora non così evidente...
La porta del Tempio della Saggezza sta aspet-
tando il nostro arrivo e il Guardiano della So-
glia Planetario veglia, affinché il nostro risve-
glio possa avvenire, e Lui essere sconfitto.
Le orbite cosmiche ci stanno inesorabilmen-
te avvicinando al nostro destino, ma toccherà
a noi compiere quel balzo, che solo potrà far-
ci afferrare il prossimo ramo dell’Albero della
Vita, perché l’evoluzione non avviene senza
sforzo, e senza quel sacrificio, che dovremo
imparare a riconoscere come sacri-ficio, in
tutta la sua bellezza.
Nell’approssimarsi dell’ora del Fuoco, le forze
del Male si agitano in tutto il loro furore, e
in tutta la loro cattiveria, opponendo la giusta
resistenza a ciò che di meglio la coscienza
umana ha saputo produrre. Così siamo noi
umani, splendidi e terrifici al tempo stesso,
capaci di opere stupefacenti, grandi slanci di
eroismo, e nefandezze glaciali, impregnate di
putredine.
D’altronde siamo proprio noi l’oggetto del
contendere. Sì, noi siamo la posta in palio, e
in ‘tanti’ vogliono proprio noi, i nostri corpi, le
nostre coscienze, e anche il nostro pianeta.
Io rilevo una discreta coalizione di forme di
vita, che in questo momento stanno operan-
EditorialeCuratore: Massimo Rodolfi
C’È UNA GUERRA IN CORSO... E NOI SIAMO L’ULTIMA SPERANZA!
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do in senso contrario alla vita come la inten-
diamo noi umani, tutte effimeramente unite
dall’avidità e dalla volontà di possesso.
In primo luogo, in questa scellerata alleanza,
vi sono esseri umani corrotti dalla sete di po-
tere e dalle malie che solo un male suadente
può suggerire. Sono quelli che stanno ven-
dendo il pianeta per un piatto di lenticchie, ac-
contendandosi del marcio che le forze oscure
possono offrire loro.
Poi vi sono i cari vecchi demoni, con tutta la
loro Nera Gerarchia, connaturata al destino
del nostro pianeta. Questi, da sempre osses-
sionano gli umani, specialmente quelli più in
sintonia con il loro sentire. Oggi forse sono
in minoranza, ma rappresentano pur sempre
una discreta forza distruttiva.
Infine vi sono alieni di varia natura, soprattut-
to parassiti e provenienti da altre dimensioni,
più che da luoghi specifici dello spazio, che
nella corruzione della nostra coscienza, trova-
no il loro nutrimento preferito, e che vedono
i nostri corpi come utili contenitori per la loro
evoluzione. Non basterebbe un trattato per
descriverli bene a modo, per cui mi limiterò
ad enunciare alcune delle razze più attive e
pericolose per la specie umana.
Rettiliani, Grigi, come nomi comunemente
accettati, poi ci sono quelli che io chiamo
Avatar, sì, proprio quelli del film, quelli che
io chiamo ‘Borg’, per una certa similitudine
con l’omonima razza di Star Trek, e altre raz-
ze minori, non certo per crudeltà ed avidità.
Tutte queste ‘creature aliene’ condividono un
oscuro quanto pericoloso obiettivo, vista la
difficoltà che gli umani hanno nel riconoscere
queste manovre. Sto parlando della manipo-
lazione della coscienza umana e dell’aliena-
zione dei nostri corpi.
Certo che sono cose incredibili, e pensate
che, in realtà, non ho ancora rivelato niente...
devo dire che per anni sono stato abbastanza
riservato nel parlare di questi argomenti, sia
per non allarmare eccessivamente il mio udi-
torio, ma anche per non essere preso subito
per pazzo.
Valutate voi se il fatto che ora inizio a parla-
re apertamente di alieni, sia frutto di legge-
rezza, o magari per da una condizione parti-
colarmente grave. Io opto per la seconda, e
confesso anche che non abbiamo più niente
da perdere, io no di sicuro, per cui mi spendo
nel cercare di avvisare, per quanto possibile,
coloro che vorranno essere avvisati.
Un’obiezione che mi viene spesso fatta, suo-
na più o meno così: “ma non ci sono alie-
ni buoni? Non c’è nessuno che ci aiuta?”
Certamente... esistono esseri di ogni natura
nell’universo, e quindi anche esseri parti-
colarmente evoluti, che anche si prendono
cura dell’evoluzione del nostro pianeta, ma
a differenza dei loro colleghi ‘oscuri’, questi
rispettano la nostra libertà, e soprattutto, sia-
mo ‘noi’ di fronte al ‘nostro’ scalino evolutivo,
che comporta anche la necessità di liberarsi
dei parassiti della coscienza, che, per ora, ci
meritiamo in pieno.
Tratterò meglio in futuro, in maniera più det-
tagliata, ciò che in questo contesto sto solo
accennando, per ora mi basta cercare di far
portare l’attenzione sull’urgenza della que-
stione, su come sta avvenendo la lotta tra
Bene e Male, riguardo alla coscienza umana.
Solo noi umani possiamo fare la differenza e
spostare l’ago della bilancia in nostro favore.
Nessuna grazia dal cielo, nessun aiuto ‘da
casa’, nessuna vocale da comprare. Sempli-
cemente dobbiamo renderci conto che così
non può continuare.
Massimo Rodolfi
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no non solo il soggiacere ai propri limiti, ma
il tentativo pavido ed illusorio di sottrarsi ai
flussi vitali che naturalmente ci sospingono.
Poiché oziare è come vivere fuori del tem-
po, come uscire dalla crescita della vita, che
avanza solenne ed orgogliosamente sotto-
messa verso l’eternità. (K. Gibran)
Sì, perché la vita non si arresta mai, ma si
svolge secondo un progetto determinato, il
Piano, che è la volontà stessa del Creatore
e che prevede l’evoluzione dell’umanità. Va
da sé quindi che l’ozio è contrario a qualsivo-
glia conseguimento, è l’orco a cui dobbiamo
smettere di dare ossa da mordere, visto che
abbiamo tanto da fare per adeguarci sempre
di più alle esigenze della vita, che coincidono
con la necessità di trasformarci per emen-
darci fino ad identificarci perfettamente con
le cellule divine, punti di passaggio, che in
essenza siamo.
Fratelli e sorelle, è possibile lavorare senza
sosta, le ali crescono nel ritmo veloce dei
giorni e delle notti. (Morya)
Ma come ancora ci dice Morya, pochi sanno
gioire quando si tratta di superare un ostaco-
lo. Lo sappiamo bene tutti, per esperienza.
Preservarsi dalla fatica è tendenza comune.
Letteratura e spiritualitàCuratore: Anna Todisco
I FRUTTI DELLA FATICA
Quando stanco siederò lungo la strada
e stenderò il giaciglio sulla polvere,
possa io ricordare
che ho ancora tanta strada da fare.
(R. Tagore)
La fatica rappresenta un tratto esistenziale
che accompagna e caratterizza la condizio-
ne umana. Strettamente connaturata con
qualsiasi attività dell’uomo, essa si è sempre
naturalmente associata ad un’idea di grande
positività e valore, come confermano tanti
aforismi e modi di dire anche di biblica memo-
ria. Secondo una certa visione della filosofia
classica greca la fatica rappresenta il senso
più profondo dell’individuo. Spesso la dignità
dell’uomo è stata commisurata alla sua attitu-
dine a profondere grande impegno e instan-
cabile fatica nelle sue regolari attività. Solo i
pigri e gli indolenti sostengono che il lavoro
stanca e persino nuoce alla salute, così dice
il Maestro Morya, che ci esorta a non cercar
riposo nell’ozio, che è il bacillo dell’indolenza.
La fatica è la fondamentale premessa della
potenza umana, il presupposto necessario
alla realizzazione creativa; solo accettandola
l’uomo può realizzare il desiderio di superare
i propri limiti. Antiteticamente l’ozio e l’im-
mobilismo, condizioni peraltro assolutamen-
te innaturali perché la vita è spinta continua,
incessante impulso ad essere, rappresenta-
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Ma questo non è forse un altro modo di con-
centrarsi su di sé, di appartarsi immobili nella
torre d’avorio a guardare a distanza e giudi-
care, magari recriminando e criticando, ma
rigorosamente fuori dai giochi, al riparo dietro
le quinte? Trionfo ennesimo dell’egoismo e
dell’egocentrismo, trappole della misera mio-
pia umana, che impedisce la percezione della
vita più ampia.
Per noi l’ora del lavoro non è l’ora della gio-
ia. Abbiamo bisogno del riposo, poiché non
possiamo trovare il nostro riposo nel lavoro. Il
fiume riposa nel suo corso regolare, il fuoco
nel divampare della sua fiamma, il profumo
del fiore nel suo diffondersi per l’atmosfera,
ma per noi, nel nostro lavoro ordinario, non
esiste tale riposo. Il lavoro ci affatica perché
non ci dedichiamo completamente ad esso
con gioia. (R. Tagore)
E amare la vita per mezzo della fatica è com-
prenderne il più profondo segreto. […]
E quando lavorate con amore siete in comu-
nione con voi stessi, con gli altri e con Dio.
E cosa significa lavorare con amore? […] è in-
sufflare il vostro spirito in ogni vostra azione.
[…] Poiché se cuocete il pane senza parteci-
pazione, cuocete un pane amaro che soddi-
sfa solo a metà la fame dell’uomo. E se pigia-
te l’uva di mala voglia il vostro essere restio
trasformerà il vino in veleno. (K. Gibran)
Ma questi discorsi sembrano veri anacro-
nismi nell’attuale momento storico in cui le
tendenze culturali dominanti spingono in dire-
zione opposta. Lo sappiamo bene, oggi ven-
gono veicolati e sostenuti modelli che ben
si sposano con il mondo effimero e fasullo
dell’apparire, del successo e del guadagno
facili, dominato dalle pin up, dai sex-symbol
e i loro bodyguard, tutti look, lifting, body-
building e fitness, sempre oggetti di gossip
nei talk-show. Nello star-system tutto è faci-
le, tutti sono felici, e quello che più conta “si
vince facile”. Questo è quello che appare.
Qui siamo davanti al grande paradosso dei
nostri giorni. Da una parte l’esaltazione dell’e-
donismo, della superficialità, del “tutto senza
sforzo e subito”, che ha come strascico, non
certo sfavillante, il proliferare di corruzione
e malcostume. Dall’altra stiamo assistendo
all’avvento dell’Era del Fuoco, come da tem-
po si va affermando, anche se questo non è
altrettanto evidente. Questi tempi di grandi
cambiamenti richiedono invece adesione
alla sostanza, fermezza nel carattere, ferrea
volontà, eroico coraggio e assunzione di re-
sponsabilità. Di tutto ciò necessita colui che
consapevolmente, incurante della fatica e del
dolore, calca il Sentiero, sottile come filo di
rasoio che, attraverso le lande desolate, at-
traverso le più dense foreste, attraverso le
profonde acque del dolore e dell’angoscia,
attraverso la valle del sacrificio e superando
le montagne della visione conduce alla por-
ta della liberazione. A volte camminerà nelle
tenebre (e l’illusione delle tenebre è estrema-
mente reale); altre volte in una luce tanto ab-
bagliante e sfolgorante da scorgere a fatica il
cammino; potrà provare cosa sia vacillare sul
Sentiero e cedere alla fatica del servizio e del-
la lotta; potrà temporaneamente smarrire la
strada e vagare per i sentieri dell’ambizione,
dell’interesse egoistico e delle seduzioni ma-
teriali, ma non saranno che brevi deviazioni.
(A. A. Bailey, Trattato di Magia bianca)
Costui, l’aspirante, deve necessariamente
avere un atteggiamento virile, ancorato a
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quella ferma perseveranza che vince ogni
ostacolo e non vacilla, qualunque cosa ac-
cada. Egli ha da affrontare le più impegnati-
ve e difficili battaglie all’interno della propria
coscienza per poter liberare il proprio essere
da ogni capacità di nuocere. Deve compiere
un lungo e faticoso lavoro alchemico che lo
porterà a dominare ogni più piccolo angolo di
coscienza, al servizio della luce dell’anima. E
il fremere dei tempi non concede tregue.
Sei in letargo? Quanto prima il tuono ti scuo-
terà; ma forse troppo tardi per alzarti e fende-
re la tua indolenza e la tua passività. […]
Non considerare queste parole come sempli-
ce sfogo poetico. Non è tempo di oziare. Vivi
il messaggio dell’Accordo […] e svela, nella
vita, il miracolo dell’Armonia. (Raphael)
Il Mondo del Fuoco ci chiama ad una presen-
za autentica nella vita, all’adesione ad una pu-
rezza d’intenti quasi eroica, cavalleresca. Non
a caso Elena Rerich, colei che ha ricevuto
direttamente dal Maestro Morya gli insegna-
menti relativi all’Agni yoga, lo yoga del Fuoco,
più volte fa riferimento alla necessità e alla
bellezza di tale attitudine eroica che diventa
sinonimo di abnegazione totale e dedizione
al servizio:
In verità, la vita sarebbe ricolma di miracoli,
se ci accostassimo a tutto con il cuore aperto
e con l’aspirazione alla bellezza e all’autoper-
fezionamento, non per mezzo di artificiali me-
ditazioni, concentrazioni e altri metodi mec-
canici, bensì nel podvig della vita.
Podvig è una parola russa che non trova equi-
valenti in altre lingue occidentali e sta ad indi-
care un atto eroico mirante al Bene dell’Uma-
nità compiuto con la massima tensione e al
limite delle forze, fino al completo oblio di sé.
L’eroe dei nostri giorni non si lascia tentare
dalle lusinghe della materia, eppure supera le
prove vivendo consapevolmente gli eventi di
tutti i giorni, come dice Massimo Rodolfi in
una lettera ai soci Atman, nella libera fatica
che porta a consolidare la gioia in una co-
scienza che conosce la luce.
Siate forti, mostrate il vostro viso al vento,
mentre le gambe si piantano salde nel ter-
reno insidioso di ciò che vi attornia. Ritmate
l’azione e non mirate alla fine, i frutti verranno
alla stagione adeguata, per ora vi basti colti-
vare la terra. (M. Rodolfi)
Il frutto della nostra fatica, a suo tempo, si
tradurrà stabilmente in gioia e capacità creati-
va, in equilibrio permanente e armonia, e tut-
to questo, parafrasando una pubblicità molto
“passata” in TV, non ha prezzo.
Finita la vacanza, riprendiamo il lavoro.
Decidiamo che fare. Agire. In questo agire
eterno sta la Nostra vacanza. Ma voi, seguen-
do il nostro esempio, cercate di farlo senza
penose tensioni. Risolvete di agire con cal-
ma, sapendo che la Nostra Fonte scorre pe-
renne attraverso voi. E quando vi domandate:
“dove sono Coloro che hanno promesso?”
siamo alle vostre spalle, e Ci rallegriamo ve-
dendo come cresce in voi il fiore dell’aura:
Perché questo è il Nostro Giardino. Oltre i
confini ristretti la Luce unisce i cuori. (Morya)
Anna Todisco
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I diversi tipi di yoga accompagnano l’evoluzio-
ne dell’essere umano. Il Raja Yoga è la nostra
grande opportunità. Tutti i veri aspiranti all’u-
nione riconoscono in Patanjali, e in particolare
negli Yogasutra, la vera fonte di trasmissio-
ne degli insegnamenti sullo Yoga. Per la Tra-
dizione, il Raja Yoga è stato codificato negli
Yogasutra 12.000 anni fa. Prima di allora gli
insegnamenti erano trasmessi oralmente da
maestro a discepolo. Secondo i Maestri, no-
nostante sia passato qualche anno dalla sua
divulgazione, il Raja Yoga è ancora adatto per
fornire le istruzioni necessarie per conoscere
la luce. Infatti il controllo delle funzioni della
mente è ancora la meta dell’uomo odierno,
anche se spesso fra gli aspiranti spirituali c’è
una certa confusione in proposito. Ogni tipo
di yoga, nel tempo, ha svolto una funzione
ben precisa, e quindi un ritorno ad una vec-
chia pratica potrebbe risultare in molti casi
inopportuno. Nello yoga, così come in ogni
testo sapienziale, si possono scorgere le leg-
gi dell’anima. Oltre agli Yogasutra, anche la
Bhagavad Gita e il Nuovo Testamento offrono
una panoramica sulle potenzialità dell’anima.
La Gita descrive l’incontro tra Krishna, l’ani-
ma, e Arjuna, l’aspirante spirituale, tramite le
istruzioni dello yoga. Nel Nuovo Testamento
il racconto della vita di Gesù ci svela il percor-
so che ci attende. Viene descritto lo sviluppo
dell’anima tra le pieghe della materia. I Su-
tra Yoga descrivono in maniera particolareg-
giata un sistema di sviluppo della coscienza
che, attraverso la conoscenza di se stessi,
conduce nel Regno dei Cieli. Per conoscersi
è necessario trasformare la personalità. Ed
è proprio Il cambiamento che ci conduce a
trionfare sul mondo, quando il distacco divie-
ne consapevole e l’attività è incessante. Al-
lora l’essere umano, entro la mente, diviene
consapevole del Sé Superiore riflettendone
l’intrinseca luce. Così l’anima, libera dai veli
della materia, permane nel suo stato di uni-
tà isolata, e la coscienza potrà comprendere
definitivamente che tutto ciò che esiste è in
funzione dell’anima; ma fino a quando la con-
sapevolezza è identificata nella percezione,
si rimane schiavi del mondo. Patanjali negli
Yogasutra ci dona un manuale di istruzioni per
raggiungere l’unione e sperimentare tutto il
bene che si dice dello yoga. In particolare at-
traverso gli otto mezzi ci indica il metodo per
realizzare la luce dell’anima. Altri dopo di lui
indicheranno un percorso in otto tappe per
raggiungere le vette della consapevolezza.
Infatti il Signore Buddha, nel rivelare le Quat-
tro Nobili Verità, descrive la parte finale del
percorso umano che si conclude nell’ottupli-
ce sentiero, di cui la retta meditazione rappre-
senta la meta ultima. Anche il Maestro Gesù
indica la Salvezza in otto azioni, le otto Beati-
tudini evangeliche, che conducono all’atteg-
Il Raja Yoga e l’esoterismoCuratore: Luca Tomberli
GLI OTTO STADI DELLO YOGA
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giamento necessario per vivere nel presente
il Regno dei Cieli. Patanjali dedica parte del
secondo libro dei Sutra a spiegare gli otto
mezzi. Le pratiche descritte non sono degli
stadi da compiere temporalmente, uno dopo
l’altro. Questa errata visione ha generato di-
versa confusione tra i praticanti. Come quella
per cui chi si avvicina allo yoga debba iniziare
dalla pratica delle posizioni fisiche. Invece i
vari mezzi devono essere praticati simultane-
amente nei tre mondi della personalità. Per-
ciò le indicazioni date da Patanjali dovrebbero
essere sperimentate contemporaneamente
nei tre mondi inferiori. Affinché tutto il sé in-
feriore ne sia coinvolto.
I primi due stadi, Yama e Nijama, sono i co-
mandamenti e le regole. Spesso vengono
considerati come un tutto unico che forma
la base necessaria per praticare lo Yoga. Se
non sono stati sufficientemente praticati sarà
difficile entrare in contatto con dei veri inse-
gnamenti sullo yoga. Rappresentano quel
minimo di purificazione necessaria per intra-
prendere l’arduo percorso che porta a iner-
picarsi verso se stessi. La pratica dei cinque
comandamenti avrà sempre un suo perché
fino a quando non si realizza il Dharma. Cioè,
quando avremo compreso profondamente
l’essenza dei comandamenti, li riconoscere-
mo come delle leggi naturali presenti in noi e
fuori di noi. Il primo dei cinque comandamen-
ti, innocuità, rappresenta l’inizio e l’obiettivo
del percorso. Approdare all’innocuità significa
aver abbandonato la distruttività ed essere in
contatto con la Natura Profonda. Secondo A.
A. Bailey, Yama e Nijama corrispondono ai
dieci comandamenti della Bibbia e riguardano
la vita quotidiana, i contatti con il prossimo e
le reazioni interiori.
Il terzo mezzo, Asana, riguarda la stabilità
nella vita del triplice mondo inferiore. Per
conoscersi è necessario raggiungere un suf-
ficiente equilibrio emotivo e mentale che in-
viti l’anima a discendere. In altre parole non
possiamo occuparci delle cose spirituali se
abbiamo altre incombenze da sistemare. Fino
a che non avremo trovato un minimo di sta-
bilità nel mondo sarà difficile confrontarsi con
le prove che attendono chi vuole accedere al
Cuore.
Il quarto mezzo, Pranayama, è legato al domi-
nio della forza vitale. Per giungere all’unione
si deve imparare a controllare le forze di cui si
dispone, in modo che siano trasmesse fedel-
mente ai veicoli inferiori. Il concetto dell’ef-
ficienza energetica potrebbe spiegare bene
questo stadio. Imparando a fluire maggior-
mente tra le difficoltà, si riesce a riconoscere
sempre di più nell’attività l’espressione della
vita entro stante.
Il quinto mezzo, Pratyahara, è la capacita di
astrazione dai sensi. In questo stadio si cer-
ca di realizzare un miglior atteggiamento nei
confronti della vita. La personalità, una volta
organizzata, esprime quelle funzioni che la
caratterizzano e quindi diviene utile. Soltan-
to quando non si è attratti dagli aspetti su-
perficiali, si può essere un tramite dei mondi
superiori. I cinque stadi considerati fino ad
adesso possono essere visti nell’ottica di una
grande purificazione, in quanto favoriscono la
trasformazione della personalità, affinché il
sé inferiore abbia sempre meno presa sulla
coscienza. Ciò è necessario per potersi spin-
gere verso le gelide vette della mente dove
il campo di azione si restringe. Il potere della
mente, che per molto tempo aveva diviso, ad
un certo punto viene rivolto alla comprensio-
ne di ciò che incontriamo lungo il cammino.
Al riguardo Massimo Rodolfi scrive: i primi
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cinque passi sul sentiero dello yoga reale,
riguardano l’aspetto propedeutico rispetto a
ciò che anche Patanjali ritiene essere il cuore
di tutta la pratica. Attraverso la comprensio-
ne dei primi cinque mezzi: regole e proibizio-
ni, giusta posizione nella vita, controllo delle
energie vitali e distacco dai sensi, si acqui-
siscono la stabilità e la purezza necessarie
per potere realizzare con profitto la parte più
significativa del raja yoga, quella riguardante
la concentrazione, la meditazione e l’estasi.
Il sesto mezzo, Dharana, riguarda l’attenzio-
ne. È la capacità di focalizzare la mente su un
oggetto prescelto, interno od esterno. Una
calma percezione senza altro turbamento
porta alla concentrazione. Per Vivekananda,
Dharana è tenere la mente su un solo pensie-
ro per dodici secondi.
Il settimo mezzo, Dhyana, riguarda la possibi-
lità di sprofondare in ciò che si sta fissando.
Praticandolo ci si immerge in un mondo di
energie che è al di là della forma. Rispetto alla
concentrazione l’unica variabile è il tempo.
L’ottavo mezzo, Samadhi, riguarda il mondo
delle Cause. Secondo Massimo Rodolfi il
samadhi è lo stato nel quale la nostra per-
cezione della vita è assolutamente aderente
allo stato di fatto delle cose. A. A. Bailey lo
descrive come l’assorbimento nella coscien-
za dell’anima, e la liberazione dalla percezio-
ne sensoria porta a realizzare la coscienza di
gruppo. Allora in quello stato di consapevo-
lezza lo yogi si riconosce come luce.
Visto che gli ultimi tre mezzi rappresentano
il cuore del Raja Yoga è importante che ven-
gano considerati come un unico atto sequen-
ziale. Concludo con le parole di Massimo
Rodolfi: “Dharana, dhyana e samadhi, altri-
menti chiamati samyama, la disciplina, costi-
tuiscono la chiave di volta di tutto il sistema.
Non sono riconducibili semplicemente a delle
specifiche pratiche, che pure possono esiste-
re, quanto piuttosto si riferiscono alla possibi-
lità della mente umana di entrare in rapporto
stabile e non disturbato con l’essenza della
vita stessa. Attraverso la concentrazione,
dharana, appuntata sulla forma, il praticante
di raja yoga sviluppa la capacità di meditare,
dhyana, ossia comincia a percepire la qualità
che sta al di là della forma. Questa percezio-
ne ‘extra-sensoriale’ inizia a far comprendere
le vere strutture della vita e della coscienza,
quelle che normalmente non sono percepite
dall’attività sensoriale fisica. Così si sviluppa-
no tutti quei siddhi, o poteri, di cui Patanjali ci
parla nel terzo capitolo degli Yogasutra. Quan-
do questa capacità di ‘essere’ in meditazione
nella vita diviene stabile, allora si sperimenta
il samadhi, l’indifferenziato stato di non per-
turbazione, altrimenti chiamato estasi, illumi-
nazione, nirvana, etc.”.
Luca Tomberli
Siamo a Parigi. È il 19 ottobre 1783. I fratelli
Joseph-Michel e Jacques-Etienne Montgol-
fier stanno predisponendo la loro macchina
del volo di fronte a un pubblico numerosis-
simo. A bordo vi sono tre uomini, tra cui uno
scienziato. Via via che riscaldano l’aria all’in-
terno del pallone, quest’ultimo comincia a
‘galleggiare’. Di lì a poco, le funi si tendono
e la navicella si alza da terra. La folla, incre-
dula, applaude. Per la prima volta, nella sto-
ria dell’umanità, un aeromobile ha portato
l’uomo in cielo. Per questo successo, i fra-
telli Montgolfier vengono nominati membri
straordinari dell’Accademia delle Scienze di
Parigi. E, in Italia, Vincenzo Monti compo-
ne l’Ode al signor di Montgolfier, scrivendo
così di quel giorno memorabile: Il gran pro-
digio immobili i riguardanti lassa, e di terrore
un palpito in ogni cor trapassa. Tace la terra,
e suonano del ciel le vie deserte: stan mille
volti pallidi e mille bocche aperte. Questo il
fatto e le emozioni che lo hanno caratterizza-
to. Ma come sono riusciti i fratelli Montgol-
fier in questa... magia? Beh, hanno applicato
una legge di natura scoperta da Archimede
di Siracusa già nel III secolo a.C. Un princi-
pio che porta il suo nome e che ritroviamo
nell’opera intitolata Sui corpi galleggianti. L’e-
nunciazione più semplice di questo principio
è la seguente: Un corpo immerso in un fluido
riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al
peso del volume di fluido spostato. Questa,
per intenderci, è la legge di natura per cui,
dati ad esempio un oggetto in legno e uno di
uguale forma in ferro, il primo galleggia e il
secondo va a fondo. La cosa interessante per
noi è che questa legge non vale solo per il
galleggiamento nei liquidi, ma anche nei gas,
come l’aria. Tutto sta, in questo caso, nel tro-
vare un qualcosa che sia più leggero dell’a-
ria, come il legno lo è dell’acqua. In natura,
vi sono diversi gas che risultano più leggeri
dell’aria, e tra questi uno particolare è l’aria
riscaldata. Lo sappiamo per esperienza, ricor-
dando, per esempio, che fare la sauna seduti
in alto è più impegnativo che seduti in basso.
E lo scoprì uno dei due inventori della mon-
golfiera, Joseph, quando una sera notò che
dei panni posti ad asciugare sopra un fuoco
si sollevavano ripetutamente. Ecco, i fratel-
li Montgolfier, per realizzare la loro... ma-
gia, hanno applicato questa legge di natura.
Siamo, ora, agli inizi degli anni ‘90. David
Copperfield sta presentando al pubblico un
numero che per essere realizzato ha richie-
sto sette anni di lavoro, a lui e al suo team di
progettisti, costruttori ed assistenti. Si tratta
di Flying, Volare: non un ‘semplice’ numero
di levitazione, ma un vero e proprio volo sul
palcoscenico della durata di diversi minuti.
L’obiettivo di Copperfield è dimostrare che
non sta facendo uso di alcun mezzo per li-
Antica saggezza e scienza modernaCuratore: Gianluca Fontana
THE MAGIC OF SCIENCE...
10
brarsi in volo, come, per esempio, dei cavi.
A tal fine i suoi assistenti, dapprima gli fanno
passare intorno una coppia di cerchi, e poi
lo rinchiudono in una cella di plexiglass, con
tanto di coperchio sul quale cammina uno di
loro. In entrambi i casi, l’illusionista dimostra
di poter fluttuare nell’aria, spostandosi da una
parte all’altra del palcoscenico, come un an-
gelo. Il pubblico è sbalordito, non tanto per la
‘levitazione’ in sé, numero noto da tempo nel
repertorio degli illusionisti, ma per la perfetta
riproduzione del volo. A conclusione del suo
numero straordinario, Copperfield atterra sul
palcoscenico, chiama a sé una ragazza e, pre-
sala tra le braccia, la porta con sé in volo. È la
prima volta nella storia dell’illusionismo. Per
questa ed altre illusioni, Copperfield, conside-
rato l’erede del grande Houdini, viene insigni-
to, dalla presidenza del congresso mondiale
di magia, del titolo di illusionista del millennio.
Questo il fatto e quanto è seguito. Ma come
è riuscito Copperfield in questa... magia?
Un’ipotesi è che abbia fatto ricorso alla leg-
ge di natura che regola l’interazione tra campi
magnetici, prodotti da magneti permanenti
e/o da elettromagneti, ovvero magneti che
sono realizzati facendo percorrere delle spire
di materiale conduttore da correnti elettriche.
L’esempio più semplice di tale interazione è
quello delle due calamite orientate in modo
da attrarsi o respingersi. Un esempio molto
più complesso è quello, invece, dei treni a
levitazione magnetica, per i quali, durante la
marcia, non esiste contatto con le rotaie, con
notevole diminuzione dell’attrito. Detto que-
sto, tranne Copperfield e i suoi più stretti col-
laboratori, nessuno sa con esattezza il trucco
del suo Flying. Quello che è certo è che anche
lui, come i fratelli Montgolfier, è ricorso a una
legge di natura conosciuta. Sebbene, essen-
do lui un illusionista, a differenza dei Montgol-
fier, ha fatto in modo che tale applicazione ri-
manesse nascosta alla vista degli osservatori.
Ci troviamo, ora, sul lago di Genesaret, in Ga-
lilea. È l’anno 0. Ecco cosa sta avvenendo,
secondo il Vangelo di Matteo (14, 22-29): Su-
bito dopo Gesù fece salire in barca i discepoli
e ordinò loro di andare all’altra riva del lago
senza di lui. Egli intanto avrebbe rimandato
a casa la folla. Dopo aver lasciato la folla, salì
sul monte a pregare. Venne la notte, e Gesù
era ancora là, solo. La barca era già molto
lontana dalla spiaggia, ma aveva il vento con-
trario ed era sbattuta dalle onde. Sul finire
della notte, Gesù andò verso i suoi discepoli,
camminando sul lago. Quando essi lo videro
che camminava sull’acqua, si spaventarono.
Dicevano: “È un fantasma!” e gridavano di
paura. Ma subito Gesù parlò: “Coraggio, sono
io! Non abbiate paura!”. Pietro rispose: “Si-
gnore, se sei tu, dimmi di venire verso di te,
sull’acqua”. E Gesù gli disse: “Vieni!”. Pietro
allora scese dalla barca e cominciò a cammi-
nare sull’acqua verso Gesù. Ma vedendo la
forza del vento, ebbe paura, cominciò ad af-
fondare e gridò: “Signore! Salvami!”. Gesù
lo afferrò con la mano e gli disse: “Uomo di
poca fede, perché hai dubitato?”. Quando
salirono insieme sulla barca, il vento cessò.
Allora gli altri che erano nella barca si misero
in ginocchio davanti a Gesù e dissero: “Tu sei
veramente il Figlio di Dio!”. Questo il fatto
narrato nel Vangelo. Ma, parlandone con il
massimo rispetto, come riuscì Gesù in que-
sta... magia? Per comprenderlo occorre cita-
re Sant’Agostino, uno dei grandi Padri della
Chiesa Cattolica, e Patanjali, il fondatore del
Raja Yoga. Sant’Agostino, che viene conside-
rato il massimo pensatore cristiano del primo
millennio, un giorno ebbe a dire: I miracoli non
11
si verificano in contraddizione con la Natura,
ma solo con ciò che noi conosciamo di essa.
Come ad affermare che, di fatto, il miracolo,
nell’accezione normalmente intesa, non esi-
ste, ma è sempre il risultato della conoscen-
za e dell’applicazione di una legge di Natura,
che in questo caso non è nota e applicabile
dall’uomo ordinario. Ma se le cose stanno
in questo modo, allora devono esistere una
scienza ed una tecnologia relative. Proprio
così: si tratta del Raja Yoga, lo Yoga Regale.
E, qui, arriviamo a citare Patanjali. Egli visse
probabilmente nel II secolo a.C. ed ebbe il
grande merito di mettere per iscritto i più im-
portanti insegnamenti dello Yoga, la scienza
dell’unione tra umano e divino, che fino ad al-
lora erano stati tramandati oralmente, da Ma-
estro a discepolo. In estrema sintesi, la sua
opera, conosciuta come gli Yoga Sutra, ovve-
ro gli Aforismi dello Yoga, spiega come, con
il controllo di se stessi e, in particolare, con la
padronanza della mente, sia possibile arriva-
re all’intima unione con la Divinità interiore. E
come questa unione abbia due tipi di effetti.
Gli effetti principali, costituiti dalla fine della
sofferenza e della distruttività, che lasciano
il posto alla gioia e alla innocuità. E gli effetti
secondari, i cosiddetti siddhi o poteri. Negli
Yoga Sutra, infatti, il terzo dei quattro libri è
proprio dedicato a questi poteri. Tra i diversi
siddhi, l’aforisma 42 del III libro è conosciuto
come “il sutra del volo”. Eccone la traduzio-
ne nell’edizione curata dalla Nuova Era: Con
la meditazione concentrata sul rapporto tra
corpo e Akasha si ha il potere di salire oltre
la materia e di traslarsi nello spazio. Ed ecco
uno stralcio del relativo commento scritto
da Alice Bailey, allieva del Maestro Tibetano,
figura ben nota nella tradizione teosofica:
Quando si sono praticati correttamente i vari
mezzi di Yoga già descritti, si perviene a certe
chiavi, a certe conoscenze, parole e formule
che, con la meditazione concentrata, conferi-
scono la libertà celeste e il diritto di superare
certi cancelli del regno di Dio. Ora, il Maestro
Gesù, non solo era uno Yogi, ovvero un es-
sere umano che aveva perfettamente fuso la
sua personalità con la Divinità interiore, ma
era ed è anche il più grande degli Yogi che fino
ad oggi si siano incarnati sul nostro Pianeta.
Aveva, dunque, le conoscenze di certe leggi
occulte di Natura e le abilità, derivanti dalla
padronanza della mente, di applicarle per ot-
tenere, se necessario, effetti considerati stra-
ordinari, miracolosi: come, per esempio la
camminata sulle acque del lago di Genesaret.
In conclusione, dunque, sia i fratelli Mon-
tgolfier, uomini di scienza, sia David Cop-
perfield, uomo di illusionismo, sia il Maestro
Gesù, Uomo di spiritualità, hanno compiuto,
sì, delle... magie, ma nel senso etimologico
del termine mago. In arabo, infatti, mago
si dice magdim, che significa sapiente...
Gianluca Fontana
12
Ancora con questo terzo articolo continu-
iamo il commento alla lezione del Maestro
Kempis “I sensori della Coscienza Assoluta”.
Così Kempis:
“La struttura della realtà è logica e ciò
garantisce l’impossibilità dell’assurdo e
della mancanza della ragione, del motivo
per cui. Infatti se ogni successivo è sem-
pre un successivo logico, ciò significa che
è sempre fondato e conseguente. Tuttavia
ciò non significa che sia il solo possibile;
lo svolgimento logico lascia spazio a più
possibilità, sia pure di diversa qualità; ma
è proprio dal salto di qualità, conseguenza
della scelta delle possibilità, che si afferma
una coscienza, un sentire più ampio.”
Questa è un affermazione molto importante,
perché investe il tema della libertà. Se tutto è
una pura sequenzialità logica, può sembrare
che la libertà non esista nel modo più assolu-
to. Ciò non è vero per Kempis. La soluzione
che lui da’ è abbastanza complessa ed è stata
affrontata in numerose sedute, ne farò soltan-
to un brevissimo cenno, precisando che così
appare essere la realtà alla percezione dei
maestri del Cerchio Firenze 77, quindi frutto
d’esperienza e non di speculazione filosofica,
ma che per presentarla a chi non è in grado di
sperimentarla è necessario tradurla in termini
speculativi, inoltre la sua accettazione al di là
della verifica logica rimane affidata alle pos-
sibilità d’intuizione del ricercatore. Per Kem-
pis la struttura di ciò che noi viviamo , è
come un film , costituito di tanti fotogrammi,
perfettamente consequenziali, finché il film è
unico la libertà non esiste, ma quando il co-
strutto logico lo permette possono esserci
delle varianti alla catena di fotogrammi, cor-
rispondenti a più possibilità di scelta, di fatto
due spezzoni di film paralleli originati da un
unico film e confluenti nel film originario, la
libertà, sempre molto relativa, consiste nel vi-
verne uno o l’altro, pur restando entrambi ad
un osservatore esterno perfettamente iden-
tici nella loro vitale attività. Mi rendo conto
della estrema sintesi di questa esposizione,
ma la teoria delle varianti è assai complessa
e di difficile accettazione, per questo le voci
del Cerchio hanno dovuto rispondere a tan-
te domande per chiarire i numerosi dubbi ed
incomprensioni. Comunque non è mia inten-
zione l’andare oltre su questo tema che potrà
essere ripreso con più completezza in altre
trattazioni. Continua il maestro:
“In sostanza , la struttura matematica del-
la realtà non rende il tutto un insensibile
meccanismo. Ciò che rende inumana una
macchina non è la sua struttura matema-
tica, ma l’assenza di coscienza. Mentre si
Conoscere la conoscenzaCuratore: Andrea Innocenti
I SENSORI DELLA COSCIENZA ASSOLUTA (terza parte)
13
da’ il caso che la realtà sia essenzialmen-
te coscienza, perciò la sua strutturazione
non annulla la sua esistenza; al contrario
la rende possibile.“
Trovo questa affermazione molto illuminante,
la realtà così concepita richiama alla mente
l’immagine di una cattedrale gotica, perfetta
nell’armonia delle forme, costruite con pre-
cisi rapporti armonici , vedi sezione aurea,
che è in grado di trasmettere attraverso una
limitata porzione di materia un’idea universa-
le. In altri termini l’infinito potere della co-
scienza è manifestato attraverso la razionale
strutturazione della pietra e del marmo in sé
materie la cui coscienza esprime il massimo
grado di limitatezza. Kempis:
“Dire che esiste solo ciò che gli esseri sen-
tono in senso lato potrebbe portare a cre-
dere che la realtà fosse onirica, un insieme
di sogni ; invece l’insieme dei sogni ubbi-
disce ad una logica matematica, cosicché
il soggetto non vive mai l’assurdo fantasti-
co, ma sempre il logico conseguente. Ed
è questa consequenzialità che garantisce
l’unità del Tutto, e viceversa; sicché ogni
nucleo di coscienza – sia pure centro di
sensazione – concretizza, manifesta, costi-
tuisce un quid di sentire che per esistere
qualitativamente unico, al fine di dare la
qualità assoluta al Tutto, deve avere il sa-
pore che finisce, mentre ha una natura im-
mutata nella eternità del non tempo.“
La concezione della realtà in essere è alla
base degli insegnamenti di Kempis , questa
può essere anche messa in discussione, ma,
sia pure anche soltanto con l’intelletto, se l’e-
voluzione non è sufficiente, permette all’indi-
viduo di respirare una sensazione di grande
liberazione e di distacco, infatti ogni nostro
attimo vitale, qualunque esso sia, può essere
vissuto quale goccia del oceano ogni perva-
dente, immutabile ed eternamente esisten-
te, che è l’Assoluto. La legge morale rimane,
ma quale aspetto della costruzione logica del-
la vita e non incombe più come obbligo impo-
sto dalle umane organizzazioni ,vedi chiese,
quasi sempre motivate dal potere e dall’avi-
dità. Kempis:
“Scopo del mio discorso è quello di farvi
soffermare sul fatto che il cosmo è costi-
tuito solamente ed unicamente dai sentire
degli esseri. Ecco perché il piano akasico, o
dei sentire, è il mondo degli archètipi. Ba-
date bene, gli archètipi non esistono alla
maniera degli Universali di Platone, cioè
in sé concepiti, separati dalle cose; bensì
alla maniera dei Terministi, dei Nomina-
listi. In altre parole, come la legge della
materia non esiste astrattamente ma è in-
sita nella materia stessa, l’archètipo scap-
pa fuori quale comun denominatore delle
creazioni degli individui e non viceversa.
Quindi importanti sono gli individui, il loro
sentire e la loro conoscenza percettiva.“
I Nominalisti ed i Terministi appartengono ad
una corrente filosofica scolastica secondo
la quale i concetti universali ricavati come
astrazioni dal particolare sono privi di realtà
sostanziale, poiché solo gli individui hanno
esistenza reale. Posizione questa assai vici-
na a quella di Carlo Marx che ironizza sulla
filosofia idealista di Hegel con queste parole
nella sua opera la Sacra Famiglia:
‘… Ma le mele, le pere, … che ritroviamo
14
nel mondo speculativo sono solo mele,
pere apparenti …; esse sono infatti mo-
menti vitali del <<frutto>>, astratta essen-
za intellettuale, quindi esse stesse sono
astratte essenze intellettuali. Quindi, ciò
che è bello nella speculazione è ritrovarvi
tutte le frutta reali, ma come frutta che han-
no un significato mistico più alto, e che,
cresciute dall’etere del tuo cervello e non
dal suolo materiale, sono le incarnazioni
15
del <<frutto>> del soggetto assoluto…’
L’idealismo della filosofia dei Maestri del Cer-
chio acquista qui una connotazione materia-
lista che ,se anche in sé molto particolare ,
permette all’individuo di recuperare quel va-
lore e quell’importanza, che gli sono negati
da una concezione platonica del reale vissuta
misticamente.
Continua...
Andrea Innocenti
Con questo titolo non voglio dire che le pro-
fezie non possano essere realistiche, o non
abbiano un senso, quanto piuttosto voglio
richiamare al bisogno di essere concentrati
sull’attimo presente, per poter determinare,
con maggiore libertà e consapevolezza, il fu-
turo. Molti anni fa, mi appassionai veramente
allo studio delle profezie, con esiti disastrosi
sulla mia vita.
Un po’ come fanno i Testimoni di Geova, che
si vedono costretti, anno dopo anno, a posti-
cipare la fine del mondo, anch’io ero entrato
in un clima mentale particolarmente ‘profeti-
co’, al punto che, attendendo da un momen-
to all’altro ‘la fine’, dormivo con una valigia
pronta sotto il letto. Visto mai... nel caso fos-
se finito il mondo, io ero pronto a partire per
non so dove.
Per fortuna, il mio periodo profetico durò solo
qualche anno, che può sembrare molto, ma
mi è anche andata di lusso, perché altri ci
passano la vita. Anche abbastanza in fretta,
da quella condizione, diventai teorico dell’illu-
minazione nel salotto di casa, da vero ‘guru’
modenese, quale io mi ritengo. Infatti, credo
tutt’ora che per comprendere la realtà, inte-
riore ed esteriore, non serva niente di più e
niente di meno che la propria coscienza, qui
ed ora, cosa che portiamo sempre con noi.
Credo però che il clima di attesa messianica
e di illusione, che il dipendere dalle profezie
spesso comporta, non siano la cosa peggiore
che un tale atteggiamento produce. Infatti,
è vero che regolare la propria esistenza su
visioni di qualcuno vissuto anche migliaia di
anni fa, basandosi fra l’altro su interpretazioni
discutibili, crea una vera e propria distorsio-
ne spazio-temporale, nella quale si rimane
intrappolati, ma non è ancora il peggio che
possiamo produrre comportandoci in questa
maniera.
Ripeto, nulla toglie che la visione del profe-
ta sia stata giusta, rimarrebbe da discutere
semmai l’interpretazione, ma... in quanto al
giorno e l’ora... nemmeno Gesù, ma solo il
Padre, ne conosce la collocazione esatta sul
calendario.
Il problema sono le forme-pensiero, che
vengono alimentate dando continuamente
energia mentale a pensieri, che non di rado
divengono ossessivi. Non starò qui a discute-
re, per convincere qualcuno, che il pensiero
sia costituito da atomi di sostanza mentale,
estremamente tangibili nella propria dimen-
sione, ma lo darò per scontato.
Ecco quindi che il pensare continuamente,
o comunque frequentemente, alle profezie,
e ai loro infausti esiti, crea, in primo luogo,
un clima mentale interiore negativo nella per-
sona che agisce quel pensiero. Inoltre, ven-
gono prodotti flussi di energia, che vanno ad
alimentare grandi serbatoi condivisi dall’uma-
Il Sentiero IniziaticoCuratore: Massimo Rodolfi
NON CREDETE ALLE PROFEZIE!COSTRUIAMO INSIEME IL FUTURO
16
nità, chiamati forme pensiero collettive, che
contengono tutte le caratteristiche, quantita-
tive e qualitative, relative al tipo di pensiero
‘pensato’.
Indipendentemente dal fatto che ciò che si
pensa, sia tangibile o meno sul piano fisico,
man mano che si alimentano questi serbatoi
di energia mentale, la forma pensiero prende
vita e forza, fino a poter ‘precipitare’ sul piano
fisico, creando influenze proporzionate alla
quantità di energia da cui è informata.
Lo sanno bene gli operatori di magia nera su
grande scala, che usano tutti i mezzi per fa-
vorire il Male, a loro così caro. Lo sanno bene
anche coloro che vogliono controllare la co-
scienza planetaria, visto che continuamente
operano per immettere nelle menti delle per-
sone, pensieri avvilenti e distruttivi, usando i
mass media, e infinite altre tecniche occulte
di condizionamento.
Un esempio recente, sono state le profezie
legate al 2012, e alla supposta fine del
mondo. Per fortuna ci troviamo nel 2014,
non siamo messi benissimo, ma siamo
ancora qua, e contiamo di restarci ancora
un poco, tutti insieme appassionatamente.
Fu però tale e tanta la gazzarra mediatica, e
commerciale, al riguardo, che personalmente
sentii il bisogno di reagire. Lo feci scrivendo,
assieme all’astrologa esoterica Maria Grazia
Barbieri, un libro in controtendenza, dal
titolo 2012 Finalmente!, che trovo ancora di
grande attualità, visto che, non si sofferma
solo sulla questione ‘2012’, ma amplia di
molto la visione, parlando piuttosto della
necessità evolutiva dell’umanità.
Il mio autore preferito, Patanjali, il fondatore
del Raja Yoga, afferma: ‘quando sorge un pen-
siero contrario allo yoga, sviluppa il pensiero
opposto’. Ossia, quando emergono tendenze
distruttive, non ti attardare nel contrastarle,
ma dedica la tua energia a creare aspetti po-
sitivi. Saranno questi ad eliminare le ‘onde’
antagoniste, annichilendole.
Da tempo quindi, mi sono dedicato a cercare
di sviluppare gli aspetti creativi della coscien-
za, evitando di impantanarmi nei climi men-
tali negativi, per quanto realistici possano
sembrare, o anche essere. Non è una cosa
semplice, perché un conto è dirlo, e un conto
è realizzarlo, ma è la sola via per creare posi-
tività nelle nostre vite.
Il futuro, per quanto possa essere in qualche
modo predeterminato dalle tendenze del no-
stro karma, è sempre ‘in movimento’, e ve-
ramente, per lo meno in una certa misura,
può essere modificato, qui ed ora, nel pre-
sente che stiamo vivendo adesso. Non è una
questione di ingenuo ottimismo, ma di cono-
scenza scientifica della vita. Il nostro benes-
sere può essere costruito giorno per giorno,
a partire da ora, se solo riusciamo a ‘volerlo’.
Dovremo contrastare il nostro ‘attaccamento
al male’, che non è indifferente, ma alla fine
potremo instaurare un automatismo positivo
nella nostra coscienza.
Lasciate perdere quindi le profezie, evitate di
essere i gufi, o le civette, di voi stessi, dedi-
cate le vostre energie a costruire un futuro
luminoso. Questo significa assumersi la re-
sponsabilità della propria esistenza, e con-
tribuire alla responsabilità collettiva verso il
pianeta e l’umanità. Forse non cambieremo
definitivamente le cose, anche perché biso-
gna che l’umanità nel suo complesso cam-
bi, ma finalmente la smetteremo di unirci al
coro delle prefiche sciagurate, che cantano le
disgrazie del mondo, e collaboreremo con le
forze sane del pianeta per costruire qualcosa
di gioioso.
Massimo Rodolfi
17
È comune conoscenza che l’efficacia di certi
mantra nel corpo-mente del praticante risiede
nella potenza spirituale veicolata dalle vibra-
zioni tonali quando capaci di toccare i centri
energetici dei corpi sottili ed evocare le scin-
tille del divino di cui l’essere umano è pensa-
to essere un’emanazione, piuttosto che nel
loro significato letterale.
In India, i più antichi mantra documentati ri-
salgono alla fase iniziale del periodo Vedico
(1500-1300 BCE). Questi sono tipicamente
melodici, con una struttura metrica matema-
tica e composti da sillabe o parole in cui sono
dette risiedere energie arcane. L’uso, la fun-
zione, la struttura ed importanza dei mantra
varia tuttavia considerevolmente a seconda
delle diverse scuole di pensiero.
Che origine ha in India la credenza nella po-
tenza della parola? Quale è il collegamento
tra l’importanza attribuita alla necessità di una
corretta pronuncia di mantra e preghiere, la
visione del Sanscrito come lingua sacra e la
realizzazione dell’atto purificatorio?
La collezione di inni religiosi e rituali chiamati
Veda sono le più antiche opere orali trasmes-
se in una lingua Indiana. Il termine Veda (dal-
la radice del verbo Sanscrito vid-‘conoscere,
percepire’) significa ‘conoscenza’, nel senso
assoluto di ‘vera conoscenza’ o saggezza
eterna che è di per sé trascendente. Sebbe-
ne i Veda sono spesso considerati ‘testi’ sacri
astratti e misteriosi, se c’è qualcosa che tut-
tavia i Veda non sono, è proprio essere ‘testi’:
sono composizioni orali che furono traman-
date da padre a figlio, da maestro a discepolo
e messe in forma scritta in un periodo suc-
cessivo. La letteratura Vedica, il cui contenu-
to costituisce la letteratura sacra degli Indù,
tradizionalmente ritenuta essere diretta rive-
lazione del suono cosmico della Verità udita
dagli antichi ṛṣi ‘veggenti’ a cui i Veda furono
originariamente trasmessi attraverso stati di
elevata coscienza, è stata preservata dunque
da una straordinaria accurata tradizione orale.
Queste tradizioni sono spesso considerate
le più antiche ininterrotte tradizioni orali esi-
stenti. Il linguaggio in cui queste opere si pre-
sentano rappresenta una forma arcaica del
Sanscrito, chiamata Sanscrito Vedico, discen-
dente da un gruppo di lingue strettamente
collegate e ricostruito dai linguisti come Pro-
to Indo-Europeo. Gli inni Vedici rivelano una
forte connessione con le altre culture Indo-
Europee. Si riscontrano ad esempio temi
comuni quali il sacrificio del fuoco (agnihotra)
ed il rituale con una bevanda sacra chiamata
soma in Vedico ed haoma nell’Antico Iraniano.
Le tecniche mnemoniche attraverso cui le
composizioni Vediche, considerate il fonda-
mento del sapere del sanātana dharma ‘il dhar-ma eterno’ (il nome originario di quell’insieme
di credenze, riti, e pratiche a cui è stato re-
Scienze dell’India Antica Curatore: Alessandra Petrocchi
LA SACRALITÀ DELLA PAROLANEL CANTO VEDICO
18
centemente dato il nome di Induismo) sono
state tramandate, sono una delle caratteri-
stiche che rendono unica ed affascinante la
cultura Indiana antica. D’altra parte, anche te-
sti posteriori ed avente natura tecnica come
quelli matematici ad esempio, venivano im-
parati e recitati a memoria. La loro struttura
ben si adatta di conseguenza a questa funzio-
ne primaria.
La venerazione Vedica del Sanscrito come lin-
gua sacra attraverso cui i testi rivelati divina-
mente erano intesi essere recitati e memo-
rizzati, ha dato forma allo sviluppo delle varie
scuole Vediche di recitazione. Le parole usa-
te durante il sacrificio rituale (yajña), essendo
canale comunicativo tra gli uomini e gli dei,
sono giunte ad essere investite nel corso del
tempo da proprietà mistiche e un immenso
potere magico.
Il termine Veda non ha mai perso in India il suo
significato di ‘conoscenza’ della verità eterna
originariamente percepita dagli antichi ṛṣi e
articolata in suono e parola (śabda, vāc). Pote-
ri di creazione sono ascritti nel RgVeda (il più
antico dei testi Vedici) a vāc ‘Parola’, personi-
ficata anche come una divinità, sebbene con
minime qualità antropomorfiche. Nel RgVeda
1.164, vāc appare chiaramente come princi-
pio creativo e forza assoluta nell’universo, in
1.164.6 essa è descritta come ‘l’unica’ (ekam)
e nei versi seguenti è detta essere ekam śat ‘l’unica esistente’.
Il sacerdote, l’officiante dell’atto rituale-sacri-
ficatorio che ‘conosce’, ‘realizza’ ed ‘esperi-
sce’ vāc è reso vero conoscitore del potere
mistico. Nella successiva letteratura Brahma-
nica, l’aspetto cosmogonico della dea Vāc è
ulteriormente enfatizzato, come anche la sua
associazione con la bevanda sacra del soma.
Nella tarda letteratura Vedica, vāc è persi-
no definita ‘la madre dei Veda’ (in Taittirīya Saṃhitā 2.8.8.5 ad esempio). La ‘Parola’
rappresenta il potere che, attraverso la reci-
tazione del mantra, soggiace la potenza del
sacrificio ed in quanto tale la forza suprema
e creativa che informa, manifesta, sottosta’
ed al tempo stessa oltrepassa l’intero cosmo.
La ‘Parola’ personifica ed incarna il mistero
della vita.
L’esperienza rivelatoria dei ṛṣi è spesso de-
scritta come ‘vista, udita,’ espressioni me-
taforiche che convergono tuttavia la natura
supremamente olistica e convincente della
indescrivibile esperienza rivelatoria. Ciò che
i ṛṣi hanno ‘visto ed ‘udito’ non è un testo
scritto ma la verità’ ultima ed eterna e la
forma duratura e fondamentale che diedero
alla saggezza Vedica è un flusso cosmico di
parola e suono. Il poeta Vedico, l’antico ṛṣi è
un uomo la cui visione interiore, realizzando
‘intuizioni, ’ è in grado di percepire essenze
mistiche e trascendenti.
Attraverso queste parole inspirate, che sono
l’essenza dei Veda, l’ascoltatore entra in con-
tatto con la trascendenza e l’ineffabilità. Que-
sta visione è corroborata nella prima e nella
tarda letteratura Vedica dove la potenza di vāc è chiaramente associata alla verità dell’oltre.
Nel verso 10. 81.7 del RgVeda, Viśvakarman il ‘creatore’ è chiamato vācaspati ‘il signo-
re (pati) della parola (vācas)’. Nel successivo
śivaismo kashmiro, vāc e ‘considerata espres-
sione della śakti, l’energia femminile di Śiva,
attraverso cui egli si manifesta riassorbendo
l’universo.
Alle modalità di trasmissione orale dei Veda
sono intimamente collegati gli undici pāṭha
‘recitazione’ o modi di cantare i mantra Vedi-
ci. I diversi pātha sono concepiti per consen-
tire la completa e perfetta memorizzazione
19
del testo e la sua pronuncia. L’insistenza nel
preservare la pronuncia e l’accento nel modo
più accurato possibile è collegato alla creden-
za che la potenza dei mantra risiede nel loro
suono quando pronunciato.
Infine, uno sguardo attento all’etimologia in-
do-europea del termine vāc puo’ aprire rifles-
sioni piuttosto intriganti: vāc è ‘diffondersi,
soffiare (va) intorno (ac)’. La radice vā di vāc è
la stessa di quella di vāyu e vāta ‘vento’. En-
trambi, la ‘parola’ ed il ‘vento’ si diffondono
in tutte le direzioni. In Rgveda 10.125.8, è la
20
stessa dea Vāc a parlare:
aham eva vāta iva pra vāmy ārabhamāṇā bhuvanāni viśva |paro divā paro enā pṛithivyai tāvatī mahinā sam babhuva ||“Io soffio come fa il vento, abbracciando tutti
i mondi, più lontano del cielo, più lontano del-
la terra: in questo modo, vado realizzando la
mia grandezza’.
Soffiando come il vento solo fa, la ‘Parola’
rivela ed irradia, oltre i confini del mondo, l’e-
sperienza del sapere divino.Alessandra Petrocchi
Siamo giunti alla undicesima fatica, nella qua-
le Ercole deve ripulire le stalle del re di Augia,
il quale regnava sull’Elide nel Peloponneso.
Erano ormai trent’anni che le stalle non ve-
nivano ripulite e trenta rappresenta la perfe-
zione della personalità che si offre per essere
santificata dall’anima. Ercole ha ormai acceso
la sua lampada, la sua anima è risplendente
e la coppa del suo cuore è colma, pronta per
essere sorseggiata fino in fondo. A questo
punto, Egli sente l’impulso di ritornare verso
coloro per i quali la luce è ancora qualcosa
di instabile, una tremula fiammella che deve
essere ingrandita, affinché, a propria volta,
possa divenire stabile.
Nella fatica precedente, svolta nel segno del
Capricorno, Ercole è divenuto un Iniziato ca-
pace di muoversi nel Cielo, nella Terra e ne-
gli Inferi e come affermato da Alice A. Bailey
scrivendo delle Fatiche di Ercole ha affronta-
to la prova più difficile che lo ha reso in grado
di superare con successo l’esperienza della
terza iniziazione, quella della Trasfigurazione.
In questa fatica, che si svolge in Acquario,
Ercole si muove come un liberato e le sue
prove non saranno più individuali e personali,
ma universali, tali da sancire una coscienza
inclusiva. A questo punto, il nostro Eroe non
possiede più una personalità, Egli è divenuto
un Servitore del Mondo e, capiamoci, ci stia-
mo avventurando in un ambito nel quale l’e-
sperienza di chi scrive può fare difetto, e non
poco. La personalità rappresenta quella par-
te di coscienza che si oppone alla possibilità
dell’anima di affermarsi nella materia. Essa
è composta dal fisico/eterico, dall’astrale e
dal mentale inferiore, aspetti che dovranno
trovare sintesi in funzione del Sé superiore,
aspetti che, per la loro natura parziale, non
potranno che indurre sofferenza in mancan-
za di un senso di unità che solo l’anima può
evocare.
Cercheremo di comprendere questi grandi
eventi nel piccolo delle nostre esperienze, le
quali ci portano a pensare quanto sia difficile
“abbandonare” ciò che è stato reso “perfet-
to”. Sono convinto che ognuno di noi abbia
sperimentato nella propria vita l’ardua impre-
sa di cedere, specialmente dopo un grande
sforzo che ci ha permesso di acquisire, af-
fermando che, almeno per un po’ di tempo,
ciò che abbiamo ottenuto dovrà necessaria-
mente essere trattenuto e goduto. Quanta
ignoranza possiede l’essere umano quando
trattiene per sé, e quanto potrebbe ricevere
se permettesse alla Vita di nutrirlo. Ma sono
parole che potranno essere comprese solo
dopo la dovuta esperienza, capace di elevare
la percezione rendendola atta a riconoscerne
la validità.
Le stalle di Augia dovevano essere ripulite da
un male antico, ed Ercole, giunto nei pressi,
Mitologia e Sentiero IniziaticoCuratore: Graziano Fornaciari
ERCOLE E IL RIPULIMENTO DELLE STALLE D’AUGIA
21
venne assalito da un fetore orrendo che lo
fece vacillare. Il re da molto tempo non ripuli-
va le stalle reali dagli escrementi del suo be-
stiame ed anche i pascoli erano ricoperti dal
letame. Ercole chiese al re di ripulire le stalle
senza compenso, ed egli si insospettì dubi-
tando della sua lealtà, ma alla fine si convin-
se concordando che, qualora l’impresa fosse
riuscita, egli avrebbe donato un decimo del-
le sue mandrie a Ercole; se invece così non
fosse stato, tutte le fortune del nostro Eroe
sarebbero passate nelle mani del re.
Ercole vide che vi erano due fiumi che poteva-
no essere deviati e fatti confluire nelle stalle
del reame; così fece, ed in breve tempo le ac-
que dell’Alfeo e del Peneo si riversarono nel-
le stalle ed in un solo giorno il reame fu spur-
gato. Nella soluzione trovata dal nostro Eroe
evidenziamo l’aspetto Terapeutico dell’ani-
ma, la quale, a dispetto della personalità, non
è una forza separativa, ma un agire coesivo
che tiene conto degli elementi a disposizione
secondo la loro funzionalità. Quando si è nella
possibilità di attingere ai grandi serbatoi ener-
getici della Vita nulla viene trattenuto per sé,
ma la propria azione si tramuta in un chiaro
intento di favorire e coadiuvare.
La Vita è risanante, non bisogna fare altro che
permetterle di fluire e spazzare via ciò che ri-
copre lo Spirito. La prima legge della Guarigio-
ne Esoterica ci viene in soccorso affermando
che la malattia è effetto dell’inibizione della
vita dell’anima, legge che possiamo accomu-
nare alla quarta, a quale ci indica che dove la
coscienza si affligge il morbo si espande. In
questo stadio non vi è distorsione della vita
dell’anima e l’agire del nostro Eroe è in sim-
biosi con essa. L’arte del guaritore sta nell’e-
levare lo sguardo non più attratto dalla natura
inferiore e dalla sua afflizione, ma rivolto al
bene comune agendo in modo distaccato la
propria missione.
Il re non poteva credere che tutto si fosse
risolto velocemente e senza particolari sfor-
zi e, asserendo che era stato aiutato e che
avrebbe dovuto compiere la prova da solo,
disse che la prova non era valida e che non
doveva nulla ad Ercole. La personalità non ac-
cetta mai qualcosa che contrasta le proprie
aspettative; dovendosi giustificare, quindi, il
re bandì Ercole dalle proprie terre ma Egli, in-
curante, proseguì il suo cammino essendo di-
venuto Servitore del Mondo, come colui che
agisce senza aspettare i frutti del proprio agi-
re, traendo forza dal proprio essere innocuo.
L’era dell’Acquario, nella quale siamo da poco
entrati, durerà 2500 anni, sicuri del fatto che
l’essere umano sarà in grado di vivere un po’
più come anima e meno come personalità,
questa è la meta. Le pecore diverranno capri
in grado di salire la montagna dell’iniziazione,
espiando il proprio karma al fine di produrre
l’albedo nella propria esistenza. L’aria è l’ele-
mento di questo segno ed il suo influsso, che
tutto pervade, è penetrante e sovente causa
di mutamenti. Il capro espiatorio deve salire
il monte dell’iniziazione senza più essere at-
tratto dal “facile” nutrimento della materia,
deve salire sempre più in alto dove la materia
risuonerà in funzione dello Spirito.
I contrassegni dell’iniziato sono il servizio al-
truistico, perché la coscienza non è più ac-
centrata in noi stessi, poi il lavoro di gruppo,
non così facile come può sembrare visto che
i gruppi sono facilmente preda di focolai, di
gelosie ove le persone cercano di impressio-
nare gli altri esponendo come loro si “sacri-
ficano” per la vita, immolandosi con tutta la
loro “conoscenza”. Questo non è lavoro di
gruppo, ma significa essere spiritualmente
22
soli a vantaggio di una personalità che non
deve essere incentivata e nutrita a scapito
del vero Sé. L’altro aspetto è dato dall’auto
sacrificio, perché dalla vetta del Capricorno
bisogna scendere e non bearsi dei propri con-
seguimenti. Poca gloria e pedalare, che la vita
chiama perché il Maestro serve tutti senza se
e senza ma. L’Acquario è raffigurato come un
uomo che porta un vaso capovolto. L’uomo
volge il vaso da cui fluiscono due rivoli d’ac-
qua, quello della Vita e quello dell’Amore che
incarnano questa Era.
Il nativo dell’Acquario, se di basso livello,
manifesta una consapevolezza superficiale.
Essa si approfondisce nel Leone, il segno
opposto polare, e diventa una ben radicata
autocoscienza, un intenso interesse per il
sé e le proprie esigenze individualistiche. Gli
scambi fra Leone e Acquario approfondisco-
no tutte le doti e le esteriorità scompaiono,
fino a quando, invertito il moto, l’intensa auto
coscienza del Leone s’espande nella coscien-
za di gruppo dell’Acquario. Dopo aver servito
se stesso si dedica al mondo manifestando
coscienza di gruppo.
L’uomo comune in Acquario espone ogni
cosa alla finestra, e sovente c’è poco da sco-
prire là dietro. In senso esoterico, invece,
l’uomo evoluto nato nell’Acquario mette ciò
che ha nella sua brocca a fini di servizio, e lo
versa generoso quando occorre per sopperi-
re un’esigenza. Acquario è soprattutto segno
di moto costante, di attività mutevole e varia-
zioni ricorrenti. L’era dell’Acquario abbatte le
barriere. Il Leone deve uscire dalla caverna
e, dopo aver domato la propria aggressività,
non può non ritornarne al proprio interno ad
aiutare i suoi fratelli che stanno ancora com-
battendo con il mondo delle ombre, con la
proiezione di se stessi. In questo modo Egli
porta la sua lampada a rischiarare i piccoli
inferni personali nei quali l’essere umano si
agita senza percepirne via d’uscita.
Il nativo dell’Acquario può toccare il fondo
della depressione e del disprezzo di sé, o co-
noscere e provare l’esaltazione dell’anima e
il senso di potere spirituale che essa conferi-
sce. Come detto in precedenza, è un segno
di grandi mutamenti, di azione e reazione ne-
cessari per crescere e comprendere. Questa
è la legge che impara ad applicare, trovare
l’equilibrio fra gli opposti.
Acquario si dice governi la circolazione del
sangue. Il sangue distribuisce la forza vitale
in tutto il corpo umano. È quindi simbolo della
missione di chi, liberatosi in Acquario, dispen-
sa vita spirituale in tutto il quarto regno della
natura. Entrare nel Regno dei Cieli è entrare
nell’Era dell’Acquario, e ciò sta avvenendo a
partire dagli ultimi duecento/trecento anni. Ci
viene detto, attraverso gli insegnamenti del
Tibetano, che all’inizio del XXI secolo la no-
stra stella polare e la stella Vega entreranno
in congiunzione e l’Era dell’Acquario diverrà
particolarmente attiva.
L’Acquario, come ogni segno, è suddiviso in
tre periodi, come citato nel testo di Alice A.
Bailey Astrologia Esoterica: il primo è retto
da Saturno, il pianeta del karma che regge
il chakra della gola e il sistema endocrino,
pianeta che produrrà notevoli sconvolgimen-
ti politici e religiosi, alimentando le divisioni
dei gruppi orientati verso la materia e lo Spi-
rito. Saturno ci impone la disciplina e ci apre
alle opportunità per emergere dalle tenebre
e orientarci verso la luce. Il secondo è retto
da Mercurio da cui verrà l’illuminazione, pia-
neta che regge il chakra Ajna. L’illuminazione
ottenuta in Leone, opposto dell’Acquario, fu
“Io sono il Sé”. L’illuminazione in Acquario
23
sarà “Io sono quello”, io sono coscienza di
gruppo. L’individualità non avrà più alcuna
importanza. Il terzo periodo, retto da Venere,
ci rimanda al sistema nervoso, e favorirà l’e-
mergere dell’amore inclusivo. L’aspirante in-
dividuale non può prendere l’iniziazione fino
a quando non ha imparato ad amare tutti in
modo disinteressato, non solo coloro che agi-
scono come lui desidera.
Vi sono due legislatori nello Zodiaco, Rego-
lo e Chefeo. In Leone Regolo crea la legge
per l’individuo, la legge dell’egoismo e della
competizione. In Acquario Chefeo è la legge
fondata sulla sofferenza, l’illuminazione e l’a-
more. Quando si è sofferto ci si cura meno di
se stessi e bisogna liberarsi della sofferenza.
Questo è l’undicesimo segno, e l’undicesimo
comandamento recita che bisogna amarsi
l’un l’altro.
Sempre nel testo Le Fatiche di Ercole Alice
A. Bailey precisa che vi sono tre costellazioni
legate al segno dell’Acquario: Pesce australe,
Pegaso e Cigno. Il Pesce australe rappresen-
ta la venuta dei Salvatori del Mondo, infatti
al culmine dei Pesci avremo un solo pesce e
non i due legati insieme. Nelle vecchie mappe
stellari è raffigurato in atto di bere l’acqua ver-
sata dalla brocca dell’Acquario, costellazione
ad esso adiacente. Pegaso, il cavallo alato, è
l’ispiratore della mente superiore, dell’amore
che rifiuta la terra e dimora nell’aria. Ad un
livello più basso le ali di Mercurio ci ricordano
le ali della mente. Secondo il mito, Pegaso è
il destriero alato che sarebbe nato dal sangue
sgorgato dalla Medusa. La leggenda racconta
che il primo a montare il cavallo alato fu Per-
seo, che cavalcandolo attaccò la Balena (Ce-
tus) dal cielo per salvare la bella Andromeda,
simbolo della materia, incatenata ad una roc-
cia sul mare. Il Cigno è il simbolo dell’eternità
che vola nel tempo e nello spazio, è il sim-
bolo della vita stessa. Secondo la leggenda
più famosa, Zeus avrebbe assunto le eleganti
sembianze dell’uccello per ingannare e se-
durre la bella Leda di Sparta. Il Cigno viene
anche detto la Croce del Nord; non è difficile
immaginarselo in forma di cigno dalle ali spie-
gate mentre vola lungo la Via Lattea.
Nel prossimo articolo approfondiremo questo
segno che è in manifestazione traendo spun-
to dalle sue caratteristiche, cercando, tra le
altre cose, di comprendere meglio che cosa
significa favorire, coadiuvare senza afflizione
permettendo all’anima di agire come tera-
peuta nella materia, la quale, se accordata,
potrà risuonare dirigendosi verso il Padre.
Graziano Fornaciari
24
Nel 2012, l’ingresso di Nettuno in Pisces ha
dato inizio alla discesa, sull’Umanità, di un bel-
lissimo afflato di spiritualità, offrendo l’oppor-
tunità all’uomo di entrare in rapporto con l’e-
nergia di 6° raggio, di devozione a un ideale, e
da questo essere sostenuto nella lotta contro
il dominio di uomini che, accecati dal potere
e dall’avidità, stanno distruggendo la vita su
questo pianeta. Inoltre Marte, che come Net-
tuno trasmette anch’esso energia di 6° raggio,
sempre nel 2012 ha prolungato il suo transi-
to in Virgo, ponendosi in tal modo in rapporto
conflittuale con Nettuno.
Nettuno e Marte in transito in aspetto di oppo-
sizione fra di loro hanno innescato un conflitto
fra gli aspetti inferiori e distorti, ancora non
purificati, del 6° raggio e l’aspetto superiore e
spirituale che questo raggio manifesta. Quin-
di hanno messo in contrapposizione, in seno
all’Umanità, la realizzazione di desideri egoisti-
ci e personali con l’aspirazione spirituale, che
porta invece l’uomo a non pensare al bene
di se stesso, ma al bene comune. Questo
aspetto planetario nel 2012 ha fatto emergere
questo conflitto, dando l’opportunità all’Uma-
nità di elevare la sua coscienza verso il piano
dell’anima.
Il 6° raggio, tramite Marte e Nettuno, pone
in rapporto tre costellazioni: Aries, Cancer e
Scorpio. Marte, in Aries, esorta l’anima all’in-
carnazione, mentre in Scorpio incita all’ucci-
sione della personalità e porta il discepolo a ri-
orientarsi, compiendo l’inversione sulla ruota.
Marte regola e controlla in modo particolare
il piano fisico e determina tutte le lotte che
noi affrontiamo durante il viaggio attorno allo
Zodiaco. A Marte viene associato il colore ros-
so, il colore del sangue, poiché Marte è il Dio
guerriero, che entra in azione motivato dal de-
siderio, dalla passione e dalle contrapposizioni
in genere, poiché, qui, il dualismo è estrema-
mente potente e nessuna parte dell’uomo ne
rimane indenne.
Il nesso simbolico fra Marte e il sangue indi-
ca il conflitto fra vita e morte, infatti Scorpio è
un segno di morte, di distruzione della forma,
della necessità di scendere nel profondo de-
gli inferi per potere poi risorgere a nuova vita.
Proprio questo conflitto ci porta a comprende-
re perchè il Cristianesimo sia nato sotto l’egi-
da del 6° raggio e di Marte. Il maestro Gesù
era un maestro di 6° raggio, e venne sulla
terra per incarnarne l’aspetto più sublime ed
elevato. Ma è evidente che il Cristianesimo è
stato, ed è ancora, una religione fondata sul
conflitto e sulla morte, infatti è governata dal
credo del Cristo morto in croce, dove dolore,
castigo, espiazione e morte prevalgono a di-
scapito della gioia, del piacere della vita, e del
Cristo risorto. Tutto è stato fondato su questo
clima sanguigno e di sofferenza, basti pensare
al Medioevo; ma se il Cristo aveva portato un
Astrologia esotericaCuratore: Maria Grazia Barbieri
MARTE, NETTUNO E IL 6° RAGGIO
25
messaggio pieno d’amore, come mai questo è
potuto accadere? L’astrologia esoterica pone
come causa, peraltro necessaria, il fatto che il
Cristianesimo è arrivato in occidente attraver-
so la figura di San Paolo, nato sotto il segno
di Scorpio, quindi governato da Marte e dal 6°
raggio. San Paolo, sotto l’influsso marziano,
ha dato un’interpretazione personale alle pa-
role del Cristo, e le ha trasmesse filtrate dalla
sua personalità, sotto l’influsso delle energie
distruttive di Scorpio, perché era funzionale
all’evoluzione dell’umanità, perchè così dove-
va essere, quindi Marte si impose attraverso
la figura di San Paolo, e diede inizio alla cupa
storia del Cristianesimo. Tutto questo è avve-
nuto perché lo scopo del Cristianesimo era
quello di essere una religione di scissione, atta
ad esaltare la dualità dell’uomo affinché fosse-
ro poste le basi per una unione futura. Infine,
come il 6° raggio sta uscendo dalla manifesta-
zione dal 1625, anche se i suoi effetti sono
ancora potenti, così anche il Cristianesimo sta
concludendo la sua missione e presto sarà
sostituito da una nuova religione che riporterà
alla luce antiche verità rivelate attraverso una
mente illuminata.
Nettuno e Marte pongono anche in rapporto
Cancer e Scorpio, e sotto l’influsso del 6° rag-
gio la coscienza di massa, tipica di Cancer, di-
viene coscienza inclusiva, propria del discepo-
lo, sotto il dominio di Scorpio. Inoltre Cancer
è il segno della nascita e Scorpio presiede al
sesso e alla rigenerazione, quindi lo spirito e la
materia si incontrano per generare nuova vita.
Allora la sofferenza e il travaglio che l’umanità
sta vivendo ora non sono altro che il preludio
a una nuova vita, sono l’annuncio della nascita
di una nuova era, che potrà avvenire solo se
l’energia di 6° raggio di Marte sarà trasmutata
in quella di Nettuno, poiché Marte è oggettivo
e sanguigno, mentre Nettuno è soggettivo e
pieno di vita. Nettuno connette il discepolo al
“cuore” del Sole, e lo conduce verso l’amore
vero ed inclusivo, scevro da sentimenti perso-
nali e da relazioni ordinarie.
Quando sono vissuti sul piano personale, Mar-
te è violento e bramoso di conquiste materiali,
mentre Nettuno annebbia e avvolge nell’illu-
sione, ma se la coscienza umana sarà illumina-
ta dalla luce dell’anima allora l’Umanità espri-
merà gli aspetti elevati di questi due pianeti:
Marte sarà l’ardente passione verso un ideale
e Nettuno renderà questo ideale elevato e spi-
rituale.
Il discepolo, sotto l’influsso del 6° raggio, vei-
colato da Marte e da Nettuno, deve liberarsi
dalla schiavitù della forma, deve staccarsi dalla
sua visione personale della vita e di se stesso,
deve abbandonare la sua verità. La devozione,
quando è determinata dalla personalità, divie-
ne cieco fanatismo, che è distruttivo e sepa-
rativo; quando invece la devozione fluisce di-
rettamente dall’anima, attraverso un’astralità
purificata, allora non è altro che amore inclusi-
vo e comprensione, e il discepolo finalmente
abbandonerà i suoi ideali per aderire agli ideali
della Gerarchia e potrà così contribuire alla re-
alizzazione del piano divino sulla terra.
Maria Grazia Barbieri
26
L’otto tra tutti i numeri è quello più somigliante
al movimento di un completo passo di danza,
simmetrico, elegante e ciclicamente eterno.
Solo lo zero, che di per sé non è un numero
e che rappresenta l’assenza di una qual si vo-
glia quantità, lo può eguagliare per la sempli-
cità e la simmetria della forma. Le geometrie
dei numeri hanno simbolicamente un signifi-
cato importante almeno come la quantità che
rappresentano, trasmettendoci la bellezza di
un messaggio celato dall’immagine che ripro-
ducono. I numeri hanno un’anima che dà vita
alle forme di tutto il creato, sottostando alla
legge innegabile della gerarchia delle cose,
detenendo l’ordine di ogni espressione vita-
le. Nel nostro regno, quello umano, i numeri
hanno rappresentato lo strumento attraverso
il quale l’uomo ha imparato a enumerare il
mondo attraverso i gradi dei colori, dei suoni
o di altri tipi d’intensità, utilizzando la capa-
cità mentale di catalogare, gestire, imparare
a conoscere la realtà formale. Tutto ciò è in-
nescato dall’osservazione dei cicli delle sta-
gioni, degli astri nei loro moti apparenti, del
sorgere e del calare del sole. La bellezza di
questa magia nasce nel piacere e nel ricono-
scimento della vita, tutta così com’è, perfetta
in ogni momento, in ogni istante vissuto in
simbiosi con essa. La storia è cosparsa da
costellazioni di numeri, e la mappa del nostro
retaggio è ricongiungibile attraverso le ere e i
luoghi, in cui latitudini e longitudini identifica-
rono i punti da cui scaturirono i messaggi che
l’hanno creata, dentro alla vita di quell’essere
che è la Terra, in balia delle coscienze uma-
ne che, in preda alle proprie scosse interiori,
hanno agito il bene e il male determinandone
le sorti. Ed è attraverso questa danza infinita
di moti, azioni, pensieri e reazioni che si crea-
no come dei diagrammi che modificano il di-
venire, comunque contenuto in un più ampio
disegno che tende alla perfezione, e questo
movimento è simile alla riproduzione del trat-
to che ricalca il movimento del numero otto.
Ed anche la simmetria della parola scritta,
OTTO, coincide con il significato del simbolo
numerico; corrisponde alla ciclicità della vita
che a ronde ripropone l’inizio di una nuova
danza che avrà fine col suo punto d’inizio, ed
il tutto sarà compiuto nel ricongiungimento
delle cause con i loro effetti. Più da vicino,
poiché come sappiamo l’infinitamente gran-
de è contenuto nell’infinitamente piccolo,
l’otto rappresenta il rapporto delle cose che
mettono in relazione il mondo terreno con
quello celeste, la natura umana con quella
divina, a rappresentare la chiave della felicità
che dà accesso al bello, al buono e al vero
di ogni manifestazione dell’uomo che abbia
l’intento di andare oltre i propri limiti. In ge-
ometria il poligono con otto lati è l’ottagono,
utilizzato come perimetro di tutti gli antichi
geometria sacraCuratore: Enrica Battaglia
L’OTTO DANZANTE
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edifici cristiani denominati Battisteri. All’inter-
no di queste costruzioni è contenuta la fonte
battesimale, luogo in cui tutt’ora viene consa-
crata la vita dei nascituri alla comunità cristia-
na, battezzandoli con l’aspersione dell’acqua
sacra, elemento di trasmissione della forza
divina necessario per divenire sostenitori del
sentiero che riconduce alla casa del Padre,
attraverso la vita che si consuma con il rag-
giungimento degli obbiettivi prefissati dall’a-
nima di ognuno. L’otto è stato venerato nelle
religioni e nelle mitologie di tutto il mondo, ed
ha avuto il compito ancora più grande di av-
vicinare l’uomo alla ricerca di sé attraverso le
filosofie e le conoscenze esoteriche trasmes-
se dall’Antica Saggezza. Ne è testimonianza
la dottrina dell’Ottuplice Sentiero proclamata
dal Buddha Sakyamuni nel 600 a.C. E ancora
precedentemente nelle antiche conoscenze
yogiche in cui sono menzionati gli otto mezzi
per raggiungere lo stato di illuminazione at-
traverso la pratica della meditazione, trascritti
per la prima volta da Patanjali, codificatore
del Raja Yoga. Il numero otto è anche alla
base dell’Oracolo cinese dell’I Ching, in cui
otto trigrammi, costituiti da tre linee intere o
spezzate che rappresentano lo yin e lo yang,
simboleggiano ognuna le possibili combi-
nazioni del rapporto tra l’energia del cielo e
quella della terra. Inoltre gli stessi trigrammi
si riferiscono alle otto direzioni della bussola,
dando origine – insieme ai cinque elementi,
alle forme dei paesaggi e agli influssi celesti
– alla millenaria arte del Feng Shui, utilizza-
ta dagli antichi conoscitori per governare le
forze della natura a vantaggio dell’uomo, in
armonia con le leggi universali. Un esempio
molto particolare di architettura basata sulla
figura dell’ottagono è la fortezza che si erge
nelle colline della Murgia pugliese, edificata
da Federico II intorno al 1240. La potenza che
già da lontano emana da questa costruzione
architettonica così imponente e perfetta, è
scandita da otto torri ottagonali, una per ogni
angolo del castello, all’interno delle quali vi
sono grandi sale, con grandi caminetti, un
tempo decorati da marmi e dipinti di grande
bellezza. Il suo significato esoterico, che ge-
ometricamente si riconosce dalla presenza
ripetuta dell’otto e delle proporzioni auriche
che lo caratterizzano, ha attratto l’interesse
di molti studiosi. Il suo valore e la sua bellez-
za sono accresciuti dalla storia di una costru-
zione antecedente al castello, trattasi di una
cappella dedicata alla Vergine Maria. Questa
influenza sacra si aggiunge al già imponente
significato esoterico insito nella costruzione
e nel luogo, consolidandone il valore. Su que-
sta precedente struttura esistono tutt’ora do-
cumenti precedenti alla costruzione di Castel
del Monte, dove si parla di un detto mona-
stero benedettino di Santa Maria del Monte.
Si consideri che nella tradizione sacra legata
a Maria, l’otto è uno dei numeri a lei riferiti,
insieme al 5 e al 15. La frequenza emanata da
tale struttura è percepibile da ognuno a pro-
prio modo, comunque piacevolmente bella
e potente. La luce del cielo visto dal centro
del monumento di Castel del Monte appa-
re come la possibile riuscita, nel tendere lo
sguardo verso il cielo, di potersi liberare da
ogni peso che si ha sul cuore, e fa sentire i
polmoni pieni di un immenso respiro di luce;
un pezzo di cielo ottagonale che fa risuona-
re, con il suo gioco di luminose geometrie, la
corrispondente capacità interiore di raggiun-
gere il cielo, sede della nostra anima e del
prossimo passaggio nel Regno dei Cieli.
Enrica Battaglia
28
Caro il mio polimero, oltre che a essere privo
di chimica della vita sei anche un parassita
dei corpi fisici umani!
Dopo tanto tempo che cerco di guardare con
occhio esoterico il movimento dei polimeri
all’interno del nostro corpo fisico, posso de-
durre, che il polimero si muove, all’interno del
circolo sanguigno, come un ormone.
Gli ormoni sono cellule altamente specializ-
zate atte a trasportare un segnale capace di
indurre una modificazione cellulare, di qualsi-
asi natura essa sia.
L’ormone ha il passepartou per entrare in
ogni anfratto del nostro corpo, in ogni cel-
lula, anche la più specializzata. L’ormone è
l’organizzatore dello smistamento biochimico
dell’organismo umano.
La comunicazione è fondamentale alla vita del
polimero, il polimero è diverso naturalmente
dall’ormone ma imitando quest’ultimo, riesce
a captare, usurpare e a sostituirsi ad esso.
Ma torniamo ai polimeri, alcuni “rinomati”
scienziati li hanno classificati come ragni vo-
lanti, io ho dato un’esame, all’università, di
entomologia, e, per quel che ricordo, non
abbiamo mai esaminato ragni volanti o cose
simili...
Dagli studi del chimico organico Dott.Tail-
liez, all’interno dei filamenti di polimeri sono
state trovate diverse sostanze come: ftalati
(sostanze che aumentano la flessibilità e l’a-
dattabilità dei polimeri...ma guarda???) e ,
purtroppo, è stato riscontrata, la presenza, in
alcuni campioni sottoposti a diversi test e a
Cromatografia Gassosa e identificati tramite
Spettrografia di Massa, di DEHP (di-2-etilesil-
ftalato ) uno ftalato che viene definito da Wi-
kipedia “distruttore endocrino”. Credo non
sia necessario aggiungere molto...anzi nulla!
Tra i composti trovati nei filamenti che gene-
rano questi supposti ragni volanti, spiccano,
in larga misura, i carbammati, famosi inset-
ticidi.
Ma vi sembra che un ragno si fa una ragna-
tela che contiene un carbammato? Cos’è un
aracnide kamikaze?? Dai...
Altro che ragni volanti, qui c’è in atto una
guerra subdola e volta a sradicare la natura
umana.
Alcuni carbammati hanno proprietà aneste-
tiche e attività mutagena, quindi alterano
il Dna. Infine i carbammati possono influire
sulla sintesi proteica, sostenendo una sintesi
piuttosto che un’altra e, naturalmente, creare
un legame chimico al posto di un altro.
Conclusione? Il polimero non è una creazione
autodistruttiva di un ragno, ma è un conteni-
tore di sintesi di sostanze biocompatibili atte
a: anestetizzarci, modificare il Dna, la sintesi
proteica e a ribaltare tutto il sistema comu-
nicativo endogeno, controllando, attraverso
una lenta e continuativa distruzione ormona-
Fitoterapia energeticaCuratore: Donatella Donati
IMITA L’ORMONE, VIVRAI SENZA FATICA...
29
le, tutte le funzioni biologiche.
Per di più, proprio ieri sera, in treno, mi è ve-
nuta in mente una spora, nello specifico un’
endospora.
Quando ero in laboratorio mi affascinava que-
sto mondo tutto a sé, questa strana vita si-
lente.
Mi sembra che ci stiano (coloro che attuano
questa modificazione planetaria) mantenen-
do in vita come delle loro endospore. Stanno
rendendo la vita su questo pianeta alquanto
sfavorevole e dura, togliendoci il sole, l’ossi-
geno e tutti i nutrienti atti alla vita a base
carbonio.
Ci inducono a essere spore, involvendo, ral-
lentando pur di sopravvivere. Io preferirei mo-
rire, ma i nostri corpi forse, possono servire...
La vita umana è, da un lato un laboratorio di
trasformazione (dall’organico all’inorganico),
dall’altro, un contenitore utile (una spora di
resistenza) che si risveglia “nuovo”; io direi
alieno...
In una spora il tempo è falsato, lo spazio im-
posto da confini ben definiti (capsula petri)
senza ossigeno, e senza sole.
Ma se fossimo “dolcemente coltivati” come
spore? Io lo credo fermamente.
Cosa possiamo fare? Cercare di essere attivi,
vivi e con la voglia di rimettersi sempre in di-
scussione. Ci sono emozioni che sostengono
una vita da spore da laboratorio e sono l’orgo-
glio, l’invidia e la solitudine eccessiva.
Anche il senso di ingustizia ci allontana dalla
gioia e dalla luce del nostro cuore.
Dovremmo prendere spunto dal polimero:
osservare ed imitare l’ormone. Essere sem-
pre un mezzo, sentirsi sempre i tramiti e non
gli artefici, ed infine, avere una spinta all’azio-
ne verso la vita.
La giusta comunicazione, scevra da pulsioni
personali, ci aiuta a uscire dalle nostre piastre
petri e a ritornare a vivere, forzando anche
noi, come il polimero, il tempo e lo spazio.
Distruggendo le barriere che ci dividono da-
gli altri, gli spazi si annullano, e il tempo è
scandito da pensieri di amore e di perdono e
restano immortali. Grazie polimero, anche io
imiterò l’ormone e seguirò, con il mio retag-
gio umano, il tuo esempio.
Donatella Donati
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A Lui
“O mio Diletto, sono tutta tua – tua ora nel-
la vita mortale come in quella immortale; una
cosa sola con te, sia come natura sia come
condizione; trattenuta nell’effimera creta come
lo sei tu; soggetta al dolore, alla pena e alla
stanchezza; desiderosa di condividere con te
la tua sorte terrena, pronta a prender parte alle
tue pene e alle tue gioie! Per mia scelta sono
venuta qui… Ogni volta che hai rinunciato al
desiderio di una tua felicità, mi hai sempre più
attratto verso di te; ogni volta che hai pregato
Dio per la mia pace piuttosto che per la tua, la
mia esistenza si è sempre più legata alla tua. E
adesso, o mio poeta, mio signore, mio re! Noi
siamo insieme per sempre… Dimmi che sono
benvenuta!?”.
A Lei
“Benvenuta? Mia santa, mia regina! Benvenu-
ta, più benvenuta del primo fiore che appare
dopo le nevi dell’inverno; benvenuta, più ben-
venuta di un tempestivo soccorso prestato a
chi versi in grave pericolo; benvenuta, angelo
mio, nel buio delle cose mortali che forse una
così dolce presenza potrà rischiarare! O sacra
innocenza che io non son degno di protegge-
re! O bellezza senza pecche che io non sono
all’altezza di pretendere o possedere! Benve-
nuti alla mia vita, al mio cuore, alla mia anima!
Benvenuti, o dolce fiducia, dolce speranza,
dolce amore, che, come Cristo vive, mai offen-
derò, tradirò o abbandonerò per tutti gli spazi
di gloria della lontana eternità”. Marie Corelli
Vi ritrovate tutti in queste parole, vero?
Parole arcaiche, per noi uomini e donne del ter-
zo millennio, eppure toccanti nella loro mistica
e umile semplicità che pare suggerire: “quanto
c’è ancora da scoprire?”. Ed è con tale spirito
che iniziamo a considerare le possibilità appli-
cative del Tantra Yoga alla relazione amorosa
dell’uomo di oggi. Ma cos’è il Tantra?
Tanto per cominciare si potrebbe demolire
l’immagine che ne viene data ai giorni nostri,
frutto di tutte quelle manipolazioni che le ap-
plicazioni distorte di tale gnosi sono state
prodotte in passato dall’uomo stesso, che si
sa, prima distrugge, poi, eventualmente, ri-
costruisce. Venendo a tempi più recenti, si
può tranquillamente dire che non c’è nulla di
più devastante di una conoscenza prezzolata
o diffusa un tanto al chilo, a piene mani, nella
più esecrabile superficialità, che la New Age
stessa molto spesso veicola all’umana specie,
per non parlare degli intenti subdoli che dietro
a tutto questo si muovono, opportunamente
occultati e mascherati da un’attraenza solo ap-
parentemente appetibile.
Nel passato come nel presente si riscontra
sempre una certa coerenza nella distruttività,
ma non è questo il senso della Vita. Ecco per-
ché una fonte di conoscenza come il Tantra –
La Coppia sul SentieroCuratore: Giorgio Ricci Garotti e Monica Giovannini
UN PASSO VERSO IL TANTRA
31
che considera la psicologia del rapporto di cop-
pia a tutto campo, dal piano causale a quello
fisico, con conseguente sviluppo percettivo,
intuitivo e telepatico animici, nonché gli aspetti
energetici-iniziatici inerenti l’amplesso, senza
trascurare la possibilità di una comprensione
consapevole dell’unità di coscienza di ognuno
e dell’insieme – non va affatto svilita o peggio
ancora mercificata, riconducendola ad ambi-
gue tecniche o mirabolanti pratiche erotiche
alla ricerca di una sensualità perduta.
Sintetizzando molto potremmo dire che il Tan-
tra è il complemento del Vedanta, nell’ambi-
to di quella scienza millenaria che è lo Yoga.
E come ogni scienza che si rispetti, postula
degli obiettivi ma fornisce anche i mezzi per
perseguirli, applicabili alla condizione specifi-
ca della coscienza umana, alle sue possibilità
e manifestazioni e, quindi, alle dinamiche del
comportamento nello spazio e nel tempo.
Ognuno di noi, nella vita di ogni giorno, si re-
laziona continuamente con se stesso e con gli
altri, e con l’altro in particolare, nel contesto
privilegiato della relazione amorosa. Quindi,
lungi dall’essere in contraddizione, Tantra e
Vedanta possono considerarsi filoni sapienziali
speculari dello sviluppo evolutivo creativo. In-
fatti l’obiettivo comune è l’unione, e per di più
nella manifestazione d’amore, in piena coeren-
za armonica, creativa e funzionale con la Vita.
Il Vedanta indica la strada dello Yoga nel riunifi-
care la propria coscienza su tutti i piani dall’alto
al basso; il Tantra lo stesso, ma attraverso il
rapporto con l’altro; potremmo dire, lo Yoga a
due. Shiva e Shakti, di riffo o di raffo, desidera-
no incontrarsi, e lo fanno.
Tralasciando volutamente superficialità e in-
consistenza, ecco che il considerare seriamen-
te il Tantra smuove inevitabili quanto giuste re-
sistenze, perché la coppia si orienta a un gioco
di squadra in cui ognuno partecipa alla pari, per
l’amore dato come per quello ricevuto, affron-
tando i limiti reciproci, in uno scambio sempre
più fluido ed equanime.
Gli ostacoli a questi processi vanno principal-
mente considerati nella natura astrale, nelle
emozioni negative e quindi nella distruttività
di ognuno, secondo le proprie caratteristiche
specificità.
Le donne, per natura più emotive, attraverso
questi meccanismi tendono ad incrinare la ma-
nifestazione delle loro buone intenzioni, in una
capillare inibizione del piacere, inteso nel sen-
so più ampio: entusiasmo, giocosità, vitalità,
felicità, gioia.
Gli uomini, dal canto loro, avendo in dotazio-
ne quei due neuroni che si rincorrono all’infi-
nito nella vana speranza di incontrarsi, sono
più inclini a squilibri mentali che li inducono
quantomeno a sminuire la portata di un’unio-
ne profonda come quella postulata dal Tantra,
considerandola una sciocchezza, un’illusione
spirituale o tutt’al più una fantasia sessuale,
con un atteggiamento decisamente castrante,
tanto per essere virili.
Se tendenzialmente le donne sono più crudeli,
nel controllo delle emozioni, gli uomini sono
più scettici, ancorati ai loro rigidi pregiudizi,
ma la musica non cambia. Entrambi possono
trovare infinite scuse, elegante metafora, per
non dedicarsi alla loro felice unione consa-
pevole, e le trovano in continuazione sotto la
frusta instancabile degli automatismi reciproci
che spengono ogni germoglio di piacevolezza.
Ecco perché la pratica yogica ci viene in prezio-
so aiuto, spezzando ciò che ostacola l’anelito
alla gioia che palpita in ogni cuore.
Ma si è fatto tardi, e ne parleremo la prossima
volta, dello yoga a nudo.
Giorgio Ricci Garotti e Monica Giovannini
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ADHD è la sigla della sindrome da deficit di at-
tenzione e iperattività motoria che ha avuto nu-
merose attenzioni da parte di medici e scienzia-
ti, e le cause, fino a questo momento, sono da
attribuirsi a fattori genetici od ambientali, come
l’alcool ed il fumo durante la gravidanza, oppure
a infezioni come la varicella sempre durante il
periodo di gestazione. A questo proposito si è
pronunciata anche la World Health Organization
(agenzia specializzata dell’ONU per la salute), la
quale pone come cause possibili eventuali di-
sfunzioni all’interno della famiglia e del sistema
educativo, o patologie dei singoli individui. Al-
tri ricercatori invece ritengono che la sindrome
ADHD si presenti in bambini che hanno subito
abusi o violenze, ponendo anche l’ipotesi che
questa patologia nasca nella capacità di autore-
golamentazione e di attenzione nella relazione.
Le opinioni sono a dir poco contrastanti, ma a
mettere tutti d’accordo è stato lo stesso psi-
chiatra americano Leon Eisenberg, definito il
“padre scientifico” dell’ADHD, il quale sette
mesi prima di morire, nella sua ultima intervista,
ha affermato che la malattia non esiste, e che
è stata inventata dalle case farmaceutiche per
realizzare le vendite dei farmaci, per esempio il
Ritalin. Non esistono test clinici per l’ADHD, ma
ci si basa su informazioni soggettive avute dai
genitori o dagli insegnanti, per cui, in mancanza
di metodi diagnostici oggettivi, risulta molto dif-
ficile avere una diagnosi certa.
Sulla base della mia esperienza mi sono fatta
un’idea molto semplice e pragmatica di questo
fenomeno che sembra esistere dai primi del
‘900, patologia che semplicemente ha cambia-
to più o meno descrizione a seconda del mo-
mento storico che l’umanità ha attraversato.
Personalmente non credo che questa sintoma-
tologia sia una malattia o, come vogliono farci
credere, una patologia tale da dovere assume-
re farmaci; visto sotto questo aspetto tutto ciò
che si muove potrebbe essere fonte di patolo-
gia. Sono convinta che siamo ancora una volta
in presenza di una società incapace di portare
ad esempio valori educativi armonici, cambia-
menti profondi in linea con i processi evolutivi
che la vita porta in essere; infatti le strutture
di potere politico ed economico non facilitano
certamente l’accesso al vero significato della
nuova consapevolezza educativa capace di ri-
svegliare le coscienze.
Tutti noi viviamo in questo mondo, ma siamo
sempre meno consapevoli del mondo che vivia-
mo, il quale viene vissuto in maniera meccanica
e passiva. Siamo tutti iperattivi, assoggettati a
più stimoli nello stesso momento, portati a fare,
non sempre con successo, tre o quattro cose
contemporaneamente, quindi se sentiamo un
po’ di stress (tra l’altro causa principale di mor-
te secondo numerose statistiche), di affanno
dovuto ad un senso di continua velocità, non
comprenderemo e non sapremo mai veramen-
Educare per la consapevolezzaCuratore: Anna Grazia Fiorani
SINDROME ADHD, LA SINDROME DELL’IPERATTIVITÁ, MA QUALE IPERATTIVITÁ?
33
te a che cosa lo potremmo attribuire. Siamo in
presenza di un movimento selvaggio continuo
che ormai sappiamo solo subire, portandoci
a sentire come lontana la mancanza interiore
della quiete o del senso dell’ordine; insomma
potremo dire che queste mancanze entrano nel
campo della nostra mente umana in modo in-
consapevole.
La non coerenza che abbiamo ci porta ad esse-
re in errore perché ci pensiamo individualmente
ma viviamo a livello sociale. Siamo un organo
di un corpo più grande che patisce i cambia-
menti che il mondo impone, ed il nostro corpo
si identifica nel mondo e riproduce nei sintomi
del corpo le tensioni e le tendenze del tempo in
cui vive. Spesso dimentichiamo che la nostra
mente è sempre un organo sociale, e molti non
riescono a stare al passo di tutti questi input
uscendone così sopraffatti, specialmente, è il
caso di dirlo, i bambini, che corrono notevoli ri-
schi dovuti alla eccessiva pressione che grava
su di loro.
Pensiamo ai nostri figli e a quali stress ogni
giorno sono assoggettati, anche solo per il fatto
di starci vicini e di non essere completamente
autonomi nelle scelte. Ma quanto li stressiamo
con le nostre paure che ormai viviamo senza
nemmeno accorgercene, con i nostri ormai
convulsi modi di vivere senza ritmo… Queste
sono un tipo di frequenze energetiche, poi pen-
siamo a quanto possano essere bombardati
dai programmi televisivi, dalla continua connes-
sione della rete che viene persino proposta
fin dalle scuole elementari. Non ci sono studi
certi della corrosione energetica che tutto ciò
può produrre, o meglio quei pochi studi ven-
gono abilmente insabbiati, deviati e sopraffatti
dall’importanza che diamo all’essere sempre
collegati nel dovere avere tutto e subito.
Lo stesso uso dei cellulari ci riporta a nefaste
notizie, in modo speciale riguardanti i corpi in
via di crescita e di sviluppo. Tutti noi sembriamo
dimenticare tutto e non ci prendiamo abbastan-
za cura dei nostri figli proteggendoli, ma ancor
peggio le nostre vite stanno vivendo uno stato
di profondo smarrimento e di abbandono, sen-
za una consapevolezza più profonda che unisca
cielo e terra, la causa con l’effetto. Siamo una
umanità preda di un grande sonno, il sonno a
cui fu sottoposta la Bella addormentata nel bo-
sco, quando si punse il dito con il fuso, e che
solo la pronta presenza del Bellissimo Principe
avrebbe risvegliato, donandole quella pace e
quella gioia che le appartengono.
Penso che l’etere nel quale siamo immersi sia
fortemente attraversato da queste continue
interferenze da parte di frequenze alienanti,
inoltre credo proprio questa la causa di questo
“nuovo malessere” a cui bambini e adulti sono
assoggettati. Dobbiamo fare presto ed inter-
venire con strumenti idonei a trasformare tale
processo degenerativo prima che le parti del
nostro corpo e della nostra mente non siano più
in grado di guarire autonomamente.
Come si fa a non conoscere lo sviluppo neurolo-
gico dei bambini, come si fa a non capire quanto
in negativo possano influire le onde elettroma-
gnetiche nella comunicazione dei segnali tra le
cellule… La comunicazione delle cellule avvie-
ne attraverso i neurotrasmettitori (dopamine,
serotonina e norepinefrina), sostanze chimiche
prodotte dalle cellule cerebrali che regolano tra
l’altro l’iperattività, l’impulsività, la mancanza di
attenzione, le emozioni e anche la depressione.
Uno squilibrio di queste sostanze chimiche può
causare disturbi del funzionamento cerebrale,
molto probabilmente portando a sintomi consi-
derati dai medici sindrome di ADHD, e come tali
ora vengono trattati con psicofarmaci; ma sape-
te cosa avviene con queste somministrazioni?
34
Ciò che viene somministrato sono anfetamine,
farmaci come Ritalin, Adderal e Concerta.
Le anfetamine aumentano in modo artificiale le
quantità di neurotrasmettitori nel cervello ac-
celerandone il funzionamento, in modo tale che
essi non sono più stimolati ad entrare in azione
producendole. In questo modo viene meno la
crescita naturale delle cellule cerebrali che crea-
no la rete di neuroni, quindi un cervello giovane
potrebbe non avere mai la possibilità di svilup-
parsi spontaneamente e di raggiungere un fun-
zionamento maturo.
Ne possiamo dedurre che un farmaco non cura,
anche perché non ci sarebbe niente da cura-
re visto che il disturbo potrebbe essere visto
come momentaneo, fino a quando non si in-
terviene con strumenti atti ad alzare le difese
immunitarie, ripristinando quindi il rispetto del
normale sviluppo armonico del bambino. Gli
strumenti potranno essere il rilassamento, il
gioco e la meditazione nell’affermazione dello
yoga, favorendo attività umane che stimolino
naturalmente lo sviluppo del bambino, così da
permettere la crescita delle difese naturali da
opporsi allo stress, come d’altronde è sempre
accaduto da centinaia di anni.
In modo particolare il movimento nel bambino è
espressione dell’io interiore ed è importante per
costruire una coscienza intelligente. Da sempre
i bambini si muovono (siamo noi che abbiamo
messo parametri per potere controllare o cata-
logare, ma tali parametri possono cambiare) per
conoscere e per entrare in relazione con ciò che
li circonda vivendo nuove conquiste e scoperte.
Ho lavorato spesso con bambini etichettati
come iperattivi, posso dire che sono bambini
con una marcia in più, bambini che si muovono
per non essere presi e bloccati da ciò che è in-
torno a loro e che risulta loro irritante e pesante.
Essi hanno a che fare continuamente con vec-
chi schemi che non tengono conto della vitali-
tà e di ciò che evolve, bambini spesso fatti di
materia leggera, di pensieri leggeri che parlano
di amore, un amore ancora più grande dei loro
piccoli corpi, corpi che si muovono per non fare
morire questa saggezza contenuta in loro, non
ancora compresa dagli adulti che gli sono ac-
canto. Osservo adulti che non hanno il coraggio
di accompagnarli verso qualcosa di più grande
che parla di un bene comune.
Questi bambini si annoiano nello svolgimento
dei programmi scolastici, delle relazioni conte-
nitive a cui sono sottoposti quotidianamente.
Ogni bambino è diverso ed ha bisogno di canali
diversi per potere creare e costruire ciò che la
sua anima ha deciso di realizzare. Questi bam-
bini non sopportano costrizioni fisiche come lo
stare troppo a sedere, oppure il sentire urlare
da parte degli adulti. Essi non sentono il giusto
clima che li possa accogliere, spesso sembra
che si abbia a che fare con due mondi, il loro e
il mondo che gli richiede di adattarsi. I bambi-
ni non sono cattivi ma semplicemente nel loro
linguaggio esiste altro, diamogli la possibilità di
esprimersi e vedrete che vi racconteranno di
emozioni nobili, vi insegneranno capacità di ap-
prendimento nuove che solo attraverso un’at-
tenta comunicazione che parli di amore e di ac-
coglienza riusciremo a vedere con nuovi occhi.
Sono sicura che solo attraverso l’amore si po-
tranno riequilibrare queste energie vecchie e
nuove, creando il ponte che ci porterà a risco-
prire il significato dell’educazione e della cre-
scita armonica. Vedo le capacità di questi bam-
bini che contengono in essenza l’antidoto per
armonizzare l’umanità. Quando penso a loro li
immagino come bambini chiave, la chiave che
ci aprirà al cambiamento più elevato della vita e
che ci potrà far suonare la nuova nota.
Anna Grazia Fiorani
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Mi fermo un attimo a riflettere. Pausa. Silenzio.
Mi guardo indietro a rileggere le storie vissute
e narrate finora. In esse ritrovo il senso della
mia ricerca personale ed esistenziale: la possi-
bilità reale per l’essere umano di comunicare e
sentirsi unito agli altri. Il percorso professiona-
le e quello della ricerca spirituale camminano
da tanti anni in parallelo, ma ciò che ha dato
spessore ad entrambi è stato l’incontro con le
tante persone e la condivisione della loro storia
personale. A distanza di tanti anni non è venu-
ta meno la spinta ad incontrare, a conoscere,
per cercare di offrire il mio contributo profes-
sionale ed umano. Col tempo la consapevolez-
za della risonanza interiore con quei vissuti, a
volte così coinvolgenti, è divenuta più netta.
“Conoscere è sempre un riconoscere”, dico-
no le Guide spirituali dell’umanità. Nel credere
ingenuamente di essere capace e in dovere
di risolvere i problemi degli altri, ho scoperto
che ogni volta quello che contattavo non era
all’esterno ed estraneo a me bensì assoluta-
mente interno e profondamente radicato nelle
recondite e sconosciute zone del mio essere.
L’incontro con l’altro in realtà partiva dal di den-
tro, come se una sottile e meravigliosa regia
attivasse un magnete che dava vita ad una nuo-
va storia. Non era dunque una coincidenza se
ritrovavo in essa un clima emotivo già vissuto
o problemi analoghi che mi avevano fatto sof-
frire o gioire. La comprensione delle dinamiche
che scaturivano dalla partecipazione a quelle
vicende umane si è lentamente trasformata.
Inizialmente centrata sugli aspetti più immedia-
ti di tipo professionale, basati sulle conoscenze
scientifiche, si è radicata sempre di più in quel-
le spirituali ed esoteriche. Quelle motivazioni,
credute basate sull’altruismo, sono state ridi-
mensionate e smascherate. L’antica saggez-
za, che si esprime con parole simili a mantra,
armoniose perché in perfetta sintonia con le
Leggi della Vita, e che narra del lungo viaggio
compiuto dalla coscienza, spiega come ogni
esperienza ed ogni essere, esprimenti le quali-
tà dell’unica Vita, siano perfettamente collegati
tra loro dal karma. La vita delle tante persone
che è entrata a far parte della mia, seppure per
motivi professionali, è stata ed è tuttora pre-
ziosa ed importante. Come potrei vivere senza
queste esperienze che mi fanno uscire dai miei
angusti spazi interiori? Non ho da sostituire ad
esse la pienezza coscienziale propria dei saggi.
Come un bambino ai suoi primi passi nella vita,
così è la mia coscienza ancora troppo immatu-
ra e alle prese con emozioni discordanti. Incer-
tezze, dubbi, paure, egoismo, ambizione, viltà
sono i miei compagni di viaggio. Li ritrovo ogni
giorno quando devo affrontare nuovi incontri,
nuovi problemi che potrebbero minare il mio
equilibrio, l’immagine perfetta che voglio avere
di me stessa. Di contro una voce sommessa
ma non meno importante che spinge ad osser-
La Comunicazione UmanaCuratore: Anna Maria Fabene
I CARE... MI È CARO!
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varsi, a capire le reali intenzioni, a cercare di
stabilire sempre e comunque l’armonia, l’ami-
cizia, la pace... Conflitti, ansie, equilibri ritrovati
faticosamente con la gioia nel cuore e la voglia
di semplicità. I care... mi è cara questa vita che
mi sta insegnando tutte queste cose. I care...
mi sono care tutte queste persone con le loro
vite che si intrecciano con la mia. Spero di vi-
vere con intensità e fino alla fine di questa vita
queste esperienze. Spero di riuscire a dare ad
ognuno qualcosa che possa servire ad alleg-
gerire un po’ la pesantezza, a ridurre un po’ la
solitudine e la tristezza, e a condividere anche
le gioie per le piccole o grandi conquiste. A tut-
ti voglio esprimere il mio ringraziamento per la
fiducia offertami e per l’insegnamento che da
essi io ho ricevuto. Che i nostri cuori siano uni-
ti, anche se lo sono già da sempre e per sem-
pre. Sul mio stendardo immaginario, celato nel
cuore, scriverò il mio motto I care! I care! Che
la semplicità e l’unione con la Vita mi accompa-
gnino sempre lungo il cammino.
Anna Maria Fabene
37
Quante volte i bambini chiedono a noi “grandi”
di giocare con loro? Più spesso di quanto ricor-
diamo in realtà! Mi lascio trascinare volentieri
nel loro mondo per qualche ora e ogni volta ne
esco rigenerata, alleggerita o spettinata a volte,
dipende, ma questo perché? Stare con i bambi-
ni, soprattutto i più piccoli, ti aiuta a capire quan-
to la vita in sé sia un gioco. Cambi le carte? Usi
nuove regole in tacito accordo con gli altri? Un
momento metti le vesti del pilota e il momento
dopo sei il dottore che visita, o la mamma dol-
ce che coccola i suoi bambini? Sì, certo, tanto
è uguale, perché? Perché è un gioco! Il gioco
ha questa possibilità di leggerezza, che avrebbe
anche la vita se sapessimo giocarcela con ironia
nel movimento, invece di affrontarla con rigida,
schematica razionalità, cieca fiducia nella nostra
percezione, rassegnazione e pigrizia.
Giocare in realtà ti insegna a vivere.
Le feste natalizie ormai sono solo un vago ri-
cordo, e il carnevale galoppa in queste umide e
grigie giornate di non inverno, ma cosa ci con-
sigliavano gli esperti a dicembre? Di tornare a
giocare!
Il gioco è un’attività vecchia come il mondo, e
poi, diciamola tutta, a chi non piace giocare?
A chi ha disimparato a giocare e non ricorda più
il piacere di quello scambio leggero!
Tutti abbiamo giocato almeno una volta nella
vita, e se ci fosse qualcuno che non l’ha ancora
fatto per qualche oscuro motivo perdinci, beh,
sarebbe bello e utile se cominciasse... ora!
A volte siamo talmente addentro alle nostre co-
razze da non sentirne più il bisogno, ma ci sono
davvero giochi per tutti i gusti, ed è veramente
difficile non trovarne uno su misura per te!
Quando si parla di gioco poi si pensa immedia-
tamente a certe tipologie, parte subito la forma
pensiero della tombolona in famiglia, o i giochi
in scatola o le storiche e intramontabili carte da
briscola; ma il gioco in realtà lo puoi sperimenta-
re in ogni momento della tua vita. Quando riesci
ad alleggerire un pensiero ironizzandoci su? Hai
imparato a giocare. Quando affronti un esame
con un piacevole sorriso ed una vocina in sotto-
fondo che ti suggerisce che... vada come vada
ma sarà comunque un successo? Ti sei conces-
so il piacere di metterti in gioco.
La vita è Lyla, il gioco di Dio, allora perché non
può essere gioco anche per noi che siamo parte
di quel “Dio” a cui sappiamo dare tanti nomi?!
Cos’abbiamo da perdere in realtà?
Certo diventerà gioco quanto più sapremo li-
berarci delle nostre catene; quando si vivono
momenti densi di difficoltà è normale che ci
si chieda CHI in realtà si sta divertendo in quel
momento; ma passata la tempesta, potendo
guardare il vissuto con un po’ di distacco, ti ren-
di conto di quanto tutto quello fosse necessa-
rio, perfetto e parte di un gioco essenzialmente
a lieto fine!
Invece l’essere umano è un complicato e pre-
PsicologiaCuratore: Diana Ferrazin
DAI! GIOCHIAMO UN PO’ INSIEME (seconda parte)
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suntuoso rompiscatole, perché, o non vuole
giocare, o gioca imponendo le sue regole, ba-
rando spudoratamente per vincere e preten-
dendo di essere amato dopo avere calpestato i
suoi compagni! Beh... si può migliorare.
Il gioco è fondamentalmente parte dei nostri
istinti primari; si comincia a giocare sin da quan-
do si è piccoli piccoli perché è un modo per co-
noscere se stessi, è un modo per conoscere il
mondo che ci circonda.
Il gioco ha precise funzioni nello sviluppo cogni-
tivo, ma anche affettivo e relazionale dell’indivi-
duo. Diversi studiosi negli anni hanno dato un’i-
dentità all’attività ludica: per alcuni servirebbe a
ottimizzare una nuova dinamica comportamen-
tale, per altri il gioco viene visto come momen-
to propedeutico alla vita adulta.
Ma pensiamo per un attimo anche agli anima-
li nostri fratelli minori? In questo campo loro
sono dei veri maestri, in tanti anni non ho mai
visto un cucciolo che non fosse giocattolone,
poi continuano instancabili anche in età adulta,
se glielo si permette; l’uomo invece è un po’
più cristallizzato, e vive a volte il gioco piuttosto
come un modo per scansare la fatica di assu-
mersi le proprie responsabilità, come un velato
rifiuto di diventare grandi, come se la vita adulta
dovesse essere necessariamente qualcosa di
pesante e monolitico!
Siamo noi che abbiamo bollato la maturità psi-
cofisica come una pallosissima telenovela di
mummie isteriche!
Non è facile giocare quando fuori e dentro il
gelo della personalità umana opera per raffred-
dare ogni istinto vitale, rallentare i movimenti,
rendere spigolosi i nostri pensieri e aspre le
nostre emozioni, ma proprio per questo diviene
oggi un’impresa interessante e necessaria.
Il gioco della vita è in grado di spezzarti le gam-
be, ma sa anche con forza condurti là dove re-
gna la Voce del silenzio, la pace del tuo cuore,
e tutto questo dipende da noi perché è dentro
di noi.
Il gioco è “un’attività volontaria e intrinsecamen-
te motivata” che ha lo scopo di darti piacere. La
vita è bella nella sua infinita creatività, possiamo
renderla piacevole, giocosa, gioiosa se lo voglia-
mo; è però necessario fare delle scelte, perché
stare bene è una scelta, io scelgo di vivere nella
gioia! E questa scelta porta con sé un’infinità di
effetti collaterali inimmaginabili, ma come sem-
pre bisogna sperimentarli su di sé, giorno dopo
giorno. Allora cosa aspettiamo? Dai, diamoci
una mossa perché c’è tanto da fare!
Diana Ferrazin
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Era ancora buio, e dopo una notte passata nell’in-
quietudine e nella febbre della Guerra, che da lì a
poco sarebbe iniziata,
il Re, era pronto nelle sue vesti da battaglia. Af-
ferrò la sua spada affilata, dalla lama lucente, che
giaceva estratta, sul letto, la rinfoderò, si avvolse
nel suo manto blu, e con passo rapido raggiunse
la sala delle armi, dove lo attendevano i suoi due
più fidati cavalieri.
All’arrivo inaspettato del re, i due guerrieri scat-
tarono in piedi dicendo: “Re, Brynja!” Lui rimase
per un attimo in silenzio, e guardandoli negli oc-
chi, con lo sguardo di chi sa, di chi ha visto al di
là dal velo, rispose: “Noi penetreremo la notte
per conoscere il luogo dove si avvolge il male e
lo combatteremo. L’alba sarà nostra alleata, e al
primo chiarore il suono delle sfere celesti echeg-
gerà sulle immense terre della beatitudine”.
I due cavalieri si avvicinarono al re, allungarono
il loro braccio, e posero con vigore le mani sulle
sue spalle: “Siamo con te, il nostro braccio im-
pugnerà l’arma del coraggio e sconfiggeremo il
Tentatore”.
Così si misero a cavallo, giungendo alle pendici
di una collina. In quel silenzio della notte si avver-
tivano solo piccoli fruscii, e lo sbuffare dei caval-
li. Poi, d’improvviso, dinanzi a loro, ecco, fermi,
immobili, migliaia di guerrieri, decisi e preparati,
nell’attesa di udire l’urlo di guerra.
Il re Brynja lì guardò tutti, poi si avvicinò a loro di
pochi passi, sfoderò la spada e la volse al cielo
comandando: “Che la vostra spada sia brandita
dal cuore, Che il vostro coraggio sia sostenuto
dalla solennità, che la vostra vita sia illuminata
dalla vostra anima, che il nostro viaggio porti
alla vittoria sul male, e che le nostre azioni siano
semi per un nuovo mondo”. Poi gridò con po-
tenza il Canto di Guerra: “Non per Me, non per
Noi innalziamo il Fuoco all’universo, ma per
la Luce, Per la Vita e per Il Cuore vittorioso
perenne”.
In risposta al comando del Re, tutti i guerrieri
batterono le loro spade sugli scudi. Quel rumo-
re sordo e imponente tuonò nella notte nera…
poi, tutto fu sovrastato dal fragoroso galoppare
dei cavalli, che sollevarono una densa nube di
polvere.
Così giunsero dinanzi alle Gole di Dala Kadavara,
veri e propri squarci nella montagna rocciosa. Un
luogo, dove il calore del sole non è conosciuto, e
le pareti fredde sono solcate da acqua melmosa.
Brynja fece cenno di fermarsi, rimase per un
istante in osservazione, poi si rivolse al suo brac-
cio destro: “Avanziamo in silenzio e lentamente,
avvisate i cavalieri che per tutto il tragitto, i loro
occhi dovranno essere bendati”.
Procedettero tutti in fila. Il non vedere acuiva gli
altri sensi, e sempre più forte si sentiva l’odore
di marciume emanato da quelle Gole. Tutti quan-
ti però avanzavano saldi gli uni dietro agli altri.
Procedendo nel buio più assoluto, a un tratto i
cavalieri si sentirono sfiorare i visi da artigli me-
Le fiabe della ManuCuratore: Manuela Baccin
CANTO DI GUERRA (terza parte)
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tallici, ma come se niente fosse, continuarono a
procedere in silenzio. Il Re era a capo della fila,
ed era l’unico ad avere gli occhi sbendati e anche
l’unico che poteva comprendere.
All’improvviso gli si parò dinnanzi un essere con-
sumato nelle carni, in una veste scura, grigio di
pelle, che così si rivolse a Brynja, con voce ca-
vernosa: “Non hai paura di vedere?”
Il Re si arrestò e disse: “Io non ho paura di vede-
re l’invisibile!” .
L’essere allora sogghignante gli rispose: “Si!
Questo lo vedo, ma come farai a portare in salvo
i tuoi guerrieri? Loro sono ciechi!”.
Brynja sorrise e con voce sicura: “Sono ciechi
per non essere soggiogati dall’inganno della vi-
sta terrena, ma vedono attraverso il loro cuore, e
tu questo non puoi vederlo!”.
In quell’istante l’essere s’infuriò: “Oh, piccolo
uomo insignificante, che calpesti il mio regno, la
tua voce non è degna di essere udita. Stupido!
Arrogante! Io ti maledico con l’oblio della ceci-
tà!” Mentre pronunciava queste parole, un flus-
so grigio e fetido, fu lanciato dalle sue mani…
Il Re, in un lampo sfoderò la sua spada, e la lan-
ciò verso la maledizione. Un boato anticipò l’e-
splosione di luce prodotta dall’impatto tra le due.
Poi si rivolse all’essere: “Le maledizioni si av-
verano solo se in te c’è, anche solo una piccola
goccia di quel male. Invece la luce prevale sem-
pre, anche là dove non ce n’è nemmeno una pic-
cola goccia”.
Brynja quindi si girò, e ordinò di riprendere il pas-
so e di avanzare….
Uscirono dalle Gole, e così tutti i guerrieri si tol-
sero le bende e continuarono la marcia per con-
quistare terreno.
Nel frattempo, il giorno non sorgeva, mentre la
notte prendeva il suo posto. I guerrieri non ave-
vano più riferimenti, immersi nella foresta buia,
mentre la fatica incominciava a farsi sentire. Così
a quel punto, il Re ordinò di bivaccare per poche
ore.
Mentre tutti dormivano, il Re era seduto sotto un
albero a meditare. Allora uno dei suoi fedeli lì si
avvicinò: “Brynja, devo parlarti”. Il re aprì gli oc-
chi e gli fece un cenno con la testa, allora questi
continuò...
“Più ci avviciniamo al centro del male, più acca-
dono cose sempre più strane. La luce del giorno
è oscurata, i cavalieri sono sempre più logorati,
e sai che non è per il viaggio… è una stanchezza
strana! Sono assenti e demotivati. Forse sareb-
be bene cercare di negoziare con questa forza,
magari per tentare di coesistere. In questo modo
salveresti molte vite!”.
Brynja immobile rimase a guardarlo, poi si alzò,
dandogli le spalle. Si allontanò di poco, quindi si
voltò, rimanendo fermo, rivolto verso di lui, scan-
dì queste frasi: “Se io ascoltassi le tue parole, la
tua voce… così sarei l’uccisore di molte vite. Tu
sei la serpe in seno, il tuo veleno uccide il fervore
dei cuori. Tu, ingannatore della tua Anima, tu In-
fedele del Bene, tu, Perfido strisciante meschino
uomo! Non c’è peggiore nemico del traditore!
Insinui i dubbi, la calunnia, la paura nelle orecchie
altrui! Tu vivi nell’ombra della miseria del male,
sei tu il marcio da estirpare dalle nostre vite”.
“Io ti ordino! Di andartene! Io ti comando trami-
te la potenza dell’Amore di abbandonare questa
Terra!”.
Segue…
Manuela Baccin
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ISSN 2283-9763