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KAIRÓS 5/2001 SOMMARIO 2 5 17 25 27 42 48 KAIROS Convertitevi e credete al Vangelo La Parola Le sorgenti della vita S.Pagani La Tradizione L’ultima preghiera del nostro maestro M. Lafon La Preghiera Tu sei il Figlio diDio C.M. Martini Letture Spirituali La parola della croce G. Moioli KRONOS Il desiderio di Sabbah e della comunità cristiana Se cerchi un libro

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SOMMARIO

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25

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42

48

KAIROS Convertitevi e credete al Vangelo

La Parola Le sorgenti della vita

S.Pagani

La Tradizione

L’ultima preghiera del nostro maestro

M. Lafon

La Preghiera

Tu sei il Figlio diDio

C.M. Martini

Letture Spirituali

La parola della croce

G. Moioli

KRONOS Il desiderio di Sabbah

e della comunità cristiana

Se cerchi un libro

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“CONVERTITEVI

E CREDETE AL VANGELO”

“Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc,1,15) queste parole ci hanno introdotto alla Quaresima. Abbiamo desiderato di entrare in questo tempo liturgico forte, come un'occasione per ricominciare, per mettere ordine, per uscire dalle nostre pigrizie, per individuare delle penitenze, per rinnovare la conversione. La vita cristiana è conversione continua è un progredire sulla via dell'ascesi.

Proponiamo alcune semplici considerazioni su questo tema che possono orientare e sostenere la nostra penitenza quaresimale.

L'ascesi nel suo significato più generale significa esercizio, insieme di sforzi attraverso i quali si vuole un progresso, una crescita nella vita morale e spirituale. Anche in San Paolo ricorre il tema della vita cristiana come 'buona battaglia', come lotta da condurre con le armi spirituali della vigilanza, della sobrietà, della temperanza. La vita cristiana quindi non è qualcosa di spontaneo è innanzitutto un esercizio continuo a perdere la propria vita, a morire a noi stessi, a vivere secondo lo spirito di Gesù, a diventare suoi discepoli.

L'ascesi cristiana aiuta allora a delineare la forma dell' essere cristiano, è in primo luogo iniziativa di Dio che con la sua grazia, plasma

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e modella la nostra vita nella sequela di Gesù. L'ascesi cristiana conduce all'obbedienza della fede e alla verità di noi stessi. Accettare la sequela di Gesù ci chiede di saper dire dei no, saper operare delle rinunce, fare delle scelte, sacrificarsi, soffrire. Ogni giorno ci viene chiesto di dire dei sì o dei no, ci viene chiesto la gestione della volontà per superare le nostre pigrizie, l'amore delle comodità, la paura dello sforzo, il rifiuto della fatica, tutto questo non per una ricerca di perfezionismo umano, già di per sé fallimentare, ma per raggiungere la perfezione di Gesù nel quotidiano della propria vocazione.

Solo la grazia del Signore può togliere dal peccato, non è quindi solo uno sforzo della volontà ma diventa soprattutto una risposta d'amore all'amore del Signore che ci precede; chi ama l'altro si sforza di piacergli in tutto, di aderire sempre di più a lui, chi ama l'altro ama fare la volontà dell'altro e in questo trova la sua gioia.

La tradizione cristiana ci suggerisce alcuni strumenti dell'ascesi:

• IL DIGIUNO:ciò di cui posso fare a meno (digiuno del cibo, delle parole, dei desideri)

• LA VEGLIA: riconoscere la presenza del Signore (la vigilanza)

• LA PREGHIERA: restituire il tempo a Dio (la fedeltà)

Ciascuno di noi può individuare alcuni segni concreti per prepararsi alla Pasqua chiedendo al Signore che ci venga incontro fin d'ora con la grazia della perseveranza.

LA PARABOLA

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Le sorgenti

della vita

di Severino Pagani

La Parola

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ASCOLTO DELLA PAROLA

Dal Vangelo secondo Giovanni

Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno d'aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò.

Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.

Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. 37E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.

(Gv 19, 28-37)

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ALLA PRESENZA DEL SIGNORE Signore Gesù, in questo momento di pace guardo la tua croce: di fronte a questa misura del dono mi sento costretto ad essere più essenziale. Vorrei chiederti il coraggio e la grazia di una più autentica purificazione da tutto ciò che mi distrae o mi allontana dalla verità del Vangelo. Rendimi più semplice, più libero, più disposto ad una forma di amore serena, fedele, silenziosa; apri il mio cuore all'ascolto della tua Parola.

Signore Gesù, con la tua croce hai redento il mondo. Raccogli, interpreta e aiuta a portare tutto il dolore del mondo. Tu che vedi la contraddizione del male, del soffrire e della morte rendi queste drammatiche esperienze umane passaggi difficili di fecondità. Sostieni coloro che soffrono nel corpo e nello spirito. Dona luce e speranza a coloro che non vedono e non credono al loro futuro, dona anche a me attenzione e sensibilità verso il soffrire dei miei fratelli; apri il mio cuore all'ascolto della tua Parola.

Signore Gesù, dalla tua croce ci hai donato lo Spirito Santo: lui solo può rendere viva in noi la memoria di te. Lo Spirito Santo illumina e dà forma ai nostri pensieri, costruisce in noi una mentalità cristiana; infonde nel nostro cuore un modo di sentire e di amare che è come quello di Gesù. Lo Spirito Santo ci aiuta ad evitare ogni pericolo e tutto ciò che ci allontana dal Signore. Ti prego o Signore, infondi il tuo Spirito nel mio cuore, perché ogni mio pensiero e ogni mia azione incominci da te e con te iniziata, per te finisca. Il tuo Santo Spirito apra il mio cuore all'ascolto della tua Parola.

PROPOSTA DI MEDITAZIONE Questo testo ha valore di epilogo rispetto al primo brano incontrato che aveva la funzione di prologo. La vita svelata (titolo della terza lectio), apparsa nell'umanità del Verbo incarnato, viene pienamente

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rivelata nell'evento della Pasqua di Gesù. Le sorgenti della vita sono quel sangue e quell'acqua che scaturiscono dal cuore del Figlio innalzato, crocifisso, glorificato (Gv 19, 34). Il Crocifisso diventa una indicazione circa il modo di vivere, di amare, di sperare; dice lo stile del proporsi, del perseverare. Il gesto di Gesù sulla croce è nominativo circa la pienezza e la dimensione dell'amore cristiano. Quel cuore trafitto è la piena realizzazione del dono della vita in abbondanza che Gesù è venuto a portare («Tutto è compiuto!»: cf Gv 19, 30). Quello che i segni significavano (il vino di Cana, il pane di Cafarnao, la luce restituita al cieco, la vita risuscitata a Betània), ora avviene in pienezza e definitivamente: la vita si diffonde a partire dal Crocifisso. Chi vuole capire il senso più vero della vita deve assumere lo stile del Crocifisso. Deve amare fino alla croce. Il brano che abbiamo letto ci presenta tre quadri di contemplazione sui quali vogliamo fermarci per la nostra preghiera: il compimento, il segno e la testimonianza. a. Primo quadro Il compimento: lo Spirito pienezza del dono Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno d'aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò. Innanzitutto c'è il quadro del compimento (vv. 28-30), dove si sottolinea la pienezza dell'opera di Gesù: l'offerta della vita e il dono dello Spirito, perché facciamo come ha fatto lui. L'amore di Dio giunge a pienezza proprio qui. La parola compimento (telos) significa la realizzazione più piena, un punto oltre il quale non si può andare, una misura tale che una più grande non ce n'è. Veniamo indubbiamente interrogati circa le nostre misure di comportamento, le misure delle nostre disponibilità e delle nostre collaborazioni, delle nostre presenze e delle nostre resistenze. Fino a dove siamo disposti ad arrivare? Ci sono

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diversi passaggi del Vangelo di Giovanni che mettono bene in luce questa affermazione del compimento. • «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3, 16). • «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (compimento/pienezza)»: infatti così iniziava il racconto della Passione con la lavanda dei piedi (Gv 13, 1). • «Tutto è compiuto»; letteralmente: «Tutto è giunto al suo fine (compimento/pienezza)»; queste sono le ultime parole di Gesù in croce. «E spirò»; ossia, letteralmente: «Emise lo spirito». Ci troviamo di fronte ad una carità che arriva fino a saper morire per l'altro. Gesù ci fa grazia di questo dono: il soffio del suo vivere e del suo morire, il respiro, lo stile della sua vita viene comunicato a noi. Per questo ci dona lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo rende l'uomo un cristiano, lo fa vivere come Gesù. La coscienza della missione ricevuta dal Padre ha condotto Gesù fino a questo gesto supremo: Gesù sapeva che doveva donarsi in questo modo, la sua morte non è stata un incidente. Giovanni invita a comprendere bene: il fatto che Gesù è andato in croce non è stato un imprevisto, non è stato un calcolo sbagliato; il fatto che Gesù sia andato sulla croce è stata una scelta voluta e consapevole, è stata la pienezza della sua libertà che si è espressa in un dono. Allo stesso modo deve essere l'atteggiamento che il cristiano assume di fronte alla difficoltà, al soffrire, alla fatica; deve essere qualcosa che il credente assume e offre a Dio in segno di dedizione e di amore ai suoi fratelli. Gesù è andato spontaneamente dove noi spontaneamente non andiamo. Le nostre difficoltà, le nostre resistenze, i nostri dubbi e le nostre fatiche spesso ci tengono distanti da una misura così grande. Tutte le volte che il cristiano non arriva a questa misura non è capace di guardare la croce; tutte le volte che di fronte ai sacrifici dice: «Adesso basta, questo è troppo, oltre non posso andare» non è capace di guardare la croce. Gesù rende viva, presente, reale, vivace quest'offerta che fa di se stesso e che lascia come promessa, come testamento, come stile di comportamento a coloro che credono in lui. Tutto questo è reso

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possibile nello Spirito Santo che permette all'uomo di essere cristiano, e che permette al cristiano di fare la volontà di Dio. Per questo Gesù emise lo spirito: si tratta di quel soffio, di quello stesso respiro che all'inizio della Bibbia si dice aleggiava sulle acque, di quello stesso soffio di vita che è stato alitato nell'uomo, in Adamo: ma ormai questo respiro non è più un soffio generico, un respiro o uno spirito qualsiasi: è il respiro di Gesù, è lo Spirito di Gesù, è lo Spirito Santo. E se lo Spirito è segno di una vita viva, allora emise lo spirito significa che ha donato il suo stesso Spirito a coloro che hanno creduto in lui. Gesù mette la sua stessa vita dentro di te. Chinato il capo, spirò, va inteso come, donò la sua vita: cioè ti dà se stesso, il suo stile di vita, in modo tale che anche tu possa donare la tua vita fino alla fine, come ha fatto lui. Contemplare il Crocifisso non significa innanzitutto una mozione interiore dell'animo, non è semplicemente una ricerca estetico-emotiva; contemplare il Crocifisso significa far diventare il compimento di Gesù, che si consuma sulla croce, il proprio modo di vivere. b. Secondo quadro Il segno: il costato trafitto Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso insieme con lui. Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. Il secondo quadro è quello del segno: il costato trafitto (vv. 31-34). Il Vangelo di Giovanni fa molta attenzione alle feste solenni, e tantissimi avvenimenti nella vita di Gesù sono situati da Giovanni durante le grandi feste religiose ebraiche. Il racconto dice che venuti da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le ossa delle gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. L'evangelista vuole concentrare l'attenzione del lettore su questo particolare. Il significato profondo di questo particolare simbolico è da

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ritrovare in questa tesi: dal costato di Gesù escono la testimonianza di un amore fino alla morte (il sangue) e la testimonianza di una fedeltà limpida e permanente che dà vita all'uomo (l'acqua). Nel segno del costato trafitto dunque c'è il manifestarsi in pienezza dell'amore e della fedeltà di Dio. Signore, vedendoti sulla croce capisco come mi vuoi bene: da te è uscita l'acqua, è uscita la vita piena; è uscito il sangue, cioè la misura straordinaria del tuo amore e della tua fedeltà, fino alla morte, come un fiume che invade l'umanità; fiume d'acqua viva che fa fiorire i deserti. Alcune domande ci possono aiutare in questo esercizio di preghiera: che cosa significa per me guardare la croce? Come riesco a pregare davanti al crocifisso? Come prega Giovanni? Che cosa vede Giovanni nel fiotto di sangue ed acqua; quali figure simboliche sono in grado di richiamare? Ricordiamo innanzitutto l'immagine che è contenuta nella pagina di Giovanni quando parla della Festa delle Capanne a Gerusalemme: «Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: “Chi ha sete venga a me! e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi d'acqua viva sgorgheranno dal suo seno”. Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui; infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato» (Gv 7, 37-39)». Fino da questa pagina si può notare come per Giovanni, glorificazione, gloria, ed essere glorificato sono terminologie che rimandano alla croce. Lì c'è gloria, perché c'è la pienezza estrema della vita. Lì la gloria si manifesta, perché così si manifesta l'amore. Ma è utile leggere anche il libro di Ezechiele (cap. 47), dove è contenuta un'altra profezia. Si immagina il tempio di Gerusalemme, dalla cui soglia esce acqua verso oriente: prima giunge alla caviglia, poi al ginocchio, poi ai fianchi e sempre di più. Sotto il tempio si apre una valle e un fiume grandissimo diventa fonte di irrigazione e di vita, e ogni essere che si muove nel fiume vivrà. Dal tempio sgorgherà acqua viva. Ora, nella simbologia di Giovanni c'è un unico tempio che verrà distrutto e dopo tre giorni verrà fatto nuovo, e questo tempio è il corpo di Cristo, questo tempio è il luogo in cui risplende la persona di Gesù. Adesso si

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comprende bene: dalla persona di Gesù uscirà l'acqua che fa fiorire i deserti, che dà gusto all'esistenza, che dà senso a quello che si fa, che dà la capacità di soffrire e superare le difficoltà, che dà la speranza. Solo dal Signore può venire la pienezza della vita. Per gli ebrei l'acqua è il simbolo della vita: «gli colpì il fianco con una lancia e subito uscì sangue e acqua». Da questa ferita di Gesù, da questo dono completo di Gesù esce un'espressione di vita. Il sangue, nella tradizione ebraica, era il simbolo della vita: dal costato di Gesù esce il sangue, cioè la testimonianza di un amore fedele fino alla morte. Ecco allora come Giovanni vede il Crocifisso: ricordando questo evento del soldato che fa uscire il sangue dal costato di Cristo, vede l'immagine di uno che è stato fedele nell'amore fino alla morte. Si vede la testimonianza di una fedeltà limpida e permanente, che dà la vita all'uomo. Il sangue e l'acqua diventano per Giovanni il modo simbolico con cui descrivere le caratteristiche dell'amore di Gesù: è un amore fedele, così fedele da dare la vita (sangue); è un amore che è sorgente di vita (l'acqua). Nel segno del costato trafitto c'è il manifestarsi in pienezza dell'amore e della fedeltà di Dio. Il costato trafitto dalla lancia da cui esce sangue e acqua indica inoltre che la promessa di Gesù sarà mantenuta e che nel mondo si amerà con quello stesso amore che è stato l'amore di Gesù, il quale può far fiorire ogni tristezza, delusione, amarezza e ogni deserto dell'anima. L'amore di Gesù dà un cuore nuovo e una speranza che renderà capaci di amare fino a morire. Il cristiano contemplando il Crocifisso dice: da lì mi verrà la forza, sgorgherà anche per me acqua viva, amerò anch'io come lui, fino alla morte, sarò fedele fino alla fine. La tradizione cristiana in questo brano ha voluto riconoscere nell'acqua il Battesimo, e nel sangue il sacramento dell'Eucaristia, dove Gesù offre la vita per i propri fratelli. Il costato trafitto allora diventa il segno di una sorgente, il segno del segreto della vita: «uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua».

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c. Terzo quadro La testimonianza: lo sguardo al Crocifisso Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice il vero, perché andate voi crediate. Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto». Infine troviamo il quadro della «testimonianza vera» (vv. 35-37); l'evangelista garantisce con giuramento che lì sta tutto il significato della vita di Gesù e della sua eredità agli uomini. In particolare vede nell'evento del Crocifisso la totalità dell'esperienza cristiana: «Chi sa il Crocifisso, sa tutto». È la misura dell'amore di Dio: «ha tanto amato il mondo da mandare in croce il suo figlio». Il segno del cristiano è il segno della croce. Il cristiano è colui che si riconosce sotto il segno della croce. Chi sa il Crocifisso, sa l'esperienza cristiana, cioè la mette in pratica. Chi ha capito l'importanza del Crocifisso ha capito il cristianesimo. Potremmo anche dire: chi contempla il Crocifisso vive la sua vita in libertà. Il Crocifisso è la misura dell'amore di Dio: «ha tanto amato il mondo da mandare in croce suo figlio». Per spiegare questo, Giovanni cita due passi della Scrittura: un primo riferimento allude alla prescrizione del rito pasquale di Esodo 12 («non gli sarà spezzato alcun osso»); il contesto è quello del rito del memoriale dell'uscita del popolo dall'Egitto, attraverso il pasto dell'agnello. L'agnello, dice la Scrittura, doveva essere perfetto e non doveva essere rovinato; inoltre doveva essere consumato completamente. Si era nei giorni di Pasqua. Nelle case degli ebrei si preparava la Pasqua e si mangiava l'agnello pasquale: un rito che è segno di un passaggio e di un'offerta; segno della liberazione dalla morte alla vita. Non si tratta di un agnello comune. Finalmente si comprende: l'agnello perfetto, quello a cui non verranno spezzate le ossa è Gesù Cristo, lui è l'agnello di Dio. Ricordate le parole: «Ecco l'agnello di Dio: ecco Colui che toglie i peccati del mondo». Gesù è il vero agnello pasquale e non gli sarà spezzato alcun

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osso perché è veramente perfetto. È il richiamo evidente al segno di un'offerta completa, non un'offerta parziale, non un'offerta a mezza misura o di media qualità. Non è l'agnello zoppo, né quello malato, ma quello perfetto, perché l'offerta doveva essere intera. Mentre nelle case degli ebrei, in quei giorni si rimaneva legati all'agnello antico, i discepoli del Signore riconoscono che Gesù è l'agnello nuovo, qui c'è la nuova Pasqua, c'è il passaggio dalla morte alla risurrezione. Giovanni contemplando il Crocifisso è testimone di questo: che Gesù è l'offerta perfetta, non ce ne sono di più grandi. Il secondo riferimento biblico riprende Zaccaria 12: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto». Sempre nell'Antico Testamento si trovano dei simboli della storia della salvezza. Ma questo brano è più difficile da comprendere. Chi è costui a cui si rivolge lo sguardo? Chi è questa persona a cui si volge lo sguardo dopo che è stata trafitta? È un re. È un re che è morto, un re di cui in qualche modo si è procurata l'uccisione. Ora nel brano di Zaccaria si legge che il popolo, dopo avere provocato l'uccisione del suo re, guarda a colui che ha ucciso. E chi era questo re, nella narrazione di Zaccaria? Era il giusto perseguitato, il re giusto, il santo di Dio, il pastore che era stato rifiutato. Nella tradizione biblica, colui che è stato trafitto, al quale si volge lo sguardo, ha queste caratteristiche: il giusto non capito, il giusto perseguitato, il pastore rifiutato. Giovanni, secondo l'insegnamento tradizionale, richiama quella pagina: il vero re verso il quale si volgerà lo sguardo è esattamente il vero giusto che è uciso ed è il vero pastore che voi avete rifiutato. Non avete accolto Gesù. Non avete accolto il suo stile di vita, non avete accolto il segreto della vita. In quest'ultimo quadro l'evangelista intende dunque dire da dove nasce il senso della vita e da dove sgorga lo stile con cui vale la pena di vivere: bisogna vivere come re, ma questo essere re significa essere incoronato sulla croce (incoronazione di spine): questo è il cuore del Quarto Vangelo. Il Vangelo di Giovanni può essere riletto a partire proprio da qui. In Giovanni la croce e la gloria coincidono: la pienezza della vita coincide con il dono di sé.

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Nel Prologo (1, 14) l'evangelista aveva detto: «E il Verbo si fece carne e noi vedemmo la sua gloria». Se domandiamo a Giovanni: quando hai visto la sua gloria? Giovanni risponderebbe: «Un po' in tutta la sua vita, attraverso segni particolari, a cominciare da Cana di Galilea». Era solo l'inizio: infatti a Cana Gesù aveva detto che non era ancora giunta la sua “ora”. Adesso, sulla croce è giunta la sua ora, qui appare la pienezza della Gloria. Guardando il Crocifisso si vede in quale misura e fino a che punto Dio ci ha voluto bene.

PER LA PREGHIERA Il compimento. Signore, concedimi di comprendere che l'amore di un cristiano ha come misura l'amore di Gesù, e arriva fino alla croce. Con questo amore tu mi hai voluto bene: sei morto per me. Signore Gesù, posso dire di aver visto, attratto dal Crocifisso, che la mia vita – così com'è, è amata da te? Mi interessa che tu mi vuoi bene? Signore Gesù, posso dire di possedere la gioia del Vangelo, che consiste nel saper amare proprio perché mi sento amato, perché so che mi guardi con misericordia? Oppure noto in me nervosissimi, inquietudini, invidie, cattiverie, scontentezza del vivere, con quel miscuglio di luce e tenebre che ho? Ti adoro o Cristo e ti benedico, perché con la tua croce hai redento il mondo. Il segno. Scopro che nel mondo e nella cultura contemporanea la tua croce è spesso scandalo incomprensibile: chi può credere ad una forma così misteriosa e immediatamente assurda dell'amore? So alimentare il mio stile di vita, le mie abitudini, i miei giudizi all'itinerario della tua Pasqua? Sono docile allo Spirito Santo? Quali sono i linguaggi, le persone, le occasioni attraverso le quali tu mi conformi a te e alla tua croce? Ti adoro o Cristo e ti benedico, perché con la tua croce ha i redento il mondo. La testimonianza. Mi interrogo sulla mia capacità di volgere lo sguardo verso di te, mentre ti hanno trafitto. Come so contemplare la croce? Cerco quella paradossale forma di regalità che è il servizio e il

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dono reciproco? Signore distaccami da ogni orgoglio e da ogni desiderio di gloria diversa dalla tua. Ti ringrazio o Signore, per tutti coloro che ancora si lasciano trafiggere per amore del tuo popolo. Ti adoro o Cristo e ti benedico, perché con la tua croce hai redento il mondo.

PER NON DIMENTICARE Maestro buono, cosa devo fare per avere la vita? In questo tempo che precede la mia Pasqua cercherò di imparare a pregare contemplando il Crocifisso: troverò qualche tempo e qualche luogo in cui mettermi davanti alla croce per imparare questa singolare adorazione.

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L’ultima

preghiera

del maestro

di Michel Lafon

La Tradizione

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«”Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito" (Le 23,46)... è l'ultima

preghiera del nostro Maestro, del nostro Diletto... Possa essa essere la nostra... E che non sia soltanto quella del nostro ultimo istante ma anche di tutti i nostri momenti: "Padre mio, mi consegno nelle tue mani; padre mio, mi affido a te; padre mio, mi abbandono a te, fa' di me quello che ti piacerà; qualunque cosa tu faccia di me, io ti ringrazio; grazie di tutto; sono pronto a tutto, accetto tutto; ti ringrazio di tutto. Purché la tua volontà si manifesti in me, mio Dio, purché la tua volontà si compia in tutte le creature, in tutti i tuoi figli, in tutti coloro che tu ami: non desidero altro mio Dio; consegno la mia anima tra le tue mani; te la dono, mio Dio, con tutto l'amore del mio cuore, perché ti amo, ed è per me un bisogno d'amore donarmi, affidarmi a te senza limiti; mi consegno nelle tue mani

con una fiducia infinita, perché tu sei mio Padre »... (1896) (EJ, 88-89).

«Se la persecuzione, la speranza di un futuro martirio, la malattia, la visione della morte infine, bussano alla porta, si ravvivi il desiderio del nostro annullamento per vedere Gesù, come il fuoco in cui si getta della legna arde piùi alto e più chiaro. La persecuzione, la malttia, il pericolo sono per noi quel suono di orologio che a ogni rintocco faceva sussultare di gioia santa Teresa: "Un'ora in meno mi separa da Gesù"; è il richiamo: "Ecco, lo sposo viene"; è la speranza che saremo presto uniti per sempre, senza mai più poterlo offendere, né dispiacergli, né smettere di amarlo e di adorarlo..., [uniti] a colui che amiamo sopra tutto, che è tutta la nostra vita, il nostro desiderio, il nostro bene, il nostro amore... ” (1902) (RD, 309).

“ Vivere oggi come se dovessi morire martire questa sera” (1902).

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Il tuo ultimo grido sulla croce, Signore, risuona attraverso i

secoli, ben oltre l'ora delle tenebre di quel Venerdì Santo: “...il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del Tempio si squarciò nel mezzo. Gesù, gridando a gran voce, disse: "Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito". Detto questo, spirò” (Lc 23,44-46).

La tua ultima preghiera, Signore, in uno stato di estremo abbandono, conclude sulla croce la terribile supplica iniziata nel Getsèmani. Tu vi proclami il tuo totale abbandono, la tua sottomissione perfetta alla volontà del Padre. “Padre, sia fatta la tua volontà”: questa disposizione interiore che tu ci hai insegnato non è forse il cuore di ogni preghiera? Non la ritroviamo forse all'interno di ogni vita cristiana? Nella sua meditazione, Fratel Carlo chiarisce le tue ultime parole con alcune frasi commoventi, per aiutarci a condividere profondamente i sentimenti condensati in così poche parole. Il suo scritto corrisponde così esattamente alla sua vibrazione interiore che vi si può riconoscere l'asse portante della sua vita trascorsa in unione con il suo Diletto e queste righe sono diventate la “Preghiera d'abbandono ” di padre de Foucauld: i suoi discepoli si sforzano di aderirvi con tutto il loro essere, ripetendola dopo di lui.

Tutte le nostre prove tu le conservi nel tuo cuore, Signore Gesù, tutte le nostre grida di dolore confluiscono nel tuo grido del Venerdì Santo, tutte le nostre accettazioni si uniscono alla tua ultima preghiera.

Talvolta il mio essere si ribella e sono incapace di pronunciare frasi come questa: “Sono pronto a tutto, accetto tutto”. Accetto in teoria la verità che queste frasi esprimono, ma esito a farla del tutto mia. Mi pare che ciò vada al di là delle mie forze, mi pare di camminare così a occhi chiusi verso il futuro. A

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dire il vero, questo fa paura: e se il Signore mi prende in parola? E la mia immaginazione galoppa! E tuttavia, si tratta solo di seguire le tue orme, Signore, di darti la mano. “Quando siamo condotti da una guida che ci porta in un paese sconosciuto, di notte, attraverso i campi, senza una strada tracciata, abbiamo forse altra scelta se non abbandonarci?” (de Causade).

Avere tra le tue mani la docilità di un cadavere, Signore, mi pare piuttosto macabro! È vero che tutta una tradizione ascetica usa questo paragone utilizzato anche da Fratel Carlo nella sua preghiera da trappista. I termini da te impiegati, Signore, noi li conosciamo, vi siamo forse troppo abituati, dato che non manifestano la più piccola esigenza. Ti aspetti dal tuo discepolo che rinunci a se stesso, che sia come uno che abbia perduto la propria vita, come afferma il Vangelo: “Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”.(Mc 8,34-35).

Accettare di “perdere la propria vita” richiede una folle

fiducia in te, Signore, come dice questo figlio spirituale di Fratel Carlo: “Ben lungi dall'odiare e fuggire la vita, provo per essa una folle passione, ho scoperto che tutto quello che Dio ha creato è bello, buono e fatto nel modo giusto: e dichiaro a voce alta che c'è solo un motivo per cui vi si può rinunciare: la sua stessa Parola. Motivo infinitamente sconcertante perché posto molto oltre la nostra logica... Allah Akbar, tutto qui” (Jean Ploussard).

I nostri fratelli musulmani fanno di Abramo il modello dell'abbandono, della sottomissione, lui che credette in buona fede che Dio gli chiedesse di sacrificare il suo unico figlio. Questo figlio non era forse quello della promessa? Dio non sembrava contraddirsi? Tutto ciò poteva apparire di una crudeltà

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assurda allo sguardo umano. Ma il “padre dei credenti” si inchinò senza esitazione e pronunciò quell' “Eccomi” che milioni di credenti ripetono dopo di lui. Sottomettersi così, al buio, richiede talvolta un eroismo che non ci appartiene. Ripetendo ogni frase della “Preghiera d'abbandono”, io la accompagno con un ardente appello al Signore, affinché, con tutto me stesso, possa aderire senza limiti a quello che recito. Possano le mie parole diventare ogni giorno più veritiere! Procedo senza timore sulla strada che questa preghiera apre, perché una certezza luminosa la trasfigura: “con una fiducia infinita, perché tu sei mio Padre”, un Padre che mi ama in modo irragionevole come il padre del figlio prodigo. Quando aggiungo questa frase, questo atto di fiducia a tutte le affermazioni che senza di lui sarebbero terrificanti, mi torna in mente la stradina buia del mio quartiere, illuminata ogni sera dai grandi lampioni dell'illuminazione pubblica, che fanno uscire ogni casa dall'ombra. “Sì, sono pronto a tutto, accetto tutto, con una fiducia illimitata, perché tu sei mio Padre! ”

Quando le mie labbra dichiarano, forse con dolore:

“Qualsiasi cosa tu faccia di me, ti ringrazio”, queste semplici parole si tramutano in dichiarazione d'amore a colui che mi ha amato per primo. “L'arte dell'abbandono è solo l'arte di amare” (de Caussade).

Quello che mi succede mi fa ribellare, talvolta, o mi fa porre domande che non hanno risposta, e la mia accettazione diventa una lotta, “una lotta iniziata per amore..., una prova di puro amore, un atto d'amore nella notte, l'apparizione della rinuncia, del dubbio su me stesso, in tutte le amarezze dell'amore senza alcuna delle sue dolcezze” (LLM, 67).

Perché, Padre, non rispondi alle nostre grida di sconforto, alle nostre dichiarazioni d'amore, strappate a volte a fatica alla nostra volontà? E vero che tu stesso, Gesù, hai provato questa

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sensazione di essere stato abbandonato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Noi urtiamo contro questo impressionante muro di silenzio. Non sono il solo a lamentarmi: anche Fratel Carlo annotava nel suo Diario: “Aridità e tenebre, tutto mi è penoso; santa comunione, preghiera, orazione, tutto, tutto, anche dire a Gesù che lo amo... Devo aggrapparmi alla vita di fede. Se almeno sentissi che Gesù mi ama! Ma lui non me lo dice mai” (1897) (VN. 32). Non assomigliamo a volte a quei bambini che eseguono un compito difficile più per strappare la ricompensa che per far piacere alla madre? Come parlare d'amore - addirittura di “puro amore” se ricerchiamo gli zuccherini spirituali? E forse la nostra soddisfazione che conta? Nell'incrociarsi delle nostre domande, noi arriviamo sempre all'esigenza primordiale di “perdere la propria vita”. “Più abbracciamo la croce, più stringiamo strettamente Gesù che vi è appeso” (CB, 43).

Il nostro cristianesimo, pur terribilmente esigente, non deve presentarsi con un viso sgradevole. Ciò sarebbe contrario a quello che i cristiani sono chiamati a vivere. Per i contemporanei di san Paolo, la sua predicazione di un Cristo crocefisso sembrava pura follia. Eppure il primo insegnamento di Gesù sulla terra parla di gioia ed espone le beatitudini. Fratel Carlo, questo religioso così austero, le cui meditazioni riflettono il rigore del Vangelo, non era affatto un individuo severo e triste. Tutti coloro che lo avvicinarono, parlano della sua bontà e del suo sorriso. “Era molto felice, non lo si può negare, lo si vedeva... I suoi occhi brillavano di calma e di gioia silenziosa” (E.-F. Gautier). Trovare la gioia, una gioia profonda, quando si ha appena compiuto un atto di rinuncia totale, come un “salto nel buio”: molti cristiani hanno fatto questa esperienza: “Continuo a sentirmi troppo felice su questa terra, non merito una simile felicità, non avendola oltre tutto nemmeno cercata. Volevo soffrire un po' per Dio e per il mondo, ed ecco che... ” (Jean Ploussard).

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Vivere nell'abbandono, come un bambino in pace e

fiducioso: permetti, Signore, che io dimori continuamente in questa disposizione d'animo. Anche nei momenti duri, tu sei lì, Signore. Una forza che viene da te compensa i limiti delle mie possibilità e mi permette di ripetere: “Qualsiasi cosa tu faccia di me, io ti ringrazio ”.

Concedimi anche, Signore, di pensare alla morte con amicizia. Il suo aspetto temibile mi offusca la vista e mi impedisce di classificarla fra gli eventi felici.Il bambino nel seno della madre teme il salto nell'ignoto rappresentato per lui dalla nascita. Coloro che lo amano lo invitano a lasciare il calore del suo fragile comfort per accedere alla pienezza della vita e allo stupore della luce.

Sono pronto, a ogni momento, a sentire il richiamo: “Ecco, lo Sposo viene”? Ogni giorno, riesco a unire all'accoglienza attenta del momento presente il distacco di colui che è pronto a lasciare tutto al tramonto del sole? Al di là degli strazi della partenza, non devo mai dubitare, Signore, che tu mi tendi le braccia e che la festa comincerà! Allora, con Abramo e con Maria, posso soltanto ripetere: “Eccomi, Signore!”, e se sono fiducioso e mi lascio andare a te, posso anche aggiungere, Signore: “..ovviamente, non c'è fretta”. “Lasciamoci andare! Mio Dio, tu ci sei, non temo nulla, ti benedico per tutto, perché tutto viene dalle tue mani... Tutto quello che succede, è perché tu lo permetti, lo prepari, lo disponi per il più gran bene. Abbandoniamoci a lui”. [M.LAFON, “Una voce dal deserto”, Ed. Paoline, Torino 1998, pp. 102-109]

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TU SEI

IL FIGLIO

DI DIO

di Carlo Maria Martini

La Preghiera

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Tu sei il Figlio di Dio

Donaci, Signore Gesù,di metterci accanto a te! Donaci, almeno per questa volta, di non essere frettolosi, di non avere occhi superficiali o distratti. Perché, se saremo capaci di sostare di fronte a te, noi potremo cogliere il fiume di tenerezza, di compassione, di amore che dalla croce riversi sul mondo. Donaci di partecipare a quella immensa passione che spacca i nostri egoismi , le nostre chiusure, le nostre freddezze. Donaci di partecipare a quella passione che lenisce le nostre ansie e le nostre angosce, che lava la nostra piccola vanagloria, che purifica la nostra cupidigia, che trasforma le nostre paure in speranze, le nostre tenebre in luce. Donaci di contemplare questa immensa passione di amore e di dolore che ci fa esclamare con le labbra, con il cuore e con la vita: “Gesù, tu sei davvero il Figlio di Dio, tu sei davvero la rivelazione dell’amore”.

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La parola

della

Croce

di Giovanni Moioli

Letture Spirituali

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GIOVANNI MOIOLI, nato a Vimercate (Milano)

nel 1931 e prematuramente scomparso il 6 ottobre 1984, è stato docente di Teologia sistematica e di Teologia spirituale presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale.

Pochi mesi prima della morte don Giovanni

Moioli tenne un ciclo di conferenze (di seguito proponiamo il secondo incontro) a Castano Primo (Milano) per introdurre e preparare alla festa, celebrata ogni venticinque anni, del Santo Crocifisso.

Alla luce della propria sofferta esperienza, rilegge le tappe fondamentali dell'interpretazione teologica della croce di Gesù. Vi trova non l'esaltazione del dolore di Dio, non l'imposizione della sofferenza all’uomo, ma la ricerca - da parte di Dio – di un dialogo d `amore con gli uomini e la proposta del dono reciproco della vita.

La croce, allora, appare non come precetto, ma come grazia: il dono gratuito dell’amore di Cristo e della vita in Lui.

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CONDIVISIONE DELLA CROCE. PROPOSTA CREDIBILE,

PROPOSTA UMANA? ESSERE DISCEPOLO E CONDIVIDERE LA CROCE Di fronte al tema di oggi la croce del Signore ci meraviglia, in quanto ci chiama in causa e ci propone un progetto di vita, che si esprime in una maniera sconcertante: condividere la croce

Non parleremo del dolore umano. Mediteremo invece

su questa specie di equivalenza sconcertante tra essere discepolo del Signore e condividere la croce. Come se si dicesse: non si è discepoli se non si dice di no a se stessi (questo significa condividere la croce) per dire di sì a Dio. al suo volere, alla concezione della vita come dono di se stessi, vivendo come Gesù Cristo, diventando come lui, decidendo che il modo di essere uomini che ci appare in lui è il modo giusto, non soltanto in generale, ma per ciascuno di noi.

Essere discepoli e condividere la croce sono due cose equivalenti; il dire di no a se stessi perchè si dice di sì a Dio e una specie di croce, ci fa vivere in un certo modo, ma facendoci anche morire. Certo non è la morte fisica, ma uno ha l'impressione che muoia qualcosa o qualcuno dentro di lui, soprattutto in certi momenti, quando si è di fronte a una decisione importante.

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L'essere discepoli ci fa dunque vivere in un modo che,

portato alle estreme conseguenze, è quello che ci appare nel Crocifisso: sono le due dimensioni dell'abbandono fiducioso in Dio (il senso della paternità di Dio che abbiamo vissuto dicendo il Padre Nostro è molto bello e dolce, ma ci sono dei momenti in cui è difficilissimo credere, riconoscere, accettare, vedere le cose in questa prospettiva, quando sembra che l'esperienza immediata sia soltanto una contraddizione alla paternità e alla provvidenza di Dio) e della dedizione ai fratelli. Sono le due facce della carità: l'amore di Dio e l’amore del prossimo. UNA PROPOSTA UMANA O DISUMANA ? Si può anche accettare di essere discepoli, perché non ci pensiamo troppo bene e ci pare che non ci inquieti più di tanto. Ma quando si dice che c'è una equivalenza tra essere discepoli e condividere la croce, allora sorge la domanda: questo condividere la croce come un dire di no a se stessi è una proposta umana o disumana? Torna la meraviglia. La meraviglia di fronte alla croce (non sarà una follia, uno scandalo?). Ci pare di dover difendere Dio e Gesù, in questo caso ci pare di dover difendere noi stessi: non sarà questo semplicemente la negazione dell'umano? Non sarà qualcosa di disumano?

E ancora, in maniera più sottile. ci domandiamo: dire di no a se stessi per seguire Cristo non è un rinunciare ad essere uomini, rinunciando alla propria coscienza? Come mai

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lui vuole avere a che fare con la mia coscienza? Come mai Gesù, che è fuori di me, vuole avere a che fare con la mia libertà? Sarò ancora libero, sarò ancora me stesso, se la mia coscienza dev`essere misurata su Gesù Cristo e la mia libertà deve essere orientata a camminare dietro a lui?

C'è l'impressione, insomma, che questo camminare sia un progetto generoso, forse, ma dubbiamente umano, o perchè non fa più vivere (bisogna dire di no a se stessi o perchè fa vivere ma non secondo se stessi, secondo la propria coscienza e libertà, ma secondo un altro, si chiami anche Gesù.

Occorre a questo punto, di fronte alla nostra “meraviglia

incredula”, tesa a difendere noi stessi, e prima di riproporci le domande che hanno espresso questa nostra meraviglia, ripercorrere il grande “affresco” che ci offre l'ultima parte del vangelo di Luca, quasi per “indurire” il dilemma che ci poniamo (essere discepoli è una cosa generosa, ma è una cosa umana?) e vedere con chiarezza che è proprio questo il punto nodale.

“L A VIA DI GERUSALEMME ” (LC 9, 51 62)

In quest'ultima parte del Vangelo di Luca, Gesù ha una via sola, e questa via si chiama Gerusalemme. Anche chi vuole stare con lui ha una via sola, e si chiama Gerusalemme.

Il senso di quello che egli dice e fa è uno solo:

Gerusalemme. L'andare di Gesù a Gerusalemme è una specie

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di sfida a quanti vogliono condividere la sua strada perché, sotto tanti aspetti, il mondo mette una croce sulle spalle non solo di Gesù, ma anche del discepolo (e allora bisogna avere il senso della povertà e della fiducia in Dio: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto darvi il suo Regno”; bisogna saper rompere perfino i legami familiari quando contraddicono la meta assoluta che è la meta del cammino di Gesù; bisogna saper sfidare le contraddizioni degli scribi e dei farisei).

Ora, che cosa è Gerusalemme? Gerusalemme è, certo, la città di Dio, è la città dell'alleanza; lo è non appena per il popolo di Israele ma per il mondo intero, in quanto è il luogo dell'offerta suprema, della donazione suprema di Cristo, è il luogo della croce. Allora, quando Luca, in questo suo “affresco”, dice: “Bisogna portare ogni giorno la croce” (cfr. 9, 23), che cosa vuol dire? Non è tanto il morire materialmente o il patire. E’ la volontà, la decisione, il coraggio di condividere le scelte fondamentali di Gesù.. Questo è il portare la croce, decidere che io sarò uomo in questa maniera: questo è essere cristiano Si tratta di condividere le scelte di Gesù come il bene nostro, anche se questo è un dire di no a se stessi (abnegazione) e un incontrare quella contraddizione che diventa una specie dì croce messa - anche se non materialmente, però in un senso molto profondo, autentico e vero sulle spalle del discepolo del Signore.

Portare la propria croce ogni giorno vuol dire dunque sfidare la contraddizione con se stessi e, dall'altro lato la

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contraddizione del mondo che sta intorno a noi; sfidarla non per il gusto di fare la guerra o per il gusto del martirio facile, ma perché si ha una meta, c'è una direzione, bisogna camminare per questa strada.

Bisogna concludere: non si è discepoli se non sì va a Gerusalemme con il Signore, avendo i suoi stessi obiettivi (la fedeltà tino in fondo al disegno di Dio e il dono di se stessi per la salvezza degli uomini) e assumendo i1 suo stile, uno stile che, se sfida la contraddizione. non è affatto lo stile di un violento. Gesù è un dolce, è un mite, eppure è un forte, sa dove deve andare, “rende dura la sua faccia (è bellissima questa espressione ) verso Gerusalemme”. È forte e mite perchè la verità non può non essere buona, non avendo altra forza se non se stessa, senza bisogno di altri supporti, che sono quelli della violenza e dell'imporsi. Questo condividere il suo stile, volendo essere comunque come lui e con lui, è il senso fondamentale della vita.

Allora, prima di rifiutare questo disegno, questo quadro che Luca ci propone. in nome della nostra meraviglia incredula, del nostro dilemma, riflettiamo ancora su di esso, attraverso tre domande. ALCUNE DOMANDE DI APPROFONDIMENTO Chi è quel “se stesso” che bisogna rinnegare?

Non è il corpo, non è la sensibilità, non è l'intelligenza, non è quella che chiameremmo la personalità, la individualità

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di ciascuno. Quel “se stesso” che bisogna rinnegare è l'uomo dentro di noi che non vuol credere. È il cristiano (dal momento che qui siamo tutti cristiani, battezzati, apparteniamo tutti a una certa area, siamo scritti nel registro del battesimo) che non vuol diventare credente, il cristiano che non assume quel senso della vita che è dato dalla fede, per interpretare la vita in tutti i suoi aspetti.

È come se ci fosse chiesto di convertire e di battezzare e di rievangelizzare l'incredulo che è dentro di noi che si esprime in infinite maniere e infinite direzioni e che, continuamente, di fronte all'esigenza di essere discepolo, sente che deve morire.

Rinnegare se stessi è anche un dire di sì: bisogna fare anche “i fioretti”, ma si fanno in vista di qualcosa di molto profondo. Il vero rinnegamento di sé è il battesimo dell'incredulo che è dentro di noi, ed è una conversione che, quando siamo sinceri con noi stessi, avvertiamo bene che è tutt'altro che facile.

Occorre ricondurre tutto in noi stessi alla fede, cioè al senso delle cose e della vita che ci è apparso in Gesù Cristo e nella sua parola; tutto, anche il corpo, anche l'affettività. anche lo sguardo, anche l'uso dell'intelligenza e della libertà. Come sarebbe diverso il nostro modo di guardare, di parlare, di gestire, di incontrare, se il cuore fosse diverso.

Non si lascia fuori niente.

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Mi ha sempre colpito quel punto degli Esercizi di sant'Ignazio, dove cerca di utilizzare per la preghiera anche i sensi: vedere, guardare, immaginare di udire. E c'è, alla fine, una indicazione bellissima: se qualcuno vuole osare i suoi sensi come nostro Signore, dica il Padre nostro; e se uno vuole usare i suoi sensi come nostra Signora, dica un'Ave Maria. È semplicissimo, ma vi sono una prospettiva e una sapienza molto profonde.

Il problema non è di tirar via un pezzo di noi stessi, ma è di come noi siamo.

Pietro rispose in modo esattissimo alla domanda di Gesù e disse: “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. Però dava a queste parole dei contenuti sbagliati. Infatti dopo che il Signore ha spiegato i veri contenuti, egli si ribella. “Questo non deve avvenire mai”. Allora Gesù gli dice: “Va' via da me, Satana...”. Il termine greco però si può tradurre anche “mettiti dietro”, ed è bello sentir dire: “Pietro, ascolta me, mettiti dietro a me”. Quando uno di noi accetta di mettersi dietro al Signore, allora comincia a diventare discepolo. Perchè avviene anche per noi: diciamo delle cose esattissime quando preghiamo, confessiamo anche la fede pubblicamente, eppure che distanza vi è tra quello che pensiamo e i contenuti veri! Come è difficile realizzare le cose che diciamo! Il credente che siamo noi, viene dietro molto più faticosamente rispetto a quel credente, che siamo ancora noi, che “dice” le cose della fede. Ci costa metterci dietro. Quel noi che deve morire è quello che preferirebbe star davanti e far da inciampo al Signore che cammina.

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Prima ancora del dolore, il diventare credenti è la nostra

prima croce. Ma il modo credente di vivere è quello vincente, perché

Gerusalemme è il luogo dell'offerta suprema, ma anche il luogo della risurrezione. Fidandoci del Signore, accettando di diventare discepoli, il qualcuno che muore in noi permette a quel qualcuno, che siamo ancora noi, di essere vivo, di vivere non in una qualunque maniera, ma secondo il Signore. Com' è questo dire di no a se stessi?

Potremmo rispondere, quasi a modo di battuta: non è scriteriato, cioè non è senza criteri. Ha un metro, una misura, un punto di riferimento, in base al quale si dicono dei “no” per poter dire dei “sì”.

Quanto più dici di no, tanto più sei cristiano: questo è un modo scriteriato di porre il no. Diventerai invece cristiano quanto più quei “no” che dici risponderanno al criterio che (in fondo l'abbiamo già detto) è quello di diventare credenti.

Non si dice di no se non in rapporto a qualche cosa; si dice di no in rapporto alle esigenze dell'essere discepoli di Cristo, del diventar credenti; poiché cogliamo questa cosa, diciamo di no al suo contrario.

Questo criterio del “no” cristiano, dell'abnegazione

cristiana, coincide con un progetto sulla vita che viene visto

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come più grande e importante della vita stessa. C'è negli Atti degli Apostoli il bellissimo discorso di addio di Paolo ai presbiteri della Chiesa di Efeso, che contiene una bellissima espressione: “Io non faccio la mia vita, non do alla mia vita un valore più grande di me” (cfr. 20, 24). Mette in evidenza come la vita, o meglio il nostro vivere, non è più importante delle ragioni che abbiamo per vivere.

La ragione per vivere, quella veramente radicale per un

cristiano, è quel modo di essere che ci appare in Gesù Cristo. Quando un cristiano diventa credente perchè vede che l'essere discepolo è il bene per lui ha trovato in questo la ragione radicale per vivere, allora ha il criterio per poter dire dei no, ed è capace di farlo. Come può aver senso la pretesa di Gesù che questo sia il criterio fondamentale della vita: diventare quel tipo di uomo che ci è apparso in lui?

Come è possibile che qualcuno al di fuori di noi possa

chiederci di diventare uomini non a modo nostro ma a modo suo? Perché l'umano di Gesù è la verità del nostro umano? La risposta non sta in noi ma in Gesù stesso. Se è vero che in lui Dio ci parla dell'umano (non solo ci parla “in termini umani”, ma ci parla “dell'uomo”), allora è evidente che quel modo di essere che si esprime in Gesù è “il” modo umano vero e i modi di tradurre l'esisienza umana che sono in Gesù acquistano un valore assoluto. Secondo quei valori l'uomo autenticamente si realizza; se vi si mette contro, l'uomo, voglia o non voglia, veramente non si realizza. Non siamo

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noi a fare di Gesù un modello, è lui che diventa un modello in questo modo, perché dice un modo di esistere umane che, essendo il modo di Dio, non può essere che il vero e definitivo modo di essere uomo, di realizzare i valori fanno autentica l'esistenza umana. E lui stesso che si fa modello e si presenta come tale alla nostra libertà, la provoca radicalmente. Accettarlo come la misura del mio essere umano è il modo con cui faccio l'esperienza della mia liberta, perchè non conosco davvero che cosa vuol dire libertà se non quando sono posto di fronte alla verità.

Decidere per Gesù è decidere la mia verità. Non lo si fa se non nella libertà. CONCLUSIONE

Condividere la croce è il modo più radicale per capire che essere cristiani non è un fatto d’anagrafe neanche d'anagrafe parrocchiale, è un fatto di decisione, un fatto della fede che decide di fare strada con Gesù, al modo di Gesù

Ma se la croce ci pone questa esigenza, lo fa - è

importante dirlo - al modo di una grazia, la grazia che rende possibile e che perdona.

Prima c'è la parola del Signore: Io sono con te; poi c'è

il: Vieni e seguimi. Anche se avessi l'impressione che ti costa una vita. Ma è per darti la ragione vera e autentica di vivere. Con il Signore che va a Gerusalemme non c’è mai solo

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un'esperienza di “morire”, c'è sempre un’esperienza del “vivere”.

“Non temere, piccolo gregge, è piaciuto al Padre dare a

voi il regno...”; “Voi siete quelli che avete perseverato con me... e io dispongo per voi un Regno...”. E perfino sulla croce: “Oggi sarai con me in paradiso”. E il paradiso è il luogo dove si può soltanto vivere. Allora la croce diventa qualcosa che si sperimenta mentre si diventa discepoli, ma l'esito di questo morire per diventare credenti è il luogo dove si può soltanto vivere.

E’ un discorso radicale, ma ciò non significa che

interpelli solo chi fa certe scelte. Interpella i preti, i frati, le suore, gli sposi, tutti quanti insomma. Ciascuno dove e come è. A ciascuno è chiesto di diventare discepolo del Signore.[ G. Moioli, “La parola della croce”, Ed. Glossa, Milano 1995, pp. 55-68]

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“… due di loro

erano in cammino

… e conversavano

di tutto quello

che era accaduto”.

Kronos

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IL DESIDERIO DI SABBAH E DELLA COMUNITÀ CRISTIANA

Gerusalemme, sia su di te la pace

La Chiesa nella terra di Gesù non si rassegna all’intolleranza

tra popoli e religioni. In questa intervista il patriarca indica nella soluzione voluta dalla Santa Sede la via per un accordo durevole. Ma denuncia i tentativi di manipolazione come nel caso della moschea a Nazaret. «Oramai tutti sanno dove sono le frontiere della giustizia e della pace, anche se ci vorranno anni perché l’opinione pubblica ne prenda coscienza».

«In Terra Santa siamo al cristianesimo della croce più che della

risurrezione». È la lapidaria sintesi del patriarca di Gerusalemme, Michel Sabbah, sulla condizione dei cattolici in Terra Santa. Il patriarcato latino di Gerusalemme si trova nel quartiere cristiano, appena a ridosso delle vecchie mura che delimitano la Gerusalemme moderna e che tramite la Porta Nuova immettono nei quartieri ebrei. Qui risiede Sua Beatitudine Michel Sabbah, nato a Nazaret 67 anni fa, e dal dicembre del 1987 alla guida dei cattolici di Palestina, Giordania e Cipro. Una comunità, quella cattolica e cristiana in genere, ridotta a minoranza, rispetto a musulmani ed ebrei, proprio nella terra dove il Cristo è vissuto. Una comunità che soffre come il suo fondatore. E che soffre nel silenzio, perché la sua voce è soffocata dai clamori della lotta tra ebrei e musulmani, tra intifade e periodi di calma, tra attentati e ritorsioni, tra summit politici e rotture clamorose di accordi. Dove è nato il re della pace, pare sia impossibile ritrovare la pace tra i suoi abitanti. E la piccola comunità cristiana cerca rifugio e pace all’estero. Al patriarca pertanto abbiamo rivolto alcune domande sulla situazione della Chiesa e sul suo ruolo nella terra di Gesù, anche come contributo a una possibile soluzione dei problemi

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politici che riguardano Gerusalemme e i luoghi santi. Soluzione cui la Santa Sede ha dato un notevole contributo, indicando vie di pace e condizioni di rispetto per tutte le fedi, superando l’intransigenza e gli estremismi che a intervalli sembrano prevalere e far precipitare gli eventi.

• Partiamo dall’affermazione che qui siamo al cristianesimo della Partiamo dall’affermazione che qui siamo al cristianesimo della Partiamo dall’affermazione che qui siamo al cristianesimo della Partiamo dall’affermazione che qui siamo al cristianesimo della

croce. Quali sono le vostre croci? croce. Quali sono le vostre croci? croce. Quali sono le vostre croci? croce. Quali sono le vostre croci? «Il fatto di essere un piccolo numero. Poi c’è l’instabilità politica continua. Lungo la storia era già così, ma ai nostri giorni l’instabilità proviene dal lungo conflitto tra palestinesi e israeliani. È un conflitto politico, ma da esso deriva un’instabilità generale: economica e sociale. Sono queste le nostre croci. Ma la nostra vita qui non credo che sarà mai facile. Anche con la pace ci saranno difficoltà. Sono le difficoltà generali del mondo intero, oggi: il materialismo e il consumismo, che già sono presenti nella società israeliana, di cui ormai siamo parte». • Si può parlare di una Chiesa palestinese? Si può parlare di una Chiesa palestinese? Si può parlare di una Chiesa palestinese? Si può parlare di una Chiesa palestinese? «Qui la Chiesa è palestinese, è stata sempre palestinese. Per storia e geografia qui è Palestina. C’è stato lungo il tempo un cambio di popolazione: qui si sono avvicendati prima i giudeo-cristiani, poi gli aramaici, poi i greci, poi sono venuti gli arabi che hanno arabizzato tutta la Chiesa. Oggi la maggioranza della Chiesa è palestinese, anche se in essa c’è la comunità di espressione ebraica, che vive nella società israeliana e usa la lingua ebraica. E poi c’è sempre una presenza internazionale: quella stabile (mondo diplomatico, mondo degli affari, migliaia di operai stranieri) e quella dovuta al flusso costante di pellegrini». • Abbiamo parlato di croci, ma possiamo indicare i prAbbiamo parlato di croci, ma possiamo indicare i prAbbiamo parlato di croci, ma possiamo indicare i prAbbiamo parlato di croci, ma possiamo indicare i pregi e i valori egi e i valori egi e i valori egi e i valori

della Chiesa palestinese? della Chiesa palestinese? della Chiesa palestinese? della Chiesa palestinese?

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«È un valore vivere accanto a tutti questi luoghi santi, carichi del mistero di Dio. Come è un valore la costanza di questa Chiesa, malgrado le vicissitudini della storia. Oggi abbiamo qui una Chiesa viva, molto viva, benché pochi di numero. C’è un clero locale, il seminario che grazie a Dio ha vocazioni. C’è uno spirito ecumenico tra tutte le Chiese cristiane. Tutto questo è grazia di Dio, come anche le croci sono grazia di Dio». • Come sono i rapporti con Israele aCome sono i rapporti con Israele aCome sono i rapporti con Israele aCome sono i rapporti con Israele al momento? l momento? l momento? l momento? «Bisogna distinguere lo Stato d’Israele e i territori palestinesi occupati. Nello Stato d’Israele i rapporti sono normali, buoni, amichevoli, per la Chiesa come per il popolo. Ci sono rapporti normali tra ebrei, cristiani e musulmani. Una vita normale che si sviluppa con collaborazione su più fronti. Nei territori palestinesi c’è sempre il conflitto e necessita sempre una parola per la giustizia contro la violenza, contro le varie forme di oppressione che crea un po’ di tensione. Ma specialmente dopo l’inizio delle trattative per la pace i rapporti si sono molto distesi tra Chiesa e Stato». • Cosa ha portato la visita di Giovanni Paolo II? Cosa ha portato la visita di Giovanni Paolo II? Cosa ha portato la visita di Giovanni Paolo II? Cosa ha portato la visita di Giovanni Paolo II? «Frutto immediato è il coraggio che ha immesso nel cuore dei cristiani. C’è stata una presa di coscienza: i cristiani si sono sentiti più forti sia per la presenza del Papa sia per il fatto di trovarsi tutti uniti, in cinquecentomila, alla stessa messa. Anche per ebrei e musulmani ci sono stati frutti immediati a causa della vicinanza fisica del Santo Padre: hanno visto concretamente che cosa è un credente in Gesù Cristo, un vero credente, e tutto il messaggio spirituale che usciva dalla sua persona. Poi ci sono i frutti a lungo termine. La visita del Santo Padre è stata come un seme piantato nelle anime di tutti: cristiani, musulmani ed ebrei, che porterà frutti in termini di pace e di giustizia». • Rimangono però i problemi su Gerusalemme e Nazaret. Rimangono però i problemi su Gerusalemme e Nazaret. Rimangono però i problemi su Gerusalemme e Nazaret. Rimangono però i problemi su Gerusalemme e Nazaret.

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«Gerusalemme è città di Dio, ma sotto l’aspetto politico ci sono i due popoli, anche i nostri fedeli sono palestinesi e israeliani. Dunque noi diciamo, come Chiesa e come fedeli, che la giustizia vuole che la parte palestinese sia palestinese con amministrazione o sovranità palestinese. La parte israeliana sia israeliana. Per la città santa tutti e due i poteri politici devono sapere che Gerusalemme non può essere come le altre capitali del mondo, non è come Londra, Bagdad, Il Cairo o Parigi. Gerusalemme ha qualcosa di più. Può essere sì la capitale politica, se lo vogliono, ma rimane capitale di Dio. E anche i poteri politici devono prendere questo in considerazione, e rendere la città, in quanto santa, aperta a tutti i credenti. Perciò diciamo, ed è quello che dice la Santa Sede, bisogna che si trovi per essa uno statuto speciale che metta d’accordo l’aspetto politico con l’aspetto santo e umano». • E Nazaret? E Nazaret? E Nazaret? E Nazaret? «A Nazaret ci sono delle difficoltà per decisione del governo e del sistema di sicurezza israeliani. Dunque, dipende da misure di sicurezza israeliane o da una visione della sicurezza da parte israeliana. Non è una scelta islamica o musulmana. È piuttosto una decisione israeliana. Gli elementi islamici che sono con il movimento che vuole la moschea sono tutti dipendenti dalla sicurezza israeliana. Per questo il Santo Padre ha chiesto a Barak che si trovasse una soluzione per rispettare da una parte la presenza cristiana nei luoghi santi, e dall’altra parte le attese del popolo islamico. La soluzione si può trovare, ma tocca a Barak dare la risposta a questa domanda del Santo Padre». • Una volta creato uno Stato palestinese, ci saranno più diritti per i Una volta creato uno Stato palestinese, ci saranno più diritti per i Una volta creato uno Stato palestinese, ci saranno più diritti per i Una volta creato uno Stato palestinese, ci saranno più diritti per i cristiani? cristiani? cristiani? cristiani?

«Noi cristiani siamo cittadini. I diritti che saranno per i musulmani saranno per i cristiani. Adesso a Gerusalemme siamo sotto un regime di occupazione, di instabilità politica, in un regime non definitivo. Ma

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quando tutto l’aspetto politico sarà risolto, per cristiani e musulmani ci saranno certo più diritti, più stabilità nell’esercitare diritti e doveri». • Ritiene che la creazione di uno Stato palestinese fermerà Ritiene che la creazione di uno Stato palestinese fermerà Ritiene che la creazione di uno Stato palestinese fermerà Ritiene che la creazione di uno Stato palestinese fermerà il flusso il flusso il flusso il flusso

migratorio verso l’estero? migratorio verso l’estero? migratorio verso l’estero? migratorio verso l’estero? «La creazione dello Stato e la pace nella regione. La pace potrà rallentarlo, fermare no. Ci saranno sempre fattori economico-sociali che spingono all’emigrazione. Ma certo sarà rallentata, anzi altri forse torneranno se ci sarà la pace». • Cosa ha significato il Giubileo per voi cristiani di Terra Santa? Cosa ha significato il Giubileo per voi cristiani di Terra Santa? Cosa ha significato il Giubileo per voi cristiani di Terra Santa? Cosa ha significato il Giubileo per voi cristiani di Terra Santa? «Abbiamo celebrato il sinodo, durato cinque anni, per prepararci al Giubileo. Un sinodo in cui tutte le Chiese (siamo in sei Chiese qui) hanno preso parte. Il Giubileo è stata l’occasione per chiederci cosa significa per noi, dopo duemila anni, essere cristiani, avendo creduto in Gesù dal primo momento, con i nostri antenati, fino a oggi. Come abbiamo creduto in Gesù e come adesso dobbiamo credere, nelle situazioni che viviamo al presente. Per noi il Giubileo è stata l’occasione per rinnovarci, per vedere più chiara la nostra missione di piccolo gruppo nella terra di Gesù, che pure continua a rifiutarlo; è stata l’occasione per rivedere i rapporti con le altre religioni, i nostri rapporti all’interno delle Chiese cristiane, dunque l’ecumenismo. Il Giubileo ha significato un’occasione di rinnovamento per la nostra fede». • Lei parla di missione del piccolo gruppo. Vi sentite erLei parla di missione del piccolo gruppo. Vi sentite erLei parla di missione del piccolo gruppo. Vi sentite erLei parla di missione del piccolo gruppo. Vi sentite eredi del piccolo edi del piccolo edi del piccolo edi del piccolo

resto di Israele? resto di Israele? resto di Israele? resto di Israele? «Siamo eredi della prima comunità cristiana che ha creduto in Gesù. Qui tutti i cristiani sentono di essere nati il giorno della pentecoste. Certo, tutti i cristiani del mondo sono nati il giorno della pentecoste, ma qui c’è stato qualcosa di fisico, una continuazione fisica di generazione in generazione fino a noi».

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• Nei luoghi della profezia per eccellenza, possiamo fare una profezia Nei luoghi della profezia per eccellenza, possiamo fare una profezia Nei luoghi della profezia per eccellenza, possiamo fare una profezia Nei luoghi della profezia per eccellenza, possiamo fare una profezia per la Chiesa palestinese? per la Chiesa palestinese? per la Chiesa palestinese? per la Chiesa palestinese?

«La Chiesa palestinese deve portare avanti la sua missione; deve prendere più coscienza della sua vocazione alla vita difficile qui; e poi deve sperare nel momento del ritorno di Gesù nel mondo e nella sua terra, prima dell’avvento finale» • Pensa che la situazione politica avrà degli sviluppi immediati e che Pensa che la situazione politica avrà degli sviluppi immediati e che Pensa che la situazione politica avrà degli sviluppi immediati e che Pensa che la situazione politica avrà degli sviluppi immediati e che

ci sarci sarci sarci sarà un accordo a breve tra palestinesi ed ebrei? à un accordo a breve tra palestinesi ed ebrei? à un accordo a breve tra palestinesi ed ebrei? à un accordo a breve tra palestinesi ed ebrei? «Io penso che ormai i punti sono stati chiariti. Ciascuno sa dove sono i limiti, le frontiere della pace e della giustizia, tutti vedono chiaro adesso, ebrei e palestinesi. Ma resta il fatto che il popolo, l’opinione pubblica, specie israeliana, non è ancora pronta a vedere attuata la giustizia dovuta ai palestinesi, non vede quello che si deve ridare ai palestinesi. Dunque c’è bisogno di tempo ancora, qualche anno forse, perché l’opinione pubblica prenda coscienza della giustizia e della pace». • Un messaggio alle famiglie e ai cristiani d’Italia? Un messaggio alle famiglie e ai cristiani d’Italia? Un messaggio alle famiglie e ai cristiani d’Italia? Un messaggio alle famiglie e ai cristiani d’Italia? «Da Gerusalemme mi rivolgo alle famiglie europee e italiane, che si vanno secolarizzando e anche distruggendo. Un messaggio perché la famiglia della Terra Santa, quella di Gesù Maria e Giuseppe, sia un modello di ancoraggio, per accettare la realtà della famiglia cristiana, con tutte le difficoltà e i sacrifici necessari, e questo per il bene della Chiesa, dell’individuo, della famiglia e dell’Italia stessa». • Che cChe cChe cChe cosa possono fare i cristiani italiani ed europei per la Chiesa di osa possono fare i cristiani italiani ed europei per la Chiesa di osa possono fare i cristiani italiani ed europei per la Chiesa di osa possono fare i cristiani italiani ed europei per la Chiesa di Palestina? Palestina? Palestina? Palestina?

«Devono essere buoni cristiani, veri credenti, modelli in tutto, in modo che il piccolo gruppo di qui possa vedere un Paese che crede in Dio e che ha fede. E poi tutti i cristiani devono sentirsi parte della storia di Terra Santa, partecipi del conflitto che qui si è sviluppato. Tutti devono

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vedere la realtà dei due popoli, aiutandoli con la preghiera e (chi può e deve) con l’azione politica a raggiungere la pace».

L’intervista il patriarca l’aveva concessa pochi giorni prima che iniziassero i disordini che da Gerusalemme si sono propagati in tutti i territori occupati, in seguito alla provocatoria visita alla spianata delle moschee di Ariel Sharon, esponente della destra israeliana. La guerriglia e i morti, che nei primi giorni di ottobre ne sono seguiti, confermano (se ce ne fosse stato ancora bisogno) che nella terra di Gesù permane la Chiesa della croce. La fede nel Risorto si fa allora invocazione per ottenere giustizia e pace.

SE CERCHI UN LIBRO Martini Carlo Maria VITA DI MOSÉ Borla «E’ nel solco della tradizione spirituale che lega i fedeli al testo sacro, che anche questa Vita di Mosè si inserisce. Anch’essa non è altro che un momento di quella grande conversazione sulla Parola che è la tradizione del Popolo di Dio: tradizione che passa attraverso i grandi commentatori d’Israele e della Chiesa antica e moderna, ma anche tradizione che vive nell’ascolto fervoroso e fedele di tutti i semplici credenti che si alimentano di una quotidiana lectio divina alle fonti della rivelazione» (dalla prefazione di Pino Stancari) Pagani Severino FARO’ LA PASQUA DA TE . Itinerario di preghiera per i giorni di Pasqua Piemme L. 14.000 «So che la Pasqua è il centro dell’evangelo: soltanto da questo punto prospettico si può capire il senso della vicenda storica di Gesù, la sua

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vita, la sua morte, la sua risurrezione. A partire dalla Pasqua, intensamente legato al mistero di Gesù, ripercorrerò l’itinerario di fede del cristiano: riprenderò la croce dell’essere discepolo.» Sono solo le parole della parte introduttiva di questo commento spirituale, espresso nel linguaggio contemporaneo, della grande liturgia del mistero pasquale. Pacomio Luciano GESÚ Piemme L. 20.000 Le parole, i miracoli, le motivazioni della morte, le sorprese della Risurrezione; una ricostruzione avvincente sulla base delle fonti bibliche, giudaiche e romane.