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72 2.3 Economia e lavoro La crisi che ha colpito l’Italia non ha risparmiato le Marche, anzi, proprio perché ha colpito settori di tradizionale specializzazione regionale, si è manifestata per certi versi in modo ancora più acuto. Confrontando landamento del valore aggiunto e del PIL a prezzi correnti dal 2005 (Figura 2.3.1), emerge chiaramente come l’insorgere della crisi abbia determinato, non solo l’inversione del trend positivo del PIL (nazionale e regionale), ma anche un acuirsi della differenza tra l’andamento del PIL e quello del valore aggiunto (VA) agricolo del settore primario, sia nazionale, che regionale, che registrano un calo ancora più accentuato, soprattutto nelle Marche. Il dato del VA del primario regionale, in lieve aumento dal 2007, diminuisce già dal 2009, ma in modo molto meno marcato del rispettivo valore per l’industria (Tabella 2.3.7). Figura 2.3.1 PIL e valore aggiunto del settore primario in valori correnti (2005=100) Fonte: ISTAT [10] Dal 2008 al 2009 il PIL delle Marche ha avuto una contrazione media, a prezzi correnti, del 2,9%, in linea con il dato nazionale (Tabella 2.3.1). Stando all’analisi della Banca d’Italia [3], nel 2010, il PIL marchigiano è però tornato a crescere (+1,3%), anche se a ritmi contenuti, come la media italiana. Tuttavia, nonostante la ripresa degli ordini industriali iniziata nella primavera del 2009,

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2.3 Economia e lavoro

La crisi che ha colpito l’Italia non ha risparmiato le Marche, anzi, proprio perché ha colpito settori di tradizionale specializzazione regionale, si è manifestata per certi versi in modo ancora più acuto. Confrontando l’andamento del valore aggiunto e del PIL a prezzi correnti dal 2005 (Figura 2.3.1), emerge chiaramente come l’insorgere della crisi abbia determinato, non solo l’inversione del trend positivo del PIL (nazionale e regionale), ma anche un acuirsi della differenza tra l’andamento del PIL e quello del valore aggiunto (VA) agricolo del settore primario, sia nazionale, che regionale, che registrano un calo ancora più accentuato, soprattutto nelle Marche. Il dato del VA del primario regionale, in lieve aumento dal 2007, diminuisce già dal 2009, ma in modo molto meno marcato del rispettivo valore per l’industria (Tabella 2.3.7).

Figura 2.3.1 PIL e valore aggiunto del settore primario in valori correnti (2005=100)

Fonte: ISTAT [10]

Dal 2008 al 2009 il PIL delle Marche ha avuto una contrazione media, a prezzi correnti, del 2,9%, in linea con il dato nazionale (Tabella 2.3.1). Stando all’analisi della Banca d’Italia [3], nel 2010, il PIL marchigiano è però tornato a crescere (+1,3%), anche se a ritmi contenuti, come la media italiana. Tuttavia, nonostante la ripresa degli ordini industriali iniziata nella primavera del 2009,

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sia proseguita nel corso del 2010, il ritmo è ancora insufficiente a tornare sui livelli pre-crisi. A peggiorare il quadro, i dati del 201138, marcano un ulteriore stop all’economia nazionale e regionale.

Tabella 2.3.1 Andamento del PIL (milioni di euro e euro) � � � � � � � � � � � � � � ! " # $ % & ' ( ( $ ) $ * ' & + # , - . / 0 1 / 2 . 3 0 4 5 6 7 8 9 5 ! " % & - 7 + # % $ , ' 8 1 0 1 : 1 8 : 0 1 . / 7 4 9 2 ! " % ' & ; < $ , = ) $ > # ? - & - : 6 0 / 8 3 : 1 0 1 3 8 7 3 9 5Fonte: ISTAT [10]

Il valore del PIL procapite, nel 2009, si attesta a 25.641 euro, leggermente inferiore alla media del centro Italia (27.914 euro) e molto sotto alla media Nord-ovest (30.408 euro), la più alta a livello nazionale [10].39 Il dato del PIL pro-capite rimane comunque leggermente superiore alla media italiana, mentre quello per unità di lavoro è ancora minore e, oltretutto, in diminuzione. Alla base della minore produttività marchigiana c’è anche un più alto tasso di attività rispetto alla media nazionale (cfr. seguito), che fa sì che, a parità di prodotto, il contributo medio del singolo occupato sia più basso. Inoltre, per quanto riguarda l’industria, soprattutto nel comparto manifatturiero, il divario è attribuibile alla maggiore specializzazione regionale in produzioni tradizionali, a più basso valore aggiunto per unità di lavoro [3].

Tabella 2.3.2 Andamento del valore aggiunto per settore (milioni di euro) � � � � � � � � � � � � � �@ A & $ + - > , ; & # 9 B $ > ? $ + - > , ; & # ' % ' B + # 1 1 1 : . 2 7 / 6 9 6! < ) ; B , & $ # / 8 0 4 3 : / / 0 3 1 . 7 / 3 9 /C ' & ? $ ( $ 8 . 0 / 6 3 8 . 0 1 8 5 / 9 5D # > - & ' # A A $ ; < , - # % & ' ( ( $ E # B ' 4 6 0 / . / 4 1 0 8 . / 7 8 9 .Fonte: ISTAT [10]

Il VA a prezzi di base (Tabella 2.3.2) è diminuito del 2,4%, performance questa leggermente migliore della media nazionale (-2,9%), per effetto dell’andamento leggermente più positivo dei servizi, mentre industria e soprattutto agricoltura, hanno avuto una flessione maggiore della media

38 Per approfondimenti si veda il riferimento bibliografico [4]. 39 A un livello nettamente più basso si colloca il PIL pro capite nel Mezzogiorno, con un valore di 17.417 euro,

il 44% in meno di quello del Nord-ovest [10].

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nazionale. Sulla performance regionale, evidentemente, pesa la sua struttura produttiva, fortemente connotata dal peso della manifattura (a sua volta orientata all’esportazione), e quindi più esposta alla congiuntura. Analizzando nel dettaglio la dinamica dei valori macroeconomici del settore primario si nota che i valori costanti e correnti del F G agricolo sono tutti in diminuzione, ma la dinamica inflazionistica nasconde parte del trend negativo di questi ultimi. Analizzando il Valore aggiunto per occupato (Tabella 2.3.3), si nota che H l dato è inferiore alla media nazionale in tutti i settori e l’ulteriore calo, superiore alla media nazionale, non fa che accrescere il divario di produttività. Pertanto, stando almeno ai dati presentati, la crisi non avrebbe sortito l’effetto di aumentare la produttività attraverso l’“eliminazione” delle unità meno efficienti.

Tabella 2.3.3 Andamento del valore aggiunto per settore e per occupato (euro) � � � � � � � � � � � � � �D @ , - , # > ' % ' & - + + ; % # , - : 3 0 4 8 3 . 5 0 : : 6 7 / 9 :D @ # A & $ + - > - % ' & - + + ; % # , - 8 : 0 . / 3 8 3 0 8 5 6 7 8 3 9 /D @ $ < ) ; B , & $ # % ' & - + + ; % # , - . 4 0 2 3 6 4 5 0 5 6 3 7 2 9 2D @ B ' & ? $ ( $ % ' & - + + ; % # , - : 1 0 3 2 3 : 6 0 1 / 8 8 9 6Fonte: ISTAT [10]

In particolare, se il VA diminuisce in modo piuttosto marcato nell’industria e aumenta leggermente nei servizi, i I VA agricolo ha un calo molto evidente (-20%) dal 2008 al 2009. Leggendo questo dato insieme a quello occupazionale, il giudizio sulla performance del settore può essere meno severo. Infatti, stante l’aumento dell’occupazione agricola negli anni oggetto di analisi (cfr. analisi seguente), il calo di produttività è meno preoccupante, per un’agricoltura come quella marchigiana, meno capace di creare valore, a fronte di un elevato peso dell’intermedio [8]. La bassa produttività, non solo agricola, è uno dei grandi limiti dell’economia regionale e nazionale, conseguenza anche del fatto che il sistema non si è ancora bene adattato alle nuove tecnologie e alla globalizzazione [2]. Il dato sulla produttività del lavoro è confermato da un’indagine ad hoc della Banca d’Italia [3] sul trend del PIL su unità standard di lavoro. Il dato, secondo l’indagine, sarebbe cresciuto dello 0,5% in media annua, tra il 1995 e il 2009, a fronte di una crescita dello 0,1% nel Centro Nord. Il settore dei servizi è quello che fa registrare i progressi maggiori (0,7% di media annua nel periodo

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considerato) migliori anche di quelli del Centro Nord, dimostrando, quindi, una maggiore vitalità anche in termini unitari e non solo aggregati. La produttività è invece diminuita dello 0,1% annuo nell’industria in senso stretto (-5,9% solo nel biennio 2008-09). Per quanto riguarda i principali comparti manifatturieri della regione, i dati sono presenti solo dal 2000 e il 2007. In questi anni, la produttività del lavoro è cresciuta nel cuoio e calzature (1,7% media annua, contro l’1% nel Centro Nord), mentre è diminuita nelle macchine, apparecchi meccanici ed elettrici (-0,5%, a fronte di una crescita dello 0,5 nel Centro Nord) e nel legno, gomma e plastica (-1%, contro un aumento dello 0,6 nel Centro Nord) [3]. Il prevalente carattere manifatturiero dell’economia marchigiana fa sì che la terziarizzazione rimanga su valori inferiori al dato nazionale (Figura 2.3.2), ciò nonostante, a causa della recessione, che ha colpito di più i settori dell’industria e dell’agricoltura, tale divario diminuisce [8].

Figura 2.3.2 Confronto del peso del Valore aggiunto per settori economici nel 2009

Fonte: ISTAT [3]

In particolare il peso del settore agricolo, molto basso anche a livello nazionale, diminuisce ancora, confermando il suo ruolo marginale nell’economia regionale (e italiana).

J K L J K MN O K L P Q K MR S K O T N K P

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Per quanto riguarda l’industria, in base all’indagine della Banca d’Italia40, dopo il forte calo del 2009 (-15,1%), nel 2010 il fatturato a prezzi correnti è aumentato del 10,1%, soprattutto per la componente estera. Le vendite (a prezzi costanti), sono aumentate dell’8,5% e per il 2011 le imprese intervistate si attendono ancora una crescita, seppure più contenuta [3]. A partire dal secondo semestre 2010, l’industria manifatturiera marchigiana ha avviato un graduale percorso di recupero [16]. Nel corso del 2010, le scorte di prodotti finiti sono aumentate, sia per effetto del lieve aumento della domanda, ma anche per la cautela che ha frenato l’alimentazione del magazzino in una fase recessiva [3]. Gli indici della produzione industriale41, forniscono una misura della variazione, nel tempo, del volume fisico della produzione effettuata dall’industria (in senso stretto). Nel 2010 l’indice generale aumenta del 3,6%, a fronte di una diminuzione di quasi l’11% del periodo precedente, soprattutto per effetto dei settori di tradizionale specializzazione regionale. I dati pubblicati da Confindustria Marche, demarcano i settori maggiormente in crisi (Tabella 2.3.4). Solo il comparto alimentare ha un andamento in controtendenza, migliorando la sua performance rispetto a precedenti rilevazioni [11]. La specializzazione alimentare non è certo molto spiccata nelle Marche, ma il comparto si conferma uno dei più vitali e redditizi del manifatturiero, tanto che, l’agroalimentare, appare uno dei pochi settori capaci di reagire alla congiuntura [8].

Tabella 2.3.4 Indici della produzione industriale per alcuni comparti produttivi nelle Marche (dati destagionalizzati) v w x y z { | w � � � � � � � � � � } � � } � � � �~ ' + + # < $ + # / / 4 9 8 5 1 9 5 / 3 1 9 . 7 1 9 3� # > ( # , ; & ' 2 6 9 3 6 2 9 4 2 / 9 3 7 1 9 5� ' B B $ > ' ' # E E $ A > $ # * ' < , - / 3 4 9 1 2 6 9 8 2 2 9 : 7 / . 9 1" ' A < - ' * - E $ > ' / / 2 9 4 / 3 5 9 6 / 3 5 9 6 7 6 9 4@ > $ * ' < , # & ' / / : 9 3 / / . 9 2 / 8 3 9 3 . 9 4� � � � � � � � � � { z � � � � � � � � � � � � � � � � � � �Fonte: Banca d’Italia [3]

A livello provinciale, Ascoli Piceno42 e Ancona guidano la ripresa della

40 Condotta su oltre 270 imprese industriali con almeno 20 addetti. 41 I dati sono tutti destagionalizzati, ovvero, viene eliminata la componente della serie storica attribuibile, oltre

che al diverso numero di giorni lavorativi, agli effetti stagionali, per cogliere l’evoluzione congiunturale. 42 Ricordiamo che, nel 2009, si è avuta l’entrata in funzione effettiva della nuova provincia di Fermo, stabilita

in coincidenza delle prime elezioni (6 e 7 giugno), attraverso il distacco di 40 comuni dalla provincia di

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produzione (+2,2% e +2%), seguite da Macerata e Pesaro Urbino43 (+1 e +0,8). Unica eccezione è Fermo in cui l’attività produttiva scende di un valore medio annuo di -0,8% [16], molto probabilmente a causa dell’andamento del distretto del calzaturiero e delle lavorazioni in pelle [5]. Analizzando il livello produttivo per classe di addetti, è la classe di dimensione maggiore (50-499 dipendenti) che presenta un valore positivo (+2,4%), mentre le aziende più piccole (1-9 dipendenti), sono ancora in difficoltà (-1,2%) e, tra di esse, solo le aziende che esportano riescono a portare in positivo i risultati [16]. Questo dato è preoccupante, essendo la struttura dimensionale delle imprese marchigiane caratterizzata da aziende di piccolissime dimensioni, che rappresentano il 64,4% del VA manifatturiero regionale nel 2010 [4]. Gli investimenti rappresentano una delle voci più sensibili alla congiuntura, che, evidentemente, li influenza in modo preponderante. Per quanto riguarda quelli pubblici, le modifiche delle regole del Patto di stabilità interno, che ha incluso gli investimenti fra gli aggregati soggetti a vincolo, hanno accresciuto l’incertezza, rendendo più complicato programmare investimenti pluriennali. L’obiettivo rigido sul saldo di bilancio fa sì che i tagli dei trasferimenti statali ai Comuni per gli anni 2010 e 2011, disposti dalla legge n. 122 del 30 luglio 2010, comportino molto probabilmente un’ulteriore riduzione degli investimenti [3]. Nel triennio 2007-09, sulla base dei Conti Pubblici Territoriali, la spesa delle Amministrazioni locali delle Marche per investimenti fissi è stata pari all’1,5% del PIL regionale (in progressivo calo dal 2007), in linea con la media delle RSO. Secondo l’Istituto per la finanza e l’economia locale (IFEL) nel 2009 la spesa complessiva dei Comuni italiani è rimasta stabile, erogando poco meno dei due terzi del totale, con una ricomposizione a favore della spesa corrente e a sfavore degli investimenti [3]. Dopo una fase in cui i dati delle Amministrazioni Locali marchigiane sono stati spesso negativi, si è ora di fronte ad un lieve recupero, attestato dall’indice medio della finanza locale44 che passa dal quattordicesimo al nono posto nella

Ascoli Piceno. Tuttavia, le indagine statistiche riportate, non presentano dati per la provincia di Fermo, che saranno disponibili dalle prossime rilevazioni. 43 Il dato è ancora più positivo se si considera che, nella provincia di Pesaro e Urbino, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 117 del 3 agosto 2009 “Distacco dei Comuni di Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant’Agata Feltria e Talamello dalla Regione Marche e loro aggregazione alla Regione Emilia-Romagna, nell’ambito della provincia di Rimini, ai sensi dell’articolo 132, secondo comma, della Costituzione”, dal 2010, circa 2000 imprese sono state trasferite anagraficamente nella provincia di Rimini. 44 L’indice sintetizza diversi indicatori utilizzati come proxy della finanza locale e regionale, tra cui: autonomia finanziaria; autonomia tributaria; pressione tributaria; grado copertura spese correnti e rimborsi dei prestiti; rigidità strutturale; velocità gestione delle entrate proprie; velocità gestione delle spese correnti; pressione tributaria regionale; intervento erariale vincolato alle regioni; spese regionali per sanità; spese regionali per istruzione; investimenti diretti della regione all’estero [16].

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classifica nazionale. Le cause del miglioramento sono da ricercare in una minore pressione fiscale, una maggiore velocità sia nella riscossione che nel pagamento da parte degli Enti Locali, una più adeguata e oculata spesa per la sanità e il sociale e per l’istruzione. Meno positive le performance in termini di autonomia tributaria e fiscale, per il fatto che la regione è evidentemente costretta a basare gran parte della spesa sulle proprie risorse e lasciare ai trasferimenti statali sono un intervento marginale [14]. Un’altra voce fortemente dipendente dalla dinamica congiunturale è la bilancia commerciale. Nel 2010 le esportazioni marchigiane sono tornate ad aumentare (+11%) recuperando, però, solo il 40% del calo subito nel 2009 e non tanto da compensare il forte aumento delle importazioni (+25% circa). Dall’inizio della crisi, la performance all’export delle Marche è stata sistematicamente peggiore di quella italiana. La bilancia commerciale, pur migliorando nettamente rispetto al 2007/2008, rimane negativa (-15% circa) (Tabella 2.3.5).

Tabella 2.3.5 Bilancia commerciale nelle Marche (milioni di euro) � � � � � � � � � � � � �� � � � � � � � � � �� � � �� � � � � � � �   � ¡  ¢ £ ¤ ¥ ¦ § ¨ © ª ¤ « ¬ ­ ® ¬ ¯ ° ± ² ³ ¬ ± ³ ¬´ µ ¶ ª · © ¤ ¥ « ° ¸ ¬ ² ¹ º ¸ ² ­ » ± ² ³ ² ® » ³ ²¼ ½ ¤ ¾ ¥ ¿ ¥ ± ¯ ¯ ° ° ² ³ ­ ­ ³ °À � � � Á  � � �   à   � Ä Â Å � ¡ � �   Å Æ Â � � � � � Ç � � � � � È � Ç � � � � �É Ê � � � � � �   � ¡  ¢ £ ¤ ¥ ¦ § ¨ © ª ¤ « ² ­ ° ± ¯ ­ ³ ® ­ ³ º´ µ ¶ ª · © ¤ ¥ « » ¸ ® ¯ ­ ¹ ¸ » ® ® ¬ ¬ ³ ­ ® ® ³ ­¼ ½ ¤ ¾ ¥ ¿ ¥ ¯ ¬ ² ­ ± ¹ ³ º ­ ³ ²À � � � Á  � � �   à   � Ä Â Å � ¡ � �   Å Æ Â � � � � � � � � � � � � � � � � � � �Ë � Á Ì �¢ £ ¤ ¥ ¦ § ¨ © ª ¤ « Í º ® Í ¹ ¯ ± ­ ³ ¬ Í ¯ ³ º´ µ ¶ ª · © ¤ ¥ « ± ¸ » ¹ ± ± ¸ ¯ ® ¯ Í ¬ ² ³ ­ ¬ ­ ¯ ³ ²¼ ½ ¤ ¾ ¥ ¿ ¥ ¹ ° Í ² ¬ ³ ¬ ­ ³ ±À � � � Á  � � �   à   � Ä Â Å � ¡ � �   Å Æ Â � � � � � � � � � � � � È � � � � � � �Fonte: ISTAT [10]

Il settore trainante rimane l’industria che rappresenta, al 2010, la quasi totalità delle voci attive e passive della bilancia commerciale. Riprende soprattutto il mercato extra UE, per effetto anche del commercio con

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la Russia, da cui diminuscono le importazioni (-42%) e aumentano le esportazioni (+26%). Anche il mercato europeo e in particolare quello dell’area euro, tornano positivi per quanto concerne le esportazioni (+9 e +6% rispettivamente), ma in questo caso aumentano anche le importazioni (+17% circa in entambi i casi) [3]. Il ruolo del commercio con i Paesi asiatici (Cina, Giappone e India) è influenzato dal forte aumento delle importazioni (+52%) a fronte di un più debole aumento delle esportazioni (+16%). Gli andamenti dei saldi normalizzati45 indicano il livello di specializzazione in un settore dell’economia. Al 2010 il saldo relativo all’agricoltura rimane negativo e più accentuato di quello nazionale. Il dato dell’industria regionale rimane in controtendenza rispetto a quello italiano, pur essendo in forte calo. Emerge, a differenza degli altri anni, una leggera specializzazione nel comparto dei servizi, che contribuisce anche a determinare l’andamento totale della regione (Figura 2.3.3).

Figura 2.3.3 Saldi normalizzati nel 2010

Fonte: ISTAT [10]

Impatti maggiori si sono avuti in altri settori, come quello dei beni durevoli, tipicamente più sensibili alla congiuntura. Secondo i dati di Prometeia-

45 Il saldo normalizzato è dato dal rapporto percentuale tra il saldo semplice (esportazioni-importazioni) ed il volume di commercio (esportazioni + importazioni); varia tra -100 (assenza di esportazioni) e +100 (assenza di importazioni) e consente di confrontare la performance commerciale di aggregati di prodotti diversi e di diverso valore assoluto. Se la bilancia è in pareggio il saldo normalizzato è pari a 0. Esso misura il grado di dipendenza dall’estero di un Paese in un determinato settore merceologico.

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Findomestic, nel 2010 la spesa per l’acquisto di tali beni è diminuita del 4,5 per cento [3]. Sempre sul fronte del mercato interno, va rilevato che, secondo i dati UNIONCAMERE [16] le imprese marchigiane, nonostante il generale aumento dei costi delle materie prime, hanno mantenuto i prezzi pressochè stabili (sia nel mercato interno, che in quello estero, rispetto al 2009). In particolare l’artigianato, per contrastare le difficoltà nelle vendite e mantenere quote di mercato, ha addirittura diminuito i prezzi nel 2010 [16]. Evidentemente, sia a livello nazionale che regionale, sull’andamento della spesa grava fortemente la dinamica occupazionale (cfr. seguito), in quanto, il reddito da lavoro, rappresenta la maggior parte del reddito disponibile. Inoltre, anche non considerando la dinamica occupazionale generalmente negativa, anche per chi mantiene un’occupazione, la disponibilità di spesa non aumenta. Guardando alle retribuzioni lorde per settore economico (Tabella 2.3.8 in appendice), emerge un calo generalizzato nel biennio 2008/2009. Le retribuzioni calano in modo molto più drastico nel settore agricolo di quanto non facciano a livello nazionale, dove, invece, il calo dell’industria è peggiore del dato marchigiano. Evidentemente le dinamiche retributive, non potendo allontanarsi da quelle della produttività, sono molto modeste, se non negative, quando misurate in valori correnti. Il dato è confermato anche dall’indagine della Banca d’Italia, secondo cui, a fronte di retribuzioni reali dei lavoratori dipendenti rimaste pressoché ferme in Italia, nell’ultimo decennio, i consumi reali delle famiglie, sono aumentati di meno del 5%, e solo in ragione di una erosione della propensione al risparmio [2]. La situazione economica si ripercuote evidentemente sul mercato del lavoro, con conseguenze che probabilmente andranno oltre il breve periodo, nonostante alcuni deboli segnali della ripresa, nel 2010, per alcuni indicatori46. Il tasso di attività47, ad esempio, si mantiene superiore alla media nazionale.

46 Va sottolineato, che, per mancanza di dati aggiornati disponibili, gli indicatori analizzati per il mercato del lavoro, fanno riferimento a periodi più recenti (2009-2010) di quelli analizzati per la congiuntura economica (2008-2009).

47 Il tasso di attività è dato dal rapporto tra la popolazione attiva e quella in età lavorativa (>15 anni), pertanto misura l’offerta di lavoro nel breve periodo. Per popolazione attiva si intende l’insieme delle persone di età non inferiore ai 15 anni che, alla data della rilevazione, risultano: occupate; disoccupate, ovvero hanno perduto il precedente lavoro e sono alla ricerca di una occupazione; momentaneamente impedite a svolgere la propria attività lavorativa in quanto inquadrabili come: militari di leva (o in servizio civile), volontari, richiamati; ricoverati da meno di due anni in luoghi di cura e assistenza; detenuti in attesa di giudizio o condannati a pene inferiori a 5 anni; alla ricerca di prima occupazione, non avendone mai svolta alcuna in precedenza.

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Rispetto al 2009 è leggermente in calo in tutte le province tranne quella di Macerata, che comunque faceva registrare il valore più basso a livello regionale, dopo il brusco calo del 2009 [8]. I tassi specifici48 di attività (Tabella 2.3.6) nel 2010, mostrano che le province in cui il tasso di attività 15-64 è leggermente maggiore, hanno tassi di attività specifici più alti per le fasce di età più basse (15-24 e 25-34); mentre, nella provincia di Macerata il lieve aumento rispetto all’anno precedente è ascrivibile soprattutto alla crescita del tasso specifico nella fascia di età 35-44 anni (che nel 2009 era 86% [11]).

Tabella 2.3.6 Tassi di attività, occupazione e disoccupazione (%) À � Ê Ê � � � �   à   � Ä� � � Ç È À � Ê Ê � � Å Å � � � �   � ¡ Â� � � Ç È À � Ê Ê � Ì   Ê � Å Å � � � �   � ¡ Â� � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � �é ½ · « ¤ § Í ê ¤ ë ¥ µ § º ® ³ ® º ¹ ³ » º ° ³ » º ° ³ ² ° ³ ® ² ³ »¢ µ ¦ § µ « º ® ³ ² º ¹ ³ » º ° ³ ¯ º ² ³ ¬ ° ³ ¹ ² ³ ®ì « ¦ ½ ¤ « © « º º ³ ² º » ³ ° º ± ³ ® º ¯ ° ° ³ ± ° ³ ¹¢ · ¦ § ¨ ¥ é ¥ ¦ ½ µ § í î º » ³ ± º º ³ º º ­ ³ º º ¬ ³ ¯ ® ³ º » ³ »ì « ¤ ¦ ï ½ º ¹ ³ ² º » ³ º º ¯ ³ ¹ º ¯ ³ º º ³ º ° ³ »� � � Á   � Ç � � È Ç � � � � � � � � Ç � � � � � � � ÈFonte: ISTAT [13]

Il tasso di occupazione è il rapporto percentuale tra il numero di persone occupate e la popolazione, pertanto è un indicatore della forza strutturale di un sistema economico e della sua la capacità di utilizzare le risorse umane disponibili. Portare al 2010 il tasso di occupazione al 70%, era tra gli indicatori obiettivo della strategia europea di occupazione, in particolare quella di Lisbona, insieme a far arrivare il tasso di occupazione femminile al 60% e raggiungere un tasso medio di crescita economica del 3% circa. Ovviamente la crisi che ha colpito l’UE ha portato in secondo piano gli obiettivi di Lisbona, in primis quello relativo alla crescita. Tuttavia è interessante notare come si posizionano le Marche rispetto a questo target. Il tasso di occupazione nel 2010 è inferiore all’obiettivo (63,6%) e ancora in diminuzione dal 2008. Tuttavia, il dato rimane comunque positivo considerando sia la media nazionale (56,9%), che la particolare congiuntura

48 Un tasso si definisce specifico quando è dato dal rapporto tra coloro che sono in una certa situazione (occupati, attivi, ecc) in una data fascia di età e la popolazione totale nella stessa fascia di età. Ad esempio il tasso di attività specifico per età viene usato per misurare l’offerta di lavoro specifica per classe di età.

49 Si fa presente che l’ISTAT non rileva ad oggi, nell’indagine sulle forze di lavoro, i dati per la provincia di Fermo.

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economica. Questo risultato positivo rispetto alla media è il frutto dei tassi specifici di occupazione delle classi “centrali” di età (tra 24 e 55 anni) (Tabella 2.3.9). Per quanto riguarda l’altro obiettivo occupazionale della strategia di Lisbona, al 2010 nelle Marche il tasso di occupazione femminile (15-64) è del 54,8%, quasi cinque punti percentuali sotto l’obiettivo fissato (60%) a fronte di una media italiana molto inferiore (46,1%), a conferma del fatto che, quello della partecipazione femminile al mercato del lavoro è un dato strutturale negativo che caratterizza tutta l’economia italiana e che condiziona la scarsa crescita del Paese [2]. Anche il raggiungimento di un tasso di occupazione di almeno il 50 per cento delle persone in età 55-64 costituisce un obiettivo specifico della strategia di Lisbona, come conseguenza, sia del progressivo invecchiamento della popolazione, sia della sostenibilità dei sistemi pensionistici. In Italia, nel 2010, tale indicatore si attesta al 36,6%, in leggero aumento [10]. I divari territoriali regionali sono più contenuti rispetto a quelli di altri indicatori del mercato del lavoro, anche per effetto della normativa sulle pensioni, che tende a rendere omogenee su tutto il territorio nazionale le scelte occupazionali delle persone di 55-64 anni. Le Marche sono tra le poche regioni in cui l’indicatore supera la soglia del 40 per cento [10]. La differenza di genere è rilevante (15,5% a sfavore delle donne), ma migliore del dato nazionale (21%) ascrivibile, sia ai livelli di occupazione femminile nel Mezzogiorno, inferiori rispetto a quelli del Nord, sia al tasso di occupazione degli uomini meridionali, che risulta più elevato. Nel marzo 2010, la Commissione Europea, ha inoltre approvato la strategia Europa 2020 che sostituisce quella di Lisbona. La priorità della nuova strategia è agevolare lo sviluppo per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva, per rilanciare l’economia e consentire all’Europa di uscire alla crisi ed affrontare le sfide del prossimo decennio. La strategia, Europa 2020, per lo sviluppo e l’occupazione, vuole portare il tasso di occupazione della popolazione tra 20 e 64 anni al 75%. Nel 2010 il valore dell’indicatore in Italia non solo è 14 punti percentuali inferiore a questo traguardo, ma continua a scendere, nascondendo, inoltre, uno elevato squilibrio di genere (72,8% per gli uomini e 49,5% per le donne) [10]. Nelle Marche l’indice arriva al 68%, sette punti al di sopra della media nazionale (61%), con valori migliori anche per quanto riguarda la differenza di genere (77,4% uomini; 58,7% donne) [10].

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Il tasso di disoccupazione50 è un altro elemento fondamentale per misurare la dinamicità del mercato del lavoro. In Italia e nelle Marche, la disoccupazione è evidentemente aumentata in seguito alla crisi economica (Figura 2.3.4), dopo anni in cui mostrava un chiaro trend negativo.

Figura 2.3.4 Tassi di disoccupazione totale e di lunga durata

Fonte: ISTAT [13]

Nel 2010, il tasso di disoccupazione regionale si attesta intorno al 5,7%, dopo il picco del 2009, mentre quello nazionale continua ad aumentare. Il dato sul tasso di disoccupazione è però in parte mitigato dal ricorso agli ammortizzatori sociali.51 Nel 2010 il ricorso alla Cassa integrazione guadagni (CIG) ha continuato a crescere (61,3% di ore autorizzate in più rispetto al 2009) (dati INPS elaborati in [3]). Solo nel quarto trimestre si è avuto il primo calo, su base tendenziale, dal 2007. Il ricorso alla CIG è aumentato soprattutto per gli interventi in deroga alla normativa vigente, triplicati rispetto al 2009, mentre gli interventi ordinari sono diminuiti del 40% circa. Nell’industria gli interventi sono aumentati del 50%. Gli aumenti maggiori nel comparto delle pelli, cuoio e calzature; più che raddoppiati nel legno e mobile, e ancora cresciuti nel comparto meccanico e nell’abbigliamento.

50 Il rapporto tra le persone in cerca di lavoro e la forza lavoro. 51 Infatti, secondo la definizione ISTAT, i dipendenti assenti dal lavoro sono considerati occupati se l’assenza

non supera tre mesi, oppure se durante l’assenza continuano a percepire almeno il 50% della retribuzione.

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La Banca d’Italia [3] ha stimato l’incidenza della CIG sull’input di lavoro in termini di occupati equivalenti52. In base a questi calcoli, nel 2010, nell’industria in senso stretto, gli occupati equivalenti in CIG, nelle Marche, sono stati pari all’11,2% delle unità di lavoro standard dipendenti, in crescita rispetto al 2009 (quando erano pari al 7,1%). Le province più interessate dagli interventi sono state quelle di Pesaro e Urbino (un terzo del totale, in termini di ore) e di Ancona (25%), coerentemente con le loro specializzazioni produttive. Le domande pervenute per disoccupazione ordinaria e indennità di mobilità53 sono diminuite (-22,5% e -14,4%), dopo il netto incremento del 2009; un dato positivo in confronto alla media italiana per cui le prime sono calate in misura minore (-8,8%), mentre le seconde sono cresciute del 23,3%. Facendo riferimento alla natura della CIG, emergono dati non incoraggianti: dal 2010, come accennato, è stato autorizzato infatti anche il ricorso alla cassa integrazione in deroga, a sostegno di settori precedentemente non coperti. Aumenta poi (anche nel 2011) il ricorso alla cassa integrazione straordinaria, che riguarda ad esempio aziende coinvolte in ristrutturazioni, riorganizzazioni, riconversioni o fallimenti e che quindi, più difficilmente si traduce in riassunzioni definitive dei lavoratori interessati [4]. È pertanto molto probabile, finito il periodo di erogazione dell’ammortizzatore sociale, si riscontrerà un nuovo aumento del tasso di disoccupazione. A dimostrazione di ciò, i dati di fonte ISTAT, al 2011, evidenziano già una crescita del tasso di disoccupazione regionale (6,7%) [4]. La risposta sul mercato del lavoro alla crisi, quindi, rischia di diventare strutturale, per questo occorre guardare, oltre al livello di disoccupazione, anche la sua durata, è un elemento molto importante per fornire indicazioni sullo stato di salute del mercato del lavoro e definire la gravità sociale del problema. Infatti, uno stesso livello di disoccupazione può avere durate medie diverse, comportando quindi diverse implicazioni sociali e di policy. Il tasso di disoccupazione di lunga durata54 è utile per fornire una misura della persistenza degli individui nello stato di disoccupazione. Nel 2010 esso, nelle Marche, tocca quota 2,5%. Il dato è ancora inferiore alla media nazionale (4%), rimane comunque il fatto negativo che, seppure il tasso di disoccupazione sia diminuito, aumenti quello di lunga durata, socialmente ed economicamente più critico.

52 Calcolati, sulla base delle ore autorizzate, assumendo che le prestazioni riguardino solo lavoratori a tempo pieno per 12 mesi.

53 L’indennità di mobilità è un intervento a sostegno di particolari categorie di lavoratori licenziati da aziende in difficoltà che garantisce al lavoratore un’indennità sostitutiva della retribuzione e ne favorisce il reinserimento nel mondo del lavoro.

54 Quota di persone in cerca di occupazione da almeno un anno, sul totale della forza lavoro,

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Oltre al tasso di disoccupazione, anche il tasso di attività è importante per raggiungere l’obiettivo dell’incremento del tasso di occupazione. Spesso infatti, nelle economie strutturalmente meno solide, a tassi di disoccupazione elevati si associano tassi di attività bassi, dati dai meccanismi di scoraggiamento dei potenziali lavoratori, tali da indurne la fuoriuscita dal mercato del lavoro. Non è questo il caso delle Marche, in cui la partecipazione al mercato del lavoro è in media piuttosto alta.

Figura 2.3.5 Variazioni 2009-2010 dei tassi di occupazione, attività e disoccupazione

Fonte: ISTAT [13]

La relazione tra i vari tassi è evidente guardando la Figura 2.3.5. Dal 2009 al 2010, nelle Marche, il tasso di disoccupazione diminuisce mentre, in Italia aumenta, di conseguenza, anche a fronte di un tasso di attività in declino (anche di più della media italiana), il tasso di occupazione, scende di meno. A livello provinciale

�Tabella 2.3.10 in appendice) Pesaro Urbino e Ancona

hanno segni concordi con l’andamento regionale. Nelle province di Ascoli Piceno e Macerata, invece, il tasso di occupazione è in aumento, anche in considerazione del forte calo del periodo precedente [8] e dell’aumento di occupazione nel settore agricolo (cfr. analisi seguente). I dati sulla disoccupazione per classi di età e genere, sono tutti inferiori alla media italiana, soprattutto quelli nelle fasce di età più giovane (Figura 2.3.6). Quest’ultimo è un elemento positivo poichè la Commissione europea individua nella categoria dei giovani un “soggetto vulnerabile” e sollecita la revisione delle politiche specifiche, raccomandando di rivedere, in particolare, quelle relative alla transizione scuola-lavoro [12].

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Figura 2.3.6 Tasso di disoccupazione per sesso e fasce di età nel 2010

Fonte: ISTAT [13]

Gli effetti della crisi economica sulla disoccupazione si sono fatti sentire soprattutto sulla componente femminile, accentuando la già sensibile differenza di genere, comunque migliore del dato nazionale, soprattutto nella fascia di età tra i 15-24 anni. A livello provinciale (Tabella 2.3.11 in appendice), in generale, le province con più bassi tassi di disoccupazione nella fascia 15-24, sono quelle in cui è più alta l’occupazione in generale. Nella fascia 25 e oltre i tassi di disoccupazione femminili sono più alti di quelli maschili in tutte le province, mentre nella fascia di età 15-24, la province di Pesaro Urbino, Macerata e Ascoli fanno registrare tassi di disoccupazione maggiori per i maschi, ad evidenziare una probabile tendenza, da parte della forza lavoro femminile, ad entrare più facilmente nel mercato del lavoro, ma una maggiore difficoltà nel permanervi.55 A livello settoriale, emergono alcune interessanti differenze. Nella fotografia statica al 2010, nelle Marche, gli occupati nell’industria rimangono superiori alla media nazionale, a conferma della minore terziarizzazione dell’economia (Figura 2.3.7 a).

55 Le cause di tale andamento necessiterebbero un’indagine specifica, potendo dipendere anche da motivazioni legate a scelte di vita personale-familiare, anch’esse comunque influenzate dal livello di politiche per le famiglie presenti su un territorio.

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Figura 2.3.7 (a) Composizione percentuale degli occupati per settore: confronto Marche-Italia (fig 2.3.9) e (b) Occupati nei diversi settori per Provincia nel 2010 (% Marche=100)

Fonte: ISTAT [13]

A livello provinciale, Ancona, in quanto capoluogo di regione, si conferma la provincia con più occupati nei servizi; mentre l’occupazione agricola rimane più importante nelle province di Ascoli Piceno e Macerata (Figura 2.3.7 b). Analizzando la dinamica del biennio 2009-2010, si conferma il leggero calo dell’occupazione industriale. L’effetto della crisi è probabilmente meno evidente sull’occupazione, che sulla produzione, anche per effetto del citato ricorso alla CIG. Emerge, poi, una dinamica positiva del settore agricolo (Tabella 2.3.12 in appendice). La forza lavoro in agricoltura aumenta del 6,4% a livello regionale dal 2009 al 2010, con forti differenze provinciali: aumenti nelle province con una già maggiore presenza di forza lavoro agricola (Macerata e ad Ascoli Piceno) e diminuzioni in quelle in cui era già minore (Pesaro Urbino56 e soprattutto Ancona). Leggere questo dato non è facile e soprattutto l’analisi di una variazione di così breve periodo non può essere considerata esaustiva del fenomeno, tuttavia, la variazione, potrebbe indicare, un possibile effetto di “camera di compensazione” dell’occupazione agricola che, nei periodi congiunturali negativi per l’industria, rappresenterebbe un settore con una certa flessibilità nella gestione della forza lavoro (soprattutto stagionale) [8].

56 In questo caso, il distacco dei comuni della Valmarecchia, potrebbe avere avuto un lieve impatto sull’occupazione del settore. Infatti i comuni in oggetto sono tutti classificati come rurali, tuttavia, la SAU rappresenta solo il 2,8% della SAU totale regionale. Trattandosi di comuni ubicati in aree montane, il peso relativo di questi territori diventa più significativo quando si considera la superficie a pascolo (oltre il 6% del totale regionale) e la superficie boscata (4,2% del totale regionale) [14].

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Come sottolineato da analisi specifiche [7], tuttavia, è probabile, che non sia tanto l’agricoltura che torna capace di domandare lavoro, bensì, è la forte crisi vissuta dagli altri settori che rende, nel breve periodo, il declino agricolo meno evidente; declino che, nel lungo periodo, è confermato anche dalle prime analisi effettuate sui dati censuari regionali [1].

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Riferimenti e fonti

[1] Arzeni A. (2011), L’evoluzione dell’agricoltura marchigiana. Una lettura dei dati provvisori del censimento 2010, Agrimarcheuropa, n. 0, Dicembre 2011

[2] Banca d’Italia (2011), Considerazioni Finali, Roma, 2011

[3] Banca d’Italia (2011), L’economia delle Marche nell’anno 2010

[4] Camera Commercio di Ancona (2012), L’economia reale dal punto di osservazione della Camera di Commercio di Ancona. Rapporto 2011. Ancona, 10 maggio, 2012

[5] Camera Commercio Fermo (2010), La dinamica imprenditoriale in provincia di Fermo. 8° giornata dell’economia, 7 maggio, 2010 http://www.fm.camcom.it/files/8giornata_econ/presentazione8_GE_2010_FM.pdf

[6] Confcommercio (2011), Rapporto sulle Economie Territoriali e il Terziario di Mercato, Ufficio studi, Maggio 2011

[7] Esposti R., Lobianco A. (2011), La crisi e l’agricoltura marchigiana. L’impatto sulle aziende e la percezione degli agricoltori, Osservatorio Agroalimentare Marche, Osservazioni & Analisi 2012.01

[8] INEA (2010), Il sistema agricolo e alimentare nelle Marche. Rapporto 2009, INEA, Ancona

[9] ISTAT (2008), Indice della produzione industriale, serie storiche, marzo 2008

[10] ISTAT (2010), Conti economici nazionali e territoriali, vari anni

[11] ISTAT (2011), Commercio estero e attività internazionali delle imprese, anno 2010

[12] ISTAT (2012), Noi Italia 2010. Cento statistiche per capire il Paese in cui viviamo, ISTAT, Roma, http://noi-italia.istat.it/index.php?id=3, ISBN 978-88-458-1702-1

[13] ISTAT (anni vari), Rilevazione sulle forze di lavoro, medie annuali

[14] Regione Marche (2010), Piano di sviluppo rurale 2007-2013

[15] Trend Marche (2012), Osservatorio integrato sull’artigianato e la piccola impresa. Rapporto intermedio 2011/i www.trendmarche.it

[16] Unioncamere (2010), Giuria della congiuntura dell’industria manifatturiera nelle Marche. Sintesi 2010 e previsioni 2011, Unioncamere Marche, Centro studi e ricerche economico sociali

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Appendice statistica

Tabella 2.3.7 Valore aggiunto settoriale e PIL a prezzi concatenati (anno di riferimento 2000, milioni di euro) � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � � �� � � � � � �   ¡ � ¢ £ ¤ � � ¥ � � � �   ¡ � ¢ ¦ § ¦ ¤ � ¢ ¨ © ª ¨ « ¬ ­ ­ ® ¬ £ ¯ ° ± £ ¬² ³ ´ ¡ ¤   � � ¢ ¯ µ ± ¬ © ¯ µ ¨ ª ª ± µ ­ ¨ ® ° ¬ £ ­ ° © © £ ¬¶ ¦ � ¥ � · � « ¬ µ ¬ ¨ ® © ¯ µ ± ¯ ¬ © ¯ µ ª ¸ ¯ ° ¬ £ ¯ ° « £ «¹ ¢ � � � ¦ ¢ � � � ¡ ³   � ¢ § � ¦ · · � º ¢ ¤ ¦ ® ¬ µ ­ © © ® ¬ µ ® ¨ ¸ « ± µ ± ¬ ± ° ¬ £ ± ° ¸ £ «» ² ¼ ¢ � § � ¦ · · � ´ � ½ ¦ � � ¢   � ® ª µ © ¸ ® ® ® µ ± ± ª ® « µ « ¨ ¨ ° ¬ £ ± ° ª £ ¨Fonte: ISTAT [10]

Tabella 2.3.8 Retribuzioni lorde per settore economico (milioni di euro) � � � � � � � � � � � � ¾ ¿ À Á �� � � � � ¾ ¿ À Á �� � � � �� � � � � � �   ¡ � ¢ £ ¤ � � ¥ � � � �   ¡ � ¢ ¦ § ¦ ¤ � ¢ © ª ª © ¸ ­ © ª ® ± £ ª ° ¨ £ ±² ³ ´ ¡ ¤   � � ¢ ® µ ­ « ª ª µ ¬ ¬ ¯ ® µ ¨ ± ª © ¬ £ ­ ° ¸ £ ­¶ ¦ � ¥ � · � ¨ µ ® ¨ ± ¨ µ ® ¯ ® ¨ µ ® ® ® ¬ £ « ° ¬ £ ±Â Ã Ä ¿ Å Æ Ç Ç Á � È É Ç � Á � È � Ç � Á � � � Ê Ë È � Ç Ë �Fonte: ISTAT [10]

Tabella 2.3.9 Tassi di attività e occupazione nel 2010 (valori %) Ì Í Î Ï Ð Ñ Î Ì Ð ¿ À Ò Ó Æ Ô Â Î Õ Ô Î ¿ Ö Ö Ã ¿ Ä Ä × Ø × Ä Ù© ¸ ° « ª ¢ ³ ³ � ® ª « ­ « ± ® ¬ « ¯ « ±« ¸ ° ® ª ¢ ³ ³ � ± « ± ® ± ¬ ¨ ­ ± © ¨ ª® ¸ ° ª ª ¢ ³ ³ � ± ® ± ± ± ¯ ± ª ± ­ ± ¬ª ¸ ° ¸ ª ¢ ³ ³ � ± ® ± ª ± ® ± © ± ® ¨ ­¸ ¸ ¢ ³ ³ � ¦ � �   � ¦ © ± © ¨ © ­ © ± © ¨ © ­Ú �   ¢ � ¦ © ¸ ° ­ ª ¢ ³ ³ � ­ ¯ ­ ¯ ­ ± ­ ¨ ­ ± ­ «Â Ã Ä ¿ Å Æ É Ê É Ç É Ç É � É Ç È � ¿ Ö Ö Ã Ã Ò Ò Û Ü ¿ Ý × Ã Þ Æ© ¸ ° « ª ¢ ³ ³ � ® ¬ « « « ® « ª « © « ¸« ¸ ° ® ª ¢ ³ ³ � ¨ ¨ ¨ ­ ¨ ® ­ ± ¨ ª ­ ¸® ¸ ° ª ª ¢ ³ ³ � ¨ ¯ ± ® ­ ± ª ± ¬ ± « ¨ ¸ª ¸ ° ¸ ª ¢ ³ ³ � ± © ± « ± © ¨ ¸ ± ¬ ¨ «¸ ¸ ¢ ³ ³ � ¦ � �   � ¦ © ± © ¨ © ­ © ¨ © ¨ © ­Ú �   ¢ � ¦ © ¸ ° ­ ª ¢ ³ ³ � ­ ¸ ­ ª ­ ® ¸ ­ © ­ ª ¸ ¨Â Ã Ä ¿ Å Æ É � È � È � È � È � È ÈFonte: ISTAT [10]

Page 20: 2.3 Economia e lavoro · 2.3 Economia e lavoro ... In questi anni, la produttività del lavoro è cresciuta nel cuoio e calzature (1,7% media annua, contro l ’1% nel Centro Nord),

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Tabella 2.3.10 Variazioni provinciali 2009-2010 dei tassi di occupazione, attività e disoccupazione Ì Æ Ö ¿ À Ã � Í À ß × Þ Ã Î Þ Ò Ã Þ ¿ Ð ¿ Ò Æ À ¿ Ä ¿ Î Ö Ò Ã Å × Ì × Ò Æ Þ ÃÚ ¢ ¤ ¤ � ¢     � ¥ �   à © ¸ ° ­ ª ¢ ³ ³ � ° © £ « ° ¬ £ ¨ © £ © ° ¬ £ ­Ú ¢ ¤ ¤ � � � � ¡ § ¢ · � � ³ ¦ © ¸ ° ­ ª ° ¬ £ ® ° © £ « ¬ £ ­ ¬ £ ¨Ú ¢ ¤ ¤ � ´ � ¤ � � � ¡ § ¢ · � � ³ ¦ ° © £ « ° ¬ £ ¯ ¬ £ ­ ° © £ ¯Fonte: ISTAT [13]

Tabella 2.3.11 Tassi di disoccupazione per sesso, fasce di età e provincia – Anno 2010 (%) Ì Æ Ö ¿ À à � Í À ß × Þ Ã Î Þ Ò Ã Þ ¿ Ð ¿ Ò Æ À ¿ Ä ¿ Î Ö Ò Ã Å × Ì × Ò Æ Þ ÃÐ ¿ Ö Ò Ó ×© ¸ ° « ª ¢ ³ ³ � Ç � Ë Ç ¯ £ ­ � Ç Ë È � Ç Ë �« ¸ ¢ ³ ³ � ¦ � �   � ¦ ª £ ª ® £ ¨ ® £ ¨ ª £ ¯Â Ã Ä ¿ Å Æ È Ë á È Ë Ç É Ë Ç á Ë �â Æ ã ã × Þ Æ© ¸ ° « ª ¢ ³ ³ � ¯ £ ¨ « « £ ® © ¬ £ ª © ­ £ ¯« ¸ ¢ ³ ³ � ¦ � �   � ¦ ª £ ­ ¸ £ « ­ £ ¸ ¯ £ ¸Â Ã Ä ¿ Å Æ È Ë � á Ë Ç á Ë � Ç � Ë �Ð ¿ Ö Ò Ó × Æ ä Æ ã ã × Þ Æ© ¸ ° « ª ¢ ³ ³ � © © £ © © ª £ ¸ © ¨ £ ª © ¯ £ ±« ¸ ¢ ³ ³ � ¦ � �   � ¦ ª £ ® ª £ ª ¸ ­ £ ¯Â Ã Ä ¿ Å Æ È Ë � È Ë � É Ë � � Ë �Fonte: ISTAT [13]

Tabella 2.3.12 Variazioni % 2010-2009 dell’occupazione per settore Ì Æ Ö ¿ À Ã Í À ß × Þ Ã Î Þ Ò Ã Þ ¿ Ð ¿ Ò Æ À ¿ Ä ¿ Î Ö Ò Ã Å × Ì × Ò Æ Þ Ã Ð ¿ À Ò Ó Æ� � � � � � �   ¡ � ¢ ° © £ ® ° © « £ ¸ © ± £ ­ « © £ ® ­ £ ª² ³ ´ ¡ ¤   � � ¢ ° ª £ ® ° © £ © ° ¸ £ ª ° ¬ £ ª ° « £ ±¶ ¦ � ¥ � · � ® £ ± ° © £ ¨ ­ £ ª « £ ­ « £ ©Fonte: ISTAT [13]