Cgil Ires: economia e lavoro 2013 in Emilia-Romagna

14
Osservatorio dell’Economia e del Lavoro in Emilia-Romagna A cura di Ires Emilia-Romagna Presidente: Cesare Minghini Coordinatore progetto: Davide Dazzi Responsabile banche dati: Carlo Fontani Gruppo di lavoro: Roberto Buonamici, Davide Dazzi, Gianluca De Angelis, Daniele Dieci, Tiziano Draghetti, Carlo Fontani, Daniela Freddi, Luigi Luccarini, Florinda Rinaldini, Giulia Rossi, Marco Sassatelli, Marco Tren tini, Valerio Vanelli. SOMMARIO La demografia ....................................................... 2 Attrattività e dotazione infrastrutturale economica e sociale................................................................. 3 Struttura produttiva ............................................... 4 Le imprese nella Regione Emilia-Romagna...................... 4 Un territorio vario, dei confini da ripensare: l’aggiornamento dell’analisi cluster .................................5 Le trasformazioni del sistema produttivo ........................ 6 Tematiche ambientali ed energetiche ......................... 7 Il lavoro ............................................................... 8 Occupati e persone in cerca di occupazione in Emilia- Romagna .............................................................................8 Il lavoro parasubordinato in Emilia-Romagna................. 9 Gli sbocchi professionali dei laureati: evidenze dall’Indagine Almalaurea ................................................ 10 Le comunicazioni obbligatorie: un’analisi di flusso ......10 Avviamenti e legge Fornero ............................................. 10 Cessazioni e legge Fornero .............................................. 11 Ammortizzatori sociali e malessere occupazionale ........ 11 Un copertura in deroga e in trasformazione ................. 11 Indicatori di malessere occupazionale ........................... 12 Welfare e reddito .................................................. 12 Condizione economica: tra dati soggettivi e oggettivi .12 I differenziali retributivi ................................................... 13 Istruzione: una domanda sempre più straniera ............ 13 Pensioni ............................................................................. 13 Indicatori di povertà e vulnerabilità sociale nel BES .....14 Obiettivi L’osservatorio dell’Economia e del Lavoro in Emilia- Romagna si propone di offrire strumenti di analisi e strumenti di lettura delle dinamiche che hanno attraversato il territorio regionale negli ultimi anni e di piegare le scelte tematiche per rispondere alle necessità sindacali. Sul piano analitico si insiste nella proposizione di strumenti che sappiano restituire una mappatura delle similarità e differenze territoriali nella convinzione che la regione non sia un unico soggetto territoriale ma la composizione di aree produttive, demografiche e sociali tra loro molto diverse. Diversamente dagli Osserv atori costruiti insieme alle diverse Camere del Lavoro dell’Emilia-Romagna, l’Osservatorio regionale vuole uscire da una stretta logica congiunturale piegata sulla urgenza dell’ultimo dato disponibile e si propone di aprire riflessioni, sviluppare linee interpretative e lanciare chiavi di lettura per poter cogliere la complessità di un territorio in trasformazione. L’analisi si focalizzerà senza dubbio sulla crisi ma non solo. Esistono ancora strozzature strutturali sul piano sociale ed economico che la crisi ha solo palesato in tutta la sua evidenza ma non ne è la causa primaria. Le differenze di genere, il confronto con le generazioni, un sistema produttivo in trasformazione e la persistenza delle disuguaglianze insieme ad un aumento della fragilità sociale sono tutti elementi su cui la crisi ha posto una accelerazione ma che dalla crisi non hanno origine. Per la prima volta viene inserito nell’Osservatorio un capitolo interamente dedicato alle politiche ambientali e alla sostenibilità nella convinzione che qualsiasi idea di sviluppo economico non possa prescindere da queste tematiche. Altro approfondimento tematico introdotto per la prima volta nel nostro Osservatorio è quello dedicato al welfare con un focus sulle pensioni, sull’istruzione e sugli indici di povertà e vulnerabilità sociale. La possibilità di leggere in forma sistematica una ampia serie di banche dati (Istat, INPS, Siler, Movimprese, Unioncamere, Banca d’Italia ecc…) consente di mettere in relazione le diverse dinamiche economico-sociali che attraversano la nostra regione dandone una lettura nuova e propositiva. Allo stesso tempo l’utilizzo ragionato delle diverse fonti informative fornisce una base di conoscenza su cui la stessa Cgil, come organizzazione sociale di rappresentanza e come attore negoziale, può calibrare e orientare opportunamente le proprie politiche sindacali.

description

 

Transcript of Cgil Ires: economia e lavoro 2013 in Emilia-Romagna

Osservatorio dell’Economia

e del Lavoro

in Emilia-Romagna A cura di

Ires Emilia-Romagna

Presidente: Cesare Minghini

Coordinatore progetto: Davide Dazzi

Responsabile banche dati: Carlo Fontani

Gruppo di lavoro: Roberto Buonamici, Davide Dazzi,

Gianluca De Angelis, Daniele Dieci, Tiziano Draghetti, Carlo

Fontani, Daniela Freddi, Luigi Luccarini, Florinda Rinaldini,

Giulia Rossi, Marco Sassatelli, Marco Trentini, Valerio

Vanelli.

SOMMARIO

La demografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2

Attrattività e dotazione infrastrutturale economica e

sociale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

Struttura produttiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4

Le imprese nella Regione Emilia-Romagna......................4

Un territorio vario, dei confini da ripensare:

l’aggiornamento dell’analisi cluster .................................5

Le trasformazioni del sistema produttivo........................6

Tematiche ambientali ed energetiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

Il lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

Occupati e persone in cerca di occupazione in Emilia-

Romagna .............................................................................8

Il lavoro parasubordinato in Emilia-Romagna.................9

Gli sbocchi professionali dei laureati: evidenze

dall’Indagine Almalaurea ................................................10

Le comunicazioni obbligatorie: un’analisi di flusso ......10

Avviamenti e legge Fornero.............................................10

Cessazioni e legge Fornero ..............................................11

Ammortizzatori sociali e malessere occupazionale . . . . . . . .11

Un copertura in deroga e in trasformazione .................11

Indicatori di malessere occupazionale ...........................12

Welfare e reddito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12

Condizione economica: tra dati soggettivi e oggettivi .12

I differenziali retributivi ...................................................13

Istruzione: una domanda sempre più straniera ............13

Pensioni .............................................................................13

Indicatori di povertà e vulnerabilità sociale nel BES .....14

Obiettivi L’osservatorio dell’Economia e del Lavoro in Emilia-Romagna si propone di offrire strumenti di analisi e strumenti di lettura delle dinamiche che hanno attraversato il territorio regionale negli ultimi anni e di piegare le scelte tematiche per rispondere alle necessità sindacali. Sul piano analitico si insiste nella proposizione di

strumenti che sappiano restituire una mappatura delle

similarità e differenze territoriali nella convinzione che la

regione non sia un unico soggetto territoriale ma la

composizione di aree produttive, demografiche e sociali

tra loro molto diverse.

Diversamente dagli Osservatori costruiti insieme alle

diverse Camere del Lavoro dell’Emilia-Romagna,

l’Osservatorio regionale vuole uscire da una stretta logica

congiunturale piegata sulla urgenza dell’ultimo dato

disponibile e si propone di aprire riflessioni, sviluppare

linee interpretative e lanciare chiavi di lettura per poter

cogliere la complessità di un territorio in trasformazione.

L’analisi si focalizzerà senza dubbio sulla crisi ma non solo.

Esistono ancora strozzature strutturali sul piano sociale ed

economico che la crisi ha solo palesato in tutta la sua

evidenza ma non ne è la causa primaria. Le differenze di

genere, il confronto con le generazioni, un sistema

produttivo in trasformazione e la persistenza delle

disuguaglianze insieme ad un aumento della fragilità

sociale sono tutti elementi su cui la crisi ha posto una

accelerazione ma che dalla crisi non hanno origine. Per la

prima volta viene inserito nell’Osservatorio un capitolo

interamente dedicato alle politiche ambientali e alla

sostenibilità nella convinzione che qualsiasi idea di

sviluppo economico non possa prescindere da queste

tematiche. Altro approfondimento tematico introdotto per

la prima volta nel nostro Osservatorio è quello dedicato al

welfare con un focus sulle pensioni, sull’istruzione e sugli

indici di povertà e vulnerabilità sociale.

La possibilità di leggere in forma sistematica una ampia

serie di banche dati (Istat, INPS, Siler, Movimprese,

Unioncamere, Banca d’Italia ecc…) consente di mettere in

relazione le diverse dinamiche economico-sociali che

attraversano la nostra regione dandone una lettura nuova

e propositiva. Allo stesso tempo l’utilizzo ragionato delle

diverse fonti informative fornisce una base di conoscenza

su cui la stessa Cgil, come organizzazione sociale di

rappresentanza e come attore negoziale, può calibrare e

orientare opportunamente le proprie politiche sindacali.

2

La demografia La popolazione residente in Emilia-Romagna al 1° gennaio

2012 (ultimo dato disponibile) ammonta a 4.459.246

persone. Essa ha continuato a crescere anche negli ultimi

sei anni (+5,6%) ed altresì nell’ultimo biennio (+0,6%).

L’aumento è più marcato di quello medio nazionale.

L’espansione della popolazione nel periodo 2007-2012 ha

riguardato quasi tutte le province della regione: unica

variazione di segno negativo è quella – di appena 308

unità – della provincia di Ferrara nell’ultimo biennio. Gli

incrementi più consistenti hanno riguardato le province di

Reggio Emilia (+6,5% fra il 2007 e il 2012), Parma (+6,0%) e

Rimini (+12,9%, +6,8% se si esclude l’Alta Valmarecchia).

Si registra un aumento più marcato per le zone collinari

(+6,0%) e di pianura (+5,6%) e uno decisamente meno

significativo per la montagna (+2,3%), in decremento

nell’ultimo biennio (-0,4%), specie nelle province di

Piacenza e Parma.

La crescita ha riguardato meno le aree urbane e i

capoluoghi di provincia (+4,3%) e maggiormente i comuni

non capoluogo (+6,3%), grazie soprattutto all’espansione

della prima e seconda cintura urbana (ciò non si verifica

però per le province di Parma e Reggio Emilia).

L’aumento della popolazione residente è da attribuirsi

principalmente al contributo migratorio, dato che il saldo

naturale (nascite - decessi) in Emilia-Romagna è rimasto

negativo anche per tutti gli anni Duemila. I saldi migratori

totali di segno altamente positivo non sono la risultante

esclusiva dei flussi migratori dall’estero, ma anche da un

saldo migratorio interno di segno positivo.

Figura 1 - Saldi naturali e migratori (Fonte: Statistica ER)

La struttura per età della popolazione residente in Emilia-

Romagna è caratterizzata da una marcata incidenza della

componente – specie femminile – che ha superato i

settanta anni, per effetto dell’allungamento della vita

media (la vita media in Emilia-Romagna è più elevata di

quella media nazionale: 80,0 anni per gli uomini contro il

79,4 medio nazionale e 84,7 anni per le donne contro

84,5).

Mentre la popolazione complessiva, fra il 1991 e il 2012, è

cresciuta del 13,6%, quella di almeno 65 anni è aumentata

di oltre il 32%. In parallelo, però, si è avuto anche un

incremento della popolazione di meno di 15 anni,

cresciuta negli ultimi venti anni di oltre il 30%.

Ciò ha determinato la progressiva flessione, a partire dal

2001 fino al 2011, dell’indice di vecchiaia . Nell’ultimo

anno si è invece registrato un nuovo, leggero, incremento

dell’indice di vecchiaia, attestato al 1° gennaio 2012 a 168

(era pari a 165 nel 1991, a 194 nel 2001).

Valori più elevati – dunque situazioni più critiche – si

ravvisano per Ferrara (232,5) ed anche Piacenza (188,8),

Ravenna (184,2) e Bologna (182,4).

L’indice di dipendenza totale mostra un progressivo

peggioramento: il dato regionale al 1° gennaio 2012

risulta pari a 56,1 (56 persone in età non lavorativa ogni

100 in età lavorativa), in netto incremento rispetto agli

anni Novanta (44,9 nel 1991), ma anche rispetto agli anni

più recenti (54,8 nel 2007 e a 55,2 nel 2011).

Scomponendo l’indice fra dipendenza giovanile e

dipendenza senile, si ravvisa nel periodo preso in esame un

aumento di entrambi i valori.

Si è proceduto a una ridefinizione dell’indice di

dipendenza che, da una parte, alza la fascia della

popolazione giovanile dipendente da 14 a 24 anni, sulla

base del fatto che dai dati dell’indagine Forze lavoro Istat

emerge chiaramente come il tasso di occupazione inizi ad

assumere una certa consistenza soltanto a partire dai 25

anni; dall’altra prova a tenere conto delle recenti

modifiche normative relative all’età pensionabile, fissando

il livello della dipendenza senile per gli uomini a 66 anni e

per le donne a 62 anni. Così calcolato, l’indice di

dipendenza si attesta, a livello regionale, su un valore pari

64,1. Se dunque, stando all’indice ufficiale, si stimano 56

persone in condizione di potenziale dipendenza ogni 100

potenzialmente attive, così ricalcolato l’indice segnala

oltre 64 persone dipendenti ogni 100 attive.

Il tasso di fecondità totale indica il numero medio di figli

per donna in età feconda (15-49 anni) e nel 2011 risulta

pari a 1,50 per l’Emilia-Romagna e a 1,42 per l’Italia.

Il tasso di fecondità ha raggiunto il suo valore massimo

verso la metà degli anni Sessanta (2,70) e da quel

momento ha cominciato a diminuire, fino alla metà degli

anni Novanta. Dopodiché, a livello nazionale ed emiliano-

romagnolo, si è avuto un nuovo incremento della

fecondità, in Emilia-Romagna consistente soltanto a

partire dal 2004, con un certo ritardo rispetto allo scenario

nazionale. Da quell’anno il tasso regionale risulta

superiore anche a quello medio nazionale.

L’ultimo dato disponibile – aggiornato al 1° gennaio 2012

– indica un’incidenza di cittadini stranieri residenti (Fig. 2)

sul totale della popolazione residente in Emilia-Romagna

pari a 11,9%, a fronte di un dato medio nazionale inferiore

all’8%.

Figura 2 - Residenti stranieri (Fonte: Statistica ER)

Il dato emiliano-romagnolo è il più alto fra le regioni italiane. La crescita del tasso non accenna a fermarsi,

3

anche se si deve sottolineare un certo rallentamento nell’ultimo triennio. Rispetto all’incidenza media regionale, si registrano tassi

più elevati, nell’ordine, nelle province di Piacenza (14,1%),

Reggio Emilia (13,5%), Modena (13,4%) e Parma (13,1%).

Tre comuni hanno superato il tasso di incidenza dei

residenti stranieri del 20%: Galeata (Fc), con il 22,5%,

Luzzara (Re), con il 21,6% e Castel San Giovanni (Pc), con il

21,3%.

Nel periodo 2007-2012 le zone montane sono quelle che,

in generale, hanno registrato gli incrementi più contenuti

di residenti stranieri: +54,3%, a fronte del +65,3% delle

zone collinari e del +67,8% della pianura. Nei comuni

capoluogo la crescita dei residenti stranieri è stata

superiore al 68% a fronte del +65,7% dei comuni non

capoluogo. Parallelamente nei primi la popolazione con

cittadinanza italiana è diminuita (-1,6%), mentre nei

comuni non capoluogo è aumentata (+1,8%).

Gli oltre 530mila cittadini stranieri residenti in regione al

1° gennaio 2012 appartengono a 172 paesi differenti.

Il paese di cittadinanza più numerosa risulta, nel 2012

come per tutti gli anni presi in esame, il Marocco (quasi

14% degli stranieri residenti in regione). Segue, assai

ravvicinato, la Romania. Al terzo posto si conferma

l’Albania. Questi primi tre paesi di cittadinanza

costituiscono quasi il 40% del totale dei cittadini stranieri

residenti in regione.

Oltre alla Romania, l’altro paese che ha registrato un

incremento particolarmente significativo in questi ultimi

anni è la Moldova (+200% fra il 2007 e il 2012), divenuta la

quarta comunità più numerosa in regione. Anche l’Ucraina

ha mostrato un’espansione considerevole (+102,5%).

Proprio le comunità moldove e ucraine – a netta

prevalenza femminile – sono fra quelle che mostrano una

più spiccata tendenza all’urbanizzazione, insieme alla

Cina.

Indicatore di un fenomeno migratorio ormai stabile è la

crescente rilevanza delle acquisizioni di cittadinanza: il

numero di cittadini stranieri che ha acquisito la

cittadinanza in Emilia-Romagna è passato dai circa 4.300

casi del 2006 ai quasi 8mila del 2010.

Si è considerato anche il Censimento sulla popolazione e le

abitazioni dell’Istat. Dopo un’espansione ininterrotta fino

al 1981, con di fatto un raddoppio della popolazione

censita come residente in Emilia-Romagna, è seguito un

leggero calo rilevato dal censimento del 1991, compensato

tuttavia da una minima ripresa nel 2001. Con la

rilevazione del 2011 si evidenzia una nuova crescita

demografica rispetto al 2001, con un incremento

dell’8,5%, il più alto in termini relativi fra le regioni

italiane, dopo il Trentino-Alto Adige.

La popolazione dell’Emilia-Romagna risulta concentrata

per quasi il 42% del totale nei tredici comuni maggiori

(oltre 50mila abitanti).

Nel decennio intercensuario la popolazione di cittadinanza

italiana residente in Emilia-Romagna è aumentata appena

dello 0,6% e dunque l’incremento è quasi esclusivamente

attribuibile alla crescita della popolazione con cittadinanza

straniera (oltre 316mila residenti in più, pari a un aumento

del 232,5%).

Attrattività e dotazione infrastrutturale

economica e sociale

L’Emilia-Romagna mostra un elevato grado di dotazione

infrastrutturale economica e sociale. I buoni risultati della

regione riguardano innanzitutto le infrastrutture per la

mobilità, principalmente grazie alla rete stradale e

ferroviaria. Un’altra dimensione con risultati altamente

soddisfacenti per la regione Emilia-Romagna è quella

relativa alla dotazione di impianti e di reti energetiche. Superiore alla media nazionale risulta poi l’indice relativo

alle cosiddette «infrastrutture sociali». In particolare si

notano valori superiori alla media nazionale per quanto

riguarda le strutture culturali, ricreative e sanitarie.

Si deve poi sottolineare la presenza e l’attrattività degli

atenei emiliano-romagnoli, ossia, in ordine per numero di

iscritti, Bologna (e relativi poli della Romagna), Parma,

Modena e Reggio Emilia, Ferrara ed anche le sedi di

Piacenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e del

Politecnico di Milano. Gli iscritti a questi atenei sono oltre

150mila; nell’anno solare 2011 sono stati più di 26mila i

laureati.

Gli atenei emiliano-romagnoli sono, in Italia, fra quelli

maggiormente in grado di attirare studenti residenti in

altre regioni: da un lato, quasi il 40% degli immatricolati

dell’anno accademico 2009/2010 presso università

emiliano-romagnole è costituito da residenti in altre

regioni, contro il 21% circa medio nazionale. Dall’altro lato,

gli studenti universitari emiliano-romagnoli tendono ad

avere una limitata mobilità territoriale, inferiore alla

media nazionale: per l’anno accademico 2009/2010,

infatti, si sono immatricolati in una regione diversa da

quella di residenza oltre il 20% degli studenti italiani e

meno dell’11% di quelli emiliano-romagnoli.

L’Emilia-Romagna si posiziona ai primi posti fra le regioni

italiane per dotazione di capitale sociale (così come

rilevato da Putnam, Cartocci, ecc.) ed anche per dotazione

di capitale territoriale (RegiosS). A segnalare la capacità

attrattiva dell’Emilia-Romagna, si può segnalare che il

saldo tra investimenti e disinvestimenti diretti esteri (IDE),

ad eccezione del 2009, è sempre stato positivo tra il 2008 e

il 2011, con una considerevole crescita nell’ultimo biennio.

Tabella 1 - Indici di dotazione di infrastrutture e di infrastrutture sociali per regione Emilia-Romagna (Italia=100)

2001 2009 2011

Infrastrutture per la mobilità

- strade 113 120 121

- ferrovie 131 145 146

- porti 124 130 145

- aeroporti 80 77 78

Dotazione impianti e reti energetico-ambientali 132 134 136

Dotazione strutture/reti telefonia e telematica - 96 97

Dotazione reti bancarie e servizi 119 116 117

Indice infrastrutture economiche 114 117 120

Strutture per l’istruzione 103 98 99

Strutture sanitarie 76 108 107

Strutture culturali e ricreative 134 111 106

Indice infrastrutture sociali 104 106 104

Indice generale totale 111 114 115

4

Struttura produttiva

Le imprese nella Regione Emilia-Romagna

In Emilia-Romagna alla fine del 2012 erano iscritte alla

Camera di Commercio 424.213 imprese attive, pari

all’8,1% del totale italiano . Il numero complessivo delle

imprese in Emilia-Romagna è passato da poco più di

400.000 nel 1998 a quasi 432.000 nel 2008, anno in cui ha

raggiunto un picco, per poi iniziare, nei quattro anni

successivi, un progressivo calo.

Figura 3 - Imprese attive in Emilia-Romagna, dinamica valore assoluto e tasso di crescita, 1998-2012 (Fonte: Movimprese)

Come avevamo già messo in luce nell’Osservatorio

precedente, l’Emilia-Romagna è la quinta regione italiana

per numero di imprese attive, dopo Lombardia, Campania,

Lazio e Veneto. Gli anni della crisi economica, ovvero dal

2008 al 2012 (ultimi dati disponibili), sebbene abbiano

avuto pesanti ripercussioni sul numero delle imprese

attive in tutte le regioni italiane, non hanno modificato la

posizione relativa dell’Emilia-Romagna.

Durante gli anni della crisi le società d i capitale hanno

continuato a crescere in modo costante raggiungendo nel

2012 quota 78.785. Le società di persone invece, che

presentavano un trend in crescita nel lungo periodo,

segnalano una contrazione tra il 2008 e il 2012, con una

riduzione di circa 3.500 unità. Diversamente, le ditte

individuali presentavano un trend decrescente nel lungo

periodo, ad eccezione di una crescita avvenuta tra il 2004 e

il 2005, che si è confermato tra il 2008 e il 2012.

I settori che durante la crisi economica, tra il 2009 e il

2012, hanno registrato contrazioni maggiori della

numerosità d’impresa nella regione Emilia-Romagna sono

il Settore Primario (-4.205, -6%), le Costruzioni (-2.060, -

2,7%) e Trasporto e Magazzinaggio (-1.081, -6,5%). In

generale la contrazione della numerosità d’impresa si

concentra soprattutto nell’Industria mentre i Servizi, nei

primi anni della crisi, hanno sperimentato un aumento del

numero delle imprese attive.

Tra il 2011 e il 2012, ovvero nell’ultimo anno per il quale

sono disponibili i dati, il calo complessivo è stato molto

significativo, basti considerare che in un solo anno si sono

perse più imprese che negli anni tra il 2009 e il 2011. Per

molti settori è proprio l’anno 2012 che fa segnare la

caduta maggiore: le Costruzioni perdono oltre 1.500

imprese (-2%), l’Industria in senso stretto ne perde quasi

1.000 e ad essere maggiormente colpiti sono i settori del

Tessile-Abbigliamento e quello della Metallurgia . Anche

l’ampio settore dei Sevizi, tra il 2011 e 2012 fa segnare

una contrazione del numero delle imprese, laddove negli

anni precedenti si era registrato un aumento. Nell’ambito

di questo settore è soprattutto il comparto del Commercio,

sia all’ingrosso che al dettaglio, a perdere un numero

elevato di imprese (oltre 800), ma anche quello del

Trasporto e Magazzinaggio che prosegue il calo registrato

nei primi anni della crisi.

Durante gli anni della crisi, tra il 2009 e il 2012, si sono

perse 4.561 imprese artigiane in Emilia-Romagna. Essendo

il calo delle imprese artigiane decisamente superiore a

quello del totale delle imprese, si evince come la

diminuzione delle imprese total i sia stata fortemente

trainata dall’andamento negativo del comparto artigiano.

Tale andamento si è confermato anche nel corso

dell’ultimo anno in analisi, tra il 2011 e il 2012, dove sono

state chiuse quasi 2.500 attività.

La crisi economica ha avuto un impatto sul tessuto

produttivo di tutte le province emiliano-romagnole. Nel

2008, anno in cui la crisi si è manifestata nell’ultimo

trimestre, la quasi totalità delle province, ad eccezione di

Reggio Emilia e Forlì-Cesena, registrava ancora una

crescita delle imprese attive, particolarmente spiccata a

Piacenza e Parma (+1,6% in entrambe le province). La

perdita di imprese attive durante il 2009 è stata maggiore

a Ferrara e Reggio Emilia, pari a -1,5% rispetto all’anno

precedente e più contenuta a Rimini (-0,2%). Nel 2010 e

2011, anni che hanno visto un moderato attenuarsi della

crisi, a mostrare tuttavia una dinamica positiva del tessuto

imprenditoriale sono nel 2010 solo Bologna e Piacenza,

che registrano rispettivamente un +0,1% e un +0,2%, e nel

2011 Modena, Piacenza e Rimini (rispettivamente +0,6%,

+0,1% e +0,6%). L’anno 2012, che ha portato ad una nuova

acutizzazione della crisi economica, ha generato un calo

delle imprese attive che in alcune province si è dimostrato

di intensità superiore persino a quello del 2009. Sebbene il

calo tenda ad essere generalizzato, la provincia di Piacenza

è quella che ha registrato la contrazione maggiore, pari a

quasi -2,5%, seguita da Forlì-Cesena (-1,7%), Ravenna e

Reggio Emilia (entrambe -1,4%).

Figura 4 - Imprese attive, periodo 2008-2012, province dell’Emilia-Romagna, variazione % su anno precedente (Fonte: Movimprese)

Nel complesso l’analisi delle variazioni della numerosità

d’impresa, ha evidenziato che la crisi economica ha avuto

un impatto piuttosto trasversale e solo limitatamente

differenziato per settore e per territorio. Tendenzialmente

si confermano le linee già tracciate nel precedente

385.000

390.000

395.000

400.000

405.000

410.000

415.000

420.000

425.000

430.000

435.000

1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

Imp

rese

att

ive (

v.a

.)

-1,5

-1

-0,5

0

0,5

1

1,5

Ta

ss

o d

i cre

sc

ita

(%

)

Imprese attive Tasso di crescita

5

Osservatorio regionale: sono le imprese di minori

dimensioni ad essere state maggiormente colpite e

prevalentemente nei settori della Manifattura e delle

Costruzioni. All’interno della Manifattura, anche

nell’ultimo anno analizzato, i comparti maggiormente

interessati da contrazioni del numero di imprese hanno

continuato ad essere quelli della Metallurgia e del Tessile-

Abbigliamento.

L’elemento di novità, nell’anno 2012, è rappresentato dal

comparto dei Servizi, che segna un’inversione di tendenza

rispetto ai primi anni della crisi. Se questo settore infatti

sembrava resistere o in alcuni casi anche sperimentare

un’espansione all’inizio del periodo di contrazione

economica, nell’ultimo anno analizzato mostra anch’esso

gravi ripercussioni. A trainare questo cambiamento, come

abbiamo visto, è stato in particolare il comparto del

Commercio.

Il 2012 in sostanza, considerando il proseguimento dello

stato critico dei settori già in difficoltà, al quale si è unita

l’entrata in crisi anche del settore dei Servizi, ha

rappresentato dal punto di vista della consistenza del

tessuto imprenditoriale un anno in cui la crisi economica

ha vissuto un significativo peggioramento. A livello

territoriale l’impatto sulla numerosità d’impresa è molto

diffuso e con limitate concentrazioni, differenti a seconda

del settore in analisi, ma non sfugge tuttavia che, dal

punto di vista dell’andamento del numero delle imprese il

territorio che nel 2012 ha subito maggiori ripercussioni è

quello di Piacenza.

Un territorio vario, dei confini da ripensare:

l’aggiornamento dell’analisi cluster

Nella precedente edizione dell’Osservatorio regionale era

stata proposta una nuova modalità di classificazione e

riaggregazione dei vari ambiti territoriali della regione,

intrecciando variabili economiche e demografiche di

natura strutturale. A tal fine si era proceduto ad una

scomposizione del territorio regionale per comune e ad

una successiva riaggregazione degli stessi sulla base di tre

criteri principali: la copertura del mercato del lavoro locale,

ovvero la capacità di risposta della domanda di lavoro

locale all’offerta di lavoro, la terziarizzazione, ovvero il

peso dei servizi sulla occupazione totale, e la dimensione

media di impresa. La metodologia della cluster analysis

aveva restituito 4 possibili raggruppamenti di comuni con

“somiglianze” nelle tre variabili considerate, che qui

ricordiamo:

Cluster 1 - comuni a vocazione industriale e alta domanda

di lavoro. I comuni qui aggregati presentano un profilo

prevalentemente manifatturiero: oltre i 3/4 degli addetti

sono occupati in attività industriali. È il gruppo con il

maggior grado di industrializzazione della occupazione e

dove le unità locali presentano una dimensione superiore

alla media complessiva ma inferiore rispetto all’altro

cluster a prevalenza industriale (cluster 2). In termini di

copertura del mercato del lavoro, questo raggruppamento

di comuni si distingue per un rapporto addetti/persone in

età attiva superiore alla media ma comunque al di sotto

del cluster 2 e 4. Il cluster 1 raccoglieva nel 2011 il 34% dei

comuni dell’Emilia-Romagna

Cluster 2 - comuni industriali attrattivi . I comuni che

appartengono a questo raggruppamento sono quelli con

la maggiore copertura del mercato del lavoro (il rapporto

addetti/persone in età attiva è superiore al 100%), ovvero

attraggono forza lavoro anche al di fuori della popolazione

attiva residente. Le unità locali presentano la dimensione

media più alta e l’occupazione è principalmente

concentrata nella attività industriali. Il cluster 2

raccoglieva nel 2011 il 3,2% dei comuni dell’Emilia-

Romagna.

Cluster 3 - comuni non specializzati a bassa domanda di

lavoro. I comuni che appartengono a questo

raggruppamento mostrano un grado di terziarizzazione al

50%, ovvero una posizione di equilibrio tra occupazione

industriale e occupazione nei servizi. Le unità locali di

questi comuni presentano la dimensione media più bassa

in un confronto tra i gruppi e, conseguentemente,

inferiore al valore medio. Oltre alla dimensione media più

bassa, il cluster 3 raccoglie i comuni con la minore

copertura del mercato del lavoro. Il cluster 3 raccoglieva

nel 2011 il 48% dei comuni in Emilia-Romagna.

Cluster 4 - comuni ad alta terziarizzazione ed alta

domanda di lavoro. I comuni in questo cluster presentano

il più alto tasso di terziarizzazione, ovvero circa i 2/3 degli

addetti lavora nel settore dei servizi. Le unità locali hanno

una dimensione in linea con il valore medio e quindi

inferiore ai cluster di più spiccata vocazione industriale ma

superiore all’altro cluster a più alta terziarizzazione

(cluster 3). Il grado di copertura del mercato del lavoro è

più alto del valore medio complessivo e colloca il cluster in

una posizione intermedia tra i due raggruppamenti a

maggiore vocazione industriale. Il cluster 4 raccoglieva nel

2011 il 14% dei comuni in Emilia-Romagna.

Figura 5 - La distribuzione dei 4 cluster in Emilia-Romagna (dati 2010)

L’analisi presente nella precedente edizione

dell’Osservatorio, realizzata con i dati al 2007, è stata

aggiornata e nuovamente condotta con dati al 2010

(ultimi disponibili su base comunale). Confrontando i

valori centrali delle variabili analizzate per i 4 cluster

realizzati con dati al 2007 con quelli al 2010, si evidenzia

che non si sono verificati, come era giustificato attendersi,

cambiamenti radicali nel lasso di tempo esaminato.

Trattandosi di variabili strutturali infatti, occorrono periodi

maggiori di tempo per evidenziare mutamenti profondi.

Tuttavia, essendo stato l’intervallo 2007-2010 toccato da

eventi legati alla crisi economica, alcune trasformazioni

risultano comunque evidenti. Il mutamento principale che

emerge riguarda i cluster a predominanza industriale,

ovvero l’1 e il 2. In particolare si nota che in entrambi il

6

calo registrato nell’occupazione tra il 2007 e il 2010 ha

abbassato il dato relativo alla copertura del mercato del

lavoro.

I comuni industriali attrattivi dunque divengono molto

meno capaci di attrarre forza lavoro extra-comunale, come

invece avveniva nel 2007. Rimangono certamente a

matrice industriale e a forte domanda di lavoro, tuttavia

perdono in parte quelle caratteristiche di attrattività che li

contraddistinguevano in precedenza. Simile mutamento

ha attraversato il cluster 1 che registra nella nuova analisi

un più elevato livello di terziarizzazione, dovuto

probabilmente al calo dell’occupazione manifatturiera.

Ricordiamo che gli anni 2009 e 2010, ovvero i primi

dell’attuale crisi economica hanno avuto ripercussioni

prevalentemente sul settore della manifattura, per questa

ragione sono i cluster “industriali” ad aver avvertito

maggiormente i mutamenti.

Oltre ad una variazione dei valori centrali delle variabili dei

diversi cluster, si è verificata anche una migrazione di

alcuni comuni da un cluster ad un altro. In particolare, il

cluster 1 (comuni a vocazione industriale e alta domanda

di lavoro) passa da 118 comuni a 144 e il cluster 2 (comuni

industriali attrattivi) da 11 a 24, registrando entrambi un

incremento dei comuni ad essi appartenenti.

Diversamente sia il cluster 3 (comuni non specializzati a

bassa domanda di lavoro) che il 4 (comuni ad alta

terziarizzazione ed alta domanda di lavoro) vedono un

decremento del numero dei comuni a loro afferenti. La

migrazione più consistente ha toccato circa una trentina di

comuni che hanno “lasciato” il cluster 3 per spostarsi

prevalentemente in quello che raccoglie quelli a vocazione

industriale e alta domanda di lavoro (cluster 1). La seconda

maggiore migrazione ha riguardato comuni che erano già

a vocazione industriale (cluster 1) m a che hanno

aumentato la loro attrattività e sono entrati nel gruppo

dei comuni industriali attrattivi. Questi trasferimenti sono

a nostro avviso spiegati dalla perdita di attrattività e, in

generale, dall’abbassamento delle peculiarità dei comuni

dei cluster a vocazione industriale. Come evidenziato in

precedenza, la crisi economica ha indebolito i caratteri

manifatturieri di questi comuni, rendendoli, in qualche

modo, più “simili” ad altri, consentendo l’entrata nei

cluster di comuni che nel 2007 non avevano le

caratteristiche per farvi parte. Di conseguenza le

migrazioni avvenute non sono tanto da attribuire a

trasformazioni avute luogo nella struttura produttiva dei

comuni migranti, quanto ad un indebolimento strutturale

di quelli a forte matrice industriale.

Le trasfor mazioni del sistema produttivo

L’analisi sulla distribuzione di valore all’interno del sistema

economico regionale ha consentito di precisare i contenuti

del processo di trasformazione in atto del sistema

produttivo regionale.

L’analisi è stata condotta utilizzando tre tecniche distinte:

l’analisi intersettoriale dell’economia regionale per

verificare le modalità e le dimensioni della generazione di

valore economico nei diversi settori di attività economica;

l’analisi per filiere produttive del sistema economico per

mettere a fuoco i fattori di cambiamento nelle logiche

strategiche delle imprese e per individuare le dinamiche

più o meno accelerate di evoluzione della capacità

competitiva del sistema economico regionale; l’analisi dei

fabbisogni occupazionali a livello territoriale per dare una

dimensione alla necessità da tutti avvertita di creare

condizioni di recupero di occasioni di lavoro e di solida

occupazione nei diversi territori che compongono la

regione.

Il sistema produttivo ha evidenziato una forte caduta nella

numerosità delle imprese, nei settori industriali e

manifatturieri in particolare. Gli unici settori della

manifattura che mostrano segni di tenuta sono quelli

legati alla meccanica strumentale. Sta crescendo un forte

sistema di imprese nel settore dei servizi energetici e delle

public utilities, stanno crescendo le imprese nei settori dei

servizi socio-sanitari, ricreativi e di servizio alle imprese

come esempio di una decisa ulteriore terziarizzazione

dell’economia regionale .

Sono al lavoro tre processi che operano congiuntamente. Il

primo è un trend consolidato che porta a ridurre il peso del

settore secondario a vantaggio del terziario, come

evoluzione del modello produttivo e sociale della regione

la cui popolazione invecchia e le cui esigenze sono legate

sempre più ai servizi alla persona, alle attività culturali e

ricreative, alle attività dell’istruzione e del welfare. Il

secondo è una progressiva dematerializzazione dei

processi di produzione manifatturieri e agricoli i cui

prodotti inglobano sempre più spesso attività immateriali

(logistica, distribuzione, marketing, finanza, ricerca,

assistenza). Il terzo, più contingente, è legato alla

ricollocazione del capitale umano espulso dai processi

produttivi che trova nel settore terziario uno sbocco

possibile anche in virtù della bassa dotazione di capitale

necessaria per avviare attività imprenditoriali nei settori

del terziario più tradizionale.

La distribuzione del valore all’interno del sistema

economico regionale mostra due fenomeni di grande

interesse: non tutta la crescita delle imprese rappresenta

un convincente sviluppo produttivo che porta con sé la

crescita contemporanea di imprese dei servizi e di valore

aggiunto terziario; per quanto il sistema produttivo

regionale cerchi di controbilanciare gli effetti negativi

della riduzione dei posti di lavoro più strutturati con nuove

iniziative imprenditoriali aumenta o gni anno il fabbisogno

di nuovi posti di lavoro sull’intero territorio regionale per

avere una situazione di equilibrio simile a quella

precedente la crisi.

Molte nuove imprese operano in settori in cui esiste una

straordinaria debolezza nel generare valore aggiunto e

sostenibilità economica alle attività d’impresa. Circa

15.000 nuove imprese nei settori dei servizi alla persona,

nei servizi associativi, nei settori dei servizi alle imprese

sono forme di autoimpiego dalle prospettive incerte.

Complessivamente, il fabbisogno di nuovi posti di lavoro

generato dalla crisi a livello regionale ha raggiunto il

livello di circa 150.000 unità.

7

L’analisi sembra suggerire che il sistema sta diventando

meno elastico e sensibile alle sollecitazioni esterne, vale a

dire che gli aumenti eventuali di domanda e le iniezioni di

sollecitazioni per gli investimenti sono in grado di

produrre effetti di crescita economica molto più blandi che

in passato. Pertanto, a condizioni strutturali date, sarà

necessario immettere maggiori risorse di investimento per

recuperare le condizioni di equilibrio produttivo e

occupazionale del periodo precedente la crisi. Inoltre, i dati

mostrano che il percorso di ridefinizione della

specializzazione economico-produttiva i cui segnali si

iniziavano a intravvedere nel 2010 è ulteriormente

avanzato e approfondito, assumendo una dimensione

molto ampia.

Nel corso del periodo 2010-2012 si è assistito ad una

accelerazione del processo di trasformazione del modello

produttivo regionale con un significativo cambiamento

nelle relazioni interne alle filiere produttive principali. Il

2010 può essere considerato il vero spartiacque della crisi,

l’anno in cui sono state prese le decisioni più importanti e

pregnanti sul futuro assetto che dovrà avere il sistema

produttivo della regione. Si è ulteriormente precisata la

tendenza alla terziarizzazione delle attività di produzione

e dell’organizzazione delle principali filiere dell’economia

regionale. È emerso che alcuni settori di grande successo,

come quello della distribuzione dell’energia e della

gestione delle public utilities stiano intercettando quote

crescenti di valore prodotto all’interno delle filiere a

scapito della destinazione di tale valore per attività

effettivamente in grado di essere generatori di valore.

Il settore dei servizi alle imprese emerge dal processo di

riorganizzazione come il fulcro del nuovo posizionamento

competitivo . Si tratta di una risorsa strategica per il

rafforzamento del posizionamento competitivo nelle

filiere della meccanica, dove il settore dei prodotti in

metallo ha perso quote importanti di valore generato dai

settori a valle della meccanica strumentale e dei mezzi di

trasporto, proprio a vantaggio del settore dei servizi.

Assume un ruolo centrale nella filiera della moda, assieme

al settore del commercio che rappresenta la nuova

prospettiva di supporto a strategie di affermazione di

marchi proprietari. Assume un ruolo chiave nella filiera

delle costruzioni e dei materiali da costruzione, che sta

andando alla ricerca di una nuova specializzazione più

“immateriale”, in grado di coniugare la capacità

progettuale con una capacità tecnologica che permetta

alle imprese di offrire al mercato soluzioni innovative,

piuttosto che semplici prodotti. Assume infine una

funzione strategica anche per quanto riguarda i tentativi

di innovazione del sistema finanziario regionale, che ha

avviato negli ultimi due anni un significativo

trasferimento di valore verso imprese che operano nel

settore dei servizi alle imprese per trovare un miglior

raccordo fra le dinamiche del settore finanziario e le

esigenze del sistema economico regionale.

Tematiche ambientali ed energetiche

Per la prima volta, l’Osservatorio introduce un’analisi delle

tematiche ambientali ed energetiche ponendo a confronto

i dati relativi alle d iverse matrici ambientali : aria, acqua,

rifiuti, clima, energia e trasporti.

I dati disponibili per le diverse matrici energetico/

ambientali, confermano che l’Emilia-Romagna, sia nella

fase pre-crisi che in quella tuttora perdurante della crisi,

rimane, nel quadro nazionale, una regione ad elevato

consumo di risorse, materiali, ambientali ed energetiche,

con generalmente, allo stesso tempo, un buon livello di

efficienza nel loro uso.

Nel corso degli anni vi sono state evoluzioni e

cambiamenti, ma mai tali da modificare sostanzialmente

questa situazione, anche quando sono divenute prevalenti

le politiche di uso razionale delle risorse; negli anni 90 e

2000 la regione ha seguito, nella maggior parte dei casi, le

traiettorie medie nazionali, che essendo spesso

contrassegnate, come noto, da un passivo adeguamento

alle politiche e agli obblighi definiti in sede UE, sono state

peggiori di quelle realizzate dai paesi europei più avanzati;

in definitiva la Regione poteva sfruttare meglio i maggiori

margini di risparmio di risorse derivanti dai più elevati

livelli di consumo e le opportunità che potevano derivarne

sul piano industriale ed occupazionale.

In realtà la situazione nazionale, come quella regionale,

appaiono abbastanza variegate, con risultati positivi in

quei settori dove sono state messe in atto politiche

fortemente proattive; ad esempio in campo energetico

sono stati raggiunti buoni risultati in termini di

differenziazione delle fonti, con il maggior uso del metano

soprattutto per la produzione elettrica, di sviluppo delle

fonti rinnovabili e di uso più efficiente dell’energia nel

campo residenziale ed industriale, grazie alla

incentivazione delle ristrutturazioni edilizie ed ai certificati

bianchi. Mancano invece risultati soprattutto nel campo

dei trasporti e dei servizi .

Nella fase di crisi, consumo di risorse ed impatti calano in

tutti i settori, rendendo del tutto alla portata gli obiettivi

definiti nel periodo pre-crisi, con il rischio, come già

mostrano alcuni indicatori, di un rallentamento degli

investimenti in campo energetico/ambientale . La crisi

spinge dunque a ricollocare i temi della sostenibilità e

della Green Economy in una dimensione più generale, in

stretto rapporto con le politiche di rilancio

dell’occupazione; servono a questo fine scelte ed indirizzi

nazionali, ma la Regione Emilia-Romagna ha in questo

momento condizioni particolari, soprattutto per quanto

riguarda la ricostruzione post terremoto, che le possono

permettere di assumere anche in proprio alcune iniziative

di rilievo.

Può essere, ad esempio, realistica la promozione di un

piano per la Green Economy il più possibile trasversale,

che definisca, in linea con quanto proposto in sede

nazionale dagli Stati Generali della Green Economy,

un’ottica unitaria ed integrata di intervento; in questo

8

caso divengono settori strategici di intervento l’eco-

innovazione, l’efficienza e il risparmio energetico, lo

sviluppo delle fonti rinnovabili, gli usi efficienti delle

risorse, la prevenzione ed il riciclo dei rifiuti, le filiere

agricole di qualità ecologica, la mobilità sostenibile. Un

primo passo in questa direzione potrebbe essere una

rivisitazione dei diversi piani settoriali in campo

energetico/ambientale, con un adeguamento degli

obiettivi precedentemente definiti per il 2020 e anni

successivi, anticipando peraltro una tendenza che si sta già

manifestando a livello europeo e soprattutto facendo in

modo che questi obiettivi tornino a fungere da reale

stimolo per processi di innovazione tanto impegnativi,

quanto efficaci.

Un simile approccio appare poi particolarmente

rispondente al tema della ricostruzione nelle aree del

terremoto, per le quali si offre, in mezzo alle molte

emergenze e difficoltà, una duplice opportunità: da un

lato, la necessità/possibilità di intervenire su diversi ambiti

ma in modo integrato, potendo fra l’altro risistemare nel

territorio le principali infrastrutture, dall’altro, una

disponibilità di risorse per la realizzazione di interventi

concentrati nel tempo. Vi sarebbero quindi le condizioni

per sperimentare modelli di intervento ed anche di

soluzione, che potrebbero fungere poi da riferimento per

la riproposizione in altre aree della regione.

Il lavoro

Occupati e persone in cerca di occupazione in Emilia -

Romagna

La fase recessiva che ha caratterizzato nel 2012 l’economia

regionale ha inevitabilmente inciso negativamente anche

sul mercato del lavoro e, in particolar modo, sulle fasce più

deboli della popolazione. Il peggioramento del quadro

congiunturale, a cui si sono aggiunti gli effetti dello sciame

sismico che ha colpito le province di Bologna, Ferrara,

Modena e Reggio Emilia nel maggio 2012, ha portato

infatti ad un’ulteriore distruzione di posti di lavoro in

regione e, in base alle stime più recenti di Prometeia e

Unioncamere, bisognerà attendere il 2014 per

un’inversione di tendenza.

Nel 2012 le forze di lavoro sono aumentate del 2% rispetto

all’anno precedente. Tale incremento, in parte

riconducibile alle dinamiche demografiche, è

indubbiamente legato ad un’inversione di tendenza

dell’andamento del tasso di partecipazione che tra il 2009

e il 2011 era progressivamente calato per via del

cosiddetto fenomeno dello scoraggiamento. Nel 2012

l’Emilia-Romagna ha registrato un tasso di attività pari a

72,8% (79,1% fra gli uomini e 66,6% fra le donne), in

crescita di poco più di un punto percentuale rispetto

all’anno precedente. Si tratta del valore più elevato fra le

regioni italiane e leggermente superiore anche rispetto

alla media UE27 (71,7% nel 2012), seppur al di sotto del

tasso registrato dalle regioni “forti”.

Per quanto riguarda l’o ccupazione, il numero di occupati è

rimasto sostanzialmente stabile rispetto all’anno

precedente (+0,51%) ed è stato trainato dalla componente

femminile, mentre gli uomini hanno registrato una

riduzione tendenziale dell’occupazione pari al 2,4%.

Il 2012 è stato caratterizzato da un aggravamento della

disoccupazione e si è chiuso con un tasso di

disoccupazione complessivo pari al 7,1%, rispetto al 5,3%

del 2011 e nettamente superiore al 3,2% registrato nel

2008. Come per il dato sugli occupati, risulta

maggiormente colpita la componente maschile che

registra una crescita del tasso di disoccupazione di quasi 2

punti percentuali, mentre fra le donne l’incremento è pari

a 1,6 punti. È ragionevole ipotizzare che questo dato, in

controtendenza con quanto rilevato negli anni precedenti,

sia imputabile agli effetti del sisma che ha portato alla

sospensione della produzione in molte aziende

dell’industria in senso stretto, dove tradizionalmente

prevale l’occupazione maschile.

Quando si osservano i dati disaggregati per età, si nota che

la moderata crescita dell’occupazione registrata nel 2012

ha riguardato di fatto le persone con età compresa fra i 55

e i 64 anni, che sono aumentati del 7,6% rispetto al 2011, a

fronte di una diminuzione registrata fra i più giovani. Tra i

giovani fra i 15 e i 24 anni infatti l’occupazione è calata del

2,4% ed ha interessato sia i lavoratori dipendenti sia gli

autonomi, per questi ultimi peraltro la flessione è stata del

7,7%. Nel 2012 il tasso di disoccupazione dei giovani fra i

9

15 e i 24 anni si è attestato al 26,4% e scende al 17,4% se si

allarga alla fascia di età 15-29 anni. Pur trattandosi di

valori inferiori rispetto alla media nazionale (nello stesso

anno in Italia il tasso di disoccupazione giovanile è stato

pari al 35,3% fra i 15-24enni e al 25,2% fra i 15-29enni), la

disoccupazione giovanile in regione è aumentata

esponenzialmente.

Rispetto alla cittadinanza, nel 2012 l’83,7% degli occupati

in Emilia-Romagna aveva cittadinanza italiana, il 3,1%

cittadinanza comunitaria e il restante 9,7% extra-UE.

Come a livello nazionale, anche in Emilia-Romagna la

crescita del numero degli occupati è stata trainata da

coloro con cittadinanza non italiana, confermando una

tendenza in atto già da alcuni anni. Rispetto al 2011, gli

occupati con cittadinanza UE sono cresciuti di quasi il 6% e

sono praticamente raddoppiati rispetto al periodo

precedente la crisi. Anche i lavoratori extra-UE hanno

registrato un aumento tendenziale, pari al +1,1%, a fronte

di un calo del numero dei cittadini italiani occupati (-0,2%).

I lavoratori dipendenti sono la categoria contrattuale sulla

quale si è concentrata la non brillante crescita

dell’occupazione. In totale sono cresciuti del 1,1%, con

andamenti differenziali a seconda dell’età. Le crescite più

rilevanti hanno infatti riguardato le persone con età fra i

45 e i 64 anni, mentre fra i più giovani si verifica la

tendenza opposta. In totale, gli occupati autonomi, invece,

diminuiscono del 3% rispetto al 2011. In questo caso la

riduzione più marcata riguarda la classe di età 45-54 anni.

La domanda di lavoro è stata caratterizzata da una fo rte

divaricazione negli andamenti settoriali , dovuta alle

performance economiche registrate da ciascun settore.

Questo lascia intuire che i lavoratori che hanno perso il

lavoro in quei settori pesantemente colpiti dalla crisi

difficilmente riusciranno a ritrovarlo nello stesso settore.

Rispetto al 2008 gli occupati sono calati del -0,54%. La

situazione più critica rimane quella del settore delle

costruzioni, che nel quinquennio registra un calo del

17,7%. Nello stesso periodo gli occupati nell’industria in

senso stretto sono diminuiti dell’1% e in agricoltura del

4,5%. Risulta nel complesso in aumento l’occupazione nei

servizi (+2%), per quanto vi siano situazioni molto

differenziate a seconda dei comparti di attività. In

particolare il comparto del commercio vede una riduzione

del 15,3% del numero degli occupati.

Figura 6: Occupati per settore, variazioni % 2008-2012 (Fonte: elaborazione su dati Istat)

Il cambiamento della struttura settoriale della domanda di

lavoro cambia anche la domanda delle diverse figure

professionali, aumentando le possibilità di mismatch fra le

caratteristiche della domanda e dell’offerta di lavoro. È

cambiata negli anni infatti la composizione per figure

professionali . Se durante gli anni novanta si era assistito

ad un progressivo orientamento della domanda verso le

componenti più tecniche, associato ad una crescente

terziarizzazione, a partire dagli anni duemila si è registrato

un progressivo processo di polarizzazione con

accelerazioni rilevanti di professioni non qualificate e

professioni intellettuali, scientifiche e altamente

specializzate. Nel co rso della crisi il processo di

polarizzazione assume una sofisticazione maggiore nella

sua componente più qualificata.

Figura 7 - Occupati per gruppo professionale, variazioni % 2008-2012

(Fonte: elaborazione su dati Istat)

Il lavoro parasubordinato in Emilia-Romagna

Per quanto riguarda i lavoratori parasubordinati, i dati più

recenti riguardano il 2011 e sono di fonte Inps. Rispetto al

2010 il numero di contribuenti è aumentato del 1,7%,

arrivando a 130.322 contribuenti per un valore di

contributi pari a 596.379.197 euro e di contributo pro -

capite pari a 4.575 euro. Si tratta di un aumento

lievemente superiore a quello registrato a livello nazionale

(+1,4%) dove i contributi totali versati sono stati pari a

5.754.280.996 euro e quelli pro-capite a 3.928 euro.

Tabella 2: Collaboratori a progetto in Emilia Romagna, anni 2007-2011 (Fonte: Inps)

N. Contribuenti

Contributi per

contribuente

Contributi su redditi

(%)

Reddito per contribuente

(euro)

2007 60.060 2.377 21,2 11.188 2008 52.785 2.653 22 12.075

2009 46.114 2.783 22,6 12.338 2010 44.025 2.931 23,2 12.638 2011 44.833 2.868 23,3 12.307

Restringendo il campo di analisi ai soli collaboratori a

progetto, si nota una tendenza opposta rispetto al totale

dei lavoratori parasubordinati. Il numero di contribuenti è

infatti andato diminuendo fra il 2007 e il 2011, con una

10

sola eccezione fra il 2010 e il 2011 quando comunque si è

verificato un aumento di lieve entità.

Gli sbocchi professionali dei laureati: evidenze

dall’Indagine AlmaLaurea

In riferimento alla condizione giovanile, l’indagine

AlmaLaurea offre alcuni spunti ulteriori di analisi sulle

condizioni occupazionali di coloro che escono dagli atenei

dell’Emilia-Romagna. Vengono pertanto presi in

considerazione i laureati degli atenei di Bologna, Ferrara,

Modena e Reggio Emilia, Parma nell’anno 2011 a un anno

di distanza dal conseguimento del titolo. In regione la

maggior parte dei laureati nel 2011 ha conseguito un

titolo economico-statistico (16,4%), e sono seguiti da

coloro con titolo ingegneristico (12,9%) e letterario

(11,2%). Prendendo come riferimento il solo ateneo di

Bologna, a un anno dalla laurea il 50,2% dei laureati

dichiara di avere un’occupazione, il 27,8% di non lavorare e

non cercare, mentre il 22% di essere in cerca di lavoro.

Un’evidenza interessante, fra coloro che non hanno e non

cercano lavoro, è la diversificazione del dato fra i diversi

gruppi disciplinari: non cerca lavoro infatti il 39,6% dei

laureati in ambito geo-biologico, il 42% di coloro laureati

in ambito giuridico, il 37,5% in ingegneria, il 31,6% in

ambito psicologico, il 41,9% di coloro in ambito scientifico.

Inoltre fra coloro che dichiarano di avere un’occupazione

solo il 21,2% dichiara di lavorare in un posto dove la laurea

è richiesta per legge e il 16,4% dove la laurea non è

richiesta ma necessaria; questo implica che più del 60%

dei laureati ha trovato un’occupazione per la quale il titolo

di studio conseguito non sarebbe stato necessario. Questa

tendenza riguarda maggiormente le facoltà umanistiche

per quanto tutti i gruppi disciplinari considerati mostrino

di fatto questo elemento.

Le comunicazioni obbligatorie: un’analisi di flusso

In Emilia-Romagna, nel 2012 si contano oltre 910 mila

avviamenti, ovvero si segna una flessione del 2,5% (23

mila contratti in meno) sul 2011 dopo un biennio di

crescita. Con il prolungarsi della fase recessiva anche per la

componente straniera extracomunitaria, che sembrava

aver reagito meglio al giungere della crisi, si registra un

calo del 3,7% degli avviamenti (pari a 6.855 contratti in

meno). Per classi di età, si conferma la crescita della quota

di avviamenti per gli over 40 il cui peso in 5 anni è

cresciuto da 32,3% al36,9%. In termini di saldi, ovvero la

differenza tra avviamenti e cessazioni, il 2012 fa registrare

la chiusura peggiore degli ultimi 5 anni con un saldo pari a

circa -140 mila movimenti. Anche i dati sugli avviamenti

confermano come la crisi produca una sofisticazione del

processo di polarizzazione professionale verso l’alto : gli

avviamenti per le professionalità ad alta specializzazione

raddoppiano il loro peso (dal 7,9% nel 2010 al 14,7% nel

2012) mentre crollano le professioni tecniche (dal 15% al

6,7%).

Avviamenti e legge Fornero

A fronte dei cambiamenti normativi introdotti dalla

cosiddetta legge Fornero, non si rilevano cambiamenti

radicali tanto nei volumi di assunzioni quanto nella loro

composizione contrattuale. Le assunzioni con contratto a

tempo indeterminato, infatti, perdono progressivamente

di peso scivolando dal 15,1% del 2008 al 10,2% del 2012.

In particolare, la Legge Fornero sembra segnare un calo

tendenziale del numero di contratti in

parasubordinazione, in associazione in partecipazione e

lavoro a chiamata. Per i contratti di parasubordinazione si

rileva, da un lato, una caduta tendenziale a partire da

luglio 2012 degli avviamenti ma, dall’altra, una loro

accelerazione nel primo semestre 2012, quasi a mostrare

un effetto di “anticipazione” degli effetti della riforma.

Figura 8 – Attivazione di contratti parasubordinati (Fonte: Siler)

Sebbene il volume degli avviamenti mostri un calo

tendenziale nel II semestre 2012, i dati sembrano mostrare

come la riforma non abbia innescato un meccanismo di

sostituzione del lavoro intermittente con altre forme

contrattuali.

Figura 9 – Attivazione di contratti di lavoro intermittente (Fonte: Siler)

Allo scenario appena descritto va a sommarsi il trend

calante di stabilizzazioni contrattuali in regione. Il dato

relativo alle trasformazioni di contratto a tempo

11

indeterminato fa segnare un calo del 3,8% pari a 2.179

trasformazioni in meno rispetto al 2011. Nello specifico le

trasformazioni di contratti a tempo determinato calano

del -3,6% e quelle dei contratti di apprendistato, in linea

con l’andamento negativo già rilevato nel 2011, del 7%.

Figura 10 - Trasformazioni di contratto

(Fonte: Siler)

Cessazioni e legge Fornero

Nel 2012, i movimenti di cessazione superano i 920 mila in

aumento dell’1,9% rispetto al 2011. Della totalità delle

cessazioni i licenziamenti individuali rappresentano il 7,7%

e i licenziamenti collettivi lo 0,8% mentre la larga

maggioranza è rappresentata dalle cessazioni per “fine

rapporto a termine” (circa il 60%).

Mentre i licenziamenti collettivi rimangono

sostanzialmente stabili (+4,4% sul 2011), a crescere sono

soprattutto i licenziamenti individuali con un incremento

di 12,5 mila unità rispetto al 2011, spiegati totalmente

dall’aumento dei licenziamenti per giustificato motivo

oggettivo (+33%).

Ammortizzatori sociali e malessere

occupazionale

Una copertura in deroga e in trasformazione

Nel 2012 si superano i 90 milioni di ore autorizzate di CIG,

di cui circa la metà (45%) in deroga, continuando a segnare

un aumento del 16% rispetto al 2011. I primi 5 mesi del

2013 segnano ancora un aumento tendenziale del 4,6%,

arrivando ai 33 milioni di ore autorizzate. Nel 2012, il

manifatturiero assorbe il 60,4% delle ore autorizzate,

ovvero una quota in diminuzione rispetto al 76,1% del

2010. A crescere è il ricorso alla CIG delle imprese nei

servizi, in particolare nel commercio (da 6,5% di peso nel

2010 all’11% del 2012) e nelle attività del terziario “settore

K” (da 3,2% a 5,4%) e nella forme in deroga (dal 70% al

100% delle ore autorizzate per settore). La CIG in deroga,

inoltre, copre ovviamente le imprese artigiane ma, in

proporzione, sempre meno per una crescita dell’incidenza

del commercio.

Figura 11 – Cig in deroga per settori di intervento (Fonte: Inps)

A febbraio 2013, le domande di CIG in deroga sono state

complessivamente oltre 47 mila, di cui il 67% di CIG

ordinaria e di cui l’87,5% già concesse. Se le domande in

deroga crescono ad un ritmo del 2,9% annuo fino al 2012,

nei primi mesi del 2013 la crescita è del 5,3%: in soli 2 mesi

si è raggiunto il 41% delle domande presentate in tutto il

2012. Complessivamente i lavoratori coinvolti dalla deroga

sono stati 111,5 mila e le unità locali circa 17 mila, di cui

quasi la metà tra Modena (30%) e Bologna (19,5%) e tra il

meccanico (23,5%) e il commercio (16,5%).

Negli ultimi 14 mesi, le unità locali a cui è stata concessa la

Cig in deroga sono aumentate del 62% con spinte

maggiori a Modena (113%) e Ferrara (98%), spiegate dalla

“causale sisma”: circa 3 unità locali su 4 che hanno

richiesto la CIG in deroga con “causale sisma” sono nei

comuni delle due province.

Le iscrizioni alle liste di mobilità aumentano nel corso della

crisi di circa 12 mila iscrizioni all’anno in più. Gli ingressi

per licenziamenti collettivi raddoppiano tra il 2008 e 2010

per poi assestarsi sulle 7500 iscrizioni l’anno, mentre gli

ingressi per licenziamenti individuali raggiungono il

massimo (oltre 20 mila) nel 2012 (+16,5% rispetto al 2011,

mentre i licenziamenti collettivi segnano una flessione del

-2,6%). Complessivamente sono gli over40 anni a mostrare

i trend di crescita più alti ma l’ultimo anno ha visto un

12

sensibile aumento dei licenziamenti individuali per tutte le

classi di età.

L’essere in cassa integrazione impatta negativamente

sulla retribuzione: in media nel lavoro dipendente chi è in

CIG percepisce dal 68,3% (IV trimestre 2011) ad un

massimo di 81,6% della retribuzione media di un

lavoratore dipendente non in CIG.

Figura 12 - Rapporto tra retribuzione media di un lavoratore in CIG e non in CIG (Fonte: elaborazioni su Istat)

Indicatori di malessere occupazionale

La crescita del malessere occupazionale ha finalmente

spinto verso la sperimentazione di nuovi indicatori

alternativi al tasso di disoccupazione Istat. L’IRES ER

propone un tasso di sottoutilizzo considerando l’effetto

“scoraggiamento” e cassa integrazione con “tiraggio”:

9,7% in Emilia-Romagna nel 2012, con punte massime a

Ferrara (13,7%) e Rimini (13,9%) e minime a Reggio Emilia

(7,8%). Pur con un calcolo diverso, il tasso di sottoutilizzo

IRES ER sulle forze di lavoro si allinea al “tasso di malessere

occupazionale” regionale in cui, però, si conteggiano

dimensioni non sempre distinte e sul totale della

popolazione attiva.

Figura 13 - Tassi di malessere occupazionale (Fonte: elaborazione su dati Istat, IRES, ER)

Anche attraverso l’analisi del dato amministrativo delle

DID (Dichiarazioni di immediata disponibilità, presso il

centro per l’impiego), le persone potenzialmente in disagio

occupazionale sono circa 280 mila (ovvero circa la metà di

quanto enfaticamente indicato dal “tasso di malessere

occupazionale allargato”) ma con livelli di protezione

sociale diversa. A seconda dell’indicatore utilizzato si

evidenziano livelli di copertura del sistema di

ammortizzatori sociali diverso: il 65% di chi ricade nel

tasso di malessere occupazionale regionale ed il 47% di chi

ricade nel tasso di sottoutilizzo non ha potenzialmente

accesso ad un sostegno al reddito. La stessa

disoccupazione Istat, inoltre, è sempre più alimentata nel

2012 dalla componente non ex-occupata,

compromettendo l’accesso a forme di sostegno al reddito.

Welfare e reddito

Condizione economica: tra dati soggettivi e oggettivi

Nel 2012, il 49,7% delle famiglie in regione percepisce un

peggioramento della propria condizione economica

rispetto al 2011: nel Nord è il 53,6% e in Italia il 55,8%. Ma

è la tendenza crescente nel 2012 a preoccupare.

Figura 14 - Quote di famiglie che percepisce un peggioramento della situazione economica sul 2011 (Fonte: elaborazioni su Istat)

In termini di reddito disponibile procapite , l’Emilia-

Romagna (21.600) rimane sempre in terza posizione dopo

Bolzano (22.800) e Valle d’Aosta (22.500). In termini

nominali il reddito procapite in Emilia-Romagna è

cresciuto ancora del 2,2% nel 2011. Ma le variazioni

nominali non tengono conto del tasso di inflazione.

Calcolando le variazioni reali (Indice FOI anno base 1995) si

rileva come il 2011 sia il 4° anno consecutivo di

contrazione del reddito disponibile.

Figura 15 - Reddito disponibile procapite (trend reale e nominale) (Fonte: elaborazioni su Istat)

L’incidenza del reddito da lavoro dipendente sul reddito

disponibile passa dal 57,5% al 63,7% dal 2007 al 2011

13

evidenziando un crollo dei redditi da capitale: dal 25,8% al

18,7% a testimonianza di un atteggiamento più cauto

delle famiglie consumatrici e di una crisi più stringente

sulle famiglie produttrici (Imprese individuali). Il carico

fiscale e contributivo sul reddito disponibile è arrivato al

41,9% nel 2011 in Emilia-Romagna segnando un aumento

di oltre 3 punti percentuali dal 2007 compensata da un

incremento dell’incidenza delle prestazioni sociali di 4

punti percentuali (dal 25,4% al 29,4%).

I differenziali retributivi

La regione Emilia-Romagna si colloca in 3° posizione in

termini di retribuzione media e giornate retribuite medie

per lavoro dipendente dopo Lombardia e Piemonte. A

livello regionale è Bologna la provincia con la retribuzione

media più alta mentre Forlì Cesena con quella più bassa.

Chi ha un contratto temporaneo percepisce una

retribuzione per unità di tempo inferiore del 25% di chi ha

un contratto a tempo indeterminato. Chi lavora nei settori

manifatturieri in media percepisce una retribuzione più

alta del 12% rispetto alla media regionale mentre chi

lavora nei servizi vive condizioni molto diverse. Le attività

economiche con i livelli retributivi più bassi sono gli

alberghi e ristoranti (con circa il 38% in meno di

retribuzione per unità di tempo), l’istruzione (con il 25% in

meno), sanità e assistenza sociale (con circa il 30% in

meno) e i servizi alle famiglie (con circa il 35% in meno).

Tutti i raffronti per qualifica mostrano una disparità di

genere nella retribuzione media per giornata retribuita:

rispetto ai valori totali le lavoratrici dipendenti

percepiscono una retribuzione marginale di circa il 30% in

meno di quanto percepiscono i loro colleghi maschi.

Istruzione: una domanda sempre più straniera

La crescita delle iscrizioni scolastiche non è

controbilanciata da un adeguato aumento di classi con

l’effetto paradossale di un innalzamento di alunni per

classe, in un contesto in cui il numero di insegnanti statali

si è contratto di 2.325 unità.

Figura 16 - Rapporto iscritti/classe e insegnanti/classe (Fonte: Miur)

In Emilia-Romagna la crescita degli iscritti tra il 2009 ed il

2011 alle scuole d’infanzia è stata pari a +3,8% (4.138

unità) mentre i soli iscritti stranieri sono aumentati del

16,1% (2.167 unità), ovvero ad una velocità quattro volte

superiore. Nelle scuole primarie 4 su 10 iscritti in più tra il

2009 e 2011 è straniero, con punte massime per Piacenza

(8 su 10) e minime per Rimini (circa 2 su 10). Nelle scuole

secondarie di primo grado il numero di iscritti in più tra il

2009 ed il 2011 è nel 40% straniero: a Piacenza la crescita

degli iscritti è spiegata totalmente dagli stranieri in

quanto la componente italiana è invece in lieve flessione.

Nelle scuole secondarie di secondo grado il numero di

iscritti stranieri cresce rapidamente dal 2009 al 2011 del

17,1% mentre la totalità degli iscritti cresce solo dell’1,8%.

Se più di 4 italiani su 10 scelgono il percorso liceale, per i

ragazzi stranieri il rapporto scende a 1,5 su 10. Mentre se

poco meno di 6 studenti italiani su 10 scelgono un

percorso tecnico-professionale, per gli stranieri il rapporto

sale a più di 8 su 10.

In Emilia-Romagna, il tasso di abbandono scolastico al

2011 è pari al 13,9% ovvero una quota ben al di sotto del

livello nazionale (18,2%) ed anche ripartizionale (15,2%).

Pensioni

In Emilia-Romagna circa 1 residente su 3 al 2011 è

beneficiario di almeno una prestazione pensionistica

(invalidità, vecchiaia, superstiti, anzianità, indennitarie e

assistenziali): in Italia il rapporto è pari a 26,7%. In Emilia-

Romagna si concentra circa l’8% dei pensionati registrati

nel Casellario dei pensionati e nelle regioni del Nord quasi

la metà (48,4%). In regione circa l’80% dei beneficiari

riceve prestazioni di invalidità, vecchiaia, anzianità e

superstiti e solo il 4,7% assistenziali (9,1% in Italia). Il

72,7% di chi riceve prestazioni pensionistiche ha più di 65

anni. Il rapporto tra beneficiari di prestazioni

pensionistiche ed occupati è pari al 66% in Emilia-

Romagna contro il 71% in Italia e 82% nelle regioni del

Mezzogiorno.

Circa il 65% dei beneficiari del 2011 percepisce una sola

prestazione pensionistica mentre l’8,7% ne riceve tre

contemporaneamente con un impatto positivo

sull’importo medio (+38% rispetto alla media

regionale=16.895 annui €). Il 36% dei beneficiari riceve un

contributo medio al di sotto dei 1000 euro mensili (contro

il 44% in Italia).

Figura 17 - Beneficiari per classi di importo (Fonte: Casellario INPS)

Complessivamente il numero dei beneficiari pensionistici

di genere femminile rappresenta il 54% dei pensionati: tra

chi percepisce una sola prestazione pensionistica la quota

femminile scende in media al 48% per poi salire al 60,6% in

14

media tra chi è beneficiario di due prestazioni

pensionistiche e sale al 73,2% per chi ha 3 o più prestazioni

pensionistiche. In media le donne, pur rappresentando la

maggioranza dei pensionati, hanno un importo medio

pensionistico inferiore del’15,5% : il differenziale

dell’importo di genere si riduce, ma non si annulla, al

crescere delle prestazioni pensionistiche per pensionato.

Indicatori di povertà e vulnerabilità sociale nel BES

L’indice di povertà ed esclusione sociale sul quale si basa la

strategia “Europa 2020”, poggia su tre indicatori: l’indice

di deprivazione materiale, l’indice di rischio di povertà

relativa e l’ indice di persone che vivono in famiglie senza

occupati.

Figura 18 – Indicatori di povertà (Fonte: Eu Silc)

In dinamica è l’indice di grave deprivazione materiale a

raddoppiare nel corso della crisi passando dai circa 3% del

2009 ad oltre il 6,4% del 2011.

Il nostro osservatorio, però, tenta di andare oltre gli

indicatori della povertà utilizzati per abbracciare altre

misurazioni che sappiano più orientarsi verso un concetto

di vulnerabilità sociale. In primo luogo, quindi si sono

introdotte analisi sulle relazioni sociali per il benessere

della collettività. Se in Emilia-Romagna oltre l’80% dichiara

di “poter contare” su amici, parenti o vicini nei momenti di

difficoltà (a fronte di circa il 76% nazionale), solo il 22,7%

(20% a livello italiano) mostra di non avere fiducia negli

“altri”, inteso come comunità più allargata. Il quadro delle

relazioni sociali include anche le forme attive di impegno

sociale: circa il 10% della popolazione (9,7% a livello

nazionale) nel 2012 ha svolto attività gratuita per

associazioni o gruppi di volontariato, con una leggera

prevalenza dei maschi rispetto alle femmine.

Altro indicatore non economico preso in esame per

comprendere le condizioni di vulnerabilità sociale è la

disponibilità di servizi socio-assistenziali e socio sanitari.

Con 9,7 posti letto nei presidi residenziali socio-

assistenziali e sanitari per 1000 abitanti, l’Emilia-Romagna

si colloca in 8° posizione a livello nazionale. Diversamente

la regione è quella con la percentuale più alta (11,6%) di

anziani trattati in assistenza domiciliare integrata, con

una forte crescita a partire dal 2008 mostrando un

orientamento a privilegiare la domiciliarità dei servizi

rispetto al ricovero in strutture specifiche. Anche rispetto

alla quota di bambini di 0-2 anni che hanno usufruito dei

servizi per l’infanzia, l’Emilia-Romagna copre la prima

posizione a livello nazionale con il 29,4% nel 2010 (in Italia

il 14%).