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Editing: Ave GagliardiGrafica di copertina: Iacopo Bruno

I Edizione 2011

© 2011 - EDIZIONI PIEMME Spa20145 Milano - Via Tiziano, [email protected] - www.edizpiemme.it

Stampa: Mondadori Printing S.p.A. - Stabilimento NSM - Cles (Trento)

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Tra le montagne senza vita, sulla cima di un alto picco grigio, una donna sedeva in silenzio. Osservava sotto di sé l’immenso mare di nebbia che si stendeva immobile e

impenetrabile fino a confondersi con il cielo.Lo sguardo dei suoi occhi grigi era distaccato ma vigile, mentre

il vento le muoveva i riccioli neri e faceva oscillare la candida penna d’aquila che portava al collo.

D’un tratto la donna si alzò in piedi, strinse la piuma tra i denti e, facendo un passo oltre l’orlo del dirupo, cadde nel vuoto.

E mentre precipitava si liberò del suo aspetto umano: l’Aquila Bianca planò sopra la distesa di nebbia bianca, stendendo le grandi ali, subito inghiottita dalla densa foschia.

Il Regno delle Nebbie era silenzioso, avvolto in un’umidità calda e opprimente. L’Aquila Bianca sorvolò per miglia e miglia la pianura brulla, nient’altro che terra bruciata, attraversata da un fitto reticolo di fenditure.

Poi dalla desolazione emerse una torre. Un blocco di pietra nera, sfocato in mezzo alla bruma. Dietro di questa, un’altra, e un’altra, e un’altra ancora. Sotto lo sguardo del rapace, centinaia di torri presero a raggrupparsi, ad arrampicarsi l’una sull’altra svettando come un’unica immensa guglia oscura.

L’Aquila Bianca salì verso il cielo, risalendo lungo il pinnacolo più alto, tanto elevato da trafiggere con la sua cima la cappa di

Prologo

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Alba e Crepuscolo

nebbia. Con un potente colpo d’ali riemerse dalle nuvole, staglian-dosi contro il cielo limpido.

Sulle pareti nere era ritagliata un’unica piccola finestra. Su questa l’Aquila Bianca si posò, scrutando l’oscurità che regnava all’interno. Nell’ombra poteva intravedere la sagoma di un uomo, appeso alla parete per le braccia.

Era giovane, il colorito olivastro, i capelli biondi e lunghi che gli nascondevano il viso. Il suo corpo, dalla muscolatura eccessiva-mente possente, era sporco e martoriato da ustioni, graffi e sfregi.

Il suo petto si alzava e si abbassava lentamente, il respiro gli scivolava via dalle labbra in un rantolo sommesso.

L’Aquila Bianca trasalì quando il silenzio assoluto venne sfondato dall’improvviso frastuono del pesante uscio che si apriva.

Il giovane alzò lo sguardo con uno scatto, troppo fulmineo per un uomo così gravemente ferito. Dalla tenebra del suo sguardo affiorò un’iride gialla, spaccata da una pupilla verticale. Il viso venne deformato da un ringhio, e le gengive si spaccarono quando i suoi canini si allungarono in due zanne bianche e appuntite.

Quando la porta si aprì del tutto, il ragazzo ruggì profondamente, come una belva.

Una figura scura schermò la luce improvvisa, gettando una lunga ombra sul pavimento.

– Sembra che il tuo corpo resista bene – constatò il Signore delle Nebbie avvicinandosi.

Quando fu a un passo di distanza, il giovane fece scattare il collo come un serpente, cercando di morderlo. Le sue zanne si chiusero a vuoto con uno schiocco secco.

Malbrek tese il braccio destro e affondò gli artigli nel suo petto, poi mosse rapidamente la mano verso il basso.

Il giovane urlò.

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Prologo

Nel suo petto sanguinante era profondamente impresso il tri-plice sfregio.

Il Signore delle Nebbie fece un passo indietro, rimase immobile per qualche istante, poi voltò il capo verso la finestra.

Incrociando il suo sguardo, l’Aquila Bianca si immobilizzò. Dall’ombra del cappuccio di Malbrek affiorò un sorriso.

L’Aquila Bianca si girò fulminea e spiccò il volo, rituffandosi nella nebbia.

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Keron si alzò dalla terra: il suo corpo era enorme e grinzoso, il suo viso orribile e zannuto lo rendeva simile a un cinghiale. Chinò la grande testa verso il suolo, guardando Redon nelle pupille.

Poi disse: – Ecco Redon il Limpido che accorre a implorare aiuto alla tana del gigante. Sembra una lepre che si rifugia presso un orso…

Eynis alzò lo sguardo. I suoi occhi verdi fissarono, senza vederle, le montagne oltre la finestra. Gli ultimi raggi del sole al tramonto colpivano il libro appoggiato sulle sue ginocchia e accendevano di luce un disegno miniato dai colori vivaci: l’eroe del poema, nel suo mantello color del sole, tendeva una mano verso il gigante Keron, e sembrava quasi illuminare la spelonca del mostro.

Eynis chiuse di scatto il volume pregiato. Il titolo impresso in oro sulla pelle della copertina brillò nell’aria che imbruniva: Le avventure di Redon il Limpido.

La biblioteca dei Ribelli, incredibilmente ben fornita, occupava un’intera sala ai piani più alti del mastio. Le pareti laterali erano coperte da enormi scaffali, alti fino al soffitto, ricolmi di libri. Il resto della stanza era tagliato trasversalmente da librerie basse e da alcuni tavoli robusti. A Eynis ricordava la biblioteca di Idahla, la città degli Elfi Silvani immersa nella foresta di Feyra Haillen da cui era partita con Jadifh di nascosto dagli altri membri della Compagnia.

La ragazza appoggiò la fronte al vetro della finestra e socchiuse

1.Una scelta difficile

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Alba e Crepuscolo

gli occhi. Era tramontato il quarto giorno dal suo arrivo nella Città delle Cento Torri.

Quel soggiorno, seppur breve, era stato insopportabile. Eryn, la gemella di cui aveva appena scoperto l’esistenza, dopo quell’unica volta in cui si erano parlate, pareva non far caso alla sua presenza e, quando casualmente si incrociavano, il suo sguardo dorato l’attra-versava come fosse trasparente. Per Eynis, che per trovarla aveva abbandonato i suoi amici e attraversato tutta Nadesh, quell’indif-ferenza era più insopportabile di un odio dichiarato.

In quella città estranea la ragazza si sarebbe sentita completa-mente sola se non fosse stato per i due fratelli elfi, Faewin e Fowean, simili nel nome come nell’aspetto. Erano elfi di Nebera, di costi-tuzione più massiccia e modi più austeri rispetto agli Elfi Silvani. Erano arrivati alla Città dei Ribelli quattordici anni prima, poco dopo la sua fondazione, come semplici ambasciatori della valle di Nebera. Presto però avevano abbandonato la politica cauta della propria nazione per combattere Pseudos al loro fianco.

Erano stati i due elfi a portare Eynis in giro per il palazzo e per la città, mostrandole ogni luogo. Con loro la giovane intratteneva lunghe conversazioni in elfico, che ormai parlava correntemente.

La biblioteca era ormai immersa nell’oscurità, quando la ragazza si alzò per tornare nella sua stanza. Proprio in quel momento la porta si aprì e sulla soglia apparve la sagoma di Eryn.

Eynis trasalì, e rimase immobile nell’ombra. Anche l’altra alla vista della sorella si fermò, esitò qualche secondo, poi avanzò reg-gendo tra le braccia una pila di libri e, distogliendo lo sguardo, si avvicinò a una libreria dove prese a riporre i volumi al loro posto.

Entrambe sentivano la reciproca presenza pulsare prepoten-temente. Entrambe, in quella biblioteca, ebbero l’occasione di guardarsi negli occhi e di incontrarsi.

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Una scelta difficile

Entrambe tacquero.

Tutta la famiglia è seduta a tavola. La moglie del cacciatore riempie le ciotole di minestra. I ragazzi discutono: a chi tocca lavare i piatti oggi?

– Io li ho lavati ieri – dichiara Eynis.– Io ho cucinato – dice Rebecca.– Io sono il maggiore – ribatte Gerde.– Li lava Eynis – afferma Ferde, deciso. – Ma no, tocca a te! – protesta lei.– Invece li laverai tu – sorride Ferde fissandola negli occhi. – Perché

io penso sempre a te, sorellina, ti proteggo e ti vengo a recuperare quando combini qualche guaio. Anche stavolta sono venuto a prenderti, non è così?

Eynis resta in silenzio, turbata. L’espressione di Ferde cambia, si fa cupa, piena di rancore: – Sei

scappata da casa e io ti ho seguita. E guarda come sono finito! Le fiamme divampano, la città brucia, Zyss è un mare di fuoco.

In mezzo a quell’incendio Ferde ripete: – Guardami, Eynis! È colpa tua! –. Il suo volto è nero, irriconoscibile, consumato dal fuoco.

Eynis crollò a terra. Si trovò col viso premuto contro la pietra grigia del pavimento. Rimase a fissarla a occhi spalancati. La sua mente era invasa dalle fiamme, la sua vista occupata da immagini di morte.

Sbarrò gli occhi ancora di più e finalmente capì che stava so-gnando e che, in preda all’incubo, era caduta dal letto. La pietra sotto il suo viso era bagnata: stava piangendo. Si mise a sedere avvolgendosi nelle coperte e rimase a terra, guardandosi attorno nella penombra del primo mattino. Aveva sonno, ma non voleva chiudere gli occhi: le fiamme che avevano ucciso suo fratello bruciavano ancora nella sua memoria. Infine barcollò verso la

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Alba e Crepuscolo

finestra e aprì gli scuri. Un soffio di vento fresco scivolò nella stanza, gonfiandole la camicia e scompigliandole i capelli.

Si lavò e si vestì in fretta, con un senso di sollievo crescente man mano che la luce del giorno dissolveva le ultime ombre dell’incubo. Poi si diresse verso le cucine.

I corridoi erano pieni di gente e molti la fissavano sbalorditi notando la sua impressionante somiglianza con la gemella, oppure la scambiavano per lei, schivandola con un vago timore.

Eynis era decisa ad affrontare Eryn quel giorno stesso, e a chie-derle per quale motivo fosse così mal disposta nei suoi confronti.

Attraversò i lunghi corridoi e arrivò nelle cucine, dove sperava di incontrarla: fu subito stordita dal caldo e dal miscuglio di odori che riempivano l’aria. Al lungo tavolo di legno che occupava il centro del locale erano seduti molti uomini intenti a mangiare. Eryn non era nella stanza.

Eynis sospirò. Attorno alla tavolata si muovevano frettolosamen-te le donne che cuocevano e servivano il cibo. Avevano lasciato la propria terra per sfuggire ai soldati di Pseudos e ora facevano per i Ribelli quello che un tempo facevano per la loro famiglia. Venivano da ogni angolo di Nadesh, e la carnagione olivastra delle donne di Raden si mescolava ai capelli biondi delle Vahlsiane.

In quel momento incrociò Sara, la giovane che si era presa cura di lei in quei giorni, che passava con aria indaffarata reggendo tra le braccia dei sacchetti di tela.

– Ti scaldo un po’ di latte – disse a Eynis a mo’ di buongiorno. La ragazza ringraziò, prese una pagnotta da un vassoio e si sedette al tavolo.

D’un tratto, sentì una grande mano posarsi sulla sua spalla. Trasalì e si girò di scatto. Gli occhi di Jadifh spiccavano come stelle sulla sua pelle scura.

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Una scelta difficile

Eynis sentì un brivido afferrarle la nuca e allo stesso tempo un peso angoscioso premerle sul petto. Era l’ultima persona che voleva incontrare.

– Buon giorno – disse Jadifh, e accennò un sorriso.Presa da una rabbia improvvisa, Eynis si girò di scatto. – Lo era,

forse, un buon giorno, prima di incontrarti – ribatté.Jadifh attese un attimo, poi si sedette al suo fianco, chinandosi

per incontrare i suoi occhi. – Sei di cattivo umore?Eynis lo incenerì con uno sguardo. – Mi prendi in giro?– Hai ragione. Lo so… –. Poi, dopo un’esitazione aggiunse:

– Senti, Eynis, non possiamo far finta di niente?Far finta di niente?! Dopo che lui l’aveva ingannata e delusa?

Dopo che le aveva taciuto dell’esistenza di Eryn, nonostante sapesse con che disperazione cercava un membro del suo clan sopravvissuto alla strage dei Mohrger?

Eynis strinse i pugni, sentendo la propria magia ribollirle in corpo, e pregò che Jadifh se ne andasse prima che lei commettesse uno sproposito.

Il ragazzo invece la guardò negli occhi ancora più intensamente. – Neanche se ti chiedo scusa? – continuò.

Eynis si sentì vibrare di indignazione e serrò ancora di più i pugni.

– Su… Eynis, dai… – Jadifh le prese piano il mento e le girò il viso per costringerla a guardarlo.

Quella fu la goccia. La ragazza gli schiaffeggiò via la mano e balzò in piedi di scatto, pronta a esplodere in una sfuriata. Lui guardava dal basso, a bocca aperta, con un’espressione confusa da bimbo pentito.

Eynis rimase sbigottita, sentendo quanto lo amava. Chiuse la bocca e si precipitò fuori dalla stanza.

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Alba e Crepuscolo

Camminava in fretta senza avere un’idea di dove stesse an-dando. Se non ci fosse stato Jadifh sarebbe stato tutto molto più semplice. Se lei non se ne fosse invaghita sarebbe stato tutto molto più semplice.

Si accorse che i passi l’avevano guidata all’aperto solo quando la luce del mattino la inondò. Si trovava su un’ampia terrazza. Un gruppo di Scuri sedeva sul parapetto, contro lo sfondo delle montagne, conversando a voce bassa, con aria accigliata.

Tra loro c’era Eryn. Era l’occasione che Eynis aspettava per parlarle. Inspirò più

volte, lottando contro l’impulso di girare i tacchi e lasciar perdere, poi avanzò, cogliendo stralci della conversazione.

– …Gli attacchi di Pseudos ai villaggi si stanno facendo siste-matici…

– La cosa inquietante – intervenne Eryn – è che Pseudos sembra sapere sempre quali sono i nostri alleati.

– E anche i nostri piani – disse un altro – tanto che tutte le nostre ultime operazioni si sono rivelate dei fallimenti…

La conversazione morì nell’avvilimento generale.Eynis si fermò a un passo dal gruppo. Sembravano non averla

notata. O, forse, non la degnavano di attenzione.La ragazza aspettò qualche secondo, poi mormorò alla sorella:

– Eryn, vorresti parlare un momento con me? L’altra si girò piano e i suoi occhi gialli si scurirono. – No – disse

dopo un attimo di silenzio.Eynis rimase sconcertata: – Ma… perché?– Non ne ho voglia – fu la placida risposta.Eynis si sentì ghiacciare. Abbassò il capo mentre le montava

dentro un’onda di sconforto. – Allora – disse a stento – non ho più niente da fare qui.

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Una scelta difficile

– Non l’hai mai avuto –. Eryn le voltò le spalle.Per un attimo Eynis esitò, pensando che si sarebbe girata di

nuovo. Intercettò gli sguardi vagamente incuriositi degli Scuri, poi si voltò a sua volta, e si allontanò a grandi falcate.

Ora era veramente certa che tutto era stato inutile, che non aveva più alcun motivo per restare in quella città.

Si addentrò di nuovo nel castello, dove il freddo della pietra l’escluse dal tepore di quel mattino di tarda primavera.

E Jadifh? Eynis scosse la testa. Jadifh non era un motivo valido per trattenerla. Anzi, prima se ne fosse allontanata, meno avrebbe rischiato di legarsi a lui ancora di più.

Si sentiva vuota, come se il rifiuto di Eryn le avesse tolto qual-cosa che aveva solo intravisto senza mai ottenerlo. E avvertiva un dolore quasi fisico, come se qualcuno stesse strappando via i punti a una ferita ancora fresca.

In quel momento ebbe paura, perché all’improvviso capì che l’unica scelta che aveva davanti era la più difficile. Separarsi da Jadifh le procurava un dolore lancinante, ma sapeva di non poter restare lì, vicino a Eryn. Non era abbastanza forte. Era umiliante riconoscerlo, ma era la verità.

Raggiunta la sua stanza, si chiuse dentro. Dalla finestra entrava un fascio di luce chiara che rendeva vivide le pareti dipinte di azzurro. Si appoggiò al davanzale e inspirò a fondo. L’aria fresca e profumata portava con sé un vago sentore dell’estate che si avvicinava.

Malgrado fosse oppressa dal peso della decisione che aveva preso, la ragazza si sentì schiarire la mente. Tirò fuori da sotto il letto uno zaino consunto, lo stesso che lei e Jadifh avevano usato viaggiando insieme. Lo riempì del necessario, quindi sospirò e si afferrò i capelli, spostandoli dalla fronte. Estrasse il suo pugnale,

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Alba e Crepuscolo

fissò la lama lucente e incontrò il riflesso del proprio sguardo verde. Afferrò una ciocca e la recise con un colpo netto. Seguì con lo sguardo i fili sottili che scivolavano a terra come seta. Annebbiata, ne prese un’altra e mozzò anche quella. Si affondò le mani tra i capelli, e li amputò ciocca per ciocca, mutilando la chioma con una rabbia frenetica. Quando l’ultimo ciuffo le cadde in grembo, rimase ferma, smarrita, sfiorandosi la nuca scoperta. Attraverso la frangia disordinata vedeva, al di là della finestra, la valle cupa e sola, imprigionata tra le montagne.

Si accorse di avere paura.

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