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Supervisore del testo: Davide Morosinotto

Impaginazione e redazione: Evoluzione Alfa

I Edizione 2011

© 2011 - EDIZIONI PIEMME Spa 20145 Milano - Via Tiziano, 32 [email protected] - www.edizpiemme.it

Stampa: Mondadori Printing S.p.A. - Stabilimento NSM - Cles (Trento)

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2 luglio 2078. lonDra, inghilterra

Era ancora viva, e questo la terrorizzò. Non era possibile: doveva essere morta. Fatta a pezzi, incenerita, polverizzata. E invece, respirava.

Il cuore iniziò a batterle all’impazzata nel torace, mentre la paura saliva come una calda ondata di marea. La dottoressa Lily Carlyle aprì la bocca, e le labbra, secche e aride, si spaccarono riversando sulla lingua gocce di sangue salato.

Gridò. Sentì le vibrazioni nella gola, ma nessun rumore. Era sorda. E cieca.

L’aria era incandescente, fuoco liquido a ogni respiro.– Stia calma, dottoressa. Andrà tutto bene.Lily impiegò un istante per riconoscere la voce di Sven. Colpa

del ronzio che le trapanava il cervello.– Non… non ci vedo… – rantolò.– Lasci ai suoi occhi il tempo di abituarsi. È l’effetto dell’esplo-

sione. Passerà presto.

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la guerra Dell’aCqua

«L’esplosione…»I ricordi cominciarono a riafforare alla mente ancora anneb-

biata di Lily Carlyle, mentre l’angoscia le attanagliava la gola a ondate crescenti. Circa un mese prima, si era fatta convincere da un eccentrico miliardario di nome Thomas Simon a collaborare a un progetto di ricerca avveniristico, ai limiti del visionario. Una cosa, più di tutte, l’aveva persuasa: il fatto che avrebbe potuto continuare le sue ricerche su ALFA-12, una forma di energia scoperta di recente, le cui proprietà e i cui effetti erano ancora tutti da approfondire. Lily era anzi convinta che proprio ALFA-12 fosse la causa degli stravolgimenti e dei cataclismi che, con sempre maggior frequenza, stavano sconvolgendo il pianeta. Ma quello non avrebbe mai potuto prevederlo…

Al momento dell’esplosione, Lily si trovava in elicottero, un moderno Agusta della Simon Researches, pilotato da Sven, un ex ufficiale dei corpi speciali della marina svedese alle dipendenze di Simon. Erano decollati da Dover ed erano arrivati sopra Lon-dra per raggiungere i laboratori della fondazione. A un tratto il colonnello aveva detto: «Dannazione!» e il cielo si era riempito di fulmini, e…

«Due luglio duemilasettantotto» pensò Lily in preda alla dispe-razione. «Il giorno della fine del mondo.»

– Riesce a muoversi? Credo sia meglio uscire di qui.Lily cercò di annuire. Sven aveva ragione, i suoi occhi cominciava-

no ad abituarsi. Il mondo si popolò di ombre scure e luci abbaglianti, poi la dottoressa iniziò a riconoscere qualche forma. Oggetti.

– Vuole uscire? – domandò a Sven. – Questo significa che… siamo… atterrati?

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Prologo

– Direi che “schiantati” è un termine più appropriato.Con la vista tornarono altri ricordi.Lily si era collegata a Internet usando la linea riservata dell’eli-

cottero. Aveva trovato un’e-mail di Thomas Simon e aveva ca-pito che era successo qualcosa di tragico. Era tornata in cabina di pilotaggio e il colonnello le aveva spiegato che dovevano alzarsi sopra le nubi, altrimenti la tempesta magnetica li avrebbe colpiti.

Poi il cielo era diventato color mattone, denso come sangue. E c’erano stati i fulmini. E l’elicottero…

Lily urlò, di nuovo, al punto di temere che le si spezzassero le corde vocali. Lei doveva essere morta! Non si sopravvive a uno schianto che trasforma un elicottero in una palla di fuoco.

Sven le appoggiò una mano sulla guancia, dita asciutte e fresche contro la pelle: – Si calmi, davvero. Ce l’abbiamo fatta.

Finalmente Lily riuscì a mettere a fuoco il volto del compagno, capelli grigi tagliati a spazzola e occhi chiari. Sven indossava ancora l’uniforme da poliziotto che aveva rubato a Dover, con il distintivo luccicante e il colletto inamidato. Sembrava appena uscito da una lavanderia, anziché da un disastro aereo.

– Va tutto bene.La dottoressa Carlyle scosse la testa. “Bene” era tutto fuorché

quello.

L’Agusta AW-109Z Power II era stato un elicottero di lusso. La cabina dalle linee affusolate era formata da ampi parabrezza fumè, sorretti da montanti sottili.

Ora del velivolo non esisteva più niente, o quasi. I vetri non c’erano più, le cloche si erano mutate in mozziconi di plastica fusa,

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la strumentazione di bordo era scomparsa. Davanti a Lily solo un muro di cemento armato, grigio e coperto di crepe, e sopra la sua testa i resti di un palazzo, travi spezzate in due, fili elettrici pen-zolanti. L’elicottero si trovava dentro un edificio, che aveva fatto saltare in aria come una gigantesca bomba a mano.

Quello che avevano distrutto dall’interno era un ufficio; forse la sede di una grande azienda. Le sembrava di intravedere una scrivania accartocciata e alcuni computer fatti a pezzi.

Il colonnello le parlò dolcemente: – Ho provato a mantenere il controllo dell’elicottero, ma la tempesta ci ha presi in pieno. I comandi sono impazziti. Siamo caduti giù. L’elica ha urtato qualcosa, credo un palo della luce o un’antenna parabolica, e si è staccata dall’albero rotore. Noi ci siamo infilati in questo palazzo, distruggendo tutto al nostro passaggio.

– Non è possibile – disse Lily.– Ma non è la cosa più strana. Si guardi i vestiti. E la poltrona

su cui è seduta.La dottoressa obbedì. Sbatté le palpebre, più volte, come se

il suo cervello si rifiutasse di mettere a fuoco quello che vedeva. I suoi abiti erano immacolati. Be’, non proprio: Lily li indossava

ormai da cinque giorni filati, durante i quali era stata in un sotto-marino e poi in prigione; l’avevano interrogata e non si era potuta fare una doccia. Camicia e jeans erano spiegazzati e macchiati.

Ma non erano stati ridotti in cenere. Nella devastazione che la circondava, Lily non si era nemmeno impolverata. La poltrona su cui era seduta era intatta, e in grembo la dottoressa teneva ancora il computer portatile. Senza un graffio.

– È…

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Prologo

– …assurdo, già – completò il colonnello. – L’elicottero si è trasformato in una palla di fuoco ed è esploso. Ma noi abbiamo resistito all’urto, insieme a tutto ciò che si trovava in un raggio di pochi centimetri dal nostro corpo.

Il colonnello allungò un braccio verso Lily, mostrandole il suo orologio, perfettamente funzionante.

Era incredibile. Ma Lily non aveva tempo per rifletterci, adesso.Stava recuperando la lucidità, e con essa la memoria del disa-

stro. Prima di perdere i sensi, aveva visto la terra frantumarsi, il Tamigi che traboccava e investiva strade e automobili… Londra doveva essere nel caos. C’erano morti da estrarre dalle macerie, e feriti cui prestare soccorso.

– Mi dia una mano, colonnello. Usciamo di qui e diamoci da fare.Sven riuscì ad arrampicarsi fuori dall’abitacolo distrutto, fino al

tettuccio dove si trovava il troncone spezzato del rotore principale. Lily lo seguì, stringendo il computer portatile.

– Non era meglio lasciarlo in cabina? – domandò Sven.– Se le mie simulazioni sono giuste, là fuori è scoppiata l’apo-

calisse. Comunicazioni troncate, server di Internet fuori uso. In questo computer si trova forse l’ultima copia esistente dei progetti del signor Simon per costruire la Shelron… è importante portarlo con noi. Glielo dobbiamo.

Il colonnello annuì. Lily sapeva che l’ex ufficiale della marina svedese era legato al giovane miliardario da un profondo sentimento di lealtà. E la Shelron, l’avveniristico progetto per cui Simon aveva richiesto la sua collaborazione, era troppo importante: una nave in grado di resistere a ogni sollecitazione, raggiungendo altezze impensabili o profondità smisurate.

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Un progetto che, Lily lo percepiva, dopo quella catastrofe era diventato ancora più prezioso.

Insieme, lei e Sven si calarono dall’elicottero, saltando sulle macerie di un muro crollato.

Il silenzio del palazzo sventrato era così profondo da mettere i brividi. Fogli di carta fluttuavano nell’aria come uccelli moribondi, atterrando muti su scrivanie divelte, archivi, chassis di computer ritorti, sedie con le rotelle spezzate. Qua e là, i muri erano coperti da macchie e schizzi color marrone scuro.

Lily impiegò qualche secondo a capire di cosa si trattasse, e un conato di vomito le strinse la gola, costringendola a piegarsi sulle ginocchia.

– Non guardi, dottoressa – la invitò Sven. – Sono tutti morti, non possiamo fare niente per loro. Piuttosto venga qui… e mi dica che non sto sognando.

Lily aveva preso a tremare. Niente di quello che la circondava poteva essere vero: non l’elicottero fuso come formaggio in padella, non il palazzo devastato. Ogni cellula del suo corpo le gridava che quello era solo un incubo, e presto si sarebbe risvegliata.

Si asciugò la bocca con la manica della camicia e a tentoni camminò fino al punto dove si trovava Sven, in piedi accanto a una grande finestra senza più vetri.

Il colonnello la afferrò per un gomito e indicò il panorama.– Si tenga forte – la avvertì. – È oltre ogni immaginazione.

Prima di rovinare al suolo, Lily e Sven stavano sorvolando Westminster, il cuore della metropoli di Londra.

L’elicottero, precipitando, aveva demolito l’edificio dirimpetto

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Prologo

al Big Ben e alla House of Parliament. Che però non erano più i monumenti visti migliaia di volte.

La torre dell’orologio più famosa del mondo pendeva di lato, in una grottesca imitazione dell’italiana torre di Pisa. Il tetto si era staccato e si era schiantato al suolo.

Accanto al campanile, le guglie del Parlamento sembravano aver subito miglior fortuna. Questo almeno fu il pensiero di Lily finché Sven non le indicò con il dito di guardare più a sinistra, in direzione del Westminster Bridge.

Era come se qualcuno avesse preso una foto della House of Parliament e l’avesse strappata in due. Un’intera ala del palazzo era semplicemente scomparsa, e al suo posto restavano solo pie-tre e bordi frastagliati. La strada era spezzata in due. Il ponte non esisteva più.

Al di là del taglio netto, dello strappo che si era aperto nel terreno, c’erano solo nuvole. Aria.

Niente più Tamigi, e gli altri edifici, e gli alberi, e la ruota panoramica sulla riva opposta del fiume. Al loro posto, solo cielo color carne e nuvole scure di elettricità.

– Aiuto… – gemette Lily, e la gola le si chiuse.All’improvviso le ritornò alla mente un’immagine, l’ultima

cosa che aveva visto prima che l’elicottero precipitasse. Dall’alto, mentre lei e Sven assistevano alla morte della città, Lily aveva visto il quartiere di Westminster prendere il volo. La strada si era sbriciolata, e l’intero isolato si era sollevato da terra come una gigantesca mongolfiera. Le fondamenta dei palazzi erano state strappate via, i tubi delle fognature si erano spezzati come grissini.

Era stata una scena così sconvolgente che Lily si era rifiutata

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di crederci e il suo cervello l’aveva semplicemente rimossa. Ma adesso era di nuovo lì, davanti ai suoi occhi.

Westminster stava volando. Lily e Sven si trovavano su un’isola. Che galleggiava. Nell’aria.

E nell’aria galleggiavano il Parlamento, il Big Ben, una stazione della metro. Lungo la strada si vedevano auto in fiamme, pullman schiacciati come lattine vuote, persone sdraiate a terra e immobili.

– È assurdo – mormorò la dottoressa.L’esplosione dell’elicottero aveva distrutto la Portcullis House,

che custodiva gli uffici di buona parte del Parlamento inglese. Il velivolo era avvampato come un fiammifero, eppure Lily e Sven non avevano un solo osso rotto, nemmeno una sbucciatura. E un pezzo di Londra si era sollevato da terra e volava come una nuvola.

Il colonnello si ripiegò i pantaloni fino al ginocchio. Sopra il calzino destro era allacciata una fondina di cuoio da cui spuntava un tozzo pugnale.

Sven sfoderò la sua arma, la rigirò tra le mani, quindi con un gesto fluido fece scorrere la lama sul palmo sinistro.

Comparve una sottile striscia di sangue, e l’uomo sorrise.– Perché l’ha fatto? – domandò Lily.– Avverto il dolore. Non sono più invulnerabile – spiegò lui.

– Avevo bisogno di qualcosa di normale in questa follia.

La dottoressa Carlyle e il colonnello Sven uscirono dalla Portcul-lis House attraverso scale sventrate, passando per le rovine della stazione della metropolitana di Westminster.

Fuori il cielo aveva il colore del fango, e le folgori continuavano a cadere.

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Prologo

Ovunque c’erano alberi abbattuti, auto sfasciate, cadaveri. Ma Lily non li vedeva più, o meglio, registrava la loro presenza con distacco, come se tutto quello non fosse reale ma una specie di sofisticato videogioco in cui era stata catapultata.

Sven la guidò fino al punto in cui, nella vecchia Londra, Bridge Street si interrompeva per far posto al ponte sul Tamigi.

Quello era il confine della loro isola, e Lily si affacciò e trat-tenne il fiato. L’intera metropoli si stava dividendo in blocchi che andavano da pochi metri a diversi chilometri. Galleggiavano nell’aria a diverse altezze, tutto intorno a loro, in uno scenario di tragica bellezza. Il fiume era svanito fino all’ultima goccia. Sulle altre isole si vedevano incendi, alti pennacchi di fumo scuro, alberi che crollavano e cadevano giù, nell’abisso.

– Cosa dobbiamo aspettarci, adesso? – chiese il colonnello.Lily si sforzò di riflettere.– Nelle mie previsioni non c’era niente del genere – mormorò.

– Dovrei fare dei calcoli…L’uomo le sorrise, e solo in quel momento Lily si rese conto delle

rughe che gli circondavano gli occhi. Anche lui era stanchissimo, e sconvolto.

– Credo che mi accontenterò di un parere approssimativo.– Il fenomeno non si è ancora assestato – dichiarò Lily. – La

tempesta magnetica continua, e anzi diventa più forte.La dottoressa si sporse oltre il confine dell’isola, verso il vuoto,

e indicò la terraferma, che ora si trovava diverse centinaia di metri più in basso. – Il suolo, la superficie del pianeta, si sta contraendo. Nuove isole si staccheranno e inizieranno a galleggiare qui intor-no, spinte da… spinte da non so che cosa. Se le isole saranno in

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numero sufficiente, con massa sufficiente, e se il fenomeno sta coinvolgendo anche altre zone nel mondo…

– Sì?– Il pianeta potrebbe implodere. Potrebbero restare solo queste

isole volanti. Senza più Terra.Il colonnello sospirò e si sedette. Lily gli appoggiò una mano

sulla spalla. – La mia è solo una supposizione. In realtà non ho idea di cosa

stia accadendo, proprio come lei. Perciò non deve…– Lily…– Sì?– Io direi di cominciare a darci del tu.La giovane donna annuì, sorpresa. – Certo, colonnel…– Il mio nome è Julius.Lily e Sven tornarono verso la Portcullis House.– Secondo lei… secondo te, Julius, quando arriveranno i soccorsi?Il colonnello aveva recuperato tutta la sua abituale impassibi-

lità e ora apriva la strada tra le macerie, guardandosi attorno con l’occhio allenato di un cacciatore in azione.

– Non arriveranno – rispose. – Abbiamo avuto la fortuna, o la sfortuna a seconda dei punti di vista, di schiantarci nel cuore pulsante di Londra. Ci troviamo a una manciata di metri dalla residenza del Primo Ministro, a Downing Street. In Gran Bretagna non c’è posto più protetto di questo, i tetti degli edifici di solito sono infestati da cecchini delle forze speciali. Eppure, guardati intorno.

Lily annuì, capendo dove voleva arrivare il suo compagno di viaggio.

– Siamo le uniche persone ancora vive – osservò.

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Prologo

– Proprio così. E questo significa che dobbiamo cavarcela da soli.Il colonnello aveva ragione. Westminster era diventato un

gigantesco cimitero a cielo aperto.Poco prima di precipitare, Lily ricordava di aver visto automo-

bili, gente che gridava e cercava aiuto, vita. Adesso non c’era più nessuno. Silenzio.

– Qualcuno mi aiuti…– Come hai detto? – chiese Sven.Lily gli fece cenno di tacere. Aveva sentito anche lei quella

voce, poco più di un pigolio lontano.– Viene da quella parte! – esclamò.Si diressero di corsa verso l’edificio che ospitava la St. Stephen’s

Tavern, un vecchio pub all’angolo della strada.Un Double Decker, un autobus a due piani, si era schiantato

contro la facciata del palazzo. Era un vecchissimo Routemaster, uno di quei modelli di un secolo addietro che ormai veniva usato solo dai turisti. Il muso accanto alla cabina di guida si era accartocciato e aveva sfondato la parte superiore del tettuccio.

Lily appoggiò una mano contro la fiancata di metallo e si rese conto che autista e passeggeri erano tutti cadaveri. Ma l’urto del bus contro il palazzo non poteva essere stato così violento da uc-cidere tutti. E quindi?

– Aiutatemi… – ripeté la voce.– Qui – disse Sven indicando il cofano divelto della vettura.

– C’è qualcuno incastrato tra l’autobus e il muro.– Ma è impossibile! – protestò Lily. – Come può essere ancora vivo?Sven si limitò a sollevare un sopracciglio. Loro erano scampati

a un incidente ben più grave.

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Il colonnello aiutò Lily ad arrampicarsi oltre i finestrini rotti ed entrare nell’autobus. La dottoressa si impose di non guardare i passeggeri.

Raggiunse il posto di guida, trattenne il respiro e spinse di lato il corpo dell’autista, che si accartocciò sul pavimento come una bambola.

Lily rabbrividì e si sedette al suo posto.– Cosa… cosa devo fare?– È facile – la tranquillizzò il colonnello dall’esterno. – Questi

macinini hanno il cambio automatico. Sempre che il motore funzioni ancora.

Ebbero fortuna. La dottoressa mise in moto seguendo le istruzioni di Sven e innestò la retromarcia.

Il Double Decker cominciò a muoversi all’indietro, accompa-gnato dal suono ritmico di una sirena a tutto volume. Il muso si scollò dal palazzo con un terribile rumore di lamiera, e Lily vide il colonnello correre in avanti, chinarsi, risollevarsi dopo un istante tenendo qualcuno sotto braccio.

Era un ragazzo sulla ventina, con un grosso anello al naso e i capelli colorati d’azzurro, verde e rosa chiaro.

– È vivo? – domandò ansiosa.Il ragazzo alzò la testa verso di lei, piantandole addosso due

occhi cerchiati di eyeliner. – Ehi – rispose. – Grazie per avermi tirato fuori, amici… L’au-

tobus mi stava per soffocare.Sven sorrise e alzò il pollice in segno di vittoria.– Allora ci sono dei sopravvissuti. Non siamo i soli ad avere la

pelle a prova di esplosione!Lily scoppiò a ridere. Era la migliore notizia della giornata.

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