IhJ · 2017-01-16 · AI MAXXI di Roma un'importante retrospettiv sulla a cas a unifamiliare...

6
26 CORIANDOLI /CONFETTI domus 1008 Dicembre / December 2016 "I LOVE JAPANESE CULTURE" AI MAXXI di Roma un'importante retrospettiva sulla casa unifamiliare giapponese ci permette di riflettere su un diverso modo di abitare, dove oggi come in passato la nuda struttura determina lo spazio. L'esposizione è completata dalla piccola e preziosa mostra "Scarpa e il Giappone", dove emerge lo stretto legame tra il maestro veneziano e il Sol Levante At the MAXXI in Rome, an important retrospective on Japan's single-family houses allows us to view a different way of living, where today as in the past, the naked structure determines the space. A small, precious display called "Scarpa e il Giappone" complements the exhibition by showing the dose link between the Venetian maestro Carlo Scarpa and the land of the rising sun Pippo Ciorra LU </> 3 0 1 LU (/) Ili z < Q. < —) LU I t- Il tema dell'architettura della single family house nel Giappone del Dopoguerra si ramifica in una serie di altri temi collegati che occupano oggi il centro della discussione sui rapporti tra architettura, società, ecologia e città in ogni parte del mondo. Quali sono questi temi? Il primo e il più ovvio è il fatto che i progetti di case rappresentino il MAXXI modo migliore per avvicinarsi al ; lavoro degli architetti giapponesi e al loro interscambio con la società nella quale operano. Il secondo punto che intendiamo sviluppare è quello del rapporto tra gli spazi che le persone abitano e la forma/organizzazione delle città in cui vivono, questione che ci assilla in ogni contesto e a tutte le latitudini. Il terzo tema individua tutte quelle variabili, così . specifiche in Giappone, che hanno a che fare col tempo: il rapporto con la memoria e con le tradizioni individuali e collettive, gli effetti a lungo termine della modernità (quella che Koolhaas ha definito la modernità 'assorbita'), la preservation e la trasformabilità degli edifici più vecchi. Sopra: il manifesto della mostra presso il MAXXI di Roma. Sotto: viste dell'allestimento, con lo spazio a tessuti tesati che ospita il lavoro storico dell'architetto Kiyoshi Seike e la casa per il Prof. K Saito del 1952 (a sinistra); e con il lavoro di Ryue Nishizawa e il modello per la casa Moriyama del 2005 (a destra). Nel 2006 Arata Isozaki ha pubblicato un'illuminante raccolta di saggi dedicata alla japanness, vale a dire l'identità specifica dell'architettura giapponese, intesa soprattutto in relazione allo sguardo di chi la osserva "da fuori". Per Isozaki II discorso sulla japanness ha un inizio e una fine. L'inizio ha una data precisa - prima si parlava di japonisme - ed è il secondo giorno della permanenza di Bruno Taut in Giappone (1933), quando il suo amico Isaburo Ueno lo porta in visita nella residenza imperiale di Katsura. La fine è meno netta, ma non più difficile da individuare, poiché corrisponde all'inizio degli anni Novanta. È la fase più eccitata ed espansiva della globalizzazione, quando il mondo delle nazioni e dei blocchi si trasforma in un arcipelago con infiniti centri, anche per quel che riguarda la cultura. A questo punto, il Giappone non è più un luogo lontano, situato al di là del confine netto dell'esotismo, ma semplicemente uno di questi centri, concettualmente equidistante Pagina a fronte, in alto: alcune immagini della mostra; al centro, un'immagine dell'allestimento con in primo piano un modello storico della Tower House di Takemitsu Azuma del 1966; in basso, parte della casa White U di Toyo Ito del 1976, oggi demolita, ricostruita in scala reale, in occasione della mostra romana e partecipe come gli altri della scena artistica e politica mondiale, con i suoi maestri e le sue star. Ma anche se impegnati nella realizzazione di musei e istituzioni importanti in giro per il mondo i Japanese architects non hanno mai trascurato la possibilità di costruire piccole case unifamiliari in Giappone. Ed è proprio rispetto $ questa continuità d'impegno nel progettare le case, dal Dopoguerra a oggi, che questa mostra assume una posizione lievemente diversa da quella di Isozaki e vede la possibile sopravvivenza di un particolare aspetto della japanness proprio nel progetto di casa individuale. La tesi in questo senso è chiara. Da quando il governo giapponese ha scelto di favorire una ricostruzione postbellica del Paese basata sulla casa in proprietà "su lotto", i progettisti attivi in Giappone hanno accettato l'idea della casa come luogo primo ed eletto della loro sperimentazione più autentica. La casa è il luogo concettuale dove il designer giapponese mette alla prova la sua SJ IhJ

Transcript of IhJ · 2017-01-16 · AI MAXXI di Roma un'importante retrospettiv sulla a cas a unifamiliare...

Page 1: IhJ · 2017-01-16 · AI MAXXI di Roma un'importante retrospettiv sulla a cas a unifamiliare giapponese ci permette di riflettere su un diverso modo di abitare, dove oggi come in

26 CORIANDOLI /CONFETTI d o m u s 1008 Dicembre / December 2016

"I LOVE JAPANESE CULTURE"

AI MAXXI di Roma un'importante retrospettiva sulla casa unifamiliare giapponese ci permette di riflettere su un diverso modo di abitare, dove oggi come in passato la nuda struttura determina lo spazio. L'esposizione è completata dalla piccola e preziosa mostra "Scarpa e il Giappone", dove emerge lo stretto legame tra il maestro veneziano e il Sol Levante

At the MAXXI in Rome, an important retrospective on Japan's single-family houses allows us to view a different way of living, where today as in the past, the naked structure determines the space. A small, precious display called "Scarpa e il Giappone" complements the exhibition by showing the dose link between the Venetian maestro Carlo Scarpa and the land of the rising sun

Pippo Ciorra

LU

</> 3

0

1

LU

( / )

Ili

z < Q. <

—)

LU

I

t -

Il tema dell'architettura della single family house nel Giappone del Dopoguerra si ramifica in una serie di altri temi collegati che occupano oggi il centro della discussione sui rapporti tra architettura, società, ecologia e città in ogni parte del mondo. Quali sono questi temi? Il primo e il più ovvio è il fatto che i progetti di case rappresentino il

M A X X I modo migliore per avvicinarsi al

; lavoro degli architetti giapponesi e al loro interscambio con la società nella quale operano. Il secondo punto che intendiamo sviluppare è quello del rapporto tra gli spazi che le persone abitano e la forma/organizzazione delle città in cui vivono, questione che ci assilla in ogni contesto e a tutte le latitudini. Il terzo tema individua tutte quelle variabili, così

. specifiche in Giappone, che hanno a che fare col tempo: il rapporto con la memoria e con le tradizioni individuali e collettive, gli effetti a lungo termine della modernità (quella che Koolhaas ha definito la modernità 'assorbita'), la preservation e la trasformabilità degli edifici più vecchi.

Sopra: il manifesto della mostra presso il M A X X I di Roma. Sotto: viste dell'allestimento, con lo spazio a tessuti tesati che ospita il lavoro storico dell'architetto Kiyoshi Seike e la casa per il Prof. K Saito del 1952 (a sinistra); e con il lavoro di Ryue Nishizawa e il modello per la casa Moriyama del 2005 (a destra).

Nel 2006 Arata Isozaki ha pubblicato un'illuminante raccolta di saggi dedicata alla japanness, vale a dire l'identità specifica dell'architettura giapponese, intesa soprattutto in relazione allo sguardo di chi la osserva "da fuori". Per Isozaki II discorso sulla japanness ha un inizio e una fine. L'inizio ha una data precisa - prima si parlava di japonisme - ed è il secondo giorno della permanenza di Bruno Taut in Giappone (1933), quando il suo amico Isaburo Ueno lo porta in visita nella residenza imperiale di Katsura. La fine è meno netta, ma non più difficile da individuare, poiché corrisponde all'inizio degli anni Novanta. È la fase più eccitata ed espansiva della globalizzazione, quando il mondo delle nazioni e dei blocchi si trasforma in un arcipelago con infiniti centri, anche per quel che riguarda la cultura. A questo punto, il Giappone non è più un luogo lontano, situato al di là del confine netto dell'esotismo, ma semplicemente uno di questi centri, concettualmente equidistante

Pagina a fronte, in alto: alcune immagini della mostra; al centro, un'immagine dell'allestimento con in primo piano un modello storico della Tower House di Takemitsu Azuma del 1966; in basso, parte della casa White U di Toyo Ito del 1976, oggi demolita, ricostruita in scala reale, in occasione della mostra romana

e partecipe come gli altri della scena artistica e politica mondiale, con i suoi maestri e le sue star. Ma anche se impegnati nella realizzazione di musei e istituzioni importanti in giro per il mondo i Japanese architects non hanno mai trascurato la possibilità di costruire piccole case unifamiliari in Giappone. Ed è proprio rispetto $ questa continuità d'impegno nel progettare le case, dal Dopoguerra a oggi, che questa mostra assume una posizione lievemente diversa da quella di Isozaki e vede la possibile sopravvivenza di un particolare aspetto della japanness proprio nel progetto di casa individuale. La tesi in questo senso è chiara. Da quando il governo giapponese ha scelto di favorire una ricostruzione postbellica del Paese basata sulla casa in proprietà "su lotto", i progettisti attivi in Giappone hanno accettato l'idea della casa come luogo primo ed eletto della loro sperimentazione più autentica. La casa è il luogo concettuale dove il designer giapponese mette alla prova la sua

S J

I h J

Page 2: IhJ · 2017-01-16 · AI MAXXI di Roma un'importante retrospettiv sulla a cas a unifamiliare giapponese ci permette di riflettere su un diverso modo di abitare, dove oggi come in

d o m u s 1008 Dicembre / December 2016 CORIANDOLI /CONFETTI 1S

capacità di far convivere i concetti immutabili di una tradizione spaziale molto resistente con esigenze e qualità della vita quotidiana contemporanea. In questo modo, l'architetto ribadisce anche la sua collocazione sociale, assumendosi l'onere di gestire nello spazio i conflitti inevitabili generati dall'evoluzione tecnologica e antropologica, dall'ibridarsi del gusto, dall'invadenza delle priorità economiche, gestionali e di comunicazione. Tutto ciò finisce per tradursi ancora in una qualche forma d'identità collettiva (japanness again) dell'architettura giapponese. Nell' introduzione a Made in Tokyo gli autori descrivono con esattezza il disagio vagamente Biade Runner che coglie perfino il giapponese acculturato quando rientra a Tokyo dall'Europa, "rotaie che scavalcano edifici, autostrade che corrono sopra i fiumi, rampe che portano auto al sesto piano...". Com'è potuto succedere tutto questo? Che c'è che non va a Tokyo? Dopo qualche giorno, però - confessano

gli autori - la domanda scompare silenziosamente, insieme con la sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato. Progressivamente ci si sente di nuovo a casa, come se ci fosse qualcosa, un dispositivo architettonico segreto, che fa sì che lo spaesamento urbanistico complessivo venga dolcemente riassorbito e compensato all'interno della vita dei singoli individui. Sembra evidente che per Atelier Bow-Wow, di cui il volume citato raccoglie alcune ricerche, questo dispositivo è la casa unifamiliare, e che la sua efficacia si estende con facilità sia sul piano delle relazioni urbane che di quelle umane. In uno spazio sociale fortemente organizzato in senso moderno e produttivista, spesso molto distante dalla "scala umana" e nel quale i comportamenti collettivi sono strettamente regolati, la casa finisce per diventare il luogo di compensazione dove il giapponese sviluppa più liberamente la sua individualità.

Le case prendono spesso la forma

• Opposite page: centre, the poster for the exhibition currently underway at the M A X X I in Rome; bottom, views of "The Japanese House", showing the display on stretched fabric for the architect Kiyoshi Seike and the house for Professor K. Saito, 1952 (left); and the space for work by Ryue Nishizawa with a model of the Moriyama house, 2005 (right).

tecnocratiche che si stendono sopra la baia di Tokyo, torri smisurate e tentacolari a cui i corpi edilizi si agganciano come astronavi che accostano per fare carburante, Fun Palace ingigantiti che si trasformano in grandi coperture per l'Expo di Osaka. I tempi (di crisi e depressione) peraltro sono particolarmente fertili per la coltivazione delle utopie e quindi rendono il pubblico architettonico molto sensibile ai richiami di ogni alternativa radicale e visionaria. E infatti non si può dire che nella nostra Japan House il Metabolismo anni Sessanta sia assente - basta pensare al radicalismo della Capsule Tower di Kurokawa o alla forza polemica della Sky House di Kikutake - ma è però vero che la ricerca alla base di questa esposizione propone all'osservatore una visione sostanzialmente realista. Ancora una volta, la casa unifamiliare giapponese si offre come un accesso angolato eppure di portata vasta alla discussione architettonica più attuale. @

This page, top: views of the show; centre, a photo of the exhibition with in the foreground a historic model of the Tower House by Takemitsu Azuma, 1966; bottom, part of the White U house by Toyo Ito, 1976, now demolished. This detail was rebuilt on a 1:1 scale especially for the show in Rome

del libero comportamento di chi le abita, vivono in media 26 anni (lo spazio di una generazione) e la città non può che accettare di derivare gran parte della sua forma instabile direttamente dalla somma delle singole unità. Perfettamente espressa nel padiglione giapponese della Biennale del 2010, questa sembra essere la vera natura del metabolismo urbano di Tokyo. Parlare a un architetto occidentale di Giappone vuol dire inevitabilmente evocare visioni eroiche di strutture

Page 3: IhJ · 2017-01-16 · AI MAXXI di Roma un'importante retrospettiv sulla a cas a unifamiliare giapponese ci permette di riflettere su un diverso modo di abitare, dove oggi come in

28 CORIANDOLI /CONFETTI domus 1008 Dicembre / December 2016

"THE JAPANESE H O U S E , ARCHITECTURE & LIFE AFTER 1945"

Curatori mostra/Exhibition curators Pippo Ciorra ( M A X X I ) e / a n d Kenjiro Hosaka (The National Museum of M o d e m Art, Tokyo)

In collaborazione con/In collaboration with Florence Ostende (Barbican Centre)

Chief advisor Yoshiharu Tsukamoto (Atelier Bow-W o w / T o k y o Institute of Technology)

Idea originaria/From an originai idea of Kenjiro Hosaka e / a n d Yoshiharu Tsukamoto

Organizzazione mostra/Exhibition organisation Japan Foundation, Tokyo, e / a n d M A X X I

Produzione mostra/Exhibition production Japan Foundation, M A X X I , Barbican Centre e / a n d The Nat ional M u s e u m of M o d e m Art, Tokyo

Progetto di allestimento/Exhibition design Atelier B o w - W o w

Catalogo/Catalogue Marsil io, Venezia 2016

Sedi/Venues M A X X I , Rome (9.11.2016-26.2.2017) Barbican Centre, London (23.3-25.6.2017) The Nat ional Museum of M o d e m Art, Tokyo (estate 2 0 1 7 / s u m m e r 2017)

www.fondazionemaxxi . i t

I LOVE JAPANESE CULTURE

The theme of the architecture of the single-family home in postwar Japan branches out into a series of connected themes today at the centre of the worldwide debate over the relations between architecture, society, ecology and the city. Let us try to list these themes. The first and most obvious is the fact that the best way to approach the work of these architects and the exchange that takes place between them and the society they operate in is through their home design. The second theme we intend to explore is that of the relationship between the spaces people inhabit and the formand organisation of the cities they live in, which is a pressing question in every context and at every latitude. The third theme comprises ali those variables - which are so remarkably specific in Japan - that have to do with time: the relationship with memory and individuai and

In questa pagina e pagina a fronte in alto: casa Whi te U di Toyo Ito del 1976, vista di un interno, vista dell'esterno dall'alto e pianta. Sotto: prospetto principale della Casa di Kenzo Tange del 1953 a Setagaya.

Pagina a fronte in basso: due viste degli interni della casa e studio di Antonin Raymond ad Azabu progettati per se stesso nel 1951, e oggi demoliti

collective traditions; the long-term effects of modernity (what Koolhaas has defined as "absorbed modernity"); and the preservation and transformability of older buildings. In 2006, Arata Isozaki published an itluminating collection of essays on the subject of "Japan-ness", the specific identity of Japanese architecture viewed above ali in relation to those who observe it from the outside.

For Isozaki, the discourse on Japan-ness has a beginning and an end. The precise beginning of Japan-ness (before that, the French term japonisme was used) is considered the second day of Bruno Taut's stay in Japan (1933), when his friend Isaburo Ueno took him on a visit to the Katsura Imperiai Villa. The end of Japan-ness, though less clear-cut, is equally easy to identify as it corresponds to the early 1990s, the most frantic and expansive phase of globalisation, when the world of nations, blocs and culture morphed into an

archipelago with an infinite number of centres. Japan was now no longer a remote, faraway place located beyond the clearly defined bounds of exoticism, but simply another of these centres, conceptually equidistant and part of the worldwide artistic and politicai scene just like ali the others, with its masters and its stars. Although they were engaged in the construction of important museums and institutions around the world, Japanese architects neverturned down the chance to build small single-family houses in their own country.

And it is precisely with regard to the continuity of this commitment to the design of homes from the end of World War II until the present day that this exhibition takes a slightly different position from Isozaki's. It sees the possible survival of a particular aspect of Japan-ness precisely in the design of the individuai house. The proposition in this sense

Il testo è tratto dal catalogo della mostra "La casa giapponese", pubblicato da Marsilio Editori.

" Taken from the introduction to the exhibition catalogue "The Japanese House", published by Marsilio Editori.

Page 4: IhJ · 2017-01-16 · AI MAXXI di Roma un'importante retrospettiv sulla a cas a unifamiliare giapponese ci permette di riflettere su un diverso modo di abitare, dove oggi come in

d o m u s 1008 Dicembre / December 2016 CORIANDOLI /CONFETTI 1S

is clear. Ever since the Japanese government decided to base the country's postwar reconstruction on the owner-occupied detached house, architects working in Japan have accepted the idea of the home as the primary privileged place in which to carry out their most authentic experimentation. The home is the conceptual locus where Japanese designers put to the test their ability to reconcile the immutable concepts of an extremely durable spatial tradition with the requirements and qualities of contemporary daily life, By doing so, architects reassert their place in society, taking on the task of dealing in spatial terms with the conflicts inevitably generated by technological and anthropological evolution, by the hybridising of faste and the intrusive nature of economie, management-related and communicational priorities. Ali this finds expression in a form of collective identity (Japan-ness again) of the country's architecture.

The book Made in Tokyo: Atelier Bow-Wow (201 4), by M. Kaijima, J. Kuroda and Y. Tsukamoto gives an accurate description of the sense of uneasiness, vaguely reminiscent of Biade Runner that strikes even the more acculturated Japanese when they return to Tokyo from Europe. "Roads and train lines run over buildings, expressways wind themselves over rivers, cars can drive up ramps to the rooftop of a six-storey building..." How could ali this have happened? What has gone wrong in Tokyo? After a few days, however, confess the authors, the question quietly subsides, along with the sensation that anything is wrong. Gradually they start to feel at home again, as if there were something, a secret architectural device, that allows the feeling of urban disorientation to be gently absorbed and compensated in the life of individuals. It seems evident that for Atelier Bow-Wow, some of whose

» Opposite page, top arid this page, top: the White U house by Toyo Ito, 1976. Interior, exterior and pian. Opposite page, bottom and this page, bottom: the house Kenzo Tange designed for himself in Setagaya, Tokyo, 1953, main facade. This page, bottom: two interiors of the house and studio Antonin Raymond designed for himself in Azabu, Tokyo, 1951, now demolished

research is contained in Made in Tokyo, this device is the single-family house, whose efficacy easily extends to the planes of urban and human relations. In a social space that is highly organised in a modem and productional sense, often very remote from the human scale, and where collective modes of behaviour are meticulously regulated, the house is ultimately a place of compensation where the Japanese can more freely express their individuality. Houses often take the form of the free behaviour of those who live in them and have an average lifespan of 26 years (one generation), and the city has no choice but to derive much of its unstable form directly from the sum of these single units. Perfectly expressed in the Japanese pavilion at the 2010 Venice Architecture Biennale, this seems to be the true nature of Tokyo's urban metabolism. Mentioning Japan to a Western architect inevitably evokes

visions of bold technocratic structures spanning Tokyo Bay, immense tentacular towers to which building blocks are tethered like spaceships taking on fuel, and massive fun palaces transformed into huge roofs for the Osaka Expo. However, the time (a period of crisis and depression) is particularly ripe for the cultivation of utopias and thus makes the architectural public highly sensitive to the allure of ali radicai visionary alternatives. Indeed, it cannot be said that the Japanese house is devoid of 1960s Metabolism (suffice it to cite the radicalism of Kurokawa's Capsule Tower or the trenchant force of Kikutake's Sky House). Yet it is nonetheless true that the research underpinning this exhibition presents an essentially realistic vision to the observer. Once again, the Japanese single-family home obliquely introduces an architectural debate that is as topical as it is broad in its scope. @

Page 5: IhJ · 2017-01-16 · AI MAXXI di Roma un'importante retrospettiv sulla a cas a unifamiliare giapponese ci permette di riflettere su un diverso modo di abitare, dove oggi come in

214 CORIANDOLI /CONFETTI d o m u s 1008 Dicembre / December 2016

CARLO SCARPA E IL GIAPPONE/CARLO SCARPA AND JAPAN - MARGHERITA GUCCIONE

"Carlo Scarpa è senza dubbio uno di quei pochi architetti che, lontano da qualsivoglia concettualizzazione, coltivano un'attitudine quasi istintiva a scavare sempre più a fondo nelle profondità semantiche dello Spazio". Con queste parole Seiichi Shirai descrive nel giugno del 1977 la figura del maestro veneziano sulle pagine del numero monografico di SD Space Design dedicato a Carlo Scarpa, nella cui opera — scrive ancora Shirai - si ritrova un "equilibrio infallibile tra intelletto e passione creativa". La stima che connota il rapporto tra Shirai e Scarpa è assolutamente biunivoca (come del resto, indubbiamente ricambiato è l'amore che Carlo Scarpa nutre per il Giappone): ne è prova un inedito e prezioso documento esposto nella mostra "Carlo Scarpa e il Giappone", organizzata dal MAXXI Architettura e curata da Elena Tinacci. Si tratta di una lettera (messa a disposizione per l'occasione dall'architetto Guido Pietropoli) che Scarpa scrive a Shirai nel febbraio del 1977 e che verrà consegnata a mano all'architetto giapponese cui Scarpa si rivolge con l'appellativo 'Maestro'. I due quasi certamente non si sono mai incontrati, sebbene avessero conosciuto l'uno il lavoro dell'altro; trait-d'union tra le

due figure è Hiroyuki Toyoda, giovane collaboratore di Shirai, non a caso inviato nel 1975 in Italia dal maestro per conoscere Scarpa e la sua opera nell'ambito di un'esperienza formativa che si tradurrà in una vera e propria occasione professionale. Scarpa e Shirai sono già stati messi in relazione dalla critica architettonica e da specifici studi, tuttavia non sono tanto gli autori, quanto le rispettive ricerche progettuali a essere state accostate in un confronto a distanza e a posteriori. Eppure, come dimostra con assoluta evidenza questa lettera, c'è stato un tempo — se non uno spazio - in cui i contatti tra i due sono stati concreti, anche se non diretti. La loro sintonia, radicata in una consonanza di valori estetici e di concezione operativa, si legge esplicitamente proprio nelle parole che il maestro veneziano scrive a Shirai descrivendo la sua opera "così importante come modernità e col vivo senso della gloriosa vostra tradizione": ima definizione che calzerebbe perfettamente anche all'architettura scarpiana. Questo rapporto e molte altre diverse relazioni di natura personale e progettuale, pratica e teorica, fisica o concettuale tra Scarpa e il Giappone sono documentate al MAXXI. ®

DIRETTORE/DIRECTOR MAXXI ARCHITETTURA

• "Carlo Scarpa is unquestionably one of those few architects who, far from any conceptualising, nurtures an almost instinctive inclination to delve deeper into the semantic depths of Space." This is how Seiichi Shirai describes the Venetian maestro in the June 1977 monographic issue of SD Space Design dedicated to Carlo Scarpa, in whose work - as Shirai writes - there exists an "infallible balance between intellect and creative passion." The esteem that distinguished the relationship between Shirai and Scarpa is absolutely mutuai, as was the undeniable love that Carlo Scarpa nurtured for Japanese culture in general. Further proof of this is a previously unpublished, precious document on display during the exhibition "Carlo Scarpa e il Giappone" ("Carlo Scarpa and Japan"), organised by MAXXI Architettura and curated by Elena Tinacci: it is a letter (lent to the museum by the architect Guido Pietropoli) that Scarpa wrote to Shirai in February 1977. It was personally delivered to the Japanese architect, whom Scarpa addresses as maestro. In ali likelihood, the two architects never met in person, although they knew each other's work. The trait-d'union between them

was Hiroyuki Toyoda, a young assistant of Shirai's, who was sent to Italy in 1975 by the Japanese architect to get to know Carlo Scarpa and his work as part of his training. The encounter would end up being an opportunity in his career. Scarpa and Shirai were already paired in architecture criticism and specific studies, and their respective design research has been compared at a distance and in retrospect. However, as can clearly be seen from this letter, there was a time - if not a space - when contact between them was concrete, although not direct. Their rapport, rooted in shared aesthetic values and ways of working, is clearly expressed in the words the Venetian master writes to Shirai, describing his work as "so important for its modernity and the vivid sense of your glorious tradition"- a definition that could also be used to describe Scarpa's architecture. This relationship and many other different bonds of a personal, professional, practical, theoretical, physical and conceptual nature between Carlo Scarpa and Japan are documented in the exhibition at the MAXXI Architecture Archives Centre until 26 February 2017.®

Carlo Scarpa

Ho V

» ^ e ^w fe - .

fa U f ^ f t

t/n*A v y A n j u u v i u i > t V

y j f p p o a /

| C a t . S < / K 4 - •

- <H"-c

e

Jivc/LC S^i'i^i'

M,

Page 6: IhJ · 2017-01-16 · AI MAXXI di Roma un'importante retrospettiv sulla a cas a unifamiliare giapponese ci permette di riflettere su un diverso modo di abitare, dove oggi come in

domus 1008 Dicembre / December 2016 CORIANDOLI /CONFETTI 1S

Pagina a fronte: la lettera che Carlo Scarpa ha scritto nel febbraio del 1977 all'architetto giapponese Seiichi Shirai, che a giugno curerà un numero monografico sulla rivista SD Space Design sull'architetto veneziano. In questa pagina: disegno di studio di Carlo Scarpa per il Padiglione del Venezuela presso i Giardini della Biennale di Venezia nel 1954

• Opposite page: a letter by Carlo Scarpa written on 26.2.1977 to the Japanese architect Seiichi Shirai, who was to be the curator of a monographic issue on the Venetian maestro in the June 1977 issue of the magazine SD Space Design. This page: a study by Carlo Scarpa for the Venezuelan pavilion in the Giardini della Biennale, Venice 1954

"CARLO SCARPA E IL G I A P P O N E "

Curatore mostra/Exhibition curator Elena Tinacci

Organizzazione mostra/Exhibition organisation Centro Archivi M A X X I Architettura

Collezioni/Collections MAXXI Architettura Laura Felci

Progetto di allestimento/Exhibition design Benedet to Turcano

Progetto grafico/Graphic design Sara Annunziata

Sede/Venue M A X X I , Rome

Date di apertura/Opening dates f ino a l /unt i l 27.2.2017

www.fondazionemaxxi . i t