2014/2015 - euroconference.it · 68 LA CONCILIAZIONE MONOCRATICA COME MEZZO PER LA COMPOSIZIONE ......

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3^ GIORNATA 2014/2015 CRISI DI LIQUIDITÀ DELL’IMPRESA: MANCATI PAGAMENTI AL LAVORATORE E OMISSIONI FISCALI E CONTRIBUTIVE Sessione di aggiornamento in collaborazione con: LA CIRCOLARE DI LAVORO E PREVIDENZA IL GIURISTA DEL LAVORO

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3^ GIORNATA

2014/2015

CRISI DI LIQUIDITÀ DELL’IMPRESA: MANCATI PAGAMENTI AL LAVORATORE E OMISSIONI FISCALI E CONTRIBUTIVE

Sessione di aggiornamento

in collaborazione con:LA CIRCOLARE DI LAVORO

E PREVIDENZA

IL GIURISTA DEL LAVORO

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COORDINAMENTO DIDATTICO E ORGANIZZATIVOErika Ambrosi, Luca Vannoni

LOGISTICA CONGRESSUALESilvia Meneghello

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ASSISTENZA E WEB MASTERFrancesca Rossi

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INDICE

Schemi operativi di sintesi6 MANCATO PAGAMENTO DELLA RETRIBUZIONE E TUTELA DEI CREDITI DI

LAVOROa cura di Rapisarda Alessandro

21 CREDITI DA LAVORO E PROCEDURE CONCORSUALIa cura di Rapisarda Alessandro

37 ASPETTI FISCALI E CONTRIBUTIVI DEL MANCATO PAGAMENTO DELLE RETRIBUZIONI E RELATIVE SANZIONIa cura di Luca Caratti

40 ASPETTI CONTRIBUTIVI DEL MANCATO PAGAMENTO DELLE RETRIBUZIONI E OMISSIONE CONTRIBUTIVEa cura di Luca Caratti

51 ASPETTI FISCALI DEL MANCATO PAGAMENTO DELLE RETRIBUZIONIa cura di Luca Caratti

56 APPALTI E RESPONSABILITÀ SOLIDALEa cura di Luca Caratti

Contributi di approfondimento68 LA CONCILIAZIONE MONOCRATICA COME MEZZO PER LA COMPOSIZIONE

DI CONTROVERSIE DI LAVOROa cura di Dario Messineo e aura Grasso

80 TUTELE IN CASO DI LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO E CONSEGUENZE SULLA PRESCRIZIONE DEI DIRITTI DEI LAVORATORIa cura di Alberto Russo

91 PROCEDURE CONCORSUALI: LE REGOLE PER IL RECUPERO DEI CREDITI RETRIBUTIVIa cura di Riccardo Girotto

97 SUL REATO PER MANCATO VERSAMENTO DELLE RITENUTE FISCALI: UNA RECENTE SENTENZA DI CASSAZIONEa cura di Roberto Lucarini

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103 NUOVE PRONUNCE SU OMESSO VERSAMENTO DI RITENUTE PREVIDENZIALI E FISCALIa cura di Fabrizio Nativi

107 CREDITI PREVIDENZIALI: PROCEDURE ESECUTIVE E FALLIMENTO a cura di Luigi Nerli

114 I DEBITI PREVIDENZIALI NELLE PROCEDURE CONCORSUALIa cura di Luigi Nerli

Normativa, prassi, giurisprudenza 124 NORMATIVA

Schemi operativi di sintesi

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MANCATO PAGAMENTO DELLA RETRIBUZIONE E TUTELA DEI CREDITI DI LAVORO

a cura di Rapisarda Alessandro

CRISI DI LIQUIDITA’: EFFETTI DEI RITARDI NEL VERSAMENTO RETRIBUTIVO E GESTIONE DEGLI ARRETRATI

Art. 2099 cod. civ.

La retribuzione deve essere corrisposta periodicamente con le modalità e nei terministabiliti nel contratto collettivo e/o individuale (o, in mancanza, secondo gli usi delluogo in cui il lavoro viene eseguito).

L’obbligo di pagare la retribuzione sorge dopo che il lavoratore ha effettuato laprestazione. Le scadenze periodiche per il pagamento della retribuzione sono fissatedai contratti collettivi. La tendenza è verso la generalizzazione del pagamento concadenza mensile.Per l’erogazione di particolari elementi sono stabilite cadenze diverse (es. annuali per lagratifica natalizia e il premio di produttività).

Mancato pagamento della retribuzione e tutela dei crediti di lavoro

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CRISI DI LIQUIDITA’: EFFETTI DEI RITARDI NEL VERSAMENTO RETRIBUTIVO E GESTIONE DEGLI ARRETRATI

Art. 429, comma 3, cod. proc. civ.

Il ritardo nel pagamento della retribuzione rispetto alla scadenzatemporale prevista comporta l’obbligo della corresponsione degliinteressi nella misura legale sulla somma dovuta, nonché il risarcimentodel maggior danno subito dal lavoratore per la diminuzione di valore delsuo credito, in dipendenza dell’aumento del costo della vita intervenutodal giorno della maturazione del diritto al momento del pagamento.

CRISI DI LIQUIDITA’: EFFETTI DEI RITARDI NEL VERSAMENTO RETRIBUTIVO E GESTIONE DEGLI ARRETRATI

Art. 150, disp. att. cod. proc. civ.

Per la determinazione del maggior danno si deve fare riferimentoall’indice del costo della vita calcolato dall’ISTAT ai fini delladeterminazione dell’indennità di contingenza.

I contratti collettivi possono prevedere, in caso di ritardo, l’obbligoper l’azienda di corrispondere interessi in misura superiore a quellalegale (es. CCNL Servizi di pulizia – Aziende industriali).

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TUTELE PER I CREDITI DEI LAVORATORI: CENNI SUGLI STRUMENTI PROCESSUALI

Art. 525, cod. proc. civ.

PRESUPPOSTI PER IL DIRITTO DI CREDITO

- CERTEZZA: il diritto è certo quando non è controverso nella suaesistenza;- LIQUIDITA’: il diritto è liquido quando è determinato nel suoammontare;- ESIGIBILITA’: è esigibile il diritto che è venuto a maturazione e chepuò essere fatto valere in giudizio per ottenere una sentenza dicondanna.

TUTELE PER I CREDITI DEI LAVORATORI: CENNI SUGLI STRUMENTI PROCESSUALI

Art. 633, cod. proc. civ.

I DECRETI INGIUNTIVI

Il procedimento volto all’emissione di un decreto ingiuntivo daparte del giudice è classificato come un «procedimento speciale»,in quanto volto all’emissione di un provvedimento avente titoloesecutivo e, soprattutto, inaudita altera parte.Ciò è possibile ove il diritto di credito vantato sia, appunto, certo,liquido ed esigibile. Inoltre, deve essere prodotta nel ricorsoprova certa e scritta del credito vantato.

Mancato pagamento della retribuzione e tutela dei crediti di lavoro

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TUTELE PER I CREDITI DEI LAVORATORI: CENNI SUGLI STRUMENTI PROCESSUALI

Artt. 125 e 638, cod. proc. civ.

I DECRETI INGIUNTIVI: FORMA

La domanda di ingiunzione si propone con ricorso contenente l’indicazione:- dell’ufficio giudiziario al quale la domanda è rivolta (per l’ingiunzione in

materia di crediti da lavoro è competente il giudice del lavoro);- delle parti del giudizio;- dell’oggetto del giudizio;- delle ragioni della domanda;- delle prove che si producono;- delle conclusioni.

TUTELE PER I CREDITI DEI LAVORATORI: CENNI SUGLI STRUMENTI PROCESSUALI

Artt. 641-642, cod. proc. civ.

I DECRETI INGIUNTIVI: EMISSIONESe il giudice ritiene fondata la domanda, con decreto motivato da emettere entro trentagiorni dal deposito del ricorso, ingiunge l’altra parte di pagare la somma nel termine diquaranta giorni, con l’espresso avvertimento che nello stesso termine può essere fattaopposizione e che, in mancanza di tale opposizione, si procederà ad esecuzione forzata.Quando il credito è fondato su cambiale, assegno bancario, assegno circolare, certificato diliquidazione di borsa, su atto ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato o aseguito di diffida accertativa, il giudice, su istanza del ricorrente, ingiunge al debitore dipagare senza dilazione, autorizzando l’esecuzione provvisoria del decreto e fissando itermine ai soli fini dell’opposizione.L’esecuzione provvisoria può essere concessa anche laddove vi sia pericolo di gravepregiudizio nel ritardo dell’esecuzione (periculum in mora), ovvero se il ricorrente producedocumentazione sottoscritta dal debitore comprovante il diritto fatto valere.

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TUTELE PER I CREDITI DEI LAVORATORI: CENNI SUGLI STRUMENTI PROCESSUALI

Art. 645, cod. proc. civ.

I DECRETI INGIUNTIVI: OPPOSIZIONEIl ricorso e il decreto devono essere notificati alla controparte, la quale puòproporre opposizione all’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che haemesso il decreto, con atto di citazione notificato al ricorrente.Il termine per proporre opposizione è fissato dal decreto stesso (solitamentequaranta giorni).In seguito all’apposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimentoordinario davanti al giudice adito, ma i termini di comparizione sono ridotti ametà.Durante il corso del termine stabilito per il tentativo di conciliazione, l’opponentepuò chiedere con ricorso al giudice la sospensione dell’esecuzione provvisoriadel decreto. Il giudice provvede con decreto notificato alla controparte.

TUTELE PER I CREDITI DEI LAVORATORI: CENNI SUGLI STRUMENTI PROCESSUALI

Artt. 647, 648 e 653, cod. proc. civ.

I DECRETI INGIUNTIVI: ESECUZIONENON OPPOSIZIONE: Se non è stata fatta opposizione nel termine stabilito, oppurel’opponente non si è costituito, il conciliatore, il pretore o il presidente, su istanzaanche verbale del ricorrente, dichiara esecutivo il decreto.PROVVISORIA IN CORSO DI OPPOSIZIONE: Se l’opposizione non è fondata su provascritta o di pronta soluzione, può concedere, con ordinanza non impugnabile,l’esecuzione provvisoria del decreto.RIGETTO O ACCOGLIMENTO PARZIALE DELL’OPPOSIZIONE: Se l’opposizione èrigettata con sentenza passata in giudicata o provvisoriamente esecutiva, oppure èdichiarata con ordinanza l’estinzione del processo, il decreto che non ne sia giàmunito acquista efficacia esecutiva. Se l’opposizione è accolta solo in parte, il titoloesecutivo è costituito esclusivamente dalla sentenza.

Mancato pagamento della retribuzione e tutela dei crediti di lavoro

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TUTELE PER I CREDITI DEI LAVORATORI: CENNI SUGLI STRUMENTI PROCESSUALI

Art. 700, cod. proc. civ.

I DECRETI INGIUNTIVI: URGENZASe il lavoratore avesse fondato motivo di temere che, durante il tempo occorrente per far valere ilsuo diritto in via ordinaria, questo fosse minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile,potrebbe chiedere al giudice, sempre attraverso la proposizione di un ricorso, un provvedimentod’urgenza.Non deve comunque sussistere alcun altro provvedimento cautelare che permetta di assicurarenel caso concreto gli effetti della decisione, anche in via provvisoria.L’oggetto del provvedimento d’urgenza si caratterizza per l’atipicità, nel senso che il contenuto delprovvedimento stesso può essere conservativo o anticipatorio.I primi si presentano come misure d’urgenza che hanno lo scopo di garantire in manieraprovvisoria gli effetti della futura decisione sul merito, mantenendo quindi la situazione di fatto sucui la decisione stessa andrà a incidere. I secondi, invece, sono quelli che tendono ad anticipare, inparte o in tutto, gli effetti prevedibili della decisione finale in maniera provvisoria.

SOLUZIONI PER IL PAGAMENTO DELLE SOMME DOVUTE

In alternativa all’azione giudiziaria proposta dal dipendente, sonopreviste più celeri procedure di soluzione delle controversiepatrimoniali:

1. DIFFIDA PER CREDITI PATRIMONIALI;2. CONCILIAZIONE MONOCRATICA.

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DIFFIDA OBBLIGATORIA

Durante l’attività ispettiva, nel caso venga constatata l’inosservanzadi norme di legge o del contratto collettivo in materia di lavoro elegislazione sociale, di cui derivino sanzioni amministrative, gliispettori devono notificare al trasgressore un provvedimento didiffida a regolarizzare le inosservanze materialmente sanabili.

L’emanazione della diffida è condizione di procedibilità perl’irrogazione delle relative sanzioni.

DIFFIDA OBBLIGATORIA

CARATTERISTICHE DELLA DIFFIDA OBBLIGATORIA

• Non è impugnabile in quanto non produce effetti lesivi;• La regolarizzazione deve avvenire entro 30 giorni dal ricevimento

del verbale unico di accertamento e notificazione.

Mancato pagamento della retribuzione e tutela dei crediti di lavoro

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DIFFIDA OBBLIGATORIA

OTTEMPERANZA/NON OTTEMPERANZA ALLA DIFFIDA• In caso di ottemperanza alla diffida, da parte dell’obbligato in solido

(datore di lavoro), sarà ammesso al pagamento della sanzione entro 15giorni dal termine fissato per la regolarizzazione, nella misura pari alminimo previsto dalla legge o nella misura pari a ¼ della sanzionestabilita. Il pagamento estingue il procedimento sanzionatorio;

• Se invece il trasgressore non ottempera e non fornisce provadell’avvenuta regolarizzazione e del pagamento delle somme previste,gli ispettori, attraverso il verbale unico di accertamento e dinotificazione, contestano e notificano gli addebiti accertati,ammettendo il pagamento della sanzione in misura ridotta.

DIFFIDA ACCERTATIVA PER CREDITI PATRIMONIALI

Se vengono accertati crediti retributivi derivanti dalla correttaapplicazione di contratti individuali e collettivi di lavoro (stipulatidalle organizzazioni sindacali comparativamente piùrappresentative), gli ispettori possono diffidare il datore di lavoro acorrispondere tali somme direttamente al lavoratore.Oggetto dell’accertamento tecnico demandato agli ispettori dellavoro può riguardare sia la sussistenza del diritto del lavoratoreche la misura dello stesso.

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DIFFIDA ACCERTATIVA PER CREDITI PATRIMONIALI

TIPOLOGIE DI CREDITI DIFFIDABILIAPPLICABILITA’ DELLA DIFFIDA ACCERTATIVA

Retributivi da omesso pagamento SìDi tipo indennitario, da maggiorazioni, TFR, ecc, ecc. SìLegati a scelte discrezionali del datore di lavoro (retribuzioni di risultato, premi di produzione, ecc. ecc.)

No

DIFFIDA ACCERTATIVA PER CREDITI PATRIMONIALI

TIPOLOGIE DI CREDITI DIFFIDABILIAPPLICABILITA’ DELLA DIFFIDA ACCERTATIVA

Derivanti da riqualificazione della tipologia contrattuale No

Legati al demansionamento o alla mancata applicazione dei livelli retributivi richiesti esplicitamente dalla costituzione

Derivanti dall’accertamento di lavoro sommerso* Sì

*nel caso l’ispettore abbia accertato rapporti di lavoro “nero” in fattispecie nelle quali siaindividuabile il CCNL applicato, il verbale unico di accertamento, oltre che a contenere la diffida aregolarizzare tali posizioni andrà completato con la diffida accertativa a corrispondere le sommeaccertate e dovute ai lavoratori in “nero” al fine della regolarizzazione sostanziale sul piano deirapporti di lavoro.

Mancato pagamento della retribuzione e tutela dei crediti di lavoro

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DIFFIDA ACCERTATIVA PER CREDITI PATRIMONIALI

A seguito della diffida il datore di lavoro può promuovere, neltermine di 30 giorni dalla notifica dell’atto, un tentativo diconciliazione in DTL.In caso di accordo tra le parti, il provvedimento di diffida perdeefficacia.Per il verbale medesimo non trovano applicazione le disposizionirelative alle rinunce e transazioni.

DIFFIDA ACCERTATIVA PER CREDITI PATRIMONIALI

In caso di accordo la diffida accertativa perde efficacia ed il credito vantatodal lavoratore sarà pari alla somma concordata in sede conciliativa.Sotto il profilo contributivo e assicurativo però, difformemente da quantoavviene per la conciliazione monocratica che non presuppone alcunaccertamento da parte dell’organo di vigilanza, i versamenti non possonoessere inferiori al minimale di retribuzione imponibile, col pagamento delleeventuali sanzioni civili ed interessi legali.Decorso inutilmente il termine per esperire la conciliazione, oppure quandol’accordo tra le parti non viene raggiunto in sede conciliativa, la diffidaaccertativa acquista valore di accertamento tecnico, con efficacia di titoloesecutivo, con apposito provvedimento della DTL.Ciò comporta che il lavoratore può agire mediante atto di precetto al finedella soddisfazione dei crediti retributivi, potendo fondare le proprie pretesesu un provvedimento amministrativo immediatamente esecutivo.

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CONCILIAZIONE MONOCRATICA

Può avvenire a seguito di specifica richiesta di intervento ispettivo in aziendada parte del lavoratore (conciliazione c.d. preventiva) oppure a discrezione delpersonale ispettivo, nel corso di un’ispezione (conciliazione c.d. contestuale).• Preventiva: a fronte di una richiesta di intervento ispettivo da parte del

lavoratore o dell’organizzazione sindacale che lo rappresenta, se vi sonoelementi per una soluzione conciliativa della controversia, la Dtlterritorialmente competente, tramite un funzionario, convoca gliinteressati.

• Contestuale: nel corso di un’ispezione il personale incaricato raccoglie ilconsenso delle parti per effettuare un tentativo di conciliazione.

Art. 11, D.Lgs. n. 124/2004Circ. Min. Lav. n. 36/2009

CONCILIAZIONE MONOCRATICA

PRESUPPOSTILe DTL possono prendere in considerazione solo le richieste chenon siano palesemente pretestuose, oggettivamente inattendibilio prive di fondamento.

Se, invece, le richieste di intervento sono caratterizzate dalladenuncia di irregolarità gravi ed incisive è necessario procederedirettamente all’accertamento ispettivo.

Mancato pagamento della retribuzione e tutela dei crediti di lavoro

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CONCILIAZIONE MONOCRATICA

OGGETTOQuestioni riguardanti diritti patrimoniali dei lavoratori, di originecontrattuale o legale, per le quali è possibile operare una soluzionetransattiva.L’accordo conciliativo deve prevedere in ogni caso il riconoscimentodi un periodo lavorativo intercorso tra le parti; non possonoconcludersi conciliazioni monocratiche a carattere negativo che sirisolvano nella sola corresponsione di una somma di denaro da partedel datore di lavoro a mero titolo transattivo.

CONCILIAZIONE MONOCRATICA

SOLUZIONE DELLA CONTROVERSIAIn caso di accordo, il procedimento ispettivo si estingue medianteil versamento dei contributi previdenziali e assicurativi riferiti allesomme concordate in sede conciliativa, in relazione al periodolavorativo riconosciuto dalle parti, nonché il pagamento dellesomme dovute al lavoratore.

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TENTATIVO OBBLIGATORIO DI CONCILIAZIONE EX ARTT. 410 – 411 COD. PROC. CIV.

Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa a controversie inerenti i rapportidi lavoro subordinato, e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previstedai contratti e accordi collettivi deve promuovere, anche attraverso le associazionisindacali, il tentativo di conciliazione.Se la conciliazione riesce, si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalleparti e dal presidente del collegio che ha esperito il tentativo.Il processo verbale è depositato a cura delle parti o dell’ufficio provinciale del lavoronella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è stato formato e il giudice, suistanza della parte interessata, lo dichiara esecutivo con decreto.Se il tentativo di conciliazione si è svolto in sede sindacale, il processo verbale diavvenuto conciliazione è depositato presso l’ufficio provinciale del lavoro e, a cura diquest’ultimo, viene depositato in tribunale. Il giudice, su istanza della parte interessata,lo dichiara esecutivo con decreto.

PRESCRIZIONE DEI CREDITI RETRIBUTIVI: DECORRENZA

PRESCRIZIONE ESTINTIVA Art. 2934 e ss. cod. civ.

Il diritto di estingue dopo chesia trascorso un certo periododi tempo predeterminato dallalegge senza che il titolare deldiritto ne faccia uso.

PRESCRIZIONE PRESUNTIVA Art. 2934 e ss. cod. civ.

Si assume che il diritto siastato soddisfatto nel periodo ditempo prefissato dalla leggesalvo prova contraria a caricodel creditore.A differenza della prescrizioneestintiva, non vi è cessazionedi un diritto.

Mancato pagamento della retribuzione e tutela dei crediti di lavoro

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PRESCRIZIONE DEI CREDITI RETRIBUTIVI: DECORRENZA

La disciplina legale in materia di prescrizione non può essere modificatamediante patti che, ove stipulati, sono considerati nulli.Ogni diritto si estingue per prescrizione, quanto il titolare non lo esercita peril tempo determinato dalla legge stessa.La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può esserefatto valere.

Tutti i diritti si estinguono per prescrizione tranne i diritti indisponibili e glialtri previsti dalla legge.I diritti indisponibili sono quelli sottratti al potere di disponibilità del relativotitolare, il quale non vi può rinunziare, cederli a terzi oppure trasmetterli aipropri eredi.

PRESCRIZIONE DEI CREDITI RETRIBUTIVI: DECORRENZA

• Si applica ai diritti di natura non retributiva(es. diritto ad una qualifica superiore).

PRESCRIZIONE ORDINARIA DECENNALE

• Si applica ai diritti relativi a tutte le prestazioniperiodiche (es. retribuzione), agli interessi e alleindennità spettanti per la cessazione delrapporto di lavoro. Più in generale si applica atutto ciò che viene pagato periodicamente concadenza annua oppure a cadenze più brevi.

PRESCRIZIONE ORDINARIA

QUINQUENNALE

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PRESCRIZIONE DEI CREDITI RETRIBUTIVI: DECORRENZA

• Si applica nei casi di retribuzionicorrisposte a periodi superiori al mese, aicompensi dei professionisti e per ilrimborso delle spese correlate, anchequelle dei lavoratori subordinati.

PRESCRIZIONE PRESUNTIVA TRIENNALE

• Si applica nei confronti di tutte leretribuzioni corrisposte a periodi nonsuperiori al mese.

PRESCIZIONE PRESUNTIVA

ANNUALE

PRESCRIZIONE DEI CREDITI RETRIBUTIVI: DECORRENZA

TUTELA REALELa prescrizione

decorre durante il rapporto stesso*

TUTELA OBBLIGATORIA

La prescrizione decorre una volta

cessato il rapporto di lavoro*

* Cass. civ., sez. un., 10 gennaio 2006, n. 141

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CREDITI DA LAVORO E PROCEDURE CONCORSUALI

a cura di Rapisarda Alessandro

I DIVERSI CONCETTI DI CRISI ED INSOLVENZA

Crisi ed insolvenza, pur identificando entrambe una situazione di difficoltà, sidifferenziano fra loro per il grado di penetrazione nell’azienda e per laprogressiva difficoltà di superamento.

CRISI IN SENSO STRETTO: rappresenta una condizione passibile dirisanamento;

INSOLVENZA: oltre a rappresentare una conseguenza della crisi, potendo siaintervenire quale rapida trasformazione della crisi stessa sia susseguire ad unlungo periodo di difficoltà, si identifica nell’impossibilità da parte dell’impresadi avviare una fase di risanamento o comunque di prevedere l’uscita dal«tunnel» della crisi.

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STATO DI CRISI E SOLUZIONI PERCORRIBILI

CRISI CONTINGENTE• RINUNCE DA PARTE DEI LAVORATORI;• DISTACCO DEI LAVORATORI;• CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI ORDINARIA;• CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI IN DEROGA;• TRATTAMENTO DI DISOCCUPAZIONE PER I LAVORATORI SOSPESI;CRISI STRUTTURALE• CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI STRAORDINARIA;• CONTRATTI DI SOLIDARIETA’ DIFENSIVI;• PROCEDURE DI LICENZIAMENTO COLLETTIVO E MOBILITA’.• RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI;• CONCORDATO PREVENTIVO;• CESSIONE D’AZIENDA;• CONCORDATO STRAGIUDIZIALE.

STATO DI INSOLVENZA E SOLUZIONI PERCORRIBILI

• RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI;

• CONCORDATO PREVENTIVO;

• LIQUIDAZIONE ORDINARIA;

• LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA;

• AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA;

• FALLIMENTO.

Crediti da lavoro e procedure concorsuali

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EFFETTI DELLE PROCEDURE CONCORSUALI NEI CONFRONTI DEI CREDITI DA LAVORO

I crediti retributivi in sede concorsuale acquisiscono una tutela consistente che simanifesta tramite la soddisfazione degli stessi in privilegio, se trattasi di creditimaturati prima dell’apertura della procedura concorsuale, oppure inprededuzione, se maturati successivamente alla suddetta apertura. Eventualirimborsi spese mai liquidati vengono invece inquadrati come crediti chirografari.Il privilegio configura un’ipotesi di soddisfazione in via preventiva rispetto aicreditori chirografari, mentre la prededuzione permette di sottrarre dallaliquidazione dell’attivo prima di procedere al riparto, estraendo quindi dettesomme da quelle destinate agli altri creditori.

I crediti da lavoro solitamente si differenziano per crediti retributivi, creditiderivanti dal trattamento di fine rapporto e crediti per risarcimento dei danniaventi comunque origine nel rapporto di lavoro.

CREDITI PRIVILEGIATI

Come detto, sono crediti che devono essere soddisfatti in viaprevalente sui chirografari, ma essendo anche crediti maturati indata anteriore all’apertura della procedura concorsuale, sonosoggetti alla par condicio creditorum nel rispetto dell’ordine diprivilegio assegnato.Al fine di acquisire un quadro preciso del grado di privilegiovantato dai crediti da lavoro, si propone una tabella illustrativa diquanto disposto dall’art. 2751 cod. civ., specificando però chetrattasi di privilegio generale sui beni mobili.

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CREDITI PRIVILEGIATI

CREDITI DA LAVOROPrivilegio generale sui beni mobili

Tipo di credito Rif. normativo

Ordine di privilegio

Crediti dei prestatori di lavoro subordinato perretribuzioni dovute sotto qualsiasi forma e pertutte le indennità dovute per effetto dellacessazione compresa la rivalutazione monetariae gli interessi

art.2751-bis c.c. n.1 II°

Crediti di lavoro per danni* derivanti dalmancato pagamento di contributi e subiti pereffetto di un licenziamento riconosciutoillegittimo

art.2751-bis c.c. n.1 II°

* Cass. sentenze n. 326/1983; n. 220/2002; n, 113/2004.

CREDITI PRIVILEGIATI

CREDITI DA LAVOROPrivilegio generale sui beni mobili

Tipo di credito Rif. normativo

Ordine di privilegio

Crediti per compenso ai professionisti ed altriprestatori d'opera relativamente agli ultimi dueanni di prestazione

art.2751-bis c.c. n.2 III°

Crediti per provvigioni derivanti dall'ultimo annodi rapporto di agenzia nonché per indennitàconnesse alla risoluzione del medesimo rapporto

art.2751-bis c.c. n.3 III°

Crediti derivanti da corrispettivi per prestazionieseguite dall'azienda artigiana e dalle società edenti cooperativi di produzione e lavoro

art.2751-bis c.c. n.5 IV°

Crediti da lavoro e procedure concorsuali

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CREDITI PREDEDUCIBILI

Questi crediti, maturati in data posteriore rispetto alla procedura,derivano da prestazioni strumentali alla procedura stessa, quindivengono solitamente soddisfatti completamente, considerata laloro sottrazione anticipata dall’attivo.Anche questi importi prevedono l’annessione alle somme dovute atitolo di spese ed interessi fino al momento del pagamento.I crediti rilevanti in ambito di prededuzione sono sicuramente quelliderivanti dalle posizioni dei lavoratori in forza all’aziendasuccessivamente all’apertura della procedura concorsuale, sia essaun concordato preventivo ovvero una dichiarazione di fallimento.

TFR – MOMENTO DI MATURAZIONE DEL CREDITO

Esistono due diverse tesi circa il momento di maturazione delcredito per il TFR: la prima lo vuole concorrente con gli altri creditiprivilegiati della procedura concorsuale; la seconda in prededuzioneallo stato passivo.Con la sentenza n.11470 del 1997 la Corte di Cassazione sanciva lamaturazione dell’intero importo al momento della cessazione delrapporto di lavoro. Solo un’anticipazione dello stessodeterminerebbe, pertanto, l’insorgere di un credito anteriore allacessazione del rapporto di lavoro.

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TFR – MOMENTO DI MATURAZIONE DEL CREDITO

Le diverse tesi producono i medesimi effetti in riferimento airapporti cessati prima dell’apertura della procedura concorsuale.In riferimento ai rapporti cessati dopo l’apertura della proceduraconcorsuale stessa si distinguono invece due ipotesi:- Se si sposa la tesi enunciata con la sentenza della Corte di

Cassazione, il credito per TFR va totalmente assegnato inprededuzione;

- Se si sposa la tesi della divisione per quote per il periodo ante epost procedura concorsuale, la quota ante parteciperà inprivilegio, mentre la quota post andrà in prededuzione .

LE ISTANZE DI AMMISSIONE AL PASSIVO

La riforma del diritto fallimentare ha ristretto l’ambito dellatempistica utile all’insinuazione al passivo dei lavoratori dipendenti.In precedenza, infatti, le domande potevano essere presentateanche nel corso dell’udienza di verifica dei crediti, posta lapresentazione dei documenti attestante il credito in data anterioreall’adunanza di verifica.La nuova disciplina, invece, prevede che le domande di ammissioneal passivo debbano essere presentate almeno trenta giorni primadell’adunanza di verifica, mentre i documenti potranno depositarsifino ai quindici giorni precedenti l’udienza per l’esame dello statopassivo.

Art. 93 L.F.

Crediti da lavoro e procedure concorsuali

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LE ISTANZE DI AMMISSIONE AL PASSIVO

La domanda di ammissione al passivo deve contenere:

- Cognome e nome del creditore;- Indicazione della somma richiesta*;- Indicazione del titolo dal quale il credito deriva;- Indicazione delle ragioni di prelazione;- Indicazione dei documenti giustificativi.

* A tal proposito le somme da indicarsi dovranno essere poste al netto degli oneriprevidenziali, esigibili per competenza e perciò dovuti nel periodo di maturazioneindipendentemente dal versamento o meno degli stessi, ma al lordo di quelli fiscali, cheessendo legati ad esigibilità per cassa, matureranno al momento dell’effettivacorresponsione.

Art. 93 L.F.

LE PRESTAZIONI DIRETTE AI DIPENDENTI EROGATE DALL’INPS

Le difficoltà legate al recupero dei crediti da lavoro maturati dai dipendenti nonriguardano esclusivamente retribuzioni e TFR, ma anche tutte le somme derivantidalle prestazioni Inps a sostegno del reddito che il datore di lavoro dovrebbeanticipare per conto dell’Istituto e porre poi a conguaglio con i versamenti correnti.La legge prevede in modo specifico le casistiche in cui l’Istituto può provvedere alpagamento diretto e tra queste vi rientrano il fallimento, l’amministrazionecontrollata, la liquidazione coatta ed amministrativa ed il concordato preventivo.Chiaramente, in tutte le condizioni citate, la prestazione deve essere stata richiestain via principale dal datore di lavoro (attraverso il flusso Uniemens) e questi nondeve essere in grado di corrispondere la presentazione.Le prestazioni che possono essere pagate direttamente dall’Inps sono: maternità,malattia, permessi ex L. n. 104/1992, cassa integrazione ordinaria, altriammortizzatori sociali (secondo specifica disciplina), il TFR.

D. L. n. 663/1979

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FONDO DI GARANZIA

Il Fondo di Garanzia è stato istituito per proporre una soluzione, per quantoparziale, ai danni causati al lavoratore derivanti dall’insolvenza dell’impresa,assicurando al lavoratore una serie di tutele specifiche e bene determinate,fruibili tramite specifiche procedure.I soggetti aventi diritto alle prestazioni del fondo sono specificatamenteindividuati in tutti i lavoratori dipendenti: siano essi operai, impiegati e soci dicooperativa. In subordine ai soggetti direttamente interessati, per lasoddisfazione del credito possono agire direttamente gli eredi del lavoratoredeceduto.Resta intesa la necessità di esercitare un’esplicita richiesta da parte degliinteressati per rendere possibile l’ottenimento delle prestazioni del Fondoessendo possibile, altrimenti, solamente in caso di sentenza passata ingiudicato ( messaggio INPS n. 63769 del 12/11/1994).

FONDO DI GARANZIA

PRESUPPOSTI PER L’INTERVENTO

I presupposti che necessariamente devono verificarsi per poteravviare la richiesta esplicita d’intervento sono:

1. Cessazione del rapporto di lavoro subordinato;2. Apertura di una procedura concorsuale;3. Esistenza di un credito non soddisfatto.

Crediti da lavoro e procedure concorsuali

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FONDO DI GARANZIA E TFR

Il trattamento di fine rapporto nel suo intero ammontare puòessere richiesto direttamente al fondo, qualora non erogatodall’azienda oppure dalla procedura tramite la ripartizionedell’attivo.

FONDO DI GARANZIA E CREDITI DA LAVORO DIVERSI DAL TFR

Dal punto di vista temporale, i crediti garantiti dal Fondo diGaranzia, sono quelli corrispondenti agli ultimi tre mesi di rapporto,purché rientrino nei dodici mesi antecedenti la domanda di aperturadella procedura concorsuale.Nel caso di prosecuzione del rapporto oltre la data di apertura dellaprocedura concorsuale, le tre mensilità corrisponderanno alle ultimeretribuzioni del rapporto prima della cessazione.

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FONDO DI GARANZIA E CREDITI DA LAVORO DIVERSI DAL TFR

Per quanto riguarda le tre mensilità da considerare deve trattarsi dieffettiva prestazione lavorativa, considerando come neutri i periodidi sospensione del rapporto (Corte di Giustizia Europea, sent. 15maggio 2003).Si dovrà pertanto operare uno slittamento fino al primo periodolavorato prima o dopo l’apertura della procedura concorsuale, nelrispetto dei dodici mesi previsti.Ovviamente il TFR, qualora presente nell’ultimo LUL in ordine ditempo, andrà comunque escluso in quanto garantito da specificadisciplina.

FONDO DI GARANZIA: PROCEDURA AMMINISTRATIVA DI RICHIESTA

La richiesta di intervento del Fondo di Garanzia deve essere proposta dagliinteressati alla sede INPS territorialmente competente secondo il luogo diresidenza, attraverso l’apposita modulistica messa a disposizione dall’Istituto.Sono previsti specifici termini iniziali di presentazione differenti a secondadell’evento che ha determinato il debito nei confronti del lavoratore.

• Presentazione decorsi 15 giorni daldeposito dello stato passivo reso esecutivo.FALLIMENTO

• Presentazione dal giorno successivo al decretodi ammissione allo stato passivo o dopo lasentenza riguardo l’eventuale contestazione.

INSINUAZIONE TARDIVA

Crediti da lavoro e procedure concorsuali

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FONDO DI GARANZIA: PROCEDURA AMMINISTRATIVA DI RICHIESTA

• Presentazione dal giorno successivo alla sentenza che decide sul merito della questione.

IMPUGNAZIONI RIGUARDO AL

DIRITTO DI CREDITO

• Dopo la cessazione definitiva del rapporto di lavoro, sempre che sia stato depositato lo stato passivo.

AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA

• Presentazione dal giorno successivo alla pubblicazionedel decreto di omologazione, ovvero del decreto chedirime le impugnazioni o le opposizioni.

CONCORDATO PREVENTIVO

• Presentazione dal giorno successivo alla data delverbale di pignoramento negativo.

ESECUZIONE INDIVIDUALE

FONDO DI GARANZIA: TEMPI DI PAGAMENTO

L’Istituto liquida le prestazioni richieste entro sessanta giorni dalricevimento dell’istanza, salvo richieste di integrazione delladocumentazione che spostano la decorrenza al completamentodella pratica (nella realtà tale termine difficilmente viene rispettato).Gli importi erogati dal Fondo generano interessi e rivalutazioni dalmomento dell’insorgenza del credito e fino alla liquidazione dellostesso.L’Istituto agisce come sostituto d’imposta, operando le ritenutefiscali, a tassazione separata, salvo per i crediti maturati nelmedesimo anno di erogazione per i quali verrà applicata latassazione corrente.

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FONDO DI GARANZIA: PRESCRIZIONE

Il diritto al TFR si prescrive in cinque anni che decorrono dalladata di cessazione del rapporto di lavoro.

Quando il diritto al TFR è riconosciuto da sentenza di condannapassata in giudicato si prescrive in dieci anni.

La prescrizione degli altri crediti diversi dal TFR è annuale.

Art. 2948, co. 5, cod. civ.

Art. 2953, cod. civ.

FONDO DI GARANZIA E TFR DESTINATO AL FONDO DI TESORERIA INPS

Le Aziende del settore privato che abbiano alle proprie dipendenzealmeno 50 lavoratori subordinati al 31/12/2006, indipendentementeda orario di lavoro e qualifica, devono versare mensilmente il TFRdei propri dipendenti, se non destinato alla previdenzacomplementare, al Fondo di Tesoreria gestito dall’INPS presso latesoreria dello Stato.

L. n. 296/2006

Crediti da lavoro e procedure concorsuali

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FONDO DI GARANZIA E TFR DESTINATO AL FONDO DI TESORERIA INPS

Le operazioni di erogazione del TFR passano comunque perun’erogazione a carico del datore di lavoro che conguaglierà quantoerogato con i contributi INPS correnti.Nel caso di procedura concorsuale, il lavoratore come potrà vederesoddisfatto il proprio credito? E nel caso in cui le aziende abbianoomesso il versamento al Fondo di tesoreria delle quote di TFRmaturate, rendendo lo stesso creditore dell’azienda in proceduraconcorsuale, cosa succede?

FONDO DI GARANZIA E TFR DESTINATO AL FONDO DI TESORERIA INPS

Siccome il versamento al Fondo di Tesoreria è un vero e proprioobbligo contributivo al pari del versamento della contribuzionemensile* e il Fondo di Tesoreria è qualificato come gestioneprevidenziale, ne consegue che le prestazioni da erogaresoggiacciono al principio dell’automaticità, dovute quindiindipendentemente dal versamento effettivo della contribuzione.Il Fondo di Garanzia garantirà comunque la copertura del TFRmaturato fino al 31/12/2006.

*Art. 1, co. 756, Legge Finanziaria per il 2007Art. 1, co 3, D.M. 30 gennaio 2007

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FONDO DI GARANZIA E TFR DESTINATO A PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Il D.Lgs. n. 80/1992 ha inteso estendere la tutela prevista dalFondo di Garanzia anche alle posizioni della previdenzacomplementare, in applicazione della Direttiva n. 80/987 delConsiglio d’Europa.Presso l’INPS, infatti, è istituito un apposito Fondo di Garanziacontro il rischio derivante da insolvenza del datore di lavoro, acopertura dei contributi versati alle forme di previdenzacomplementare.

FONDO DI GARANZIA E TFR DESTINATO A PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Risultano pertanto garantiti i crediti per contributi IVS come diseguito specificati:• Contributi a carico del datore di lavoro;• Contributi dovuti dal lavoratore qualora trattenuti e non versati;• Quota di TFR trattenuta e non versata.

Legittimato a richiedere l’intervento del Fondo, nel silenzio dellalegge, pare essere il fondo di previdenza complementare.

Crediti da lavoro e procedure concorsuali

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GLI EFFETTI DEL FALLIMENTO SULLE CAUSE DI LAVORO

È frequente che il datore di lavoro fallito, al momento delladichiarazione di fallimento, abbia una serie di processi in corso inqualità di attore o di convenuto di fronte al giudice del lavoro,relativi a rapporti compresi nel fallimento (ad esempio un’azione direcupero dei crediti, di risarcimento danni o di risoluzione delcontratto).Tale eventualità è disciplinata dall’art. 43 L.F., ai sensi del quale, unavolta dichiarato il fallimento, il fallito perde la capacità processualein favore del curatore, cui è attribuita la legittimazione a sostituirsi ingiudizio allo stesso, fino alla chiusura del fallimento.

GLI EFFETTI DEL FALLIMENTO SULLE CAUSE DI LAVORO

È poi disposta, quale ulteriore conseguenza dell’apertura del fallimento, inaccordo con quanto sostenuto costantemente ingiurisprudenza, l’interruzione automatica dei processi in corso, a normadell’art. 300 c.p.c.Quanto alle modalità operative dell’interruzione, di regola l’avvocato delfallito è tenuto a dichiarare in udienza (o notificare alle contropartiinteressate) l’intervenuto fallimento chiedendo l’interruzione del processo,che dovrà dunque essere riassunto dagli interessati nel rispetto deltermine perentorio di tre mesi dal provvedimento.Dunque, il Tribunale fallimentare attrae a sé tutte le cause relative allaprocedura e quelle che possono influenzare la soddisfazione paritetica deicreditori anche in deroga ai normali criteri della competenza per valore eper territorio, allo scopo di riunire davanti ad un solo giudice tutte le causedipendenti dal fallimento.

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RIPARTIZIONE DELL’ATTIVO

«Le somme ricavate dalla liquidazione dell'attivo sono erogate nelseguente ordine:1) per il pagamento dei crediti prededucibili;2) per il pagamento dei crediti ammessi con prelazione sulle cosevendute secondo l'ordine assegnato dalla legge;3) per il pagamento dei creditori chirografari, in proporzionedell'ammontare del credito per cui ciascuno di essi fu ammesso,qualora non sia stata ancora realizzata la garanzia, ovvero per laparte per cui rimasero non soddisfatti da questa».

Art. 111, L.F.

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ASPETTI FISCALI E CONTRIBUTIVI DEL MANCATO PAGAMENTO DELLE RETRIBUZIONI E RELATIVE SANZIONI

a cura di Luca Caratti

PREMESSA: OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO

a) Elaborare e stampare LULb) Consegna prospetto di pagac) Determinazione imponibile contributivo, versamento

ritenute e inoltro UniEmensd) Determinazione imponibile fiscale, versamento ritenute

a pag. della dispensa

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MANCATO PAGAMENTO DELLE RETRIBUZIONI

La retribuzione ha una duplice funzione economico-sociale dicorrispettivo della prestazione lavorativa e di mantenimento dellavoratore e della sua famiglia. L’insolvenza del datore di lavorocostituisce quindi violazione di un obbligo contrattuale e di unobbligo costituzionale (art.36 Cost).

MANCATO PAGAMENTO DELLE RETRIBUZIONI

Qualora il lavoratore non riceva la retribuzione potrà:• rassegnare le proprie dimissioni per giusta causa con

risoluzione immediata del rapporto obbligando la ditta alpagamento del preavviso.

• attivare un procedimento giudiziale per il recupero del credito(decreto ingiuntivo e precetto con aggravio di costi per speselegali e di procedimento);

• attivare un procedimento di diffida accertativa del creditoinnanzi alla Direzione Territoriale del lavoro (diffida esuccessivo precetto);

Aspetti fiscali e contributivi del mancato pagamento delle retribuzioni e relative sanzioni

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MANCATO PAGAMENTO DELLE RETRIBUZIONI

• chiedere l’intervento della Direzione Territoriale del Lavoro per un procedimento di conciliazione monocratica;

• attivare in sede processuale il ricorso d’ urgenza (art.700 cpc) quando la retribuzione costituisce l’unico mezzo di sostentamento del lavoratore e della famiglia ma anche- a discrezione del giudice-per garantire al lavoratore il diritto ad un’ esistenza libera e dignitosa;

• agire per il risarcimento del danno qualora l’insolvenza del datore o una disparità di trattamento tra lavoratori configuri un intento discriminatorio volto ad indurre il dipendente a dimettersi.

Ai sensi art. 2751bis c.c. il lavoratore ha un privilegio generale sui beni mobili del datore a garanzia dell’adempimento delle obbligazioni retributive.

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ASPETTI CONTRIBUTIVI DEL MANCATO PAGAMENTO DELLE RETRIBUZIONI E OMISSIONE CONTRIBUTIVE

a cura di Luca Caratti

IL RESPONSABILE DELL’OBBLIGO CONTRIBUTIVO

Il responsabile del pagamento dei contributi è esclusivamente ildatore di lavoro, egli deve:

• Determinare imponibile;• Trattenere la quota c/dipendente• Versare la contribuzione determinata da quota DdL e quota

c/dipendente.

Aspetti contributivi del mancato pagamento delle retribuzioni e omissione contributive

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IL RESPONSABILE DELL’OBBLIGO CONTRIBUTIVO

È prevista sanzione amministrativa per il datore di lavoro chetrattiene sulla retribuzione spettante al lavoratore sommemaggiori di quelle per le quali è stabilita la trattenuta.Sanzione da 30 € a 125 € per ogni dipendente

(art. 23 Legge n. 218/1952)

IL RESPONSABILE DELL’OBBLIGO CONTRIBUTIVO

Da quanto sopra deriva che in caso di mancato pagamento dellaretribuzione il datore di lavoro non può procedere ad effettuarela trattenuta della quota di contributi a carico del lavoratore.

(Nota Ministero lavoro n. 9044/2011)

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IL RESPONSABILE DELL’OBBLIGO CONTRIBUTIVO

Cass. 3782/2009:“il diritto di ritenuta del datore di lavoro sulla retribuzione èlimitato al solo caso di tempestivo pagamento dellacontribuzione relativa al medesimo periodo, escludendopertanto tale forma di recupero della quota a carico dellavoratore in ogni caso di pagamento parziale o ritardatopagamento dei contributi, ivi compresa l’ipotesi in cui ad esserepagati in ritardo siano insieme la retribuzione e i contributi adessi riferibili”

CONTRIBUZIONE VIRTUALE IN EDILIZIA

Parrebbe che l’Inps, con circ. 269/1995, consentaall’effettuazione delle trattenute ancorché non vi sia pagamentodelle retribuzioni in quanto assimila la contribuzione virtuale aquella ordinaria.

Aspetti contributivi del mancato pagamento delle retribuzioni e omissione contributive

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IPOTESI SANZIONATE

• omissione contributiva (lett. a, art.116, c.8 legge n. 388/2000)mancato o ritardato pagamento di contributi e premi il cuiammontare è rilevato dalle denunce e/o registrazioni;

• evasione contributiva (lett. b, art 116 c.8 legge n. 388/2000)mancato pagamento di contributi e premi connesso a denunce oregistrazioni omesse o false con l’intenzione specifica di nonversare i contributi o occultare i rapporti;

• oggettive incertezze (comma 10 art. 116 e comma 15 art. 116)

SANZIONI PENALI

• omissione e falsità in registrazioni o denunce – art. 116, c. 19,L. n. 388/2000 (reclusione fino a 2 anni per evasione noninferiore alla maggior somma fra euro 2.582 e la metà dicontributi complessivamente dovuti)

• Mancato versamento ritenute operate sulle retribuzioni deidipendenti – art. 1, c. 1, D.Lgs. n. 211/94 (reclusione fino a 3anni e multa fino a euro 1.032, esclusione punibilità in caso diversamento entro 3 mesi dalla contestazione)

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IN SINTESI

Mancato versamento contributi

Illecito civile per laParte a carico datore

Illecito penale per la sola partedi quota a carico lavoratori

OMISSIONE CONTRIBUTIVA

• omissione contributiva (lett. a, art.116, c.8 legge n.388/2000): sanzione pari al Tur (0,05%) maggiorato di 5,5punti in ragione d’anno, nel limite massimo del 40%dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro lescadenze di legge.

• Dopo il raggiungimento del 40% maturano interessi di morapari a 5,14%

Aspetti contributivi del mancato pagamento delle retribuzioni e omissione contributive

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OMISSIONE CONTRIBUTIVA

CASI SPECIFICI D’APPLICAZIONE DELLE SANZIONI CIVILI

• Conseguenza automatica dell’inadempimento

• Circ. Inps n. 74/03 – qualificazione rapporto

• Cass. 1.4.2009 n. 7934 – reintegrazione nel posto dilavoro

EVASIONE CONTRIBUTIVA

Evasione contributiva (lett. b primo periodo, art 116 c.8 legge n.388/2000): sanzione civile in ragione d’anno pari al 30% deicontributi e premi evasi, nel limite massimo 60%.

Dopo raggiungimento tetto massimo maturano interessi dimora.

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EVASIONE CONTRIBUTIVA ATTENUATA

Evasione contributiva attenuata (lett. b secondo periodo, art 116c.8 legge n. 388/2000): sanzione pari a quella prevista perl’omissione contributiva qualora la denunzia della situazionedebitoria sia effettuata spontaneamente prima di contestazionio richieste da parte di enti impositori o comunque entro 12 mesidal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi, acondizione che il versamento avvenga entro 30 giorni dalladenunzia. La mancata osservanza dei termini fa scattareapplicazione sanzione ordinaria.

OGGETTIVE INCERTEZZE

Oggettive incertezze (comma 10 art. 116 e comma art. 116):sanzione pari al Tur (0,05%) maggiorato di 5,5 punti in ragioned’anno, nel limite massimo del 40% dell’importo dei contributi opremi non corrisposti entro le scadenze di legge.

N.B.: non può essere soggetto di valutazione soggettiva ma devesussistere materia oggetto del contendere rilevato da effettivi econtrastanti orientamenti giurisprudenziali.

Aspetti contributivi del mancato pagamento delle retribuzioni e omissione contributive

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REGIME SPECIALE - LEGGE N. 388/2000

Le sanzioni possono essere ridotte sino alla misura degli interessi legaliin alcune specifiche situazioni:

• oggettive incertezze (comma 15 art. 116)• fatto doloso del terzo (comma 15 lett. a art. 116)• aziende in crisi e procedure concorsuali (comma 15, lett. b, art.

116 e art. 1, comma 220 legge n.662/96)• Enti non economici e enti fondazioni e associazioni non aventi

fini di lucro quando l’ inadempienza sia dipesa da ritardataerogazione di contributi o finanziamenti pubblici previsti perlegge o convenzione (comma 221 art. 1 legge n.662/96)

MANCATO VERSAMENTO RITENUTE OPERATE SULLE RETRIBUZIONI DEI DIPENDENTI

Art. 2 L. n.638/1983: il fatto è il mancato versamento dellequote contributive trattenute e dedotte dalle retribuzioni.

Il reato sussiste e si “perfeziona” al momento in cui il soggettoobbligato omette il versamento alla naturale scadenza.

Ma il reato non è immediatamente perseguibile, lo diventa solonel momento in cui il mancato versamento si mantiene anchedopo i tre mesi dalla sua contestazione o notifica.

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MANCATO VERSAMENTO RITENUTE OPERATE SULLE RETRIBUZIONI DEI DIPENDENTI

Art. 2 L.n. 638/1983: il fatto è il mancato versamento delle quotecontributive operate e dedotte dalle retribuzioni. Quindi non puòesistere se non si sia proceduto al pagamento delle retribuzioni.

Il reato sussiste e si “perfeziona” al momento in cui il soggettoobbligato omette il versamento alla naturale scadenza.

Ma il reato non è immediatamente perseguibile, lo diventa solo nelmomento in cui il mancato versamento si mantiene anche dopo itre mesi dalla sua contestazione o notifica.

MANCATO VERSAMENTO RITENUTE OPERATE SULLE RETRIBUZIONI DEI DIPENDENTI

La corretta individuazione del termine di versamento èrinvenibile per il periodo di paga al quale si riferisce laretribuzione già corrisposta al lavoratore.Lavoratori subordinati: principio di competenzaLavoratori parasubordinati: principio di cassa

Attenzione reato esteso anche a COCOPRO e COCOCO (art.39 L.n.183/2010)

Aspetti contributivi del mancato pagamento delle retribuzioni e omissione contributive

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OMISSIONE DI SOMME DI LIEVE ENTITÀ

Cass., sez. pen., 17 settembre 2014 n. 38080:Si conferma l’applicazione della sanzione penale prevista daart.2c.1bis DL. n.463/83 conv. in L. n.638/83, per il mancatoversamento delle trattenute previdenziali effettuate sulleretribuzioni dei lavoratori subordinati o parasubordinati anche perle somme di lieve entità diversamente da quanto previsto in campofiscale (oggi 50.000€).(di parere contrario Trib. Bari 16/06/14 non sussiste reato persomme non superiori a 10.000 €)

TRATTENUTE CONTENUTE NEL PIANO RATEALE

• Inps circ. 106 del 10/08/2012:Il datore di lavoro non è esonerato dal versamento entro il terminedi tre mesi delle somme definite a carico del dipendente ancorchéle somme siano state incluse nel piano rateale.

• Di parere contrario:Cass.n.32958 del 23/07/2014: sentenza favorevole all’imputatocolpevole di mancato versamento di 933,00 € già inseriti indilazione.

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PRESTAZIONI PREVIDENZIALI NON EROGATE

• Divieto di conguaglio tra le sole trattenute previdenziali acarico dei lavoratori e prestazioni anticipate dal datore perconto dell’Inps.

L’eccezione alla regola si concretizza quando la quota a caricodatore di lavoro non è sufficiente per compensare la prestazioneanticipata.

PRESTAZIONI PREVIDENZIALI NON EROGATE

• Mancato pagamento ANF: sanzione da 510 € a 5.160 €

• Mancato pagamento indennità giornaliera di malattia ematernità: 125 € per ogni dipendente.

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ASPETTI FISCALI DEL MANCATO PAGAMENTO DELLE RETRIBUZIONI

a cura di Luca Caratti

PROFILI FISCALI

L’art. 51 TUIR contiene un’ampia nozione di reddito di lavorodipendente, stabilendo che tale reddito è “costituito da tutte lesomme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periododi imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione alrapporto di lavoro”.

L’art. 17 TUIR disciplina le modalità della tassazione delle sommepercepite dal lavoratore, distinguendo tra transazione “relativaalla risoluzione del rapporto di lavoro” e transazione intervenutanel corso di tale rapporto, prevedendo solo nel primo casol’assoggettamento a tassazione separata.

L’art. 17 lett. a) TUIR stabilisce, infatti, che sono assoggettate atassazione separata solo “le somme e i valori comunque percepiti,al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio onel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimentidell’autorità giudiziaria o di transazioni relative alla risoluzione delrapporto di lavoro”.

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PROFILI FISCALI

Questa è la più comune tipologia di redditi per cui si applica latassazione separata:

• Trattamento di fine rapporto• Prestazioni pensionistiche erogate in forma di capitale,• Emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili

ad anni precedenti• Indennità percepite per la cessazione dei rapporti di collaborazione

coordinata e continuativa• L'indennità di mobilità

segue

PROFILI FISCALI

• Indennità per la cessazione di rapporti di agenzia delle persone fisiche edelle società di persone

• Indennità percepite per la cessazione da funzioni notariliIndennità percepite da sportivi professionisti, al termine dell'attivitàsportiva

• Plusvalenze, realizzate mediante cessione a titolo oneroso di aziendepossedute da più di cinque anni

• Plusvalenze realizzate a titolo di cessione a titolo oneroso di terrenisuscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici

• Somme conseguite a titolo di rimborso di imposte o di oneri dedotti dalreddito complessivo o per i quali si è fruito della detrazione in periodi diimposta precedenti.

Aspetti fiscali del mancato pagamento delle retribuzioni

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PROFILI FISCALI

Dall’art. 17 lett. b) discende la regola dell’assoggettamento atassazione ordinaria delle somme (aventi natura retributiva)corrisposte al lavoratore a seguito di transazioni stipulate nelcorso del rapporto di lavoro laddove la norma stabilisce chesono soggetti a tassazione separata solo “gli emolumentiarretrati corrisposti per effetto di legge, contratti collettivi,sentenze o atti amministrativi sopravvenuti o di altre cause nondipendenti dalla volontà delle parti”.

PROFILI FISCALI

In entrambi i casi, trattandosi di redditi di lavoro dipendente, ildatore di lavoro dovrà effettuare la ritenuta d’acconto ai sensidi quanto previsto dall’art. 23 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

Tale trattamento non è tuttavia applicabile nel caso ditransazioni aventi ad oggetto l’erogazione di somme dirette arisarcire un danno emergente sofferto dal lavoratore.

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MANCATO PAGAMENTO RETRIBUZIONI

Totalmente non corrisposte

Nessun presupposto impositivo

Zero ritenute

Integralmente o parzialmente corrisposte

Imponibile fiscale

Determinazione ritenute

OMESSO VERSAMENTO RITENUTE FISCALI

La scadenza della presentazione del modello 770 segna lospartiacque per la commissione del reato di omesso versamentodi ritenute certificate.

È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque nonversa, entro il termine previsto per la presentazione delladichiarazione annuale di sostituto di imposta, ritenute risultantidalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontaresuperiore a 50mila euro per ciascun periodo d’imposta.

Aspetti fiscali del mancato pagamento delle retribuzioni

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OMESSO VERSAMENTO RITENUTE FISCALI

• Cass. n. 19454 del 19 maggio 2014:Non è necessario verificare se i dipendenti hanno ricevutol’attestazione relativa agli emolumenti da parte del sostitutod’imposta, poiché la presentazione, da parte di quest’ultimo,della dichiarazione annuale dei dati fiscali, contributivi eassicurativi relativi alle retribuzioni (modello 770), con allegate leattestazioni nominative, è indice “inequivocabile” delle ritenuteoperate e del loro omesso versamento.

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APPALTI E RESPONSABILITÀ SOLIDALE

a cura di Luca Caratti

APPALTI E RESPONSABILITÀ SOLIDALE

Art. 29 c 2 D.Lgs 276/2003: «… Salvo diversa disposizione deicontratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datoridi lavoro e dei lavoratori comparativamente piùrappresentative del settore che possono individuare metodi eprocedure di controllo e di verifica della regolarità complessivadegli appalti…»

Appalti e responsabilità solidale

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APPALTI E RESPONSABILITÀ SOLIDALE

Art. 29 c 2 D.Lgs 276/2003: «… in caso di appalto di opere o diservizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligatoin solido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventualisubappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazionedell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi,comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché icontributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione alperiodo di esecuzione del contratto di appalto, restando esclusoqualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo ilresponsabile dell'inadempimento…»

APPALTI E RESPONSABILITÀ SOLIDALE

SOGGETTI OBBLIGATIIl committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato insolido con l'appaltatore, nonché con ciascuno degli eventualisubappaltatori

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APPALTI E RESPONSABILITÀ SOLIDALE

ESTENSIONE TEMPORALEentro il limite di due anni dalla cessazione dell'appalto.

NB Termine decadenziale non applicabile agli istitutiprevidenziali da parte del debitore principale!

APPALTI E RESPONSABILITÀ SOLIDALE

OGGETTO DELLA RESPONSABILITÀi trattamenti retributivi identificabili in:• TFR;• Retribuzioni dirette-indirette-differite;

NB Non ci sono limitazioni di importo

Appalti e responsabilità solidale

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APPALTI E RESPONSABILITÀ SOLIDALE

OGGETTO DELLA RESPONSABILITÀcontributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazioneal periodo di esecuzione del contratto di appalto• Esclusione per le sanzioni civili che restano a totale carico del

debitore principale.• Possibilità di decurtare quanto già versato dal debitore

principale o da qualsiasi altro obbligato in solido.

APPALTI E RESPONSABILITÀ SOLIDALE

Chi sono i soggetti legittimati ad agire per ottenere la tutelaex art. 29 D.Lgs. 276/2003?– I lavoratori subordinati;– I lavoratori autonomi (secondo il Ministero del lavoro

limitatamente ai lavoratori parasubordinati).

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APPALTI E RESPONSABILITÀ SOLIDALE

Art. 29 c 2 D.Lgs. 276/2003: «… Il committente imprenditore o datoredi lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamenteall'appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Ilcommittente imprenditore o datore di lavoro può eccepire, nellaprima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimoniodell'appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal casoil giudice accerta la responsabilità solidale di tutti gli obbligati, mal'azione esecutiva può essere intentata nei confronti del committenteimprenditore o datore di lavoro solo dopo l'infruttuosa escussione delpatrimonio dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori…»

APPALTI E RESPONSABILITÀ SOLIDALE

PREVENTIVA ESCUSSIONEIl committente imprenditore o datore di lavoro può eccepire,nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione delpatrimonio dell'appaltatore.

?Necessario il giudizio?

Appalti e responsabilità solidale

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APPALTI E RESPONSABILITÀ SOLIDALE

PREVENTIVA ESCUSSIONEl'azione esecutiva può essere intentata nei confronti delcommittente imprenditore o datore di lavoro solo dopol'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore e deglieventuali subappaltatori

APPALTI E RESPONSABILITÀ SOLIDALE

PREVENTIVA ESCUSSIONESe in giudizio è stato convenuto il solo committente?

Questi potrà sollevare comunque l’eccezione indicando i benidel patrimonio dell’appaltatore sui quali il lavoratore puòsoddisfarsi

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APPALTI E RESPONSABILITÀ SOLIDALE

IL RECUPERO DI QUANTO VERSATO«… Il committente che ha eseguito il pagamento può esercitarel'azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo leregole generali …»• Complessa…..• Incerta nei tempi di definizione…• Incerta nel risultato...

APPALTI E RESPONSABILITÀ SOLIDALE

SOLIDARIETÀ FISCALEComma 28 art. 35 D.L. 223/2006 conv in L. 248/2006– soggetti coinvolti: appaltatore in solido con il

subappaltatore;– limiti: ammontare del corrispettivo dovuto;– oggetto della responsabilità: ritenute fiscali sui redditi da

lavoro dipendente

Appalti e responsabilità solidale

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APPALTI E RESPONSABILITÀ SOLIDALESOLIDARIETÀ FISCALE

Evitabile:- Acquisizione della documentazione prima del versamento del

corrispettivo che consenta di verificare che gli adempimenti,scaduti, siano stati assolti da sub-appaltatore

- Asseverazione di uno dei professionisti abilitati (o rilasciodichiarazione sostitutiva)

Anche il committente è pienamente coinvolto in quantoavrebbe dovuto chiedere l’esibizione della documentazioneattestante la regolarità dei pagamenti prima di pagare ilcorrispettivo all’appaltatore

APPALTI E RESPONSABILITÀ SOLIDALE

decreto semplificazione approvato dal Governo in attesa pubb. GU

Art. 28: soppressione c. 28-28ter art. 35 DL. n.223/2006

No effetto retroattivo quindi:Fino al 20/06/2013: iva e ritenute fiscaliDa 21/06/2013 a pubblicazione: solo ritenuteDa pubblicazione decreto: nessuna responsabilità

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APPALTI E RESPONSABILITÀ SOLIDALE

ART. 29 C 2 D.Lgs. 276/03La responsabilità solidale viene meno.

Se il committente esegue il pagamento in luogo dell’appaltatore:1) Può agire in regresso in sede civile;2) È tenuto ad assolvere agli obblighi del sostituto d’imposta

APPARATO SANZIONATORIO

Quando il contratto di appalto sia stipulato in assenza diorganizzazione di mezzi e rischio a carico dell’appaltatore, illavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudizialea norma dell'articolo 414 del codice di procedura civile,notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato laprestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alledipendenze di quest'ultimo.

Continua …

Appalti e responsabilità solidale

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APPARATO SANZIONATORIO

… Segue

Tutti i pagamenti effettuati valgono a liberare il soggetto chene ha effettivamente utilizzato la prestazione.

APPARATO SANZIONATORIO

• La solidarietà si estende alle somme a titolo retributivo econtributivo;

• Viene esclusa la solidarietà in ambito sanzioni amministrative(Interpello Min. Lav. 3/2010).

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RIEPILOGO RESPONSABILITÀ

Responsabilità solidale per retribuzioni:• Illimitata per i primi due anni dalla cessazione del rapporto

(estesa a tutta la filiera);• Limitata al debito residuo del committente verso il solo

appaltatore oltre i due anni.Responsabilità solidale per contributi e premi:• Illimitata per i primi due anni (estesa a tutta la filiera).Responsabilità solidale per ritenute fiscali:• Senza limiti di tempo, limitata al valore dell’appalto e

operante solo tra appaltatore e subappaltatore.

Contributi di approfondimento

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LA CONCILIAZIONE MONOCRATICA COME MEZZO PER LA COMPOSIZIONE DI CONTROVERSIE DI LAVORO

a cura di Dario Messineo e aura Grasso

La conciliazione monocratica, introdotta con D.Lgs. n.124/04, pur essendo ormai uno degli strumenti utilizzati quotidianamente dalle DTL, costituisce un istituto giuridico ancora poco conosciuto dalla col-lettività, ma rappresenta un valido mezzo di composizione delle controversie e di deflazione del conten-zioso giudiziario. Nell’articolo in commento gli autori, dopo avere fatto cenno alle origini dell’istituto, approfondiscono il tema della conciliazione preventiva su istanza del lavoratore e i riflessi sanzionatori e contributivi che da essa derivano.

1. Premessa

L’attività di vigilanza in materia di lavoro, storicamente rivolta all’accertamento e alla contestazione degli illeciti penali e amministrativi commessi dai datori di lavoro, ha costituito un punto di riferimento centrale della storia degli ispettorati del lavoro. Lo strumento repressivo, difatti, costituiva elemento essenziale dell’azione ispettiva a tutela dell’osservanza delle norme stabilite in materia di lavoro1. Il d.lgs. 23 aprile 2004, n.1242, modificando il ruolo dell’ispettore in azienda, muta radicalmente poteri e funzioni ispettive3. Tra questi nuovi poteri ispettivi assume particolare rilievo il potere conciliativo previsto dall’art.11, d.lgs. n.124/04. L’esercizio di questa funzione costituisce una novità, sotto il duplice profilo del conferimento di funzioni conciliative, anche al personale ispettivo4, e dell’attribuzione di un potere conciliativo a un organo monocratico. La riforma risponde alla finalità di deflazione del contenzioso e di tutela del lavoratore, in relazione alle proprie pretese creditorie, anche a scapito di un approfondimento degli accertamenti e di un minore introito per l’erario degli importi che derivano dall’applicazione delle sanzioni amministrative, atteso

* L’Avv. Dario Messineo è anche responsabile U.O. affari legali e contenzioso della DTL di Cuneo, componente del Centro Studi presso la D.G. ispettiva del Ministero del Lavoro e dottore di ricerca in diritto del lavoro presso l'Università di Pavia. L’avv. Messineo ha curato la redazione della Premessa e del paragrafo I presupposti giuridici della conciliazione monocratica.La Dott.ssa Laura Grasso è anche dottore di ricerca in diritto del lavoro presso l'Università di Pavia. La dott.ssa Grasso ha curato la redazione dei paragrafi Due tipologie di conciliazione monocratica e Effetti giuridici della conciliazione monocratica.Gli autori dichiarano che ogni considerazione è frutto esclusivo del proprio libero pensiero e non impegna in alcun modo l’amministrazione di appartenenza. 1 Cfr. per tutti, Fiandaca-Musco, Diritto Penale, parte generale, Zanichelli, Bologna, 2007, pagg.530-535, che distingue a proposito della san-zione penale la funzione general-preventiva, cioè di intimidazione e deterrenza della sanzione, e una funzione speciale, rieducativa, volta alla socializzazione e al recupero del reo. 2 Cfr. Dir. prat. lav., 2004, 21, 1432; sulla materia ampiamente P. Pennesi, La riforma dei servizi ispettivi, in AA.VV. (a cura di M. Tiraboschi), La riforma Biagi del mercato del lavoro. Prime interpretazioni e proposte di lettura del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Il diritto transitorio ed i tempi della riforma, Milano; P. Pennesi, E. Massi, P. Rausei, La riforma dei servizi ispettivi, in Dir. prat. lav., 2004, Ipsoa , Inserto, 30. 3 S. Vergari, La funzione repressiva in materia di lavoro: conciliazione e repressione, in De Luca Tamajo, Rusciano, Zoppoli, Mercato del lavoro. Riforma e sistema dalla legge 14 febbraio 2003, n. 30 e il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, Napoli, 2004, 433.4 L’art.8, co.2, lett.b) della Legge delega n.30/03, ove si parla di “raccordo efficace fra la funzione di ispezione del lavoro e quella della concilia-zione delle controversie individuali”. Rimangono esclusi i funzionari di vigilanza Inps, Inail o di altri enti previdenziali, anche se sembra oppor-tuno che questi ultimi in conformità ai principi di legalità e di buon andamento della P.A., in presenza dei presupposti di legge, trasmettano gli atti suscettibili di conciliazione alle DTL per gli adempimenti di competenza.

La conciliazione monocratica come mezzo per la composizione di controversie di lavoro

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che ai sensi dell’art.11, co.4, D.Lgs. n.124/04, il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, nonché il pagamento delle somme dovute al lavoratore, estingue il procedimento ispettivo. In passato la conciliazione veniva considerata attività avulsa dai poteri ispettivi, in quanto l’azione dell’ispettore del lavoro doveva consistere nella messa in atto di una vis repressiva nei confronti dei soggetti ispezio-nati, mirata ad applicare sanzioni amministrative e penali. Sul punto è stato osservato5 che la funzione ispettiva è stata sempre “di ostacolo” alla conciliazione delle controversie di lavoro. Per questo motivo l’organizzazione degli uffici periferici del Ministero del Lavoro privilegiava, all’interno delle aree conci-liative, funzionari che non ricoprissero dette funzioni6. La menzionata distinzione veniva giustificata da un potenziale conflitto di interesse, che poteva insorgere in capo a colui il quale (ispettore) fosse ve-nuto a conoscenza di alcuni comportamenti antidoverosi in sede conciliativa, e che, successivamente, venisse impiegato per compiere accertamenti in sede ispettiva e repressiva nei confronti della stessa azienda. A ciò si aggiunga che, come già detto, gli ispettori del lavoro, nell’esercizio delle loro funzioni7, rivestono la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria e sono, pertanto, tenuti ai connessi adempimenti obbligatori previsti dall’art.347 c.p.p.. Alla luce della nuova normativa questa storica contrapposizione è sembrata superata e anche gli obbli-ghi connessi alla qualifica di U.P.G. non possono costituire un “ostacolo” al conciliatore monocratico, che certamente non svolge funzioni di Polizia giudiziaria allorquando assume il ruolo di conciliatore tra le parti.In realtà è noto che l’introduzione, nel 1998, della conciliazione obbligatoria, che avrebbe dovuto de-terminare, nelle intenzioni del legislatore, funzioni fortemente deflattive del contenzioso, aveva deter-minato, specie in alcune sedi periferiche del Ministero del Lavoro, un ingolfamento degli uffici compe-tenti. Questa circostanza, unita all’“assoluta mancanza di incentivi positivi o negativi per le parti in lite e per il ceto tecnico-forense”, o per i partecipanti alle commissioni, ha fatto sì che in alcune parti d’Italia le Commissioni stesse non fossero in grado di operare al meglio delle proprie possibilità.Ciò aveva contribuito ad incidere negativamente anche sul contenzioso del lavoro e aveva portato a meditare su rimedi atti ad evitare eccessivi sovraccarichi di controversie giudiziarie, per favorire la com-posizione preventiva della lite e assicurare, alle posizioni sostanziali, un soddisfacimento più immediato rispetto a quello potenzialmente conseguibile attraverso il processo8.Un forte richiamo è arrivato, in tal senso, dalla Corte di Strasburgo per violazione dell’art.6 della Con-venzione Europea, ma anche dall’Ordinamento comunitario, in particolare dagli artt.10 e 67 del Tratta-to, che, anche attraverso le spinte della Corte di Giustizia, sono stati interpretati nel senso di vincolare gli Stati membri a interventi legislativi adeguati, capaci di reale forza persuasiva, o dissuasiva, per assi-curare l’attuazione dei diritti armonizzati per tutti i cittadini dell’Unione Europea.Già nel 2000, con l’istituzione della Commissione per lo studio e la revisione della normativa proces-suale del lavoro9, voluta dai Ministri del Lavoro e della Giustizia del tempo, si puntava a una soluzione deflattiva del contenzioso.In quell’occasione anche la Commissione, al termine dei lavori, ribadiva il complessivo giudizio positi-vo verso lo strumento conciliativo, anche nel confronto con le esperienze comparatistiche in ambito comunitario, in cui le Alternative dispute resolution (ADR)10 costituiscono un’esperienza molto diffusa nella giustizia civile. Sul punto, è utile ricordare che la stessa commissione di studio, evidenziando l’im-

5 Cfr. P. Pennesi, La riforma dei servizi ispettivi, in M. Tiraboschi (a cura di) cit., 1099.6 Cfr. circolare Min. lav. 27 gennaio 2000, n.8.7 Cfr. legge 22 dicembre 1912, n.1361, che testualmente prevede che “gli ispettori nel limite del servizio che a cui sono destinati e secondo le attribuzioni ad essi conferite delle singole leggi e dei regolamenti sono ufficiali di polizia giudiziaria”.8 Cfr. Corte Cost. 13 luglio 2000, n. 276, in Mass. Giur. lav., 2000, 1098.9 Commissione di studio presieduta dal Consigliere Raffaele Foglia e insediata il 5 ottobre 2000.10 Commissione Europea, Libro verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, 19 aprile 2002, 196: “Le AdR permettono alle parti di dialogare e non solo di confrontarsi, di impegnarsi in un processo di avvicinamento reciproco e sono uno strumento di servizio della pace sociale”.

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portanza dell’organo pubblico nel ruolo di conciliatore11, sceglieva la strada della conciliazione mono-cratica12, inserendo anche i funzionari delle DTL e delle DRL nell’Albo dei conciliatori. Con l’introduzione della conciliazione monocratica di cui all’art.11, D.lgs. n.124/04, la reale tutela dei diritti dei lavoratori di fonte contrattuale non passa più, quindi, attraverso un’azione di natura repres-siva, ma attraverso una transazione o parziale rinuncia, che trova comunque il limite nell’impossibilità per il lavoratore di disporre di diritti considerati dalla legge non disponibili (ad es. contributi, diritti futuri ecc) o di conciliare, attraverso la corresponsione di una mera somma di denaro, senza il ricono-scimento del rapporto di lavoro intercorso tra le parti.

2. Duetipologiediconciliazionemonocratica

La conciliazione prevista dall’art.11, d.lgs. n.124/04, viene detta “monocratica” in quanto si svolge, su delega del Direttore della Direzione Territoriale del Lavoro competente (d’ora in poi DTL), dinanzi a funzionari della stessa DTL, anche in possesso di qualifica ispettiva13, e non davanti a un collegio, e può essere di due tipi: • preventiva;• contestuale.

1.ConciliazionemonocraticapreventivaLa conciliazione monocratica preventiva (che si esplica in sede pre-ispettiva)14 prende avvio da una richiesta di intervento ispettivo alla DTL15, dalla quale emerga la rivendicazione di diritti disponibili16. La richiesta di intervento che dà impulso alla conciliazione monocratica comporta l’interruzione dei termini prescrizionali relativi ai crediti retributivi, nonché assicurativi e previdenziali degli istituti com-petenti17 (dieci anni a seguito di richiesta del lavoratore18). Invero, la richiesta di intervento ispettivo deve ritenersi atto interruttivo della prescrizione, dalla data in cui il datore venga a conoscenza della richiesta formulata. L’effetto interruttivo sopra richiamato, esige, infatti, che il debitore abbia conoscen-za piena e legale (non necessariamente effettiva), anche in via stragiudiziale, dell’atto compiuto dal creditore19. Sennonché la giurisprudenza20 ha riconosciuto efficacia interruttiva della prescrizione alla

11 Sul punto testualmente: “raramente l’ente pubblico diserta le sedute così consentendo un utile approfondimento dei termini della contro-versia”.12 Sul punto cfr. Cass. 12 dicembre 2002, n.17785, che ritiene sufficiente l’intervento del (solo) funzionario dell’Amministrazione per sottrarre il lavoratore da quella condizione di soggezione rispetto al datore di lavoro che rende sospette di prevaricazione le eventuali transazioni e rinunce intervenute nel corso del rapporto, con conseguente impossibilità di impugnare la conciliazione ai sensi dell’art.2113 c.c.. Tuttavia, non mancano sentenze in senso contrario: Cass. 2 aprile 1987, n.3202 e Cass., sez. un., 10 maggio 1988, n.3425.13 Si tratta di una conciliazione, per così dire, istigata (rectius: sollecitata) dal conciliatore monocratico. 14 Cfr. M. Parisi-B. Broi, http://www.guidallavoro. ilsole24ore.com, in Nuovi istituti e modalità della riforma dell’ispezione,30 giugno 2004.15 Sul punto v. E. Massi, Le conciliazioni delle controversie di lavoro presso le Direzioni Provinciali del Lavoro, in www.dplmodena.it, il quale sostiene che “la richiesta di intervento per la quale è possibile attivare la conciliazione monocratica è soltanto quella presentata alla D.t.l., non essendo stato previsto dal legislatore delegato che analoga procedura possa aver seguito sulle denunce presentate ad altri organi come l’Inps e l’Inail. Analogamente l’organo ispettivo abilitato ad iniziare la procedura di conciliazione contestuale è soltanto l’ispettore della D.t.l. e non quello dell’Inps o dell’Inail o di altro istituto previdenziale in quanto l’art. 11 del D.lgs n. 124/2004 si riferisce soltanto al primo”.16 Questione controversa è quella relativa alla possibilità che sia il datore di lavoro a proporre la richiesta di intervento al fine di ottenere gli effetti premiali propri della conciliazione monocratica (estinzione del procedimento ispettivo). A parere degli scriventi il datore di lavoro che si autodenuncia non può avere diritto a un'eliminazione delle sanzioni amministrative, ma al più una riduzione delle medesime sanzioni tenendo conto dei criteri di cui all’art.11, L. n.689/81. V. contra P. Rausei, Il rilancio della conciliazione monocratica, Inserto di Dir. Prat. Lav., n.2/10, pag.6.17 Contra, E. Massi, Dall’organizzazione alla conciliazione monocratica, in P. Pennesi, E. Massi, P. Rausei, La riforma dei servizi ispettivi, in Dir. prat. lav., 2004, 30, inserto, XVII.18 Cfr art.3, L n.335/95. Sul punto è necessario evidenziare che la circolare n.36/09 in tema di conciliazione monocratica, dà indicazione agli organi ispettivi di non procedere a conciliazioni nell’ipotesi in cui emerga che siano volte a precostituire false posizioni previdenziali, come meglio si esporrà infra. 19 Cfr art.3, L n.335/95. 20 In tal senso cfr. Cass. 5 giugno 1987, n.4942, Cass. 4 febbraio 1985, n.723 e Trib. Milano 10 maggio 1999, est. Atanasio, in Dir. prat. lav., 2000, 255; Cass. Sez. Lav., 21 gennaio 2004, n.967, in www.leggeegiustizia.it. Di recente v. Cass. Sez. Lav. 19 giugno 2006, n.14087. Contra Cass. Sez. Lav. 18 ottobre 2005, n.20153, che ha ritenuto che a fronte della natura recettizia degli atti di interruzione della prescrizione (art.2943 c.c.) soltanto la comunicazione effettuata al datore di lavoro potesse esplicare questa efficacia.

La conciliazione monocratica come mezzo per la composizione di controversie di lavoro

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richiesta di pagamento di un credito di lavoro, indirizzata alla sola commissione di conciliazione dalla organizzazione sindacale cui il lavoratore creditore è iscritto21. In analogia con quanto sopra, pertanto, potrebbe legittimamente ritenersi che la richiesta di intervento ispettivo possa avere identico effetto anche nel caso in cui venga formulata dalla parte che ne ha interesse (anche per il tramite di un rappre-sentante) alla sola DTL o ad un suo funzionario22. La scelta della conciliazione monocratica preventiva appare discrezionale da parte della Pubblica Am-ministrazione, e la c.d. direttiva Sacconi, nonché la circolare del Ministero del Lavoro n.36/09, e, ancor prima, la nota dello stesso Ministero in materia di procedimentalizzazione dell’attività ispettiva23, appa-re privilegiarla in ogni modo. Ciò in virtù del fatto che la verifica ispettiva che scaturisce dalla richiesta di intervento del lavoratore spesso non sfocia nell’accertamento dell’irregolarità del rapporto di lavoro denunciato dal lavoratore medesimo, per il mancato riscontro dei necessari elementi probatori. Da ciò deriva che molto spesso l’ispezione si concluda con un’archiviazione, determinando spreco di attività amministrativa, nonché nocumento all’efficienza e all’efficacia dell’azione pubblica. Il meccanismo conciliativo, invece, pur comportando, come si vedrà, l’estinzione del procedimento ispettivo, consente di ottenere una più efficace risoluzione dei diritti del lavoratore e, nel contempo, un più efficiente perseguimento dell’interesse pubblico all’assolvimento degli obblighi previsti in mate-ria contributiva e fiscale e all’emersione dei rapporti di lavoro irregolarmente instaurati. Il ricorso alla conciliazione permette anche di realizzare l’intento del Ministero del Lavoro di convogliare le risorse ispettive verso la lotta al lavoro sommerso e irregolare attraverso l’incentivazione delle visite di iniziati-va programmate in settori merceologici o in ambiti territoriali più a rischio di elusione24.Naturalmente tale strategia si fonda sul presupposto che non sia necessario dare seguito, sempre e comunque, alle richieste dei lavoratori25.Nel momento in cui il lavoratore chiede all’amministrazione di intervenire, infatti, non vanta nei con-fronti di quest’ultima una pretesa assoluta all’azione dei pubblici poteri, che avrebbe, come rovescio della medaglia, il dovere dell’Amministrazione pubblica di agire per tutelare la posizione del lavoratore richiedente. In qualsiasi momento il lavoratore può denunciare alla Pubblica Amministrazione irrego-larità che lo riguardino, ma non è altrettanto certo che la denuncia debba necessariamente sfociare in un’azione ispettiva. La presentazione di una richiesta di intervento, infatti, non costituisce un’ipotesi riconducibile all’art.2, co.1, della L. n.241/90, e dunque, di per sé, non comporta per l’amministrazione l’obbligo di dare corso alla verifica ispettiva, a meno che i fatti denunciati non siano oggettivamente provati. è sufficiente, per-tanto, che le richieste di intervento formulate ai servizi ispettivi non presentino i caratteri dell’oggettiva attendibilità o non siano supportati da precisi e concordanti elementi di prova, per non dare corso alla richiesta medesima, la quale, quindi, può essere archiviata, qualora non emergano nuovi elementi di valutazione26. Questa scelta, condivisa dal Ministero del Lavoro27, denota la volontà di ricorrere agli accessi ispettivi solo laddove l’interesse del privato denunciante coincida con l’interesse pubblico della

21 Sul punto si veda la sentenza della Corte di Cassazione, 24 settembre 2009, n.20560, che ha affermato che la richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione va considerata come atto idoneo alla costituzione in mora.22 Di regola, tuttavia, l’effetto interruttivo dei termini previsti per la riscossione di un credito derivano dalla piena e legale conoscenza dell’atto compiuto dal creditore. Vedi Cass. Sez. Lav. 18 ottobre 2005, n.20153.23 Sul punto la circolare ministeriale n.36/09 testualmente recita: “deve costituire la via assolutamente privilegiata di definizione della pratica, alla quale potrà seguire un intervento ispettivo solo laddove il tentativo di conciliazione non sia andato a buon fine”e precisa successivamente che per quanto riguarda i profili organizzativi, le pratiche da trattare mediante conciliazione monocratica devono essere assegnate, periodi-camente dal direttore o da un funzionario dallo stesso appositamente designato”.24 Nei limiti e alle condizioni indicate nella circolare ministeriale n.36/09 del Ministero del Lavoro che si analizzeranno infra.25 Cfr. la direttiva Sacconi del 18 settembre 2008 e la circolare n.36/09 del Ministero del Lavoro.26 L’effetto sorpresa in generale viene pregiudicato dal fatto che, quando il lavoratore si rivolge all’organo pubblico, il rapporto di lavoro si è già incrinato e il datore si aspetta una vigilanza ispettiva.27 V., da ultimo, la circolare n.36/09 sulla conciliazione monocratica, ove si legge che, in linea con le indicazioni della Direttiva Sacconi, le DPL potranno prendere in considerazione solo le richieste di intervento che non appaiano palesemente pretestuose, oggettivamente inattendibili, prive di ogni fondamento.

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lotta al lavoro sommerso, battaglia che sarebbe meglio condurre attraverso azioni ispettive mirate e preventivamente programmate. Nelle ipotesi in cui, invece, l’interesse del lavoratore si riduca al riconoscimento di crediti di caratte-re meramente pecuniario, la tutela dell’interesse pubblico alla repressione di condotte antigiuridiche (nella maggior parte dei casi di questo genere prevalentemente di carattere formale) deve cedere di fronte al perseguimento dell’interesse, esso stesso pubblico, alla riscossione dei contributi assicurativi e al prelievo fiscale, privilegiando tra gli altri strumenti, comunque di natura anche repressiva, proprio la conciliazione monocratica, quale mezzo idoneo a garantire tale interesse oltre al celere e immediato riconoscimento dei crediti del lavoratore stesso. Il contemperamento degli interessi pubblici, in tali specifiche ipotesi, dovrebbe portare a privilegiare il recupero contributivo e fiscale e il riconoscimento economico al lavoratore per il lavoro effettivamen-te svolto, piuttosto che puntare sull’aspetto sanzionatorio repressivo. Questa strategia probabilmente riduce l’efficacia general-preventiva dell’azione ispettiva, ma nello stesso tempo dovrebbe consentire un incremento degli strumenti di raffreddamento del contenzioso e un maggior soddisfacimento delle pretese creditorie dei lavoratori28.Per tale ragione il Ministero del Lavoro, sia nella circolare n.36/09 sia nella successiva nota n.7165/12, ribadisce che la richiesta di intervento presentata dal lavoratore e contenente elementi insufficienti per dare luogo a un proficuo accesso ispettivo, non impedisce all’Ufficio di tentare la convocazione delle parti ai fini conciliativi, anche ove il lavoratore abbia in via preventiva manifestato la propria indisponibilità a definire la sua posizione mediante la conciliazione monocratica (a riguardo, si ritiene imprescindibile la previa acquisizione e verbalizzazione, da parte del conciliatore, del consenso delle parti alla procedura conciliativa e, in particolar modo, di quello del denunciante in sede di prima sua convocazione). Rimane, dunque, in ogni caso nella piena disponibilità dell’Ufficio valutare tutti gli ele-menti oggettivi di prova e gli altri fattori, tra i quali non poca importanza assume il tempo eventualmen-te trascorso tra i fatti oggetto della richiesta di intervento e il momento del possibile accesso ispettivo.

2.ConciliazionemonocraticacontestualeLa conciliazione monocratica contestuale, invece, può essere attivata dall’ispettore, in sede di accer-tamento29, ad accesso ispettivo iniziato, qualora verifichi la sussistenza dei presupposti giuridici per una transazione tra le parti. In tal caso l’ispettore sarà tenuto a compiere un’attività di tipo ricognitivo al fine di redigere una relazione, per l’attivazione della procedura conciliativa, al Direttore della DTL di appartenenza, il quale valuterà gli elementi raccolti e deciderà se esperire o meno il tentativo di con-ciliazione. Nel caso in cui il funzionario incaricato riscontrasse fonti di prova, a suo giudizio utili ai fini della definizione della pratica, il Direttore della DTL potrebbe senz’altro ritenere opportuno che l’ufficio proceda al completamento dell’accertamento ispettivo30.Il Ministero del Lavoro, tuttavia, nella citata circolare n.36/09, manifesta la volontà di privilegiare la conciliazione preventiva e lasciare la contestuale alla sola ipotesi in cui l’azienda occupi un solo lavora-tore, qualora risulti arduo il raggiungimento di elementi atti a comprovare la sussistenza del rapporto

28 Del resto non è un mistero che l’organo pubblico, a fronte delle pretese di natura economica dei lavoratori, nulla poteva fare se non indiriz-zare i richiedenti presso le organizzazioni sindacali o i professionisti per la formale richiesta relativa al recupero dei crediti di lavoro. Sul punto non si può sottacere che la delega, prevista nell’art.8 della L. n.30/03, prevedeva espressamente il principio della “prevenzione delle contro-versie individuali, per assicurare una sempre maggiore equità ed efficienza del sistema conciliativo”, proprio nell’ottica di uno smaltimento delle migliaia di richieste di intervento che rimanevano inevase negli uffici pubblici senza poter essere verificate. 29 Cfr. art.11, co.6, D.Lgs. n.124/04. 30 Ciò sarebbe ritenuto ammissibile per la locuzione “può”, utilizzata dal legislatore all’art.11, co.6, del decreto in argomento e in virtù della discrezionalità amministrativa che viene attribuita al dirigente nell’organizzazione, nella gestione e nel controllo dell’attività amministrativa. Cfr. anche art.65, D.Lgs. n.165/01.

La conciliazione monocratica come mezzo per la composizione di controversie di lavoro

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di lavoro, soprattutto per l’evidente difficoltà di reperire testimoni che possano confermare lo svolgi-mento di attività lavorativa da parte dello stesso lavoratore31. Naturalmente, a seguito dell’instaurazione di una simile procedura all’interno di una fase ispettiva, vengono sospesi i termini di cui all’art.14 della legge 24 novembre 1981, n.689. Detti termini decorrono dalla data di accertamento della violazione e la giurisprudenza, sul punto, ha stabilito che con il termine accertamento debba intendersi la piena conoscenza di “tutti gli elementi oggettivi e soggettivi da parte dell’amministrazione procedente”32. In quest’ottica sembrerebbe superflua la precisazione normativa sopra menzionata, in quanto nessun accertamento può essere concluso, a pena di improcedibilità, prima del tentativo di conciliazione monocratica. Sembra quasi che il legislatore, con la disposizione in esame, abbia voluto chiarire che il termine procedimentale sopra richiamato non può, comunque, decorrere fino alla completa definizione della procedura conciliativa.

3. Ipresuppostigiuridicidellaconciliazionemonocratica

In primo luogo la conciliazione monocratica, sia preventiva che contestuale, è attivabile solo nel caso in cui non siano immediatamente riscontrabili illeciti penali e amministrativi.La circostanza che l’organo accertatore non abbia verificato la sussistenza di elementi probatori atti a dimostrare la responsabilità penale33 e amministrativa del datore di lavoro costituisce, quindi, una vera e propria condizione di procedibilità34. Diversa è invece l’ipotesi in cui l’organo di vigilanza abbia accertato la sussistenza di illeciti puniti con sanzione penale o amministrativa. In tal caso non si può procedere con la conciliazione, in quanto l’ispettore è tenuto a comunicare alla Procura la notizia di reato ex art.331 c.p.p. o a concludere il pro-cedimento ispettivo con la contestazione delle violazioni amministrative riscontrate, per non incorrere nel reato di omissione di atti d’ufficio ex art.328 c.p..Il tentativo di conciliazione va escluso in ogni caso nell’ipotesi in cui la richiesta di intervento riguardi fattispecie di reato oggettive, in quanto immediatamente riscontrabili, quali l’adibizione di lavoratrici madri a lavoro notturno, l’impiego di minori o cittadini extracomunitari privi di permesso di soggiorno. Si ritiene, invece, corretto procedere con la conciliazione monocratica nei diversi casi in cui la fattispe-cie potrebbe avere solo eventualmente implicazioni sul piano penale come nel caso di lavoratore in “nero”, in relazione all’omessa sorveglianza sanitaria, di cui al d.lgs. 9 aprile 2008, n.81, condotta pe-nalmente sanzionata dal legislatore, semprechè naturalmente non sia stata ancora raggiunta la prova oggettiva e certa dell’irregolare occupazione del lavoratore.

Ma quando un illecito può definirsi accertato?Come già precisato in precedenza, l’accertamento implica la piena conoscenza di “tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del fatto illecito da parte dell’amministrazione procedente”.Pertanto il funzionario può ammettere le parti alla conciliazione solo nell’ipotesi in cui non disponga di elementi di prova certi, in quanto non suffragati da adeguati riscontri documentali o testimoniali35. La mera presentazione di una richiesta di intervento o il solo accesso in azienda, con riferimento alla

31 Sul punto cfr. il Codice di Comportamento di cui al Decreto Direttoriale 20 aprile 2006, emanato a seguito del Protocollo di intesa del 7 aprile 2005 tra ministero del Lavoro, Inps e Inail.32 In tal senso si veda, tra le altre, Cass. 17 marzo 1995, n.3093 e Cass. 20 dicembre 1993, n.12610, e da ultimo, Cass. 17 febbraio 2004, n.3115. Cfr. anche nota del Min. lav. 2 agosto 2004, prot. n.897 in www.lavoro.gov.it. 33 La circolare ministeriale n.36/09, infatti, ritornando sulla tematica relativa dell’an e del quando della conciliazione, precisa che si dovrebbe procedere alla verifica ispettiva innanzitutto nel caso di richieste di intervento caratterizzate dalla denuncia di irregolarità che rivestano diretta ed esclusiva rilevanza penale. 34 Si v. M. Parisi, L’ispezione del lavoro. Controlli e garanzie, Simone-Teleconsul, Napoli, 2009.35 Cfr. sul punto M. Parisi, Elementi e fasi del nuovo procedimento ispettivo, in Guida lav., 21, 30, che ritiene opportuno, se non doveroso, che il tentativo di conciliazione venga “avviato allorquando si sia proceduto almeno ad una prima attività istruttoria circa gli elementi di verifica a maggior rischio di volatilità”.

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conciliazione contestuale all’ispezione, non vincolano l’organo ispettivo, in quanto non si è posto in es-sere ancora alcun accertamento in ordine all’effettiva esistenza o alla veridicità delle situazioni e delle circostanze comunque rappresentate36. Poiché, tuttavia, l’onere della prova spetta all’Amministrazione pubblica37, pare che il legislatore lasci alla discrezionalità38 delle DTL la valutazione circa l’opportunità di procedere all’ispezione o quella, invece, di tentare la conciliazione tra le parti, non perseverando nella ricerca di prove, spesso “diabo-liche”.La procedura conciliativa, oltre a non essere esperita nei casi di rilevati illeciti di carattere penale, non si ritiene ammissibile nemmeno nell’ipotesi in cui le irregolarità denunciate abbiano ad oggetto fenome-ni di rilevante impatto sociale, in quanto in tal caso sarebbe auspicabile il ricorso all’accesso ispettivo. Alla stessa conclusione si deve giungere ove la richiesta di intervento interessi altri lavoratori oltre al denunciante, salvo che tale coinvolgimento sia solo eventuale o ipotetico e salvo che i lavoratori coin-volti siano tutti identificabili nominativamente. Neppure si può procedere con conciliazione monocratica nel caso di rapporti certificati, in quanto, in tal caso, chi intende presentare ricorso giurisdizionale contro la certificazione avrebbe l’obbligo di rivol-gersi obbligatoriamente alla commissione di certificazione per espletare un tentativo di conciliazione ai sensi dell’art.410 c.p.c.39.Un altro elemento che assume rilevanza ai fini della procedibilità della conciliazione monocratica è il consenso delle parti e, in particolare, del lavoratore. Dalla lettura della circolare ministeriale n.36/09 citata, si desume che, nel caso conciliazione preventiva, l’acquisizione immediata del consenso (in sede di denuncia) non risulta requisito necessario al fine di avviare la procedura conciliativa.In proposito la circolare ministeriale n.36/09 citata precisa che un eventuale dissenso del lavoratore non costituisce elemento preclusivo al tentativo di conciliazione monocratica preventiva, in quanto il consenso può intervenire successivamente, come ribadisce anche la nota ministeriale n.7165/12, la quale comunque ritiene imprescindibile l’acquisizione del consenso delle parti da parte del conciliatore in sede di prima convocazione, come visto in precedenza. Tuttavia, a parere di chi scrive, il consenso preventivo delle parti, ai fini della procedibilità della conciliazione, sarebbe opportuno in relazione al rispetto del diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali delle parti interessate, se-condo la normativa prevista dal d.lgs. n.196/03. Chi scrive ritiene, infatti, che, sebbene le richieste di intervento ispettivo siano sottoposte alla disciplina del segreto d’ufficio40, in base alle sopra indicate considerazioni, la norma sulla conciliazione monocratica svincola da tale obbligo i funzionari incaricati all‘attività conciliativa nel momento in cui acquisiscono il consenso del lavoratore, in quanto trattasi di un’espressa facoltà concessa dalla legge, che elide l’obbligo del segreto sopra richiamato.Diversa considerazione può, invece, formularsi in tema di conciliazione contestuale, per la quale è ne-cessario acquisire preventivamente il consenso41, proprio perché interviene nella fase successiva all’ac-cesso ispettivo e, pertanto, sarebbe inutile convocare le parti quando si ha già conoscenza dell’assenza della volontà di concludere un accordo.

36 V. sul punto la circolare del Ministero del Lavoro n.24/04.37 Cfr. art.2697 c.c..38 La “discrezionalità” non è da ritenersi assoluta, ma il dirigente deve operare una stima preliminare della richiesta del lavoratore e valutare se, in base ai propri accertamenti (ad es. aziende non regolari su medesimi adempimenti, rischio di pregiudicare ulteriori accertamenti, ragionevole dubbio di scovare dipendenti “clandestini”), di non procedere a conciliazione; Cfr. E. Massi, La conciliazione monocratica, in La riforma dei servizi ispettivi in materia di lavoro e previdenza sociale, in C. L. Monticelli e M. Tiraboschi (a cura di), cit., Milano, 2004, 195; sul punto vedi anche circolare Min. Lav. n.24/04. 39 Si veda tuttavia il disegno di legge A.S. n.1167, approvato dal Senato in data 26 novembre 2009 e di cui si parlerà infra.40 Cfr. D.M. 4 novembre 1994, n.757, del Ministero del Lavoro, attuativo dell’art.24, co.4, L. 241/90.41 Sul punto la circolare n.36/09 testualmente recita: “ai sensi dello stesso art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 124/2004, il personale ispettivo è tenuto ad acquisire “il consenso delle le parti”, mediante apposita verbalizzazione, anche successiva al verbale di primo accesso ispettivo”.

La conciliazione monocratica come mezzo per la composizione di controversie di lavoro

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Con riferimento al contenuto delle possibili conciliazioni monocratiche nelle controversie di lavoro, l’art.11, co.1, d.lgs n.124/04 fa espresso riferimento alle “richieste di intervento” per le quali si può avviare un tentativo di conciliazione per le “questioni segnalate”.A differenza della previsione di cui all’art.410 c.p.c., non vi sono espresse limitazioni in ordine alle ma-terie oggetto della conciliazione monocratica. Ci si chiede, pertanto, in primo luogo se la conciliazione monocratica possa interessare anche rapporti di pubblico impiego. Invero, questo tipo di conciliazione sembra riguardare esclusivamente i rapporti di lavoro privato (come si evincerebbe dal fatto che tale conciliazione prende avvio da una “richiesta di intervento ispettivo” che proviene da un privato) e, pertanto, sarebbero escluse le controversie che vedono quale parte in causa un soggetto pubblico, come ad esempio le stesse DTL42.Peraltro, in relazione alla possibile applicabilità dell’istituto della conciliazione monocratica, al di fuori del rapporto di lavoro privato, è d’obbligo rilevare che il d.lgs. n.124/0443 nulla dice in merito all’e-stensione anche al pubblico impiego44. Anzi, il divieto, stabilito dall’art.6, L. n.30/0345, che riguarda l’esclusione della Pubblica Amministrazione dall’ambito di applicazione dei decreti legislativi delegati, non pare riferibile anche all’art.8 della legge medesima (in materia di razionalizzazione delle funzioni ispettive), e conseguentemente, non coinvolgerebbe il d.lgs. n.124/04, attuativo della delega contenu-ta nell’articolo medesimo. Appare, ad ogni modo, convincente, anche se non determinante, al fine di escludere il coinvolgimento dei lavoratori pubblici dalla disciplina conciliativa, l’argomentazione per la quale la verifica della normativa in tema di pubblico impiego è devoluta alla funzione pubblica46 .In secondo luogo ci si chiede se la conciliazione monocratica possa avere ad oggetto esclusivamen-te rapporti giuridici a contenuto economico-patrimoniale oppure possa riguardare tutte le materie di competenza degli Ispettori del Lavoro, ivi comprese quelle attinenti alla previdenza obbligatoria. Da una prima lettura dell’art.11, d.lgs. n.124/04, sembrerebbe che le controversie che si definiscono con conciliazione monocratica, a differenza delle conciliazioni esperite dalle Commissioni di concilia-zione di cui all’art.410 c.p.c., debbano riguardare esclusivamente diritti aventi contenuto economico-patrimoniale47, derivanti dal rapporto di lavoro, indipendentemente dall’origine legale o contrattuale. Sembra, quindi, potersi ritenere che la conciliazione monocratica debba obbligatoriamente concludersi con il pagamento delle retribuzioni non corrisposte e con il versamento dei contributi previdenziali, che non possono essere inferiori ai minimali di legge.Quanto sopra evidenziato si desume dall’analisi letterale dell’articolo di legge citato che lega le “somme concordate” al “periodo lavorativo riconosciuto dalle parti”, con le successive affermazioni relative al “pagamento delle somme dovute al lavoratore” e verso tale interpretazione si è orientato pure il Mini-stero nella circolare n.36/09 sopra citata.Sulla scorta di tale ragionamento anche il versamento dei contributi previdenziali e assicurativi a cui la norma fa riferimento è comunque connesso al pagamento del credito retributivo denunciato dal lavoratore.

42 Al fine di escludere che le controversie possano coinvolgere un ufficio pubblico, cfr. nota Min. lav. 4 luglio 1998, n.22749, secondo cui le controversie da conciliare devono avere comunque ad oggetto pretese riguardanti uno specifico rapporto, cioè una relazione giuridicamente esistente tra due soggetti cui sia possibile ricondurre la titolarità di reciproci diritti e obblighi. Pertanto gli atti posti in essere dagli uffici del Ministero del Lavoro, come qualsiasi altro organo amministrativo pubblico, non possono costituire oggetto che di questioni incidentali. “In tale contesto” prosegue il Ministero “l’organo pubblico che ha emanato l’atto non riveste mai la qualità di parte”. Cfr. anche nota Min. Lav. 24 febbraio 2000 alla DPL di Cagliari, prot. n.249., in merito alle controversie previdenziali che rimangono escluse dalla competenza delle commissioni di conciliazione. 43 Contrariamente a quanto previsto espressamente dal D.Lgs. n.276/03, art.1, co.2. 44 Sul punto non vale, difatti, il richiamo all’art.6, legge delega n.30/03, che stabilisce che la normativa non trova applicazione nei confronti dei pubblici dipendenti limitatamente agli artt. da 1 a 5, in quanto la delega è prevista all’art.8 della stessa legge. 45 L’art.6, L. n.30/03, esclude espressamente gli artt. da 1 a 5 dall’applicazione al personale delle “pubbliche amministrazioni” disinteressan-dosi dell’art.8. 46 Il tema meriterebbe una ulteriore e più approfondita analisi e proprio per la complessità dello stesso si rinvia ad altra sede. 47 Certamente comprensivi dei diritti di natura risarcitoria, quali interessi e rivalutazione monetaria.

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La norma, infatti, dispone che i contributi previdenziali e assistenziali sono correlati alle retribuzioni concordate e al periodo di lavoro riconosciuto48. Se si accede a questa tesi rimangono, pertanto, certa-mente escluse le controversie non attinenti a contenuti patrimoniali.Non può, tuttavia, non rilevarsi che, ove si ritenesse che la previsione relativa all’art.11, co.4, d.lgs. n.124/04, faccia riferimento alla mera eventualità (e non obbligatorietà) della conclusione del proce-dimento con il riconoscimento del rapporto di lavoro e il versamento dei contributi previdenziali e as-sicurativi, si aprirebbe implicitamente la strada a un’estensione della competenza per materia del con-ciliatore monocratico a tutte le controversie di carattere anche non patrimoniale (ad es. licenziamenti o sanzioni disciplinari) inerenti al rapporto di lavoro, dilatando, in tal modo l’oggetto della previsione normativa. Tale conclusione deriverebbe da una lettura sistematica dell’art.11 citato e dell’art.7 (concernente la competenza del personale di vigilanza) del medesimo decreto legislativo, in virtù dell’implicito richia-mo a tale ultima disposizione di legge operata dallo stesso art.11, laddove viene attribuito alle DTL il potere di conciliare “nelle ipotesi di richieste di intervento ispettivo”, e prescritto di “avviare il tentativo di conciliazione sulle questioni segnalate” e, quindi, su tutte le questioni di competenza degli organi di vigilanza. In base a tale interpretazione, dunque, la cognizione del conciliatore monocratico verrebbe estesa a quanto analiticamente elencato nell’art.7, d.lgs. n.124/04, in relazione a “tutte” le materie attribuite alla competenza degli ispettori del lavoro. Dovrebbero, pertanto, includersi le controversie attinenti alle impugnazioni di licenziamento o all’impugnazione di sanzioni disciplinari o ai diritti civili e sociali di tutela dei rapporti di lavoro e di legislazione sociale o alla non corretta applicazione dei con-tratti o accordi collettivi di lavoro. Non si possono trascurare, tuttavia, le conseguenze che potrebbero derivare dalla possibilità, per le parti, di conciliare senza riconoscere il rapporto di lavoro, ma concordando una somma forfetizzata, al solo fine di eliminare ogni alea di un possibile contenzioso in atto e a fini puramente transattivi. Una simile interpretazione permetterebbe, infatti, alle parti di conciliare senza il versamento di contri-buti, anche ove il rapporto lavorativo sia, di fatto, realmente esistito ma non sia emerso. Questa lettura avrebbe l’indubbio vantaggio di contribuire a deflazionare il contenzioso in maniera molto rapida. Si realizzerebbero, tuttavia, risultati certamente distorti sotto il profilo del rispetto del diritto sostanziale, soprattutto per il riconoscimento della possibilità di accesso, per il datore, a una disciplina premiale (abolizione delle sanzioni amministrative, estinzione del procedimento ispettivo, applicazione dei mini-mali contributivi vigenti nel periodo cui l’omissione si riferisce e sanzioni civili ridotte) quasi senza alcun onere a suo carico (eccetto le sanzioni civili e le eventuali sanzioni dovute per elusione fiscale).Contro questa tesi, tuttavia, sembra deporre l’interpretazione letterale del testo, che, come già si è rilevato, pare legare l’effetto premiale solo e soltanto all’ipotesi di avvenuto pagamento delle somme riconosciute e al versamento degli oneri contributivi e previdenziali.Tale interpretazione rispetta la ratio della norma, che è quella di promuovere l’effetto deflattivo del contenzioso e del carico di richieste di intervento ispettivo delle DTL, senza creare un effetto sanatoria49 o un’amplificazione indiscriminata di benefici in capo al datore di lavoro che, furbescamente, potrebbe utilizzare un simile strumento per pianificare evasioni fiscali e contributive, nonché per inibire accerta-menti ispettivi.Il datore di lavoro, al fine di aggirare il disposto normativo, potrebbe, infatti, accordarsi per far emer-gere, in conciliazione, una somma irrisoria e fittizia, che comporti il versamento di un esiguo importo contributivo, rendendo vano lo sforzo del conciliatore monocratico, volto al rispetto degli obblighi di legge. In tale ipotesi è opportuno rilevare che, contro tale prassi, potrebbe erigersi la discrezionalità del

48 In questo senso anche E. Massi, La riforma dei servizi ispettivi, cit., 17.49 Del resto un simile effetto non era stato previsto nella legge delega e un'interpretazione di tal fatta potrebbe far incappare il decreto nell'ec-cezione costituzionale di eccesso di delega in violazione dell’art.76 Cost.

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funzionario nel decidere di non conciliare la controversia insorta tra le parti in lite, ove fosse palese una non genuina e libera manifestazione del consenso50.In conclusione, pertanto, si ritiene che sia da perseguire la soluzione restrittiva, fedele al dettato lette-rale della norma. In relazione all’oggetto della conciliazione monocratica, si deve, inoltre, evidenziare che la procedura, potrà avviarsi sia nell’ipotesi di rapporto di lavoro di natura subordinata sia nell’ipotesi di rapporto di lavoro di tipo autonomo51. Al pari della conciliazione ex art.410 c.p.c., la conciliazione monocratica può essere esperita, infine, anche per fattispecie plurime o multiple, cioè nelle ipotesi in cui vi siano più lavoratori che formulino più richieste conciliative.

4. Effettigiuridicidellaconciliazionemonocratica

In relazione agli effetti che derivano dalla conciliazione monocratica si deve preliminarmente precisare che, contrariamente a quanto avviene nella procedura prevista dall’art.410 c.p.c., l’esito positivo della conciliazione non produce conseguenze giuridiche solo tra le parti, essendole stato riconosciuto un effetto premiale ulteriore, proprio al fine di incentivare la risoluzione di possibili conflitti tra le parti e i terzi: l’estinzione della procedura ispettiva. Questo effetto determina l’impossibilità di proseguire o av-viare l’accertamento ispettivo presso l’azienda sui fatti in contestazione o di irrogare eventuali sanzioni amministrative, anche nelle ipotesi nelle quali le parti riconoscano il rapporto di lavoro52. Non è esclu-so, tuttavia, che, a seguito di ulteriore richiesta di intervento ispettivo, che verta su differenti materie e che abbia ad oggetto altri lavoratori, o nel caso di legittimi sospetti, gli organi di vigilanza possano, senz’altro, accertare la fondatezza delle richieste successivamente pervenute. Tra gli effetti giuridici prodotti dalla conciliazione, la norma non indica espressamente l’impossibilità di un accertamento ispettivo da parte degli organi degli enti previdenziali. Tuttavia tale impossibilità, nel caso di esito positivo della procedura conciliativa, pur nel silenzio della legge, sembra riguardare, altresì, anche gli accertamenti compiuti dagli organi ispettivi degli altri enti. Del resto non potrebbe diversamente argomentarsi, in quanto gli effetti previdenziali e assicurativi risultano connessi alla defi-nizione della conciliazione. Detti enti, pertanto, venuti a conoscenza degli obblighi contributivi connessi alla conciliazione, non dovrebbero innescare l’azione ispettiva per quanto attiene alle materie oggetto della conciliazione medesima.Il suddetto effetto premiale viene riconosciuto al datore di lavoro solamente qualora, a seguito di con-ciliazione monocratica, sia riscontrato dal conciliatore l’avvenuto pagamento in favore del lavoratore dei contributi previdenziali e assicurativi, nonché la corresponsione delle somme dovute al medesimo lavoratore. Questo doppio vincolo procedimentale costituisce una vera e propria condicio sine qua non per la realizzazione dell’effetto estintivo del procedimento. Ciò si desume dall’analisi letterale del testo (art.11, co.4, d.lgs. n.124/04), che ricollega l’estinzione del procedimento ispettivo alle obbligatorie condizioni del “pagamento delle somme dovute al lavoratore per il periodo lavorativo riconosciuto dal-le parti”, oltre che del “versamento dei contributi previdenziali e assicurativi da determinarsi secondo le norme in vigore”53.

50 Cfr. circolare Min. Lav. n.24/04, cit.51 Pertanto, anche per contratti di collaborazione coordinata e continuativa (nelle ipotesi residuali stabilite dal D.Lgs. n.276/03) o di contratto di lavoro a progetto. Il legislatore, difatti, non utilizza mai le locuzioni, “datore di lavoro” o “lavoratore subordinato”, ma fa riferimento gene-ricamente alle parti. 52 Permangono, invece, le sanzioni civili legate al mancato versamento contributivo, rientrando la conciliazione monocratica tra le fattispecie di cui all’art.116 della L. n.388/00 di omissione, anziché di evasione contributiva, essendo assimilabile a una spontanea denuncia. Sul punto v. la circolare del Ministero del Lavoro n.36/09 e, ancor prima, la risposta a interpello n.5222/06. Di conseguenza il datore di lavoro è obbligato non solo a versare la contribuzione commisurata alla somma oggetto di conciliazione o ai minimali di legge, se quella conciliata fosse inferiore, ma anche a pagare le somme aggiuntive nella misura prevista per le omissioni contributive. 53 La circolare n.24/04, cit., sul punto precisa che, nel caso di rateazione del debito previdenziale, l’effetto estintivo è connesso alla comuni-cazione da parte degli istituti competenti, dell’ammissione alla rateizzazione con l’attestazione dell’avvenuto versamento della prima rata.

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In relazione ai contributi, l’Inps, con le circolari n.132/04 e n.6/07, ha precisato che il riferimento alle norme vigenti per la determinazione della contribuzione da versare deve intendersi anche con riguardo ai rispetto dei minimali contributivi vigenti nel periodo cui l’omissione si riferisce.Pertanto, qualora l’accordo in sede di conciliazione monocratica si determini su parametri retributivi che si collocano al disotto dei minimali, ai fini previdenziali il computo degli oneri contributivi va co-munque operato con riferimento ai minimali stessi. Diversa, invece, è l’ipotesi di assenza, di una o di entrambe le parti, nel giorno fissato per la convocazio-ne o di mancato accordo delle parti stesse. Il Ministero del Lavoro, nella nota n.7165/12, precisa, infatti, che nel caso in cui la conciliazione mono-cratica non abbia potuto aver seguito per mancata presentazione del datore di lavoro convocato, senza che sia stato da questi richiesto un rinvio giustificato, si ravvisa un indice di scarsa volontà collaborativa da parte del datore di lavoro nel ricercare potenziali soluzioni alla controversia insorta con il lavoratore.In questa ipotesi non può, quindi, essere riconosciuto alcun effetto premiale al datore di lavoro, ma anzi di norma si procede all’accertamento ispettivo. Inoltre è opportuno rammentare che tale verifica non è limitata alla sola fattispecie oggetto dell’istanza, ma potrà riguardare la complessiva regolarità, della realtà aziendale sotto il profilo lavoristico e previdenziale, nonché, ove ne sussistano i presupposti, anche il rispetto della normativa prevenzionistica e di sicurezza sul lavoro.La nota del Ministero del Lavoro, tuttavia, precisa che, qualora i contenuti della richiesta di interven-to del lavoratore appaiano labili in quanto assolutamente non circostanziati e non corredati da alcun obiettivo elemento di supporto, né di carattere documentale né di natura testimoniale, ovvero quan-do dalla presentazione dell’istanza sia trascorso un lasso temporale significativo ai fini della concreta possibilità di effettuare un proficuo accertamento, o ancora si tratti di un datore di lavoro domesti-co o comunque privo di una concreta organizzazione e strutturazione aziendale (si pensi, a titolo di esempio, al commercio ambulante, ad attività temporanea di breve o brevissima durata ecc), non può affermarsi un obbligo assoluto di procedere comunque all’accesso ispettivo, ma la relativa valutazione rimane sempre affidata al prudente apprezzamento del responsabile della programmazione, il quale dovrà comunque considerare adeguatamente l’incidenza di tali elementi sulla probabilità di effettuare un efficace e produttivo intervento di carattere ispettivo. In caso di valutazione negativa sarà possibile procedere ad archiviare la richiesta di intervento motivandone, sia pur sinteticamente, le ragioni.Nel caso in cui, invece, il fallimento della conciliazione sia dipeso esclusivamente dal comportamento del lavoratore, la DTL potrà valutare se procedere o meno con la verifica ispettiva, in quei casi in cui non sussistono elementi utili a un possibile riscontro dei fatti denunciati, così come precisato anche dal Ministero del Lavoro dapprima nella circolare n.36/09 e poi nella successiva nota n.7165/12. In tale nota viene ribadito, infatti, il principio secondo cui la richiesta di intervento non può condiziona-re in modo assoluto e prioritario gli uffici nello svolgimento dell’attività di vigilanza. Infine, sempre la nota del Ministero del Lavoro citata precisa che, nel caso in cui le parti siano addivenu-te a un accordo in sede di conciliazione monocratica e il relativo adempimento degli obblighi retributivi e/o contributivi non sia stato successivamente rispettato, in tutto o in parte, la disposizione normativa prevista dall’art.11, co.4, del D.Lgs. n.124/04, che prevede l’estinzione del procedimento ispettivo solo con l’integrale pagamento della retribuzione e con il versamento dei contributi previdenziali e assicu-rativi, non deve essere letta in termini letterali, bensì in modo sistematico, con la modifica apportata dall’art.38 della L. n.183/10 (Collegato lavoro alla Legge Finanziaria 2010).In merito ai profili contributivi, infatti, la presentazione della relativa istanza di rateizzazione costituisce, a tutti gli effetti, un riconoscimento di debito e l’effettivo adempimento dei relativi obblighi è assicurato dalle procedure previste dall’Istituto previdenziale.Per quanto attiene, invece, alla partita retributiva, l’art.11 del D.Lgs. n.124/04, co.3-bis, introdotto dal Collegato lavoro alla Finanziaria 2010, stabilisce, come si vedrà infra, che il verbale di conciliazione ac-

La conciliazione monocratica come mezzo per la composizione di controversie di lavoro

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quista valore di titolo esecutivo con decreto del giudice competente, su istanza della parte interessata, costituendo il presupposto per assicurare la soddisfazione delle pretese patrimoniali mediante un pro-cedimento esecutivo giudiziale contro il datore di lavoro inadempiente. In tali fattispecie, comunque, il verbale in parola non potrà mai essere utilizzato per esercitare il potere sanzionatorio, essendo un atto che ha natura privatistica e, quindi, inidoneo a generare conseguenze sul piano “pubblicistico”. Anche in tal caso, pertanto, essendo definita la problematica sotto il profilo contributivo e patrimoniale, si potrà procedere con l’accertamento ispettivo, provvedendo ad acquisi-re gli elementi di prova necessari per la contestazione degli illeciti amministrativi rilevati o procedere all’archiviazione della pratica, qualora la valutazione circa l’opportunità di un proficuo accesso ispettivo risulti negativa.Ancora in ordine agli effetti della conciliazione, l’art.11, D.Lgs. n.124/04, richiama l’inapplicabilità dell’art.2113, co.1-3 c.c.. La conciliazione raggiunta è, pertanto, da ritenersi non impugnabile.L’art.11, co.3 bis del D.Lgs. n.124/04, inoltre, introdotto dall’art.38 della L. n.183/10, come visto in precedenza, stabilisce che il verbale di conciliazione acquista valore di titolo esecutivo con decreto del giudice competente, su istanza della parte interessata. Ciò consente al lavoratore di escutere diretta-mente il datore di lavoro inadempiente senza ulteriormente esperire né il procedimento sommario di ingiunzione né il giudizio di lavoro, con ulteriore deflazione del contenzioso.

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TUTELE IN CASO DI LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO E CONSEGUENZE SULLA PRESCRIZIONE DEI DIRITTI DEI LAVORATORI

a cura di Alberto Russo

L’articolo si pone l’obiettivo di analizzare le possibili ricadute della nuova disciplina sanzionatoria dei licenziamenti illegittimi sul regime della decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro. Dopo aver analizzato il percorso della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, dalla nota sentenza della Corte costituzionale del 1966 fino alle più recenti pronunce della Cassazione, il contributo si sofferma a veri-ficare le diverse opzioni interpretative. All’esito dell’analisi viene ritenuta più convincente l’interpreta-zione secondo cui la giurisprudenza, d’ora in avanti, sceglierà di far decorrere la prescrizione, anche per i rapporti compresi nella tutela del “nuovo” art.18 St.Lav. dal momento della cessazione del contratto, non escludendosi tuttavia la possibilità che in materia sorga un rilevante contrasto giurisprudenziale, con conseguente grave lesione della certezza del diritto.

1. Premessa

La scelta del legislatore di modificare il regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi, frantu-mando l’unitarietà del regime di reintegrazione previsto dall’originario art.18 dello Statuto dei lavoratori, evi-denzia uno specifico profilo di indagine in relazione alle possibili ricadute della nuova disciplina sul regime della decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro.

Più precisamente, l’interrogativo che si pone riguarda la possibilità che i giudici giungano a considerare la tutela del modificato art.18 non più sufficiente ad evitare il differimento del dies a quo della prescri-zione al momento della cessazione del rapporto in corso.

Prima di verificare le diverse possibili opzioni interpretative, pare opportuno soffermarsi a delineare i termini della questione, cominciando dalla nota sentenza della Corte Costituzionale del 1966.

2. LepronuncedellaCorteCostituzionale

Con sentenza 10 giugno 1966, n.63, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art.2948 c.c., n.4, dell’art.2955 c.c., n.2 e dell’art.2956 c.c., n.1, limitatamente alla parte in cui consentivano che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorresse durante il rapporto di lavoro. Tale declaratoria d’incostituzionalità è stata argomentata dalla Corte Costituzionale in base a un’inter-pretazione estensiva dell’art.36 della Carta costituzionale, dal quale si ricava il carattere dell’irrinuncia-

Tutele in caso di licenziamento illegittimo e conseguenze sulla prescrizione dei diritti dei lavoratori

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bilità del diritto alla retribuzione, desumibile dallo stesso art.36 u.c., che stabilisce l’irrinunciabilità del diritto alle ferie e al riposo settimanale. Partendo da questa premessa interpretativa, la Corte, per un verso, ha affermato che la suddetta irri-nunciabilità, essendo concetto meno ampio dell’indisponibilità richiamata dal Codice civile (art.2934), non basta a rendere perpetuo un diritto soggettivo, da cui la prescrittibilità dei crediti relativi alle singo-le prestazioni salariali dovute periodica-mente dal datore di lavoro. Per altro verso, la stessa Corte ha ri-levato che in un rapporto non dotato di quella particolare resistenza, che caratterizza invece il rapporto d’impiego pubblico, il timore del licenziamento può spingere il lavoratore sulla via della rinuncia a una parte dei propri diritti; di modo che la rinuncia, quando é fatta durante quel rapporto, non può essere considerata una libera espressione di volontà negoziale e la sua invalidità é sancita dall’art.36 della Co-stituzione.Conseguentemente, qualora la prescrizione decorra in costanza di rapporto, si produrrebbe proprio l’effetto che l’art.36 ha inteso precludere vietando qualunque tipo di rinuncia. Con tali argomentazioni la Corte costituzionale ha quindi differito al momento della cessazione del rapporto di lavoro la decorrenza della prescrizione estintiva e di quella presuntiva54.Successivamente la Corte è più volte intervenuta a meglio specificare la portata del suddetto principio.In primo luogo, con le sentenze n.39 del 21 marzo 1969 e n.10 del 28 gennaio 1970 si è precisato che il differimento del dies a quo della prescrizione alla cessazione del rapporto in corso riguarda esclusiva-mente la sola area dei diritti retributivi, con esclusione quindi dei diritti a carattere non esclusivamente patrimoniale, quali, per esempio, il diritto al risarcimento del danno da infortunio.In secondo luogo, con la nota sentenza n.174 del 12 dicembre 1972, la Corte, pur ribadendo il principio della non decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi durante il rapporto e confermando il col-legamento tra il mancato decorso prescrizionale e il timore del licenziamento, ne ha però circoscritto drasticamente il campo di applicazione estendendo l’area dei rapporti caratterizzati dalla c.d. resistenza al timore del licenziamento: non più solo i rapporti di pubblico impiego o quelli alle dipendenze di enti pubblici economici, secondo un principio già affermato nella sentenza del 1966 e ribadito con più evi-denza nelle successive pronunce del 20 novembre 196955 e del 29 aprile 197156, ma altresì ogni rappor-to privato di lavoro caratterizzato da una disciplina tale da assicurarne la stabilità. Più precisamente, la Corte, in considerazione del mutato contesto normativo rispetto al momento della pronuncia del 1966, ha ravvisato un’incontestabile analogia con il lavoro pubblico ove nel settore privato trovino applica-zione le tutele sulle causali del licenziamento di cui alla L. n.604/66 e la tutela reale di cui all’art.18, L. n.300/70, considerando espressamente tale seconda tutela una necessaria integrazione della prima, “dato che una vera stabilità non si assicura se all’annullamento dell’avvenuto licenziamento non si faccia seguire la completa reintegrazione nella posizione giuridica preesistente fatta illegittima-mente cessare”.La Corte Costituzionale, più volte sollecitata a pronunciarsi sulla compatibilità del dispositivo della sen-tenza del 1966 con l’interpretazione restrittiva enunciata nella sentenza del 1972, ha però sempre rifiutato, pur convalidandone l’interpretazione, di attribuire autorità vincolante a tale ultima sentenza, affermando che

54 Da evidenziare che in dottrina (Cfr in particolare A. Maresca, La prescrizione dei crediti di lavoro, Milano, 1983, 63) si è rilevata una vera e propria contraddizione nell’applicazione delle prescrizioni presuntive ai crediti retributivi, in quanto applicare la prescrizione presuntiva a notevole distanza di tempo dal momento in cui il credito è sorto significherebbe snaturare la prescrizione presuntiva e la sua finalità di surro-gazione della quietanza di pagamento entro certi limiti temporali, per trasformarla in una vera e propria prescrizione estintiva, il che è per di più apparso illegittimo stante la tassatività delle ipotesi di prescrizione abbreviata.55 Corte Cost. 20 novembre 1969, n.143, in Giust.Civ., 1969, I, 319.56 Corte. Cost. 29 aprile 1971, n.86.

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“tra i (…) provvedimenti necessariamente tipici non si annovera né può annoverarsi l’accertamento del contenuto di precedenti sue sentenze, una sorta cioè di provvedimento di secondo grado, del quale og-getto immediato è non la disposizione e il gruppo di norme impugnati, ma altra sua sentenza”57.

Sempre in questo senso si è anche precisato

“che il rapporto tra la disciplina normativa, modificata da sentenza di accoglimento della Corte medesi-ma, e la disciplina successivamente adottata con legge e atto avente forza di legge (…) dà vita a vicende di parziale o totale abrogazione tacita, competente a conoscere delle quali è il giudice ordinario, non la Corte costituzionale per adire la quale sarebbe d’uopo muovere dalla premessa, per la verità incon-sistente, che la sentenza di accoglimento della Corte attribuisca alla norma, parzialmente annullata, autorità superiore al vigore proprio delle leggi ordinarie e degli atti aventi forza di legge ordinaria”58.

Sembra quindi da condividere l’opinione dottrinale59 secondo la quale la sentenza del 1972 non avreb-be, almeno in senso formale, inciso nel rapporto tre le fonti, dovendo continuare il giudice a riferirsi alla disciplina codicisitica come modificata dalla sentenza n.63, sia pure sul presupposto che il dispositivo della citata sentenza non può essere avulso dalla sua motivazione.

3. Gliorientamentidellagiurisprudenzadilegittimità

A riconoscere efficacia vincolante e, quindi, valore sostanzialmente normativo all’interpretazione della sentenza costituzionale n.174 è stata invece la giurisprudenza ordinaria e, in particolare, la giurispru-denza di legittimità che, fin da subito, con la pronuncia a sezioni riunite del 1976, si è attestata sulle posizioni del giudice costituzionale del 1972. Più precisamente, la Corte di Cassazione, sebbene for-malmente abbia proceduto a un’interpretazione autonoma della sentenza n.63/66, sostenendo che la Corte Costituzionale non possa in alcun modo vincolare gli organi giurisdizionali con le inter-pretazioni autentiche di propri giudizi, né far rivivere disposizioni che essa stessa ha eliminato dall’ordi-namento configurandole come illegittime, tuttavia, all’esito dell’iter interpretativo, ha aderito pressoché total-mente all’impostazione della richiamata sentenza n.174, ritenendo che il carattere della stabilità, re-quisito necessario per il evitare il differimento del termine prescrizionale, sia da riconoscere per “ogni rapporto che, indipendente-mente dal carattere pubblico o privato del datore di lavoro, sia regolato da una disciplina la quale sul piano sostanziale, subordini la legittimità e l’efficacia della risoluzione alla sussistenza di circostanze obiettive e predeterminate e, sul piano processuale affidi al giudice il sinda-cato su tale circostanza e la possibilità di rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo”60.È quindi corretto affermare che, almeno sul piano sostanziale, la sentenza n.174 abbia introdotto nel diritto vivente un vero e proprio regime bipartito della prescrizione breve e presuntiva dei diritti dei lavoratori, operando la garanzia della prescrizione differita dei crediti salariali solo con riferimento ai lavoratori esclusi dall›ambito della tutela reale contro il licenziamento illegittimo e rientranti, invece, nella c.d. tutela obbligatoria ovvero nelle categorie per le quali è previsto il licenziamento ad nutum (lavoratori domestici, sportivi professionisti, lavoratori che abbiano diritto alla pensione di vecchiaia).Invero la giurisprudenza, senza mai scostarsi dai principi della menzionata sentenza del 1976, ha però via via accentuato il proprio approccio empirico, condizionando l’applicabilità della menzionata regola

57 Così Corte Cost., 1° giugno 1979, n.40.58 In dottrina sui rilievi concernenti l’inammissibilità di sentenze della Corte costituzionale di interpretazione autentica o di accertamento del contenuto di proprie precedenti decisioni con efficacia erga omnes, quali la pronuncia n. 63 del 1966 si veda, anche per i richiami A. Maresca, La prescrizione dei crediti di lavoro, op. cit., 264 ss..59 Si veda E. Ghera, La prescrizione dei diritti del lavoratore e la giurisprudenza creativa della corte costituzionale, in Riv. Dir. It.Lav, 2008, I, 3.60 Così Cass. S.U., 12 aprile 1976, n.1268, in Mass. Giur. Lav., 1976, n.190.

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alla verifica dell’effettivo atteggiarsi del rapporto e della sussistenza, nel caso concreto, di una plausi-bile condizione di metus del lavoratore, indipendente-mente dalla disciplina giuridica astrattamente applicabile.Il riferimento è in particolare a quei rapporti originariamente esclusi dalla tutela reale, e poi ivi ricon-dotti in sede giudiziale sulla base del riconoscimento della natura subordinata del rapporto e della contestuale sussistenza dei requisiti dimensionali di cui all’art.18 St. Lav.. Si pensi al lavoro falsamente autonomo, al lavoro in nero, alle serie di contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in frode alla legge. In tutti questi casi, la giurisprudenza ha rilevato che la decorrenza o meno della prescrizione in costanza di rapporto deve essere verificata con riguardo al concreto atteggiarsi dal rapporto di lavoro in relazione all’effettiva esistenza di una situazione psicologica di metus del lavoratore, e non già alla stregua della diversa normativa garantistica che avrebbe dovuto astrattamente regolare il rapporto, ove questo fosse sorto fin dall’inizio con le modalità e la disciplina che il giudice, con un giudizio neces-sariamente ex post, riconosce applicabili61. Da una diversa angolazione, i predetti orientamenti giurisprudenziali sembrano sottendere, quale cri-terio scriminante per il differimento della decorrenza della prescrizione, la verifica di una situazione soggettiva di incertezza in capo al lavoratore sull’applicabilità della tutela reintegratoria, nella misura in cui tale incertezza sia oggettivamente comprovabile e non già quando rilevi nella sfera meramente soggettiva del singolo62.Si considerino in questo senso le pronunce in tema di divieto di interposizione, laddove si è affermato che la prescrizione non corre se il rapporto fittizio con l’interposto non risulti soggetto alla tutela reale contro il licenziamento, indipendentemente dalla sussistenza di un rapporto di lavoro con l’effettivo datore di lavoro rientrante nell’ambito di applicazione dell’art.18 St. Lav.63. Ancor più indicative sono quelle sentenze che, con riferimento a casi di c.d. stabilità fluttuante - vale a dire a casi in cui le continue variazioni della consistenza del personale occupato rendono incerta l’ope-ratività del regime di tutela reintegratoria - hanno escluso, ai fini della decorrenza della prescrizione, il ricorso al criterio della media occupazionale, ritenendo che la prescrizione non possa decorrere in co-stanza di rapporto, poiché l’incertezza circa le dimensioni numeriche dell’im-presa non farebbe venire meno il timore per il lavoratore di essere licenziato64.Nella stessa linea di indirizzo è da annoverare altresì quella giurisprudenza che, in relazione ad ipotesi di rivendicazione del lavoratore delle differenze retributive connesse al riconoscimento della superiore qualifica dirigenziale, ha affermato che la stabilità “deve essere verificata con riferimento alla disciplina legale che il lavoratore avrebbe potuto far valere e non anche a quella che di fatto è stata illegittima-mente imposta”65. Conseguentemente, una volta accertato il diritto del dipendente all’inquadramento nella categoria dei dirigenti, il cui rapporto è escluso dal regime di tutele contro il licenziamento, non rileverebbe, ai fini della decorrenza della prescrizione, la circostanza dell’illegittimo inquadramento di fatto del dipen-dente stesso nella categoria impiegatizia nei cui confronti opera invece il regime di stabilità. Da evidenziare che in questo caso i giudici, facendo prevalere il regime legale astrattamente applicabile rispetto a quello di fatto, sembrano discostarsi dalle precedenti pronunce. In realtà, come è stato bene sottolineato66, la contraddittorietà è solo apparente nella misura in cui quello che rileva, in ultima analisi, è pur sempre il metus del prestatore in ordine al recesso datoriale: l’impiegato, che pure

61 Cfr in particolare Cass. 20 giugno 1997, n.5494. Vedi da ultimo Cass. 12 novembre 2007, n.23472.62 Cfr in questo senso C. Zoli, Eccezioni alla regola della decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto di lavoro: i nodi vengono al pettine, in Riv. Dir. It.Lav, 1996, II, 429 ss.63 Vedi Cass. 19 maggio 1990, n.4551.64 vedi Cass. 8 novembre 1995, n.11615.65 Così Cass. 9 giugno 1990, n.560466 Vedi L. Nannipieri, in Prescrizione dei crediti retributivi, effettiva situazione psicologica di metus del lavoratore e certezza del diritto: l’ipo-tesi del lavoro in nero, in Riv. Dir. It.Lav, 1998, I, 165 ss..

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gode di una tutela forte, può essere indotto a non esercitare i diritti retributivi connessi alla superiore qualifica dirigenziale, poiché questo comporterebbe minori garanzie contro il licenziamento.Un parziale scostamento dai suddetti principi è invece ravvisabile con riferimento alle ipotesi di suc-cessivi (legittimi) rapporti a termine, essendo prevalsa al riguardo un’interpretazione formalista non fondata sulla sussistenza di una situazione psicologica di incertezza del lavoratore relativamente al rinnovo contrattuale. Invero, sul punto, si è verificato un rilevante contrasto giurisprudenziale. Secondo un primo orientamento, la prescrizione dei crediti afferenti a uno dei rapporti a termine non potrebbe validamente decorrere se la sua scadenza si verifica nel corso di un successivo rapporto, ciò sul presupposto che si configura anche in tale ipotesi una situazione psicologica di timore riguardo alle future possibili riassunzioni, e cioè alla continuità dei contratti a termine. Il supporto logico-giuridico di tale orientamento si rinviene pertanto nella considerazione che il lavoratore finisce per versare in una situazione di metus nei confronti del datore di lavoro, assimilabile a quella riscontrabile nei rapporti privi di stabilità, atteso che, a seguito della successione di contratti a termine, si concretizza una forma di inserimento del lavoratore nell’impresa in base alla quale è lasciata al datore di lavoro la decisione sulla continuazione o meno della prestazione lavorativa in una situazione, quindi, di assoluta precarietà del rapporto67.Secondo altro orientamento, invece, la prescrizione decorrerebbe regolarmente dalla cessazione dei singoli rapporti ovvero dalla maturazione dei crediti, in quanto la portata precettiva della dichiarazione di incostituzionalità operata dalla sentenza n.63 del 1966 della Corte Costituzionale impone di ritenere che la prescrizione non decorra rispetto alla durata di un unico rapporto, ma non consente di applicare lo stesso principio, se i rapporti sono plurimi e successivi68.A dirimere il contrasto giurisprudenziale è intervenuta la Cassazione a sezione riunite, con sentenza n.575/03, che ha completamente aderito all’interpretazione più formalista, sul presupposto che il ti-more della mancata rinnovazione non è affatto equiparabile al timore del licenziamento che, avendo a differenza della prima un carattere incerto, genera una situazione di vera soggezione psicologica nei confronti del datore.Occorre infine evidenziare che il differimento della prescrizione è stato espressamente escluso dalla giurisprudenza69, con riferimento ai rapporti c.d parasubordinati, non ritenendosi applicabile la tutela dell’art.36 Cost., tutela alla base della sentenza della Corte Costituzionale n.63/66.

4. Segue: onere della prova della stabilità del rapporto

Secondo la prevalente giurisprudenza l’onere di provare il requisito occupazionale grava sul datore di lavoro che eccepisca la decorrenza del termine di prescrizione. È vero che le SS.UU. hanno affermato, con sentenza del 10 gennaio 2006, n.141, che il regime della tutela reale (L. n.300/70, art.18) costitui-sce la regola e quello della tutela obbligatoria (L. n.604/66, art.8) l’eccezione. Tuttavia, nel considerare la ragione del decidere dell’intervento delle Sezioni unite, la giurisprudenza - anche recente - ha rile-vato che la regola dell’onere probatorio operante nelle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa del licenziamento non può coincidere con quella operante nelle controversie aventi ad oggetto crediti retributivi70.

67 Cfr. tra le altre: Cass. 22 febbraio 1995, n.2020; Cass. 22 dicembre 1989, n.5783; Cass. 13 novembre 1985, n.5568 e nella stessa linea concettuale: Cass. 16 giugno 1987, n.5303. 68 Cfr. tra le altre: Cass. 2 luglio 1999, n.6852; Cass. 16 dicembre 1995, n.12872; Cass. 9 maggio 1995, n.5033; Cass. 16 dicembre 1983, n.7444; Cass. 14 novembre 1979, n.5937.69 Cfr in particolare Cass. 3 luglio 2001, n.13323.70 In dottrina, in senso contrario vedi D. Zavalloni, in Guida al Lav., n.23/08, secondo il quale, la regola della presunzione di tutela reale do-vrebbe operare anche nel contenzioso retributivo.

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Rispetto infatti alla prescrizione dei crediti retributivi, per i quali rileva, come elemento di specialità, la tutela costituzionale approntata dall’art.36 Cost., il rapporto “regola-eccezione” si pone diversamente nel senso che la regola è la sospensione del decorso del termine di prescrizione e l’eccezione è invece la normale decorrenza del termine anche in pendenza del rapporto di lavoro. Conseguentemente, in caso di difetto di prova della stabilità del rapporto di lavoro la prescrizione estintiva quinquennale decorre solo dallo scioglimento del rapporto.Da evidenziare che, in alcuni casi, la prova della stabilità può essere assorbita dalla sussistenza di un giudicato implicito sulla questione della tutela reale. Qualora, infatti, la rivendicazione di poste retri-butive avvenga successivamente a un precedente giudizio (tra le stesse parti), in cui vi sia stato il rico-noscimento della stabilità reale, anche solo in termini di mancata contestazione da parte del datore resistente, la giurisprudenza71 tende a rinvenire nella fattispecie un’ipotesi di giudicato implicito, di per sé impeditiva di una diversa impostazione fattual/giu-ridica, anche qualora il secondo giudizio (inerente i crediti retributivi) abbia finalità differenti da quelle che costituiscono il petitum e la causa petendi del primo (inerente l’impugnazione del licenziamento).

5. Alcune considerazioni sulla decorrenza della prescrizione dei crediti di lavorononretributivi

Come già evidenziato, la Corte Costituzionale è più volte intervenuta ad escludere dalla regola del diffe-rimento della prescrizione i crediti di lavoro non aventi natura retributiva, esulando questi ultimi dalla garanzia costituzionale di cui all›art.36 Cost72. Il metus del lavoratore del licenziamento non assume quindi nell’interpretazione del giudice delle leggi una valenza autonoma, ma solo in quanto connesso alla tutela costituzionale della giusta retribuzione. Conseguentemente, indipendentemente dall’ambi-to di applicazione della tutela reale o obbligatoria, il termine prescrizionale dei crediti non retributivi, per un verso, sarà decennale, secondo la regola ordinaria di cui all’art.2946 c.c., per altro verso comin-cerà a decorrere in costanza di rapporto nel momento stesso in cui il diritto può essere fatto valere.La giurisprudenza ordinaria non si è mai o quasi mai discostata dal suddetto indirizzo, conservando tut-tavia un’importante funzione nel determinare o non la natura retributiva di alcune tipologie di credito di lavoro.La questione, in particolare, ha riguardato e riguarda tutt’ora l’indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali non goduti. La giurisprudenza prevalente73 ne afferma la natura risarcitoria, da cui la soggezione dell’indennità alla prescrizione ordinaria decennale con decorrenza anche in pendenza del rapporto di lavoro. Viene in questo senso rilevato che l’assenza di godimento dei giorni di riposo, qualora irreversibile, individua una perdita di “cura della persona”, essendo quindi evidente la funzione riparatrice e, quindi, risarcitoria della relativa indennità. Non sono poche, tuttavia, le sentenze che anche in tempi recenti hanno affermato la natura retributiva dell’indennità in questione, sia pure nella maggior parte dei casi per esclusivi fini fiscali e contributivi74. Sono infatti piuttosto rare le pronunce che si sono espresse in questo senso per finalità attinenti al rapporto di lavoro75 e, quando lo hanno fatto, si sono basate su argomentazioni tautologiche, rilevando semplicemente che, nell’ambito del rapporto di lavoro, le somme versate da una parte all’altra e non aventi autonoma causa hanno natura ontologica-mente retributiva e che nell’art.2126, co.2 c.c., le somme versate per il lavoro prestato in violazione di norme poste a tutela del lavoratore sono qualifi-cate come “retribuzione”.

71 Cfr in particolare Cass. 24 marzo 2006, n.6628.72 Cfr in particolare: Corte Cost. 20 novembre 1969, cit; Corte Cost. 29 aprile 1971, cit.; Corte Cost., 1° giugno 1979, cit..73 Vedi da ultimo Cass. 11 maggio 2011, n.10341. Cfr anche Cass. 13 marzo 1997, n.2231; Cass. 16 luglio 1992, n.8627.74 Cfr in particolare Cass. 27 maggio 1998, n.4839.75 Cfr in particolare Cass. 16 febbraio 1989, n.927.

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L’altra importante questione ha riguardato i termini prescrizionali e la relativa decorrenza nell’ambito del diritto del lavoratore alla qualifica superiore, soprattutto in relazione alla contemporanea richiesta delle relative differenze retributive.La giurisprudenza meno recente76, pur rilevando che il suddetto diritto alla qualifica superiore e quello alle differenze retributive per le mansioni effettivamente svolte soggiacciono a un differente regime prescri-zionale, il primo alla prescrizione decennale, insuscettibile di sospensione durante il corso del rapporto e il secondo alla prescrizione quinquennale, i cui termini invece restano sospesi in relazione ai rapporti di lavoro non assistiti dalla tutela reale, ha però affermato che, se il diritto alle differenze retributive sia fatto valere in dipendenza del diritto alla qualifica, spettante in correlazione al vantato diritto alla promozione, e non già autonomamente in correlazione a un dedotto e provato svolgimento di mansioni superiori tutelabili ex art.36 Cost., la prescrizione decennale applicabile al diritto alla qua-lifica si estende anche ai diritti patrimoniali consequenziali.Tale soluzione interpretativa è stata tuttavia abbandonata dalla più recente giurisprudenza77, laddove si è rilevato che non vi è motivo che una siffatta distinzione, in termini di regime prescrizionale, venga meno nel caso in cui il diritto alle differenze retributive sia fatto valere contemporaneamente al diritto alla qualifica superiore.Resta peraltro fermo il costante orientamento78 secondo il quale la domanda giudiziale di qualifica su-periore interrompe anche, in considerazione dello stretto nesso di causalità, la prescrizione del diritto alle differenze retributive consequenziali. Interruzione che, se realizzata in costanza di rappor-to, produrrà effetti sostanziali solo nei casi in cui non operi il differimento del termine prescrizionale e, quindi, solo nei casi in cui il rapporto sia dotato della stabilità c.d reale.

6. Le conseguenze della Riforma sul regime della decorrenza della prescrizione: al-cuneipotesiinterpretative

Così delineato lo stato dell’arte, è possibile ritornare al quesito in premessa e verificare le diverse op-zioni interpretative in relazione alle possibili conseguenze della Riforma sul regime di decorrenza del termine prescrizionale. Primo aspetto da sottolineare è che la tutela reintegratoria, fino a ieri alla base delle argomentazioni della giurisprudenza per giustificare l’eccezione alla regola del differimento della prescrizione, viene messa “palesemente in discussione”79 dalle modifiche apportate all’art.18 St. Lav.. Non sembra infatti revocabile in dubbio che, con l’entrata in vigore della L. n.92/12, il regime della tutela indennitaria, anche con riferimento ai rapporti di lavoro rientranti nell’ambito di applicazione del menzionato art.18 St. Lav., diviene la regola ordinaria in caso di licenziamento ingiustificato, dero-gabile dal giudice solo in presenza di circostanze eccezionali unicamente connesse a specifiche causali di licenziamento. Più precisamente, la restitutio in integrum con indennità risarcitoria piena viene conservata per i soli licenziamenti discriminatori, secondo quanto già stabilito dall’art.3, L. n.108/90, comprendendosi però espressamente anche i licenziamenti nulli per motivo illecito, soggetti prima della Riforma alle norme di diritto comune dei contratti. Viene inoltre previsto un secondo, più “morbido”, livello di tutela reintegratoria in relazione a ipotesi di recesso palesemente illegittime e precisamente: con riferimento al licenziamento disciplinare, qualora il giudice accerti che il fatto non sussiste ovvero non sia riconducibile alle condotte punibili con una

76 Cfr in particolare Cass. n.3843/86.77 Cfr da ultimo Cass., 8 aprile 2011, n.57.78 Cfr in particolare Cass. 8 settembre 2007, n.18570.79 L’espressione, condivisibile, è di L. Galantino, La riforma del regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi: le modifiche all’art.18 dello statuto dei lavoratori, in G. Pellacani (a cura di), Riforma del lavoro, Giuffré, Milano, 2012, 265.

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sanzione conservativa alla luce delle tipizzazioni previste dai contratti collettivi applicabili; con riferi-mento al licenziamento per motivo oggettivo, in caso di manifesta insussistenza del fatto, a cui devono aggiungersi le ipotesi relative ai licenziamenti intimati prima della scadenza del periodo di comporto o giustificati sulla base di una insussistente motivazione del venir meno dell’ido-neità fisica o psichica del lavoratore. In questi caso però, come già detto, la tutela non è piena, in quanto ai fini della ricostitutio ad integrum della retribuzione mancante dal momento di licenziamento fino alla sentenza di reintegrazione è pre-vista la detrazione non solo dell’aliunde perceptum ma anche dell’aliunde percipiendum. Viene inoltre eliminato il tetto minimo di risarcimento delle cinque mensilità, prevedendo invece un tetto massimo nella misura di 12 mensilità80, spostandosi in questo modo sul lavoratore il rischio della lunghezza del processo, spostamento già di per sé sufficiente ad aumentare il metus del lavoratore in ordine al re-cesso datoriale, anche in considerazione degli alti tassi di disoccupazione che caratterizzano l’attuale mercato del lavoro81. È chiaro quindi che la nuova dimensione di tutela di cui all’art.18 St. Lav. evidenzia una necessità di rac-cordo con il regime di decorrenza della prescrizione, raccordo che, se non sarà realizzato dal legislatore, spetterà alla giurisprudenza ordinaria. Non sembra invece probabile, né tanto meno inevitabile, come invece è stato sostenuto82, un intervento risolutorio della Corte Costituzionale, per almeno due ordini di ragioni.Il primo concerne il fatto che il mutato contesto normativo non sembra poter incidere sul fondamento giuridico della sentenza n.63/66 nella misura in cui non si individua in tale pronuncia un collegamento diretto tra la stabilità del rapporto e la decorrenza della prescrizione né una tale connessione sembra potersi ravvisare nella motivazione, limitandosi questa ad evidenziare, in contrapposizione al settore privato, il carattere di particolare resistenza del rapporto del pubblico impiego. Anzi, a ben vedere, qualora i giudici ritenessero non più sufficiente la tutela di cui all’art.18 St. Lav., non si farebbe altro che riportare il regime della decorrenza della prescrizione nella stessa situazione in cui era intervenuto per la prima volta il giudice delle Leggi nel 1996, riproponendosi la stessa bipartizione tra impiego privato e impiego pubblico.Il secondo ordine di ragioni riguarda il rilievo che la Corte Costituzionale, quando è stata chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità del dispositivo della sentenza del 1966 con l’interpretazione restrittiva della sentenza del 197283, si è sempre rifiutata di attribuire valore vincolante alle proprie interpre-ta-zioni, attribuendo invece al giudice ordinario l’esclusiva competenza a “conoscere” gli eventuali effetti sulla norma derivanti dal mutato contesto normativo.Peraltro, modificandosi la disciplina legislativa alla base della pronuncia del 1972, viene certamente svalutato il più importante parametro normativo utilizzato dalla giurisprudenza, potendo da ciò deri-vare un disgregamento del processo di assestamento e razionalizzazione del diritto vivente in materia. Occorre infatti ricordare quanto detto nei precedenti paragrafi e cioè che la giurisprudenza ha costante-mente “valutato” il requisito della stabilità sulla base del concreto atteggiarsi del rapporto in relazione all’effettiva esistenza di una situazione psicologica di metus del lavoratore. Per i giudici, quindi, non sarebbe sufficiente che sia astrattamente applicabile la tutela reale contro il licenziamento, peraltro ora fortemente ridimensionata nelle ipotesi di reintegrazione con risarcimento limitato a dodici mensilità,

80 Non sembra peraltro opinabile, nonostante una cattiva formulazione legislativa, che il risarcimento forfetizzato nel massimo vada a coprire solo il periodo precedente la sentenza.81 Cfr sul punto C. Cester, Il progetto di riforma della disciplina dei licenziamenti: prime riflessioni, in Arg. dir. lav., 2012, 547 ss, secondo il quale, “la situazione del mercato locale ad alto tasso di disoccupazione (...) priverà il lavoratore, passati i primi dodici mesi, di ogni sostenta-mento, posto che l’eventuale prestazione di disoccupazione fruita in seguito al licenziamento, diventerà indebita una volta che il licenziamento medesimo sia stato annullato e dovrà essere restituita all’ente previdenziale erogatore”.82 Vedi in questo senso M. Marrazza, L’art.18, nuovo testo dello Statuto dei lavoratori, in Arg. dir. lav.,2012, 622 ss..83 Vedi supra par. Le pronunce della Corte Costituzionale.

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ma occorrerebbe anche che il lavoratore che intenda esercitare i propri diritti retributivi possa dirsi oggettivamente sicuro di poter fruire di tale tutela. Questa sicurezza nell’attuale contesto normativo viene completamente meno, non essendo più solo collegata al tipo di categoria (non dirigenziale) e alla dimensione occupazionale dell’impresa, elementi variabili ma pur sempre oggettivi e rilevabili in ogni momento di svolgimento del rapporto. D’altra parte, laddove questi assumevano contorni sfumati o di difficile individuazione, la giurisprudenza ha configurato una vera e propria presunzione assoluta di non stabilità, ritenendo che la prescrizione in questi casi non possa decorrere in costanza di rapporto, nella misura in cui l’oggettiva incertezza circa la sussistenza dei requisiti di operatività della tutela reale non fa venire meno il timore per il lavoratore di essere licenziato84.Con la L. n.92/12 questa incertezza diviene una caratteristica connaturata al sistema sanzionatorio, dipendendo il diritto alla reintegrazione, fermo restando l’ambito di applicabilità dell’art.18 St. Lav. non toccato dalla Riforma, dalle specifiche causali del licenziamento o, meglio, dalla configurazione delle stesse da parte del giudice. Anzi, a ben vedere, la scelta di applicare la tutela reintegratoria non sembra nemmeno imprescindibilmente connessa con le suddette causali, dal momento che, con riferimento al licenziamento per motivo oggettivo, l’accertamento giudiziale della manifesta insus-sistenza del fatto non determina automaticamente il diritto del lavoratore alla restitutio in integrum, occorrendo un’ul-teriore valutazione del giudice85.Il lavoratore, conseguentemente, non è più in grado di “controllare” le circostanze che gli garantirebbe-ro l’accesso alla tutela reale, non potendo queste essere mai “attuali nel momento in cui il lavoratore debba decidere se azionare il suo diritto onde evitarne la prescrizione o attendere”86. E questo anche nel caso in cui tra le parti vi sia stato già un precedente giudizio e il lavoratore abbia ottenuto la reinte-grazione, non potendo trovando applicazione il principio del giudicato implicito, nella misura in cui l’accertamento non riguardi più solo elementi fattuali oggettivamente e preventivamente verificabili. Si consideri inoltre che già nel contesto previgente, nell’ambito della tutela obbligatoria, vi era un siste-ma di modulazione delle tutele collegato alle causali del recesso datoriale, potendo infatti il lavoratore accedere alla tutela reale, indipendente-mente dalla dimensione dell’impresa, non solo in caso di licen-ziamento discriminatorio ma anche, sulla base delle norme di diritto comune dei contratti, in tutti i casi di licenziamento nullo. Ciò nonostante nessun giudice si è mai spinto al punto di negare il differimento del termine prescrizionale in presenza di un rapporto di lavoro escluso dall’ambito di applicazione della tutela di cui all’art.18 St. Lav.Da rilevare altresì che, sebbene i giudici abbiano reiteratamene affermato che il criterio della stabilità poteva derivare anche dall’applicazione di una disciplina non coincidente con quella di cui all’art.18, qualora fosse garantita un’intensità di tutela almeno equivalente, tuttavia non si è mai giunti a ritenere sufficiente ad evitare il differimento del termine prescrizionale la previsione di una tutela solo inden-nitaria, anche di rilevante entità87.Quanto detto, occorre sottolineare, non significa che i giudici d’ora in avanti differiranno inevitabilmen-te il dies a quo della prescrizione al momento della cessazione del contratto, significa invece che, qualo-ra ritenessero la tutela derivante dal nuovo art.18 ancora idonea a consentire al lavoratore di esercitare i propri diritti senza temere di essere licenziato, dovranno però modificare il relativo iter motivazionale, allontanandosi dalle argomentazioni della sentenza della Corte Costituzionale del 1972.

84 Vedi supra par. Gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità.85 Interpretazione che sembra dedursi dal rilievo letterale dell’art.18, co.7, St. Lav., in cui si prevede che in tali casi il giudice “può” e quindi non “deve” applicare la sanzione reintegratoria. In questo senso vedi in particolare A. Vallebona, La Riforma del lavoro, Giappichelli, Torino, 2012, 58-59.86 Così C. Cester, op. cit.87 Cfr tra le tante: Cass. 13 settembre 1997, n.9137; Cass. 13 marzo 1996, n.2058; Cass. 4 maggio 1983, n.3062.

Tutele in caso di licenziamento illegittimo e conseguenze sulla prescrizione dei diritti dei lavoratori

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In questa prospettiva, la “resistenza“ del rapporto potrebbe, per esempio, essere valutata non più solo sulla base delle conseguenze sanzionatorie in caso di licenziamento, ma anche in virtù della sussisten-za o meno di una procedimentalizzazione del potere di recesso datoriale. Potrebbero quindi essere valorizzate alcune novità della Riforma, quali l’introduzione dell’obbligo della motivazione contestuale all’atto di recesso e soprattutto dell’obbligo di attivare in capo al datore una specifica procedura preven-tiva in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo88. Naturalmente il profilo sanzionatorio continuerebbe ad avere un peso rilevante, potendosi però evidenziare che la tutela del nuovo art.18, pur non essendo più quella reale alla quale faceva riferimento la giurisprudenza nel contesto previgen-te, individua comunque un regime di protezione ben più pregnante rispetto al regime di tutela solo obbligatoria di cui alla L. n.604/66, sia per la diversa entità dell’indennità risarcitoria, sia soprattutto per la permanente operatività della reintegrazione nel posto di lavoro nel caso di insussistenza del fatto posto a base del licenziamento. Senza poi contare il generale ambito di applicabilità della sanzione rein-tegratoria ad effetti risarcitori pieni in caso di licenziamento discriminatorio e di licenziamento nullo per motivo illecito ex art.1345 c.c., quest’ultimo prima della Riforma soggetto alle sole norme di diritto comune dei contratti.Proprio il predetto rafforzamento della tutela in caso di licenziamento per motivo illecito è alla base di una suggestiva opinione dottrinale. Partendo dalla premessa che la “particolare resistenza” che esclu-de la configurabilità di un’inferiorità psicologica deve essere verificata esclusivamente sulla possibilità offerta al lavoratore di impugnare un licenziamento per ritorsione, ottenendo una tutela ripristinatoria adeguata, si arriva ad affermare89 che la formula-zione del nuovo art.18, nel prevedere indipendente-mente dal numero degli occupati la tutela reintegratoria piena in caso di licenziamento determinato da motivo illecito, determinante e non più esclusivo, come invece richiesto dall’art.1345 c.c., non solo sembra escludere una qualsiasi possibile modifica al regime della decorrenza della prescrizione per i rapporti che già prima della Riforma godevano della c.d. stabilità reale, ma sembra anche autorizzare un’interpretazione che preveda la decorrenza del termine prescrizionale in costanza di rapporto per tutti i rapporti di lavoro, di fatto così abrogando la relativa disposizione codicistica, così come modifica-ta dall’intervento del giudice della legge del 1966.Una simile conclusione non è però assolutamente condivisibile. Sarebbe infatti paradossale che a una oggettiva riduzione dell’effetto di deterrenza dell’art.18 St. Lav. corrispondesse, ai fini prescri-zionali, un indifferenziato riconoscimento del carattere di stabilità per tutti i rapporti di lavoro. Deve d’altra parte osservarsi una chiara sopravalutazione delle modifiche intervenute in materia di licenziamento per mo-tivo illecito. Per un verso, già prima della Riforma la tutela speciale dell’art.18 era ritenuta, per costante giurispru-denza90, dotata di forza espansiva e quindi applicata anche al licenziamento per ritorsione. Per altro verso, la nullità del recesso per motivo illecito ex art.1345 c.c. avrebbe comunque comportato il diritto all’intero trattamento economico fino al ripristino della funzionalità del rapporto, non operan-do unicamente la garanzia del tetto di risarcimento minimo di cinque mensilità. Sopravalutato altresì è il riferimento al carattere “determinate” e non più “esclusivo” del motivo illecito, in quanto la stessa esperienza giurisprudenziale non sembra tracciare una reale differenziazione tra i due aggettivi, tant’è che sembra del tutto condivisibile l’opinione91 secondo la quale il riferimento del nuovo art.18 al moti-vo illecito di cui all’art.1345 c.c. confermerebbe integralmente la nozione codicistica, stante il richiamo espresso all’intero articolo con la conseguente sintesi nell’aggettivo “determinante” della formula “de-terminate a concluderlo esclusiva-mente per”.

88 Vedi. il nuovo art.7, L. n.604/66.89 Vedi G. Parravicini, Il nuovo art. 18 st. lav.: problemi sostanziali e processuali, in Mass. Giur. Lav., 2012, 748 ss..90 Vedi da ultimo Cass. 26 marzo 2012, n.4797.91 Vedi A. Vallebona, op. cit, 51-52.

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In conclusione non resta che ribadire le difficoltà a formulare una prognosi credibile sulla soluzione interpretativa che sarà adottata dai giudici, anche se, a mio avviso, sarà difficile, in assenza di un in-tervento legislativo ad hoc, che essi giungano a smentire sé stessi fino al punto di considerare la mera eventualità della tutela di reintegrazione come sufficiente a consentire il decorso della prescrizione in costanza di rapporto92. È quindi probabile che la giurisprudenza, d’ora in avanti, sceglierà di far decorrere la prescrizione, anche per i rapporti compresi nella tutela dell’art.18 St.Lav., dal momento della cessazione del contratto, facen-do però salvi i periodi di prescrizione decorsi, anche in costanza di rapporto, prima dell’entrata in vigore della norma, periodi che andrebbero poi a cumularsi con quelli successivi alla fine del rapporto93.Il rischio, però, che si crei un vero e proprio contrasto a livello giurisprudenziale non è di poco conto, con conseguente grave lesione della certezza del diritto quanto mai essenziale in una materia come quella in esame.È quindi auspicabile, come suggerito da quasi tutti i primi commentatori, che il legislatore intervenga con un’esplicita presa di posizione. Potrebbe essere, del resto, l’occasione per un aggiornamento dei principi alla base della giurisprudenza manipolativa degli anni ‘60 e ‘70, principi sorti in un contesto socio economico oramai datato, dove gli esempi di sfruttamento salariale erano all’ordine del giorno94. Aggiornamento che potrebbe anche portare al superamento del regime speciale della prescrizione per i crediti di lavoro e al conseguente ripristino del regime di diritto comune per tutti i lavoratori. La con-tingente situazione di grave crisi economica e occupazionale sembra tuttavia allontanare tale opzione, almeno fino a quando non sarà a pieno regime il sistema di tutele del lavoratore nel mercato del lavoro.

92 In questo senso vedi C. Cester, op. cit.; M. Marazza, op. cit. Contra si veda A. Maresca, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche dell’art. 18 statuto dei lavoratori, in Riv. Dir. It. Lav., 2012, II, 415 ss., il quale sostiene che “le modifiche all’art. 18 possano continuare a tutelare il lavoratore in modo tale da consentire la decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto di lavoro”.93 Da evidenziare che il criterio del cumulo dei diversi periodi di decorrenza era già stato espresso dalla giurisprudenza con riferimento alle ipotesi di variazione delle dimensioni occupazionali dell’azienda. Cfr in particolare Cass. 20 dicembre 1982, n.7014.94 Cfr sul punto E. Ghera, op. cit..

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PROCEDURE CONCORSUALI: LE REGOLE PER IL RECUPERO DEI CREDITI RETRIBUTIVI

a cura di Riccardo Girotto

Le operazioni di insinuazione al passivo da compiersi in caso di procedure concorsuali, presentano spes-so rischi determinati dalla relazione tra le eterogenee discipline coinvolte. Il diverso percorso che segue ogni titolo obbliga a un’attenta disamina della casistica verificabile, ponendo la massima attenzione in via principale all’individuazione dei soggetti legittimati e, in via secondaria, alla soggezione fiscale e contributiva delle somme ammissibili.Resta inteso che in questo testo non sarà possibile trattare il destino di tutti i crediti generabili dal rapporto di lavoro, considerato come oggi non sia semplice nemmeno riscontrare una consolidata giu-risprudenza in materia. Si cercherà, comunque, di fornire una bussola interpretativa agli operatori del settore, dai curatori ai coadiutori e consulenti delle procedure, nonché di richiamare e affrontare con senso critico le fonti poste a sostegno delle tesi risolutive proposte da questo autore.

1. Creditiretributivi

Innanzitutto è necessario evidenziare come la natura propria di ogni istituto retributivo assuma valen-za essenziale nel momento dell’insinuazione al passivo fallimentare. È noto, infatti, come il curatore, ai sensi dell’art.37, co.1 del D.L. n.223/06, convertito nella L. n.248/06, sia sostituto d’imposta per le somme da questo erogate, pertanto al momento delle liquidazioni dei crediti ammessi dovrà applicare la corretta tassazione.A tal proposito, considerato come non tutti i titoli vantabili dai lavoratori scontino la medesima tassa-zione, sarà onere del creditore indicare analiti-camente nell’insinuazione al passivo la qualificazione del titolo insinuato, in modo da poter agevolare in via principale il controllo dell’effettiva sussistenza del credito vantato, e in via secondaria, ma non meno importante, la tassazione corretta da parte del curatore al momento del riparto.Nel caso si intenda insinuare un credito retributivo privilegiato ex art.2751-bis, senza indicazione pre-cisa della natura dello stesso, ovviamente il curatore dovrà operare le ritenute a titolo di acconto, indi-pendentemente dalla soggezione o meno del credito originario.Si pensi ad esempio al caso delle indennità di trasferta. Queste risultano sicuramente dovute qualora provate; il curatore correttamente informato potrà erogarle senza applicare tassazione alcuna. Qua-lora, però, sia costretto ad operare nell’igno-ranza dello specifico titolo retributivo insinuato, andrà a corrispondere somme, originariamente esenti, applicando comunque l’aliquota Irpef marginale.Sempre con riferimento ai crediti retributivi, deve necessariamente trattarsi la vexata questio circa l’im-porto da indicare quale credito. Spesso, infatti, i lavoratori considerano il proprio credito identifican-dolo nel valore netto desumibile dal cedolino paga. È risaputo, però, in linea con quanto sostenuto nelle righe che precedono circa il sostituto d’imposta, che il curatore dovrà tassare quanto erogato

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secondo il principio di cassa95, pertanto potrà verificarsi il caso ove la somma insinuata al netto verrà nuovamente tassata, provocando una deminutio a dispetto del credito vantabile.

Quale somma dovrà quindi prendersi a riferimento per la corretta individuazione del credito da insi-nuare?

Su questo punto divergono due teorie: 1. una tendente alla proposizione dell’imponibile fiscale;2. una alla proposizione dell’imponibile previden-ziale.

1.Teoriadell’imponibilefiscaleÈ la più semplice deduzione che si possa proporre. Il richiamo al criterio di cassa assiste l’obbligazione fiscale, mentre il richiamo di competenza assiste l’obbligazione previdenziale. Pertanto l’obbligo previ-denziale deve considerarsi già assolto da parte del dipendente, posto l’onere del sostituto di trattenere la parte contributiva e versarla al momento della corresponsione della retribuzione. L’obbligo fisca-le, invece, sorge solo qualora la retribuzione venga corrisposta indipendentemente dalla maturazione della stessa, ne deriva che le somme insinuate, quindi non liquidate, debbano considerarsi ancora da tassare.

2. Teoria dell’imponibile previdenzialeDi contro non si può negare l’esistenza dell’art.19, L. n.218/52, votato all’impossibilità di operare le ritenute previdenziali a carico del lavoratore oltre la scadenza del primo versamento contributivo utile. Questa previsione datata, ma tutt’ora in vigore, unitamente al principio dell’irriducibilità della retribu-zione96, assiste una tesi che incorpora un notevole favor per il lavoratore, che conferma come la vera retribuzione maturata sia proprio quella contrattuale (da intendersi nella più ampia accezione di con-tratto collettivo o individuale), cioè la retribuzione che il lavoratore deve ricevere non tanto nel rispetto dell’art.36 della Costituzione, ma in virtù di quanto contrattato individualmente con il datore.Seguendo questa seconda tesi la trattenuta sulla retribuzione del dipendente può effettuarsi sola-men-te al momento della maturazione del credito e non successivamente. Ne deriva che il lavoratore con-serva comunque il diritto a insinuarsi per l’intera retribuzione, mentre il datore non potrà più operare alcuna trattenuta previdenziale, essendo oramai decorso il periodo di maturazione97.

2. TrattamentodiFineRapporto

Questo credito rappresenta la più articolata serie di ipotesi satisfattive, legate alle diverse gestioni in cui esso è detenuto. Ricordiamo infatti che, a partire dal 1° gennaio 2007, le quote maturate a titolo di Tfr a seconda del requisito occupazionale o delle scelte (anche tacite) dei lavoratori possono detenersi presso l’azienda nel Fondo Trattamento di fine rapporto o nel Fondo di Tesoreria, oppure presso i diver-si fondi di previdenza complementare. Quest’ultima parte verrà trattata singolarmente: concentriamo quindi l’attenzione sugli aspetti operativi e quindi pratici legati al trattamento dei crediti da Tfr accan-tonato in azienda.

95 In realtà per le somme concorrenti al reddito da lavoro dipendente o assimilato dovrà adottarsi il criterio di cassa allargato, nel rispetto dell’art.51 del Tuir.96 Principio più volte ribadito in giurisprudenza di merito e sancito dalla Cassazione n.12964/10 e n.19790/11.97 Chiaramente il ritardo nella corresponsione della retribuzione determina un doppio onere a carico del datore di lavoro, in quanto al mo-mento della maturazione del credito retributivo dovrà comunque operare il versamento dell’intera posta contributiva, quota proprio carico e quota carico dipendente, mentre quando erogherà materialmente la retribuzione sarà comunque costretto a pagare l’intera retribuzione lorda. Di fatto un’azienda in bonis che eroga una retribuzione oltre i termini di versamento dei contributi liquiderà due volte la quota, 9,19 o 9,49, una volta all’Inps e una volta al dipendente.

Procedure concorsuali: le regole per il recupero dei crediti retributivi

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Non sorge alcun problema nel caso di Tfr richiesto pienamente corrispondente al dovuto che, dopo accurati controlli in modo particolare circa rivalutazioni, tassazioni applicate ed eventuali antici-pazioni intervenute nel corso del rapporto ex art.2120 c.c., co.6 ss., potrà essere ammesso al passivo e liquida-to in sede di riparto, quindi rivalutato e tassato nel preciso istante in cui la disponibilità della procedura si manifesta nel pagamento totale o parziale del credito. Nel caso di Tfr versato alla Tesoreria98, l’azienda per il medesimo dipendente potrebbe garantire due diverse poste: • la parte di Tfr maturato ante 1° gennaio 2007 conservato in azienda; • la parte maturata post 1° gennaio 2007 conservata presso la tesoreria. In realtà questa divisione non tange il dipendente, che mantiene il diritto di vedersi corrispondere un’unica somma totale direttamente dall’azienda. In caso di azienda fallita, però, la questione appare un po’ più complessa, in quanto il curatore potrebbe non essere in grado di pagare eventuali somme ammesse a titolo di Tfr in tesoreria, in quanto dovrebbe operare un conguaglio contributivo che, in caso di azienda cessata, non risulta possibile.A questo punto le soluzioni possibili sono diverse; alcune di esse, pur discutibili sotto il mero profilo giuridico, sono state adottate dall’Inps e rese note per il tramite di precisi documenti di prassi.L’Istituto ritiene infatti come il credito per Tfr alla tesoreria debba decretarsi inammissibile, ma nel perseguire questa convinzione propone una solu-zione applicativa anche al caso concreto in cui tale credito risulti comunque ammesso. Il combinato delle note Inps, messaggio n.5859/08 e n.2057/12, prospetta le seguenti soluzioni applicative:

Datore di lavoro che ha conguagliato quote di Tfr al Fondo di Tesoreria, senza poi adempiere alla liqui-dazione del Tfr al lavoratore cessato:1. se il Tfr è già stato ammesso al passivo anche per la quota di competenza del Fondo di Tesoreria

sarà il Fondo di Garanzia a liquidare il totale importo, quindi è verso quest’ultimo che il lavoratore agirà per il recupero del credito;

2. se il Tfr non è già stato ammesso per la quota a carico del Fondo di Tesoreria sarà proprio quest’ul-timo fondo, previo accertamento del diritto anche in via ispettiva, a liquidare le somme di propria competenza, salvo poi insinuarsi al passivo per il recupero datore di lavoro che non ha conguagliato quote di Tfr al Fondo di Tesoreria e non ha adempiuto alla liquidazione del Tfr al lavoratore cessato:

3. se il Tfr è già stato ammesso al passivo anche per la quota di competenza del Fondo di Tesoreria sarà il Fondo di Garanzia a liquidare il totale importo e a procedere poi alla surroga presso il Fondo di Tesoreria per la quota di competenza di questo;

4. se il Tfr non è già stato ammesso per la quota a carico del Tesoreria sarà proprio quest’ultimo fon-do, previo accertamento del diritto anche in via ispettiva, a liquidare le somme di propria compe-tenza, senza però insinuarsi al passivo per il recupero.

Ad avviso di chi scrive non esiste comunque alcun divieto ad ammettere sempre in toto il trattamento di fine rapporto, considerato come il fallimento, alla pari di qualsiasi altro datore di lavoro, risulti obbli-gato a liquidare, nel limite delle disponibilità, tutto il Tfr maturato dal lavoratore in corso di rapporto. La questione circa l’impossibilità di conguagliare le somme Tfr con i contributi, infatti, non investe certo la totalità dei casi, si pensi ad esempio all’esercizio provvisorio, pertanto risulta meramente eventuale. Alla luce di questa disamina il credito ammesso e non liquidato per incapienza della procedura, potrà sicuramente godere del diritto alla liquidazione a carico del Fondo di Garanzia.

98 Si ricorda che, in virtù della L. n.296/06, le aziende occupanti più di 50 dipendenti alla data del 31 dicembre 2006 o al termine dell’anno civile di costituzione, se successiva al 2006, devono obbligatoriamente versare con cadenza mensile al Fondo di Tesoreria presso l’Inps le quote di Tfr maturate dai propri dipendenti.

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Nel caso di incapienza, quindi, al lavoratore viene comunque garantito il credito vantabile a titolo di Tfr, liquidato direttamente dal Fondo di Garanzia Inps ex lege n.297/82. Il Fondo di Garanzia, alimen-tato obbligatoriamente da tutte le aziende, per una quota pari allo 0,20% dell’imponibile contributivo, eroga le somme accantonate a titolo di Tfr solamente nel limite di quanto risulta ammesso a tale titolo dallo stato passivo esecutivo. Ovviamente il Fondo si surrogherà al dipendente insinuandosi al passivo al medesimo privilegio del titolo anticipato.Un appunto di determinante importanza deve porsi proprio con riguardo al grado di privilegio delle somme insinuate a titolo di Tfr. È noto, infatti, che le stesse godano della massima tutela garantita dall’art.2751-bis.Da rilevare che, nel caso in cui il Tfr venga anticipato dall’Inps, la surroga conserva il medesimo pri-vilegio nel caso in cui venga disposta dal Fondo di Garanzia, diversamente nel caso in cui a pagare e quindi a surrogarsi sia il Fondo di Tesoreria. Si ricordi, infatti, che la L. n.296/06 ha inteso qualificare le somme da versarsi quali “contributi”, pertanto con questo titolo il Fondo di Tesoreria potrà insinuarsi nella consapevolezza che non si tratterà di contributi IVS, assistiti dal privilegio generale sui mobili di cui all’art.2778 c.c., n.1, bensì dai contributi assistiti dal più leggero privilegio dell’art.2778 c.c., n.8.

3. Tfr alla previdenza complementare

Questo particolare titolo deve trattarsi separata-mente rispetto al paragrafo dedicato al trattamento di fine rapporto, proprio per esaltarne le peculiarità che, conseguentemente, condizionano l’ammissione di questo credito. Per comprenderne natura e qualificazione giuridica, ma soprattutto per conoscere il soggetto legitti-mato alla richiesta, è necessario analizzare la disposizione istitutiva della previdenza complementare (D.Lgs. n.252/05).

Alla luce di quanto esposto, quali conseguenze provoca la scelta del dipendente verso l’una o l’altra forma di previdenza complementare?

Di fatto il lavoratore che dichiari, o dimentichi di esprimersi in senso contrario, di voler destinare il proprio Tfr alla previdenza complementare compie una scelta irrevocabile, che genera pertanto una variazione in relazione al tipo di credito del lavoratore che è legittimato a richiedere. Dal momento della destinazione, infatti, il soggetto non è più titolare di un diritto al Tfr, bensì a una prestazione: la prestazione previdenziale integrativa.La scelta, secondo la ratio del disposto, deve mirare ad assistere il lavoratore e garantire allo stesso un futuro più tranquillo grazie all’intervento del fondo integrativo.Alla luce di ciò, perdendo il diritto al credito e acquisendo quello alla prestazione, il lavoratore perde congiuntamente la legittimazione necessaria per ottenere dal datore di lavoro insolvente le quote di Tfr non versato alla previdenza complementare.Ovviamente, non avendo titolo utile per richiedere le somme costituenti la morosità del datore di lavo-ro, non potrà altresì insinuare al fondo lo specifico credito per queste quote. Su questo punto, illumi-nante risulta l’art.5 del D.Lgs. n.80/92:

“… il lavoratore ….. può richiedere al Fondo di garanzia di integrare presso la gestione di previdenza complementare interessata i contributi risultanti omessi…”.

Procedure concorsuali: le regole per il recupero dei crediti retributivi

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Sarà quindi il fondo il soggetto legittimato alla richiesta, dovendosi insinuare al passivo per le quote non versate dal datore di lavoro99.Nonostante questa disamina, emerge come sempre più spesso i lavoratori perseverino nella richiesta delle quote non versate al fondo, che vorrebbero pertanto ritrasformare da prestazione, che a questo punto ovviamente non potrebbe più erogarsi, a somma Tfr. A giustificare questa discutibile insisten-za, a detta degli istanti, ci sarebbe la mancata insi-nuazione da parte del fondo. Non può negarsi, infatti, che i fondi ritengono più oneroso rincorrere la soddisfazione dei propri cre-diti rispetto al vantaggio ottenibile con il recupero delle somme vantate, che peraltro genererebbero comun-que l’obbligo di fornire una prestazione previdenziale perpetua. Seguendo questa prassi i fondi cavalcano la propria distanza dai principi di automaticità delle prestazioni, ai quali non sono assoluta-mente soggetti, evidenziando l’insieme delle falle di questo sistema, che incrocia obblighi pubblici da relazionarsi a prestazioni private, creato da un legislatore che non ha minimamente previsto soluzioni utili ad assistere la patologia del rapporto.Ma la mancata insinuazione da parte del creditore legittimato generata da precise e condivisibili valu-tazioni di convenienza, può giustificare l’ammissione al passivo di un soggetto non legittimato? Chi scrive ritiene di poter negare questa lettura nel modo più assoluto.Nel caso di ammissione del credito a favore del lavoratore, come verrà pagato lo stesso? Come Tfr, pur nella consapevolezza che il lavoratore ha dichiarato di rinunciarvi? Il lavoratore potrà disporre di questa somma o dovrà obbligatoriamente destinare la stessa al fondo? Come può il curatore controllare che queste somme una volta erogate al dipendente vengano poi versate al fondo? Si assuma, inoltre, la dif-ficoltà scaturente da una successiva istanza di ammissione da parte del fondo una volta ammesso il me-desimo credito a favore del lavoratore. Come si potrebbe giustificare l’esclusione del vero legittimato?L’impossibilità di fornire una risposta attendibile a queste domande conferma la posizione di chi scrive, tesa a favorire la legittimazione del fondo.Ricordiamo che il curatore fallimentare è sostituto d’imposta pertanto obbligato, al momento del ri-parto, ad applicare la corretta tassazione alle somme erogate. Ovviamente, se dovesse liquidare al dipendente la somma a titolo di Tfr, non potrebbe esimersi dall’applicare i criteri di tassazione imposti dal DPR n.917/86, con relativo versamento dell’imposta con il codice tributo 1012; il lavoratore, per-tanto, ne ricaverebbe una somma netta da destinarsi al fondo, qualora si volesse sostenere l’obbligo in questo senso100. Risulta quindi evidente come il fondo subirà un concreto pregiudizio percorrendo questa soluzione, ricevendo una somma decurtata dalla trattenuta fiscale, mentre in virtù della propria ammissione avrebbe ottenuto l’intera quota Tfr maturata.L’insieme delle criticità esposte, nonché le argomen-tazioni poste a sostegno della tesi di questo auto-re, non lasciano comunque il lavoratore privo di tutele. In caso di inerzia del fondo, infatti, sarà verso questo che il dipendente dovrà attivarsi, essendo creditore solamente della prestazione e non del Tfr.

4. Proceduradiinsinuazionedeicreditiretributivi

La procedura d’insinuazione dei crediti da lavoro ricalca quella dei più comuni crediti da insinuarsi al fallimento, con la particolarità di risultare assistiti da un preciso privilegio ex art.2751-bis, n.1 (retribu-zioni dirette e indirette, somme connesse alla cessazione del rapporto).Il privilegio rappresenta la corsia preferenziale per imboccare la quale il lavoratore deve porre atten-zione alla redazione dell’istanza, che tra l’altro potrebbe anche compilare di suo pugno, nel rispetto dei criteri esposti fin qui. L’errata qualificazione delle somme, infatti, potrebbe rendere le stesse ammis-

99 In questo senso si vedano: Corte Appello di Bari, 3 giugno 2004; Tribunale di Milano 28 luglio 2006; Tribunale di Padova, 25 maggio 2012.100 Si ribadisce che per il curatore sarà impossibile sapere se realmente questa somma verrà versata al fondo.

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sibili, esponendole però a rischi di defalcazione o tassazione non congrua. Anche per questo l’assisten-za di un professionista alla redazione dell’istanza pare consigliabile.Il lavoratore è un creditore e, come tale, deve seguire le procedure necessarie per insinuarsi al passivo della procedura con quanto ne comporta in termini di: tempi, forma e contenuto della richiesta.Per quanto riguarda la tempistica le domande di ammissione al passivo devono essere presentate al-meno trenta giorni prima dell’adunanza di verifica, mentre i documenti possono depositarsi fino al giorno dell’udienza, in connessione con la facoltà di valutare il progetto passivo ed eventualmente contestarne il contenuto tramite il deposito di precise osservazioni.Esiste inoltre la possibilità di presentare domande tardive di ammissione al passivo, come previsto dalla lettura dell’art.101 L.F., oltre i trenta giorni precedenti l’udienza fissata per la verifica dell’attivo fino a un massimo di 12 mesi dal deposito del Decreto di esecutività101. Nel caso in cui vengano comunque presentate le istanze oltre i termini (c.d. supertardive) l’interessato dovrà provare che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile.Per quanto riguarda la forma non sono previsti specifici format, pur trattandosi di un ricorso; l’istanza deve sicuramente essere indirizzata al Tribunale fallimentare, con precisa specificazione della procedu-ra102 e riportare correttamente importi e natura dei crediti vantati con i relativi ordini di privilegio. A tale istanza dovranno poi allegarsi i documenti a sostegno dei titoli. Non esiste alcun elenco specifico della documentazione utile a garantire la certezza del credito, ma le prassi dei tribunali possono prevedere la specifica produzione di alcuni documenti. Si dovrà poi rilevare l’insieme dei dati identificativi del creditore e dei soggetti che ne hanno la rappresentanza in giudizio. I Tribunali fallimentari coinvolti da frequenti conte-stazioni circa i crediti da ammettersi, prassi diffusa in alcune zone del nostro Paese, richiedono una copiosa produzione documentale, mentre in altre sedi, ove le contestazioni rappresentano l’ecce-zione, la semplice annessione del LUL o documento equipol-lente viene considerata sufficiente a garantire la sostenibilità della pretesa.Ad ogni modo, per rendere un’idea di massima rispetto alla documentazione da allegarsi all’istanza, si elencano i seguenti documenti:• prospetti paga (preferibilmente copie conformi del LUL);• contratto di lavoro individuale;• contratto collettivo applicato con preciso riferimento della disciplina retributiva;• documentazione relativa ad eventuali azioni già attivate per il recupero delle somme dovute;• altri elementi utili a provare il rapporto di lavoro (stampa badge, copie libri presenza, stampe cro-

notachigrafi ecc);• eventuale giurisprudenza a sostegno del diritto a particolari titoli di credito vantati.

101 Questo termine è prorogabile a 18 mesi da parte del Tribunale in sede di sentenza di fallimento, ove si palesino particolari necessità.102 A mero titolo informativo preme sottolineare come la presentazione dell’istanza presso il tribunale ordinario, invece di quello fallimentare, provochi l’improcedibilità della domanda.

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SUL REATO PER MANCATO VERSAMENTO DELLE RITENUTE FISCALI: UNA RECENTE SENTENZA DI CASSAZIONE

a cura di Roberto Lucarini

Circa la tipologia di reato prevista dal nostro codice penale per mancato versamento di ritenute fiscali si rilevano interventi sia in dottrina che in giurisprudenza, di merito e di legittimità. Molti i profili analiz-zati. Di particolare interesse, una recentissima sentenza di Cassazione, la n.5905/14, attraverso l’analisi della quale sarà possibile valutare in profondità se, e come eventualmente, l’attuale crisi finanziaria, che sta sconvolgendo il nostro sistema produttivo, possa rilevare ai fini della sussistenza del reato ti-pizzato. Una pronuncia che si riscontra in un attuale filone giurisprudenziale, il quale si propone come parzialmente innovativo rispetto all’orientamento più tradizionale.

1. Gliobblighidelsostitutotraillecitoamministrativoepenale

Come noto, il nostro sistema tributario prevede per il datore di lavoro, ma si potrebbe anche dire per il committente nei rapporti extra subordinazione, uno specifico ruolo pubblicistico; quello del sostituto d’imposta.In tale “sostituzione” un soggetto, il datore appunto, si sostituisce all’effettivo inciso dal tributo, il la-voratore dipendente, effettuando su quest’ultimo una ritenuta a titolo d’acconto al momento della corresponsione della retribuzione103. Non una forma diretta di autoliquidazione dell’imposta, ma, al contrario, l’intervento di un terzo, appositamente designato nel ruolo di valorizzazione, trattenuta e versamento del tributo.Stante infatti la trattenuta effettuata, il sostituto viene poi investito dell’onere di provvedere al versa-mento del tributo entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui è effettivamente avvenuto il pagamento della retribuzione.Sempre sul sostituto l’ordinamento fiscale pone taluni adempimenti certificativi e dichiarativi stret-tamente correlati al suo precipuo ruolo. Egli dovrà infatti, entro il 28 febbraio dell’anno successivo, a mezzo del modello CUD, certificare al sostituito le ritenute ad egli effettuate104, mentre entro il termine del 31 luglio, sempre dell’anno seguente, dovrà presentare all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione dei sostituti d’imposta, meglio conosciuta come modello 770105.A presidio di tutto questo impianto normativo il vigente ordinamento italiano pone due distinte sanzio-ni: una di tipo amministrativo e un’altra d’ordine penale. Nella sua azione, infatti, il sostituto potrebbe incorrere in comportamenti non corretti tali da originare un illecito, qualificabile in una o entrambe le anzidette tipologie. Valutiamo, nel presente intervento, solo l’atto illecito dell’omesso versamento di ritenute, tralasciando, per ovvi motivi, le ipotesi di omessa o errata dichiarazione/certificazione.

103 Ex art.23, D.P.R. 29 settembre 1973, n.600.104 Ex art.4, co.6 ter e quater, D.P.R. 22 luglio 1998, n.322.105 Ex art.4, co.4 bis, D.P.R. n.322/98, cit..

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Sul piano amministrativo il riferimento si deve rivolgere all’art.13, D.Lgs. n.471/97106, dove si prevede una sanzione pari al 30% dell’importo non versato. L’oggetto, che viene custodito dall’appena citata norma, è l’interesse erariale al regolare versamento, su base mensile, delle ritenute effettuate dal so-stituto, sia a carico di lavoratori dipendenti che verso soggetti autonomi. Il solo mancato adempimento di tale incombenza, senza che sia indicata alcuna soglia di importo, attiva la sanzione pecuniaria ammi-nistrativa, salvo il possibile recupero, in tempi normativamente stabiliti, attuabile tramite l’istituto del ravvedimento operoso107.Assai diverso, e ben più composito, il presidio penale previsto ex art.10 bis D.Lgs. n.74/00108. Stante la maggiore rilevanza del provvedimento afflittivo è conseguenza logica che il comportamento attivante, rectius omissivo, sia decisamente più dannoso. Esso infatti, oltre le dimensioni stesse del quantum non versato, si compone di altri elementi rilevanti, meglio imprescindibili, della specifica tipizzazione delittuosa109.Vediamo, quindi, come si esprime la norma e quali sono gli elementi qualificati la fattispecie dell’ille-cito:“È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’impo-sta”.Stante il dettato normativo, possiamo quindi indicare gli elementi costituenti la fattispecie, i quali de-vono peraltro essere tutti contemporaneamente presenti ai fini della qualificazione penale dell’illecito:• mancato versamento di ritenute effettuate per un ammontare superiore a € 50.000,00, per ciascun

periodo d’imposta;• rilascio, da parte del sostituto ai sostituiti, di certificazione di tali ritenute;• condotta omissiva, di versamento, che si protrae oltre la data di scadenza della dichiarazione dei

sostituti d’imposta (mod. 770);• sussistenza di dolo, anche generico, in quanto trattasi di delitto.Per inciso si noti che, oltre alla sanzione penale prevista dalla norma in esame, a tale reato risulta appli-cabile anche la disposizione, in materia di confisca dei beni, ex art.322 ter del codice penale110.Due interessi protetti apparentemente coincidenti che, come evidente, si muovono però su due piani ben distinti per quanto concerne la rilevanza stessa dell’illecito omissivo. Tale commistione di interessi protetti, e conseguenti norme tutelatorie, aveva portato verso un dibattito circa l’eventuale attuazione del principio di specialità tra le due distinte normative111. Tale questione pare esser stata superata dalla sentenza di Cassazione penale, Sezioni Unite, n.37425/13, con la quale si è al contrario identificato un principio di progressività esistente tra la sanzione penale e quella amministrativa, progressività che si basa, mi si passi il gioco di parole, sul progressivo impatto sull’interesse pubblico che il comportamento illecito raggiunge. Una cosa, infatti, è la singola omissione mensile di versamento, altra il prolungarsi di simili omissioni per un lungo periodo, per una somma totale di una qualche rilevanza e a fronte del rilascio di una specifica certificazione.

106 D.Lgs. 18 dicembre 1997, n.471.107 Nelle sue diverse versioni: brevissimo, breve e lungo.108 D.Lgs. 10 marzo 2000, n.74.109 Si noti che, ab origine, il reato specifico era previsto, nel nostro ordinamento, dalla L. n.516/82 (c.d. manette agli evasori), innovata, con abolizione del reato stesso, tramite il già citato D.Lgs n.74/00. La fattispecie delittuosa, tuttavia, veniva reintegrata, con l’introduzione dell’art.10 bis all’interno di tale ultimo corpus normativo, a mezzo della Legge Finanziaria 2005 (ex art.1, co.414, L. n.311/04), con decorrenza dal 1° gennaio 2005.110 Ciò in funzione di quanto espresso ex art.1, co.143, primo periodo, L. n.244/07 (Legge Finanziaria 2008), con decorrenza dal 1° gennaio 2008.111 Tale principio, enunciato ex art.9, co.1, L. n.689/81, e ribadito ex art.19, co.1, D.Lgs. n.74/00, venne commentato dal Ministero delle Finan-ze con propria circ. n.154/00, punto 5. In tale provvedimento amministrativo lo scrivente faceva riferimento a una presunta specialità della norma sanzionatoria penale, che quindi andava applicata, a scapito di quella amministrativa.

Sul reato per mancato versamento delle ritenute fiscali: una recente sentenza di cassazione

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2. Ilproblemadellacrisifinanziariaelasuarilevanzasull’aspettopenale

Non è poi così assurdo chiedersi, specie in considerazione dei tempi difficili che stiamo vivendo, se una sussistente crisi finanziaria, gravante sul sostituto, possa in qualche modo agire come esimente a fronte dell’ipotesi di reato prospettata. In poche parole: regge sempre l’ipotesi di reato se il sostituto si trova nell’impossibilità effettiva ad adempiere per causa da lui non direttamente dipendente?Il tema non è facile. Basti pensare che se da un lato appellarsi a una crisi finanziaria porterebbe a giustificare, e quindi eludere, comportamenti altrimenti colpiti da pesante sanzione, dall’altro risulta talora non sempre facile stabilire se e quanta parte abbia avuto il soggetto nella situazione di crisi che lo coinvolge, magari anche grazie a propri comportamenti avventati, in bilico tra ipotesi dolosa o colposa.La tesi che propone questa domanda si basa, essenzialmente, sulla questione legata alla c.d. causa di forza maggiore, seguendo il principio secondo cui ad impossibilia nemo tenetur.Ma vediamo come si confrontano, nello specifico, le due teorie.Da un lato, da parte di chi si pronuncia per l’insussistenza della fattispecie delittuosa, si pone l’accento proprio sulla presenza di un fatto causato da forza maggiore - ex art.45 codice penale - per indicare come, nel caso, venga a mancare la sussistenza del dolo, pur rilevandosi magari un atteggiamento col-poso112. In linea generale, infatti, un fatto imprevisto e imprevedibile non può influenzare penalmente la condotta di un soggetto che ne fosse completamente estraneo. Un esempio, riscontrato nella prassi giurisprudenziale, riguarda il legame tra il comportamento omissivo e un evento esterno imprevedibile, dove il mancato versamento delle ritenute viene funzionalmente collegato, quale conseguenza diretta, di uno o più mancati pagamenti, all’impresa sostituto d’imposta, da parte della Pubblica Amministra-zione.Al contrario, da parte di coloro i quali sostengono la tesi contraria, si opta per un ragionamento più composito. Si valuta anzitutto il fatto che le somme ritenute a terzi, stante l’obbligo normativo, sono di fatto soggette a quello che viene individuato come un vincolo di destinazione. Il sostituto, infatti, trattiene determinati importi, a terze persone, ma non ha libera disponibilità delle stesse, dovendole invece indirizzare al suo destinatario legale, ovvero l’Erario. Da ciò deriva, quindi, la necessità del loro accantonamento. Nel caso della fattispecie penale, però, tali somme sono state stornate altrove e tale decisione, oltreché illecita, appare consapevole e volontaria113. Basti pensare al fatto che, molto spesso, l’ipotesi delittuosa deriva da una serie di comportamenti omissivi periodici posti in atto, dal sostituto, mensilmente. Si tratterebbe quindi, secondo tale tesi, di un’indebita appropriazione di somme altrui.Da considerare, inoltre, che l’impossibilità al regolare versamento potrebbe qualificarsi anche in due distinte tipologie, che in parte potrebbero influenzare il giudizio circa la validità di una o dell’altra tesi. Si potrebbe infatti assistere a una sorta di impossibilità assoluta, laddove il soggetto che agisce quale sostituto, nel periodo, non opera alcun pagamento (si pensi al mancato pagamento delle retribuzioni, o di fornitori ecc); ovvero a un’impossibilità relativa, allorquando il sostituto non operi il versamento delle ritenute, pur in presenza di alcuni pagamenti diversi effettuati nel periodo (è il caso ricorrente, nella prassi, dell’avvenuto pagamento delle retribuzioni, ma non delle conseguenti ritenute).

112 Art.45 codice penale: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o per forza maggiore”.113 “I concetti di coscienza e volontarietà vanno peraltro adattati alla struttura del reato omissivo, che si integra non con un’“azione”, ma con una “mancata condotta attiva”"; Il Sole 24 Ore, Speciale Reati Tributari, allegato al quotidiano, 5 marzo 2014.

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3. La giurisprudenza

Sul tema, negli anni, si deve evidenziare come la giurisprudenza abbia ritenuto in linea di massima non rilevante l’eventuale stato di crisi del sostituto d’imposta, ciò al fine della valutazione dell’elemento soggettivo del reato.Emerge infatti un quadro generale che può essere sintetizzato affermando che la fattispecie delittuosa in esame emerge anche ove si accerti un successivo stato di insolvenza, ovvero di crisi; ciò in quanto il sostituto è chiamato a rispettare il proprio onere di ripartire le risorse di cui dispone, al momento del pagamento delle retribuzioni, in modo tale da poter poi adempiere al versamento di quanto ritenuto114.Sul punto, di estremo interesse, appare la Sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 28 marzo 2013, n.37425, là dove, oltre a diverse questioni affrontate, si ribadisce la sussistenza del dolo gene-rico, valutato come cosciente comportamento di violazione della norma penale, posto in essere con il duplice adempimento sia della certificazione delle ritenute effettuate, ma non versate, che della pre-sentazione della dichiarazione annuale dei sostituti d’imposta.Si rilevano, infine, in taluni giudizi di merito, alcune pronunce che, invero, si muovono su un piano diverso. In esse, infatti, si valuta una causa imprevedibile postasi di fronte al sostituto al momento consumativo del reato, ovvero alla data di presentazione della dichiarazione annuale dei sostituti d’im-posta115.Anche un’altra recente sentenza, la Cassazione n.3705/14, sia pur relativa al tema del mancato versa-mento delle ritenute previdenziali, si è espressa nel senso di ritenere irrilevante, ai fini della sussistenza del dolo generico e quindi della fattispecie delittuosa, lo stato di crisi di liquidità del datore di lavoro.Da tutto questo è bene trarre, quindi, un’importante considerazione, ancor prima di valutare, nello specifico, il nuovo tema interpretativo. Pare che niente, sul tema di queste note, possa dirsi definito e definitivo nell’attuale panorama giurisprudenziale; anzi, sembra proprio che qualcosa, sull’argomento dell’elemento soggettivo dell’illecito, si stia muovendo in rotta di collisione con l’interpretazione mag-giormente condivisa.La giurisprudenza, come detto, si è posta nel tempo a valutare quale causa irrilevante lo stato di crisi aziendale. Sembra tuttavia emergere, in periodi recenti, un’altra visione più possibilista, circa il ruolo scriminante che la crisi può andare a rivestire nel caso di sussistenza di una forza maggiore. Ciò viene espresso dalla sentenza che di seguito andremo ad esaminare, come anche, ad esempio, da un altro recente pronunciamento della Suprema Corte, la sentenza n.2614/14, sul tema del reato (art.10 ter, D.Lgs. n.74/00) di omesso versamento Iva.

4. La recente sentenza della Corte di Cassazione

Veniamo adesso ad individuare come si è recentemente espressa la Suprema Corte, con sentenza n.5905 del 9 ottobre 2013, depositata il 7 febbraio 2014, in relazione a una fattispecie omissiva di ver-samento di ritenute fiscali certificate. La sentenza è interessante perché si sofferma, oltre che su altri punti, sul tema della forza maggiore e, dunque, della sussistenza del dolo, analizzando il tutto con un testo molto puntuale e carico di riferimenti.Essa, tra l’altro, è stata seguita da un altro recentissimo pronunciamento della Cassazione, sentenza n.9264/14116, il quale, sia pur valutando una diversa situazione fattuale, si pone sulla scia di quanto indicato, come vedremo, nella sentenza in esame; ciò si rileva dall’affermazione dei giudici secondo

114 Ex plurimis: Cass. sent n.11694/99; n.4694/94, n.38269/07 e ordinanza n.33945/01.115 Quale esempio: Trib. Milano 7 gennaio 2013, in Rivista Diritto penale Contemporaneo, A. Valsecchi, “Omesso versamento ritenute certifica-te”; sul caso di un mancato versamento di ritenute a causa di mancanza di liquidità conseguente a imprevedibili mancati pagamenti da parte della pubblica amministrazione.116 Corte di Cassazione, Sent. 6 febbraio 2014, n.9264, depositata il 26 febbraio 2014.

Sul reato per mancato versamento delle ritenute fiscali: una recente sentenza di cassazione

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cui sarebbe possibile riscontrare, in certe situazioni specifiche, un’“assenza di nesso eziologico” tra la condotta del sostituto d’imposta e la commissione del reato.Il caso, posto all’attenzione degli ermellini, fu trattato in primo grado dal Tribunale di Lucca e in seconde cure dalla Corte d’Appello di Firenze117; all’imputato, legale rappresentante di una società di capitali cui veniva contestato il mancato versamento di ritenute fiscali certificate per € 85.451,00, fu comminata, in primo grado, la pena di 4 mesi di reclusione, ex art.10 bis D.Lgs. n.74/00, mentre in appello la pena stessa fu ridotta a un mese di arresto.A fronte di tale situazione l’imputato proponeva ricorso in Cassazione per vedersi annullata la pena comminata, sul presupposto – tra l’altro – della mancanza di dolo per causa di forza maggiore118. Soste-neva infatti l’appellante, la violazione degli artt.10 bis, D.Lgs. n.74/00, e 45 codice penale, visto che la corte territoriale aveva di fatto ritenuto irrilevante la mancata disponibilità economica dell’imputato. Un difetto, quindi, nella sussistenza dell’elemento soggettivo, il quale deve comunque essere presente nella fattispecie delittuosa.La Cassazione valuta, dapprima, l’insieme di quanto appurato durante l’intero procedimento penale, nei due gradi di giudizio, dove è emersa, da un lato, una “consapevole condotta omissiva”, mentre, dall’altro, l’imputato ha confessato il fatto dichiarando che “preferì non lasciare i propri dipendenti senza stipendio, ma non fu in grado di pagare anche le ritenute”.I giudici analizzano, quindi, il concetto di causa di forza maggiore, scrivendo testualmente: “La vis major è dunque causa esterna all’agente che sostituisce la serie causale a lui ascrivibile, inne-scandone una diversa e completamente autonoma, la quale non si contamina in alcun modo con quella sortita dalla condotta dell’agente stesso. Infatti, per sussistere come vis major, occorre che l’elemento causante sia la causa determinante dell’evento - che, in suo difetto, oggettivamente sarebbe impronta-to di antigiuridicità - non rilevando, invece, se qualificabile solo come causa concorrente”119.Si evince, perciò, come l’eventuale presenza di una causa di forza maggiore debba verificarsi appurando il suo assoluto controllo sulla situazione fattuale, il che porterebbe di conseguenza ad escludere il dolo nell’omissione posta in essere dal soggetto agente. Con essa, inoltre, andrebbe esclusa una qualsiasi previsione/prevedibilità degli eventi da parte dell’imputato; se, infatti, quest’ultimo avesse sentore degli accadimenti, potendovi in qualche modo porre rimedio, verrebbe meno l’esimente specifica120.Su questo punto emerge, e diverrà determinante come vedremo ai fini del giudizio finale, una frase tratta dalla sentenza della corte territoriale di secondo grado, secondo cui “che pagate le retribuzioni nette l’appellante non abbia avuto disponibilità per i versamenti delle ritenute è cosa priva di rilievo”. Con questa affermazione, infatti, i giudici d’appello eliminano a priori, e senza alcun esame specifico circa il nesso eziologico tra condotta e reato, la presenza di una causa di forza maggiore.Ciò viene contestato dalla Suprema Corte, la quale rileva che non può dirsi escluso, in assoluto, che un’omissione derivi da una causa di forza maggiore, tanto che un’indisponibilità di denaro, in linea teorica, ben potrebbe essere generata da una causa esterna imprevista e imprevedibile, ben distinta dalla condotta gestionale del sostituto. Rilevano infatti i giudici come la presenza di una forza maggiore “non impedisce che, in casi concreti, a tale elemento oggettivo del reato non corrisponda l’elemento soggettivo della coscienza e volontà di omissione dei versamenti”.Viene poi focalizzato l’esame sul punto riguardante l’assenza dell’elemento soggettivo, ovvero il dolo generico nel caso in esame. Su tale punto, prendendo spunto da autorevole giurisprudenza121, i giudici

117 Trib. di Lucca, sent. 16 settembre 2009; Corte d’Appello di Firenze, sent. 22 ottobre 2010.118 In effetti, come primo motivo d’impugnazione veniva menzionato il problema temporale dell’entrata in vigore della variazione apportata, con l’art.10 bis D.Lgs. n.74/00, stante il fatto che il comportamento omissivo fu effettuato nel 2004 e protratto al 2005. Tale punto, sia pur respinto dalla Cassazione, non interessa le presenti note.119 Il concetto di “vis major” si rifà al tradizionale concetto di forza maggiore espresso come “vis major cui resisti non potest”.120 La Cassazione, con sent. 5 aprile 2013, n.18402, definisce infatti la causa di forza maggiore come un evento “tale da rescindere il legale psicologico tra azione ed evento”.121 Cass., SS. UU., 28 marzo 2013, n.37425.

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fanno subito notare come vi sia distinzione tra norma tributaria e penale. La prima presuppone un’o-missione mensile, mentre la seconda estende l’orizzonte temporale su base annua. Questo aspetto fa quindi riflettere sul momento consumativo del reato; esso infatti viene a manifestarsi al momento della scadenza del periodo lungo ‒ data di presentazione della dichiarazione dei sostituti d’imposta ‒ previ-sto dalla norma applicabile. Non rileva, quindi, una condotta omissiva circa il mancato accantonamento mensile delle somme ri-tenute, ma dovrà verificarsi l’eventuale presenza di una crisi di liquidità al momento della scadenza del termine lungo; su tale punto, tuttavia, sarà onere dell’imputato dimostrare, in maniera adeguata, l’esistenza di una causa di forza maggiore che elimini in toto la scelta, consapevole, del sostituto di non far fronte al proprio debito verso l’Erario.Questo è il punto della questione; l’imputato avrà quindi l’onere di dimostrare, allegando documenti a prova dei fatti, la sussistenza di una causa di forza maggiore, come sopra definita, al momento della consumazione effettiva del reato ascrittogli122.Torna così in gioco la frase, sopra già riportata, con la quale la Corte territoriale, in maniera peraltro un po’ sibillina, ha escluso la rilevanza della crisi di liquidità ai fini della sussistenza della forza maggio-re. La Suprema Corte quindi contesta, al giudizio d’appello, come “l’impugnata sentenza non indica realmente come e perché ritenga sussistente l’elemento soggettivo (dolo generico, nda) in tal modo, prima ancora che in un vizio motivazionale, incorrendo in violazione di legge penale”; dunque cassa la sentenza di secondo grado con rinvio ad altra sezione di Corte d’Appello.

5. Conclusione

La sentenza appena esaminata appare interessante. I giudici, anzitutto, rilevano come non si possa escludere, a priori, l’esistenza di una causa di forza maggiore, dovendosi invece investigare il caso con-creto.Fanno poi notare, correttamente, lo scarto esistente tra la normativa tributaria e penale, ponendo l’accento sull’aspetto temporale. Nessuna rilevanza penale, d’altronde, può essere ascritta a un com-portamento mensile di breve periodo, valevole semmai ai fini dell’applicabilità della sanzione ammini-strativa. Il momento consumativo del reato, infatti, cade allo spirare del termine lungo, collocato dalla norma penale al momento della presentazione della dichiarazione annuale dei sostituti d’imposta. E nessun rilievo viene dato al mancato accantonamento periodico delle somme ritenute, dovendosi il sostituto, sul precetto penale, organizzare semmai su base annua.Emerge però, a scapito del sostituto, un onere di non poco conto, forse talora insuperabile. Egli infatti ‒ ai fini della dimostrazione di carenza dell’elemento soggettivo, quindi ad esclusione del dolo generico ‒ deve allegare agli atti processuali documenti che illustrino compiutamente i fatti accaduti, ossia che evidenzino, senza ombra di dubbio, la sussistenza di una forza maggiore ‒ emergente anche come crisi di liquidità ‒ con ineludibile caratteristica di imprevedibilità da parte del sostituto stesso. Solo convin-cendo il giudice di tale stato di fatto l’imputato potrà far emergere l’insussistenza del dolo e, quindi, sterilizzare l’azione della sanzione penale a suo carico.Come visto, pertanto, il quadro giurisprudenziale appare assai magmatico. A fronte di un orientamento principale, di tipo negazionista, emerge anche una tesi più possibilista, sia pure, quest’ultima, rigorosa-mente ancorata a un rilevante e puntuale quadro probatorio a carico del sostituto.

122 Sul punto rileva la Cassazione come sia difficoltoso dimostrare un elemento negativo (assenza di dolo) “se non è convertibile in specifici elementi positivi da cui desumerlo”, assumendo nel caso, tale onere, le fattezze di una probatio diabolica.

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NUOVE PRONUNCE SU OMESSO VERSAMENTO DI RITENUTE PREVIDENZIALI E FISCALI

a cura di Fabrizio Nativi

Con le recenti sentenze della Cassazione penale, Sez. III, 19 maggio 2014, n.20496 e 12 maggio 2014 n.19454, la Suprema Corte torna ad occuparsi della configurabilità del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e delle ritenute fiscali, con particolare riferimento alla valenza probatoria degli adempimenti amministrativi in capo al datore di lavoro. Il tema è particolarmente delicato, in rela-zione alla circostanza che i flussi informatici rivolti agli Enti previdenziali sono curati talvolta in assenza dell’effettiva conoscenza che le retribuzioni siano state o meno effettivamente corrisposte ai lavoratori.

1. Il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali

La fattispecie di reato è prevista dall’art.2, D.L. n.463/83, conv. in L. n.638/83. La disposizione punisce il datore di lavoro che abbia operato sulle retribuzioni le ritenute previdenziali previste dalla legge a carico del lavoratore occupato alle sue dipendenze, senza procedere al corrispondente versamento all’Istituto previdenziale. Come noto, l’art.1, co.1172, L. n.296/06, ha previsto che l’art.2, D.L. n.463/83, si applichi anche alle ritenute operate sulle retribuzioni corrisposte agli operai agricoli.Più recentemente, l’art.41, L. n.183/10, ha introdotto il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali operate dal committente sui compensi corrisposti ai lavoratori a progetto e sui titolari di collaborazioni coordinate e continuative, da versare alla Gestione separata Inps, ai sensi dell’art.2, co.26, L. n.335/95. La disposizione, prescindendo dalle classificazioni operate dall’art.61, D.Lgs. n.276/03, si applica ai:• committenti dei collaboratori a progetto;• committenti dei collaboratori coordinati e continuativi, senza obbligo di progetto;• committenti delle mini co.co.co.;mentre non si applica per le prestazioni di lavoro autonomo occasionale, né si configura nell’ambito dei contratti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro ai sensi dell’art.2549 c.c.. Rispetto a tali tipologie contrattuali, l’eventuale mancato versamento di ritenute operate sarebbe, quindi, da ricondurre al reato di appropriazione indebita.Si tratta di un reato di natura istantanea123. Conseguentemente, ai fini del calcolo del termine di prescrizione, deve aversi riguardo alla data utile per effettuare il versamento all’Ente previdenziale. Il procedimento di contestazione della violazione è tipizzato dalla norma. L’art.2, co.1-bis e 1-ter, D.L. n.463/83, a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n.211/94, prevede che, in caso di omesso versamento delle ritenute previdenziali, il datore di lavoro non sia punibile se provvede al versamento entro tre mesi dalla contestazione o notifica dell’avvenuto accertamento della violazione. La notizia di

* Le considerazioni contenute nel presente intervento sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza 123 Vedi Cass. pen., Sez. III, n.2645/04.

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reato deve essere trasmessa decorsi i tre mesi dall’avvenuta contestazione o notifica, sia che le somme trattenute siano state versate sia che il termine di tre mesi sia decorso inutilmente. La norma prevede, quindi, una causa di non punibilità della violazione che si realizza con il rispetto dell’invito a versare le ritenute previdenziali ricevuto da un organo di vigilanza ovvero dello stesso Istituto previdenziale. In proposito, la Suprema Corte124 ha chiarito che la contestazione dell’omesso versamento può prove-nire dall’Inps ovvero da organi di polizia giudiziaria, come gli ispettori del lavoro.

2. Ilpagamentoeffettivodelleretribuzioni

I più forti contrasti giurisprudenziali si sono registrati in passato in ordine alla sussistenza del reato in caso di mancata corresponsione delle retribuzioni. Come noto, sul punto, si sono registrati orientamenti diametralmente contrapposti. Secondo alcune decisioni, infatti, il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assicura-tive era configurabile a carico del datore di lavoro, anche se questi non avesse pagato le retribuzioni ai suoi dipendenti125. Secondo altre decisioni, ove la retribuzione non fosse stata effettivamente corrisposta il delitto non sarebbe stato configurabile126.Il contrasto è stato infine risolto dalla sentenza Cass. pen., S.U., 26 giugno 2003, n.27641, secondo la quale deve essere accolta la tesi, fino ad allora minoritaria, sulla base del tenore letterale dell’art.2, co.1, D.L. n.463/84: “Le ritenute previdenziali e assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, ivi comprese le trattenute effettuate ai sensi degli articoli 20, 21 e 22 della legge 30 aprile 1969, numero 153, debbono essere comunque versate, e non possono essere portate a conguaglio con le somme anticipate, nelle forme e nei termini di legge, dal datore di lavoro ai lavoratori per conto delle gestioni previdenziali e assistenziali, e regolarmente denunciate alle gestioni stesse, tranne che a segui-to del conguaglio tra gli importi contributivi a carico del datore di lavoro e le somme anticipate risulti un saldo attivo a favore del datore di lavoro”.Secondo la Suprema Corte difficilmente può configurarsi una “ritenuta” senza l’effettivo pagamento della somma dovuta al creditore. Il termine “ritenute” è seguito da quello “operate”, che nella lingua italiana designa il risultato di un’azione o di un’attività. Inoltre, se per l’obbligo contributivo diretto, in relazione alla quota contributiva a carico del datore di lavoro, non è prevista alcuna sanzione penale, mentre per l’obbligo contributivo indiretto, relativo alla quota in carico del lavoratore, per la quale il datore agisce come “sostituto”, è ancora configurato un delitto punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa sino a € 1.032,91 (art.2, co.1-bis, D.L. n.463/84), è proprio perché il legislatore ha inteso punire il più grave fatto commissivo dell’appropriazione indebita da parte del datore di lavoro di som-me prelevate dalla retribuzione dei lavoratori dipendenti. Quindi, l’obbligo di versare le ritenute nasce solo al momento dell’effettiva corresponsione della retri-buzione, sulla quale le ritenute stesse debbono essere operate.Non è quindi assolutamente un caso se il mancato versamento delle ritenute previdenziali e assicu-rative è punito con la medesima pena edittale prevista dall’art.646 c.p. per il reato di appropriazione indebita.

124 Vedi Cass. pen., Sez. III, 21 febbraio 2003, n.8564.125 Cass. pen., Sez. III, 8.3.94; Cass. pen., Sez. III, 16.11.94; Cass. pen., Sez. III, 14.10.97; Cass. pen., Sez. III, 17.12.97; Cass. pen., Sez. III, 14.7.98; Cass. pen., Sez. III, 1.10.98; Cass. pen., Sez. III, 29.10.98, P.M; Cass. pen., Sez. III, 21.12.98; Cass. pen., Sez. III, 16.7.99; Cass. pen., Sez. III, 23.10.01; Cass. pen., Sez. III, 28.3.02; Cass. pen., Sez. III, 19.4.02; Cass. pen., Sez. III, 18.12.02; Cass. pen., Sez. III, 30.1.98; Cass. pen., Sez. III, 5.7.01; Cass. pen., Sez. III, 27.11.01; Cass, pen., Sez. III, 25.10.02; Cass. pen., Sez. III, 13.2.03.126 Cass. pen., Sez. III, 18.4.96; Cass. pen., Sez. III, 7.5.97; Cass. pen., Sez. III, 30.10.97; Cass. pen., Sez. III, 24.5.01.

Nuove pronunce su omesso versamento di ritenute previdenziali e fiscali

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3. La formazione della prova

In questo quadro interpretativo si inserisce la recente sentenza Cass. pen., Sez. III, 19 maggio 2014, n.20496. La Suprema Corte, con la citata pronuncia, ha valutato che la prova dell’effettivo omesso versamento delle ritenute si sia compiutamente formata attraverso la sola acquisizione degli attestati dei modelli DM10 presentati dall’imputato in via telematica all’Inps, dai quali risultava che egli aveva dichiarato, per tutti i periodi in questione, di avere trattenuto la quota contributiva a carico dei lavo-ratori dipendenti. La ricostruzione della fattispecie è apparsa completata con il riscontro testimoniale riguardante il solo numero dei dipendenti in forza nei vari periodi. La condanna è, quindi, fondata sulla dichiarazione telematica del datore di lavoro di aver trattenuto la contribuzione a carico del lavoratore. L’accusa non ha dovuto provare il materiale pagamento delle retribuzioni e la difesa, dal canto suo, non ha comprovato che, contrariamente a quanto risultante dal flusso telematico trasmesso, le retribuzioni sulle quali erano state dichiarate come trattenute le contri-buzioni a carico dei dipendenti non erano state invece di fatto corrisposte. In ordine a tale profilo probatorio si può citare la Cass. pen., Sez. III, 10 giugno 2005, n.21989, secondo la quale spetta all’accusa l’onere di provare la corresponsione delle retribuzioni ai dipendenti da parte dal datore di lavoro. A tale sentenza ne sono però seguite altre, rispetto alle quali la pronuncia in com-mento risulta conforme. Con sentenza n.7086 del 20 febbraio 2007, la terza Sezione penale della Cas-sazione ha affermato che, nel delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali sulle retribuzioni dei dipendenti, si ritiene provato l’effettivo pagamento delle retribuzioni qualora tale elemento costitutivo del reato sia desunto:sia dalla testimonianza dell’ispettore, basata sull’esame dei libri paga dell’impresa e delle buste paga da questa emesse;sia dal dato di comune esperienza, secondo cui appare del tutto improbabile che i dipendenti dell’im-presa siano rassegnati a lavorare regolarmente per tanto tempo senza percepire lo stipendio. Con sentenza n.14839 del 16 aprile 2010, la terza Sezione penale della Cassazione ha affermato che la presentazione, da parte del datore di lavoro, nel delitto di omesso versamento delle ritenute pre-videnziali e assistenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, degli appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’Istituto previdenziale possono esser valutate come prova piena dell’effettiva corresponsione della retribuzione, pur quando non siano acquisiti al fascicolo del dibattimento, ma risultino dalla testimonianza del funzionario dell’Inps.Infine, con sentenza n.10104/11, la terza sezione penale della Cassazione ha affermato che il delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali sulle retribuzioni dei lavoratori dipen-denti non è configurabile in assenza del materiale esborso delle somme dovute al dipendente, ma, poi-ché il rapporto di lavoro è di regola retribuito, spetta al datore di lavoro che assuma di non aver pagato i dipendenti, l’onere di fornire tale prova. In presenza di denunce contributive, l’onere di dimostrare eventuali difformità rispetto alla situazione in esse rappresentata incombe sul soggetto che la deduce, sia che si tratti dell’imputato che dell’organo dell’accusa. Nel caso in commento l’accusa avrebbe dimostrato presuntivamente l’avvenuto pagamento delle retri-buzioni tramite le evidenze delle dichiarazioni telematiche datoriali. La sentenza sarebbe stata prevedibilmente di segno opposto se il datore di lavoro, nel corso del giu-dizio, ovvero ancora prima, in occasione della diffida al versamento delle ritenute denunciate, avesse provato che le ritenute omesse si riferivano in realtà a retribuzioni non materialmente pagate. Si può, però, ipotizzare che tale non fosse la situazione di fatto, perché i periodi interessati dagli omessi versa-menti riguardavano una pluralità di annualità (alcune delle quali cadute in prescrizione) e non è in effet-

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ti agevolmente immaginabile che i lavoratori dipendenti proseguano nell’offrire le proprie prestazioni di lavoro, per numerosi anni, senza ricevere mai il corrispettivo retributivo dovuto.

4. L’omessoversamentodelleritenutefiscali

La seconda sentenza in commento, Cass. pen., 12 maggio 2014, n.19454, riguarda l’omesso versamen-to delle ritenute fiscali. Ai sensi dell’art.10-bis, D.Lgs. n.74/00:“è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’impo-sta”.Anche in questa fattispecie il legislatore ha esplicitato in modo assolutamente chiaro che la pena trova applicazione soltanto sulle ritenute effettivamente operate sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti. Di qui il riferimento alle “certificazioni rilasciate ai sostituiti”, in luogo della più generica formula con-tenuta nell’art.2, D.L. n.429/82, conv. in L. n.516/82 (“le ritenute effettivamente operate, a titolo di acconto o di imposta, sulle somme pagate ...”).Secondo la Suprema Corte, la prova dell’omesso versamento delle ritenute operate non deve neces-sariamente essere ricavata dalle “certificazioni” rilasciate ai soggetti sostituiti dal sostituto. Tale prova può essere, infatti, rinvenuta anche in documenti “equipollenti”. La pubblica accusa, sulla quale comunque grava l’onere della prova delle certificazioni attestanti le rite-nute operate, può assolvere tale onere mediante il ricorso a prove documentali o testimoniali oppure attraverso la prova indiziaria. Nel caso in commento, la sentenza afferma che la prova si sia validamente formata tramite l’acquisizione di un dato comunque non equivoco, in quanto proveniente dallo stesso datore di lavoro obbligato e cioè il modello 770. Non è quindi necessario verificare, sostituito per sostituito, se questi ultimi abbiano ricevuto l’attesta-zione (mod. CUD o altro) da parte del sostituto, poiché la presentazione della dichiarazione mod. 770, con allegate le attestazioni nominative, è indice inequivocabile delle operate ritenute e delle rilasciate certificazioni. La Cassazione, quindi, conferma le precedenti pronunce127, secondo le quali:“la prova della certificazione ... emergeva ... dalla dichiarazione effettuata nel modello 770, nel quale, in veste di sostituto di imposta, l’imputato aveva dichiarato l’ammontare da lui dovuto a titolo di ritenute sui redditi di lavoro”.

127 Cass. pen., sez. III, n.14443/12, che richiama anche la sentenza n.27718/12.

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CREDITI PREVIDENZIALI: PROCEDURE ESECUTIVE E FALLIMENTO

a cura di Luigi Nerli

Lo stato di crisi dell’impresa, sfociato nella procedura concorsuale, è quasi sempre accompagnato da pesanti esposizioni verso gli Enti previdenziali, in maniera ancor più rilevante quando il numero dei la-voratori subordinati alle dipendenze della stessa ha assunto composizioni considerevoli. L’attività di riscossione da parte dell’Ente titolare del credito, in tali casi, si intreccia con la procedura concorsuale: nell’articolo che segue si analizzano le regole e le migliori prassi per la corretta gestione di tale delicata fase dell’impresa.

1. Icreditiprevidenzialieilloroaccertamentonelfallimento

Argomentando la trattazione dei debiti previdenziali dell’imprenditore fallito128, s’impone la necessaria definizione della tipologia del credito previdenziale, e va sottolineato che l’obbligo contributivo ex lege, sorto per l’impresa in bonis ai fini dell’art.2115 c.c., è un rapporto trilaterale fra:

– il soggetto contribuente e assicurante (il datore di lavoro); – gli Enti assicuratori che acquisiscono i pagamenti dei contributi (in generale Inps e Inail); – il soggetto assicurato (il lavoratore subordinato o parasubordinato).

Chi introita i versamenti dei contributi ‒ l’Ente previdenziale o assistenziale ‒ è un soggetto diverso dal beneficiario dello stesso versamento, che è il lavoratore.Il sistema assicurativo così costituito permette il finanziamento degli Enti che poi saranno coloro che con i loro mezzi (e grazie anche ai trasferimenti a loro garantiti dallo Stato) provvederanno a erogare la prestazione previdenziale al soggetto assicurato. Con l’assunzione del prestatore di lavoro subordinato (e anche nei confronti del lavoratore parasubordinato) il datore di lavoro (o committente) si obbliga perciò non solo al pagamento delle retribuzioni o dei compensi, ma anche ai premi previdenziali che sono connaturati e proporzionati ai riconoscimenti economici che il datore di lavoro eroga al dipen-dente o collaboratore. E per entrambe le due tipologie il sistema assicurativo pubblico si basa sul c.d. principio di automaticità, determinato dall’art.2116 c.c., in base al quale le prestazioni previdenziali e assistenziali sono sempre dovute al lavoratore anche quando il datore di lavoro non provveda, o vi provveda solo in parte, al pagamento dei contributi relativi alle prestazioni rese dagli assicurati, sia che siano lavoratori subordinati sia parasubordinati.Il credito da lavoro così descritto gode di un trattamento di primordiale privilegio rispetto alla generali-tà delle altre tipologie di credito, ormai compiutamente definito con la L. n.426/75, ma certamente ori-ginato già negli artt.35 e 36 della Costituzione, e nel privilegio mobiliare generale è secondo solamente “quale causa di lavoro” alle spese di giustizia, ma è da collocarsi prima di ogni altro credito munito di privilegio mobiliare speciale. Così lo definisce il codice civile all’art.2751-bis, n.1:

128 Sul tema si veda L. Nerli, I debiti previdenziali nelle procedure concorsuali, in "La circolare di lavoro e previdenza" n.34/14.

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“per le retribuzioni dovute, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro subordinato e tutte le indennità dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, nonché il credito del lavoratore per i danni conseguenti alla mancata corresponsione, da parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori ed il credito per il risarcimento del danni subito per effetto di un licenziamento inefficace, nullo o annullabile”.

Il credito, ai sensi dell’art.2745 c.c., non è tanto riferito al lavoratore, ma piuttosto alla sua “causa di lavoro”, che allora coinvolge l’esposizione dei crediti che sono sorti, in via negoziale e non, con la co-stituzione del rapporto subordinato (o parasubordinato). E la causa di lavoro, in forza di quanto antici-pato, prevede tre grandi estuari che sono originati da questa vis di privilegio: quello retributivo, quello risarcitorio e quello degli accessori.Da questa applicazione normativa è parte ulteriore, ma esclusa dal rango della prioritaria argomenta-zione del n.1, art.2751-bis, il credito previdenziale degli Enti assicuratori, che, per quanto legato alla retribuzione in diritto del lavoratore assicurato, gode di una diversa collocazione nella casta dei privi-legi, che, seppur di rilievo, è senz’altro di minore importanza rispetto a quello esposto e commentato ai sensi del n.1.Nella constatazione che il privilegio è il diritto di un creditore di essere preferito ad altri creditori nell’e-secuzione di un’obbligazione, e la causa di prelazione è quella che determina questo privilegio, dob-biamo annotare che i privilegi legali per la loro estinzione si dividono in generali e speciali: il privilegio generale può essere solamente mobiliare e il privilegio speciale, che si esercita su determinati beni del debitore, può essere mobiliare o immobiliare.Annotando per completezza di trattazione le significative novità in tema d’ammissione delle domande d’insinuazione allo stato passivo, introdotte con la L. n.221/12, i crediti oggetto del nostro interesse, cioè i crediti per contributi da parte degli Enti assicuratori, hanno un privilegio generale accordato con esten-sione del diritto agli interessi, che trova la sua causa di prelazione negli artt.2753 e 2754 c.c.. Detti crediti soffrono di un minor titolo di preferenza rispetto ai crediti declamati nell’art.2751-bis, e si collocano al grado di privilegio 11 mobiliare generale, e cioè quelli previsti dall’art.2753, e al grado di privilegio 18 mobiliare generale, quelli indicati nell’art.2754, la cui fonte normativa è radicata nella L. n.426/75, che collocò insieme le varie figure di crediti privilegiati senza tener conto del tipo di privilegio.La dicotomia dei crediti previdenziali ha oggi un’assestata connotazione che, per la nostra trattazione, deve essere calata nei crediti concorsuali e perciò, anche nelle cartelle notificate all’impresa in bonis, per una completa e reale panoramica sulle procedure per l’ammissione al passivo di tali crediti.

2. Icreditiprevidenzialieilloroinserimentonelleprocedurediriscossione

È di tutta evidenza che lo stato di crisi dell’impresa in bonis, poi sfociato nella procedura concorsuale, è quasi sempre accompagnato da pesanti esposizioni verso gli Enti previdenziali, in maniera ancor più rilevante quando il numero dei lavoratori subordinati alle dipendenze della stessa ha assunto composi-zioni considerevoli. E il più delle volte la riscossione da parte degli Enti previdenziali di questi crediti, il cui pagamento non è avvenuto nella tempistica normativa richiesta con il versamento diretto da parte dell’obbligato datore di lavoro o committente, è affidata all’attività di riscossione tramite ruolo ex D.P.R. n.602/73 e art.17, D.Lgs. n.46/99. L’attività di riscossione da parte dell’Ente titolare del credito, soggetta al rispetto della normativa spe-cifica129, è affidata agli agenti di riscossione con l’iscrizione a ruolo e con la conseguente notifica della

129 D.Lgs. n.112/99.

Crediti previdenziali: procedure esecutive e fallimento

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cartella di pagamento al debitore, che può procedere direttamente alla notifica del pignoramento in presenza di accertamenti esecutivi.Da circa quattro anni si assiste a una progressiva evoluzione del sistema di riscossione, sinteticamente evincibile dalla lettura dell’apposita indicazione da parte dell’Agenzia delle Entrate130, che si è poi asse-stato con il progressivo introdursi degli avvisi d’accertamento esecutivi e degli avvisi d’addebito esecuti-vi, così nominati e apparsi nel panorama giuridico con il D.L. n.78/10, che nel corso del tempo andranno completamente a soppiantare le vecchie cartelle di pagamento, con la quale l’agente di riscossione qualifica (o meglio qualificava) il credito previdenziale e i relativi accessori (senza dimenticare gli aggi).In premessa, va subito anticipato che gli avvisi di accertamento:• sono emessi dall’Agenzia delle Entrate;• concernono i crediti erariali;• diventano esecutivi decorsi sessanta giorni dalla notifica;• sostituiscono la notifica della cartella di pagamento.Gli avvisi d’addebito vengono invece notificati in via prioritaria tramite Posta elettronica certificata (o per mezzo dei messi comunali, degli agenti della polizia municipale, con raccomandata a.r.) e poi consegnati all’agente di riscossione, a cui spetta l’aggio e il rimborso alle spese relative alle procedure esecutive. L’avviso d’addebito:• ha valore di titolo esecutivo;• sostituisce il ruolo e la cartella di pagamento;• dal 2011 viene utilizzato per la riscossione coattiva dei crediti Inps.Per ogni dovuta chiarezza deve essere aggiunto che l’accertamento dell’esistenza del credito previden-ziale concorsuale, a differenza di quello erariale, è rimasto nella piena cognizione del giudice fallimen-tare.Ai sensi dell’art.87, co.2, D.P.R. n.602/73, è il concessionario del credito che, sulla base del ruolo, può chiedere per conto dell’Agenzia delle Entrate l’ammissione al passivo della procedura, sul principio che il titolo su cui si regge la domanda d’insinuazione è il ruolo, o meglio l’estratto di ruolo. Le più recenti indicazioni della giurisprudenza hanno dato un’interpretazione estensiva della norma, non ritenendo elemento sostanziale dell’insinuazione la preventiva notifica della cartella di pagamen-to, anche quando non ci sia stata l’iscrizione a ruolo131. Una più datata e accoglibile sentenza, invece132, va richiamata perché ci ricorda che:“in mancanza dell’iscrizione a ruolo l’accertamento definitivo del tributo non può costituire titolo per pretendere il pagamento di interessi e soprattasse per intero, non avendo l’accertamento natura di atto impositivo e quindi di accertamento dell’esistenza e della misura del debito per interessi e soprattasse [...] il ruolo, in caso di eventuali contestazioni inerenti ai tributi iscritti, costituisce titolo per l’ammissione dei tributi stessi con riserva al passivo delle procedure di cui al Regio Decreto 16 Marzo 1942, n° 267”.Le predette sentenze riguardanti tributi erariali sanciscono indicazioni che sono le stesse che dovranno essere applicate per i crediti previdenziali. E, sempre riferendosi alle indicazioni che sono sorte dalla giurisprudenza e dalla migliore dottrina di riferimento, nonché dalle migliori pratiche delle Commissioni Procedure Concorsuali degli Odcec sparse sul territorio italiano, si possono ricavare dei criteri operativi.

130 Provvedimento Agenzia delle Entrate 30 giugno 2011.131 Cassazione Civile, sent. 16 giugno 2011, n.13242.132 Cassazione Civile, sent. 14 luglio 2004, n.13027.

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3. L’ammissioneononammissionealpassivodeicreditiprevidenziali...

Sono diverse le situazioni in cui il responsabile della procedura, nell’adozione della sua linea operativa, è chiamato a verificare quale sia l’atteggiamento più consono per l’ammissione al passivo dei crediti previdenziali già inseriti in cartelle di pagamento e per gli interessi generali della massa creditoria. Nell’elencazione che propongo, e che deve ritenersi integrabile dalla facoltà della curatela della verifica di eventuali vizi nella domanda d’ammissione e perciò della possibile non ammissione per questa spe-cifica motivazione, si evidenziano le casistiche più ricorrenti e che possono dare spunto per la facoltà riconosciute alla curatela per elaborare il progetto di stato passivo:• la cartella di pagamento è stata notificata ante fallimento e non è stata opposta nei termini: il cre-

dito previdenziale va ammesso al passivo;• la cartella di pagamento notificata è tutt’ora impugnabile, ma non ancora impugnata alla data di

verifica dello stato passivo: il credito va ammesso se non c’è una volontà d’impugnazione e va inve-ce ammesso con riserva se il curatore intende impugnarlo;

• la cartella di pagamento è stata notificata prima del fallimento, ma è tutt’ora esistente una causa alla data di sentenza del fallimento che non è stata interrotta: ferma restando la possibilità che sia richiesta l’ammissione al passivo sulla base del ruolo, il processo può anche proseguire tra le parti originarie, ma è come non esistesse nei confronti della procedura fallimentare;

• la cartella di pagamento notificata è ancora opponibile alla data di verifica dello stato passivo, ed è stata preceduta da avviso d’addebito divenuto definitivo ante fallimento: il credito previdenziale va ammesso al passivo;

• la cartella di pagamento notificata è ancora opponibile alla data di verifica dello stato passivo ed è stata preceduta da avviso d’addebito ancora opponibile: qualora il curatore intenda impugnare il credito deve essere ammesso con riserva, altrimenti va ammesso;

• la cartella di pagamento notificata ancora opponibile alla data di verifica dello stato passivo non è stata preceduta da avviso d’addebito: se non esiste l’intenzione di opporsi alla cartella il credito va ammesso al passivo, in senso opposto deve essere ammesso con riserva.

Nelle fattispecie elencate rimane salva la possibilità del curatore di agire in autotutela, così come quella di procedere all’impugnazione per vizi propri della cartella o eventuali contestazioni nella composizio-ne della pretesa previdenziale.

...e la loro collocazione in base al tipo e al privilegio

Tipologia credito Riferimentonormativo Privilegio Note

Contributi InpsArt.2753 c.c.Art.2749 c.c.Art.2778, n.1 c.c.

GeneraleSono i crediti previdenziali Ivs previsti dall’art.2753 c.c. e hanno carattere gene-rale e anche collocazione sussidiaria.

Premi InailArt.2754 c.c.Art.4, n.3, L. n.389/89Art.2778, n.1 c.c.

Generale

Sono i contributi Inail originariamente collocati al grado generale ottavo, ripor-tati al grado primo dalla D.L. n.338/89, poi trasformato con modificazioni nella L. n.389/89.

Sanzioni InpsArt.2754 c.c.Art.2749 c.c.Art.2778, n.8 c.c.

Generale

Crediti previdenziali per contributi Tbc, maternità, Ds etc e per accessori e dun-que anche sanzioni, limitatamente al 50% del loro ammontare.

Crediti previdenziali: procedure esecutive e fallimento

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Sanzioni InailArt.2754 c.c.Art.2749 c.c.Art.2778, n.8 c.c.

GeneraleCrediti per accessori e dunque anche sanzioni, limitatamente al 50% del loro ammontare.

Nella tabella esposta, deve essere apportata una precisazione, che scaturisce dalla disamina delle linee di condotta di Equitalia, che calcola le sanzioni sui contributi previdenziali e assistenziali in privilegio al 100%, apportando una significativa variazione a quanto riportato dall’art.2778 c.c., dal quale si ricava che il 50% del credito per accessori non gode di alcun privilegio.

4. La necessità di avere il Durc nelle procedure concorsuali

L’ordinaria e consueta esposizione debitoria nei confronti degli Enti previdenziali delle realtà coinvolte nelle procedure concorsuali non esclude che a volte, e in determinate situazioni, si presenti la necessi-tà, pur in situazioni di accertato disconoscimento del versamento dei contributi alle dovute e originarie scadenze, di dover richiedere il Durc.Una di queste ipotesi, e forse la più lineare per ratio, è quella del responsabile della curatela che abbia avuto l’autorizzazione da parte del giudice delegato di aprire l’esercizio provvisorio, e a cui dunque si presenta l’opportunità o necessità di proseguire l’esercizio dell’impresa. Va ricordato che l’apertu-ra dell’esercizio provvisorio determina anche l’onere di procedere a una nuova iscrizione assicurativa presso gli Istituti previdenziali e assistenziali obbligatori, ed è atto ufficiale e propedeutico per la deter-minazione dell’apertura di una nuova realtà che non abbia commistioni con la situazione precedente da cui è nato l’esercizio provvisorio, e cioè proprio il fallimento.In questa situazione la richiesta di Durc, fermo restando l’ovvio rispetto delle scadenze da parte del curatore per l’esercizio provvisorio, ha un iter che non si distacca da quello che è previsto per le im-prese in bonis, e che prevede l’avvenuta insinuazione dei debiti scaduti antecedenti l’autorizzazione dell’esercizio provvisorio.Ma per la verità la casistica più frequente di ricorso alla richiesta di Durc nelle procedure concorsuali è quella del concordato preventivo con continuità aziendale133, introdotto dal c.d. Decreto Sviluppo (n.83/12), che tra l’altro stabilisce che “il piano può prevedere una moratoria fino ad un anno dall’o-mologazione per il pagamento dei crediti muniti di privilegio” e nei quali debbono annoverarsi anche i contributi previdenziali. In estrema sintesi il piano predisposto dal professionista asseveratore della veridicità dei dati aziendali, e il cui piano è stato sottoposto all’iter critico del tribunale e degli altri or-gani della procedura per tutta la durata della procedura stessa, può prevedere un periodo massimo di un anno entro il quale viene previsto un graduale rientro dell’esposizione debitoria nei confronti degli Enti previdenziali e assistenziali.E, in considerazione di tali previsioni normative, a un ormai famoso interpello proposto dal Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro, il Ministero del Lavoro, con protocollo n.41/12 ha rispo-sto precisando che:a) l’ammissione e l’omologazione di una tal procedura di concordato comporta la sospensione ex lege

delle situazioni debitorie sorte prima del deposito della domanda;b) considerato che l’art.5, D.M. 24 ottobre 2007 prevede che la regolarità contributiva sussiste anche

“in caso di sospensione di pagamento a seguito di disposizioni legislative”, gli Enti previdenziali po-tranno rilasciare il Durc già da quando venga omologato dal Tribunale un piano di risanamento che preveda l’integrale assolvimento, e al massimo entro un anno dall’omologa, dei contributi maturati prima dell’attivazione della procedura.

133 Ex art.186-bis, co.2, lett.C, Legge Fallimentare.

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In considerazione di questa importante espressione ministeriale si deve allora ricavare che, in caso di richiesta di Durc da parte di un concordato con continuità aziendale:1. verrà rilasciato il Durc, anche in pendenza di debiti contributivi, allorquando il piano di risanamento

predisposto preveda la moratoria indicata dall’art.186-bis della Legge fallimentare per un periodo non superiore a un anno dalla data di omologazione. Entro un anno dall’omologa si dovrà perciò procedere all’integrale pagamento dei contributi previsti nel piano;

2. il Durc verrà rilasciato solo all’effettiva omologa del concordato (vedi anche nota Ministero del La-voro n.4323/13, nella quale viene esclusa la possibilità che gli Enti previdenziali possano attestare la regolarità contributiva, emettendo il Durc nell’intervallo di tempo tra la pubblicazione del ricorso presso il Registro delle Imprese e l’emissione del decreto di omologazione del concordato preven-tivo in continuità).

Su questo argomento deve essere annotata la comunicazione della Commissione nazionale paritetica per le casse edili n.508 del 17 gennaio 2013, che precedentemente alla nota Ministeriale già accenna-ta considerava che, nel periodo antecedente all’omologa del concordato, la competente Cassa Edile potrebbe valutare esclusivamente la concessione di una rateazione del debito contributivo per tutto il periodo necessario ad ottenere il decreto di omologazione del piano di ristrutturazione.È comunque fuori discussione che il rilascio del Durc per la situazione descritta (concordato con con-tinuità aziendale) riguarda esclusivamente i debiti previdenziali contratti prima dell’attivazione della procedura concorsuale, e non certo i contributi eventualmente non pagati successivamente, perché in questo secondo caso c’è un’irregolarità che non può essere sanata. E così, allo scadere del periodo di moratoria (massimo dodici mesi) tutti i contributi dovranno essere versati, in quanto la sospensione cessa di avere effetto. Infatti, se non è esplicitamente prevista la pro-messa di integrale soddisfazione di tutti i debiti contributivi pregressi, il Durc non è rilasciabile.Nell’art.182-quinquies, co.4, Legge fallimentare, è anche previsto che il debitore che presenta doman-da di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale ha facoltà di presentare richiesta al Tribunale per essere autorizzato a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un pro-fessionista indipendente in possesso dei requisiti ex art.67, co.3, lett.d), Legge fallimentare, attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell’attività d’impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori. Aggiungo allora che si sono già registrate sentenze dei tribunali che hanno autorizzato al pagamento di tali crediti, includendovi per competenza i debiti previdenziali già scaduti, e così hanno permesso di procedere alla richiesta del Durc in maniera più celere e immediata rispetto al sempre possibile rientro dall’esposizione debitoria nel periodo massimo di un anno. È certo questa la situazione di realtà in cui la prosecuzione del mero esercizio del core business è seriamente compromesso dalla mancanza, in tempi certi e brevi, del Documento unico di regolarità contributiva.Va altresì segnalato che, sempre con interpello dell’Ordine nazionale dei consulenti del lavoro, il Mini-stero del Lavoro, con la risposta n.2/13, ha espresso l’indicazione che la posizione dei soci, nelle società di capitali, non deve essere oggetto di verifica al fine del rilascio del Durc, mentre non può essere rila-sciato il Durc nel caso di socio inadempiente di società di persone.L’Inps ha recepito la risposta agli interpelli del Ministero del Lavoro nn.41/12 e 2/13 citati con il mes-saggio n.4925/13.

5. Considerazionefinali

La trattazione dei debiti previdenziali nelle procedure concorsuali dovrebbe avere un’ulteriore appen-dice quando si fa riferimento alla previdenza complementare e al complesso regime normativo che ne ha disposto la sua concreta attivazione e il suo sviluppo.

Crediti previdenziali: procedure esecutive e fallimento

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Senza dover affrontare un tema così ampio, che dovrebbe coinvolgere una completa disamina delle possibilità con le quali il lavoratore può determinare in suo beneficio l’attivazione di versamenti con-tributivi da parte del datore di lavoro, attraverso specifiche trattenute sulle retribuzioni ed eventuali ulteriori versamenti sempre da parte dello stesso datore di lavoro, va ricordato che pur sempre trattasi di crediti previdenziali.Un esempio su tutti è il Fondo di tesoreria, le cui finalità di finanziamento rispondono al principio della ripartizione e i cui versamenti affluiscono presso la Tesoreria dello Stato.La contribuzione dovuta da parte dei datori di lavoro che hanno alle proprie dipendenze almeno cin-quanta lavoratori (o meglio addetti, così individuati dal D.M. del Ministero del Lavoro 30 gennaio 2007), è del tutto assimilata alle forme di contribuzione obbligatoria esistenti nel sistema previdenziale pub-blico, considerato che espressamente nella norma si riferisce che per lo stesso fondo si applicano le disposizioni in materia di accertamento e riscossione dei contributi previdenziali obbligatori.

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I DEBITI PREVIDENZIALI NELLE PROCEDURE CONCORSUALI

a cura di Luigi Nerli

Nelle crisi d’impresa, l’impatto dei debiti previdenziali è tema sempre più “dirompente” ed emerge con assoluta importanza quando viene affrontato per cercare di evitare il precipitare della crisi stessa, non essendo più esercitabile la richiesta di rateazione del debito. I vincoli posti dalle disposizioni previste per dare una possibile via d’uscita in queste già precarie situazioni spesso, però, determinano lo sfociare della crisi nella principale procedura concorsuale liquidatoria del fallimento. In questo apporto si cer-cherà di trattare in maniera, per quanto possibile completa, quali siano le condizioni e le attenzioni che debbono essere prese in considerazione per poter affrontare il delicato tema dell’esposizione debitoria nei confronti degli Istituti previdenziali, sia nell’eventuale fase d’approccio concordataria che in quella della curatela fallimentare.

1. Lepossibilipolitichedigestionedeldebitoprevidenzialenella crisid’impresanell’attualequadronormativo

Il perdurare della “crisi”, che ha notoriamente coinvolto disparate realtà sul territorio nazionale, non si è limitato a far registrare i consueti e “usuali” dati statistici, ma piuttosto e purtroppo ha provocato una progressione esponenziale delle procedure concorsuali, che solo il potere politico pare non aver preso in seria considerazione, dando invece priorità assoluta al tentativo di soluzione di altre solenni proble-matiche che vengono considerate di primario interesse per il bene della nazione134. Prova ne siano i dati Unioncamere aggiornati al IV trimestre 2013, allegati al più recente quaderno di monitoraggio degli ammortizzatori sociali del Ministero del Lavoro135, che meglio di ogni altro commento stanno a fotografare e indicare quale sia l’effettiva gravità del sistema aziendale nazionale e delle difficoltà che le stesse aziende non riescono a superare. A tutt’oggi si deve rilevare che questi dati, per quanto tragici, non sono stati giudicati sufficientemente importanti per creare un impulso politico e novità normative che possano creare nuove, positive e più accessibili condizioni per fare impresa nel nostro Paese.Va aggiunto che le difficoltà che si sono stratificate a livello internazionale e che hanno significativa-mente colpito il nostro Paese hanno di fatto indotto la necessità di una risposta dell’Italia alle sollecita-zioni che sono state imposte dalla comunità Europea. E queste sollecitazioni, per quanto debitamente anticipate, hanno conferito un’ulteriore solenne ufficializzazione all’aspettativa istituzionale europea di un programmato percorso di riduzione e messa in sicurezza del nostro colossale debito pubblico. Il nostro sistema politico e istituzionale ha inteso rispondere a questa situazione di precarietà finanzia-ria ed economica con un ulteriore giro di vite della pressione fiscale, senza fornire contestuali strumenti per favorire la sostenibilità produttiva e commerciale nel panorama imprenditoriale, e senza dare ri-ferimenti nuovi e di sicuro appeal per dare “incubazione” a una fattiva ripresa economica che possa aiutare crescita e difesa dell’occupazione, e dunque la creazione di nuova ricchezza. In poche parole non risulta sia stato ancora definito alcun serio e considerevole percorso per la decrescita della spesa pubblica, condizione imprescindibile per una possibile diminuzione dei balzelli legati al lavoro. Balzelli

134 La riforma costituzionale del Senato e del titolo V su tutte.135 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Quaderno di Monitoraggio n.2 - luglio 2014.

I debiti previdenziali nelle procedure concorsuali

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che, ogni settimana che passa, contribuiscono alla crescita di nuove realtà produttive, anche a capitale italiano, che però sorgono in Paesi dove le aziende, il lavoro e il reddito derivante dall’impresa sono preservati e tutelati come animali in via d’estinzione e perciò aiutati sotto ogni forma. Nel frattempo poco o niente è mutato nelle politiche per l’impiego, nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, nelle normative amministrative e nei servizi o disservizi che obbligatoriamente sono messi ad uso e pagamento delle aziende e dei contribuenti.In questa difficile realtà, che non pare generare prospettive d’uscita a breve termine, le già esistenti difficoltà finanziarie delle aziende si sono acuite, andando ad aumentare la massa dei debiti tributari e previdenziali che il sistema delle imprese ha incrementato nella fase di crisi, producendo un elevato, rischioso e a volte insormontabile fardello per la prosecuzione dell’attività.Nel richiamare le più attuali e specifiche normative che hanno trattato il sovraindebitamento, e che saranno poi qui richiamate per il “trattamento dei debiti previdenziali ed assistenziali”, a parere di chi scrive, per un taglio cronologico della tematica, va ricordato per opportuna conoscenza l’art.116, L. n.388/00 che, ai co.15 e 16, aveva previsto le modalità con cui richiedere la riduzione delle sanzioni civili e la rateizzazione dei versamenti per questo specifico fine. Modalità che l’Inps si è poi affrettata a declinare in un apposito provvedimento di prassi136 che ne delineava limiti e contenuti. Per quanto di nostro interesse, precisando che potevano essere oggetto di riduzione solo le sanzioni civili conse-guenti alla fattispecie di omissione contributiva, si chiariva che la possibilità di richiesta di riduzione era proponibile da parte delle:• aziende in crisi con ricorso alla Cassa integrazione guadagni;• aziende in fase di riorganizzazione, riconversione o ristrutturazione che abbiano particolare rilevan-

za sociale ed economica nell’ambito territoriale e il cui stato di crisi sia accertato dagli ispettori del Ministero del Lavoro;

• aziende sottoposte a procedure concorsuali.La riduzione delle sanzioni prevista era fino alla misura dell’interesse legale, ma per le aziende sotto-poste a procedura concorsuale si applicava sempre un 2% in più rispetto al tasso di interesse legale. Gli strumenti poi riprodotti dalla riforma del diritto fallimentare negli anni 2006-2007137 per queste difficili e sempre più numerose situazioni, sono soprattutto quelli che si sono integrati a quello tradi-zionale del concordato preventivo138, e che rispondono principalmente agli accordi di ristrutturazione del debito inserito come art.182-bis, e la transazione fiscale inserita come art.182-ter nella legge falli-mentare.Prima dell’avvento di quest’ultimo provvedimento, l’unico precedente che conteneva parte degli obiet-tivi poi individuati nell’anticipata disposizione normativa, era stata senza dubbio l’ormai abrogata “tran-sazione dei tributi iscritti a ruolo”, previstoa nell’art.3, co.3, D.L. n.138/02, convertito nella L. n.178/02. Questo provvedimento aveva avuto una sua notorietà per essere stato ribattezzato dalla dottrina “de-creto salva-calcio”, dal momento che la decretazione d’urgenza era finalizzata a fronteggiare la gravis-sima esposizione debitoria di alcune società calcistiche nei confronti dell’Erario.

2. L’introduzionedellatransazionefiscaleeproblematicheoperative

Per iniziare l’approccio con l’istituto oggi qui in commento, è di primo impatto arguire che la definizione di transazione induce a richiamare le previsioni dell’art.1965 c.c., che testualmente dispone come tale “il contratto con il quale, le parti facendo reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incomin-ciata, o prevengono una lite che può sorgere tra loro”.

136 Circolare Inps n./02.137 Strumenti introdotti con D.Lgs. n.5/06 e D.Lgs. n.169/07 e successive modifiche.138 Art.160, R.D. n.267/42 - Legge fallimentare.

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Ma sulla base di questa doverosa citazione si deve altresì fin da subito cercare di capire se la transazio-ne fiscale, attualmente consacrato nel nostro ordinamento come un istituto facoltativo e non obbliga-torio, una volta che si sia perfezionata nel suo iter è strumento idoneo e inoppugnabile per l’effettivo potere di consolidare il debito. Può dunque in ipotesi l’Amministrazione finanziaria, successivamente all’omologazione di un concor-dato con transazione fiscale, emanare nuovi avvisi di accertamento sui tributi (e contributi) e sulle annualità oggetto della proposta transattiva? La dottrina prevalente sembrerebbe ormai orientata nell’affermare il consolidamento del debito come sufficientemente ferma nel sottolineare che la mancata omologazione comporterebbe che le pretese erariali dovranno essere soddisfatte in misura integrale e non più falcidiata, come qualsivoglia altro credito, e rimarrebbero fissate nella misura fatta valere dall’Amministrazione finanziaria nell’atto im-positivo originariamente emanato. In caso di mancata omologa del concordato, perciò, non possono esistere spazi per la sopravvivenza della transazione fiscale. Ma la disciplina dell’art.182-ter della legge fallimentare ha un’effettiva forza derogatoria rispetto alle norme che sono poste a cardine dell’accertamento tributario? La deroga che il legislatore ha ufficializ-zato e che va ad incrinare il solenne principio nel diritto tributario dell’indisponibilità dell’obbligazione erariale è sufficientemente acquisita? La questione di così estrema rilevanza, su cui potrei e dovrei disquisire, a ben vedere incide poco sulla transazione dei debiti contributivi e previdenziali che mi sono proposto di chiarire con il presente com-mento. E perché, poi, ho subito affrontato il profilo tributario senza curarmi di quello previdenziale, come invece anticipato nel titolo dell’articolo, è presto detto.La transazione fiscale determinata dal legislatore realizza in buona sostanza un accordo di tipo transat-tivo tra l’impresa in crisi e l’erario riguardo ai debiti già consolidati, e la sua operatività si può definire a cavallo fra il diritto fallimentare e il diritto tributario: è senza ombra di dubbio uno strumento che viene inserito in una procedura concorsuale, dato che la procedura è la premessa fondante per la sola possibilità che la transazione possa essere promossa. Il D.Lgs. n.169/07 ha esteso la transazione fiscale agli accordi di ristrutturazione dei debiti e il D.L. n.185/08, convertito con modificazioni nella L. n.2/09, ha esteso la possibilità di ricorrere alla transa-zione fiscale anche per l’Iva e per i contributi previdenziali e assistenziali.Infine, con il decreto interministeriale 4 agosto 2009 sono stati fissati i criteri e le modalità con cui gli Istituti previdenziali e assistenziali possono (se vogliono) sottoscrivere le proposte transattive.Nel tentativo di chiudere la trattazione delle norme che sono state emanate per cercare di disciplinare le situazioni di crisi da sovraindebitamento, e per quanto materia circoscritta a realtà non assoggettabili alle vigenti procedure concorsuali, sembra opportuno richiamare il dettato della L. n.3/12, e segnata-mente le disposizioni previste nel capo II della norma de quo “Procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio”. In detta normativa si ripercorre una forma di risoluzione automatica dell’accordo transattivo in forza della quale, entro novanta giorni, i creditori dovrebbero essere soddisfatti, ricreando una sorta di ius singolare già formalizzato con la transazione fiscale139.A completamento di quanto anticipato posso ora evidenziare, a fronte della cronologia legislativa espo-sta, che la transazione previdenziale è la seppur diversa estensione e continuazione della transazione fiscale, il cui esplicarsi ha generato diverse riflessioni applicative nel diritto concorsuale, tanto da met-tere in discussione il principio costitutivo della par condicio creditorum.Per dare completezza alla trattazione di tale istituto provo a riassumere il quadro delle norme e circolari che hanno definito la composizione transattiva del debito fiscale e previdenziale:

139 Vedi L. Panzani, La composizione della crisi da sovraindebitamento dopo il D.L. 179/2012, Treccani editore.

I debiti previdenziali nelle procedure concorsuali

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Artt.160, 182-bis, 182-ter, R.D. 16/3/1942, n.267D.Lgs. 12/9/2007 n.169Art.32, co.5, D.L. 29/11/2008, n.185Agenzia delle Entrate, circolare 18/4/2008, n.40Agenzia delle Entrate, risoluzione 5/1/2009, n.3/EDecreto interministeriale 4/8/2009Agenzia delle Entrate, circolare 10/4/2009, n.14/EInail, circolare 26/2/2010, n.8Inps, circolare 15/3/2010, n.38Capo II, legge 27/1/2012, n.3

3. Lespecificitàdellatransazioneprevidenzialeelesuecondizionidiesperibilità

Già ho detto della crisi imperante che ha creato tante situazioni di precarietà, e che ha indotto il le-gislatore ad ampliare lo strumento della transazione, una volta applicabile solo per la materia fiscale, rendendolo istruibile anche alle ipotesi di definizione del debito nei confronti degli Istituti previdenziali per i debiti contributivi di natura chirografaria o assistiti da privilegio.Nella concretezza delle ipotesi già descritte non va dimenticato che l’emissione da parte del concessio-nario di cartelle esattoriali per il mancato versamento di imposte e contributi, una volta decorsi i termi-ni d’impugnazione, mette in condizioni lo stesso concessionario di attivare i procedimenti espropriativi dei beni dell’azienda. Questa titolarità nell’esecuzione dei mezzi leciti per il recupero delle imposte e dei contributi non versati, spesso, ha però nei fatti generato il risultato di porre un’insormontabile bar-riera per quelle azioni volontarie di riorganizzazione, ristrutturazione e risanamento delle crisi in atto, preludendo alla definitiva caduta delle residue ipotesi di dare continuità all’attività dell’impresa, o di ciò che resta di essa.Sempre a commento dell’ordinario iter di gestione del credito tributario e previdenziale da parte degli enti e istituti preposti, va anche aggiunto che ciò determina un sensibile aumento dei debiti assistiti da privilegio generale (sanzioni e interessi), il che può concretamente determinare un ridimensionamento delle eventuali percentuali di soddisfazione dei creditori chirografari nelle procedure concorsuali.In un quadro di già così difficile e articolata composizione, si è purtroppo continuato ad assistere al perdurante incedere della “moria” di imprese. Con la transazione previdenziale si è cercato allora di allargare le possibilità di positiva definizione dei tentativi liquidatori e/o di salvataggio di situazioni già complicate, andando a regimentare una proposta di transazione per tutti i debiti erariali e poi anche previdenziali nell’ambito delle procedure concorsuali di:• concordato preventivo (art.160 ss. legge fallimentare);• accordi di ristrutturazione (art.182-bis legge fallimentare).La possibilità di istruire la proposta è sempre riservata agli imprenditori commerciali soggetti alle di-sposizioni sul fallimento, o comunque dalle imprese individuali o collettive non piccole che esercitano un‘attività commerciale, coinvolti nello stato di crisi dell’impresa, così come richiamato dall’art.1, legge fallimentare. Con l’art.23, co.43, D.L. n.98/11, convertito con modificazioni in L. n.111/11, l’istituto della transazione fiscale e previdenziale è stato però esteso anche ai soggetti imprenditori agricoli, altrimenti esclusi da detta possibilità proprio in richiamo della previsione della normativa fallimentare per i soggetti sottoposti alle procedure concorsuali.A conferma delle ormai consuete previsioni di fallibilità si ribadisce, per chiarezza, l’esclusione degli imprenditori di piccole dimensioni che detengono le ipotesi congiunte di:• attivo patrimoniale non superiore a € 300.000,00 nei tre esercizi precedenti;• volume di ricavi lordi non superiori a € 200.000,00 nei tre esercizi precedenti;

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• un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a € 500.000,00.Dopo l’emanazione della L. n.2/096, che aveva convertito con modificazioni il D.L. n.185/08, con la G.U. n.251/09 è stato pubblicato il decreto interministeriale 4 agosto 2009, che ha disciplinato la pos-sibilità di inserire i debiti previdenziali tra le ipotesi di proposta transattiva. E per questa trattazione è importante richiamare le modalità e condizioni che sono state enunciate per esperire la presentazione della proposta di transazione previdenziale, così come poi espresso da apposite circolari degli Istituti previdenziali interessati140, in cui si delinei un piano di riassetto che preveda la proposta di pagamento anche parziale:• dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei contributi previdenziali e assistenziali;• dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non

iscritti a ruolo, a eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione.La proposta transattiva può essere presentata in carta libera all’Ente previdenziale, tenendo conto delle previsioni dell’art.2, decreto interministeriale 4 agosto 2009, che richiede di allegare, oltre che la docu-mentazione prevista dall’art.161, legge fallimentare, anche la relazione di un professionista in possesso dei requisiti previsti dall’art.67, co.3, lett.d) della stessa legge, che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano d’impresa, sia in caso di concordato preventivo che di accordo per la ristruttu-razione del debito.Con il dovuto richiamo alle disposizioni dell’art.161 della legge fallimentare (così modificato dal D.Lgs. n.169/07 e dal D.L. n.83/12) annotiamo e sottolineiamo che: “La domanda per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo è proposta con ricorso, sotto-scritto dal debitore, al tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale; il trasferimento della stessa intervenuto nell’anno antecedente al deposito del ricorso non rileva ai fini della individua-zione della competenza. Il debitore deve presentare con il ricorso:a) una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa;b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione

dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;c) l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;d) il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili;e) un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della pro-

posta.Il piano e la documentazione di cui ai commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d), che attesti la veridici-tà dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. Per la società la domanda deve essere approva-ta e sottoscritta a norma dell’art. 152. La domanda di concordato è comunicata al pubblico ministero”.È perciò palese che, oltre che dall’enunciata documentazione, la proposta transattiva all’Ente previden-ziale deve essere accompagnata anche da un’ulteriore relazione di professionista, sempre in possesso dei requisiti previsti all’art.67, co.3, lett.d) della legge fallimentare, che la circolare Inps n.38/10 dice debba essere redatta in modo analitico ed esauriente, con a corredo:• la relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria; • lo stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco creditori e delle cause di prelazione; • l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore; • il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili. La relazione del professionista in possesso dei requisiti di cui all’art.67, co.3, lett.d) della citata legge fallimentare, deve contenere, inoltre, un’analisi aziendale, con la tecnica degli indici di bilancio, sulle prospettive di rilancio dell’azienda e sugli aspetti di salvaguardia dei livelli occupazionali.

140 Circolare Inail n.8/10; circolare Inps n.38/10.

I debiti previdenziali nelle procedure concorsuali

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Inoltre, alla proposta di transazione previdenziale dovrà essere allegato: • un prospetto riportante il grado di soddisfacimento, i tempi e le modalità di pagamento per gli

ulteriori debiti; • la quietanza di pagamento degli aggi dovuti all’esattore in caso di crediti iscritti a ruolo. Se poi non bastasse, il citato decreto interministeriale individua limiti alla falcidia dei crediti contributivi che non risultano espressi e normati nella proposta di transazione fiscale, andando a prevedere che la proposta presentata agli Istituti previdenziali rispetti le seguenti minime percentuali di soddisfacimen-to e cioè che:a) per i crediti privilegiati di cui al n. 1) del primo comma dell’art. 2778 c.c. e per i crediti per premi

non può essere inferiore al cento per cento;b) per i crediti privilegiati di cui al n. 8) del primo comma dell’art. 2778 c.c. non può essere inferiore

al quaranta per cento;c) per i crediti di natura chirografaria non può essere inferiore al trenta per cento”.I crediti oggetto della previsione del decreto interministeriale sono principalmente riconducibili ai• crediti di cui all’art.2753 c.c., relativi a forme obbligatorie per invalidità, vecchiaia e superstiti e

perciò dei trattamenti pensionistici Ivs;• crediti di cui all’art.2754 c.c. relativi alla tutela assistenziale e previdenziale (Tbc, maternità, ds).Dalla combinazione degli elementi enunciati, per i quali diventa determinante l’ordine dei privilegi visto il richiamo dell’art.2778 c.c.141, si delinea l’importanza della distinzione della tipologia del credito pre-videnziale, dalla cui classificazione discende il limite massimo di falcidia proponibile nella transazione. Cercando di presentare un sunto della proposta transattiva in funzione delle espresse determinazioni che sono state imposte dal legislatore, anche e a differenza di quanto già era stato precedentemente previsto nell’impianto della transazione fiscale, si evince che l’ipotesi minima di soddisfacimento che possa essere presa in considerazione dall’Ente previdenziale nella proposta dovrà corrispondere a:

Percentuale minima

Tipologia credito Riferimento del credito

100% Privilegiato - n.1 art.2778 c.c. Contributi Ivs Inps - Contributi Inail - vedi art.2753 c.c.40% Privilegiato - n.8 art.2778 c.c. Contributi Inps Tbc, maternità, ds - vedi art.2754 c.c.

40% Privilegiato - n.8 art.2778 c.c.Il 50 % degli oneri accessori relativi ai crediti di cui agli artt.2753 e 2754 c.c.

30% ChirografarioIl 50 % restante degli oneri accessori relativi ai crediti di cui agli artt.2753 e 2754 c.c.

Le previsioni che erano già state espresse per l’originaria transazione fiscale prevedono che:“Se il credito tributario o contributivo è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di pri-vilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie; se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole”. Sono possibile oggetto della proposta transattiva sia i debiti iscritti a ruolo che quelli non iscritti a ruolo, ma non sono inseribili nella proposta i crediti degli Istituti previdenziali che sono stati oggetto di carto-

141 Vedi V. D’Amico, Il libretto verde - Ordine delle preferenze e gradi di privilegio, Odcec Firenze, in www.fallimento.it.

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larizzazione ai sensi dell’art.13, L. n.448/98 e successive modificazioni, e i crediti dovuti in esecuzione delle decisioni assunte dagli organi comunitari in materia di aiuti di stato.Il pagamento può essere richiesto con una dilazione non superiore a sessanta rate mensili, con l’appli-cazione degli interessi al tasso legale vigente al momento di presentazione della domanda che, in tal caso, dovrà essere corredata da apposita fidejussione o garanzia reale per il valore dell’importo definito nella transazione. L’eventuale accettazione della dilazione è subordinata all’inclusione di tutti i crediti che sono stati inseriti nella proposta transattiva e al pagamento dei contributi correnti dalla data di proposta della transazione.

4. Ladifficileapplicabilitàdellatransazioneprevidenziale

Come è desumibile da quanto esposto nel precedente paragrafo non sono pochi gli elementi che in-ducono a considerare l’istituto della transazione previdenziale un’ipotesi di studio piuttosto che una reale e pratica possibilità per evitare lo sprofondare di uno stato liquidatorio. Se mai dovesse esservi un “salvataggio in extremis” dello stato di crisi, certamente non potrebbe essere stato incentivato e aiu-tato dalle previsioni dettagliatamente previste dalle norme già richiamate. E semmai, come preceden-temente anticipato, fanno storcere il naso quelle previsioni di percentuale minime di soddisfacimento che vanno ad intaccare il principio, da sempre colonna inattaccabile del diritto fallimentare, della par condicio creditorum. Cercherò di spiegarmi meglio, cominciando ad elencare quelle condizioni che rendono nella realtà ben difficilmente attuabile l’istituto.Va subito premesso che la transazione é ormai pacificamente considerata una facoltà, e non anche un obbligo, in mano all’organo preposto nella procedura concorsuale per esplicare le sue funzioni. Da ciò si deve ricavare che anche l’accettazione della proposta transattiva di pagamento (parziale e magari dilazionato) del debito non può che essere un atto che l’Istituto previdenziale può accogliere come rifiutare di accogliere, sempre con il limite di riferimento delle circolari richiamate, che però lasciano ampi spazi di valutazione.In più va aggiunto, come doverosamente esposto dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili142, che una volta, e seppur con fatica, superato l’ostacolo dell’indisponibilità della pretesa tributaria (e previdenziale), la stabilizzazione del debito stesso, e quindi la consapevolezza che la falcidia espressa nella proposta sia oggettivamente inoppugnabile, potrà definirsi con la combi-nazione di due fattori: 1. l’accoglienza della proposta da parte dell’ente previdenziale;2. il passato in giudicato del provvedimento di omologazione del concordato preventivo.La prima considerazione che va espressa nel contesto del diritto fallimentare è che la transazione pre-videnziale, così definita dagli ultimi provvedimenti, è ancor più “restrittiva” di quella fiscale e impone delle percentuali minime che lasciano labili spazi al debitore nell’ambito di definizione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, andando ad incrinare, come già esposto, il principio della par condicio creditorum, dal momento che prevede trattamenti minimi a quei crediti previdenziali che non sono assistiti da privilegio e che dunque, senza sbagli, vanno a creare delle condizioni diverse di soddisfacimento tra questi ultimi tipologie di creditori, e cioè quelli chirografari, che potrebbero ve-dersi riconosciute diverse proporzionalità nel debito insinuato, a seconda che il creditore sia un Ente previdenziale o meno.Inoltre, la già richiamata circolare dell’Inps che ha ad oggetto la trattazione dell’art.32 del decreto in-terministeriale 4 agosto 2009143, al punto 7) elenca quei parametri che debbono essere presi a riferi-mento per la valutazione dell’accettazione della proposta da parte degli enti previdenziali, e che sono:

142 Cndcec, Osservazioni in tema di transazione fiscale, aprile 2010.143 Circolare Inps n.38/10.

I debiti previdenziali nelle procedure concorsuali

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a) idoneità dell’attivo ad assicurare il soddisfacimento dei crediti anche mediante prestazioni di even-tuali garanzie;

b) riconoscimento formale e incondizionato del credito per contributi e premi e rinuncia a tutte le eccezioni che possono influire sull’esistenza e azionabilità dello stesso;

c) correntezza nel pagamento dei contributi e premi dovuti per i periodi successivi alla presentazione della proposta di accordo;

d) versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori di-pendenti ai fini dell’accesso alla dilazione dei crediti;

e) essenzialità dell’accordo ai fini della continuità dell’impresa e di ogni possibile salvaguardia dei livelli occupazionali, tenuto conto dell’importanza che la stessa riveste nel contesto economico-sociale dell’area in cui opera.

In più, si dovrà tener di conto che dovrà risultare quietanza di pagamento degli aggi dovuti all’esattore in caso di crediti iscritti a ruolo.Spicca per “dissonanza”, rispetto alle consuete situazioni di dissesto delle aziende in stato di crisi, la condizione di pagamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavo-ratori dipendenti per l’accesso alla dilazione del credito e per il pagamento parziale delle stesse ritenu-te. Ed è un serio problema per dare esperibilità alla soluzione transattiva in un contesto di procedura concorsuale, dove la liquidità è usualmente una condizione assai rara e si rilevano di sovente periodi più o meno lunghi di mancato versamento della totalità dei contributi da parte dell’impresa in bonis. Ma come se non bastasse, c’è anche l’altro “macigno” della garanzia aggiuntiva, che non può che richia-mare la fidejussione bancaria. È un’ipotesi percorribile per chi ha già avuto e continua ad avere problemi ormai insuperabili di accesso al credito?Non rimane che eloquire, poi, sulle criticità di tali disposizioni per la continuità dell’impresa e la salva-guardia (possibile) dei livelli occupazionali. Dalle indicazioni così declamate parrebbe doversi conclu-dere che le ipotesi transattive di realtà ormai senza alcun dipendente dovrebbero esser guardate con “ulteriore cipiglio” da parte dell’Ente di previdenza, dovendosi dedicare invece un prioritario riguardo per le realtà in stato di crisi di rilevante importanza per l’area in cui opera la stessa realtà. Senza che vi siano particolari precisazioni su quali indici si debbano prendere a riferimento per determinare tale importanza per il contesto economico-sociale del territorio in cui si sviluppa l’attività del soggetto che intende proseguire la continuità d’impresa.Va ancora aggiunto che l’esclusione dalla proposta transattiva previdenziale dei crediti “cartolarizzati” contribuisce, se non fossero sufficienti le motivazioni già anticipate, a creare un ulteriore problema alla composizione delle poste debitorie della procedura concorsuale sviluppatasi, e dei tempi neces-sari all’ultimazione della proposta transattiva. Va infatti ricordato che fino alla data del 31 dicembre 2008144 l’Inps aveva la possibilità di cedere a titolo oneroso i crediti, anche al fine di rendere più celere la riscossione.In ultimo, deve essere considerato in termini estremamente pratici che, rispetto alla proposta transat-tiva fiscale, nell’ambito dei piani di ristrutturazione, viene riscontrata la richiesta di presentazione pre-ventiva della relazione del professionista ex art.67, co.3, lett.d) legge fallimentare, che attesti veridicità e fattibilità del piano. Le previsioni dell’art.182-bis della legge fallimentare dispongono in verità il de-posito della relazione di attuabilità solo nel corso del processo di omologa. In poche parole, nell’ambito di un processo di ristrutturazione del debito l’azienda si vedrebbe costretta, al momento in cui optasse per la proposta transattiva previdenziale, a sostenere i costi di due relazioni, una per la redazione della

144 Resta invariato il termine del 31.12.2005 per i crediti contributivi agricoli.

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perizia ex art.182-bis della legge fallimentare e una, ulteriore ed esclusiva, per l’Ente previdenziale, prodotta ai sensi e nel rispetto dell’art.160 della legge fallimentare.In caso di crediti previdenziali ormai iscritti a ruolo va altresì chiarito che il soggetto contribuente dovrà procedere alla richiesta di certificazione dei debiti al competente agente di riscossione e presentare congiuntamente la proposta sia all’Ente di previdenza che all’agente di riscossione competente per territorio.Non credo che ci sia bisogno di ulteriori parole per dare modo di veicolare tra gli operatori del “mon-do concorsuale” quanto sia problematico il solo comporre i presupposti certificatori per la materiale richiesta di proposta e quanto, dunque, sia arduo anche coltivare la speranza di ricevere accoglien-za da parte dell’Ente previdenziale che, inopinatamente, avesse dovuto registrare la presentazione di una richiesta di tal genere. Non va sottaciuto infatti che rimane non preclusa all’Ente previdenziale la possibilità di valutare se sia più congruo per i suoi interessi vedersi riconosciuto il soddisfacimento del credito con altra procedura concorsuale, come ad esempio il fallimento.

Normativa, prassi, giurisprudenza

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NORMATIVA

Codice civile

2112.Mantenimentodeidirittideilavoratoriincasoditrasferimentod’aziendaIn caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore con-serva tutti i diritti che ne derivano.Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavora-tore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario. L’effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizio-ni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d’azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all’articolo 2119, primo comma.Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi opera-zione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’at-tività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.Nel caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di soli-darietà di cui all’articolo 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

2113. Rinunzie e transazioni)Le rinunzie [c.c. 1236] e le transazioni [c.c. 1965, 1966], che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide [c.c. 2934].L’impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza [c.c. 2964], entro sei mesi dalla data di ces-sazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima.Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà.Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile .

2120.DisciplinadeltrattamentodifinerapportoIn ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il prestatore di lavoro ha diritto ad un trattamento di fine rapporto. Tale trattamento si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso divisa per 13,5. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni.

Normativa

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Salvo diversa previsione dei contratti collettivi la retribuzione annua, ai fini del comma precedente, comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipen-denza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese.In caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell’anno per una delle cause di cui all’arti-colo 2110, nonché in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l’integrazione sala-riale, deve essere computato nella retribuzione di cui al primo comma l’equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro.Il trattamento di cui al precedente primo comma, con esclusione della quota maturata nell’anno, è incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5 per cento in misura fissa e dal 75 per cento dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.Ai fini della applicazione del tasso di rivalutazione di cui al comma precedente per frazioni di anno, l’incremento dell’indice ISTAT è quello risultante nel mese di cessazione del rapporto di lavoro rispetto a quello di dicembre dell’anno precedente. Le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si computano come mese intero.Il prestatore di lavoro, con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, una anticipazione non superiore al 70 per cento sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta.Le richieste sono soddisfatte annualmente entro i limiti del 10 per cento degli aventi titolo, di cui al precedente comma, e comunque del 4 per cento del numero totale dei dipendenti.La richiesta deve essere giustificata dalla necessità di:a) eventuali spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;b) acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, documentato con atto notarile.L’anticipazione può essere ottenuta una sola volta nel corso del rapporto di lavoro e viene detratta, a tutti gli effetti, dal trattamento di fine rapporto.Nell’ipotesi di cui all’articolo 2122 la stessa anticipazione è detratta dall’indennità prevista dalla norma medesima.Condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti collettivi o da patti individuali. I contratti collettivi possono altresì stabilire criteri di priorità per l’accoglimento delle richieste di anticipazione .

2751-bis.Creditiperretribuzionieprovvigioni,creditideicoltivatoridiretti,dellesocietàodentico-operativiedelleimpreseartigiane.Hanno privilegio generale sui mobili i crediti riguardanti:1) le retribuzioni dovute, sotto qualsiasi forma, ai prestatori di lavoro subordinato e tutte le indennità dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, nonché il credito del lavoratore per i danni conseguenti alla mancata corresponsione, da parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori ed il credito per il risarcimento del danno subito per effetto di un licenziamento inefficace, nullo o annullabile;2) le retribuzioni dei professionisti e di ogni altro prestatore d’opera intellettuale dovute per gli ultimi due anni di prestazione;3) le provvigioni derivanti dal rapporto di agenzia dovute per l’ultimo anno di prestazione e le indennità dovute per la cessazione del rapporto medesimo;4) i crediti del coltivatore diretto, sia proprietario che affittuario, mezzadro, colono, soccidario o co-munque compartecipante, per i corrispettivi della vendita dei prodotti, nonché i crediti del mezzadro o del colono indicati dall’articolo 2765;5) i crediti dell’impresa artigiana, definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti, nonché delle società ed enti cooperativi di produzione e lavoro per i corrispettivi dei servizi prestati e della vendita dei manufatti;

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5-bis) i crediti delle società cooperative agricole e dei loro consorzi per i corrispettivi della vendita dei prodotti;5-ter) i crediti delle imprese fornitrici di lavoro temporaneo di cui alla legge 24 giugno 1997, n. 196, per gli oneri retributivi e previdenziali addebitati alle imprese utilizzatrici.

2778. Ordine degli altri privilegi sui mobili (2)(9)(8).Salvo quanto è disposto dall’articolo 2777, nel concorso di crediti aventi privilegio generale o speciale sulla medesima cosa, la prelazione si esercita nell’ordine che segue:1) i crediti per contributi ad istituti, enti o fondi speciali - compresi quelli sostitutivi o integrativi - che gestiscono forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, indicati dall’articolo 2753;2) i crediti per le imposte sui redditi immobiliari, indicati dall’articolo 2771, quando il privilegio si eser-cita separatamente sopra i frutti, i fitti e le pigioni degli immobili;[3) i crediti degli istituti esercenti il credito agrario, indicati dai due primi commi dell’articolo 2766;]4) i crediti per prestazioni e spese di conservazione e miglioramento di beni mobili, indicati dall’articolo 2756;5) i crediti per le mercedi dovute ai lavoratori impiegati nelle opere di coltivazione e di raccolta, indicati dall’articolo 2757;6) i crediti per sementi e materie fertilizzanti e antiparassitarie e per somministrazione di acqua per irrigazione, nonché i crediti per i lavori di coltivazione e di raccolta indicati dall’articolo 2757. Qualora tali crediti vengano in concorso tra loro, sono preferiti quelli di raccolta, seguono quelli di coltivazione e, infine, gli altri crediti indicati dallo stesso articolo;7) i crediti per i tributi indiretti, indicati dall’articolo 2758, salvo che la legge speciale accordi un diverso grado di preferenza, e i crediti per le imposte sul reddito, indicati dall’articolo 2759;8) i crediti per contributi dovuti a istituti ed enti per forme di tutela previdenziale e assistenziale indi-cati dall’articolo 2754, nonché gli accessori, limitatamente al cinquanta per cento del loro ammontare, relativi a tali crediti ed a quelli indicati dal precedente n. 1) del presente articolo;[9) i crediti degli istituti esercenti il credito agrario, indicati dal terzo comma dell’articolo 2766;]10) i crediti dipendenti da reato, indicati dall’articolo 2768, sulle cose sequestrate, nei casi e secondo l’ordine stabiliti dal codice penale e dal codice di procedura penale;11) i crediti per risarcimento, indicati dall’articolo 2767;12) i crediti dell’albergatore, indicati dall’articolo 2760;13) i crediti del vettore, del mandatario, del depositario e del sequestratario, indicati dall’articolo 2761;14) i crediti del venditore di macchine o della banca per le anticipazioni del prezzo, indicati dall’articolo 2762;15) i crediti per canoni enfiteutici, indicati dall’articolo 2763;16) i crediti del locatore e i crediti del concedente dipendenti dai contratti di mezzadria e colonia, indi-cati rispettivamente dagli articoli 2764 e 2765;17) i crediti per spese funebri, d’infermità, per somministrazioni ed alimenti, nell’ordine indicato dall’ar-ticolo 2751;18) i crediti dello Stato per tributi diretti, indicati dal primo comma dell’articolo 2752;19) i crediti dello Stato indicati dal terzo comma dell’articolo 2752;20) i crediti degli enti locali per tributi, indicati dal quarto comma dell’articolo 2752 .

Legge n.428/90

47.Trasferimentidiazienda.1. Quando si intenda effettuare, ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile, un trasferimento d’azienda in cui sono complessivamente occupati più di quindici lavoratori, anche nel caso in cui il trasferimento

Normativa

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riguardi una parte d’azienda, ai sensi del medesimo articolo 2112, il cedente ed il cessionario devono darne comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni (20)prima che sia perfezionato l’atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un’intesa vincolante tra le parti, se precedente, alle ri-spettive rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali costituite, a norma dell’articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nelle unità produttive interessate, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali, resta fermo l’obbligo di comu-nicazione nei confronti dei sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi e può essere assolto dal cedente e dal cessionario per il tramite dell’associazione sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato. L’informazione deve riguardare: a) la data o la data proposta del trasferimento; b) i motivi del programmato trasferimento d’azienda; c) le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori; d) le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi.2. Su richiesta scritta delle rappresentanze sindacali o dei sindacati di categoria, comunicata entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 1, il cedente e il cessionario sono tenuti ad avviare, entro sette giorni dal ricevimento della predetta richiesta, un esame congiunto con i soggetti sindacali richiedenti. La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo.3. Il mancato rispetto, da parte del cedente o del cessionario, degli obblighi previsti dai commi 1 e 2 costituisce condotta antisindacale ai sensi dell’articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300.4. Gli obblighi d’informazione e di esame congiunto previsti dal presente articolo devono essere assolti anche nel caso in cui la decisione relativa al trasferimento sia stata assunta da altra impresa control-lante. La mancata trasmissione da parte di quest’ultima delle informazioni necessarie non giustifica l’inadempimento dei predetti obblighi.4-bis. Nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupa-zione, l’articolo 2112 del codice civile trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’ac-cordo medesimo qualora il trasferimento riguardi aziende:a) delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi dell’articolo 2, quinto comma, lettera c), della legge 12 agosto 1977, n. 675;b) per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria, ai sensi del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività;b-bis) per le quali vi sia stata la dichiarazione di apertura della procedura di concordato preventivo;b-ter) per le quali vi sia stata l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.5. Qualora il trasferimento riguardi o imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fal-limento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all’amministrazione stra-ordinaria, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l’acquirente non trova applicazione l’articolo 2112 del codice civile, salvo che dall’accordo risultino condizioni di miglior favore. Il predetto accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale ecceden-tario e che quest’ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell’alienante.6. I lavoratori che non passano alle dipendenze dell’acquirente, dell’affittuario o del subentrante hanno diritto di precedenza nelle assunzioni che questi ultimi effettuino entro un anno dalla data del trasfe-rimento, ovvero entro il periodo maggiore stabilito dagli accordi collettivi. Nei confronti dei lavoratori predetti, che vengano assunti dall’acquirente, dall’affittuario o dal subentrante in un momento succes-sivo al trasferimento d’azienda, non trova applicazione l’articolo 2112 del codice civile.

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D.Lgs. n.124/2004 - Estratto

Art.11.Conciliazionemonocratica.1. Nelle ipotesi di richieste di intervento ispettivo alla direzione provinciale del lavoro dalle quali emer-gano elementi per una soluzione conciliativa della controversia, la Direzione provinciale del lavoro ter-ritorialmente competente può, mediante un proprio funzionario, anche con qualifica ispettiva, avviare il tentativo di conciliazione sulle questioni segnalate.2. Le parti convocate possono farsi assistere anche da associazioni o organizzazioni sindacali ovvero da professionisti cui abbiano conferito specifico mandato.3. In caso di accordo, al verbale sottoscritto dalle parti non trovano applicazione le disposizioni di cui all’ articolo 2113, commi primo, secondo e terzo del codice civile.3-bis. Il verbale di cui al comma 3 è dichiarato esecutivo con decreto dal giudice competente, su istanza della parte interessata.4. I versamenti dei contributi previdenziali e assicurativi, da determinarsi secondo le norme in vigore, riferiti alle somme concordate in sede conciliativa, in relazione al periodo lavorativo riconosciuto dalle parti, nonché il pagamento delle somme dovute al lavoratore, estinguono il procedimento ispettivo. Al fine di verificare l’avvenuto versamento dei contributi previdenziali e assicurativi, le direzioni provinciali del lavoro trasmettono agli enti previdenziali interessati la relativa documentazione.5. Nella ipotesi di mancato accordo ovvero di assenza di una o di entrambe le parti convocate, attestata da apposito verbale, la direzione provinciale del lavoro dà seguito agli accertamenti ispettivi.6. Analoga procedura conciliativa può aver luogo nel corso della attività di vigilanza qualora l’ispetto-re ritenga che ricorrano i presupposti per una soluzione conciliativa di cui al comma 1. In tale caso, acquisito il consenso delle parti interessate, l’ispettore informa con apposita relazione la Direzione provinciale del lavoro ai fini dell’attivazione della procedura di cui ai commi 2, 3, 4 e 5. La convocazione delle parti interrompe i termini di cui all’articolo 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689, fino alla conclusione del procedimento conciliativo.

Art.12.Diffidaaccertativapercreditipatrimoniali.1. Qualora nell’àmbito dell’attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro, il personale ispettivo delle Direzioni del lavoro diffida il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti.2. Entro trenta giorni dalla notifica della diffida accertativa, il datore di lavoro può promuovere tenta-tivo di conciliazione presso la Direzione provinciale del lavoro. In caso di accordo, risultante da verbale sottoscritto dalle parti, il provvedimento di diffida perde efficacia e, per il verbale medesimo, non trova-no applicazione le disposizioni di cui all’ articolo 2113, commi primo, secondo e terzo del codice civile.3. Decorso inutilmente il termine di cui al comma 2 o in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, attestato da apposito verbale, il provvedimento di diffida di cui al comma 1 acquista, con provvedimen-to del direttore della Direzione provinciale del lavoro, valore di accertamento tecnico, con efficacia di titolo esecutivo.4. Nei confronti del provvedimento di diffida di cui al comma 3 è ammesso ricorso davanti al Comitato regionale per i rapporti di lavoro di cui all’articolo 17, integrato con un rappresentante dei datori di la-voro ed un rappresentante dei lavoratori designati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale. In mancanza della designazione entro trenta giorni dalla richiesta di nomina, il Comitato decide il ricorso nella sua composizione ordinaria. I ricorsi vanno inoltrati alla direzione regionale del lavoro e sono decisi, con provvedimento motivato, dal Comitato nel termine di novanta giorni dal ricevimento, sulla base della documentazione prodotta dal ricorrente e di quella in possesso dell’Amministrazione. Decorso inutilmente il termine previsto per la decisione il ricorso si intende respinto. Il ricorso sospende l’esecutività della diffida.