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VINO – SPECIALE EST EUROPA - VINO 09 gennaio 2012 LE STRADE DEI VINI DELLA SERBIA Aperto un nuovo scrigno dell’enoturismo nell’Est

In un articolo di nove anni fa avevo soltanto accennato ai vini delle repubbliche balcaniche sorte dal crollo della Jugoslavia. A causa del disastro economico post-bellico, aggravato da decenni di completo isolamento, c’è voluto molto tempo prima di riprendere quel discorso. D’altronde quelle popolazioni hanno dovuto affrontare con enorme coraggio il livello di povertà in cui versava il Paese, dopo una guerra che aveva distrutto molto di più delle strutture, fin nel profondo dell’animo della gente. Allora occorrevano aiuti umanitari perfino per le cose più elementari della vita come viveri, carburanti, medicine, vestiario e sostegno psicologico. Mi era davvero impossibile tracciare una mappa dei vini da consigliare, poiché in quasi tutte le vigne si rinvenivano ancora i proiettili di uranio impoverito e la superficie vitata per la produzione di vino era crollata da oltre 100.000 ettari a soli 16.000. In questo decennio è riuscita faticosamente a riassestarsi su valori normali. Secondo una relazione di quattro ricercatori del Dipartimento di Chimica della Facoltà di Scienze e Matematica dell’Università di Niš, oggi in Serbia ci sono circa 82.000 ettari di superficie vitata (per l’85% circa di proprietà privata) che danno annualmente quasi 2 milioni di hl di vino.

Le tappe fondamentali di questa ripresa sono state: la revoca delle sanzioni economiche contro la Serbia nel 2003, il Decreto del Ministero dell’Agricoltura nel 2005 che disponeva l’affitto ai privati mediante gara delle vigne dei kombinat statali, i sussidi governativi del 2005 fino al 100% per ogni vite appena piantata e dal 30 al 40% dei prestiti non rimborsabili per acquisti tecnologici, la nascita dell’Associazione dei viticoltori e dei produttori di vino nel 2008, la nuova legge vinicola nel 2009. Così la Serbia si è finalmente rimessa in pista nella coltivazione dell’uva e nella produzione di vini di qualità. Il resto c’era già tutto, poiché la Serbia è situata alla stessa latitudine geografica delle più importanti regioni vinicole francesi ed è anch’essa un paese di potenziali grandi vini.

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La Serbia ha, infatti, delle condizioni pedoclimatiche ideali per la vite: il clima è continentale temperato a nord, con inverni freddi, estati calde, umide e piogge regolari, mentre a sud è marino adriatico, con estati calde e secche, autunni e inverni relativamente freddi. Le precipitazioni annue variano da 600 a 800 mm in pianura e da 800 a 1.200 mm in montagna. Le prime tracce di vitivinicoltura sono state trovate nella pianura pannonica e risalgono all’età del bronzo e a quella del ferro.

L’imperatore romano Domiziano aveva introdotto un regime di monopolio legale che è rimasto in vigore fino a Marco Aurelio Probo, nato qui proprio a Sirmium (l’odierna Sremska Mitrovica) e che, piantando la vite sulle colline di Fruška Gora, ha collegato il suo nome all’inizio della vitivinicoltura in questo Paese. La storia vinicola serba risale alla notte dei tempi, con un grande sviluppo nell’VIII e IX secolo, ma soprattutto durante il dominio della dinastia Nemanjić tra l’XI e il XIV secolo. Nel 1349, fra le altre 200 leggi raccolte nel Codice Dušan dall'imperatore Stefano Uroš IV Dušan Nemanjić, c’era anche quella in materia di vinificazione e di qualità del vino.

Quando le terre meridionali serbe furono occupate dai Turchi, i Serbi migrarono a nord e il centro della vitivinicoltura diventò Kruševac. Durante la dominazione turca fu distrutta gran parte dei vigneti, perché il consumo di alcol da parte dei mussulmani era proibito. Le cose si ribaltarono dopo la liberazione dai Turchi, quando in Serbia iniziò uno sviluppo intensivo della vitivinicoltura, che diventò il settore economico più importante. Nel 1848, durante il dominio asburgico, iniziò la produzione di vino su vasta scala con la cantina Navip e nel momento in cui la fillossera devastò i vigneti di Francia, la Serbia divenne un Paese produttore ed esportatore di vino.

All'inizio del ventesimo secolo, il re Pietro I di Serbia e suo figlio Alessandro I di Jugoslavia possedevano decine di ettari di vigneti e una cantina nella Serbia centrale, sulla collina di Oplenac a Topola, da cui producevano vini di qualità. La Krajina (termine serbocroato che definiva la Serbia come zona di frontiera tra l’Impero asburgico e i possedimenti ottomani) esportava vini di qualità fin dagli anni settanta del XIX secolo verso i mercati di Francia, Austria, Ungheria, Germania, Russia, Svizzera, Romania e altri paesi. Allora era molto famoso il Bermet, un vino liquoroso prodotto soltanto in Serbia, in particolare in Vojvodina, che è fatto ancora oggi allo stesso modo, con la macerazione nel vino di venti erbe e spezie diverse. Può essere fatto da uve rosse o bianche, anche se alcuni produttori lo fanno con uve sia rosse sia bianche. La ricetta esatta è però segreta e viene tramandata di generazione in generazione soltanto da una manciata di famiglie. Alla base del rosso si dice che vi siano uve di Portugieser o di Merlot, mentre alla base del bianco c’è l’uva Župljanka. Il Bermet bianco era molto popolare fra gli aristocratici dell’impero austro-ungarico ed era regolarmente esportato verso la corte di Vienna in grandi quantità.

Alcuni Bermet erano stati perfino inclusi nella carta dei vini del Titanic e 150 anni fa risultavano già esportati verso gli USA. Per quanto riguarda il gusto, il Bermet è dolce, ma non troppo, è molto denso, ricco di aromi di noci, castagne e confetture di frutta matura. Oggi però in Serbia si producono almeno altri 700 tipi di vino, sia di largo consumo sia di qualità. La maggior parte dei vigneti si trova lungo i bacini di grandi fiumi come il Danubio, con gli affluenti Tisa e Sava a nord e la Morava (velika in centro, zapadna a ovest e južna a sud). La diversità del microclima si riflette nei vari vini. Nel nord vengono meglio i vini bianchi, varietali, dalle tonalità brillanti tra il paglierino e il verdolino, di sapore in genere secco, leggeri, moderatamente alcolici. Nella Serbia centrale sono state ricreate moltissime vigne dopo la guerra, con una vasta gamma di uve bianche (in maggioranza Riesling Italico e Riesling Renano, Sauvignon, Chardonnay) e rosse (in maggioranza Pinot Nero, Gamay, Frankovka).

Nel sud vengono meglio i vini rossi da Cabernet Sauvignon e Merlot. Il modo migliore per gustarli tutti è affidarsi all’enoturismo. Molte zone vitivinicole organizzano, specialmente durante la vendemmia, feste, fiere e mostre dedicate al vino, abbinato alle numerose specialità della cucina serba. Gli eventi principali lungo l’arco dell’anno, da non perdere, sono i seguenti: in febbraio e settembre a Irig e Knjaževac, in marzo a Vrdnik, in aprile a Novi Sad, in maggio a Belgrado, in settembre ad Apatin, Palić, Vršac, Aleksandrovac, Sremski Karlovci, Irig, Smederevo e Knjaževac, in ottobre e in Novembre a Topola e Belgrado, in novembre a Belgrado. Le regioni vinicole sono otto, suddivise in varie denominazioni che corrispondono in genere al comune principale.

Da nord a sud: Subotica - Horgoš (Hajdukovo, Palić, Subotica, Čoka, Feketić, Temerin); Srem (Sremski Karlovci, Banostor, Irig); Banat (Vršac, Veliko Središte, Gudurica); Pocerje (Valjevo); Šumadija - Velika Morava (Smederevo, Topola, Požarevac, Krnjevo, Arandjelovac); Timok (Rajac, Smedovac, Rogljevo, Knjaževac); Nišava - Južna Morava; Zapadna Morava (Kruševac, Bučje, Trstenik, Aleksandrovac, Tržac, Trnavci, Donje Zleginje, Gornje Zleginje). Le strade del vino in queste zone si stanno sviluppando molto. Ogni regione vinicola ne ha almeno una che raggiunge tutti i luoghi in cui il vino può essere degustato e acquistato, in maggioranza piccole aziende fra i loro vigneti dove gli enoturisti sono sempre benvenuti, ben accolti e spesso rifocillati con pane, formaggio, salumi o altre specialità tradizionali per degustare meglio i vini.

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Alcune di queste si trovano in zone ideali per il riposo in un ambiente tranquillo. Accenno perciò ad alcune delle prime strade che sono state realizzate (maggiori informazioni turistiche le trovate qui).

Strada del vino di Palić I 24.000 ettari di vigneti di questa zona si trovano tra Subotica e Kanjiza, al confine con l’Ungheria, sui terreni sabbiosi che costituivano il fondo del preistorico mare pannonico, perciò i loro vini sono popolarmente conosciuti come “vini delle sabbie”. Buoni i rossi Ždrepčeva Krv, Kadarka, Frankovka, Pinot Nero, Merlot e i bianchi Kevedinka, Ezerjo, Župljanka, Muscat Croquant, Muscat Ottonel, Pinot grigio e Pinot bianco. A Palić, Čoka e Biserno Ostrvo (vicino a Novi Bečej) ci sono le tre cantine più antiche, la spina dorsale della vitivinicoltura in questa zona. Fra i piatti tipici con cui abbinare i buoni vini locali ci sono il gulasch, il perkelt, il galletto e quelli del gruppo etnico dei Bunjevci che sono molto ricercati nelle trattorie del centro storico di Subotica. Palic è anche una delle mete turistiche più popolari della Serbia; ci sono le terme, un parco barocco, il lago Ludas (riserva naturale) e un gran numero di aziende agricole nei dintorni, tra cui un allevamento di struzzi e uno di cavalli.

Strada del vino di Sremski Karlovci. Nell’agro di questo pittoresco villaggio a pochi km da Novi Sad, sul Danubio, sui pendii e sugli altopiani di Fruška Gora, la vitivinicoltura è una delle più antiche d’Europa, sebbene si estenda per meno di 800 ettari. Si trovano i rossi Vranac, Portugieser, Francovka, Prokupac e i bianchi (anche ibridi) Plemenka, Traminac, Silvanac Zeleni, Buvije, Neoplanta, Petra, Liza, Sila, Sirmijum, ma sono universalmente molto apprezzati soprattutto il Rizling Italijanski e il Rizling Rajnski. Fra i piatti tipici con cui abbinarli ci sono il pescato fresco del Danubio, le zuppe di pesce, i latticini e i formaggi di Fruška Gora e la salsiccia locale. Sremski Karlovci è una perla rara della cultura serba, con un bel centro barocco, l’imponente fortezza di Petrovaradin, il parco di Fruška Gora e il lago Ledinci.

Strada del vino di Vršac È una zona dove a cercare vino rosso c’è da farsi venire il latte alle ginocchia, anche se i fortunati possono trovare del buon Ružica. In questi 2.100 ettari di vigneti sulle ultime pendici dei Carpazi al confine con la Romania dominano, infatti, i bianchi, come Rizling Italijanski, Rizling Rajnski, Muscat Ottonel, Chardonnay, Pinot Bianco, Šasla, Kreaca, Smederevka, Župljanka, Slankamenka e Rkaciteli, da abbinare a insaccati e formaggi locali. La qualità delle uve è veramente ottima grazie al costante arieggiamento sostenuto dal vento fresco Košava, che soffia per 260 giorni l’anno da sud-est e protegge naturalmente le viti da molte malattie e da vari parassiti, al punto che nel XIX secolo, quando non si facevano trattamenti fitosanitari, qui c’era il vigneto più esteso della Serbia, uno dei maggiori d’Europa, con oltre 10.000 ettari.

I terreni sono argillosi, strappati alle foreste, ma anche sabbiosi e il clima è tipicamente continentale. Da visitare la cantina Vršački Vinogradi, che è una vera attrazione architettonica ed è una delle tre più grandi del mondo, oltre al monastero di Mesić.

Strada del vino di Smederevo La vitivinicoltura di Smederevo, a una quarantina di km da Belgrado, risale all’imperatore romano Probo e ha avuto grande sviluppo nel medioevo con i re Stefan Lazarević e Đurađ Branković, ma soprattutto all’inizio del XIX secolo con il principe Miloš Obrenović. Questa zona è bagnata da un lato dal Danubio e dall’altro dalla Velika Morava, che temperano molto il clima su queste terre brune strappate alle foreste, dove prosperano circa 500 ettari di vigneti. Le varietà principali di uva sono quelle bianche, come l’autoctona Smederevka con Chardonnay, Rizling Rajnski che dominano quelle rosse come Merlot, Cabernet Sauvignon e Prokupac. Le pietanze tipiche con cui abbinare i vini sono a base di carne come musaka, sarma e podvarak, oppure con uova e formaggio, come la gibanica. Vale la pena visitare la fortezza di Smederevo, i vigneti Plavinac, la casa di campagna degli Obrenović, il vigneto e la villa Zlatni Breg, il monastero di Korpino e la bella cittadina di Bela Crkva che si trova poco più a sud, vicino al confine rumeno, detta “la Venezia della Vojvodina” per i fiumi, canali e laghetti che la circondano.

Strada del vino di Topola È dagli inizi del XV secolo che, sotto il regno di Stefan Lazarević, secondo il reportage del guascone Bertrandon De La Broquière, si coltiva la vite e si fa il vino sulle alture di Oplenac, Prokop, Kosmaj, Rudnik e Venčac, intorno a Topola, a un’ottantina di km da Belgrado. Il 1903 è stato l’anno cruciale per i 1.500 ettari di vigneti di questa zona: nel villaggio di Banja nacque la cantina cooperativa Navip - Venčački Vinogradi, nota per la produzione di vini spumanti, cui nel 1929 si associò anche il re Alessandro I di Jugoslavia. Il clima è temperato e i suoli sono argillosi, alluvionali, molto adatti per le uve rosse Vranac, Prokupac e per quelle bianche Rizling Italijanski, Rizling Rajnski, Smederevka, Muscat Hamburg, Sauvignon Blanc, Chardonnay.

La cucina locale offre numerosi piatti tipici con cui abbinarli, dal kebab ai vari tipi di burek, dalla pita fino ai cevapcici. Da visitare la residenza estiva della dinastia Karađorđević, la chiesa di San Giorgio e le terme di Bukovička Banja vicine ad Aranđelovac.

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Strada del vino di Rajac La vitivinicoltura di questa zona circondata dalle montagne Miroč, Crni Vrh e Deli Jovan, tra il Danubio e il Timok, risale all’epoca romana e in particolare al III secolo. Rajac, a una ventina di km da Negotin, è un piccolo villaggio noto per le sue cantine storiche, che sono comprese nell’elenco dei monumenti culturali di eccezionale importanza per la Serbia. Si tratta di un complesso architettonico unico, costruito nel periodo tra la seconda metà del XVIII secolo fino agli inizi del XX, formato da un gruppo di 270 pittoresche cantine intorno alla piazza centrale, costruite in pietra (ne sono rimaste attive una sessantina di 316 che furono). In questa zona si fanno dei profumati vini rossi con Prokupac, Gamay, Pinot Nero e dei buoni bianchi con Bagrina, Smederevka, Sémillon, Rizling Italijanski e Sauvignon.

I piatti tipici cui abbinarli sono mussaka e sarma. Oltre alle pittoresche cantine, sono da visitare i monasteri di Bukovo e Vratna e le cascate della Sikolska.

Strada del vino di Knjaževac La viticoltura e la produzione del vino nei mille ettari di vigneti di Knjaževac risalgono all’epoca romana, come testimonia il vicino sito archeologico di Timacum Minus, dove c’è una statua di Dioniso. Sulle alture di Džervinovo ci sono i vigneti più antichi, con i rossi Plovdina e Prokupac che convivono nella zona con Pinot nero e Vranac e con i bianchi Rizling Italijanski e Smederevka, da abbinare con l’agnello, le carni affumicate, il prosciutto, i fagioli al forno prebranac e i formaggi dei pastori. Nel bacino del Timok e dei suoi affluenti la coltivazione della vite è favorita dal clima, che è continentale temperato, caratterizzato da estati calde e inverni freddi, su tre principali tipi di terreno: depositi alluvionali, sedimenti lacustri e rocce calcaree.

Knjaževac si trova nella parte orientale della Serbia, al confine con la Romania, ha un bel museo della vite e del vino ed è circondata da catene montuose in cui si trova la vetta più alta della Serbia, il monte Midžor (2.169 m.), nella Stara Planina. Il mio giovane amico Bojan, che viene da qui e precisamente da Pirot, consiglia questa bella zona di montagna per escursioni e vacanze rilassanti.

Strada del vino di Aleksandrovac Sulla base delle ricerche storiche e archeologiche si può dire che la vitivinicoltura di questa zona risale a circa 3.000 anni fa. Si dice che il clima è lo stesso di Bordeaux e che sicuramente qui, nel bacino della Morava occidentale, ci sono le condizioni pedoclimatiche migliori di tutta la Serbia per la coltivazione della vite. I vigneti si estendono su circa 2.500 ettari, con i vitigni rossi Prokupac e Župski Bojadiser e i bianchi Smederevka, Sauvignon, Sémillon, Župljanka, Neoplanta, Chardonnay, Italijanski Rizling e Tamnjanika (o Tamjanika), che è una locale varietà di moscato. Ogni anno, durante la vendemmia, almeno cinquanta produttori di vino organizzano tre giorni di festival, innaffiando di vino i piatti tradizionali come gibanica, sarma, musaka e agnello.

L'offerta turistica di Aleksandrovac è arricchita dal parco del Kopaonik, dalle terme di Jošanička Banja e Vrnjačka Banja, due fra i centri turistici più noti della Serbia e dalla pittoresca valle del fiume Samokovska.

Mario Crosta

VINO – SPECIALE EST EUROPA - VINO 07 febbraio 2012

LA RINASCITA SILENZIOSA DEI VINI DI SERBIA Notevoli risultati in dieci anni di sforzi per la qualità

Come ho già scritto nell'articolo precedente, mi è stato davvero impossibile tracciare una prima mappa dei vini serbi da consigliare; dopo l’ultimo conflitto era crollata la superficie vitata per la produzione di vino da oltre 100.000 ettari a soli 16.000 e in quasi tutte le vigne si rinvenivano ancora i proiettili di uranio impoverito. C’è voluto un decennio affinché la Serbia riuscisse faticosamente a riassestarsi su valori normali e a rimettersi finalmente in pista nella coltivazione dell’uva e nella produzione di vini di qualità. Adesso che il consumo del vino in Serbia è aumentato di 400 volte rispetto a 5 anni fa, ci si può congratulare davvero con i vignaioli di quel bel Paese dei Balcani che si sono riaffacciati nei concorsi internazionali con dei vini interessanti e che si possono visitare grazie all’apertura di un numero sempre crescente di strade del vino e. Mi sembra giusto dar loro una mano anche da queste colonne, con tutti i sacrifici che hanno dovuto fare. Perciò incomincio a citarne qualcuno e a descrivere alcuni dei loro vini bandiera, ma inviterei tutti i lettori che hanno potuto accertarsi, come me, di questo positivo risveglio a intervenire direttamente, scrivendomi le loro impressioni, i loro suggerimenti, le loro critiche, i loro racconti.

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Poiché la Serbia è un mondo che sta schiudendosi all’Occidente, c’è un gran bisogno di radunare tutte le esperienze e le conoscenze che la riguardano e che in questo momento possono essere ancora frammentarie. Assicuro che cercherò di proseguire ancora sull’argomento con l’aiuto di tutti quelli che vorranno fornirmelo. La prima buona notizia, intanto, è che si può prendere contatto con l’Associazione dei Sommelier della Serbia, nata cinque anni fa, che ha una sede a Belgrado (SERSA - Udruženje građana profesionalnih somelijera Srbije, Borska 13b/32, 11090 Belgrado, SERBIA, Tel. +381.11.3511282 e +381.64.2292289). Nel suo sito troverete tutti i recapiti e-mail necessari e alcuni link interessantissimi. Raccoglie più di ottanta associati attivi e fin qui ha formato un paio di centinaia di sommelier a livello professionale, alcuni dei quali lavorano anche all’estero con grandi soddisfazioni e proprio lì stanno aumentando le proprie conoscenze ed esperienze, per riportarle poi nel loro Paese d’origine. L’altra buona notizia sono le medaglie e i riconoscimenti internazionali che stanno sempre più conquistando i vignaioli e i loro migliori vini anche in Occidente e in particolare vorrei citare i seguenti, in rigoroso ordine alfabetico: Aleksandrović, Dibonis, Janko, Jelić, Kiš, Mačkov, Radovanović, Rajković, Rubin, Vinski Dvor Altri che varrebbero sicuramente una visita e tanti assaggi sono, sempre in ordine alfabetico: Čoka, Dulka, Herceg, Ivanović, Jović, Kosović, Kovačević, Krstov, Miletić, Minića, Navip, Radenković, Srpska Tradicija, Trvdoš, Vila Vinum, Vindulo, Vinik, Vino Grade, Vinskisalaš, Vinum, Vinum Lodi, Vršaćki Vinogradi Tra tutti questi produttori di cui potrete visitare i siti, spenderei qualche parola in più per quelli che si sono già fatti valere nelle manifestazioni internazionali, in cui è stato possibile anche degustare i loro vini.

Aleksandrović, in regione Šumadija - Velika Morava Podrum Aleksandrović è una cantina del villaggio di Vinca, vicino a Topola, che appartiene a una famiglia con una lunga tradizione di vinificazione, nel mondo del vino fin dal 1903 con Miloš Aleksandrović, che è stato uno dei fondatori della cooperativa di Vinča, ma che era emigrato in Canada con l’avvento del regime titino. Quando hanno ricominciato di nuovo nel 1991, sono riusciti a ricostruire la loro cantina fino a produrre da 2.000 a 3.000 ettolitri l'anno dai 20 ettari di cui sono proprietari, nonché da uve provenienti da altri vignaioli della zona. Fanno una bella gamma di vini, tra cui un buon Regent, l’Oplenac (od Oplen, da Riesling Italico e renano), il Varijanta (da Moscato d’Amburgo), l’Harizma (da Chardonnay), l’Euforija, il Rodoslov, ma soprattutto i bianchi del marchio Trijumf, sia da Sauvignon Blanc (il miglior vino già ai tempi del re Petar Aleksandar Karađorđević, ampiamente conosciuto presso tutte le corti europee prima della seconda guerra mondiale), sia da Chardonnay. L’Oplenac mi è piaciuto: molto pulito, risplendente, di buon corpo, dagli aromi fruttati meravigliosamente equilibrati, un sapore né troppo marcato né troppo morbido e un tenore alcoolico del 13,2%. Il Trijumf ha un bel naso floreale, è molto scintillante, dal naso fine, di classe. Ce n’è anche una versione metodo classico da uve Chardonnay con una rifermentazione minima 15 mesi, la cui prima serie di 13.000 bottiglie, presentata il 25 agosto 2010, è nata con la vendemmia 2008, grazie alla collaborazione con l’enologo champenois Pierre Yves Boumerias.

Kovačević, in regione Srem La Vinarija Kovačević è un’azienda che ha una tradizione di coltivazione della vite e di produzione di vino di oltre 100 anni e si trova in una zona pittoresca di Irig, presso la chiesa ortodossa, non lontano dal centro della città. Possiede 10 ettari di vigneti situati sulle pendici meridionali delle colline della Fruška Gora. Nel 2001 hanno completato la costruzione della nuova cantina ben attrezzata per una produzione moderna, con tutti gli impianti realizzati secondo i postulati della moderna tecnologia. Produce circa 350.000 bottiglie tra Riesling Renano, Sauvignon, Chardonnay, Rosetto (Cabernet Sauvignon rosato) e ha lanciato la produzione di spumanti metodo classico. Fa anche un Bermet dorato, tradizionale vino liquoroso aromatizzato con le erbe fini della Fruška Gora, dal tenore alcoolico 17%, da servire leggermente fresco come accompagnamento dei dessert.

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Jelić, in regione Pocerje. Questa cantina del villaggio di Bujačić, vicino a Valjevo, si trova alle pendici dei monti Valjevo nella Serbia occidentale, in condizioni microclimatiche ideali per la coltivazione della vite, ed è stata fondata da Milijan Jelić nel 2002 su una superficie di oltre 20 ettari, dove dominano i vitigni bianchi Morava, Chardonnay, Sauvignon Blanc, Pinot Grigio, Petka e i rossi Pinot Nero, Prokupac e Merlot. Di fama mondiale ho annotato il Morava e il Mammoth Pinot Noir. Il primo vino commerciale fatto qui nel 2005, il bianco Tamuz Morava, vinse subito il titolo dei bianchi alla fiera di Novi Sad già l'anno successivo, nel 2006. È di colore giallo paglierino con riflessi argentati, intensi aromi di buone erbe e fiori di campo essiccati, freschezza eccellente, fragranza di pesca bianca e lici, un corpo medio con finale gradevole e succoso, tenore alcoolico 13%. Fra i vini fatti da Jelić ci sono anche il taglio bordolese Millennium, i popolari Riesling Renano, Chardonnay, Belle Epoque e due buoni Tamuz rosé da Pinot Noir e da Cabernet.

Radenković, in regione Zapadna Morava. WinEco, meglio conosciuta come Podrum Radenković, è una delle migliori cantine non solo della regione di Župa, ma anche di tutta la Serbia. Fondata da Milun Radenković (1854-1913), si è sviluppata con suo nipote Đorđe Radenković (1907-1976) che al suo ritorno in Serbia dopo gli studi di enologia a Bordeaux ha partecipato alla fondazione delle più grandi aziende del vino serbo, come Navip e Rubin, creando anche il famoso brandy serbo, il popolare Vinjak. Utilizzando sia la tecnologia avanzata moderna sia le conoscenze tradizionali, produce alcuni vini veramente eccezionali, come: Chardonnay, Riesling Renano e Sauvignon, dalle sue tenute di Ada nell’isola di Biserno sul fiume Tisa, circa 30 ettari. Possiede vigneti anche a Trnavci, dove produce due vini con 60% Prokupac, 20% Cabernet Sauvignon, 20% Merlot (tutte provenienti per il 60% da uve locali e per il 40% da uve della regione Povardarje in Macedonia): il rosso Carigrad e il rosato Ruška.

Radovanović, in regione Šumadija - Velika Morava. La cantina Mali Podrum Radovanović si trova sui versanti ben soleggiati attorno al villaggio di Krnjevo, nei pressi di Velika Plana. Il titolare, Miodrag Mija Radovanovic, l’ha fondata nei primi anni del 1990 dopo una vasta esperienza come manager della produzione di vino della grande cantina NAVIP. Oggi produce oltre 400.000 bottiglie di vino l'anno. In quanto ad attrezzature, impianti e competenza non ha nulla da invidiare alle grandi cantine di Francia, Spagna o Italia. Vitigni principali: Riesling Renano, Chardonnay, Cabernet Sauvignon, con una caratteristica consistenza del gusto, che è stata il motivo principale del successo di questi vini squisiti, diventati un sinonimo di buon vino tra tutti gli appassionati del vino serbo.

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Rubin, in regione Zapadna Morava. È il caso più interessante di una cooperativa statale che, dopo aver resistito a lungo alle privatizzazioni iniziate dovunque nel 1990, alla fin fine è stata acquistata nel 2005 dalla compagnia INVEJ di Belgrado. A Kruševac produce tre milioni di bottiglie vino l’anno, acquistando le uve da tutta la regione e perfino dalla Macedonia e dai suoi vigneti del Kosovo. Data la vasta scala e le precedenti consuetudini, ci si aspetterebbe una minore attenzione per la qualità e invece, incredibilmente, i suoi vini, in particolare quelli della linea Terra Lazarica, sono più che buoni e degni di ogni attenzione. Il Sauvignon Blanc, per esempio, con un fruttato corposo, beverino, equilibrato, fine, di buon corpo. Ce n’è anche una versione da vendemmia tardiva, da uve stramature vinificate in rovere nuovo sui propri lieviti, sorprendente negli aromi di frutta esotica, miele e vaniglia: ottimo a 4-6 ºC con antipasti e formaggi dai sapori forti, dolci e frittelle viene prodotto in partite limitate. Il Cabernet Sauvignon è però più emozionante, con un bel naso floreale che è anche molto pulito e fresco, qualcosa di simile a un buon Bordeaux. Di struttura non imponente come il naso, ha una tessitura raffinata che si armonizza con una bella terrosità ed è levigato, anche se i tannini lo rendono asciutto come pochi. Prezzi decisamente abbordabili.

Dulka, in regione Srem. Nell’agro della bellissima città di Sremski Karlovci in Fruška Gora, è dal 1880 che la famiglia Dunka si occupa di agricoltura e frutticoltura, iniziando a fare seriamente vino dal 1920 e resistendo ostinatamente al regime titino. Oggi, con Đorđe Dragojlović, in 8 ettari di vigneto produce circa 360 ettolitri di buoni vini Župljanka, Cabernet Sauvignon, Riesling Italico e 50 ettolitri del famoso vino liquoroso Bermet (un gioiello che ha fornito in passato anche alla corte di Vienna) sotto la supervisione della facoltà di Enologia dell’università di Novi Sad. Il Bermet è ottenuto solo da uve dei vigneti della collina arricchite fino a un quarto con erbe medicinali e aromatiche, tra cui l’assenzio. È prodotto, ma con un maggior tenore alcoolico, anche da poche altre aziende, mentre in questa cantina rivela tutto il suo spessore a un tenore soltanto del 16%: il Bermet rosso è ottimo alla fine di un buon pasto a base di carni e formaggi, mentre il Beli Bermet bianco accompagna divinamente i dessert. Un approccio davvero molto interessante di quello che sembra essere il mondo relativamente sconosciuto dei vini tipici serbi.

Rajković, in regione Zapadna Morava. Podrum Braća Rajković è una delle migliori cantine del territorio di Župa, nei pressi di Aleksandrovac, almeno fin dal 1834 (data del primo censimento in Serbia), anche se la storia della famiglia proprietaria risale nel tempo ancora per un altro secolo. Questa è una delle regioni vitivinicole più antiche dei Balcani, con un gran numero di giorni di sole durante l'anno, nota almeno dal XII secolo, quando il monarca serbo Stefan Nemanja concesse al monastero di Studenica alcuni terreni per la coltivazione della vite. La cantina Rajković si trova nel villaggio di Gornje Zleginje nella regione di Župa e produce un vino tipico dall’uva autoctona Rskavac, che oggi è coltivata per lo più soltanto da queste parti. La cantina Rajković produce il suo vino principale Prince proprio da questo vitigno (con l’aggiunta dell’8% di un altro autoctono, il Bojadiser, e di un tocco del 3% di Merlot), e altri buoni vini, creati combinando tradizione e dedizione, come l’Opium (un tipico trittico dell’enologia serba da uve Vranac, Prokupac, Začinka) e come il Dina Pinot Noir, che hanno raccolto i massimi riconoscimenti in tutte le fiere vinicole serbe.

Mario Crosta

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VINO – SPECIALE EST EUROPA - VINO 06 marzo 2012 SAPORE D’ORIENTE Mariusz Kapczyński sulla vitivinicoltura della Turchia

La Turchia sta diventando una delle mete turistiche all’estero più frequentate dagli italiani. A essa ci unisce la mediterraneità. Eppure dal punto di vista enologico abbiamo pochissime informazioni, nonostante che sia l’ultimo Paese europeo dei Balcani meridionali e abbia sempre fatto da ponte e da baluardo con l’Asia all'estremità orientale del Vecchio Continente. Il mitico Orient Express ci ricorda pure qualcosa, no? Ma quando si descrive l'Europa non si parla tanto volentieri della Turchia, che è ancora teoricamente in guerra per Cipro contro la Grecia, oltre ad ammettere costituzionalmente la pena di morte. A inserire quest’anello ancora mancante nella nostra rubrica dedicata all’Est europeo, che non comprende soltanto quei Paesi che si trovavano oltre la “cortina di ferro”, ci dà una mano Mariusz Kapczyński. Il nostro globetrotter polacco si è fatto le ferie recentemente proprio laggiù, anche sorvolando in mongolfiera le misteriose vigne locali, degustando alcuni dei vini che i Turchi ostinatamente vi producono e scrivendo questo reportage che vi ho tradotto volentieri per gentile concessione di Rynki Alkoholowe. Cliccando sulla prima foto, potrete godervi tutte quelle che ha scattato, alcune delle quali corredano questo suo testo. Se qualcuno ci andasse in vacanza e, tornando, volesse aggiungere altra carne al fuoco, anche i suoi appunti saranno benvenuti in questa rubrica.

Il traduttore: Mario Crosta

Sapore d’Oriente

La Turchia ha una delle più antiche tradizioni enologiche e, anche se è difficile considerarla oggi come uno dei Paesi principali nella produzione di vino, non c’è dubbio che sia uno dei primi posti al mondo dove si è iniziata a coltivare la vite. Le ricerche archeologiche dimostrano che proprio qui, nelle aree odierne di Turchia, Georgia, Armenia e Iran, sono state trovate dopo 6 millenni le tracce della presenza della vitis vinifera nell’antichità.

L’impero di ieri e di oggi La Turchia è stata per lungo tempo il ponte tra la cultura del vino dell'Europa mediterranea e quella del Caucaso meridionale. Anche se l'Impero Ottomano, con l'islamizzazione del territorio e il conseguente divieto del consumo di alcool, ha pesantemente fiaccato la cultura del vino, non ha potuto distruggere però quella della vite, che ha continuato destinando le uve al consumo quotidiano di frutta o alla produzione dell’uvetta passita. È proprio questo utilizzo non enologico che ha permesso la sopravvivenza delle varietà autoctone locali durante il dominio della grande potenza (anche se una certa quantità di vino veniva ancora prodotto, ma per l'esportazione).

La storia stessa ha trovato la soluzione opportuna: dopo secoli di crisi, nel 1923 l’Impero è finalmente crollato, dando vita alla repubblica della Turchia e a una storia completamente nuova di queste terre. Con questa specifica apertura tra Oriente e Occidente e le conseguenti tensioni fra le differenze culturali e mentali, la Turchia ha elaborato uno specifico status enologico. Questo Paese oggi non manca di vigneti ed è considerato anzi come uno dei principali produttori mondiali d’uva (con un piazzamento in prossimità del 5° posto), ma si tratta soprattutto di frutta per il consumo quotidiano, di uva passa, di succhi di frutta, eccetera. Per quanto riguarda la produzione di vino non va poi tanto bene. Se ne fa un po', anche se le statistiche ne indicano un regolare incremento. Secondo l'OIV (Organisation internationale de la vigne et du vin), nel 2006 la Turchia aveva quasi 560.000 ettari di vigneti.

In quell’anno, però, si sono fatti soltanto circa 280.000 ettolitri di vino, secondo dati che, tuttavia, potrebbero essere imprecisi e limitati. Attualmente si parla di circa 250.000 ettolitri di produzione annuale di vino. Vale la pena di ricordare che al riordino di statistiche, dati e informazioni di carattere generale ha contribuito la nascita, qualche anno fa, dell’organizzazione Wines of Turkey, che collabora con le sette cantine più importanti del Paese ed è responsabile della promozione del vino, delle questioni connesse con le sue esportazioni, eccetera. C’è ancora certamente molto da fare, ma il potenziale enologico è davvero grande, quindi ci si può aspettare dei buoni risultati. Il comparto vino cresce gradualmente, ma un gran numero di vignaioli vende ancora semplicemente le proprie uve alle grandi cantine o alle grandi industrie conserviere.

Qui la cultura strettamente enologica non è poi così sviluppata come si potrebbe sospettare. Anche le tasse elevate non la facilitano, rendendo la produzione e la distribuzione dei vini più costosa di quanto non lo sia per altri alcoolici e rinfocolando, inoltre, il commercio dei vini che provengono da fonti non dichiarate e perciò incontrollabili dallo Stato. La tassa stessa (del valore di circa 2 euro) raddoppia quasi il prezzo di ogni bottiglia, il che rende relativamente cari anche i vini base. Bere vino al ristorante è un lusso; una bottiglia di vino comune può costare perfino il prezzo di una buona cena moltiplicato più volte.

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È anche difficile parlare di facile accesso per quanto riguarda i vini turchi. Anch’io ho avuto qualche problema con lo shopping. I prezzi delle bottiglie più economiche che ho comprato oscillavano intorno ai 12 - 15 euro.

L’occhio del Profeta La moderna Turchia è un paese laico, anche se la religione dominante è, come sapete, l'Islam. Tutte le questioni relative all’importazione e alla distribuzione dell’alcool sono regolate dal diritto civile, tuttavia i luoghi maggiormente conservatori, dov’è più forte l'influenza dell'Islam, ovviamente, non sono favorevoli allo sviluppo e al commercio del vino. In ogni caso qui si nota la differenza con i Paesi dove vige la legge islamica (per esempio l'Arabia Saudita), nei quali il divieto di alcool riguarda addirittura tutti i cittadini. Va notato che nell'Islam, il vino è considerato l'incarnazione del male, il divieto del suo consumo è uno degli elementi essenziali della legge islamica.

Il Corano parla di questo anche nella Sura, 5:90-91: “O voi che credete! Il vino, il gioco d’azzardo, le pietre idolatriche, le frecce divinatorie sono immonde opere di Satana. Evitatele affinché possiate prosperare. Satana vuole seminare inimicizia e odio tra di voi e allontanarvi dal ricordo di Allah e dalla preghiera”. Ma la Turchia non è un Paese troppo conservatore. Il consumo di alcol è abbastanza comune; c’è una birra come la Efes che non ha molta concorrenza, c’è il vino, anche se il consumo non è granché (secondo le statistiche ufficiali è inferiore a 0,5 litri pro capite l’anno) e c’è il più popolare liquore locale: il Raki. La base per la produzione del Raki è l'alcool etilico distillato dalle uve (a volte dall’uva passa dai fichi), cui si aggiungono anice e finocchio per conferirgli un aroma e un sapore particolari con la caratteristica torbidezza che si manifesta quando si aggiunge acqua. La storia del raki, però, la lasciamo per una prossima volta. Adesso siamo più interessati ai fatti che riguardano Mustafa Kemal Atatürk (1881 - 1938), il primo presidente turco, il più importante della storia della Turchia moderna. Atatürk è un personaggio particolare per i turchi, lo spiritus movens di molte trasformazioni estremamente importanti per il Paese, collegate alla sua modernizzazione ed europeizzazione. Questo presidente leggendario ha ridotto drasticamente, fra molti altri cambiamenti, l'interferenza dell'Islam nella politica dello Stato, ha introdotto l'alfabeto turco-latino al posto di quello turco-arabo, ha dato la possibilità ai cittadini di scegliersi per la prima volta un cognome, ha fatto ripulire la lingua turca dai barbarismi arabi. Uno degli effetti di queste riforme e delle “aperture” della Turchia è stato il riconoscimento ufficiale del primo vigneto commerciale della Turchia. Ciò è avvenuto nel 1925, data che può essere considerata come l'inizio della moderna enologia turca.

Occhio di bue e altre storie La Turchia ha i suoi tesori enologici. Può vantare numerose varietà autoctone della specie vitis vinifera. Gli ampelografi ne hanno identificate oltre 600, ma soltanto una quindicina è commercialmente sfruttata e fornisce ai vini uno spaccato stilistico completo: ne nascono molti bianchi, un po' meno rossi, ma anche alcuni rosati e dolci (p. es. si sta provando a fare vini liquorosi e ice-wines). Le aree in cui le viti sono coltivate si trovano in condizioni climatiche diverse e spesso difficili. La mappa del vino della Turchia appare concentrata nelle regioni della Tracia e dell'Anatolia. La Tracia (Marmara), cioè la parte "europea" della Turchia. Il Mar di Marmara vi ha un forte impatto sul clima. Ci sono un sacco di vigneti; qui nasce circa il 40% di tutti i vini turchi.

Prevale il mite clima mediterraneo, che è come quello della Bulgaria meridionale e della Grecia nord-orientale. Dominano le terre argillose, sabbiose e ghiaiose, i vigneti si trovano su dolci pendii (fino a 200 m s.l.m.). Per la distribuzione e lo sviluppo economico della Tracia è importante la vicinanza a Istanbul, con la sua marea di turisti, perché i ristoranti consentono di smaltire facilmente la produzione. E proprio in questa regione c’è anche la prima ambiziosa, moderna cantina d’autore, Sarafin, impegnata nella produzione di vino da vitigni europei. L’area produttiva più importante dovrebbe essere quella del golfo di Saros, la zona intorno a Tekirdağ, Mürefte, o l'isola di Bozcaada. In Tracia si coltivano Gamay, Cinsault, Sémillon, Merlot, Cabernet Sauvignon e Riesling, ma ci sono anche i vitigni autoctoni turchi Yapincak e Papazkarasi (Papaskara).

Le varietà europee come Sémillon, Grenache e Carignan, il Merlot e Cabernet Sauvignon sono coltivate nella parte occidentale del paese, sulla costa egea, intorno alla città di Izmir. Ma le zone di produzione più importanti e pregiate sono Denizli, Manisa e Çal. I vigneti di questi terreni molto poverisi arrampicano fino a circa 1.000 m s.l.m. e producono circa il 20% dei vini turchi (per lo più bianchi). Qui si sente maggiormente l'impatto del clima mediterraneo, con inverni relativamente miti ed estati calde e secche. I Vigneti, arroccati per lo più su terreni calcarei e argillosi, spesso lavorando a pieno regime, senza limiti di resa, cosa che ovviamente si riflette nella qualità. Fra le varietà locali si coltiva il delicato vitigno rosso Çal Karasi. L'Anatolia vanta una delle più antiche culture del vino, le cui tracce archeologiche risalgono fino al Neolitico.

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Sono state scoperte le tracce della vite selvatica che ha dato origine a molte varietà locali. Nella parte centrale e in quella orientale di questo altipiano, fra un gran numero di micro-territori sparsi, nasce il resto dei vini turchi. L’Anatolia centrale (Cappadocia) ha un clima rigido, severo. I vigneti raggiungono altitudini anche superiori agli 800 m s.l.m. e devono dimostrare resistenza ai gelidi inverni (la temperatura in queste zone scende fino a -25°C, una vera minaccia per le colture) e alle secche, calde estati. La media delle temperature è comunque alta e subisce l’influsso di non più di 12 ore di pieno sole al giorno. L’Anatolia centrale ha un sacco di terreni calcarei, che favoriscono la struttura dei vini. Una delle varietà locali è la Narince, prettamente originaria di queste terre, che dà vini bianchi aromatici. Condizioni un po' migliori si trovano nella parte orientale dell'Anatolia, nei vigneti situati nel bacino dell'Eufrate e intorno alle città di Elaziğ, Diyarbakir e Malatya. Qui dominano le varietà locali rosse Oküzgözü (traduzione: Occhio di bue) e BogÏazkere (da cui nasce il succoso vino Buzbağ, tipico della regione e ricco di tannino). I vini manifestano uno stile tradizionale, un po' rustico, spesso intrigante. La resa per ettaro non è alta, spesso è meno di 35 hl. Questa zona è interessante anche perché secondo la Bibbia sarebbe la località in cui Noè, dopo il diluvio, stabilì sulle pendici dell'Ararat il primo vigneto (Genesi 9:20).

Risalire alle radici La Turchia sta cambiando sul serio l’aspetto del suo vino. Anche se i cambiamenti avvengono lentamente e il Paese non ha un ruolo ancora affidabile nel mercato internazionale, offre vini sempre più promettente e originali. Oggi la produzione è dominata dai grandi produttori, come Tekel e Kavaklidere in Anatolia e Doluca in Tracia. Va notato che negli anni '90 si sono importati con entusiasmo sia i vitigni europei sia gli specialisti (per esempio dalla Francia) e i cambiamenti economici hanno permesso di creare piccole aziende vinicole interessanti e di elaborare dei vini d'autore. Sebbene per molto tempo lo standard non è stato certo quello delle vasche di acciaio inox con fermentazione a temperatura controllata e di altre moderne attrezzature, nelle cantine ambiziose la situazione è cominciata a migliorare in modo significativo dalla metà degli anni '90 del secolo scorso. Tuttavia si evidenzia uno spiccato bipolarismo. Questo è un altro punto cruciale: l’enologia della Turchia è divisa in maniera ben distinta tra produttori di vini senza pretese, semplici, con prodotti di massa e produttori piccoli, ma ambiziosi, di vini costosi. Manca un centro forte che possa diventare la spina dorsale di questo settore e calibrare meglio i prezzi con la qualità. Per i grandi cambiamenti bisogna aspettare ancora un po'. Per ora la gran parte dei vini viene consumata da una massa di turisti, ai quali le formule “all inclusive” forniscono proprio i vini non molto ricercati. Inoltre, molti produttori turchi pensano ancora alle massime rese in vigna. Questa concezione enologica è stata adottata acriticamente per lungo tempo direttamente dal settore della produzione di uva passa, dove nulla impedisce di utilizzare appieno la capacità produttiva delle viti. È soltanto da poco che nelle cantine turche è apparsa la consapevolezza, invece, di limitare la produttività e di un’adeguata riduzione delle rese. L’enoturista, comunque, a parte i monumenti fantastici che offre la Turchia, dovrebbe provare perlomeno a sfiorare gli aspetti enologici di questo Paese. La Turchia ha tutta la potenza delle sue attrazioni allettanti, ma la scoperta delle potenzialità dei suoi vini può costituire anche un'avventura. Si può provare da diverse direzioni. Una delle più grandi aziende vinicole che inizialmente apparteneva al monopolio statale è Tekel. É famosa la già citata cantina moderna Sarafin nella penisola di Gallipoli in Tracia. Degna di riconoscimenti, anche se produce vini di stile modesto, è la cantina Pamukkale. Negli ultimi anni sono cresciute le piccole cantine che utilizzano il potenziale del territorio e le varietà autoctone; personalmente credo che proprio queste saranno sempre più al centro dell'attenzione.

Mariusz Kapczyński

VINO – SPECIALE EST EUROPA - VINO 03 aprile 2012

TESORI TURCHI Articolo di Mariusz Kapczyński su Rynki Alkoholowe

Questo è il seguito del precedente articolo sulla vitivinicoltura della Turchia pubblicato dal nostro “kapka” su Rynki Alkoholowe. Come in precedenza, raccomando di cliccare sulla foto accanto per visitare la seconda galleria d’immagini scattate dall’autore nel suo viaggio e nel suo raid in mongolfiera sul posto, dove ha avuto l’occasione di sorvolare vigne poste davvero in luoghi inimmaginabili. Colgo l’occasione della traduzione di quest’articolo per inaugurare anche in questa rubrica la trascrizione dei caratteri speciali di gran parte delle lingue straniere che il nuovo sistema d’impaginazione di Qualitavola ha reso finalmente possibile, al posto di quelle lettere nude e crude, che possono porre dei problemi di pronuncia, ringraziando il direttore Fabrizio Penna anche per l’introduzione di questa modernità. Ma vi lascio subito al testo, che vi ho tradotto con grande piacere.

Il traduttore: Mario Crosta

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Tesori turchi Irripetibilità Lo stile curioso dei vini locali è dovuto soprattutto ai vitigni autoctoni, irripetibili altrove. La Turchia è un posto davvero raccomandabile ai ricercatori di ceppi fuori dal comune, agli amanti di nuove sensazioni di sapore e profumo. Sotto quest’aspetto il Paese ha delle fantastiche opportunità e dei veri tesori, cosa che non sfugge ai professionisti di tutto il mondo. Recentemente gli esperti discutono sempre di più sul fenomeno dell’Anatolia sud-orientale, riconoscendola come un luogo importante e storicamente “viticolo", come evidenziato dalle analisi genetiche dei vitigni, dall'applicazione dell’archeologia biomolecolare e perfino dalle ricerche linguistiche. Le zone intorno ai monti del Tauro sono considerate come i luoghi più importanti, dove attualmente si continuano a scoprire potenziale e ricchezza delle varietà della vite eurasiatica. Nel febbraio del 2011, a Londra si è tenuta un’interessante conferenza con la partecipazione di scienziati e specialisti del mondo del vino. Organizzata dalla Wines of Turkey, la manifestazione Inaugural Wines of Turkey Conference and Tasting 2011 ha accompagnato l'introduzione dei primi vini turchi nell’esigente mercato del Regno Unito.

Un patrimonio prezioso Ovviamente, in questo crogiolo si è trovato posto per i vitigni internazionali (che si è iniziato a introdurre in Turchia su vasta scala negli anni '90). I vignaioli turchi li coltivano con sempre maggior entusiasmo. Qui troviamo: Carignano, Gamay, Cinsault, Grenache e classici come il Cabernet sauvignon o il Merlot. Ci sono anche Sémillon (chiamato localmente Trakya), Riesling, Moscato. Si coltivano sull'onda della moda e secondo lo stile dei vini e degli standard enologici dell'Europa occidentale, per aumentarne la "visibilità". Andiamo a vedere, quindi, alcune tra le varietà più importanti, di razza, della Turchia e, anche se soltanto in una certa misura, vediamo di accostarci al loro carattere.

In bianco - Narince (il nome significa "delicato"). Questo è uno dei vitigni autoctoni bianchi più importanti. Cresce vicino a Tokat, sui terreni più pianeggianti dei versanti meridionali delle montagne nei pressi della rive del Mar Nero. Si tratta di una zona particolare, dove già finisce la marcata influenza del clima del Mar Nero e si passa a quella del clima continentale. Nei vigneti dominano argille piene di ciottoli. Il Narince è coltivato anche sui terreni vulcanici della Cappadocia, (per esempio nelle vigne della Kavaklidere Anatolian Wines di Gülşehir). Caratteristiche tipiche di questa varietà sono gli aromi di agrumi, pesca, limone oltre a quelli floreali e minerali (calcare).

Sono vini di piacevole struttura, a volte leggermente cremosa. Il Narince fermenta spesso in purezza nei tini, anche se alcuni provano a maturarlo in botte, il più delle volte con scarso effetto. È possibile trovare dei vini nei quali l'uso della botte maschera completamente la nobiltà e il carattere di questo vitigno. È curioso che le foglie di Narince siano le preferite quando si tratta di usarle in cucina e che se ne faccia un uso piuttosto ampio; se ne usa volentieri in grande quantità, in certi posti si arriva fino a spogliare eccessivamente le viti e ciò crea dei problemi a una fotosintesi appropriata e quindi alla giusta maturazione delle uve. Le uve di Narince si trovano spesso in taglio, p. es., con Sémillon o Emir, ma c’è un sacco di edizioni in purezza.

I vini ne risultano generalmente equilibrati, cremosi, estrattivi, abbastanza ricchi, tanto che le versioni migliori sono adatte a un lungo invecchiamento. La cantina Kavaklidere ne produce anche un vino liquoroso (con lo stesso metodo dei Porto) di nome Tatli Sert, il cui equivalente in rosso è il vino liquoroso basato sul vitigno Öküzgözü. - L’Emir è un altro importante vitigno bianco proveniente dall’Anatolia (dal distretto di Nevşehir). I vigneti qui fanno impressione per le posizioni che occupano negli inusitati paesaggi lunari della Cappadocia. Bisogna prendere in considerazione l’Emir a causa della sua resistenza in generale e, accanto a questa, dei buoni risultati enologici. Questa cultivar si è adattata in modo straordinario alle condizioni più severe, “accettando” altitudini elevate (a volte oltre i 900 m s.l.m.), per esempio nei bacini fluviali come quello del "fiume rosso" Kizilirmak, con le taglienti gelate invernali. La tenacia e la forza di questo vitigno sono testimoniate dal fatto che si possono trovare dei vigneti di oltre 100 anni. L’Emir dà vini dalla brillante tonalità giallo-verdolina, freschi, citrini. Hanno una solida struttura, sono estrattivi, colmi di fruttato e in gran parte secchi. Di solito hanno un sacco di acidità, uno stile minerale e degli aromi "verdi" di mele e agrumi. Per queste caratteristiche l'Emir viene utilizzato per la produzione di vini spumanti come, per esempio, un vino davvero decente, l’Altin Köpük delle cantine Kavaklidere (che è stato uno dei primi vini spumanti turchi). Un'interessante, ulteriore, caratteristica in questo caso può essere il fatto che il vino tranquillo di questo vitigno prodotto dalla stessa cantina è stato il primo vino lanciato sul mercato locale con il tappo.

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In rosso - Il Kalecik Karasi (noto anche come Kara Kalecik) è uno dei vitigni rossi turchi più diffusi, la fonte di alcuni dei vini migliori. Kalecik è un piccolo villaggio 65 km a nord-est di Ankara. Il Kalecik Karasi è un vitigno autoctono originale che si sta costruendo con successo una posizione sempre più forte nel mercato locale. Originario dell’Anatolia centrale, cresce nelle valli del fiume Kizilirmak. È vantato per la caratteristica struttura, gli aromi e i sapori. L’hanno apprezzato quegli specialisti che ne hanno intravisto la sua unicità e potenzialità. Eppure ci fu un momento, negli anni '50 e ‘60 del secolo scorso, in cui stava per estinguersi a seguito di malattie, abbandoni e gestioni dei vigneti relativamente disinvolte. Le sue buone doti sono state apprezzate dagli esperti francesi invitati qui a cooperare nonché dai ricercatori della facoltà di Agraria presso l'Università di Ankara. Durante le ricerche si sono selezionati i cloni migliori di Kalecik e i tentativi del suo restauro nei vigneti negli anni '80 possono essere considerati riusciti.

I risultati enologici ottenuti sono stati molto buoni, in termini sia di stile sia di qualità. Il riconoscimento per il Kalecik Karasi è costantemente cresciuto. In considerazione della maggiore richiesta di questo vitigno si è cominciato a coltivarlo anche in altre parti della Turchia, p. es. in quella più a ovest, la regione di Denizli. Oggi è una delle varietà più apprezzate. I vini sono intensi, ma non sono pesanti. Vi si trova molto fruttato di bosco, un bouquet di rose e lamponi, un tannino leggermente asprigno (ma non aggressivo) e un’acidità abbastanza buona, cioè le note che possono a volte ricordare i vini del vitigno Gamay. Questi vini guadagnano un po’ più di garbo dopo qualche anno di maturazione. Il Kalecik Karasi è coltivato anche nelle zone di Elazığ e Malatya.

- Il Boğazkere (il suo nome può essere tradotto come "gola fumante") è un altro dei migliori vitigni rossi turchi. Cresce intorno a Diyarbakir, nel sud-est dell'Anatolia, ma anche più a nord, vicino ad Ankara e Uşak; s’incontra pure nella Riviera Egea (Manisa, Denizli) o più a sud, più vicino alle coste del Mediterraneo, a Elmali. Matura piuttosto tardi (spesso si vendemmia a metà ottobre). Ha tutto d’intenso e dà vini scuri, tannici, dalla potente struttura leggermente terrosa. Originario della parte sud-orientale della Turchia, la provincia di Elazığ. Il Boğazkere sopporta perfettamente il clima secco e caldo (mostra una notevole resistenza alla siccità, alla mancanza periodica di acqua). Dà i risultati migliori crescendo sui terreni di sabbia, pietre, ghiaia e argille rosse. I vini da Boğazkere hanno un sacco di tannino e una media acidità. Alcuni sostengono che i cloni coltivati nei pressi di Denizli siano caratterizzati da una maggiore delicatezza, da un tannino meno aggressivo. Inoltre sono pieni, con intensi aromi fruttati e leggermente speziati. Di solito si possono sentire ciliegie col nocciolo, pepe, fichi secchi, tabacco, pelle lavorata. Questi vini ben fatti e ricchi sono l'ideale per carni alla griglia o piatti pesanti. La loro struttura robusta permette una conservazione più a lungo (anche oltre 10 anni), con un profilo di vino che diventa più dolce, più armonioso, equilibrato. Una buona struttura consente anche l'invecchiamento in botte, perciò i produttori ne approfittano. Spesso il Boğazkere si trova anche in taglio, per esempio, con Öküzgözü, Gamay, Cinsault e Cabernet Sauvignon. Non vi è alcun problema, tuttavia, a trovare alcune buone versioni monovitigno, perché nel Boğazkere si nasconde veramente un grande potenziale. - L’Öküzgözü, cioè "occhio di bue", è chiamato in questo modo a causa degli acini piuttosto grossi, "gonfi", che possono inizialmente inquietare, perché uve così grosse di solito non promettono vini troppo concentrati. In questo caso, però, le apparenze ingannano: questa è una varietà interessante con uno stile originale. Come il Boğazkere, viene dall'Anatolia centro-orientale, dal comprensorio di Elaziğ, dalle zone pianeggianti della parte settentrionale dei monti del Tauro ed è noto anche in Armenia. Il fiume Eufrate e i suoi affluenti temperano leggermente il clima rigido di questi luoghi. L’Öküzgözü cresce pure in altre parti del paese; le più importanti aree di coltivazione si trovano nella parte centrale e si estendono fino ai confini occidentali (in posti come Nevşehir in Cappadocia, Ankara, Uşak e altri). Questa è una di quelle varietà che non si dovrebbe più lasciare alla produzione di uva passa e succhi di frutta. Si tratta infatti di un vitigno di razza, adatto soprattutto per fare vino. Il colore del vino non è molto intenso. Qui troviamo sapori fruttati (lampone, succo di ciliegia), non tannini aggressivi. Il vino è generalmente caratterizzato da buon nervo, da un’acidità espressiva che mette “in tensione” la struttura. La struttura è compatta, robusta, adatta per la maturazione del vino, che nelle migliori versioni può durare anche più di un decennio.

Esempi di vini * * * * DLC Boğazkere 2009 Doluca - Anatolia, Riviera Egea, Turchia - alcool 14,5%. Stile speziato, terroso. Ci sono castagne arrosto, terra asciutta, un bell’asprigno e un’interessante aggressività. Si sente il nerbo dei tannini, l’asciutto dei frutti di bosco e un vigoroso tocco speziato (4 mesi in botti francesi). Si abbina bene con selvaggina e carne bovina. C’è un fruttato e uno stile pulito. Nel finale: buccia e nocciolo di ciliegia, noci, terra: è un po' fumé e un po’ contadino, profuma di caffè speziato. Il tutto si mantiene in uno stile decoroso, di razza. Forse non ha eleganza, ma il carattere c’è. Mica male.

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* * * + DLC Kalecik Karasi 2009 Doluca - Anatolia Centrale, Turchia - alcool 14%. Leggermente colorito, con segni di evoluzione, un vino semplice, facile da bere. Nettamente fruttato: fragoline di bosco, lamponi e fragole. È leggermente terroso, con sentori di funghi e di selvatico. Un finale autunnale, con le more. Un vino semplice, leggero, per tutti i giorni. * * * + Turasan Kirmizi 2009 Turasan Şaraplari - Cappadocia,Turchia - alcool 14%. Un vino che mette insieme i classici vitigni turchi: Öküzgözü, Boğazkere e Kalecik Karasi, con una piccola aggiunta di Cabernet e Merlot. Aromi e sapori di caldarroste, ciliegie, noccioli, terra asciutta, fumé, che risaltano sull’eleganza alcoolica del fondo. Parecchio fruttato di bosco. Il tutto è fatto in modo pulito, con uno stile un po' aggressivo e leggermente ruvido. In bocca c’è l’acidulo delle more e delle ciliegie, è terroso, austero, rude. Un bel vino, fortemente varietale, dallo stile decente. Ottimo come antidoto contro la noia dei vitigni in voga. Mariusz Kapczyński

VINO – SPECIALE EST EUROPA - VINO 01 maggio 2012

SOMLÓ. SINFONIA D’AUTUNNO Articolo di Mariusz Kapczyński su Vinisfera.pl

Ah... magica Ungheria! Ogni volta che ci vado (sta a sole 5 ore d’auto da casa) e che ci penso, mi viene in mente l’indimenticabile Tibor Gál, che ha promosso in modo straordinario la rinascita dell’enologia nel suo Paese, credendoci come pochi e seminando enocultura a piene mani. Non soltanto a Eger, la sua patria, ma dovunque. Per andare a trovarlo, un giorno ho deviato dalla solita autostrada Tarvisio-Vienna con cui tornavo in Polonia e a Gleisdorf ho svoltato sulla storica statale E 66 per Budapest. Un’oretta dopo il confine, a un certo punto ho visto in lontananza un’imponente montagna simile al nostro Vesuvio, che m’incuriosiva mano a mano che mi ci avvicinavo e la pianura si faceva più ondulata, ma molto rigogliosa, di tutte le tonalità del verde. Mi fermai in una trattoria davanti alla quale parcheggiavano decine di TIR, dove si mangiava e si beveva davvero bene, abbondantemente e a poco prezzo. Le pompe di benzina della vicina stazione di rifornimento erano ancora quelle a mano, chissà, forse d’anteguerra e la campagna, fuori dal moderno nastro d’asfalto, sembrava indietro di 50 anni, un altro tempo, un altro pianeta. Somló, appunto. Dopo l’articolo di Wojciech Bońkowski di sei anni fa, ecco che ce ne parla anche il nostro “kapka” nel primo dei tre articoli consecutivi che gli ha dedicato sul suo blog Vinisfera.pl, che vi tradurrò tutti in sequenza. Sono accompagnati da un’accurata mappa delle vigne e da una fantastica, emozionante, galleria d’immagini (cliccate sulla prima foto) che mi ha perfino commosso per come ha saputo cogliere al meglio l’anima di questo popolo, di questo posto, di queste vigne. Andateci, non perdete tempo!

Il traduttore: Mario Crosta

Somló. Sinfonia d’autunno

Nella parte sud-orientale della Kisalföld, la Piccola Pianura Ungherese, a poco più di 50 chilometri a nord del lago Balaton, sul pianoro spicca una montagna. È impossibile non notarla. È la vulcanica Nagysomló (432 m). Spesso, a causa della forma, viene chiamata "il cappello lasciato da Dio". I suoi pendii vulcanici ormai spenti, freddi, danno un carattere insolito ai vini che nascono dai vitigni qui coltivati.

Vivere su un vulcano Anche se la montagna di Somló, coronata dalle rovine del caratteristico castello dell’XI secolo, è la zona più importante, va ricordato che in questa denominazione ci sono anche le più piccole e un po' meno apprezzate zone di Kissomlyó ("piccola Somló") e Ság. Sono tutte zone tranquille, molto naturali, anche se forse qualcuno potrebbe ricordare che nel 2010 questa regione fu colpita da un disastro ambientale. La città di Ajka e i dintorni furono allagate da un fango rosso tossico. Oggi, di quel disastro non c'è quasi traccia. Il governo ha speso un sacco di soldi e di energie per livellarne gli effetti.

Solo le macchie sui muri e gli alberelli piantati di nuovo nel parco ricordano che qui è avvenuta quella disgrazia. Quando si arriva sulla salita di Somló dalle strade strette e spesso piene di buche, si vede il carattere unico di questo posto, con piccolissime parcelle di vigne, semplici terrazze e minuscole casette che ricordano i casotti rurali o le piccole dacie. C'è qualcosa in questo. Queste terre un tempo appartenevano alla Chiesa e in seguito furono divise e assegnate agli operai al tempo del regime comunista.

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Da qui la frammentazione e la forte parcellizzazione della montagna. Somló è la più piccola di tutte le regioni vinicole dell'Ungheria. Tuttavia, in questo si cela quella forza e quel carattere che si formano proprio nelle piccole vigne e nelle imprese famigliari. In poco più di 830 ettari ci sono circa 3.000 vignaioli! Molti di loro lo sono abitualmente per hobby o guadagnano qualche soldino dalla vendita diretta di vino locale. Chi vuol fare un business maggiore deve allargare l'area di produzione. Allora, a volte con grande difficoltà, è necessario acquistare e collegare dei piccoli vigneti.

Picnic sotto la roccia vulcanica Anche se il vulcano è estinto, il fuoco non manca certo nel carattere di questi vini. In alto domina il tufo morbido, friabile e i suoli basaltici e pietrosi. Nei vini si nota una struttura densa, un po’ grassa, oltre a vivacità, mineralità e uno straordinario bouquet di aromi e sapori. Non c'è da stupirsi che questo prezioso habitat sia sfruttato da tutte le parti. Letteralmente. Qui la vite si coltiva perfino sul versante settentrionale della montagna. Qui si gode un clima temperato, senza picchi estremi, anche se è più freddo e ventoso che sul lago Balaton. L’insolazione di Somló insolazione è notevole, ma l'altezza e la fresca ventilazione fanno la loro parte e ai vini non manca una mordente acidità.

Le coltivazioni sui pendii e sulle terrazze arrivano perfino a 350 metri sul livello del mare. Più in basso tutto diventa più piatto, letteralmente e metaforicamente, con il terroir che perde la sua espressività. Arrivano argilla e sabbia, perciò è sempre più difficile sentire il "gusto del vulcano" nei vini, che sono quindi meno apprezzati. È facile verificare queste differenze, confrontando i vini provenienti da diverse località, superiori o inferiori. Somló non è piena di vita, dispone di un'infrastruttura piuttosto debole, cosa che probabilmente si riflette un po’ nella sua immagine turistica. Non ci sono negozi, ristoranti, regna la pace, il silenzio e la classica atmosfera rurale. Qui non ci sono floridi resort né esclusivi centri di benessere o super-offerte ricreative in agguato a ogni angolo. E meno male! È veramente incredibile che un luogo vitivinicolo così straordinario abbia mantenuto ancora la sua naturalezza e il suo carattere rustico. D'altra parte, quest'isolamento naturale ha ovviamente i suoi punti deboli. Questo permette però di osservare Somló come una montagna solitaria che cresce sulla pianura, in cui si ingrandiscono come con una lente i problemi dell’odierno mondo del vino.

Un vino focoso Nel XVIII secolo, quando il Tokaji si è costruito la sua reputazione di ottimo vino ben rispettato, allora lo si confrontava con i vini di Somló. Non c'è da stupirsi, perché proprio a quel tempo i vini di Somló raggiungevano regolarmente, per esempio, la tavola papalina e la corte degli Asburgo (in particolare sotto il regno di Maria Teresa). Questi vini, a causa del loro carattere unico e dello stile, hanno ispirato e affascinato. Lo scrittore e filosofo ungherese Béla Hamvas (1897-1968) nel suo famoso libro "La Filosofia del Vino" (tradotto da Tadeusz Olszański, Varsavia, 2001) ci ha dato l’espressione del suo amore proprio per questo vino.

Ha scritto: "Il focoso vino della montagna di Somló, nelle cui vicinanze non si troverà l’acqua, proviene però da un terreno vulcanico. Nel bel mezzo della pianura sorge una montagna a forma di corona. Il vino di Somló è il più splendido di tutti i vini ungheresi. E vi dico subito perché. (...) Somló è un baritono solare ed essendo allo stesso tempo un vino sinfonico, biondo, maschile raccoglie pure quegli aromi spirituali concentrati che gli ha dato il Creatore. E anche se penso che tutti i vini socializzino e diano il meglio di sé in grande compagnia, quello di Somló è anche la bevanda della solitudine. Questo vino colmo di aromi straordinariamente sorprendenti si dovrebbe bere in un silenzio profondo, in solitudine. Vorrei aggiungere ancora una cosa: tutti i più vini di montagna più importanti soddisfano gli uomini piuttosto maturi oltre la quarantina, e non la frivola gioventù, ma il vino di Somló è addirittura un vino da vecchi. È un vino da saggi, da gente che possiede la più importante cognizione della vita: la pace dello spirito. Questa è la mia verità personale, che non dovrei tradire. Ci sono arrivato grazie alla meditazione a Szigliget (...). Lo stupefacente vino di Somló mi ha permesso di essere più vicino a quella grande serenità, alla saggezza e a quell’eccezionale stato di euforia attraverso il quale è nato il mondo". Bello, sebbene scritto, forse, in uno stile leggermente sublime. Rimane il fatto che a Somló l’eccezionale ambiente vulcanico dà degli effetti eccezionali.

La coda di pecora e il terroir Come ho già ricordato, nel passato i vini potenti e un po' ossidati di Somló competevano senza problemi con gli altri vini magiari e raggiungevano le tavole regali. A quel tempo, la loro buona reputazione ha originato una leggenda. Li hanno chiamati "vini da prima notte di nozze" poiché bevendoli c’era la garanzia di generare figli maschi. Come saprete, una cosa che per le corti reali era di valore inestimabile. Possiamo considerarla come l’esercizio, già allora, di un marketing molto intelligente (senza contare che perfino attualmente alcuni stanno cercando di usarla nei contatti con il mercato cinese ...). Oggi i vini di Somló sono un po' diversi nello stile, più freschi, limpidi e puliti.

Nei vigneti di Somló dominano i vitigni bianchi: Furmint, Juhfark, Hárslevelü, Olaszrizling, Traminer, Chardonnay. Essi conferiscono al vino un caratteristico, "proprio" carattere.

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Non c’è alcun dubbio che questo vino straordinario, unico, sia una vera manna e un tesoro della cultura enologica. Qui non c’è alcun occultamento né una pseudo storiella del terroir. Chi ha voglia di tastare e testare la differenza non ha soltanto che da provare questi vini, poiché è proprio in essi che questa preziosa impronta del terroir guadagna straordinariamente forza. Il terroir qui è realmente e chiaramente marcato. Il vitigno che si associa maggiormente con Somló è lo Juhfark ("coda di pecora"), una varietà autoctona locale che dà delle note di terra vulcanica molto specifiche, a volte con sfumature di noci e di rustiche note di pavimenti d’argilla o di vecchia cantina. Lo Juhfark di Somló si adatta benissimo a un lungo invecchiamento. Ha una buona acidità. È sensibile però al gelo e alla muffa (fortunatamente i venti che soffiano qui asciugano bene le vigne). Invece Furmint e Hárslevelü, anch’essi associati con Somló e addirittura prescritti, non sempre danno i risultati migliori. Sembra che Furmint e Hárslevelü possano sopraffarlo molto spesso in qualità e potenzialità. Ma lo Juhfark di una buona versione ha doti eccezionali: note minerali, austere, acidule, campagnole, sapide, calcaree. Alcuni consumatori le stanno scoprendo per la prima volta nei suoi vini. L'acidità dello Juhfark è vivace, elevata, richiede un’adeguata conduzione della vigna e un corretto momento di vendemmia. In bottiglia lo Juhfark giovane è del tutto naturale, fresco, a volte diventa sempre più complesso, ampio, si vede che questo vitigno “si armonizza” a meraviglia con il terreno basaltico ed è un buon “traino” del terroir. Lo Juhfark matura bene nelle botti grandi, si sottopone a una delicata micro-ossidazione, sviluppa struttura, assume eleganza e scarica un po' di acidità. Prende quindi delle caratteristiche aromatiche molto interessanti, che lo distinguono nettamente dai vini di tutti gli altri vitigni.

Una grande piccola regione Nei vigneti locali ha attecchito molto bene anche il Furmint. Se matura correttamente, può dare un vino ricco, ampio, di buona struttura, complesso e importante. Non gli mancano l’acidità e un tocco di mineralità. Il vino è dominato da aromi di miele, cotogna, pera. Un po' diversamente da come si esprime a Tokaj, il Furmint di Somló è destinato principalmente ai vini secchi. Il tempo lo aiuta anche a sprigionare un’interessante mineralità. Vale davvero la pena di confrontare le versioni secche Furmint di Somló e Tokaj. L’Hárslevelü è simile al Furmint più che allo Juhfark, è equilibrato, intenso e anche interessante.

Alcuni dei vitigni ungheresi coltivati a Somló non sono sopravvissuti all’attacco della fillossera. Lo Juhfark era quasi scomparso dalle vigne e lo hanno ricreato con successo quasi all'ultimo istante. Durante il loro restauro è stato l’Olaszriesling (Riesling Italico, ndt) a diventare il numero uno. Oggi è valutato come vivace, trasparente e acidulo, di ottime fondamenta, ottenuto con tonalità verdi, floreali e con le tipiche note minerali della sabbia. Questi sono vini che hanno del potenziale. Il carattere del terroir si avverte più o meno a seconda delle annate. Anche se, come ho già ricordato, a Somló dominano quasi esclusivamente i vitigni bianchi, in quel muro si vedono già le prime timide brecce ampelografiche; si sono già mostrati in coltivazione i primi vitigni rossi (per esempio di Syrah, da Krainbacher). Gli enologi di Somló fanno i loro vini sulla base di lieviti naturali, non selezionati, ecco perché ci sono anche sapori "vulcanici", a volte grezzi, selvatici, qui è pieno di armi raramente incontrati in altri vini. I vini di Somló possono maturare a lungo e vale la pena di dare a essi questa possibilità e di aspettare. Se a essi permettiamo di svilupparsi, la nostra pazienza ne sarà certamente gratificata. Quando i vini sono vini giovani possono essere un po' ruvidi, sorprendere per un’asprezza sorprendente dell’acidità e degli aromi, ma quanto più sono avanti d’età, allora cominciano i campionati sensoriali veri e propri... Vale la pena di ricordare che è meglio bere i vini invecchiati e maturi di Somló a temperature superiori ai 12-14 °C. È così che possono allora aprirsi e sprigionare tutta la pienezza degli aromi. Ne tengo anch’io una bella scorta in cantina. Aspetto anche la nuova annata 2011, che è stata calda, asciutta, pertanto ci si può aspettare un estratto solido, di buona struttura, ma anche con un’acidità leggermente inferiore.

Sul binario giusto Come molte regioni vinicole, Somló ha avuto i suoi momenti migliori e peggiori. Il triste periodo del regime comunista qui si è manifestato abbastanza pesantemente, tanto fortemente che il luogo ha sofferto l'erosione della qualità e un particolare marasma mentale. Somló se l’è fortunatamente cavata. Oggi, però, non è una regione che possa essere considerata un vulcano di energico marketing. Tutto è calmo qui, con il peculiare ritmo della campagna e la comunità vitivinicola locale sembra concentrarsi prevalentemente sui mercati locali. Somló riesce a mantenere naturalezza, un fascino sano e genuino, lungi dalla brillantina mediatica e dall’abbaglio dei grandi eventi.

Perciò un viaggio a Somló è un po' come una gita al parco nazionale. C’è da vedere una preziosa pepita, che ha l’eccezionalità di Tokaj e conserva la propria individualità e la bellezza. Cosa importa se qui ci sono meno investimenti, meno turisti, meno divismo dei cognomi e meno avventure mediatiche? Si è conservata però l'unicità del posto. La vita qui sa di campagna, con tutto il suo fascino e le sue debolezze. A volte si vorrebbe che il posto palpiti di più, si sviluppi più velocemente, d’altro canto l’uomo trema un po' per la familiarità, la naturalezza che potrebbe svanire con il turismo di massa e gli investimenti "moderni". Il mondo del vino si standardizza e a momenti perde i contorni dell'identità. In questo contesto, questa vulcanica isola enologica si è conservata meravigliosamente conservata, è una nicchia molto naturale. Somló stessa, con un tale patrimonio, non poteva non comprendere regole per proteggere i metodi di coltivazione, di produzione del vino, eccetera.

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Questa regione è tutelata da denominazione d’origine, è un Districtus Hungaricus Controllatus. Ciò pone dei precisi requisiti qualitativi. Essi riguardano l’origine (il vino può nascere solo da uve che crescono sulla montagna o nelle immediate vicinanze) nonché l’adeguata maturazione delle uve. I vini di tutta la denominazione Somló non devono superare la resa di 80 hl per ettaro, che diventano 50 per quelli con una indicazione più specifica della parcella di origine. Il vino deve passare almeno un anno e mezzo in vecchie botti di legno. Questa limitazione è quella che profila meglio lo stile e la qualità dei vini di Somló. Anche se il luogo di cui si parla non è tra gli itinerari più popolari dell’Ungheria, ogni appassionato di vino dovrebbe venire qui. Lo faccia e non se ne pentirà certamente.

Mariusz Kapczyński

VINO – SPECIALE EST EUROPA - VINO 05 giugno 2012 BEVETE IL VULCANO FINCHÉ È CALDO! (1) Articolo di Mariusz Kapczyński su Vinisfera.pl

Eccovi il secondo degli articoli dedicati da Vinisfera.pl ai vini di Somló, il paese sulle pendici del vulcano Nagysomló che domina la parte sud-orientale della Kisalföld, la Piccola Pianura Ungherese, a poco più di 50 chilometri a nord del lago Balaton, sulla storica statale E 66 tra Gleisdorf e Budapest. Qui si parla di tre dei produttori principali fra i circa 3.000 che si dividono gli 830 ettari di vigneto, nonché dei loro vini migliori che il nostro “kapka” ha degustato in un raid sul posto insieme all’inseparabile Wojciech Bosak. Torno a raccomandarvi di prendere visione della mappa delle vigne e della fantastica, emozionante, galleria d’immagini a opera dell’autore, nella speranza che qualche lettore ci vada, anche se il luogo di cui si parla non è tra gli itinerari turistici più popolari dell’Ungheria per via… della troppa campagna! Quando si arriva sulla salita di Somló dalle strade strette e spesso piene di buche, si assapora in pieno il carattere unico di questo posto, con piccolissime parcelle di vigne, semplici terrazze e minuscole casette che ricordano i casotti rurali o le piccole dacie. Non ci sono negozi, ristoranti, resort, super-offerte ricreative, regnano unicamente la pace, il silenzio e la classica atmosfera rurale. Tutto è calmo, con estrema naturalezza, un fascino sano e genuino, un po' come andare in gita a un parco nazionale. Si è preservata l'unicità del posto, la vita qui sa di campagna, con tutto il suo fascino e le sue debolezze, perché questa vulcanica isola enologica è una nicchia davvero molto naturale che vi consiglio vivamente di visitare.

Il traduttore: Mario Crosta

Bevete il vulcano finché è caldo!

Vi presentiamo la prima parte delle valutazioni dei vini di Somló con le descrizioni delle figure dei loro produttori. In primis un classico, Béla Fekete, ma vi presentiamo anche il più giovane e altrettanto intrigante enologo Lajos Takács (cantine Hollóvár) e il famoso István Inhauser. Ciascuno di loro rappresenta uno stile di vino diverso, una personalità diversa, un posto diverso su quella vulcanica montagna…

Béla Fekete Un enologo leggendario... completamente l'opposto di una star, un bellissimo esempio della grande modestia di Somló. Dai suoi vini, credo 15 anni fa, iniziò la mia avventura con lo Juhfark. Il destino ha un modo tutto suo di portare a buon fine questa storia: quando gli ho fatto visita, questo gagliardo e amichevole 85-enne stava ufficialmente vinificando l’ultima annata della sua vigna. Un personaggio straordinario. Fekete è sempre stato a contatto con la natura. Ha lavorato nel settore forestale e ha cominciato a produrre vino 25 anni fa, quando stava per andare in pensione. Considerava la vinificazione come un hobby.

Per anni se l’è vista dunque più con l’enologia che con la moglie Borbála (che lui chiama affettuosamente "ministro delle finanze") e con suo figlio Zsolt. In quattro ettari situati in ottima posizione coltiva Hárslevelü, Juhfark, Furmint, Olaszriesling e Chardonnay. In totale fa 15-20 mila bottiglie l'anno. La vinificazione avviene all’estremo dei metodi più semplici, sui lieviti naturali, in vecchi tini di legno senza controllo della temperatura, eccetera. Questa minuscola cantina si presenta come l’avventura della Domenica di un vignaiolo dopolavorista non molto esperto in materia. Ma che bei vini nascono qui! Hanno un sacco di mineralità e vulcanicità, sanno d’erba, a volte sono leggermente ossidati ed eterei. Dei molti vini che ho degustato durante il soggiorno da Fekete, alcuni mi hanno trafitto il cuore. Lo Juhfark 2008 è una delle migliori versioni di Somló da questo vitigno, tra le più interessanti e direi di razza.

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Fekete mi ha assicurato che, sebbene la gran parte dei viticoltori di Somló promuova molto il Furmint come miglior vitigno, lui ritiene che lo Juhfark, pur difficile da coltivare, permetta di fare cose davvero eccezionali quando gli si danno le condizioni adatte e si capisce il suo carattere. Io credo a Fekete. Mi sono infatuato anche dell’equilibrato, oleoso, speziato, al propoli, Riesling 2006 e dell’Hárslevelü 2007 vecchio stile, un po’ verde, fumé, autunnale. Questo elenco dei suoi vini interessanti può diventare ancora molto più lungo. Un altro aspetto degno di menzione a gran voce sono i prezzi, mantenuti a un livello più che accessibile. L’annata 2011 promette di essere magnifica ed è, secondo Fekete, "una ricompensa per alcune delle ultime annate più deboli e uno splendido coronamento del mio lavoro". Purtroppo, l'annata 2011 per cui ha tanto lavorato Fekete è anche il suo commiato dal vino. Sappiamo già che suo figlio non se ne occuperà più dopo il padre. Ci sono però degli investitori interessati, sono in corso dei colloqui, ma Béla non ne ha voluto rivelare i dettagli. Questo bel capitolo dell’enologia di Somló, però, verrà sicuramente chiuso ben presto. (5+) Juhfark 2008, alc. 14% All’attacco subito nafta, pane secco, pera, cera d’api, noci, miele di grano saraceno, un’atmosfera piccante e un po’ di tè. Uno splendido vino secco, equilibrato e coinvolgente nella sua modestia e semplicità. Ricco e ben sviluppato. Ottima struttura, è pieno della mineralità e dell’impeto di Somló. Uno dei migliori Juhfark che abbia bevuto. A un prezzo di 1.800 fiorini, cioè circa 6 euro… (5) Furmint 2008 Al palato è oleoso, di taglio fuori moda e assolutamente seducente. Il vino è ricco, acidulo, di eccellente concentrazione. Aromi e sapori di mela cotogna, pera, paglia, wafer, note fumé, caramello, camomilla e argilla. Equilibrato, concentrato e ben sviluppato nel bicchiere. Dategli tempo, dategli tempo... e poi il cuore si scioglierà come il burro in padella. Amanti del vecchio stile: venite! Si deve bere il vulcano finché è caldo. (5) Rizling 2006, alc. 13,5% Cera, mela matura. Si sviluppa lentamente e costantemente in una direzione leggermente burrosa, di noci e verdure (carota). Vino denso, leggermente cerato, oleoso. Finale lungo, leggermente piccante (propoli), asciutto. C'è un buon equilibrio, essenzialità, il tutto disposto in modo uniforme, ben rivestito da un involucro erbaceo. (5-) Hárslevelü 2007, alc. 14% Qui sta succedendo davvero di tutto. È fuori moda e incantevole. Vino aromatico, con accenti di tè, sedano di Verona, noci, miele, propoli e di leggera ossidazione che, in questo caso, è tutta a vantaggio del vino. Un vino che è invecchiato (secondo le affermazioni di Béla) come un uomo al quale gli anni hanno aggiunto soltanto una specifica vigoria, un po' grezza, ma con un fascino particolare. Ci sono accenti fumé, erbacei e autunnali (foglie secche e fiori essiccati). Un vino lungo, accattivante e coerente. Cari amanti dei vini fuori moda e poco sgargianti, vi assicuro che una carezza del genere vi piacerà. (5-) Furmint 2007, alc. 14% Il vino è fresco e intrigante. Aromi di fiori di campo, radici ed erbe aromatiche piccanti, rafano. Ci sono accenti vegetali, minerali e terrosi. Tanta pera, mela cotogna e noci. Nel finale ha molti registri interessanti, importanti. Un vino molto buono, lungo, equilibrato e interessante. Vale la pena di dargli tempo. (4+) Furmint 2006 C’è più verdura e cenere qui che nel rizling, è un po' più levigato, armonizzato, ma è ancora eccellente, mantiene il livello, lo stile. Un vino un po' più riservato, ma con un registro terroso e una piccante nota minerale.

Lajos Takács (cantine Hollóvár) Un altro asso. Stile eccellente (anche se molto diverso da quello di Fekete) di un vino più riservato, elegante, raffinato. Queste vigne sono magistralmente condotte da Lajos Takács. Sono 3,5 ettari di vigneto (densità d’impianto di 10.000 piante per ettaro) condotto con molta attenzione e con una drastica riduzione della resa. Per quanto può fare, lo conduce in modo biologico, utilizzando solo lieviti naturali non selezionati. Un approccio radicale che riduce a volte l'intera produzione a sole 4-5 mila bottiglie... Prima Takács commerciava vino a Budapest, dove ha avuto il tempo di formarsi il gusto. Quando ha comprato la vigna e la casetta a Somló sapeva già quello che voleva veramente.

Ha fatto uscire i primi vini "ufficiali" nel 2000 (fatti però da uve acquistate, perché la vigna l’ha messa a dimora nel 2002). Nelle sue vigne crescono l’Olaszriesling (Riesling italico), il Furmint, lo Juhfark e il Sauvignon blanc. Lajos ha comprato alcune parcelle attentamente selezionate. Come dice lui stesso, gli piace stare lì, "dove adesso c’è più silenzio". Si può descrivere brevemente ed elogiare pienamente lo stile di questi vini: sono equilibrati ed eleganti. C’è vera classe, vera cultura di vinificazione. Sono sommessi, molto fini, da meditazione. Giocano su note di sapore molto delicate, finissime. Lajos non fa particolari interventi enologici, non s’intromette, permette ai vini di farsi da sé, perciò le differenze di annata si notano a volte in modo netto. In positivo: la piena naturalezza. In negativo: l’incertezza della qualità. I vini sono sinceri, aperti, fini e molto naturale, lontani dall’espressione offensiva, piuttosto concentrati, sommessi, eleganti ed equilibrati. Rispetto ai Somló un po' rustici, sono piuttosto molto "signorili". Una classe da elogiare in pieno. (6-) Juhfark 2009, alc. 13,5% Equilibrato, sobrio, elegante, c’è la cera, con foglie secche ed erbe aromatiche. Il vino in bocca è molto equilibrato, glicerino (grande concentrazione), molto sano. Delicato, minerale, con una bella nota di gelsomino. Oltre a questo: erbe aromatiche essiccate, una nota sapida, di formaggio, mineralità (loess, argilla), un leggero accento di frutta tropicale. Un finale elegante, erbaceo e lungo. Questo è uno Juhfark molto fine.

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(6-) Furmint 2008, alc. 14% La classica immagine di vino concreto, concentrato. Qui si riconosce chiaramente il carattere di Somló. Note di pera, burro, mela cotogna, uva spina matura, foglie secche. Il vino è pieno (ha 1 g di estratto), con una nota di terra asciutta, formaggio pecorino, sabbia, erbe, nocciole, mele. Equilibrato, lungo, elegante, leggermente tropicale. Finale piccante, erbaceo. Un vino a tutti gli effetti bilanciato e di carattere. Prima classe. Il miglior vino che mi è capitato di bere da Takács. Vale la pena comprarne l’annata 2008... (5+) Hárslevelü 2009, alc. 13,5% Eccellente espressione di mineralità, finezza e delicatezza, buona concentrazione. Elegantemente equilibrato. Fiori di campo (e di alberi da frutto), camomilla, terra, stradina campestre, olio. Bello. Delicato e morbido. Sarebbe molto facile esagerare nello scriverne, ma l'aroma della terra vulcanica, del basalto, fa la sua parte: minerale e silenzio. (4+) Furmint 2009, alc. 13% Qui c’è un sacco di aromi classici. Cera, fiori di campo, concentrazione, sa leggermente di morbida caramella toffee con una nota gelsomino. Levigato, ne emergono (di nuovo) i sapori del latte. Armonioso, leggermente speziato (noce moscata), foglie secche. Delicato, è l'espressione della terra, come del loess, è minerale, con un’acidità più bassa ed equilibrata. Vino lungo, equilibrato, con un accento discreto, ma buono, di Somló. Delicato. (4+) Sauvignon blanc 2007 Un vino dolce (70 g/l di zuccheri naturali residui). Ha un bel colore dorato. Ha un sacco di note semplici, un po’ contadine (tabacco, paglia, vecchie tavole di legno, funghi) e anche accenti di torta di mele e biscotti. La dolcezza non è molto intensa, ma ben nascosta nella struttura del vino e nell’acidità. Si può anche trovarci un po' di frutta candita e un leggero sfondo di funghi. È una curiosità, un vino specifico, con un carattere un po' strano, ma fatto con classe. Il finale è vegetale, al tè… (4) Furmint 2010, alc. 12,5% Un Furmint molto floreale e acidulo. C'è un po' di frutta acerba: mela, pera, pesca e registri un po' di latte e un po’ di fiori. Un vino semplice, ottenuto in tono floreale e di frutta acerba. Un po' più magro, più verde, acido e non tanto fine. Pizzica un po’. L’annata 2010 è stata piovosa ed è difficile trovarvi una buona struttura, tuttavia questo vino si difende bene. Può avere registri sicuramente migliori in pochi anni, quando perderà un po' di asprezza della sua acidità.

István Inhauser Questo enologo si sta muovendo in un ambito completamente diverso. È, infatti, uno dei migliori produttori di vino del lato nord della montagna: Somlószolos, che opera su appena 1 ettaro e mezzo di vigna. Ha iniziato nel 1973. Ha sempre venduto i suoi vini a livello locale, senza mai entrare nei mercati esteri, eppure ha guadagnato dei riconoscimenti: lo Juhfark, in particolare, ha conquistato numerosi palati. Ho avuto l'opportunità di visitare István un attimo solo per parlare, ma non era una visita allegra: era malato, stanco, come sopraffatto dai problemi... ciononostante ci ha ricevuto nel modo più ospitale possibile, direi anzi sontuosamente.

Sembra che l'azienda sia attualmente in una sorta di sospensione, non si sa quale sarà il suo destino. Due vini possono certificare la classe di questo enologo: uno Juhfark 2008 fuori dal comune, stravagante, un po' antiquato e molto griffato, speziato, leggermente ossidato, concentrato e di pura razza come il Furmint della stessa annata, più trasparente ed equilibrato, ma che non evita un fondo terroso ed erbaceo, di tabacco e di crosta di pane tostata. Lo stile è concentrato, pieno, intenso, con toni di frutta secca e di crosta di pane abbrustolita. Austero, denso, autunnale. Questa è sempre stata la vera e propria espressione di Somló. Vini molto interessanti, caro signor István, ma poi, che cosa c’è più in là...? (4+) Furmint 2008 Vino pulito e levigato. Ha uno stile più floreale, equilibrato, terroso, leggermente autunnale. Ha quel carattere e quelle piacevoli note tipiche di Somló che si sommano a un accento di vecchia botte. È ben marcato il tè sullo sfondo di terra secca e frutti tropicali essiccati. C’è la crosta di pane con accenti speziati, è leggermente scottante nel finale. Un vino di razza, ben fatto. (4) Juhfark 2008 Piccante, leggermente ossidato, senza dubbio "alla vecchia maniera". C’è una nota di sherry, di noci, di burro, di crosta di pane. Inoltre, marmellata di albicocche e sapori ben marcati, di razza, con l’impronta della frutta matura. Il vino ha un suo stile, è ben bilanciato e fruttato (frutta candita e frutta secca composte per la vigilia di Natale). Si tratta di uno Juhfark ben tagliato, "direttamente dal campo", un vino speziato, leggermente iodato ed erbaceo. Un vino affascinante, antico. Mariusz Kapczyński

La scala di giudizio:

( 6 ) eccezionale, un vero capolavoro ( 5 ) ottimo, vino di gran classe ( 4 ) buono, interessante ( 3 ) onesto, dignitoso ( 2 ) debole ( 1 ) stare alla larga, vino con evidenti difetti

(+ / - ) per aggiungere o togliere mezzo punto)

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VINO – SPECIALE EST EUROPA - VINO 03 luglio 2012 BEVETE IL VULCANO FINCHÉ È CALDO! (2) Articolo di Wojciech Bosak su Vinisfera.pl Eccovi il terzo degli articoli dedicati da Vinisfera.pl ai vini di Somló, il paese sulle pendici del vulcano Nagysomló che domina la parte sud-orientale della Kisalföld, la Piccola Pianura Ungherese, a poco più di 50 chilometri a nord del lago Balaton, sulla storica statale E 66 tra Gleisdorf e Budapest. Qui si parla di altri due dei principali produttori fra quei 3.000 che si dividono gli 830 ettari di vigneto, nonché dei loro vini migliori che sono stati degustati sul posto anche da Wojciech Bosak in un raid insieme all’inseparabile “kapka”. Torno a raccomandarvi di prendere visione della mappa delle vigne e della fantastica, emozionante, galleria d’immagini, nella speranza d’invogliarvi ad andarci, anche se il luogo di cui si parla non è tra gli itinerari turistici dell’Ungheria.

Il traduttore: Mario Crosta

Bevete il vulcano finché è caldo! (2)

Due produttori diversi. Imre Györgykovács è probabilmente l’unico degli attuali produttori attivi di Somló che possa vantare una così lunga tradizione enologica. Il suo bisnonno, Péter Deés, all’inizio del secolo scorso si occupava dei vigneti di Somló che appartenevano ai monaci Cistercensi di Zirc. Tutto l’opposto del giovane e intraprendente István Spiegelberg, che a fare il vino ha cominciato soltanto di recente, ottenendo però rapidamente plauso e riconoscimenti. È Wojciech Bosak ad analizzare il fenomeno di questi due produttori. Györgykovács Kispincészet Proprietario: Imre Györgykovács Indirizzo postale: H-8400 Ajka, Verseny u. 9 Località della cantina: Somlóvásárhely, Somló-hegy Telefono: +36.30.2323896, Tel/Fax: +36.88.200116 E-mail: [email protected] Superficie dei vigneti: 0,9 ettari Varietà coltivate: Furmint (38%), Hárslevelü (27%), Olaszrizling (22%), Tramini (13%). Località dei vigneti: Apápátsagi, Grófi, Taposókút Produzione annua: 5-7 mila bottiglie Degustazione e vendita sul posto: sì, su richiesta Associato a: Pannon Bormíves Céh

Imre Györgykovács è attualmente annoverato tra i vignaioli più illustri dell’Ungheria ed è nominato con assi del calibro di István Szepsy, Huba Seremley, József Bock. Fa parte dell’associazione d’élite Pannon Bormíves Céh, che comprende una trentina dei migliori produttori ungheresi; i suoi vini sono stati serviti nei ricevimenti ufficiali durante la recente presidenza ungherese dell’Unione Europea. Per le sue realizzazioni enologiche il Presidente dell’Ungheria lo ha personalmente decorato della Croce di Cavaliere al Merito. È difficile credere che a tanto splendore sia giunto un vignaiolo che non ha neanche un ettaro di vigna e con una produzione che non supera qualche migliaio di bottiglie. È probabilmente l’unico degli attuali produttori attivi di Somló che possa vantare una così lunga tradizione enologica. Il suo bisnonno, Péter Deés, all’inizio del secolo scorso si occupava dei vigneti di Somló che appartenevano ai monaci Cistercensi di Zirc. Suo padre, Péter Györgykovács, ha lavorato per molti anni come maestro di enologia nelle cantine statali a Devecser, a un paio di chilometri, coltivando anche una propria vigna sulle pendici del vulcano Nagysomló, da cui produceva un vino per il consumo personale. Il giovane Imre si è diplomato alla scuola di giardinaggio, ma si è qualificato subito in elettronica e ha cominciato a lavorare presso il colosso Videoton di Székesfehérvár. È tornato alle tradizioni famigliari nel 1979, quando con la moglie Gyöngyi si sono comprati un terreno con un pezzo di vigna a Somló, in tutto un quarto di ettaro. Negli anni successivi ci hanno costruito una casetta per l’estate con una piccola cantina dove anche i Györgykovács, come tutti i vicini, hanno cominciato a fare un vino per il consumo personale. Con il tempo hanno acquistato altri fazzoletti di terra, piantandoci la vite. Il nostro vignaiolo ricorda spesso che la passione per il vino gli è stata contagiata dal padre, che ai suoi tempi faceva uno dei migliori vini di Somló ed era fra i pochi a scandagliare i segreti dei locali terroirs. Per molto tempo, però, hanno trattato la produzione di vino come un’attività ricreativa del fine settimana. Soltanto nel 1993, quando la critica si è accorta dei suoi vini e questi hanno guadagnato un paio di medaglie d’oro ai concorsi ungheresi e internazionali, lui ha lasciato il lavoro alla Videoton e si è occupato professionalmente della vinificazione. Nonostante l’enorme successo e la domanda di cui godono i suoi vini, Györgykovács rimane ancora un piccolo vignaiolo nel vero senso della parola, tutta la sua produzione annuale ammonta oggi soltanto a 5-7.000 bottiglie e non ha nessuna intenzione di aumentarne il volume. Si può prendere quest’affezione per la piccola scala come una sorta di dichiarazione ideologica. Györgykovács è un perfezionista senza compromessi e gli piace ripetere che perfino i maggiori successi provengono da una somma di piccoli particolari. È per questo che il lavoro quotidiano in vigna e in cantina è praticamente fatto soltanto da lui e dalla moglie, che non vogliono affidare il benché minimo particolare a nessun eventuale dipendente.

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Durante la vendemmia e la lavorazione dell’uva vengono aiutati dalla figlia Adrienn (che si è diplomata sommelier) e anche dalla mamma di Gyöngyi, nonostante l’età avanzata. Le vigne occupano appena 90 are in tutto sommando le minuscole parcelle sparpagliate in diverse parti delle pendici meridionali della montagna di Somló. Sono delle campagnette piantumate ad alta densità (in totale vi crescono 6.000 piante) e coltivate senz’alcuna meccanizzazione. Il più importante dei vitigni coltivati è il Furmint, che occupa un povero pezzo di terra rocciosa nel cru chiamato dűlő Taposókút, proprio sotto la rupe di basalto. Quando spiega il suo affetto per il Furmint, Györgykovács sottolinea spesso che è proprio da questo ceppo, tradizionalmente coltivato nella parte più alta del pendio, che da secoli si fa il più apprezzato dei vini di Somló. Fra gli altri vitigni coltivati ci sono Hárslevelü, Olaszrizling e Tramini. Il nostro vignaiolo non è convinto del tutto dallo Juhfark, che di recente è diventato molto di moda a Somló ed è trattato quasi come se fosse la carta da visita di questa regione. Ritiene che questo ceppo in pochi anni sia in grado di dare davvero dei vini interessanti, ma di solito i suoi vini sono, però, rustici e poco eleganti. Memore degli ammonimenti del proprio padre scomparso (che rimane ancora per lui la massima autorità in materie enologiche nonché il suo vincolo con l’antica tradizione di Somló), non ha mai piantato Juhfark nelle sue vigne e soltanto nelle annate più fortunate ne acquista le uve dai vicini. Imre Györgykovács propugna una concezione enologica molto tradizionale e non interventista: dapprima ottenere le migliori uve possibili e poi perdere il meno possibile di questa qualità durante il processo di lavorazione e vinificazione. Già durante la maturazione in vigna avviene un’accurata selezione delle uve: ogni giorno si osserva grappolo per grappolo e si elimina letteralmente ogni acino guasto o danneggiato. Non pratica comunque la “vendemmia verde”. Di regola raccoglie le uve la mattina presto, con una temperatura relativamente fresca, per prevenirne l’ossidazione e conservarne la freschezza aromatica. Le uve diraspate vengono pigiate manualmente in tre torchi a cricco, una cosa molto laboriosa che permette però di trattare separatamente ogni piccola partita di uva e di controllare perfettamente tutto il processo. La fermentazione avviene su lieviti naturali in botti da 5-9 ettolitri, nelle quali (dopo la separazione dalle fecce) il vino maturerà. I vini vengono imbottigliati di regola prima della successiva vendemmia, anche se alcuni restano in botte fino a 20 mesi. Poi maturano ancora un anno o due in bottiglia prima della vendita. Questi vini sono così puliti e freschi che sembrano fatti in serbatoi di acciaio inossidabile. A volte è difficile credere che l’intero processo della loro produzione avviene in botti di legno usate e che l’unico serbatoio della cantina (che è di plastica, comunque) viene usato solamente per la sedimentazione del mosto prima della fermentazione. Questo è il risultato sia dell’ottima qualità della materia prima sia della cura maniacale dell’igiene in cantina. Imre Györgykovács sottolinea l’influsso positivo della micro-ossidazione in botte sia sul processo di fermentazione sia sulla stabilizzazione del vino durante la maturazione. Bisogna ammettere che i suoi vini si mantengono veramente benissimo in bottiglia e conservano la loro freschezza per molti anni. Si può definire lo stile di questi vini con il miglior significato che tradizionalmente si dà a questo termine. Non sono eccessivamente concentrati (in confronto con alcuni vini per esempio di Lajos Takács possono sembrare un po' allungati), ma questo gli aggiunge soltanto una leggera eleganza. Colpisce tuttavia la sincerità della loro materia, raramente riscontrabile altrove, oltre alla straordinaria freschezza, come quella di un sorso d'acqua cristallina di sorgente. Insieme con tutta la purezza del fruttato c’è un sacco di speziato tipico di Somló con le sue note minerali, piccanti e di erbe aromatiche. Abbiamo qui un esempio di perfezione tecnica quasi assoluta, ma ottenuta con i mezzi più semplici! È credenza comune che il vino fatto in modo del tutto tradizionale (senza l'imposizione delle conquiste della moderna enologia, come i lieviti selezionati, la fermentazione a temperatura controllata e i chiarificanti) debba essere un po' ruvido e un po' casuale. I vini di Imre Györgykovács contraddicono completamente questa tesi. Suppongo che i grandi vini di Somló della metà del XIX secolo, il periodo di maggiore prosperità per i vigneti locali, potrebbero essere stati proprio fatti così.

(6 -) Furmint 2008 Profumo di timo serpillo e camomilla su pietra calda. In bocca un’acidità bilanciata e una buona concentrazione, acqua minerale Borzhomi, prato appena tagliato, fiori bianchi su sfondo di mela matura e un po’ di pera. Ascetico, un vino apparentemente semplice, che tuttavia, fin dal primo momento, colpisce per l’ideale armonia. Modesto, elegante, cesellato in ogni dettaglio, in questo vino si sente un certo carisma difficile da definire. Va provato. (5 +) Juhfark Edes 2006, alc. 12,5% Un vino dolce (60 g/l di zucchero, 8 g/l di acidità, 20 mesi in botte), facendo riferimento alla tradizione degli Aszú di Somló. Fichi freschi, albicocche mature, miele, carote cotte con piselli, un pizzico di camomilla, composta di pere, un bell’equilibrio di dolcezza non troppo intensa e acidità, un sacco di note minerali nel finale. Un vino decisamente elegante, fatto con molta moderazione e grande sensibilità. Di gran classe. (5) Fűszeres Tramini 2010 Györgykovács è noto da sempre per i suoi Traminer e proprio i vini di questa varietà molto popolare a Somló gli hanno dato per vent’anni l’accesso alle enoteche. Gustiamoci questo vino ben fatto, anche se ancora molto giovane. Al naso, aromi dolci di rosa canina e di noce moscata, ma c’è anche la camomilla e un gelsomino generalmente pulito e fresco. In bocca il vino è completamente secco, roseo, erbaceo, con un pizzico di finocchietto e una struttura abbastanza piena. Molti accenti tipici di Somló, minerali e di erbe fini (iperico). (5 -) Olaszrizling 2009 Aroma pulito, rinfrescante, ci sono agrumi, erbe e sabbia umida. In bocca il vino è molto minerale, molto pulito, con un bel fruttato di pera, cotogna e un netto sentore di erbe (camomilla, fieno, iperico o erba di San Giovanni, detto anche scacciadiavoli), moderatamente concentrato, ma ben equilibrato e lungo. Una nota rinfrescante di menta e di melissa nel finale. Un vino elegante, raffinato, con belle prospettive nel futuro.

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(5 -) Hárslevelü 2008 All’attacco si sentono la mela tostata e le verdure grigliate. In bocca, evidenti note di minerali e di tisane (camomilla, iperico) oltre a un ricco fruttato maturo (pere, susine, cotogne). Un vino abbastanza pieno, ricco, complesso nel sapore, più rustico rispetto al precedente, anche se non privo di eleganza. Un finale lungo e fresco con un tocco di erbe.

Spiegelberg Kézműves Borpince Proprietario: István Spiegelberg Indirizzo: H-8478 Somlójenő, Somló, Hrsz. 1121 Telefono +36.20.3114534 Tel/fax: +36.88.236196 Sito web: www.spiegelberg.hu Superficie dei vigneti: 1 ettaro Varietà coltivate: Olaszrizling, Furmint, Juhfark Località dei vigneti: Szent Ilona Produzione annua: 4.000 bottiglie Degustazione e vendita sul posto: sì, su richiesta Possibilità di alloggio: sì

Nato a Berlino, figlio di un tedesco e di un’ungherese, István (o Stephan, come scrive qualche volta) Spiegelberg si è occupato di tante cose. Ha lavorato come tecnico delle luci nei teatri, ha fatto il DJ in una discoteca e ha viaggiato per otto anni come collaudatore della BMW. Nel 1993 i suoi genitori hanno comprato un podere di due ettari con vigneto sul versante sud-ovest di Somló, proprio sotto la cappella di Santa Ilona, trattandolo come una casa per le vacanze. Qualche anno dopo István ha cominciato a occuparsene e a produrvi seriamente il vino, sviluppando un piccolo agriturismo. Oggi è uno dei più famosi produttori della regione, con una quotazione piuttosto elevata presso la stampa estera. Spiegelberg coltiva un solo vigneto di un ettaro di superficie coltivato a Olaszrizling, Furmint e Juhfark. L'intera produzione annuale ammonta a circa 4.000 bottiglie di vino ed è in gran parte venduta sul posto. In cantina si utilizzano solo tecnologie tradizionali. I vini fermentano sui propri lieviti in fusti di rovere ungherese da 500 litri, maturandovi da 12 a 16 mesi. Qui nascono sia vini monovitigno sia uvaggi. Lo Spiegelberg che ha viaggiato per tutto il mondo non è quell’enologo-naturista locale di cui spesso ostenta le pose (il tutto sembra piuttosto attentamente studiato, esattamente come le "cantina-boutique" per far presa sul consenso mediale internazionale). Non sfugge da quei trucchi come quello di suonare i canti gregoriani in cantina durante la fermentazione, cosa che dovrebbe stimolare l'attività dei lieviti (sic). I suoi vini si possono definire più facilmente come spettacolari. Da un lato è difficile negare la loro concentrazione e la maturità del fruttato, dall'altro è difficile cercarvi una coerenza stilistica. Possono anche stupire per il tenore alcoolico elevato, per gli zuccheri residui e gli aromi selvatici, sebbene tutto ciò non sia sempre giustificato dallo stile e dal contesto. Vale la pena di raccomandare il posto come meta enoturistica. István Spiegelberg risiede in una tipica casa vinicola di Somló del XIX secolo, dove organizza degustazioni (anche per grandi gruppi) e, su richiesta, serve anche le specialità della cucina locale, compresi i prodotti del proprio orto e il pane fatto in casa. Accanto a essa c’è una struttura confortevole per gli ospiti, circondata da un vecchio frutteto, con una vista mozzafiato dall’alto della montagna di Somló. (4) Cuvée 2010, alc. 13% Un uvaggio di Olaszrizling (Riesling italico) all’80%. Un vino messo insieme bene, anche se non molto complesso, dove c’è un bel fruttato di mela e di pera, verdure grigliate, note erbacee, speziate e minerali (gesso). Concentrazione abbastanza buona, equilibrio e un lungo finale di mela fresca. Fondamentalmente è un vino semplice, ma può piacere per la freschezza e l’assenza di pretese. (4) Olaszrizling 2008, alc. 13,5% Ben costruito, un vino risparmioso nella sua espressione. Ci sono un sacco di note vegetali (carote, melanzane), terreno asciutto, foglie, acidità di mela matura, nonché un sacco di erbe aromatiche come camomilla, melissa, origano fresco e poi fiori bianchi. Il tutto è ben sistemato, compatto, ha una certa classe. (4 -) Olaszrizling 2002 Note autunnali e mature di mele secche, mandorle tostate e spezie (chiodi di garofano, cannella, curry). Ci sono lievi note di ossidazione (noci, crosta di pane raffermo), ma questo vino mantiene una buona acidità e conserva ancora una certa freschezza. (4 -) Olaszrizling 2010, alc. 14% Vino molto robusto, concentrato, ricco: mela matura, composta di pere, pepe bianco, erba di San Giovanni, camomilla, un’acidità ben bilanciata, c’è anche un po' di paglia, olio di semi di zucca, fiori bianchi. Un finale acidulo fresco con una nota leggermente alcoolica. (4 -) Juhfark 2010, alc. 16,5% Maturato 4 mesi in barriques nuove. Aromi di composta di frutta secca, di pere, mandorle grattugiate, tasso barbasso o verbasco. In bocca è grasso, c’è glicerolo, ci sono le pere in conserva, il caramello, il miele di grano saraceno, un sacco di erbe aromatiche e l’alcool bruciato nel finale. Un vino a suo modo intrigante, difficile da valutare in modo chiaro, atipico, anche se alla fine, però, con molta fatica, ci si riesce.

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(4 -) 14,5% Juhfark 2009 Un vino non perfettamente secco (9,5 g/l di zucchero residuo), anche se con una mineralità salmastra abbastanza ben equilibrata, dove ci sono anche pere mature, albicocche secche, mele tostate, foglie secche, cenere di falò. Il finale è abbastanza lungo e a base di erbe officinali (sciroppo per la tosse). (3 +) 13,5% Furmint 2010 Una bomba di fruttato maturo (mela, pesca), buona concentrazione, un fondo minerale argilloso, ci sono anche le erbe officinali, camomilla, fieno fresco, confettura di mele cotogne. Vino in sostanza ben strutturato, dall’aroma pulito, ma piuttosto breve e inconsistente alla fine. (3 +) Furmint 2009 C’è un sacco di fruttato, mela matura, composta di pere, mele cotogne, accenti tipicamente di Somló a base di erbe aromatiche (camomilla, menta, foglie secche), un po' di terra, pepe bianco, mandorle amare, ma appare anche la vaniglia della botte. L'effetto non è del tutto coerente. (3 +) Olaszrizling 2009 Al naso si sente la lettiera di bosco e una leggera nota di salamoia. In bocca è chiaramente percettibile, la dolcezza, ci sono mele mature, pere, melanzane fritte, pistacchi, un pizzico di pepe, sabbia umida. Non molto pulito, con un finale di cetriolo e finocchietto.

Wojciech Bosak

La scala di giudizio:

( 6 ) eccezionale, un vero capolavoro ( 5 ) ottimo, vino di gran classe ( 4 ) buono, interessante ( 3 ) onesto, dignitoso ( 2 ) debole ( 1 ) stare alla larga, vino con evidenti difetti

( - e + ) per togliere o aggiungere mezzo punto

VINO – SPECIALE EST EUROPA - VINO 04 settembre 2012 BEVETE IL VULCANO FINCHÉ È CALDO! (3) Secondo articolo di Wojciech Bosak su Vinisfera.pl

Eccovi il quarto degli articoli dedicati da Vinisfera.pl ai vini di Somló, il paese sulle pendici del vulcano Nagysomló che domina la parte sud-orientale della Kisalföld, la Piccola Pianura Ungherese, a poco più di 50 chilometri a nord del lago Balaton, sulla storica statale E 66 tra Gleisdorf e Budapest. Qui si parla di altri tre produttori principali fra i 3.000 che si dividono gli 830 ettari di vigneto e si descrivono i loro vini migliori, tra quelli che Wojciech Bosak ha degustato in un raid sul posto insieme all’inseparabile “kapka”. Torno a raccomandare di prendere visione della mappa delle vigne e della fantastica, emozionante, galleria d'immagini di Mariusz Kapzcyński, nella speranza che qualche lettore ci vada, anche se il luogo di cui si parla non è tra gli itinerari turistici più popolari dell’Ungheria.

Il traduttore: Mario Crosta

Bevete il vulcano finché è caldo! (3)

In questo articolo Wojciech Bosak descrive un’altra serie di produttori di Somló. Questa volta il grande Károly Kolonics (che è stata la vera e propria grande scoperta di questo viaggio!), il famoso spumantista András Fazekas e la cantina Csordás-Fodor.

Kolonics Pincészet

Proprietario: Károly Kolonics Indirizzo: Somló hegy 1273/4 Hrsz. Telefono: +36.70.3374551 E-mail: [email protected] Sito web: www.kolonicspinceszet.hu Superficie dei vigneti: 5 ha Varietà coltivate: Olaszrizling (circa 2 ha), Juhfark, Hárslevelű, Furmint, Cserszegi Fűszeres, Ezerfürtű Località dei vigneti: Apápátsagi, Közép Produzione annua: 20-30mila bottiglie Degustazione e vendita sul posto: sì, su richiesta Possibilità di alloggio: sì

Quando abbiamo pianificato per l'autunno il viaggio a Somló non sapevamo nulla di Károly Kolonics e per noi è stata una completa sorpresa aver trovato la sua cantina.

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L'unico albergo locale era in ristrutturazione e le organizzatrici ungheresi della nostra escursione ci avevano allora trovato un posto in un "alloggio agrituristico", scusandosi per tutti i disagi del caso. Appena giunti sul posto abbiamo capito che ci aspettavano un sacco di scoperte enologiche. La famiglia Kolonics faceva il vino a Somló già nel XIX secolo e uno dei loro antenati produttori doveva essere lo zio György Kolonics, il cui viso baffuto, fotografato nel 1882, compare sulle etichette dei loro vini. Tuttavia non siamo riusciti a stabilire null’altro di questa storia più da vicino, perché Károly Kolonics è un uomo taciturno per natura e le varie fonti di notizie a disposizione sulle sue attività enologiche sono più che modeste. Non abbiamo avuto nemmeno la possibilità di fare qualche domanda più precisa in proposito perché il nostro anfitrione, all’alba del giorno successivo al nostro arrivo, se n’è andato per qualche giorno a Budapest, lasciando una casa piena di ospiti e di vino (letteralmente, perché i cartoni di vino erano ficcati perfino dentro gli armadi e sotto i letti) con l’indicazione di dove lasciare la chiave quando saremmo partiti. Il primo giorno è riuscito comunque a farci visitare la cantina e a organizzare una bella degustazione di alcune annate dei suoi vini. Károly Kolonics ha ereditato il patrimonio famigliare all'inizio del secolo e adesso fa il vino con il proprio nome. Alcuni anni fa ha ristrutturato la vecchia casetta circondata dai vigneti ai piedi del cru dűlő Apátsági, trasformandola in una confortevole pensioncina che può ospitare fino a una dozzina di persone. Nel seminterrato, da 150 anni, si trovava l’antica cantina con il soffitto a volta, dove si fa ancora il vino. La tecnologia di produzione è molto tradizionale. Dopo una breve macerazione sulle bucce, il mosto viene versato nelle vecchie botti di capacità da 500 a 2.500 litri, dove fermentano sui propri lieviti. Dopo la fermentazione i vini maturano nelle stesse botti per un periodo di 2 o 3 anni e vengono poi decantati più volte per separare le fecce e stabilizzarli in modo naturale, prima di essere imbottigliati. Qui non si aggiungono enzimi né zucchero e non si applica la disacidificazione. Per le botti, oltre al rovere ungherese si utilizza anche l’acacia. L’Olaszrizling, che a Somló è considerato come una varietà di "lavoro" e non è molto apprezzato, occupa un posto di rilievo in questo vigneto e in questa cantina. Qui, però, questo ceppo conquista le vette più alte della sua espressione e dà forse la migliore delle sue interpretazioni di tutta la regione. Kolonics richiama l'attenzione sulla microflora unica della sua vecchia cantina, che, egli sostiene, determina la natura dei vini al pari con il territorio e il vitigno. Si riferisce in modo veramente mistico ai processi naturali coinvolti nella produzione del vino, di cui ricorda alcuni fra quelli biodinamici. Invece di far affidamento sull'influenza della luna e dei pianeti affida però i suoi vini alla cura delle autorità ungheresi santificate, i cui nomi compaiono su ogni botte, incisi con i caratteri runici dell’antica lingua magiara. Queste dediche non compaiono sulle etichette dei vini, però, perché il contenuto delle singole botti è assemblato prima dell'imbottigliamento. I vini di Kolonics riflettono pienamente un approccio tradizionale alla vinificazione, lontano da ogni intervento tecnico. Possono essere imprevedibili, selvatici negli aromi, spesso con un’acidità elevata e talvolta anche con una leggera ossidazione, ma non gli si potrà mai negare complessità, concentrazione e stile. Va sottolineato il livello di uguaglianza fra annate differenti. Questi vini molto minerali, duri, "di pietra" non piaceranno certo a tutti, ma non c'è dubbio che essi sono tra i più interessanti di Somló. È difficile credere che un produttore di questa classe sia rimasto a lungo noto soltanto a una ristretta cerchia di addetti ai lavori. Campioni dalla botte:

(4+) Olaszrizling 2009, alc. 13% È un vino affinato in una prima grande botte di acacia. L’aroma è molto minerale, grafitico, catramoso (calafatura a caldo del tetto), zucchero a velo, erba di prato. Anche in bocca è molto minerale, pieno, ben strutturato, con mele mature, agrumi, gelsomino e una buona acidità. Un finale lungo di erbe aromatiche, di gran classe. (4 +) Olaszrizling 2009, alc. 13% Questo vino è affinato in un’altra grande botte di acacia. È più erbaceo rispetto al precedente, più denso, perfino leggermente tannico (mele al forno), ma allo stesso tempo ha una trasparenza quasi cristallina, come l’acqua di sorgente. Pere, camomilla, iperico, torta di pastafrolla dura, zucchero filato, lungo, di buona taglia, fresco. (5 -) Furmint 2009, alc. 12% Un sacco di note minerali, sabbiose, erbe aromatiche ben pronunciate (camomilla, fieno fresco) e un bel fruttato maturo di pere e mele. Il vino ha una buona concentrazione e un’acidità d’acciaio, di sorgente, come la purezza del sapore. Lungo, con un bel po’ di freschezza minerale nel finale. Vini in bottiglia:

(5 +) Olaszrizling 2006, alc. 12% Aroma di acqua Borzhomi e di prato falciato di fresco; in bocca il vino è ben strutturato, non pesante, quasi etereo, elegante, con un fruttato concentrato, pieno, fresco (mele, pesche), con le erbe aromatiche (camomilla, verbasco), con una leggera nota di verdure e un tocco minerale. Molto pulito e rinfrescante come l’acqua di sorgente, molto lungo. Un finale fresco di mela ed erbe aromatiche. (5) Furmint 2009, alc. 13% Molto minerale, roccioso (un ciottolo tolto da un freddo ruscello), pollo al curry, mele, pesche, pastafrolla, fiori bianchi, erbe aromatiche forti. Ben strutturato, di grande concentrazione, con una buona acidità, ben bilanciato, ha eleganza e morbidezza. Un finale rinfrescante, minerale ed erbaceo. (5 +) Juhfark 2009, alc. 13,5% Un naso che profuma fortemente di erbe aromatiche, con un tocco rurale (lana di pecora), ma c’è anche acqua di mare, gesso, ostriche, mele al forno, l’aria dopo un temporale, il fieno fresco. In bocca è abbastanza pieno e molto complesso, ci sono note minerali ed erbacee, pera, mela, ma anche sapori piccanti, speziati e tostati, pur non mancandogli l’eleganza. Eccezionalmente lungo, intrigante, in un vero e proprio stile magiaro.

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(5 -) Hárslevelü 2007, alc. 12% L'aroma è dominato da fiori bianchi, fieno, erbe officinali, ma c’è anche terra di gesso, mandorla, acqua di mare. Il vino è morbido, elegante, ben equilibrato e dunque con un aroma ardente e un buon fruttato maturo: mele, pere, pesche, un sacco di erbe aromatiche e di note minerali nel finale. Lungo, fresco e cristallino, puro. (4 +) Olaszrizling 2001, alc. 12% Al naso, aromi di frutta matura, di curry e di marmellata di mele. È intenso e gradevole in bocca, ricco di minerali, complesso, composta di pere, confettura di pesca, erbe officinali, mandorle, pepe bianco. Nonostante gli evidenti segni di ossidazione, il vino mantiene una buona struttura, lunghezza e un sacco di freschezza, ha della classe.

Fazekas Borpince (Vino-Trans KFT)

Proprietario: András Fazekas Indirizzo: 8481 Somlóvásárhely, Vasút út 14 Telefono +36.88.506260 e +36.30.2266677, Fax: +36.88506261 E-mail: [email protected] Sito web: www.somlopezsgo.hu Superficie dei vigneti: 10 ha (compra anche uva dai vicini) Varietà coltivate: Juhfark (3 ha), Hárslevelű (3 ha), Furmint (3 ha), Olaszrizling (1 ha) Produzione annua: circa 100mila bottiglie, di cui 20mila metodo classico Degustazione e vendita sul posto: sì, su richiesta Possibilità di alloggio: sì

Nel 1980, András Fazekas ha affittato un pezzo di vigna e ha cominciato a produrre vino da vendere per guadagnare così qualche soldo in più del suo stipendio d’insegnante. Nel 1986 quest'interesse si era talmente sviluppato che ha potuto dimettersi dalla scuola e ha cominciato a occuparsi esclusivamente di vino. Nel 1991 ha piantumato la sua prima vigna e dopo pochi anni aveva già 10 ettari. Nel 1993 è stato il primo produttore privato di Somló a dotare la propria cantina di una linea professionale per l'imbottigliamento. È stato anche il primo produttore della regione di vini spumanti, dapprima con il metodo Charmat in autoclave sotto pressione e in seguito con il metodo classico di rifermentazione in bottiglia. Anche se rappresentano soltanto un quinto della produzione totale, oggi sono proprio i suoi metodo classico a stabilire la posizione di Fazekas e l’immagine della sua azienda. Le sue cuvée rifermentate in bottiglia e maturate per un anno sui lieviti sono dei tagli di vini dei ceppi tradizionali di Somló e si distinguono attualmente fra i più interessanti vini spumanti ungheresi. I suoi vini tranquilli non hanno però lo stesso livello, sebbene anche qui si può trovare qualche buona bottiglia. Tra queste sono disponibili anche quelle di annate più vecchie. Fazekas offre anche degli eccellenti liquori, tra cui quello invecchiato un quarto di secolo. Nel villaggio di Somlóvásárhely questa cantina offre anche delle sistemazioni notturne confortevoli e una sala di degustazione di grandi dimensioni, in grado di ospitare gruppi di 60 persone.

Vini spumanti metodo classico:

(4) Sec Somló (b.r.), alc. 11% (Furmint, Juhfark, Olaszrizlink, un anno di maturazione in bottiglia sui lieviti, 8-9 g/l di zuccheri residui). Il vino profuma di composta di frutta essiccata, erbe aromatiche e crosta di pane fresco, spumeggia bene in bocca, sa di mele essiccate, con un sacco di note minerali ed erbacee. Un vino di Somló in forma spumeggiante. Un finale lungo e fresco con sentori di mela, acqua minerale e lime. (4 +) Somló Demi-sec (b.r.), alc. 11% (Furmint, Juhfark, Olaszrizlink, un anno di maturazione in bottiglia sui lieviti, 29 g/l di zuccheri residui). Gli aromi del vino sono molto simili ai precedenti. In bocca mostra meglio il fruttato: frutta essiccata, mele, pere, erbe aromatiche e fiori bianchi. Più barocco, più ricco e al tempo stesso ben equilibrato. Mantiene un sacco di freschezza anche in presenza di una dolcezza nettamente percettibile. (4) Somló Doux (b.r.), alc. 11% (Furmint, Juhfark, Olaszrizlink, un anno di maturazione in bottiglia sui lieviti, 48 g/l di zuccheri residui). Un vino decisamente dolce, da dessert, ma al tempo stesso complesso e ricco di aromi. C’è la composta di pere, ci sono le mele essiccate, quindi meringa, uva passa, noci, fieno, fiori, roccia calcarea, un cenno di petrolio, pasticceria secca, ecc. Il tutto è comunque ben bilanciato con l’acidità e decisamente fresco. (4 +) Extra-szaraz Somló (b.r.), alc. 11% (Furmint, Juhfark, Olaszrizlink, un anno di maturazione in bottiglia sui lieviti, 1-2 g/l di zuccheri residui). Ecco una versione completamente secca, asciutta, che incanta soprattutto per il meraviglioso equilibrio, il perlage e una fattura liscia e cremosa. In bocca ha una buona concentrazione, un sacco di frutta essiccata (mele, pere), una mineralità rocciosa, erbe officinali, ma nel complesso il vino è sobrio, decisamente elegante. Agrumi ed erbe aromatiche nel lungo finale.

Vini tranquilli:

(3 +) Furmint 2004, alc. 12,5% Ancora molto fresco, un vino abbastanza piacevole, ma un po' acquoso; mele, pere, un sacco di erbe, acqua minerale, mantiene generalmente il carattere di Somló.

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(3) Somlói Rizling 2007 (Olaszrizling 100%) Semplice e non troppo concentrato, ma un vino fatto in modo pulito; si sentono pere, mele, camomilla, una nota minerale, piuttosto corto. (3 +) Somlói Rizling 2003, alc. 12,5% (Olaszrizling 100%) Decisamente meglio sia la concentrazione che la materia, rispetto al vino precedente, un fruttato abbastanza buono di pera, mineralità, ma si distinguono anche note di ossidazione (bucce di mele, noci e ruggine nel retrogusto). (3 +) Hárslevelü 2004, alc. 12,5% Piuttosto elegante nell’aroma (composta di pera, succo di mela, un sacco di erbe, acqua minerale Borzhomi, una buona concentrazione, però il vino è corto e leggermente sporcato nel finale. (4 -) Juhfark 2007 Un aroma pulito: minerali, pere ed erbe aromatiche. In bocca il vino ha un sacco di aromi a base di erbe, puliti, minerali, è abbastanza fresco, con sentori di mela matura e di ribes bianco, ha una buona struttura ed è lungo. Un bel finale minerale. (4) Nagy Somlói Arany Cuvée 2006, alc.12,5% (Juhfark, Furmint, Olaszrizling) Tipicamente di Somló, un forte aroma di erbe e sapori minerali. In bocca il vino è abbastanza ben concentrato, minerale, bilanciato, con una vivace acidità, c'è un buon fruttato (di mela matura e di composta di pere) nonché un sacco di erbe officinali (camomilla, iperico). Un finale lungo, ben pulito, a base di erbe e di minerali. (3 -) Furmint Felédes 2004 Questo vino abboccato ha un buon fruttato di mele, concentrazione, mineralità, un sacco di aromi di erbe, però alla fine c’è una contaminazione chimica netta, al limite del sapore di tappo (forse a causa della bottiglia?). (4) Hárslevelü Felédes 2003 Un altro vino abboccato, molto minerale (con una nota di petrolio), erbe aromatiche, con sentori tipici di pere e mele mature. Non si distingue per la finezza, ma è fatto abbastanza solidamente, pulito, ben focalizzato, lungo e piacevole. Si mantiene bene, data la sua età. (4) Hárslevelü Aszú 2004 Un vino botritizzato che, secondo il produttore, è fermentato 5 anni sui propri lieviti (sic) a causa dell’elevato contenuto di zuccheri. Il risultato profuma di buoni funghi secchi. Anche in bocca il vino sa di funghi, è denso, molto minerale, sapido, troviamo mele essiccate, uva passa e frutta secca, marmellata di albicocche, una nota di iodio. Lungo. Non è proprio una classica gran bellezza, ma è sicuramente interessante e degno di attenzione. (4) Hárslevelü 1990 È stato il più vecchio dei vini degustati durante il viaggio di Somló. Un colore dorato profondo. Aromi di mele mature, pere, miele, erbe aromatiche, in bocca una concentrazione piuttosto buona, un sacco di accenti minerali (sabbia, una goccia di nafta) ed erbacei, composta di pere, mela cotta. Nel finale ci sono note vegetali e risulta un po' annacquato, ma per la sua età è un vino che mantiene ancora il suo fascino.

Csordás-Fodor Borház

Proprietario: dr Sándor Csordás Indirizzo: 8481 Somlóvásárhely, Somlóhegy Telefono: +36.0.2178470, +36.30.2802701 Fax: +36.0.2178470 E-mail: [email protected] Sito web: www.somlowine.com Superficie dei vigneti: 8,5 ha (di cui 7 in produzione) Varietà coltivate: Juhfark, Chardonnay, Olaszrizling, Furmint, Tramini, Hárslevelű Produzione annua: circa 30mila bottiglie Degustazione e vendita sul posto: sì, su richiesta

Questa è una cantina piuttosto grande, rispetto allo standard locale, che si trova inoltre in una posizione comoda per i visitatori, presso l'ingresso principale di Somló da sud e che presenta quel tipo di "turismo del vino" che s’incontra spesso in Ungheria. Quindi c'è un’enorme sala con un bancone che può facilmente accogliere tutto un pullman di ospiti assetati. Sul posto si riceve vino in bottiglie, brocche, bicchieri e perfino qualcosa di regionale da mangiare. Da questa mescita si può scendere direttamente nell’enorme cantina a volta, dove tramite una lunga pipa di vetro si versa il vino direttamente dalla botte nei bicchieri dei visitatori. E se per caso arrivasse un secondo autobus, è disponibile anche un giardino con il barbecue. Non facciamoci incantare da questi “ambienti bucolici” già noti sul lago Balaton e nella Valle della Bella Donna a Eger; i vini qui hanno un certo livello, ma sono distanti dal meglio che offre questa regione. Sono dei vini di Somló in versione popolare (se fosse possibile materializzare quest’ossimoro). La fermentazione avviene su lieviti selezionati (cosa che a Somló non è troppo comune) e nei vini s’intravvede anche qualche intervento per alleviare l’asprezza e l’acidità. Nonostante questo, per la maggior parte conservano le tipiche note minerali e vegetali di Somló. Csordás mantiene anche l'antica tradizione locale di produrre vini dolci tipo aszú e (si deve ammettere) con buoni risultati.

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(4 -) Olaszrizling 2008, alc. 12,5% Nell'aroma ci sono la pasticceria croccante e le mele fritte con note di erbe aromatiche e tostate. Il vino in bocca è fresco, minerale, qui c’è della materia abbastanza buona e una buona concentrazione, un buon fruttato (mele, pere) piuttosto lungo. In generale ha uno stile moderno, fruttato, fresco, pulito, culturale. (4 -) Juhfark 2008, alc. 12% Aromi di erbe, composta di pere, chiodi di garofano, intonaco fresco, questo vino è fresco e pulito. In bocca è ben strutturato, minerale, con un fruttato pieno: pere, composta di mele, note erbacee, resinose, piuttosto lunghe, agrumi, erbe e un finale pulito e fresco (4 +) Juhfark 2009, alc. 14% Un vino dolce che si riferisce alla tradizione degli aszú di Somló. Il colore è dorato intenso. Nell’aroma le note tipiche dei vini botritizzati: mele al forno, verdure grigliate, piselli e carote, miele, albicocche secche. In bocca è pieno, minerale, con un sacco di glicerina, miele di tiglio, marmellata di albicocche, pesche, esaltate in modo preciso, in uno stile piuttosto moderno. Un finale lungo e fresco di pesche. (3 +) Furmint 2007, alc. 12,5% (Vino macerato per circa 12 ore sulle bucce). Un colore giallo scuro, saturo. Nell’aroma ci sono note minerali, di erbe aromatiche e mele mature, in bocca un sacco di fruttato di mele, pere, tè e tisane, ma il finale è tutto evoluto e leggermente ossidato. (3) Chardonnay 2009, alc. 12,5% Vino abbastanza neutro nell’aroma e debole nel gusto, ma è molto pulito e non ci sono grossi difetti tecnici, anche se non c’è nient'altro oltre a questo: in bocca indugia su alcune mele tostate in qualche maniera e su erbe rachitiche, comunque in genere qui soffia la noia da supermercato. (4 -) Hárslevelü 2007, alc. 11,5% Colore dorato intenso. Un vino fortemente aromatico, alle erbe, con note di miele, tè verde, camomilla e grano saraceno, con un fruttato leggermente dolciastro: pere mature, pesche, una buona acidità. Un finale lungo e fresco con note di pesca e camomilla. (2 +) Tramini 2006, alc. 13% Un vino decisamente stanco, evoluto, conserva ancora i resti di aromi varietali (mele mature, gemme di rose, cannella), ma ci sono anche note impure di frittata (omelette) e prodotti chimici.

La scala di giudizio:

( 6 ) eccezionale, un vero capolavoro ( 5 ) ottimo, vino di gran classe ( 4 ) buono, interessante ( 3 ) onesto, dignitoso ( 2 ) debole ( 1 ) stare alla larga, vino con evidenti difetti

( - e + ) per togliere o aggiungere mezzo punto

Wojciech Bosak

VINO – SPECIALE EST EUROPA - VINO 02 ottobre 2012 I VINI UNGHERESI DI SOMLÓ TRA MODERNISTI E TRADIZIONALISTI I vini ungheresi di Somló raccontati da Mariusz Kapczyński su Vinisfera.pl

Eccovi il quinto degli articoli dedicati da Vinisfera.pl ai vini di Somló, il paese sulle pendici del vulcano Nagysomló che domina la parte sud-orientale della Kisalföld, la Piccola Pianura Ungherese, a poco più di 50 chilometri a nord del lago Balaton, sulla storica statale E 66 tra Gleisdorf e Budapest. Qui si parla di altri tre produttori, anch’essi tra i principali dei 3.000 che si dividono gli 830 ettari di vigneto, nonché dei loro vini migliori che Mariusz Kapczyński ha degustato in un raid sul posto insieme all'inseparabile Wojciech Bosak. Torno a raccomandarvi di prendere visione della mappa delle vigne e della fantastica, emozionante, galleria d'immagini di Mariusz Kapzcyński, nella speranza che qualche lettore ci vada, anche se il luogo di cui si parla non è tra gli itinerari turistici più popolari dell'Ungheria, ma certamente fra i più tranquilli e bucolici.

Il traduttore: Mario Crosta

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Bevete il vulcano finché è caldo! (3)

Ecco la quarta parte della serie dedicata ai produttori di vino di Somló. Qui si parla di due grandi cantine (in rapporto alla scala della regione) come la famosa Tornai, passata di generazione in generazione, e la nuova, modernista Kreinbacher, ma anche della piccola, tipica, molto tradizionale cantina di Bogdán Birtok. Tornai Pincészet

Proprietario: Tamás Tornai Indirizzo: Somló-hegy, Somlójeno hrsz. 1248 Tel/fax: +36.88.516224, fax +36.88.516226 E-mail: [email protected] Sito web: www.tornaipince.hu Superficie dei vigneti: 56 ha Varietà coltivate: Juhfark, Furmint, Olaszrizling, Hárslevelű, Pinot Gris, Zenit, Zeusz, Pinot Blanc Località dei vigneti: Ilona, Apátsági, Grófi, Arany Degustazione e vendita sul posto: sì, su richiesta Possibilità di alloggio: sì

Una delle cantine più grandi e uno dei più noti produttori della regione. In questo momento dispone di una superficie di 56 ettari (vendemmiando però da 48, tra cui un piccolo vigneto sul Lago Balaton per la produzione di vini base). Nelle condizioni di Somló è una superficie enorme, considerando quelle dei vicini che sono di 1 ettaro circa. Si intuisce che Tornai è una delle aziende più organizzate, intraprendenti e dal marketing dinamico. Hanno un moderno wine bar, un ristorante e la più importante offerta di sistemazione (con un hotel pronto ad accogliere più di un centinaio di persone). Nel caso di Somló è estremamente importante, perché qui le strutture della ristorazione e quelle alberghiere zoppicano molto. Inoltre da Tornai c’è un piccolo museo del vino, una grande sala di degustazione, un ristorante. In una parola: la gamma completa e secondo uno standard buono e moderno. Questa famiglia si occupa di produrre vino a Somló già dal 1946. È stato Endre Tornai a iniziare la sua avventura con la viticoltura partendo da un vigneto di 0,8 ha. Negli ultimi anni della sua vita Endre era la guida e il consigliere enologico della famiglia. Purtroppo è morto nel settembre del 2011 all’età di 90 anni. Da allora è il figlio Tamás a condurla con abilità. La cantina unisce il vecchio e il nuovo: a eccezione dei classici ceppi di Somló, nei vigneti si coltivano antichi vigneti ungheresi come Csomorika e Sárfehér. Oltre a questi ultimi ci sono Irsai Olivier, Sauvignon Blanc e Tramini. I vini fermentano in botti da 500 litri (alcuni di essi maturano anche in piccole botti di rovere ungherese). Sembra che sia stata una buona idea quella di dividere nettamente la produzione in tre linee: Solyma (quella di base, con Olaszrizling, Zenit, Furmint e Pinot Gris), Classic (più elegante e importante, in testa c’è lo Juhfark) e Top Selection (la selezione dei migliori appezzamenti, con le uve tutte selezionate). Prezzi attraenti. In generale, i vini di Tornai hanno uno stile abbastanza abbordabile, sono gustosi, semplici, hanno una struttura più matura, densa, anche se meno trasparente. (4) Ilona Olaszrizling 2008 Top Selection In un primo momento rivela una ricca tavolozza di aromi di verdure (sedano, prezzemolo, melanzane) che col tempo si trasforma in un registro più fruttato. In bocca è morbido, ci sono acacia, nocciola e burro, ma è un po' carente in profondità. Ci sono note di pesca, mela e accenti che mostrano la botrytis. Prezzo: 2.600 fiorini. (3+) Mineraux Zenit 2010 Ha il carattere semplice ma tipico di Somló, "vulcanico", con un po' di camomilla. Pulito. Ci sono note di erbe aromatiche, erbe officinali e mela. è probabilmente l'unico produttore nella regione a coltivare questo vitigno. Per 600 fiorini (neanche 2 €) è un vino che presenta uno stile dignitoso. (3+) Nagy-Somlói Furmint Solymász 2006 Piuttosto elegante. Un sacco di sapori diversi. Ci sono note di mele, pere, caramello, cavoli, camomilla, olio d'oliva. Mantiene l’acidità. È abbastanza leggero (forse gli manca anche un po' di corpo), un po' sbilanciato, ma vi si può scegliere qualcosa d’interessante. Prezzo: 600 fiorini. (4-) Furmint 2001 Classic Un Furmint levigato, più che bianco sembra invece di colore tra la nocciola e il tè. Qui c’è un bel po’ di idrocarburi. Un vino che ha una buona struttura e un buon carattere e dopo tanti anni mantiene ancora una buona freschezza e acidità. In bocca rivela un sacco di note di erbe aromatiche, smalto e burro. È un vino interessante, minerale. Prezzo: 2.000 fiorini. (4) Apátsági Furmint 2008 Top Selection nche in questo caso ci sono aromi che si verificano coerentemente negli altri vini di Tornai: olio di girasole, burro, nocciole, mela cotta. Un vino minerale, vispo e sostanzioso. Qui è molto più visibile la tipicità di Somló. Un vino di buona struttura, lungo, con un finale fruttato un po' dolciastro. Liscio, cerato e leggermente amarognolo. Molto potente. (4) Grófi Hárslevelű 2006 Top Selection Dominano le note di camomilla e argilla. Un vino equilibrato, con aromi piacevoli e invitanti: cera d'api, fiori di tiglio e di acacia, mele, pere, olio di girasole e vaniglia. Gustoso, minerale, con un bel finale. Ha carattere e colpisce per la grande quantità di selce. È lungo ed equilibrato. Prezzo: 2.600 fiorini.

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(4) Cuvée 2008 Top Selection Un assemblaggio di Olaszrizling, Hárslevelű e Furmint. Fermentato in botte, cosa che è facile da vedere, perché dominano le note di burro, mela e un po' di vaniglia. In bocca ci sono accenti vegetali, cera d’api, crema grassa, sciroppo di cotogna ed è leggermente speziato. Un vino che mantiene un buon livello, ma che provoca la leggera sensazione che manchi un po’ di finezza nel suo complesso e che abbia una struttura un po’ appesantita. Bisognerebbe lasciarlo un po' di più nel bicchiere. (4-) Grófi Juhfark 2009 Giallo, saturo di colore. Aromi un po' tenui. Si sentono note di verdure, prezzemolo, sedano, senape. Estrattivo. Inoltre si sentono note di noci, cera d’api, fiori di campo e fumé. Denso e intenso. Un po' sbilanciato, quasi vuoto. Qui ci sono note meno "vulcaniche", ma grasse, lunghe e speziate. Il finale è un po’ amaro. Prezzo: 3.000 fiorini.

Kreinbacher Birtok

Proprietario: József Kreinbacher Indirizzo: 8481 Somlóvásárhely, Somló-hegy GPS : 47°8’28.34”, 17°22’45.95” Tel. +36.88.506212 E-mail: [email protected] Sito web: www.kreinbacher.hu Superficie dei vigneti: 40 ha Varietà coltivate: Furmint, Italian Rizling, Hárslevelű, Traminer, Pinot Gris, Juhfark e anche 1 ha di Syrah Produzione: circa 500.000 bottiglie l’anno Degustazione e vendita sul posto: sì, su richiesta Possibilità di alloggio: no

Nel comprensorio di Somló è una proprietà grande e relativamente nuova, in quanto è stata fondata nel 2002 da Joseph Kreinbacher realizzando un bel progetto di buon gusto del famoso architetto ungherese Eclair Dezsö. La tenuta dispone di 40 ettari di vigneto gestito organicamente (in parte terrazzato). József Kreinbacher (un uomo d'affari ungherese, un ricco investitore nel settore delle costruzioni, i cui antenati provenivano dalla Germania) ha fatto un coraggioso investimento su larga scala per quasi 10 milioni di euro, dando così il via all'attività e al fermento commerciale e ideologico in questa micro-regione. L’ha comprato subito perché doveva introdurre un nuovo vigneto e la qualità nel marketing. Kreinbacher produce circa 500.000 bottiglie l'anno. I responsabili della vinificazione sono Norbert Bodorkós e Gyorgy Várszegi. Il vitigno più importante per loro è il Furmint. I vini sono tecnologicamente puliti, ben fatti. La tecnologia moderna e la vinificazione hanno qui la precedenza sull'espressione di quello che in generale s’intende per terroir di Somló. I vini sono fermentati in botti usate da 500 litri di rovere ungherese. Nella ricerca della strada migliore, qui sono i migliori esperti del mondo enologico ungherese a fare da consulenti (spesso proprio i primi nomi). Kreinbacher insegue le novità in modo interessante, per esempio ha piantato gli antichi vitigni ungheresei Mézesfehér, Sárfehér (e qualche altro) per provarli su scala più vasta. Dall'altra parte è l’unico a Somló a coltivare il rosso Syrah su scala commerciale, anche se questo non è in completa contraddizione con la storia del luogo, in quanto le fonti storiche dicono che qui le varietà rosse erano state già coltivate. Sembra perciò che i risultati degli esperimenti attuali non siano poi così tanto destinati alla sconfitta come se fossero il frutto di una forzatura “in rosso” di Somló. Bisogna ricordare anche il successivo investimento di Kreinbacher ai piedi del vulcano Somló-hegy: la cantina di Szent Ilona, molto interessante, progettata dallo stesso architetto e che sarà impegnata nella produzione di vini spumanti prodotti con metodi tradizionali. Ci sono già i vini base predisposti per questa produzione (saranno Furmint e Chardonnay). Non si dica però che due produttori come Kreinbacher e Tornai, che percorrono una strada di marketing non proprio ben vista in questa zona, stanno conducendo l’attuale Somló su binari più affaristici e moderni. Gli investimenti e i piani di sviluppo di queste cantine non hanno intaccato l'integrità di questo luogo unico, tranquillo, dove dai piccoli appezzamenti sulle pendici del vulcano nascono continuamente dei vini straordinari.

(3+) Syrah Rosé 2010, alc. 12,5% Colore salmone chiaro leggermente saturato. Aromi leggeri, semplici, delicati. Un vino del registro tipico dei rosati, rinfrescante, leggermente fruttato. Ha l’acidità, è semplice e fresco. Neutrale, si beve con piacere. Fatto solidamente. Circa 1.440 fiorini. (3+) Furmint 2009, alc. 14% Fermentato e maturato in botte per 10 mesi. È pulito, sa di noci e di miele, ci sono accenti floreali, di latte, è un po‘ verde. Realizzato in modo moderno, vivace e leggero. Mantiene il delicato accento del Furmint. Equilibrato, limpido e fresco, con un delicato amarognolo e un tocco di alcool nel finale. Circa 1.440 fiorini. (3+) Olaszrizling 2007, alc. 13,5% Fatto come sopra. Camomilla, vaniglia, banana, meringa, pan di Spagna. Vino in versione fresca, ma ancora "dolciastra". Un tocco di agrumi, amarognolo. Un vino prodotto nello stile precedente. È pulito, di buon equilibrio, ma gli manca nerbo e l’individualità di carattere. Circa 1.440 fiorini. (3) Juhfark 2009, alc. 14% Fatto con lo stesso metodo del Furmint. Un altro vino pulito e moderno. C’è latte e nocciola, anche se (come tutti questi vini) senza la caratteristica impronta di Somló. Tannini di barile sullo sfondo e vaniglia, un accento di erbe aromatiche. Qui manca molto il taglio locale. Circa 1.440 fiorini.

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(4-) Kreinbacher Nagy-Somlói cuvée 2009, alc. 14% 60% Hárslevelű, 20% Furmint, 20% Olaszrizling. Vaniglia, pan di Spagna, pera. Ci sono aromi migliori, più densi, fruttati. Un sacco di camomilla, fiori di campo, pere. Generalmente, più materia e qualità del fruttato. Suona meglio, è più importante. Prezzo: 1.690 fiorini. (3+) Syrah 2009, alc. 14% 14 mesi in botti di rovere francese. Un sacco di rosa, ciliegia, mora, lampone, frutti di bosco. Terra, noccioli di frutta, un’aria un po' grafitica. Fresco, ma un po' troppo dominato dalla botte. Ha struttura, acidità, l’alcool brucia un po'. Decente, ma non eccezionale. Prezzo: 6.280 fiorini.

Bogdán Birtok Proprietario: Bogdán Birtok Indirizzo: 8500 Pápa, Szent István u. 22 Tel. +36.30.3508923 E-mail: [email protected] Superficie dei vigneti: 17 ha Varietà coltivate: Juhfark (uno dei vitigni più importanti), Furmint, Hárslevelű, Rizling Italico, Traminer Località dei vigneti: Szent Ilona, Szent Márton, Kükép Degustazione e vendita sul posto: sì, su richiesta Possibilità di alloggio: sì

Bogdán Birtok rappresenta già la quinta generazione di una famiglia che fa il vino a Somló (dal 1849, ndr.), oggi su 17 ettari. Negli ultimi anni hanno fatto un sacco d’investimenti, ampliando la struttura che si trova nella parte sud-ovest della montagna. Il vantaggio è che lavorano anche come pensioncina (in questo momento hanno appartamenti per 10 persone). Il posto è particolarmente indicato per le gite turistiche, aperto ai forestieri desiderosi di degustazioni, grigliate, ecc. La cantina è pronta per l’accoglienza di gruppi di circa 20 persone (terrazza, sala di degustazione). Nei vigneti di Birtok il vitigno più importante è lo Juhfark (con ben 12 ettari), la cui migliore versione è quella della potente annata 2009. Si coltiva sperimentalmente il Sargamuskotaly. Uno stile di vino semplice, alla vecchia maniera, un po’ rozzo, non ricercato.

(3-) Somlai 2009, alc. 12% Olaszrizling e Furmint (un antico, classico, tipico taglio di Somló, un "mix" naturale perché in molti vigneti entrambe le varietà crescono mischiate nei filari). Fatto correttamente. Fra gli aromi anche i crauti e profumo di detersivo. Acidulo, semplice, sa di mela, erba secca, pera, con una strana nota del sapone "cervo bianco"... (3 -) Hárslevelű 2009 Mela, uva spina gialla matura. Vino ossidato, con un’acidità leggera. Erbe e albicocche secche nel finale. (3+) Juhfark 2009, alc. 14,5% Questo è il principale vitigno della cantina. Il colore è più scuro. Limpido, più interessante, più fruttato, leggermente vulcanico. Concentrato. Negli aromi e nei sapori c’è il melone maturo, qualche nota di resina e di alcool. Ha un carattere varietale abbastanza buono. Torsolo di mela, noccioli di frutta, alcool e un po' di erbe aromatiche nel finale. Corto. Prezzo: 1.500 fiorini. (3) Primavera 2010, alc. 12% Rizling/Silvaner. Vino giovane, prodotto con il metodo della riduzione. Nel bicchiere è piuttosto pulito, leggero e fresco. A modo suo è un vino non vincolante, piacevole per gli amanti dello stile semplice, liscio, "senza problemi". Levigato (10 grammi di zucchero residuo), nel finale c’è un tocco di limone e di mela. (3) Tramini 2009 Un vino semplice, leggermente dolce. C’è mela, succo d'uva, un po' di noce, pera. Un vino facile da bere, fatto per soddisfare i gusti più popolari. Molto conveniente, non complicato.

La scala di giudizio:

( 6 ) eccezionale, un vero capolavoro ( 5 ) ottimo, vino di gran classe ( 4 ) buono, interessante ( 3 ) onesto, dignitoso ( 2 ) debole ( 1 ) stare alla larga, vino con evidenti difetti

(+ / - ) per aggiungere o togliere mezzo punto)

Mariusz Kapczyński

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VINO – SPECIALE EST EUROPA - VINO 06 novembre 2012 IMPRESSIONI SULLA BULGARIA Articolo di Mariusz Kapczyński su Rynki Alkoholowe

È un po’ che non ci aggiorniamo sulla Bulgaria, ma laggiù stanno davvero rivoluzionando in modo qualitativo l’enologia locale, grazie anche all’impegno dell’ex re Simeone, tornato in patria come normale cittadino e impegnato nella direzione politica del Paese secondo le regole della democrazia. Nonna italiana, eh? Buon sangue non poteva mentire. In questo collage d’impressioni diverse (non solo enologiche) di ritorno dalla Bulgaria, il nostro Mariusz Kapczyński non dimentica infatti qualcos’altro d’italiano che sta fermentando laggiù, la cantina Edoardo Miroglio, un moderno investimento dell’imprenditore italiano che possiede anche la Tenuta Carretta in Piemonte. Anche qui buon sangue non mente. Ho avuto modo di constatare anch’io di persona i suoi vini, di ricevere in Polonia un listino con l’offerta completa, perciò concordo con il mio amico Kapka nel consigliarli agli altri enoappassionati, anche italiani. Vi lascio dunque alla lettura del bel pezzo, il primo dei due che vi ho tradotto per gentile concessione della rivista specializzata Rynki Alkoholowe. L’articolo è comparso in seguito anche su Vinisfera.pl.

Il traduttore: Mario Crosta

Impressioni sulla Bulgaria

Ecco un collage d’impressioni diverse (non solo enologiche) di ritorno dalla Bulgaria Vinaria Uno dei modi di promuovere e attivare il mercato è quello di organizzare concorsi vinicoli e fiere. L'evento più importante della Bulgaria è la fiera Vinaria a Plovdiv. Quest'anno la sua ventesima edizione si è tenuta dal 15 al 18 marzo. In questa occasione si è riattivato il concorso per, vini, liquori e brandy. I primi concorsi professionali sono stati organizzati nel 1962 a Sofia, poi si sono succedute altre edizioni in diverse città, sotto l’egida e secondo le norme dell'OIV (Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino). Quest'anno il concorso si è tenuto dal 20 al 26 febbraio. A questa modesta iniziativa, oltre agli esperti locali e ai produttori di vino sono intervenuti anche giornalisti e sommelier di Svizzera, Germania e Italia. L'evento è stato organizzato con competenza: quattro commissioni hanno valutato i vini secondo i canoni professionali e le apparecchiature elettroniche, cosa che ha facilitato notevolmente la valutazione e l’assegnazione dei punteggi. Oltre ai vini bulgari (che hanno decisamente dominato in quantità), abbiamo valutato anche vini di Francia, Slovacchia, Romania e Moldavia. In totale sono stati analizzati 253 campioni di vino, 54 di liquori e 8 di brandy. Molti dei vini in concorso erano troppo giovani, ancora un po' "grezzi", ma non c’è stato nessun problema nel notare il buon potenziale dell’annata 2011. Lo stesso complesso fieristico in cui si è svolto il concorso merita il riconoscimento sia per le dimensioni sia per le infrastrutture davvero ben preparate a organizzare grandi fiere ed eventi di ogni genere. La stessa città di Plovdiv, che ospita Vinaria, sorprende (soprattutto il centro storico) per la tranquillità, i monumenti, l’architettura, il clima, il numero dei musei e delle gallerie. Terra di vino (ma non solo) Anche se ai nostri occhi la Bulgaria è appare come un tipico paese vinicolo, dovremmo però correggere un po’ questa definizione. Oltre al vino, infatti, laggiù si beve una marea di liquori, il cui consumo è fortemente tipizzato nelle abitudini culinarie e conviviali del paese. Qualche anno fa, le statistiche dicevano che ogni anno i bulgari bevevano quasi 90 milioni di bottiglie di liquori, ma di vino soltanto 28 milioni. La tradizione del consumo di liquori è così forte che le cene e le feste in cui sono stati presentati i vini iniziavano con bicchieri di superalcolici locali. La cordialità dell’incontro era sottolineata inoltre dalla completa libertà di fumare, senz’alcuna restrizione. Finora i bulgari non stanno applicando per niente le restrizioni comunitarie in materia. Alcuni amici mi hanno riferito che ancora 2 o 3 anni fa avveniva anche nei concorsi enologici locali, nessuno si è preoccupato di dettagli come il fumo delle sigarette e i giudici fumavano allegramente ai banchi di degustazione. In ogni caso, le degustazioni e le feste con i Bulgari sono un vero piacere, è gente ospitale, accogliente e gentilissima. Competitività La diversificazione su vasta scala della produzione di vino bulgara consente di ottenere prezzi relativamente bassi e attualmente competitivi. Tuttavia è difficile parlare di uno stile, in quanto il contenuto delle bottiglie sembra spesso casuale e lascia molto a desiderare. Per i bulgari siamo ancora uno dei mercati più importanti dell’export. Nel 2011, in Polonia abbiamo acquistato circa 11 milioni di litri di vino bulgaro. In generale, la maggior parte della produzione locale viene esportata: i suoi mercati principali sono la Russia, la Polonia, la Germania, l’Inghilterra, il Giappone, la Scandinavia. La situazione vinicola della Bulgaria ricorda un po’ la Moldova.

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C’è potenziale, molta produzione, ma qua e là si nota ancora il retaggio mentale del periodo comunista e la conseguente impotenza in fatto di direzione del cambiamento. Nonostante questa particolare arretratezza, i consumatori di vino in Polonia guardano con interesse da quella parte. A volte motivati dalla nostalgia per il vino "che si beveva una volta", il vino "da cui si è cominciato" o il vino "conosciuto in vacanza”. Per quanto riguarda il vino bulgaro, si può dire che in Polonia ha dominato a lungo (e domina) la costante amabile e abboccata. I primi vini che testimoniavano un cambiamento si sono mostrati negli ultimi dieci anni. Il primo “scossone” in proposito, quello che mi ricordo, era il vino "Blueridge" del Domain Boyar, economico e di buon taglio, semplice, ma modernamente molto fruttato, utilizzando con buonsenso botti e chips di rovere. Il fatto è che in Bulgaria molte cose sono cambiate e stanno continuamente cambiando. Ci sono investimenti importanti, capitali in movimento per attrezzature, tecnologie ed esperti stranieri in grado di utilizzarle. Ci si rivolge ai migliori, basti ricordare la cantina Telish, cui fa da consulente il famigerato Michel Rolland.

Possibilità (in)utilizzate Ma la Bulgaria potrebbe a suo tempo proporre quello stile che oggi noi associamo con il Nuovo Mondo: vini accessibili nello stile e nei prezzi in versione monovitigno da varietà internazionali e locali. Se avessero adottato questa strategia poco più di un decennio fa, avrebbero potuto competere in quel settore del vino in cui si è così fortemente radicato il Nuovo mondo? La Bulgaria ne aveva la possibilità, favorita dal fatto che aveva cominciato a mettere ordine nelle questioni formali. Nel 2001 aveva introdotto i primi regolamenti relativi alle indicazioni d’origine geografica e qualitativa (i cosiddetti kontroliran). Dopo l'adesione della Bulgaria all'Unione europea, questa ha approvato solo due regioni, la settentrionale Pianura del Danubio e la meridionale Pianura della Tracia. Più tardi sono state specificate 44 denominazioni per i vini di qualità, che stanno costruendosi una posizione soltanto adesso, ma stanno mettendo in ordine più le questioni geografiche di quelle qualitative. È la giovane generazione dei viticoltori e degli enologi che cambia molto: sono più flessibili, aperti, raccolgono volentieri le esperienze provenienti da diverse parti del mondo e sono capaci di inserirle nella loro terra. Essi sanno che in vigna bisogna lavorare sodo, prendersi cura delle uve e del loro stato di salute, benessere e maturazione. Vedono quanto è importante una stretta collaborazione tra i coltivatori ed enologi. Una volta si preoccupavano di raccogliere le uve il più rapidamente possibile per incassarne in fretta i proventi, ma anche per proteggersi da un eventuale peggioramento del tempo e dalla conseguente riduzione del raccolto. Qua e là prevale ancora questa radicata mentalità dei grandi kombinat enologici, cooperative di produzione e fabbricazione molto sofisticata. Dopo il comunismo, una parte di queste cantine “popolari" è fallita o è diventata di proprietà privata.

La tendenza enologica principale è stata fino a ora determinata da aziende di parecchie centinaia di ettari, le cui cantine hanno stabilito contratti con centinaia di produttori da cui acquistano le uve. Non si può evitare di pensare che queste aziende abbiano accaparrato, nel periodo di transizione politica, terreni a buon mercato e con transazioni veloci impostate per "provare subito a investire velocemente e a guadagnare ancora più rapidamente con la produzione di vino a buon mercato”. Niente di strano che, per esempio, si mettano a dimora nuovi grandi vigneti nuovi non necessariamente adatti in quanto a microclima, terreno, posizione geografica, eccetera. Allora era tutto semplice: si sapeva che al top c’erano Chardonnay e Merlot, perciò è semplicemente questo che si è piantato nei terreni acquistati. A favorire questi investimenti sono stati inoltre i contributi e le sovvenzioni in arrivo dall’Unione Europea dopo l’accesso della Bulgaria nel 2007.

Dragomir e gli altri Diamo un'occhiata ad alcuni produttori esemplari. Dragomir è una piccola azienda tipicamente famigliare che opera sul mercato da 5 anni. È gestita da due esperti enologi: Natalia Gadjeva e Constantin Stoev. Stanno fortemente cercando di colmare il divario tra le tendenze mondiali e la vitivinicoltura bulgara. Nelle vigne da cui acquistano le uve (non hanno vigneti propri), oltre ai classici vitigni Merlot e Cabernet hanno Rubin e Tempranillo. I vini sono freschi, moderni e puliti. Si tratta di una piccola azienda, ma efficiente e gestita in modo professionale. Constantin ha recentemente lavorato per la famosa e fiorente azienda Katarzyna Estate, ma recentemente si è “messo in proprio”. Natalia aveva guidato l'associazione degli enologi bulgari, sa che cosa bolle in pentola nel settore.

La loro azienda è situata entro il perimetro di Plovdiv. Producono circa 60.000 bottiglie l'anno. Hanno buone idee e un marketing efficace, cosa che in Bulgaria non è poi così ovvia. Queste persone sono la generazione che sa prendersi cura dell'immagine e dell'adeguata promozione dei vini. Tra i vini richiede attenzione il solido Pitos 2008, basato su Merlot e Cabernet: vispo (marasca), un po’ cantinoso e fumé, di stile moderno. Interessante e gustoso il Rubin 2010: è concentrato, con l’intensità di tabacco, caffè e mirtillo. Vini base decenti sono quelli della linea "Karizma". Una sorta di curiosità e stravaganza è il Mavrud vendemmia tardiva 2009, con un tenore alcoolico del 18%, uve raccolte il 20 novembre. C’è un sacco di zucchero, ma anche un sacco di acidità, è un vino denso, liquoroso e ricco di confetture, cupo, molto atipico. All'estremità opposta c’è la cantina Todoroff. La visita ha scatenato una discussione. I pareri sullo stile sono stati discordi. Ammetto di essere stato nel gruppo più scettico. Questi vini mi sono sembrati fortemente villici, austeri, con un’enorme quantità di tannini, amarezza, rusticità. La cantina Todoroff si trova nel villaggio di Brestovitza. Il proprietario è un famoso musicista. Qui si basano su versioni in purezza di tre varietà: Merlot, Cabernet Sauvignon e Mavrud.

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La linea di base, "Boutique" comprende vini dal tenore alcolico elevato, speziati, tannici, leggermente brucianti, cantinosi. La linea intermedia, "Galleria" (maturazione da 4 a 6 mesi in botte) comprende vini un po' più puliti, ma colpisce ancora per il tenore alcoolico elevato, l'atmosfera rustica, la terrosità: fra i tre vini è stato il Mavrud quello che mi ha maggiormente convinto. La linea di maggior livello è la “Teres”, con i vini selezionati; ho bevuto le riserve speciali di Merlot e Cabernet Sauvignon, entrambe del 2007: vini dal fruttato caldo, leggermente ossidato, con oltre il 14% di alcol. Il più interessante è stato il Cabernet: intenso, con un calore invitante e la dolcezza del fruttato. Vino morbido ed evoluto, il più pulito, anche molto focoso. In luogo lo si paga quasi 32 €…

Dall’Italia Fa un'impressione completamente diversa la cantina Edoardo Miroglio, che si trova vicino a Sliven. Si tratta di un investimento davvero moderno, un’isola di modernizzazione in un mare di vigneti. Il proprietario è un imprenditore italiano che ha un vigneto anche in Piemonte (Tenuta Carretta). I suoi vini sono coerenti e omogenei: molto gustosi e rinfrescanti i vini spumanti, un piacevole bianco e un rosso di carattere. Ho iniziato la degustazione basandomi sul Chardonnay Blanc de Blanc 2008: bello, pulito, cremoso, sa di pane e di frutta, una bella frecciata di fruttato. Un vino gustoso per 10 €. Quindi c’è stato il rinfrescante Sauvignon Blanc 2011, vivace, floreale, sa di ananas e mela, solidamente fatto. In bocca è croccante, leggermente erbaceo, sottile, con accenni di spezie.

Rinfrescante e pulito. Alla stessa maniera l’Elenovo Chardonnay 2010 ("Elenovo" è una linea di riserve speciali): panna, pera, fatto senza esagerazione, però si sente una leggera dolcezza, rimane fresco e gustoso. Un vino di successo. Vale la pena di provare il Bouquet 2011 (Mavrud e Pinot Nero). Vino intenso, pieno e generoso. Dominato da note di tabacco, ciliegie, prugne. Semplice, fruttato e leggermente fumé. Prezzo 5 €. L’Eleonovo Mavrud 2009 è un'espressione di prugne e spezie, pepe e bacche di ginepro. Vino pulito e di buon nerbo. Di buona acidità, con tannini piacevoli, speziato, con un tocco di erbe officinali e cioccolato (8 €). Il Cabernet Franc 2009 è bello, pulito, elegantemente equilibrato, piccante. Espressivo, speziato, silvestre, grafitico. Mostra uno stile molto piacevole, è fruttato e ha carattere. Equilibrato e bilanciato come il Mavrud: espressivo, ma senza aggressività. Prezzo: 8 €. A Stara Zagora, a circa 50 chilometri dalla Miroglio, si trova Angelus Estate, un grosso investimento. I proprietari, magnati dell’industria del pollame, hanno investito in questa moderna cantina (ordinando pure più di 1.000 botti nuove). Per ora, qui nascono solo due vini (vinificati del resto nella relativamente vicina cantina Miroglio): un vino di base, lo Stallion Classic, e un vino di livello più elevato, lo Stallion Reserva. Sono carnosi, fruttati, maturati in botte: si può discutere il loro stile, ma la qualità della lavorazione e l'approccio tecnico sono senza difetti. Ho bevuto tutt’e due i vini dalla vendemmia 2010, realizzati con un taglio delle stesse varietà: Merlot, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon. Lo Stallion Classic (15 euro) matura per un anno in vecchie botti. È acidulo, erbaceo, moderno, sa di sottobosco e frutti di bosco. Lo Stallion Reserva (un anno in botti nuove) ha molto tannino, legno, è una bomba di confetture di frutta (ciliegia, mora, gelso). Questo vino è denso, succoso e pulito, ma non ha finezza, ha un po’ troppo di tutto, è anche un po’ troppo stanchevole.

Ritorno Stanno avvenendo dei cambiamenti. Anche se sono numerosi e a volte intriganti, oggi mi è difficile definire la Bulgaria enologica. È "indecisa", poco efficace nella promozione, un po’ senza un’idea di cosa e di come vuole mostrarsi al mondo. Contesa tra il vecchio stile del prodotto di massa e i vini molto moderni (non certo a buon mercato), come ce ne sono tanti al mondo. Credo che questo Paese troverà il suo filo conduttore. Credo nel suo ritorno moderno e creativo nel mercato polacco. La scala di giudizio:

( 6 ) eccezionale, un vero capolavoro ( 5 ) ottimo, vino di gran classe ( 4 ) buono, interessante ( 3 ) onesto, dignitoso ( 2 ) debole ( 1 ) stare alla larga, vino con evidenti difetti

(+ / - ) per aggiungere o togliere mezzo punto)

Mariusz Kapczyński

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VINO – SPECIALE EST EUROPA - VINO 04 dicembre 2012 L’INSEGUIMENTO BULGARO Secondo articolo di Mariusz Kapczyński su Rynki Alkoholowe

Eccovi il secondo di quegli articoli di aggiornamento sulla Bulgaria che il nostro globetrotter “kapka” ha realizzato per la rivista polacca Rynki Alkoholowe. Stavolta, invece di descrivere le sue impressioni, entra nel merito delle questioni più scottanti, per capire meglio la fase di passaggio dell’enologia bulgara dai tempi del regime filosovietico fino ai giorni nostri. Laggiù stanno davvero rivoluzionando in modo qualitativo l’enologia locale, grazie anche all’impegno dell’ex re Simeone, tornato in patria come normale cittadino e impegnato nella direzione politica del Paese secondo le regole della democrazia. Un impegno che premia l’attività di quelle cantine bulgare che non hanno atteso gli aiuti a pioggia per capovolgere quella piramide della qualità dei vini che era stata rovesciata pur di rispondere alle necessità del mercato sovietico. Oggi ho avuto modo di constatare anch’io di persona il valore di alcuni dei vini delle cantine che Kapka descrive brevemente in questo articolo, di ricevere da loro direttamente in Polonia le offerte complete e i campioni d’assaggio, perciò concordo con il mio amico polacco nel consigliarli agli altri enoappassionati, anche italiani. Vi lascio dunque alla lettura di questo bel pezzo, il secondo dei due che vi ho tradotto per gentile concessione della rivista specializzata Rynki Alkoholowe. L’articolo è comparso in seguito anche su Vinisfera.pl, anche se con un altro titolo: “Il mondo secondo Sophia”.

Il traduttore: Mario Crosta

L’inseguimento bulgaro (ovvero: il mondo secondo Sophia)

Bulgaria. Una tradizione enologica lunga e bellissima, condizioni eccellenti per la coltivazione della vite, possibilità di produrre dei vini interessanti, anche dalle varietà locali. Un Paese che esporta più della metà dei suoi vini, ma da anni in Polonia viene associato soltanto con i vini economici, da tavola. Come appare o dove si nasconde il vero quadro delle sue caratteristiche? È davvero un cavallo vincente della vitivinicoltura europea oppure è una meravigliosa patria di vini dalle opportunità mancate?

Il gioco al rimpallo In Polonia i vini bulgari hanno avuto a lungo delle statistiche molto buone. Sophia rimane ancora il marchio più conosciuto. Tuttavia ha dei problemi. È un marchio nato negli anni ‘70 del secolo scorso al Vinimpex, una sorta di quartier generale statale bulgaro per l’esportazione del vino. Negli anni del comunismo questo marchio da noi si è "costruito" da sè. Erano vini a prezzi ragionevoli e non avevano una grande concorrenza: allora sugli scaffali si trovavano i vini economici rumeni, dei pessimi Egri Bikavér ungheresi e dei deboli Riesling delle cantine sociali tedesche. Perciò i Polacchi bevevano volentieri i Sophia. Erano disponibili abbastanza facilmente e già all'inizio degli anni ’90 non mancavano certamente sugli scaffali (a quel tempo la Bulgaria pagava i suoi debiti alla Polonia con enormi partite di vino). In Bulgaria, dopo il cambio di regime, il marchio di quest’azienda statale è stato destinato alla privatizzazione, cioè assegnato alla Camera dei Produttori di Vino, che comprende molti produttori di diverse regioni. Ognuno di loro poteva usare quel nome. Il problema principale era quello di definire questo marchio: "Sophia" significava tutto e niente, soprattutto niente, perché non era obbligatorio nessun sistema di controllo. In Polonia il marchio “Sophia" veniva notoriamente letto come "vino bulgaro a buon mercato”. Il ”segnale" che lanciava era coerente e spesso incontrava un’ottima risposta. Un boccone davvero appetitoso. I vini con questo nome erano introdotti nel nostro Paese da una dozzina di grandi importatori, in primis l’azienda Dimyat Polska. Nel 1997 questa ditta ha acquistato i diritti di marchio dalla Vinimpex Poland (filiale della Vinimpex bulgara), una società in fallimento che nei primi anni '90 possedeva in esclusiva i diritti del marchio Sophia. È pur vero che la Vinimpex, fallendo, aveva restituito quei diritti alla società madre, ma questa mossa venne appunto contestata dalla Dymiat che, basandosi sul diritto fallimentare e sulle leggi che regolano i marchi commerciali, ha dimostrato che quel trasferimento non aveva alcuna base giuridica. La Dimyat si è dunque appropriata di questo marchio commerciale. Il caso era complicato e le circostanze erano particolari, in quanto la Dimyat aveva comprato il diritto del marchio dal liquidatore, eludendo i canoni del libero mercato. La registrazione del marchio e la lotta per i diritti di proprietà avevano gravemente compromesso la capacità della distribuzione, per cui gli altri operatori avevano accusato la Dimyat di agire ai danni della leale concorrenza. Anche la Camera Nazionale bulgara della Vite e del Vino si era opposta. Il caso è finito all'Ufficio Brevetti e vi è rimasto bloccato fino a oggi. Allora sono cominciati ad apparire vini bulgari con una denominazione Sophia modificata oppure costruita altrimenti. Il tempo passava, cambiavano le ditte vinicole… e questa confusione ha certamente influenzato e influenza negativamente l’immagine e le possibilità di quel marchio. Sembra che il vero depositario debba essere la Camera che riunisce i produttori bulgari, che in questo caso potrebbe fare un gran bell’ordine...

Le cinque grandi Lasciamo Sophia sul campo di battaglia. Diamo uno sguardo piuttosto alla geografia del vino che si distingue in cinque regioni vinicole di grandi dimensioni. In realtà, l'unica zona senza vino è proprio quella intorno a Sofia. A nord troviamo la Pianura del Danubio, che si estende lungo il fiume Danubio e il confine con la Romania (dove oltre Ruse va verso la regione vinicola orientale del Mar Nero), mentre a sud si estende fino ai piedi dei Balcani (Stara Planina). Le cantine acquisiscono le uve da vino principalmente dalle pianure del Danubio.

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Lo stesso Danubio (nella zona settentrionale della regione) fornisce l'acqua e riduce efficacemente l'effetto del caldo estivo. Qui si trovano alcune famose aziende vinicole, come Vinprom Rousse, che appartiene ai Russi, 500 ettari, fondata nel 2005, e Lovico Suhindol, una delle più conosciute, che vende con successo all’estero. La Stork Nest Estates (una volta era la statale Svishtov), 428 ettari, ora è completamente autosufficiente in mano a un australiano. La Magura Winery, 250 ettari situati a nord-ovest, un tempo famosa per i suoi vini spumanti, sta cercando di eccellere anche con i vini rossi. La Vinex Preslav, conosciuta per i suoi bianchi, e la Khan Krum appartengono alla Strandja Wine Cellar Rosenovo.

Nella Pianura del Danubio si trova circa il 30% dei vigneti bulgari. La stessa percentuale si trova nella già citata regione del Mar Nero, dove nascono per lo più vini fatti su vasta scala. La parte meridionale del Paese comprende l’enorme Pianura della Tracia (divisa in Orientale e Occidentale), che si estende dai monti Pirin fino al Mar Nero. La sua fascia nord-orientale viene chiamata spesso Valle Rosa (o regione Cisbalcanica); qui c’è un clima po’ più fresco, che influenza positivamente il livello sia dei vini bianchi che di quelli rossi. Le parti orientali della pianura della Valle Sungurlare sono tradizionalmente note tra l’altro per la coltivazione delle varietà locali di Moscato Rosso, destinato principalmente a un vino leggero e abboccato. Alcune delle aziende vinicole che si trovano in queste zone sono: Vinis Sliven, che si trova ai piedi sud-orientali dei Balcani ed è uno dei maggiori produttori di vino e distillati, e Blueridge, che appartiene al gruppo Domaine Boyar. Un progetto moderno è quello del Belvedere Group, da cui dipendono Domain Menada (Stara Zagora), Sakar, Oriachovitza e Katarzyna Estate, 225 ettari che da tempo investe le sue forze nel mercato polacco. Vicino a Plovdiv c’è la cantina Bessa Valley nel villaggio di Ognianovo, la cantina Vinzavod Assenovgrad famosa per i suoi robusti vini derivati dal locale vitigno Mavrud e la piccola azienda vinicola Domaine Rabiega, uno dei segni degli investimenti dall’estero. Appartiene alla società svedese Vin & Spirit AB e anche l'enologo locale, Lars Torstenson, è svedese. Nel caldo meridione occidentale, vicino al confine con la Grecia, si trova Damianitza, la terza cantina della Bulgaria in quanto a dimensioni. È stata una delle prime a produrre i vini premium, come il suo vino-icona ReDark Merlot (ndt: dal 2005 è un taglio di Cabernet Sauvignon, Ruen, Rubin e Merlot). Damianitza però è già nella Regione Sud Ovest (nella Vallata della Struma). Qui il clima è più simile alle regioni mediterranee. In questa vallata si coltiva il vitigno Melnik e proprio da qui provengono le sue migliori versioni. Qui nascono solitamente dei vini leggeri, ma versioni più potenti vengono dalle vigne di Cabernet Sauvignon, Merlot e Pamid.

Recuperare gli arretrati Mentre nel mondo si può osservare il ritorno dei vini un po' più leggeri, di quelli che sono irripetibili e tipicamente locali, la Bulgaria sembra costantemente seguire il "sentiero del merlot”. Ho avuto l'impressione che i vini più apprezzati e riveriti laggiù siano le bombe fruttate, carnose, potentemente strutturate, con un tenore alcoolico elevato e un make-up nettamente barricato. Lo confermano anche le mie esperienze in commissione giudicante durante il concorso enologico internazionale del Vinaria 2012. I giurati del posto lodavano molto questo stile di vino. Del resto, da numerose discussioni è emerso che attualmente in Bulgaria questi vini sono apprezzati e si bevono molto volentieri. Non mancano così dei roboanti Cabernet, Merlot e Chardonnay, con cui costruirsi un’immagine.

Dymitar Panov

Il Mavrud, invece, che è un vitigno interessante e di carattere (più avanti ne parleremo ancora), non ha la posizione che merita. Non potrebbe diventare addirittura il fiore all'occhiello, il vino modello e una sorta di marchio che sotto l’aspetto promozionale trascini tutti gli altri vini bulgari? Dimitar Panov, quell’esperto e apprezzato specialista che è l’enologo di Domaine Boyar, quando gli ho parlato proprio di questo non credeva nei vitigni locali e riponeva invece le speranze nello stile internazionale, in cui vedeva una parità di condizioni con gli altri Paesi. Un punto di vista completamente opposto è stato invece quello del rappresentante della giovane generazione degli enologi, Stanimir Stoyanov, consulente in alcune aziende vinicole turche e presidente dell’Associazione degli Enologi Bulgari, crede fortemente nei vitigni locali. Presiede un’associazione che sta organizzando un concorso interessante, Vinobalkanika, preparato per i vini dei Balcani e dall'area del Mar Nero, prodotti soltanto da vitigni autoctoni. Stoyanov afferma che questo evento permette ogni anno di approfondire la conoscenza di quei vitigni e dei vini che ne derivano, di identificarne lo stile e il potenziale di cui si dovrebbe approfittare in futuro. Per quanto riguarda questo giovane enologo, non c'è alcun dubbio.

L’orgoglio della Tracia Il Mavrud è un vecchio vitigno rosso bulgaro da cui derivano sia dei vini in purezza sia dei vini in cui viene usato, con successo, negli assemblaggi. È importante, merita attenzione. Il Mavrud cresce anche in Albania e in Grecia. Resta inteso, tuttavia, che la sua patria è la Tracia. Il grappolo del Mavrud è grande, ma ha degli acini piccoli, matura tardi (a inizio ottobre nelle sue tipiche zone intorno a Plovdiv), ha delle rese relativamente basse. Ne derivano dei vini che hanno un buon potenziale di maturazione, un colore profondo e saturo, sono succosi, tannici, speziati, piccanti, di buona struttura. Questi vini maturi, fatti onestamente, sono caratterizzati da un buon equilibrio, da una sapida acidità e

da un "proprio" carattere tipico locale. Di che cos’altro c’è bisogno?È uno stile che dovrebbe avere un po’ più di clientela nei mercati esteri. Ha solo bisogno di una giusta promozione.

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Nello spirito del luogo La superficie vitata della Bulgaria è di circa 140 mila ettari e si può dire che è equamente distribuita tra i vitigni locali e quelli internazionali. Gli ultimi anni hanno però dimostrato che si sta prendendo sempre più chiaramente la strada "internazionale". Il Dimyat è sostituito dallo Chardonnay; il Cabernet Sauvignon e lo Syrah prevalgono su Gamza e Pamid. Questi vitigni popolari sono descritti spesso, dedichiamogli dunque qualche parola in più. Il Gamza viene coltivato soprattutto nelle zone più fredde, settentrionali della Bulgaria. È identico al Kadarka ungherese. Si sparla un po’ di questo vitigno, perché la sua immagine è stata quasi completamente distrutta dalla produzione di quelle sciacquature di vasche che sono state spacciate per “vino”. Ma in una buona annata e nelle mani di un buon produttore è in grado di dare un vino delicato, complesso e speziato. In Bulgaria è destinato ai vini da tavola, a volte rosati oppure chiaretti (con risultati migliori). Il problema fondamentale di questo vitigno è la sovrapproduzione oltre che la mancanza di una conduzione appropriata, cosa di cui il Gamza ha sicuramente bisogno.

Il Moscato Bianco appartiene alla grande famiglia dei moscati di Crimea. Ha una buccia di colore rosa. È coltivato anche in Ucraina e in altri paesi orientali e ne derivano vini semplici, aromatici. Anche il Dimyat è un vitigno aromatico bianco che cresce in varie regioni della Bulgaria ed è utilizzato per produrre vini dolci, semplici e leggeri, per il consumo quotidiano. La sua origine storica non è chiara, gli ampelografi indicano la Bulgaria, ma anche la Serbia. Le ricerche sul DNA studi indicano che è un incrocio tra il Gouais Blanc (Weißer Heunisch) e un altro ceppo, ma sconosciuto. Il Pamid è considerato come uno dei più antichi vitigni bulgari rossi. Dà un vino di medio corpo, un po’ carnoso. Non molto estrattivo, con un'acidità relativamente bassa; se confrontato con le merlottate muscolose sembra debole e, nonostante la popolarità del passato, oggi scarseggia un po’ di fama. I suoi vini sono leggeri, sciolti, di pronta beva. Il Melnik (Siroka Melniska) cresce principalmente nel sud-ovest del paese, vicino al confine con la Grecia, nei dintorni della città di cui porta il nome, così come altri, per esempio l’Harsovo Sandanski, che è un vitigno rosso a maturazione tardiva. Il suo vino può essere intenso, adatto per la maturazione in botte, ben strutturato e in generale per un lungo invecchiamento. I Bulgari sono ben disposti verso i nuovi ibridi, sia propri sia testati altrove. Il Rubin è un incrocio un po’ pazzesco tra Nebbiolo e Syrah (oltre che in Bulgaria lo si trova in Slovenia e in Romania). Per quanto mi riguarda, il carattere di questi vini non è molto convincente, è troppo gonfiato e grassoccio, nonostante che si possano trovare delle versioni molto più interessanti, come quelle delle cantine Santa Sarah e Damianitza. Secondo alcuni produttori di vino promette bene il Ruen (Cabernet Sauvignon x Melnik), coltivato nel sud-ovest. Troviamo anche il Caladoc (Grenache Noir x Malbec), dal buon goudron, sa di amarene, è un po’ fumé e ben succoso, oppure p.es. il francese Marselan (Cabernet Sauvignon x Grenache), da cui proviene il vino Next Twenty 2011 di Domaine Boyar che ho provato, era molto fruttato, succoso, pieno di note di amarena, spezie e frutti di bosco. Stanno dunque accadendo un sacco di cose in questi vigneti. Che cosa bolle ancora nella pentola degli ampelografi e che cosa darà non lo so. Non lo sanno nemmeno gli stessi bulgari. Intanto continuano ad aggiungere ingredienti...

Mariusz Kapczyński