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1 QUANDO L’AFRICA CHIAMA NESSUNO RISPONDE: Il continente nero alla ricerca del suo posto tra i media mondiali Chiara Mastria 0000344257 Giulia Rondoni 0000347202

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Tesina per l'esame di Comunicazione Giornalistica. Prof. Mauro Sarti

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QUANDO L’AFRICA CHIAMA NESSUNO RISPONDE:

Il continente nero alla ricerca del suo posto tra i media mondiali

Chiara Mastria 0000344257

Giulia Rondoni 0000347202

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INDICE

1.Introduzione

1.1 I media in Africa:contraddizioni e limiti del sistema informativo continentale

1.2 Al Jazeera: un barlume di speranza nell’ombra della disinformazione

1.3 L’egemonia della radio nel continente africano

2. Capitolo 1 a cura di Chiara Mastria

“Rwanda: una tragedia consumata nel più nero silenzio”

2.1 I media come mezzo negativo di propaganda

2.2 Le fasi del genocidio, il fondamentale ruolo propagandistico della radio

2.3 Rwanda oggi

3. Capitolo 2 a cura di Giulia Rondoni

“La speranza si accende insieme alla radio”

3.1 Come nasce la cultura delle radio in africa?

Giorgio Lolli e la Ste Solaire

4. Conclusioni

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1.INTRODUZIONE

1.1 I media e l’Africa: contraddizioni e limiti del sistema informativo

continentale

“C’è bisogno di consapevolezza in Africa. La consapevolezza e la fuga

dall’ignoranza portano alla pace. Perchè c’è bisogno di pace in Africa.” Questa

affermazione di Romano Prodi, Presidente della fondazione per la

collaborazione tra i popoli, offre lo spunto per poter trattare il rapporto tra il

continente africano e i media. La consapevolezza nel nuovo millennio è legata

in modo imprescindibile ai nuovi media: sono infatti giornali, radio, televisione

e l’ultimo ma importantissimo arrivato internet a permetterci di sapere cosa

succede intorno a noi, a donarci per l’appunto consapevolezza del mondo che

ci circonda. Non basta però che questi media esistano, devono anche

rispondere ad un criterio fondamentale: la piena libertà di espressione e

informazione. Spesso e volentieri questo criterio non viene rispettato nemmeno

nei paesi occidentali: basti analizzare l’attuale situazione Italiana per rendersi

conto di quanto sia labile la presunta libertà di stampa di cui dovremmo

godere. In Africa la situazione è tragica: i giornalisti mettono in gioco la propria

vita in nome della verità e questo onore non viene riservato solo agli abitanti

del continente, basti pensare all’inviata italiana del TG3 Ilaria Alpi, uccisa a

Mogadiscio il 20 marzo 1994 con la colpa di essere andata troppo a fondo nella

scottante vicenda del traffico di rifiuti tossici. Come può esserci libertà in un

paese governato dall’ignoranza? Come si può combattere qualcosa che non si

conosce? “C’è bisogno di pace in Africa”, ma per esserci pace devono esistere

media consapevoli, media liberi e accessibili a tutti. Per quanto riguarda

l’accessibilità, essa è limitata soltanto ad una élite di aree urbane. Alcuni dati:

la diffusione dei giornali nell’Africa subsahariana è 12 copie ogni mille abitanti,

sale a 33 nell’Africa del nord; per la tv abbiamo 69 apparecchi ogni mille

abitanti al sud, 200 al nord; solo il 17% degli abitanti al sud possiede un

cellulare; solo il 4% ha accesso a internet. Lo strumento di comunicazione più

diffuso è, con i suoi pro e contro, la radio, con 198 apparecchi ogni mille

abitanti nell’Africa subsahariana. Passiamo ora alla nota più dolente: la libertà.

La nascita di media indipendenti dai governi è recente e trova molte difficoltà

di tipo finanziario e normativo per affermarsi: infatti le norme contro la

diffamazione a mezzo stampa rappresentano il più comune e forte strumento

di censura usato dai governi per zittire i giornalisti scomodi. Arresti, ammende,

ma anche ritorsioni personali. La realtà africana è quella di una censura ferrea,

violenta e sanguinaria che rende il mestiere del giornalista tra i più pericolosi.

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Mohamed Keita, dell’Ufficio Africa dello statunitense Commitee to Protect

Journalist, in un’intervista a Ouestaf News del 2008 ci offre una mappa

sintetica della libertà di informazione in Africa: “ Mali, Costa d’Avorio e Benin

restano relativamente dei porti sicuri per la stampa [...] .In Somalia, in Eritrea

e nella Repubblica democratica del Congo l’esercizio del giornalismo

indipendente è molto pericoloso, anzi mortale. I giornalisti non possono

nondimeno lavorare liberamente in Etiopia e nello Zimbawe e sono sicuri di

essere bersagliati in Camerun, nel Ciad e in Uganda”. In Tunisia ed Egitto il

regime ha un controllo ossessivo dell’informazione fatto di aggressioni,

condanne, pene detentive. In una situazione così tragica il continente nero

rischia di rimanere avvolto dall’ombra della disinformazione, della politica

corrotta e anche delle nostre conoscenze. Il potenziamento quantitativo e

qualitativo dei mezzi d’informazione non ha portato al “nuovo ordine

dell’informazione” invocato da decenni dai paesi poveri ma, al contrario, i nuovi

media globali non fanno altro che aumentare la loro insignificanza

comunicativa. L’obiettivo del nuovo “villaggio globale” di cui tanto si sente

parlare dovrebbe essere comunione, parità di accesso e usufrutto, per tutti, dei

mezzi di comunicazione. Ma in questa prospettiva dove esiste solo una

gigantesca concentrazione dei potenti mezzi di comunicazione che esprimono

idee, modelli culturali, sociali ed economici, l’Africa scompare dalla

comunicazione globale e vi appare con intermittenza per ricordare che esiste

ancora. Fortunatamente però negli ultimi anni si stanno muovendo piccoli

passi, soprattutto grazie ad associazioni di volontariato e Ong straniere,

persone (africane e non ) che credono ancora nell’informazione e nella libertà

di espressione.

Di Chiara Mastria

1.2 Al Jazeera: un barlume di speranza nell’ombra della

disinformazione

Ne è un esempio l’emittente Al Jazeera International, che ha avuto il grande

merito di illuminare costantemente l’Africa con un’informazione a tutto campo

proprio nel momento in cui i media occidentali dimostrano un grande

disinteresse per questa parte di mondo. Al Jazeera ha i suoi uffici centrali a

Nairobi (Kenya) e Johannesburg (Sudan) e una rete di corrispondenti distribuiti

sul territorio che rendono possibile seguire in tempo reale le vicende africane.

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Ovviamente sono i mezzi economici a disposizione di questa emittente che le

permettono di essere vista da 100 milioni di famiglie in 60 paesi, raggiunte

anche attraverso i due canali in arabo e inglese . Al Jazeera viene seguita ed

apprezzata sia fuori che dentro il continente per la qualità e l’autorevolezza

dell’informazione prodotta, anche se si avvertono scricchiolii per la riduzione

del budget ed un maggior controllo politico che nel 2008 hanno portato 15

giornalisti alle dimissioni. Questa emittente televisiva rappresenta per molti

aspetti l’unico riuscito esempio di giornalismo multiculturale.

1.3 L’egemonia della radio nel continente africano

Purtroppo però, come ricordavamo in precedenza, possedere una televisione

in Africa deve essere a tutti gli effetti considerato un lusso per pochi. E’ la radio

il mezzo di comunicazione egemone nel continente, così importante da

diventare il regalo più auspicato per un matrimonio. Per definirne il ruolo in

Africa il sociologo francese André-Jean Tudesq afferma :” E’ l’esempio di

africanizzazione più completa del mezzo”. Il paese pioniere del movimento di

liberalizzazione dell’etere è indubbiamente il Mali dove anche grazie

all’appoggio dell’ ONG italiana Terra Nuova venne fondata la prima radio

comunitaria. Nell’immenso territorio al sud del Sahara la realtà dimostra una

moltitudine di esperienze radiofoniche di provenienza diversa ma con un

obiettivo comune: consentire al pubblico di migliorare le proprie condizioni di

vita. Ma se da un lato la radio offre agli africani una sorta di speranza, dall’altra

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è importante ricordare che per la storia dell’Africa non è sempre stato un

media positivo. Infatti durante i 100 sanguinosi giorni di scontri tra tutsi e hutu

la radio è stata scientificamente usata come media dell’odio, pilotata dal

popolo hutu come mezzo di propaganda politica per dare corpo ad una

ideologia razzista culminata nel tentato genocidio dell’etnia tutsi. A fronte di

questo primo quadro generale vorremmo spostare la nostra attenzione sul

ruolo positivo o negativo che i nuovi media (internet e radio soprattutto)

possono avere sulla popolazione africana, costretta a lottare tutti i giorni con

troppe contraddizioni sociali e culturali.

Di Giulia Rondoni

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2. CAPITOLO 1

RWANDA: UNA TRAGEDIA CONSUMATA NEL PIU’ NERO SILENZIO MEDIATICO

2.1 I media come mezzo negativo di propaganda.

Tutti i mezzi di comunicazione presentano due lati della medaglia. Possiedono

una forza propagandistica insita che li rende armi a doppio taglio a tutti gli

effetti. Ciò accade ovunque poichè, è bene ripetere, avere un’informazione

assolutamente obiettiva e priva di influenze esterne è davvero difficile.

Ovviamente in luoghi idealmente democratici come l’Europa e la nostra stessa

Italia, l’utilizzo dell’informazione a fini propagandistici avviene in modo sottile e

nascosto, tanto da non risaltare nemmeno agli occhi di un distratto ascoltatore

o lettore che sia. Internet, sappiamo, è l’unico media del nuovo millennio a

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garantire piena libertà di espressione; non per niente è stato candidato al

nobel per la pace a fianco di nomi come Barack Obama e Liu Xiaobo (a cui poi

è stato assegnato). Ma, tornando a focalizzarci sull’Africa, come abbiamo già

detto internet rappresenta un lusso per pochi. Il divario digitale si fa immenso

all’interno del continente nero, e la maggior parte dei suoi abitanti non ha

nessuna possibilità di avere una connessione. Su cosa possono contare gli

africani? Sulla radio. La radio fatta da persone, che da voce a sentimenti

umani, che possiede stazioni, che può facilmente essere controllata,

intercettata, censurata. Uno degli esempi più drammatici di utilizzo negativo di

questo mezzo è rappresentato dall’atroce genocidio avvenuto in Rwanda tra le

etnie tutsi e hutu, preparato e fomentato proprio attraverso una serrata

propaganda radiofonica. In occidente l’immagine che è passata di quei terribili

cento giorni di massacri è quella di un popolo primitivo che combatte come gli

animali. In realtà in quei cento giorni i media ruandesi venivano sapientemente

utilizzati come media dell’odio. Il 6 aprile 1994 è l’inizio del genocidio in

Rwanda: un milione di morti in poco più di due mesi. Se si pensa che il

nazismo, con i suoi potenti mezzi sia propagandistici che economici ha

provocato da 5 a 7 milioni di morti ebrei in un periodo storico che va dal 1933

al 1945, è facilmente comprensibile la potenza distruttiva che era stata

innescata attraverso l’unico mezzo a disposizione in Rwanda. Una forza che

non ha niente di primitivo ma anzi sa come usare le parole, conosce la loro

forza insita e riesce a manovrare le menti esattamente come Hitler ha saputo

fare negli anni della germania nazista. Con la differenza che in teoria

l’occidente giurava di aver imparato la lezione, si impegnava infatti attraverso

la “convenzione ONU sulla prevenzione e la repressione del crimine di

genocidio” del 1948 ad intervenire immediatamente nel caso si fosse

presentata una situazione simile. Ma non è successo, perchè in questo caso si

trattava di selvaggi che combattevano per rivendicare un barbaro desiderio di

prevaricare sull’altro.

2.2 Le fasi del genocidio, il fondamentale ruolo propagandistico della radio

Questi cosidetti primitivi hanno cominciato a lavorare alla creazione della

distruttiva ideologia dagli ultimi anni ’80, in risposta alla nascita del fronte

patriottico ruandese. Dal 1990 si comincia a combattere: FPR tutsu contro il

governo-regime di Juvénal Habyarimana, di etnia hutu. E’ in questo clima di

guerra civile che l’ideologia razzista hutu si fa strada attraverso i pochi ma

buoni mezzi di comunicazione presenti. Dal 1990 al 1993 nascono ben nove

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riviste, tutte caratterizzate da violente posizioni anti-tutsi. Nel 1991 nasce la

militanza: giovani addestrati attraverso il “nutrimento della mete” a creare dei

perfetti squadroni della morte. Ma il ruolo da protagonista in questa

preparazione al massacro spetta alla radio, unico mezzo in grado di raggiugere

ogni ruandese in ogni punto del Paese. E’ nel 1993 che nasce la “ Radio

Televisione Libera delle Mille Colline”, coprendo col suo segnale tutto il

territorio nazionale. Si tratta di una radio privata, ma che riveste le funzioni di

una radio pubblica, grazie anche all’appoggio alla radio statale: Radio Rwanda.

La situazione ufficiale vede avvicinarsi l’accordo politico tra il FPR tutsu e il

governo. La situazione reale vede RTLM e le varie riviste, tra cui ricordiamo la

prima e più importante “Kangura” (che significa “svegliatelo”, intendendo il

popolo hutu), annunciare l’imminente repulisti dei tutsi, che devono

scomparire. Si tratta di un’ossessiva campagna mediatica che martella

l’opinione pubblica, che sfrutta il desiderio di ogni ruandese di stare sempre

con l’orecchio attaccato alla radiolina portatile per insinuare nelle menti idee

profondamente razziste. In questa occasione la radio non riveste soltanto un

ruolo propagandistico, ma anche organizzativo: campi di addestramento,

distribuzione di armi, organizzazione di gruppi nel territorio. Tutte le

diplomazie occidentali presenti avevano avvertito i governi del clima di violenza

in continua escalation, così come aveva fatto Roméo Dallaire, comandante

della missione ONU dei 2.700 caschi blu, con le Nazioni Unite. Tutto inutile,

l’occidente non ha tempo per pensare a selvaggi che fanno la lotta con i

bastoni. Così il 4 Aprile 1994, dopo l’attentato all’aereo che trasportava

Habyarimana di ritorno da Arusha, dove aveva siglato accordi per la fine della

guerra civile, inizia il genocidio. Durante i terribili cento giorni del massacro

RTML non abbandona nemmeno un attimo i suoi fedeli, continuando a

martellarli ossessivamente sulla necessità di non interrompere l’opera, di

ripulire il paese dagli “scarafaggi” tutsi. Durante il massacro la radio, da

propogandistica e organizzativa, diventa confidenziale, un’amica a cui rivolgersi

nei momenti di sconforto, una voce sempre pronta a ricordarti che stai facendo

la cosa giusta. Il tutto si consuma in poco tempo, grazie all’arrivo del FPR e

degli uomini dell’operazione Tourquoise, lanciata per motivi umanitari da

Parigi. E’ bastato però quel poco tempo a trasformare un paese in un enorme

lager, nel più nero silenzio mediatico dell’occidente. La stampa italiana si rivela

una delle peggiori tra quelle internazionali. E’ approssimativa, superficiale, non

manda inviati sul posto. Non fa altro che rafforzare l’idea di un mondo barbaro,

lontano. Ha la terribile colpa di dimenticare cosa succedeva al suo interno

cinquant’anni prima, nel periodo nazi-fascista. Ogni anno in Italia il 27 gennaio

si ricordano i morti dell’olocausto. E’ chiamata la “ giornata della memoria”,

perchè certe cose non vanno dimenticate, nella speranza che non si ripetano

mai più. Andrebbe aggiunta la postilla “in nessuna parte del mondo”.

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2.3 Rwanda oggi

Sedici anni dopo il genocidio qual’è la situazione in Rwanda? Paul Kagame è

dal 2000 (e lo sarà almeno fino al 2017) il presidente di un Rwanda

apparentemente riconciliato, ma ancora profondamente segnato da un

genocidio su base etnica che il mondo occidentale e l’Onu fecero finta di non

vedere.Il paese che Kagame vuole rappresentare negli ultimi anni ha visto un

progresso senza precedenti: nuove strade e cliniche sanitarie, milioni di dollari

di investimenti stranieri, internet a banda

larga, assicurazione sanitaria nazionale. Ma soprattutto è un paese in cui regna

la pace, come recita lo slogan preferito del presidente “scegliere la pace”. Poi,

come ormai sappiamo, c’è l’altro celato lato della medaglia. il Rwanda in cui le

persone sono vittima di repressione e di un profondo disagio, dell’uso della

forza fisica per difendere le ragioni e la vittoria del presidente. Il Rwanda in cui

le tensioni tra hutu e tutsi non sono sparite, anzi, sono fomentate dal profondo

desiderio di semplificare il conflitto etnico proclamando vittime e assassini,

quando la realtà è ben più complessa e sfaccettata. Il governo, molto lontano

dal poter essere definito democratico, esercita sulla popolazione un controllo

tra i più severi, sull’agire tanto quanto sul pensare delle persone. “Diversi

ruandesi intervistati” racconta Donato De Sena in un articolo del 9 agosto

2010 in occasione delle elezioni parlamentari di quest’estate “ hanno

raccontato di non essere liberi di votare contro Kegame: i funzionari del

governo avrebbero provveduto a fare un’enorme pressione su di loro per la

registrazione al voto, costretti perfino a contribuire con alcuni dei loro magri

guadagni alla campagna e a partecipare a raduni del presidente uscente. [...]

Chi parla a qualche giornalista ha paura di rendere noto il proprio cognome,

per paura di ritorsioni.” La Rete internazionale per la promozione e la difesa dei

diritti dell’uomo in Rwanda, che ha studiato la situazione dei diritti umani nel

paese dal 2000 al 2007, si esprime in questo modo: «La deriva totalitaria del

regime è inarrestabile, la discriminazione etnica raggiunge il culmine, le libertà

pubbliche e i diritti fondamentali sono costantemente violati, la giustizia

popolare divide i cittadini tra vincitori e vinti». Il Dipartimento di stato

americano, nel suo Rapporto sui diritti umani nel 2007, scriveva che in Rwanda

«il bilancio del governo sui diritti dell’uomo resta debole, e ci sono casi di abusi

gravi. Si nota un aumento di esecuzioni extragiudiziarie, di arresti e di

detenzioni arbitrarie da parte dei servizi di sicurezza [...] restrizioni sono

imposte alla libertà d’espressione, con violazioni della libertà di stampa, al

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punto che la società civile e i giornali praticano l’autocensura». La strada è

ancora lunga e complicata, il genocidio continua a farsi ricordare. Di recente il

Tribunale penale internazionale dell’Aja ha condannato Joseph Mpambara a 20

anni di carcere: è stato giudicato colpevole per lo stupro di quattro donne e

l’uccisione di una vittima. Il genocidio, come nelle migliori tradizioni, è

diventato un film: “Hotel Rwanda” , del 2004, diretto da Terry George.

Racconta la storia vera di Paul Rusesabagina, una sorta di "Schindler africano"

che trasformò il suo Hotel in un rifugio per oltre 1200 tutsi e hutu delle

rispettive fazioni moderate. Le costanti ci sono tutte, le responsabilità pure.

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3. CAPITOLO 2

LA SPERANZA SI ACCENDE INSIEME ALLA RADIO

3.1 Come nasce la cultura delle radio in Africa?

Come abbiamo già ripetuto, l’Africa è un paese dimenticato dall’occidente e dai

suoi governi, martoriato dalla mancanza di libertà di espressione. Ma per

fortuna rimane qualcuno, africano o meno che sia, a credere ancora in questo

grande continente e nella speranza che a piccoli passi la situazione possa

migliorare. Per fare ciò parte dal basso avvicinandosi il più possibile alla

popolazione: perché è dal basso che cominciano le rivoluzioni e perché se solo

tutti gli africani potessero essere consapevoli di ciò che gli accade intorno

sicuramente la situazione non sarebbe la stessa. Uno di questi stimabili

personaggi è il signor Giorgio Lolli (conosciuto in Africa come Monsieur Lollì),

imprenditore emiliano e profondo conoscitore dell’Africa, che per primo ha dato

l’opportunità a gran parte del continente di potersi raccontare alla radio.

Nessuno meglio di Lolli stesso può raccontare la sua esperienza e io in questa

sede mi servirò di un’intervista rilasciata a radio Africa.

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“Ero con il fronte di liberazione dell’Eritrea ed è stata una cosa un po’

particolare, perche non era permesso fare le radio quindi la prima l’ho creata

spacciandomi per operatore sanitario”

Il progetto nasce quasi per caso. Viene chiesto a Lolli, che si trovava a filmare i

guerriglieri dell’Eritrea, di aggiustare una radio rotta. Egli in pochi minuti ci

riesce e i soldati gli chiedono se sia possibile creare una radio che li metta in

contatto con il resto del movimento insurrezionale. Nasce così nel 1991 radio

Bamako.

“Nel periodo della caduta di Moussa Traore in Mali (a Bamako) ho creato

questa radio e in ventiquattro ore è cambiato il mercato del paese, dalla città

sono venuti tutti nella periferia e tutti i venditori sono accorsi perchè è stata

una vera rivoluzione la radio.”

Era una radio molto semplice: un trasmettitore e un’antenna costruita sul

posto. Inizialmente trasmetteva dalla stessa casa del signor Lolli all’insaputa di

tutti perché i messaggi erano camuffati per evitare la censura. Da li infatti

partivano anche quelli che hanno permesso di seguire la rivoluzione fino

all’arresto del dittatore Moussa Traorè. Nel caso dell’Eritrea si può dire che la

radio fosse legata maggiormente a ragioni logistiche . In Mali invece si è

trasformata in un supporto alla rivoluzione, un modo per incitare il popolo alla

rivolta contro il dittatore.

“Dopo l’arresto di Traorè radio Bamako è stata autorizzata a trasmettere

liberamente e via via il governo ha legittimato l’apertura delle radio libere.

Partendo dal Mali prima verso i paesi vicini, poi espandendosi alla quasi totalità

dei paesi africani.”

Queste radio spesso hanno una copertura di appena 50 Km. Quello che

potrebbe sembrare un ostacolo apre invece le radio alla partecipazione diretta,

chiunque la ascolti nel raggio di quei pochi chilometri è spesso spinto a

parteciparvi. Non mancano le battaglie di potere per chi debba gestirla, ma si

mette in atto una democrazia molto più diretta dove nessuna voce viene

oscurata. La radio in questo grande continente arretrato spesso viene utilizzata

anche come strumento del potere; ne è un esempio il fatto che ministri o

generali in pensione solitamente cerchino di accaparrarsene la direzione, in

modo da continuare ad esercitare una sorta di potere mediatico. Al contrario

in Mali capita che il proprietario di una radio (che spesso fa parte di gruppi o

associazioni) diventi deputato o ministro grazie alle emittenti libere che

permettono di fare propaganda e di farsi conoscere senza che nessuno possa

contraddire.

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“Il paese dove ho lavorato di più inizialmente era il Mali, li ne abbiamo create

circa 150 di tutti i tipi (politiche,religiose, di regime…) poi dal Mali mi sono

allargato all’africa francofona e poi al resto dell’Africa: Mozambico, Malawi,

Togo, Burkina Fasu…”

Ed è in Togo che si trova la sede della società da lui fondata: “Ste Solaire” con

l’annesso canale promozionale X Solaire. Questa società progetta e installa

stazioni radiofoniche e lavora chiavi in mano costruendo tutto: tralicci,

trasmettitori e studio. Nelle sue aule vengono anche svolti corsi di formazione

per il personale tecnico e giornalistico delle stazioni.

“Ho preso un terreno in affitto poi abbiamo costruito delle baracche chiamate

pomposamente bungalow e quando qualcuno viene e mi propone di fare una

radio io gli procuro il materiale garantito per un anno e in più facciamo la

formazione gratuita per i tecnici […] si comincia subito con l’insegnamento la

cui durata varia a seconda della mansione, per le cose più piccole varia da 15

giorni a un mese, per cui dormono li ed io e i miei operai insegniamo a coloro

che diventeranno dei tecnici. Basti dire che oggi nel continente africano ci sono

circa un centinaio di tecnici che sono usciti dalla mia scuola. Dividiamo la

scuola in tre formazioni: una è l’alta frequenza, fare i tralicci montare i tralicci

e capire la gestione della radio, la seconda per la bassa frequenza quindi

consolle e microfoni e la terza è alla radio per gli animatori e eventuali

giornalisti.”

Il problema maggiore è rappresentato dai finanziamenti per mantenere vive le

stazioni radiofoniche, che spesso arrivano da Ong e organizzazioni straniere.

Bisogna continuare a sensibilizzare le organizzazioni internazionali perchè le

radio si rivelano tutt’oggi fondamentali nello svolgere una funzione sociale

sensibilizzando la popolazione africana su temi quali la mutilazione genitale

femminile, i diritti delle donne, consigli medici, igiene e prevenzione delle

malattie.

“L’Unicef per quanto riguarda i bambini, ad esempio, ha finanziato tante radio

dando loro programmi già registrati da mandare in onda. Ma soprattutto per

radio si tengono dibattiti aperti a tutti dove ci si può riunire e parlare dei

problemi della città”

Ci sarebbe ancora molto da raccontare su questo coraggioso e rivoluzionario

personaggio che ha letteralmente stravolto il modo di concepire la radio in

Africa. Senza il suo contributo non si sarebbero mossi neanche quei piccoli

passi che fanno giungere (anche se ancora troppo da lontano) fino all’occidente

le grida di aiuto di un continente dimenticato.

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“Le radio sono come le ciliegie, fatta una le altre vengono di conseguenza…”

Ciò che in molti paesi africani sta avvenendo in questi anni è la creazione di

una cultura dell’informazione che non si limita a garantire la possibilità di

ascoltare la radio, ma di poterla anche capire e contribuire attivamente a farla.

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3. CONCLUSIONI

Questo quadro sulla situazione radiofonica africana ci regala un seme di

speranza. Attraverso la radio sono stati commessi crimini atroci, ma questo

purtroppo è il lato della medaglia da cui nemmeno l’occidente si salva. Certo è

che la radiofonia è l’unico mezzo di comunicazione che ha veramente rotto la

bolla di silenzio attorno cui è sempre stata avvolta l’Africa. La strada è ancora

lunga e tortuosa, ma come è riuscita ad imporsi la radio, così riusciranno ad

imporsi anche gli altri media: stampa,televisione e internet. Con l’aiuto

dell’occidente il continente “dimenticato da Dio” potrebbe ricordare a tutti che

esiste e cominciare a splendere. La censura, la propaganda, il rischio di dire la

verità sono problemi che, in modo molto minore, continuano ad investire anche

i paesi liberi. Il continente nero può in questo senso darci anche una lezione.

Dovremmo imparare infatti dai coraggiosi giornalisti africani e non che in nome

della libertà di espressione mettono in gioco la propria vita, in una società in

cui sono ancora troppi quelli che si limitano ad osservare le cose da lontano

adagiandosi sugli allori di un’illusione di libertà che non verrà ad ucciderli sulla

porta di casa.

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BIBLIOGRAFIA

Africa & Media - Giornalismi e cronache nel continente dimenticato

Prefazione di Romano Prodi; con un inedito di Ryszard Kapuścińki,

A cura di Mauro Sarti

LINK

www.giornalettismo.com

www.nigrizia.it

www.allafrica.com

http://www.iq2rd.it/?p=1028