2008 Partecipazione, volontariato, protagonismo e aggregazione giovanile

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PARTECIPAZIONE, VOLONTARIATO E PROTAGONISMO GIOVANILE Ipotesi e mode!i a con"onto Giovanni Campagnoli 2008 Studio e Ricerca 1

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Modelli, ipotesi, esperienze e ricerche intorno ai temi della partecipazione, volontariato, protagonismo ed aggregazione giovanile.

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PARTECIPAZIONE, VOLONTARIATO

E PROTAGONISMO GIOVANILE

Ipotesi e mode!i a con"onto

Giovanni Campagnoli

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Indice

Partecipazioni giovanili nel panorama italiano ed europeo. Le nuove forme ed i nuovi modelli di partecipazione dei giovani, lavorano con e per i giovani per costruire cittadinanza attiva. pag. 3

Le 11 ipotesi della partecipazione giovanile pag. 11

Tra partecipazione e risorse giovanili pag. 27

RICERCA: DOVE GIOVANI, ISTITUZIONI E PARTI SOCIALI SI CONFRON-TANO: ESPERIENZE DI PROVINCIA. pag. 36

RICERCA: LA CITTADINANZA DEI GIOVANI NELLE COMUNITÀ MONTA-NE. Tra politiche di “campanile” e “politiche di valle”. pag 43

ALLEGATO: la documentazione europea in materia di partecipazione giovani-le pag. 53

GIOVANI, ASSOCIAZIONISMO E VOLONTARIATO: E’ VERA PARTECIPA-ZIONE? pag 66

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Partecipazioni giovanili nel panorama italiano ed europeo. Le nuove forme ed i nuovi modelli di partecipazione dei giovani, lavorano con e per i giovani per costruire cittadinanza attiva.di Giovanni Campagnoli1

La Carta Europea della partecipazione dei giovani alla vita locale e regionale adottata dal Consiglio d’Europa (Congresso dei poteri locali e regionali) il 21 Maggio 2003 ribadisce il ruolo dei giovani per lo sviluppo di una società demo-cratica in particolare nella vita pubblica locale e regionale.“Partecipare ed esser un cittadino attivo vuol dire avere il diritto, i mezzi, il luogo, la possibilità e, se del caso, il necessario sostegno per intervenire nelle decisioni, influenzarle ed impegnarsi in attività ed iniziative che possano con-tribuire alla costruzione di una società migliore”.

L’ipotesi è che gli Enti locali possano agevolare e facilitare i processi di parteci-pazione dei giovani alla vita pubblica e della comunità, attraverso però forme e modalità pensati ad hoc.Infatti a partire dagli obiettivi definiti dalla Comunità Europea si può sviluppare una migliore partecipazione dei giovani alla vita civile e della comunità, anche se oggi la partecipazione non è certo un bisogno esplicitamente espres-so dai giovani, soprattutto se pensata nelle forme tradizionali. Detto questo non è vero che i giovani non siano interessati a partecipare alla vita locale ed alle scelte che li riguardano2. Vanno però intercettate, riconosciute e coinvolte nuove forme di partecipazione giovanile alla vita della città (più legate al pro-tagonismo giovanile o all’espressione di sé, o occasioni di tipo user, a par-tire dai grandi eventi) promosse con mediatori/facilitatori in grado ci con-nettere giovani ed istituzioni, in quanto mondi tradizionalmente separati, lavo-rando sulle relazioni. Il passo successivo (la partecipazione è sempre un processo, anzi è il processo cardine della democrazia), per ricercare una maggiore partecipa-zione dei giovani ai meccanismi della democrazia rappresentativa3, va pensato assumendo però che quando si parla di partecipazione “qualcosa è cambiato”. Infatti se fino a 30 anni fa, probabilmente rappresentanza, militanza ed appar-tenenza, potevano essere usate come sinonimi di partecipazione, oggi proprio

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1 Responsabile della coop. soc. Vedogiovane, docente di economia ed autore di diverse pubblicazioni ed articoli sulle politiche giovanili, si occupa di informazione, formazione e ricerca su questi temi. È anche pre-sidente della rete di cooperative sociali politichegiovanili.it che promuove informazione e cultura, anche attraverso la gestione dell’omonima rete informativa in materia.

2 A questo proposito, per ascoltare la voce dei giovani su questo tema, oltre al Libro Bianco, può essere inte-ressante leggere il Manifesto “GioRap”, elaborato a conclusione del progetto nazionale “Giovani rappresen-tanze” (vedi Allegato 1).

3 Ricordiamoci che siamo inseriti in società in cui è veramente difficile lavorare su meccanismi di chi rappre-senta chi o chi si sente rappresentato da…Inoltre viviamo nelle città una convivenza nella quale si è poco capaci, tra le generazioni, di dare rappresentanza gli uni agli altri.

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non lo sono, se pensate nei loro significati tradizionali. In particolare rispetto alla rappresentanza, non sono certo le tradizionali forme di rappresentanza ad avere oggi il favore dei giovani, a partire da sindacati e partiti. I partiti poi so-no messi agli ultimi posti anche dagli Assessori alle politiche giovanili quando devono ricercare soggetti del territorio con cui co-progettare. Questi infatti mettono invece al primo posto i gruppi informali. Forse è da questi assetti che bisogna ripartire, vista anche la crisi dei Forum e delle Consulte che non facevano altre che replicare i meccanismi tradizionali della politica (es. poca chiarezza dell’oggetto, difficoltà di una gestione efficace, verbosità spesso in-concludente, assenza della dimensione del fare e prevalenza di altre modalità simili a quella della politica tradizionale - ad es. voto e regolamenti – che hanno poco appeal ed, in quei contesti, poco senso, tempi sentiti come “trop-po lunghi” tra decisione ed attuazione delle decisone).Bisogna interrogarsi quali siano i processi formativi che possono sviluppare nei giovani le competenze adeguate a partecipare ai processi decisionali: si tratta di percorsi di “educazione non formale”, richiesti anche dal Libro Bian-co, in cui emerge proprio che “i giovani vorrebbero riconosciuta oltre all’istru-zione ed alla formazione di tipo tradizionale o formale, anche gli aspetti non formali”4.In quest’ottica, si dovrebbe porre maggiormente l’accento sulla mobilità, sul programma Gioventù5, e sul volontariato giovanile in senso ampio: svilupparli articolandoli con le politiche condotte nel campo dell’istruzione e della forma-zione. Per poter riuscire appieno questa articolazione tra dimensione formale e non formale dell’apprendimento deve tener conto della nozione di sviluppo in-dividuale e fondarsi sugli strumenti e i metodi propri del campo della gioventù, strumenti e metodi che favoriscono lo scambio tra pari e la sperimentazione, in cui il “fare” è più importante che il risultato.Vi sono alcuni assi di intervento proposti dalla Comunità europea per facilita-re i processi di partecipazione dei giovani. Un primo è quello di garantire un migliore accesso all’informazione e una migliore qualità dell’informazione. Probabilmente è quello che è tenuto meno in considerazione dagli operatori dei Centri giovanili, che vedono ben distanti da loro gli Informagiovani. Eppure og-gi in Italia gli Informagiovani sono il servizio più capillarmente diffuso su tutto il territorio essendo mediamente presenti uno ogni 7 Comuni. Vero è che, in generale, gli Ig oggi sono in crisi di identità e, partendo dalle linee guida con-

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4 Si parla quindi di “educazione” ai valori, in particolare a quello della legalità democratica, ma anche della tolleranza. Allora sono richieste, affinché un’azione educativa sia efficace nella comunità, delle alleanze, e la scuola non ci può non essere. Scuola ed extrascuola insieme, con le istituzioni, il Terzo settore, gli operatori ed i giovani in percorsi di questo tipo. Oggi In Italia c’è qualcosa del genere? Sicuramente si, ma più lasciati alla occasionalità ed alla sensibilità di pochi, che non ad una intenzionalità vera e propria di una progettualità di questi percorsi. Tra questi va senz’altro segnalato il percorso (ed i vari “campus” di Albachiara della Pro-vincia di Pistoia).

5 Qui si pensi anche a quei progetti locali, di comunità, in cui i giovani sono protagonisti e che hanno obiettivi di promuovere lo sperimentarsi come cittadini attivi, dando vita anche a “prodotti” riconosciuti e riconoscibili dalla comunità, cioè “beni pubblici”, pensati insieme tra istituzioni e giovani, così come prevede il principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale (Cost., art. 118).

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tenute nella Nuova Carta Europea dell’Informazione della Gioventù (Bratistava, 2004, Agenzia Eryca del Consiglio d’Europa) potrebbero virare verso una nuova mission guidati dal binomio “informazione e partecipazione”6. C’è poi da ag-giungere che saper comunicare ed utilizzare gli strumenti adeguati è oggi una necessità (più che una moda) che dimostra il valore che le istituzioni danno a questi percorsi, anche se c’è ancora un retaggio culturale degli operatori ad adottarli. Infine, altro segnale che va dato rispetto alla capacità di saper abita-re i tempi, è l’uso di tecnologie di comunicazione che permettono un’informa-zione a distanza, unendo le reti sociali di legami tra persone, con quelle virtua-li.Un secondo asse è quello di sviluppare programmi formativi per gli opera-tori che lavorano con i giovani e i giovani stessi. La formazione è essenziale, è un motore di ricerca continuo per orientare il senso e l’agire del lavoro sociale. Deve essere una formazione che parte, per gli operatori sociali, dalla loro espe-rienza quotidiana riverificandola e traendo apprendimenti. Lo stesso per i gio-vani, anche se qui con coraggio è possibile sperimentare altre modalità di tipo più informale, ad esempio per formare leaders giovanili. Anche su questo pun-to gli operatori sociali potrebbero interrogarsi, promovendo queste opportunità di “educazione non formale”, allargando gli orizzonti culturali e di senso dei giovani. Il rischio è che un operatore si occupi solo del suo gruppo, invece do-vrebbe lavorare con più gruppi. E nella comunità, non nel centro7. Con una premessa: probabilmente si educa alla partecipazione non tanto (e non solo) “predicandola”, ma “praticandola”, nel senso che si insegna molto più con l’esempio che non la teoria… Uno strumento che può essere utilizzato come punto di partenza per chiedersi, e poi come “bussola” in quei progetti che si pongono come obiettivo quello dello sviluppo della cittadinanza attiva giovanile (titolo anche di questo intervento), è la “Scala di Hart per la valutazione della partecipazione” (vedi Allegato 2). Ritornando invece alla formazione, ne va pensata anche una ad hoc per gli amministratori locali, che spesso si trovano con responsabilità di policy maker senza aver potuto sviluppare dei percorsi adeguati al ruolo che devono ricoprire.

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6 Alcune buone prassi sono quelle sviluppate in Lombardia dalla cooperativa sociale Spaziogiovani, che ha progettato, in accordo con i Comuni, dei “Centri per il protagonismo giovanile”, dove Informagiovani e spazi quali sale prove, spazi mostra, concerti e teatri, convivono con gli Informagiovani, sfruttando una serie di sinergie più che evidenti.

7 La “gruppite”, la “coccolite” sono frequenti nei CAG, così come negli oratori… Insieme alla “specchite”, cioè l lavorare prevalentemente con giovani a immagine e somiglianza degli operatori). Interessanti sono invece le esperienze di Centri giovani che sono aperti ed “a disposizione della comunità”, producendo iniziative concrete (festival, ecc), così come prendendo parte a quelle promosse dalla comunità (mentre gli operatori sociali spesso manifestano una forma di “snobbismo” culturale verso tutto ciò che è “pop”, nel senso di po-polare). Una buona prassi è quella della rete dei Cag mantovani, che in estate si aprono alle loro comunità, organizzando i “summer bar”, con cibi anche etnici, locali, comunque “da strada” e sono gestiti dagli stessi ragazzi dei centri, generando anche risorse, opportunità e sviluppando capacità imprenditive ed un’attitudine al lavoro. Esperienza altrettanto interessante è quella dei CAG in Prov. Trento, aperti il sabato notte, con attività specifiche.

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Terzo asse è relativo allo sviluppo di una migliore comunicazione interge-nerazionale: questo perché le politiche giovanili sono nuovi legami tra giovani e istituzioni, che significa tra giovani ed adulti. Per questo sono necessari dei mediatori, che diano vita a percorsi (e non ad iniziative a spot). Percorsi in cui ci si conosce e riconosce, si formano conoscenze condivise e si costruisce un lessico comune, si comunica tra le parti e si genera fiducia, capitale sociale, vero collante della comunità locale.Infine creare delle nuove strutture organizzative che consentano una partecipazione strutturata all’interno delle organizzazioni/ente e non legata a singoli progetti. Su questo aspetto, vista la crisi delle Consulte e dei Forum vanno previsti altri contesti, più motivanti, degli “open space” della partecipa-zione giovanile, caratterizzati dal fatto che sono comunque pensati ed orga-nizzati e condotti, ma più informali e ad assetti variabili, e coerentemente a quanto detto prima, prevedono la presenza di giovani, organizzazioni giova-nili, assessorato, amministratori, operatori. Ma anche di un coordinamento (mediatore). Quindi in realtà, processi di partecipazione, più che sovrastruttu-re, che però hanno sede e casa in luogo preciso della città, anche se possono prediligere modalità itineranti per gli incontri (ad es. in luoghi giovanili, es. CAG, Ig, o nelle sedi delle diverse organizzazioni che ne fanno parte), sia per visibilizzare, sia per continuare in una azione di promozione della partecipazio-ne.Tra tutte le forme (associazionismo, consulte giovanili, volontariato, partecipa-zione a partiti politici, partecipazione a gruppi non formali, rappresentanze sco-lastiche, forum, etc.), quelle che oggi consentono maggiormente ai giovani di partecipare e influenzare direttamente i processi decisionali sono quindi, pro-babilmente, quelli in cui c’è la presenza delle due parti, cioè giovani ed istitu-zioni, ma con un “terzo facilitatore/mediatore/coordinatore”, molto attento alle relazioni (al “processo”) oltre che al compito8. Lasciare oggi “tutto nelle mani dei giovani”, dopo anni di non educazione alla partecipazione, rischierebbe di essere solo una scelta ideologica/giovanilista, che metterebbe in campo un esercizio di falsa democrazia, in quanto i giovani difficilmente sono in grado da soli di gestire questi percorsi (è già difficile per un operatore preparato…). Poi, come già detto, più che su “forme ed organismi” bisogna puntare su processi, che progressivamente sviluppano autonomia e costruzione ad hoc di “nuove forme”. Ma all’inizio i luoghi sono quelli già descritti, in cui si realizza un mec-canismo di co-decisione. Un nome? Ad esempio “Open space” della partecipa-zione giovanile alla vita della città.Per garantire una maggiore partecipazione dei giovani alla vita della comunità, l’ente locale deve dotarsi di operatori ah hoc (mediatori), strumenti di comuni-cazione adeguati ai tempi (per sottolineare, come già detto, l’importanza ed il valore che l’istituzione dà a questi percorsi), spazi giovanili, percorsi formativi,

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8 ricordiamo che “conoscere altre persone” è tra le motivazioni principali che spingono i giovani a prendere parte a questo tipo di percorsi. Insieme allo scambiarsi idee, incontrarsi per aggior-narsi, migliorarsi,

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Informagiovani, eventi, servizi, peer education, cag, percorsi nelle Scuole e Università sull’educazione civile, bilancio partecipato, nuovi media, ecc., ma anche percorsi che portino alla “produzione” di piccoli (ma importanti) “beni pubblici” che derivano da processi relazionali “caldi”. Da sottolineare che pun-tare sui giovani, sulla costituzione di un gruppo di giovani che poi attiva questi processi non è una scelta “povera” (sono 15 sul totale di tutti i giovani del Co-mune…), ma potente! Infatti Questo perché un gruppo di giovani può cambiare la città, è innovatore, potente, genera ricorse, ha reti orizzontali efficacissime, sa coinvolgere9.In questi percorsi le principali criticità presenti nei processi di attivazione di forme di partecipazione attiva dei giovani stanno purtroppo alla base, sono la-cune culturali da parte degli Amministratori, estranei alle logiche attuali del mondo giovanile, più propensi a rassicuranti rifugi nel passato, sfiduciati dal-l’oggi e senza particolari slanci progettuali per il futuro. Per non parlare della difficoltà di cedere realmente spazi e potere ai giovani.In conclusione, per attivare processi di partecipazione giovanili da parte degli Enti locali, può essere utile tener presente una serie di passaggi e cioè:- adottare in Consiglio Comunale la Carta europea di partecipazione (anche a

livello simbolico è un segnale);- avere un capitolo di bilancio ad hoc per le politiche giovanili, stabilito in base

ad una percentuale rispetto alle uscite correnti (le politiche giovanili non si fanno con i fichi secchi!);

- coinvolgere l’esistente in città, a partire dalle organizzazioni giovanili, Scuole, ecc., dando corso al principio di sussidiarietà orizzontale, previsto dall’art. 118 della Costituzione;

- coinvolgere il mondo giovanile con una ricerca azione sul campo che ricerchi le condizioni dell’impregno e sviluppi una relazione con il mondo giovanile;

- fare reti di esperienze in regione, ma anche a livello nazionale ed europeo;- procedere per Piani giovani locali, integrando, coinvolgendo, promovendo e

coordinando ciò che una comunità (intesa come insieme di attori) sta facendo per i giovani sul suo territorio, dando vita a Tavoli e ad accordi di programma (è anche una delle tre linee guida contenuta del nuovo programma di speri-mentazioni che il dicastero dei giovani sta portando avanti, insieme alla for-mazione per gli amministratori locali e ad una nuova progettazione degli Ig10);

- avere il coraggio di sperimentare, credendoci, ricordano che in questo ambi-to vale il Se ci credi lo vedi, piuttosto che il se lo vedi ci credi!

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9 Ad Alessandria “Qualunquarte” dimostra proprio che i territori possono rigenerarsi e rinascere nei tentativi dei ragazzi di prendere parola e realizzare presenza. I giovani sono una pluralità che manifesta una domanda di soggettività e di espressione da riconoscere ed aiutare a met-tersi alla prova e a consolidarsi.

10 A questo proposito si può guardare come si stanno muovemmo alcune province che sperimentano già il lavoro per piani: vedi www.novaragiovani.it e www,.vcogiovani.it.

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MANIFESTO DI “GIORAP” SULLE POLITICHE GIOVANILI Siamo un gruppo di persone provenienti da tutta Italia, formato da giovani che studiano e lavorano. In particolare siamo tutti interessati ed impegnati in ma-niera responsabile in attività culturali – sociali – artistiche e creative.Siamo una piccola voce che può contribuire ad abbattere la barriera che da sempre esiste tra giovani ed adulti.Condividiamo l’idea di “politica” intesa come partecipazione civica attiva, la possibilità cioè di poter dire la nostra sulle scelte che riguardano i nostri terri-tori ed interessi.Siamo disponibili ad impegnarci in questo tipo di attività perché pensiamo sia possibile che “il mondo adulto” accetti la nostra idea di pari dignità delle diver-se generazioni.Condividiamo l’idea che i giovani siano considerati il futuro della nostra società, ma rivendichiamo la convinzione che siano soprattutto il presente e che siano un soggetto civico e sociale attivo.I canali attraverso i quali si può realizzare la nostra proposta sul tema delle po-litiche giovanili sono in particolare associazioni, gruppi formali, cooperative ed in generale centri di aggregazione, che fino ad oggi ci hanno dato la possibilità di esprimere meglio le nostre abilità e risorse.Tutte le idee ed attività che nascono in queste occasioni di aggregazione trova-no però la difficoltà a realizzarsi concretamente perché mancano o funzionano male gli strumenti necessari.Elenchiamo ora i punti salienti emersi durante il nostro lavoro:

1. La scuola è il punto di passaggio di tutti i giovani ed è un luogo neutra-le e riteniamo che debba essere centrale per le scelte delle politiche gio-vanili come luogo all’interno del quale far circolare le informazioni sui giovani, per fare partire progetti che stimolino i ragazzi a partecipare at-tivamente a livello sociale e culturale, anche attraverso le ore di educa-zione civica attualizzando i programmi didattici.

2. Spazi fisici, come centri sociali per giovani, all’interno dei quali possano incontrarsi e aggregarsi autonomamente, uscendo dalla logica commer-ciale di bar e discoteche dove si è solo consumatori, dove poter organiz-zare attività creative, corsi di formazione, sondaggi, ricerche e, in gene-rale, progetti che esprimano le diverse culture giovanili.

3. Strumenti di informazione che funzionino effettivamente. In molti terri-tori infatti mancano punti informagiovani e dove esistono spesso non so-no efficaci. Riteniamo quindi che sia fondamentale diffondere nei territori locali l’organizzazione di questi servizi di informazione, che siano però luoghi reali di scambio di informazioni utili per gli interessati. Per rag-giungere questo obiettivo proponiamo che alcuni gruppi attivi a livello lo-cale possano collaborare nella gestione di questi servizi, riuscendo così a far circolare anche le informazioni relative a gruppi e associazioni che pur essendo meno organizzati di enti pubblici e locali aggregano comunque

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diverse persone. Per noi infatti collaborare significa valorizzare le cono-scenze che i vari gruppi hanno del territorio, diffondendole il più possibile attraverso i canali di informazione che i giovani effettivamente usano (fe-ste, mailing list, volantinaggio).

4. Assessorati alle Politiche giovanili. Chiediamo che tutti gli Enti locali, provinciali e regionali, siano dotati di un Assessorato alle politiche giova-nili, indipendentemente da altri Assessorati e con fondi adeguati per ap-poggiare e sostenere le iniziative proposte dai giovani dei territori. Per la gestione di questi fondi proponiamo che siano coinvolti nella formulazio-ne delle decisioni i giovani interessati, attraverso forme di Bilancio Parte-cipativo.

5. Leggi locali sui giovani. Riteniamo che le Regioni dovrebbero dotarsi di leggi sui giovani che siano formulate coinvolgendo gli interessati, così da poter diventare uno strumento valido per facilitare l’espressione delle culture e dei bisogni del mondo giovanile.

6. Una rete di trasporti pubblici più efficienti, in modo che anche chi vive nelle zone più decentrate abbia la possibilità di raggiungere i centri di aggregazione.

7. Rendere la peer education un modello di comunicazione utilizzabile da tutti i giovani per relazionarsi con i propri pari, in quanto crediamo che sia più efficace e diretto per poter coinvolgere anche i più piccoli.

8. Utilizzare in modo “intelligente” i mass media per un approccio imme-diato con i ragazzi.

Riassumendo in fine, riteniamo che tutte le questioni riguardante i giovani debbano essere affrontate con i giovani stessi.

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LA SCALA DI HART per la VALUTAZIONE della PARTECIPAZIONE

Manipolazione Quando gli adolescenti non sono a conoscenza delle questioni e non comprendono le loro azioni.

Decorazione Quando gli adolescenti indossano magliette che riportano qualche causa o ballano ad un avvenimento indossandole, ma hanno solo una vaga idea del significato di tutta la situazione nella quale sono stati coinvolti, oltre a non aver avuto in alcun modo voce in capito-lo nell’allestimento dell’evento.

Rappresentanza for-male

Quando agli adolescenti è data voce, ma di fatto hanno poche o nulle possibilità di scelta circa il contenuto o la modalità con cui comunicare, e poche o nulle opportunità di formulare le loro stes-se opinioni.

Assegnati, ma non informati

Quando gli adolescenti comprendono le intenzioni del progetto, conoscono chi ha preso le decisioni riguardo il loro coinvolgimento e perché, hanno un ruolo significativo, si offrono volontariamente per il progetto dopo che questo è stato loro chiarito.

Consultati ed infor-mati

Quando gli adolescenti lavorano come consulenti degli adulti in modo integrato. Il progetto è delineato e portato avanti dagli adulti, ma gli adolescenti capiscono il processo e le loro opinioni sono seriamente prese in considerazioni.

Iniziati dagli adulti, decisioni condivise con gli adolescenti

Quando i progetti sono avviati dagli adulti, ma le decisioni sono condivise con gli adolescenti.

Avviati e diretti dal-l’adolescente

Quando gli adolescenti inventano e portano avanti progetti com-plessi

Avviati dagli adole-scenti, decisioni con-divise con gli adulti

Quando gli adolescenti creano un’azione e coinvolgono gli adulti nei progetti che hanno delineato ed impostato

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MODELLI DI PARTECIPAZIONE GIOVANILE

Che la partecipazione giovanile (ma non solo) intesa in senso tradizionale ed istituzionale sia in crisi, è un dato di fatto (secondo Eurostat solo l’8% di gio-vani è iscritto ad associazioni, sindacati, partiti). Così come affermare che tra gli adolescenti la partecipazione avviene principalmente nei gruppi (le tribù, le compagnie, gli amici) è un altro “scontato”.Ma chi vuole scommettere sulla cittadinanza attiva giovanile, impostando seri percorsi di lavoro, allora da dove parte? Probabilmente proprio dagli “scontati”, esplicitando delle ipotesi che poi possono tradursi in diversi strumenti di lavoro, tutti caratterizzati sul senso e sulla fiducia nella partecipazione giovanile.

LE UNDICI IPOTESI DI VEDOGIOVANE SULLA PARTECIPAZIONE GIO-VANILE

Primo punto: è possibile pensare e progettare percorsi di sviluppo della partecipazione giovanile, che mirano ad educare alla cittadinanza attiva. Questo significa non stare in una posizione di attesa, ritenendo che la parteci-pazione nasca spontaneamente sulla base di interessi personali. È possibile (anzi necessario) promuovere un’intenzionalità che sviluppi processi partecipa-tivi. Il fatto che si parli di percorsi, significa che si può “apprendere” partecipa-zione: competenze, abilità, stili e metodologie, nonché senso e significato del-l’azione partecipativa possono essere oggetti di un processo di educazione. Spesso si parla di “educazione non formale”, intendendo con questo termine la “scoperta” della partecipazione alla vita della comunità locale attraverso il prendere parte ad una serie di attività e di azioni che possono produrre cittadi-nanza attiva (ad esempio il volontariato). Si tratta di percorsi con molte “e”, cioè che coinvolgono soggetti diversi che si incontrano, in primis giovani e isti-tuzioni, giovani ed adulti. La partecipazione cioè va “organizzata” (è questa la parola magica), in modo che conservi la spontaneità, la carica e l’energia che sono tipicamente giovanili. Organizzare infatti non vuol dire imbrigliare o buro-cratizzare, per dar vita magari ad organismi e strumenti che non funzionano o che replicano cliché vuoti o con poco senso, ma accettare di costruire forme nuove di confronto, discussione e azione.

Secondo punto: oggi la partecipazione non è un bisogno esplicitamente espresso dalla maggior parte dei giovani. Infatti sono in crisi le tradizionali forme di partecipazione sia tra gli adulti che tra i giovani (es. partiti, sindacati, ecc.). Si assiste, in generale, da una parte ad una privatizzazione dei problemi e degli affetti e, dall’altra quasi ad una fine delle “sfide collettive”. Lavorando con le Amministrazioni pubbliche, gli Assessori spesso raccontano che da loro i giovani non vanno…, nemmeno a protestare. Di conseguenza la partecipazione alla vita pubblica è scarsa, i Forum e le Consulte sono pochi e, molti, in crisi. Così, se la partecipazione non è un bisogno espicitamente espresso dai giovani,

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quello che invece viene richiesto sono più spazi, occasioni di incontro, eventi, informazioni, orientamento, ecc., oltre che di essere ascoltati. Anche se poi, nei fatti, parlando con gli Amministratori emerge come sia sempre più raro che i giovani chiedano di poter dire la loro opinione sui temi che li riguardano.Allora ecco l’importanza per i giovani di abilitarsi e sentirsi autorizzati a di-re la propria opinione sulle questioni che lì riguardano, oggi, non nel fu-turo. E questo è un principio affermato anche dalla Carta Europea di partecipa-zione dei giovani11. La partecipazione deve avvenire “qui e ora” ed i giovani devono poter influire oggi nelle scelte che li riguardano. Questo non in virtù di una grazia concessa dall’alto, ma perché persone e quindi titolari di diritti di cittadinanza e pertanto legittimate ad esprimere pareri, opinioni e di essere informate correttamente su aspetti che li riguardano. Si tratta di guardare ai giovani come risorsa in quanto portatori di saperi, innovazioni ed intuizioni moderne, perché contagiati senz’altro dai “virus” dei mali del mondo di oggi, ma anche in grado di sviluppare “anticorpi” per superarli. Quindi non giovani come problema o problematica sociale, ma nemmeno come dei “minus”, cioè soggetti “non più… e non ancora…” ed in perenne attesa di trasformarsi in qualcosa d’altro.

Terzo punto: per parlare di partecipazione è necessario introdurre delle paro-le “altre” a fianco a quelle tradizionalmente usate finora, mettendosi in gioco realmente e rischiando anche di abbandonare dei concetti sentiti spesso come ancoraggi, ma che oggi non aiutano più a capire gli scenari attuali della parte-cipazione giovanile. Le categorie e gli stereotipi di anche solo trenta anni fa non permettono nuovi ragionamenti: se si vogliono considerare ancora come sinonimi di partecipazione, i termini quali “appartenenza”, “militanza” e “rap-presentanza”, si farà fatica vedere e capire i paradigmi attuali legati alla parte-cipazione. Vediamo meglio: appartenenza oggi significa più una ricerca di luoghi di espressione di sé, che non invece l’indossare una “casacca” definitiva. Militanza: oggi è legata al cogliere opportunità (di tipo “user”, dice lo Iard), dove i grandi movimenti (si pensi alle “Notti bianche”, piuttosto che ai “Papa boys”, che, almeno in parte, sono gli stessi giovani…) e le grandi adunanze massmediatiche12, poi producono poco sul territorio in termini di impegno con-creto. Rappresentanza: non sono certo le tradizionali forme di rappresentan-

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11 Consiglio d’Europa, Congresso dei poteri locali e regionali d’Europa: “Carta Europea riveduta della parte-cipazione dei giovani alla vita locale e regionale”, Strasburgo 2003.

12 Es. Ad es. il successo del volontariato in occasione delle Olimpiadi invernali di Torino 2006 (40.000 giova-ni), ma anche la straordinaria partecipazione di giovani al funerale del Papa (il 9 aprile 2005 un milione e 400mila fedeli hanno varcato la porta di San Pietro, dopo una attesa media di 13 ore), piuttosto che ad ogni concerto del 1 maggio a Roma (il più grande concerto live della storia), le grandi manifestazioni sindacali sul lavoro, il Global Forum a Firenze, il giubileo dei giovani, la Giornata Mondiale della Gioventù, il G8 a Geno-va.

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za ad avere oggi il favore dei giovani, a partire da sindacati e partiti13. In parti-colare questi ultimi sono messi agli ultimi posti anche dagli Assessori alle poli-tiche giovanili quando devono ricercare soggetti del territorio con cui co-pro-gettare14. Così quei pochi giovani nei partiti o i movimenti giovanili dei partiti non sono risorsa progettuale nemmeno per gli Amministratori locali. E questo la dice lunga… Oggi le forme di partecipazione sono molteplici, partono da forme più vicine al-l’espressione di sé, vanno comunque intercettate per avviare un percorso di ri-flessione, proprio per il fatto che, come detto, la partecipazione non è certo oggi un bisogno chiaramente espresso: è un dato che va assunto nel pensare di creare luoghi in cui si promuove partecipazione. Quali sono le nuove parole della partecipazione? Sono molti i termini dis-seminati in questo contributo. Qui sottolineiamo solo che, affinché percorsi di partecipazione giovanile siano possibili, è indispensabile lavorare su comuni-cazione e potere decisionale. Solo così è possibile dar vita ad “esperimenti di democrazia deliberativa” con arene di discussione composte da giovani. E’ necessario lavorare per rendere le istituzioni capaci di ascoltare, prima di pro-gettare, rendendo i giovani soggetti inseriti nei meccanismi al pari di altre figu-re di natura tecnica o politica. Prevedendo anche un obbligo di ascolto, come ad esempio i pareri preventivi, con meccanismi di co-management e co-deci-sione, in modo da favorire l’innesco di un circolo virtuoso nei termini di una at-tiva inclusione dei giovani. Nel “Libro Bianco15 per la gioventù” l’Unione Europea offre una prassi di lavoro efficace tra Stati membri per definire gli interventi per i giovani: si tratta del “metodo aperto di coordinamento” che dà attuazione all’articolo 149 del Tratta-to16. La novità è la possibilità per i giovani di partecipare alla definizione delle politiche indirizzate a loro stessi, oltre che a valutarle e riprogettarle17. Questa direzione è sostenuta da diverse normative europee (oltre al già citato Libro

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13 Ricordiamoci che siamo inseriti in società in cui è veramente difficile lavorare su meccanismi di chi rappre-senta chi o chi si sente rappresentato da…Inoltre viviamo nelle città una convivenza nella quale si è poco capaci, tra le generazioni, di dare rappresentanza gli uni agli altri.

14 R. Pocaterra, Iard, Conferenza nazionale degli Informagiovani, Castellammare di Stabia, 25 febbraio 2005.

15 Commissione Europea: “Libro Bianco della Commissione Europea: un nuovo impulso per la gioventù eu-ropea”, Bruxelles 2001.

16 Che prevede “che si contribuisca a sviluppare un’istruzione di qualità incoraggiando la cooperazione tra Stati membri”.

17 Il meccanismo è quello della consultazione, cioè processi di progettazione partecipata attuati tra i giovani degli Stati membri così come è stato per elaborare il Libro Bianco. E ciò su quattro temi: la partecipazione, il volontariato, l’informazione, la ricerca e più in generale tutto ciò che può contribuire allo sviluppo e al ricono-scimento delle attività realizzate a favore dei giovani (“youth work”, lavoro nei club dei giovani, nei movimenti giovanili, “lavoro in strada”, progetti per sviluppare la cittadinanza, l’integrazione, la solidarietà tra i giovani ecc.) al di fuori da quanto è coperto dalle altre politiche come quelle relative all’occupazione, all’integrazione sociale e all’istruzione.

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Bianco), tra cui la “Nuova Carta europea di partecipazione”18. Questa afferma che gli enti locali e regionali, che sono le autorità maggiormente vicine ai gio-vani, hanno un ruolo rilevante da svolgere per stimolare la loro partecipazione, facendo in modo che i giovani esercitino fin da ora un’influenza sulle decisioni e sulle attività che li riguardano, e non unicamente ad uno stadio ulteriore della loro vita.

Quarto punto: la partecipazione va intesa in senso “allargato”. Significa guardare, come già detto, alle diverse tipologie di espressione di sé e del pro-tagonismo giovanile e poi intercettarle per avviare un percorso di coinvolgi-mento e di richiesta di impegno con quei giovani che magari oggi si occupano esclusivamente dei loro interessi (es. musica, fanzine blog, stickers, skaters, writing, ecc), o frequentano in modo attivo uno spazio giovani, un CAG, l’Ora-torio, la Scuola; va ricordato infatti che si partecipa principalmente nel proprio Comune, oggi sentito come il “pezzo di Stato” più vicino ai cittadini. Puntare sui giovani, sulla costituzione di un gruppo che poi attiva questi pro-cessi nella comunità locale non è una scelta “povera” (sono 15 sul totale di tut-ti i giovani del Comune…), ma potente! Infatti un gruppo motivato di giovani può cambiare la città, è innovatore, potente, genera risorse, ha reti orizzontali efficacissime, sa coinvolgere.L’obiettivo è comunque quello di ricercare insieme ai giovani il senso del loro agire e della loro presenza in determinati contesti. Sapendo inoltre che in que-sti contesti prevarrà una dimensione di “informalità”, di “orizzontalità” che si-gnifica minor autorità dell’istituzione ma non implica una minor autorevolezza, anzi. È proprio questa la strategia vincente: essere, come istituzione (e quindi l’adulto, l’operatore, l’amministratore a seconda delle circostanze) vicino ai giovani, stare con loro, condividere, ma ricordandosi di avere sempre un ruolo di responsabilità rispetto al percorso di educazione alla cittadinanza attiva. Ciò vuol dire prendere atto del fatto che, tra tutte le forme partecipative giovanili, quelle che oggi consentono maggiormente ai giovani di partecipare e influenza-re direttamente i processi decisionali vedono la presenza delle due parti, cioè giovani ed istituzioni, ma con un “terzo facilitatore/mediatore/coordinatore” (v. anche Punto 7). Lasciare oggi “tutto nelle mani dei giovani”, dopo anni di non educazione alla partecipazione, sarebbe solo una scelta ideologica/giovanilista, che rischierebbe di mettere in campo un esercizio di falsa democrazia, in quan-to i giovani difficilmente sono in grado da soli di gestire questi percorsi (è già difficile per un operatore preparato…). Significa allora lavorare con i giovani in “assetti variabili”, cioè non immagi-nandosi una presenza costante delle stesse persone, ma invece un volano in-torno al quale ruotano un numero molto più elevato di soggetti, interessati sol-tanto ad una parte del lavoro e non allo sviluppo di un percorso più lungo.

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18 Consiglio d’Europa, Congresso dei poteri locali e regionali d’Europa: “Carta Europea riveduta della parte-cipazione dei giovani alla vita locale e regionale”, Strasburgo 2003.

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Questa però non è una situazione partecipativa da “serie B”, ma appunto l’as-setto variabile che va, di nuovo, gestito ed organizzato. Poi, come già detto, più che su “forme ed organismi” bisogna puntare su pro-cessi, che progressivamente sviluppano autonomia e costruzione ad hoc di “nuove forme”. Ma all’inizio i luoghi sono quelli già descritti, in cui si realizza un meccanismo di co-decisione. Un nome? “Open space” della partecipazione gio-vanile alla vita della città. Forse è da questi assetti che bisogna ripartire, vista anche la crisi dei Forum e delle Consulte che non facevano altre che replicare i meccanismi tradizionali della politica (es. poca chiarezza dell’oggetto, difficoltà di una gestione efficace, verbosità spesso inconcludente, assenza della dimen-sione del fare e prevalenza di altre modalità simili a quella della politica tradi-zionale – ad es. voto e regolamenti – che hanno poco appeal ed, in quei conte-sti, poco senso, tempi sentiti come “troppo lunghi” tra decisione ed attuazione delle decisone).

Quinto punto: è evidente che esistono delle condizioni facilitanti la parte-cipazione, che vanno conosciute e, per quanto possibile, garantite nel lavoro con i giovani. Sono condizioni che attirano e attivano i giovani, senza con que-sto intendere modalità pubblicitarie di “cattura” delle nuove generazioni. Sono condizioni che, più ancora che sul “giusto”, si poggiano sul “bello”, a diversi li-velli:• pensare a luoghi e spazi per i giovani che siano accoglienti, “caldi”, non per

voler seguire mode o tendenze, ma per sottolineare l’importanza che si vuol dare alle nuove generazioni. E ciò nella scelta sia dei materiali di comunica-zione19 per attività rivolte a giovani, sia dei “prodotti” realizzati dai giovani stessi, che non possono più sempre essere quelli meno belli, meno profes-sionali, sempre “minus” rispetto a degli standard che poi usano e piacciono a tutti. Invece un’attenzione che si può avere è di sperimentare rispetto ad altri standard, non per forza di moda, ma che sappiamo piacere, interessa-re. Un esempio per tutti è quello del Commercio Equo che oltre ad essere una rete di “botteghe” tipicamente giovanili20 (basta entrare per vedere l’età delle perone dietro al bancone…), arriva a proporre stili di vita, loghi, pro-dotti, design. Ma non solo: ricordiamo anche che “giovani” a volte è anche sinonimo di innovazione, secondo l’equazione per cui a molta creatività cor-rispondono società molto dinamiche.

• rendere evidenti i vantaggi: infatti anche questa categoria va assunta nel promuovere la partecipazione giovanile, senza più retorica. Esplicitare che la

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19 Basta con l’usare fotocopie e cliché grafici che nemmeno usano più in Russia dai tempi della Pravda! Ba-sta arredare i Cag con i mobili scartati dai parenti. A meno che non sia stile “vintage”, ma allora si è nella fase di promozione di uno stile, del bello…

20 e dimostra che, in generale, non è assolutamente vero che i giovani non hanno valori, anzi, il Commercio Equo è un esempio che c’è una partecipazione concreta di tanti giovani che si impegnano per rendere pos-sibili nuove e più giuste forme di equilibrio tra Nord e Sud del mondo, oltre ad introdurre logiche più eco-compatibili e di riduzione di sprechi di risorse.

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partecipazione conviene più della “non partecipazione”, che l’impegno con-viene più del non impegno è fondamentale, anche perché costituisce la base di una società democratica. Ma è necessario anche rendere visibile in termi-ni concreti qual è il beneficio che si ottiene (gli oggetti dello scambio, la re-ciprocità) partecipando. Si tratta di una convenienza che non è assoluta-mente detto che si possa valutare in termini economici, ma può afferire alla sfera valoriale, quella metaeconomica, o altro. In ogni caso questo è un in-terrogativo che ci poniamo tutti quando valutiamo se prendere parte o me-no ad un’iniziativa, incontro, riunione, Tavolo, per cui bisogna rendere que-sta dimensione “trattabile”.

• far sperimentare la valenza emotiva del “sentirsi dentro” a processi, alla comunità, a varie forme di appartenenze per la ricerca di un “bene comune”. Questo “sentire comune” fonda e mantiene vivi i legami, le passioni, il pia-cere di incontrare le persone (che quindi non è solo un diritto/dovere, ma è molto di più) e forma quello che viene chiamato koinè, termine greco che significa appunto “senso di comunità condiviso”. Il “sentirsi dentro” a questi processi di partecipazione giovanile passa per la costruzione di un “clima” buono, dove c’è anche una dimensione di svago e di piacere perché in que-sti contesti possono emergere potenzialità, idee e risorse di chi vi partecipa.

Sesto punto: partecipazione è anche, e molto, relazione. Si tratta di una scoperta e di una costruzione di legami sia tra giovani stessi21, che tra loro e le istituzioni (il mondo adulto quindi), non più considerati come “parti” separate della stessa comunità/città, ma più vicine in una fase di sviluppo di nuove idee, azioni, politiche. Funzionale alla creazione di questi “link” tra giovani ed istitu-zioni è la figura del mediatore/facilitatore/animatore, una persona che è a me-tà tra questi due mondi, pagato dall’ente locale (a sottolineare che questo tipo di lavoro per e con i giovani ha un valore), ma che sta con i giovani ed è lì per loro, diventando ai loro occhi un adulto credibile, significativo e di cui ci si può fidare22. Svolgere questo ruolo, e garantire questa funzione, è un impegno im-portante, che va riconosciuto dall’istituzione. Infatti, se ci pensiamo, oggi di giovani molti ne parlano (come nel calcio), alcuni se ne preoccupano, pochis-simi se ne occupano. Per cui è importante il passo di individuare un referente istituzionale: anche perché oggi ci si gioca molto del consenso giovanile sul sa-per instaurare una relazione di qualità, sul sapersi dimostrare adulti corretti, affidabili, attenti alle istanze giovanili, ma non giovanilisti, complici o amici. Va dedicato quindi tempo a quest’incontro, perché è questa la “moneta” necessa-ria a “pagare” l’investimento sulle relazioni, la condivisone di momenti e spazi.

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21 ricordiamo che “conoscere altre persone” è tra le motivazioni principali che spingono i giovani a prendere parte a questo tipo di percorsi.

22 “Si insegna molto di più con l’esempio che con le parole”, ricordiamocelo. Ed una criticità di oggi è che se si chiede ad un giovane di contare quanti adulti “significativi” ha incontrato nella sua vita, vi dirà che per con-tarli bastano le dita di una mano! Eppure per crescere c’è bisogno di modelli di riferimento, di persone coe-renti, molto più che di eroi, sempre presentati come irraggiungibili ed inarrivabili.…

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Non solo: sono necessari l’uso di strumenti coerenti con l’oggetto di lavoro, (la promozione della partecipazione giovanile) quindi linguaggi e prodotti di comu-nicazione di un certo tipo23 ed incontri con un certo “stile”24). Nell’ambito della relazione tra “facilitatore” e giovani si sviluppa fiducia, emergono interessi, na-scono passioni ed entusiasmi, ma si individuano anche problemi, bisogni, desi-deri, domande, necessità e si co-costruiscono le condizioni necessarie a un im-pegno e a una partecipazione attiva.La relazione è dunque lo strumento per intercettare, “agganciare”, coinvolgere, entusiasmare i giovani per poi tessere un legame da mantenere ed attraverso il quale “passano” diversi contenuti e si forgiano altrettanti valori, arrivando a produzioni di saperi condivisi e quindi ad una cultura di riferimento. Ma costrui-re una relazione richiede tempo e capacità. Bisogna partire indagando le prefi-gurazioni che gli adulti hanno dei giovani e viceversa, perché queste condizio-nano molto la riuscita dei percorsi di avvicinamento tra tali mondi. Vale infatti la pena di svelare fantasmi e pregiudizi reciproci, dedicando tempo a questa fase, rileggendo le difficoltà relazionali in una prospettiva di sistema e di cam-biamento comunitario. Dopo sarà senz’altro più facile connettere giovani ed adulti, creare legami e fiducia (capitale sociale) all’interno della comunità.Va sottolineato il “bisogno di relazioni” autentiche, in un contesto generale do-ve sembra che non ci sia più spazio per le sfide collettive, per le dimensioni aggregative (a parte grandi eventi dove prevalgono però dimensioni di massa e folla), mentre riscoprire i legami sociali come fattore protettivo e di sicurezza potrebbe essere un fattore vincente per abitare il tempo dell’oggi.

Settimo punto: la non formalità (o l’informalità). Oltre a quanto già detto nel Quarto punto su “assetti variabili” ed “informalità” della partecipazione, og-gi c’è da sottolineare una forte difficoltà di quegli organismi partecipativi for-mali quali Forum, Consulte, Commissioni (oltre che partiti e sindacati). Non so-lo: anche l’avvio di associazioni giovanili è un processo da supportare ed ac-compagnare da parte del mondo adulto, piuttosto che un fenomeno spontaneo. Infine si registra un ciclo di vita molto breve di queste associazioni giovanili, a volte proprio legato all’evoluzione di una generazione. Sono questi tutti ele-menti da assumere e tenere in considerazione se si decide di lavorare con la finalità di promuovere la partecipazione giovanile: in effetti oggi sembra diffici-le e con poco appeal “movimentare” i giovani di un Comune per attivare una Consulta o un Forum. Sembrano vincenti altri percorsi, più legati sull’informali-tà, anche se comunque strutturati, organizzati e guidati. Ma magari forme e laboratori di partecipazione più “a porta aperta” (dove ad esempio non è ne-

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23 si ricordi infatti che dalla qualità di questi strumenti, i giovani percepiscono il livello di attenzione e di ri-guardo nei loro confronti.

24 se ad esempio nei momenti di incontro tra istituzione e giovani – dove si discute di partecipazione attiva dei giovani alla vita pubblica – si predilige la frontalità del messaggio, la “cattedra”, passa il metamessaggio che i giovani sono passivi anche in processo di partecipazione attiva, rischiando di disconfermare proprio ciò di cui si sta parlando...

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cessaria formalizzare l’adesione e garantire un certo numero di presenze), che permettano ai partecipanti di incontrarsi veramente, di ascoltarsi, di prendere parola (in breve di “comunicare”), ma anche di confrontarsi e di scambiarsi esperienze e “buone prassi” di lavoro, di fare rete, di sentirsi protagonisti e va-lorizzati. Non solo: se si parla di laboratori e/o spazi di partecipazione (piutto-sto che di “open space” della partecipazione giovanile), sicuramente in questi contesti si possono introdurre dimensioni più legate all’apprendimento e quindi alla ricerca, alla formazione ed all’informazione, alla letteratura in materia di partecipazione giovanile. Tenendo in considerazione anche strumenti legati alle tecnologie di comunicazione che possono servire per “tenere insieme”, seppur a distanza, i vari partecipanti, facendo in modo che questi “open space” siano sempre frequentati, realmente e virtualmente (oggi si parla di “cittadinanza di-gitale”). Da tutto ciò è evidente da una parte la necessità di un “coordinamen-to” di questi spazi di partecipazione, dall’altra anche la coerenza con un model-lo più orizzontale, senza bisogno di eccessivi formalismi, di organismi ad hoc (es. il Presidente, Segretario, Portavoce, ecc.), ma invece dotati di volontà di promuovere, allargare ed aprire la partecipazione a questi momenti ad un sempre maggior numero di persone.

Ottavo punto: partecipazione come “strategia delle connessioni” (capi-tale sociale).Pensare ai percorsi di partecipazione giovanile come processi nella comunità locale che partono dalle relazioni e poi si allargano a reti di attori,25 significa guardarli sotto una nuova luce, cioè come spazi con funzione di catalizzatore per la produzione di maggior fiducia tra gli stessi attori (e quindi di capitale so-ciale). Questa visuale apre a nuove riflessioni, in quanto rappresenta un nuovo modo di intendere la mission ed il ruolo di questi spazi partecipativi. Promuo-vere allora percorsi di partecipazione attiva alla vita della città, significa poter contare in ogni Comune su una “produzione” di piccoli (ma importanti) “beni pubblici”. Si tratta quindi di prodotti26 che sono anche “beni relazionali”, ricono-sciuti e riconoscibili dalla comunità, in grado di creare maggior capitale sociale (appunto maggiori livelli di fiducia) in cui le soggettività coinvolte si riconosco-no27.Questi sono oggi i tratti di un “new deal” della partecipazione giovanile28 che si può ricercare e promuovere “uscendo” dalle istituzioni con dei “mediatori” (come già detto) che possono creare ponti tra parti oggi separate. Per fare

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25 Molto orizzontali, come le reti web o gli sms, dove non c’è un “centro” che irradia informazioni ad una ba-se, ma si è tutti paritari, ciascuno può informare chi vuole e venire informato dagli altri

26 Si tratta di prodotti ottenuti grazie anche processi relazionali “caldi”.

27 F. Floris: Convegno “Tra partecipazione e prevenzione. Percorsi alla ricerca del bene comune”, Omegna, 15 dicembre ’04.

28 Uniti alla considerazione, sempre esplicitata nella “Nuova Carta Europea di partecipazione”, che la parte-cipazione è un percorso (quindi richiede tempi e prevede tappe e fasi) a cardine della democrazia.

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questo gli strumenti sono molti e vanno scelti sulla base delle situazioni locali, sempre diverse tra loro. Spazi giovanili, percorsi formativi, Informagiovani, eventi, servizi, peer education, peer information, cag, percorsi nelle Scuole e Università di Educazione civile, forum, consulte, gestione di nuovi media, Leve civiche, promozione dell’associazionismo giovanile, ecc. Quindi un concetto più allargato di partecipazione alla vita della città e del Comune (che magari parte da forme più vicine al protagonismo ed alle espressioni giovanili) per promuo-verne comunque possibili nuove modalità di partecipazione. Questo favorendo in una comunità la creazione di legami sociali tra giovani e tra questi e le isti-tuzioni ed il mondo adulto. Fare spazio ai giovani nella comunità locale29.Un tipo di lavoro come questo porta a dei risultati in tempi medi, non certo nel breve periodo. Bisogna aver pazienza e fiducia, pretendere e richiamare, ma anche comprendere ed accettare errori e passi falsi, reggere le fatiche del bre-ve periodo e del giorno per giorno ed avere sempre la prospettiva del medio periodo. Sapendo che i percorsi di partecipazione giovanile non sono definibili a priori, ma hanno una dose di sperimentazione e rischio e possono anche non finire sempre in maniera positiva. È un po’ come nei processi di sperimentazio-ne legati alla ricerca medico-scientifica: non perché ci sia il rischio che non va-dano a buon fine non si fanno. Anche perché, tornando alla partecipazione gio-vanile, questi processi, lo dicono le tante storie, i tanti progetti realizzati in moltissimi Comuni italiani, generano invece risultati tante volte superiori a quelli attesi. Esiste infatti un “effetto moltiplicatore” che rende difficilmente va-lutabile con esattezza questi percorsi, in quanto – ed è provato nella letteratu-ra in materia – si verificano positivamente sia riproduzioni dell’azione al di fuori delle attività presentate dal percorso originale, sia riproduzioni ed estensioni dell’azione dopo la fine del percorso stesso. Non solo: spesso si originano an-che altre azioni inaspettate grazie agli incontri e/o alle idee che si sono succe-duti e sviluppati nell’ambito dello stesso percorso iniziale.Va segnalato inoltre che nelle politiche giovanili, oltre all’effetto moltiplicatore, c’è un “effetto leva”, nel senso che la partecipazione attiva dei giovani è poten-zialmente un intervento sociale in grado di generare risorse, perché riesce a polarizzare energie, passioni ed impegno. Così l’impegno attivo dei giovani si traduce direttamente in risparmi dovuti al loro lavoro diretto (anche manuale, legato “al fare”, oltre che a quello organizzativo), sia mettendo a disposizione delle varie attività quei loro contatti personali che comportano spesso sconti sui lavori e sulle forniture, consulenze, coinvolgimento e passaparola positivo (grazie ad un network locale che si costruisce con diversi attori). Così se que-sto impegno dovesse essere valutato economicamente probabilmente si evi-denzierebbe che per ogni euro investito dalla Pubblica Amministrazione, se ne valorizzano almeno due, in termini di risorse mobilitate a favore dei giovani. Perché tutto ciò possa accadere è necessario dare visibilità, valutare e misurare questo “effetto leva”, ritornando all’Amministrazione locale l’esistenza di un “circolo virtuoso” delle politiche giovanili, grazie a questi “oneri figurativi”, cioè

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29 G. Campagnoli, “Là dove si rigenera cittadinanza”, in “Animazione Sociale” n°5, maggio 2005.

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costi che se dovessero venire remunerati comporterebbero oneri importanti per l’Ente locale.Detto questo però, le istituzioni non possono non destinare risorse ad hoc ri-spetto ai progetti con i giovani, puntando solo sui risparmi ottenibili grazie al volontariato: va chiarito subito che le politiche giovanili non si fanno con i fichi secchi! Le formule “low cost” non si applicano per le politiche giovanili! Sono necessari invece assessorati ad hoc, capitoli di bilancio specifici, risorse certe e vincolate. Ad oggi, pur riconoscendo che gli Enti locali sono da sempre l’istitu-zione più vicina ai giovani, le risorse che effettivamente destinano loro sono ri-dicole: la media dei Comuni italiani è dello 0,09%! Quella Europea va dall’1,5% al 2,25%! Detto in un altro modo: il costo che un Comune italiano di medie dimensioni spende per una rotonda stradale equivale alla cifra che stanzia per dieci anni per le politiche giovanili! Se non c’è un minimo di quantità di risorse, non si può pretendere che ci sia qualità di intervento, che ha finito per conno-tarsi come attività di semplice intrattenimento o nell’offerta di una partecipa-zione a qualche attività, anche se nella maggioranza dei casi vi è stata una sor-ta di “assistenzialismo”. Si è trattato quindi di una doppia “valenza debole” (quantitativa e qualitativa) piuttosto che di una proposta politica su ricerca e promozione di valori forti o temi generatori attuali (es. globalizzazione, lotta al razzismo, prevenzione, pace, AIDS, Nord-Sud del mondo, ecc.). Quindi temi deboli e poche risorse: è stato questo il circolo vizioso delle politiche giovanili. Ma non solo: oggi gli interventi per i giovani sono spesso deboli anche perché monotematici (si concentrano cioè su una cosa sola, es. Informagiovani, Centri di Aggregazione, ecc.), mentre queste azioni devono diventare “plurime”, con l’aiuto degli altri soggetti (es. associazionismo, scuole, famiglie, ecc.) e di altri assessorati (es. al lavoro, all’urbanistica, alla cultura). Allora è importante “la strategia delle connessioni” (sia all’interno dell’Ente, sia nella comunità), in quanto aumenta l’incidenza (e l’efficacia) dei progetti.

Nono punto: i luoghi ed i non-luoghi della partecipazione giovanileScommettere sui percorsi di partecipazione giovanile è una sfida sociale che inevitabilmente diventa anche una sfida dal punto di vista culturale. Infatti, partendo da una dimensione di protagonismo sociale dei ragazzi, si sceglie di attuare una politica di contrasto rispetto al rischio che in futuro le città siano abitati da in-dividui. Ovvero da soggetti che “non dividono” il loro spazio socia-le con altri. Atomi sul territorio, tra loro slegati, senza un’idea di società in te-sta perché non l’hanno sperimentata da giovani30.Affinché quanto detto possa concretizzarsi in percorsi quotidiani, sono necessa-ri dei “luoghi”. Per cui diciamo che il futuro di una città dipende da chi la abita.

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30 G. Campagnoli, M. Marmo: “Animazione giovanile, l’esperienza di Vedogiovane”, Unicopli, Milano 2002.

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Dipende da noi se questa sarà sempre più un "luogo" umanamente denso o un "non luogo" freddo e grigio31. Un brano di Marco Revelli chiarisce bene quella che è l'alternativa che le nostre comunità potrebbero avere di fronte:«Un luogo è una frazione di spazio "lavorata" dalla storia, dalla memoria, dal-l'esperienza vissuta di una collettività. È il contrario dello sconosciuto e dell'in-differenziato: è dove ci si trova “a casa propria”. Dove ci si può muovere "ad occhi chiusi" (perché ogni parte del territorio ci è nota) e ci si può “capire al volo” (perché ogni comportamento, atteggiamento, parola degli altri ci sono consueti). Dove si riconoscono gli altri e si è “riconosciuti”. Un luogo – in so-stanza – è uno spazio dell'identità, delle relazioni e della storia. Tale era il vil-laggio, il quartiere, la piazza, il cortile, ma anche la fabbrica, il caseggiato ope-raio, il mercato… Un “non-luogo”, al contrario, è uno spazio inerte, vuoto di relazioni, fantasma-tico. È “lo spazio degli altri senza la presenza degli altri”, dove gli individui, estranei tra loro, indifferenti l'uno all'altro, si sfiorano e si urtano senza incon-trarsi. Tali sono gli infiniti luoghi dell'esistenza moderna commercializzata: i supermercati, gli aeroporti, le metropolitane, artificiali e impersonali, dove lo spettacolo delle merci sommerge ogni altro significato. E dove nessuno si sente a casa propria, ma non si è nemmeno a casa degli altri32».Come può la città diventare, da spazio fisico (da non-luogo), laboratorio sociale e culturale dove i giovani possono trovare stimoli e strumenti per inventare nuovi mondi possibili? Anzitutto andando ad intercettare la domanda di impe-gno e di voglia di sperimentare da parte dei giovani e dando loro opportunità per produrre e poi proporre ad altri giovani, per coinvolgerli, comunicando oriz-zontalmente tra loro, entrando rapidamente in connessione, muovendosi con rapidità.Lo “start up” di questi processi è costruire luoghi dove sia possibile entrare in relazione con il mondo giovanile. C’è anche da aggiungere che questi progetti riescono ad aggregare non giovani svantaggiati o in qualche modo targettizza-ti, bensì tutti quei giovani che rappresentano il meglio dal punto di vista della partecipazione attiva alla vita della città33. Diventano cioè dei “poli” di cittadi-nanza attiva giovanile.Si tratta in questo senso di un’opzione politica: si partecipa per costruire il fu-turo della città, facendolo con quelli che nel domani saranno attori protagonisti perché si è progettato insieme un ricambio generazionale, contribuendo a for-mare una nuova classe di amministratori (cosa purtroppo oggi tutt’altro che

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31 G. Campagnoli, M. Martinetti: “Quando un parco rinasce cantiere culturale giovanile”, in “Animazione So-ciale”, n° 3, Marzo 2006.

32 Marco Revelli: “Fuoriluogo”, Bollati Boringhieri, Torino 1999.

33 G. Campagnoli, in: “Atti del secondo convegno nazionale delle leve giovanili”, Scandicci, giugno 2005.

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scontata34). Non far partecipare i giovani alla progettazione della città è dav-vero un grosso rischio: guardandoci attorno, spaventa come nella progettazio-ne delle città, nei vari Piani regolatori generali, tendenzialmente le esigenze dei giovani non siano mai considerate e non solo in termini di bisogni, ma nemme-no di significati35.

Decimo punto: il binomio informazione/partecipazione L’origine del binomio informazione e partecipazione è nei documenti della Commissione Europea, del Consiglio d’Europa e dell’Agenzia Europea per l’in-formazione alla gioventù (Eryica). Di seguito si analizzano i contenuti e le po-tenzialità di questo concetto, alla luce del significato che può avere rispetto ai percorsi di promozione della partecipazione a livello locale36.Nel Libro Bianco37 viene sancito il concetto38 secondo cui “la partecipazione è indissociabile dall’informazione dei giovani”, evidenziando un “continuum” tra queste due dimensioni che autoalimentano un circolo virtuoso del tipo “più so-no informato (su diritti, opportunità, ecc) più partecipo e più partecipo più an-che informo sul mio ambito di impegno”. Quindi ai giovani è data una nuova forma di partecipazione, quella di informare altri su alcuni oggetti specifici.La “Nuova Carta europea della partecipazione”39 afferma che l’informazione è “elemento chiave della partecipazione e diritto d’accesso rispetto alle possibilità offerte e su temi che riguardano i giovani”. Quindi di nuovo si conferma l’in-scindibilità del binomio partecipazione ed informazione e la Carta presenta in modo molto dettagliato le “politiche settoriali” che gli enti locali dovrebbero adottare per favorire l’effettiva partecipazione dei giovani. Ma non solo: nel do-cumento si definisce l’informazione come “strumento utile all’effettiva parteci-pazione dei giovani, insieme alla formazione, alle nuove tecnologie, alla comu-nicazione, al volontariato, alle ong, ai partiti, all’associazionismo giovanile, ai

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34 Anche l’ultima ricerca del 2006 dell’Università di Urbino segnalava come nemmeno la legge di elezione diretta del Sindaco (1993) sia riuscita a portare forze giovani all’interno del Palazzo, anzi i giovani la percen-tuale di giovani amministratori è calata da allora ad oggi. Il Forum Nazionale dei Giovani, a questo proposito, ha lanciato la campagna URG, Urge Ricambio Generazionale!

35 R. Balbo: “Progetto giovani”, Utet, Torino 2001.

36 Giovanni Campagnoli, in “Gli Informagiovani fanno rete”, L’orecchio di Van Gogh, Ancona 2006 (Cap. 5, “L’identità degli Informagiovani e gli strumenti per la loro messa in rete”).

37 Commissione Europea: “Libro Bianco della Commissione Europea: un nuovo impulso per la gioventù eu-ropea”, Bruxelles 2001.

38 Prima parte del Libro Bianco, “Una nuova ambizione” (pag. 17).

39 Consiglio d’Europa, Congresso dei poteri locali e regionali d’Europa: “Carta Europea riveduta della parte-cipazione dei giovani alla vita locale e regionale”, Strasburgo 2003.

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microprogetti40. Infine altri tre articoli della Carta (48-50) si occupano ancora di informazione, in particolare per favorire la partecipazione dei giovani grazie alle nuove tecnologie (internet, telefonia mobile, sms), e per avvicinare i gio-vani ai media (giornali, radio, televisione, media elettronici), anche producendo con loro informazioni da divulgare attraverso questi canali e strumenti ad altri giovani, acquisendo così anche una maggior criticità rispetto ai media. Addirit-tura si auspica che gli enti locali sostengano la creazione di media gestiti da giovani e rivolti ad altri giovani.Infine, sempre il Titolo II della Carta afferma che gli Enti locali dovrebbero an-cora:

•sostenere e a favorire la partecipazione dei giovani a delle attività di volon-tariato, per esempio lanciando delle campagne di informazione e di pro-mozione (art. 51);

•facilitare le realizzazioni di progetti che partono dai giovani affiancandoli da operatori professionali e facilitando l’accesso a dei sostegni finanziari, materiali e tecnici, per arrivare a realizzazioni locali vantaggiose per tutti e che possono aiutare i giovani a sviluppare il loro senso di responsabilità e la loro autonomia e a diventare dei protagonisti sociali (art. 52);

•sostenere le organizzazioni giovanili che realizzano attività, forniscono dei servizi o agiscono in quanto portavoce dei giovani all’interno della comu-nità e ne difendono la causa, o si occupano di cause sociali o locali (art. 53);

• promuovere la partecipazione dei giovani al sistema politico dei partiti, in generale, ed alle organizzazioni non governative (art. 54-56).

La nuova “Carta Europea dell’informazione”41 afferma che “l’informazione deve promuove la partecipazione dei giovani come cittadini attivi nella società” ed evidenzia un “circolo virtuoso” dove l’informazione è motore di partecipazione e la partecipazione produce informazione”: si producono quindi informazioni per incrementare la partecipazione, e viceversa, considerandola come un “percorso permanente” e cardine della democrazia. A tal fine vanno elaborati percorsi che avvicinino progressivamente giovani ed istituzioni, in modo da favorire la “cit-tadinanza attiva giovanile42”.

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40 Non solo: la “Carta” prescrive agli enti locali di informare i giovani rispetto ad opportunità in materia di al-loggi loro destinati, sui danni causati dal tabacco, dall’alcol e dalla droga, sulle malattie sessualmente tra-smissibili, sulle relazioni, le pratiche sessuali e il controllo delle nascite (coinvolgendo i giovani nella realiz-zazione di questi programmi di informazione), sulle formazioni con qualifiche professionali sulla gestione de-gli affari pubblici rispetto all’uguaglianza tra sessi, Inoltre gli enti locali dovrebbero sensibilizzare rispetto ai problemi ambientali, alla lotta al razzismo ed alla discriminazione ed agevolare l’accesso dei giovani ai loro diritti aumentando le loro conoscenze mediante la divulgazione di informazioni. Con questi contenuti dovreb-bero essere integrate le informazione della attuali Banche dati.

41 Si tratta della “Carta europea dell’informazione della gioventù”, approvata il 19 Novembre 2004 dalla quin-dicesima Assemblea Generale dell’Agenzia europea per l’informazione e le consulenze ai giovani (ERYICA).

42 Da intendersi come l’avvio di percorso di partecipazione e protagonismo giovanile, quale fattore di svilup-po sociale, culturale ed economico.

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Undicesimo punto: la voce dei giovani rispetto alla partecipazione Oggi ci si trova di fronte ad una realtà giovanile che evidenzia una distanza tra giovani e istituzioni e una sfiducia tra giovani e mondo adulto (politici, sindaca-ti, giornalisti, ecc.). Come ridurre questa distanza? Sono gli stessi giovani a suggerire alcune riflessioni in merito: infatti nel Libro Bianco per la Gioven-tù43, frutto di un’ampia consultazione tra giovani di tutta Europa, si sono ap-profonditi sei temi inerenti la partecipazione, che sono44:

I. Una rivendicazione chiaramente espressaVi è la volontà dei giovani di partecipare attivamente alla società in cui vivono ed è infondata l’opinione secondo cui sarebbero poco interessati e poco impe-gnati. Ritengono che non vengano dati loro né i mezzi finanziari, né le informa-zioni o la formazione che consentirebbe loro di svolgere un ruolo più attivo. Il divario tra aspettative e realtà spiega l’auspicio e il bisogno di rafforzare la partecipazione.

II. Un concetto globale, un diritto universale, molteplici realizzazioni praticheI giovani rivendicano il diritto di parola in tutti gli aspetti della loro vita quoti-diana come la famiglia, la scuola, il lavoro, le attività di gruppo, il quartiere, ecc.; in questo modo, però guardano in modo più ampio anche alle questioni economiche, sociali e politiche.L’interesse dei giovani non si limita alle questioni locali, ma abbraccia anche la regione, il Paese, l’Europa e il mondo. La scommessa è puntare quindi su una partecipazione ed una cittadinanza attiva dei giovani, nel senso che la partecipazione non può essere limitata alla sola consultazione e ancor meno a sondaggi d’opinione, ma deve includere i giovani nel processo decisionale.

III. La partecipazione dei giovani: un processo di apprendimentoCome presupposto alla partecipazione, i giovani devono acquisire o sviluppare delle competenze. Si tratta di un processo graduale di ap-prendimento, che comincia nel loro ambiente di vita (scuola, quartiere, co-mune, centro giovanile, associazione) e che consente di realizzare mutamenti concreti, visibili e controllabili dai giovani stessi, diventando parte integrante del processo decisionale.

IV. Partecipare? Sì, … ma come?I giovani giudicano insufficienti gli attuali meccanismi di partecipazione. Diffi-dano di alcune forme di democrazia rappresentativa, privilegiando un impegno di prossimità, più diretto e immediato, tra cui quello nelle orga-nizzazioni giovanili più o meno istituzionalizzate per rispondere di più alle

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43 Libro Bianco per la Gioventù, Commissione Europea, Bruxelles 2001.

44 G. Campagnoli, N. Trabucchi: “Giovani & idee”, Provincia di Novara, 2002.

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aspettative di una parte dei giovani favorendo approcci innovativi che consentano una maggiore apertura.

V. Partecipazione reale contro partecipazione simbolicaI giovani rifiutano le forme di partecipazione puramente simboliche, nelle quali non esercitano un effettivo potere decisionale, nelle quali non esistono prodotti visibili, né si può ravvisare qualche utilità connessa alla partecipazione stessa.

VI. Le condizioni della partecipazioneL’istituzione di un quadro giuridico è considerata dai giovani come una delle condizioni necessarie per sviluppare una partecipazione reale, che deve preve-dere aiuti alle strutture e si deve reggere sul principio di educazione alla demo-crazia. Le organizzazioni giovanili chiedono inoltre che siano incoraggiate tutte le forme di partecipazione, già esistenti o nuove. Sono necessari più mezzi in termini di tempo e di denaro, occorre esaminare le difficoltà specifiche di ac-cesso (di carattere sociale, culturale, fisico, mentale, ecc.) e deve essere previ-sta per tutti un’educazione civica.Infine le organizzazioni insistono affinché le opinioni e i contributi dei giovani si concretizzino in decisioni da comunicare poi ai giovani stessi.In un tale contesto, secondo le organizzazioni, si potrebbero definire i principi, le norme e gli obblighi legati all’età in cui si usufruisce del diritto di voto e di eleggibilità (compresa la questione dell’abbassamento di tale soglia), sul-l’estensione del diritto (agli immigrati, ad esempio), o ancora sull’introduzione di un’educazione alla cittadinanza attiva.Corollario indispensabile allo sviluppo di questa cittadinanza attiva è quello del-l’informazione, che è un ambito da cui i giovani si attendono molto: consape-voli che i campi da coprire sono ampi (occupazione, condizioni di lavoro, allog-gi, studi, salute ecc.) e che vanno al di là di un’informazione sui programmi comunitari, le loro aspettative vertono in primo luogo sul riconoscimento del fatto che c’è un bisogno da soddisfare. I giovani hanno anche molto insistito sul rispetto del principio di parità d’accesso, di prossimità e di norme etiche elevate. Inoltre si è posto l’accento sull’importanza di un’informazione “dal volto umano” che associ i giovani sia nell’elaborazione dei contenuti che nella loro diffusione.

CONCLUSIONISe undici sono le ipotesi e piuttosto lunghe, complesse ed articolate, le conclu-sioni sono facilmente traibili. Infatti è chiaro a questo punto che a quelle condi-zioni e con quei criteri espressi fino a qui, ci sono ottime probabilità che questi percorsi si avviino ed portino anche a risultati davvero interessanti.Il processo deve avere un avvio, un primo passo e qui tutti i giovani, poten-zialmente, sono titolati a portare l’istanza, singoli o in forma aggregata, oppure l’Amministrazione stessa, o un gruppo di studenti, insomma la proposta può arrivare da molte parti, ma prima o poi i conti con l’Amministrazione locale

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vanno fatti. È difficile prevedere un esatto punto d’avvio, ma vi è invece una successione temporale delle fasi, il cui via è dato da una “scintilla” che si origi-na in circostanze diverse a seconda dei contesti. Bisogna avere fiducia, ma nel lavoro con i giovani la scintilla arriva sempre.Poi, il percorso va governato, preparato di volta in volta e qui è necessario che sia già stato individuato un referente. A questo punto si può promuovere un laboratorio di formazione alla partecipazione attiva, nel senso che partendo dai bisogni dei giovani, si può pensare a percorsi per trasferire loro informazioni e competenze per gestire e stare in contesti associativi e in relazione con l’Am-ministrazione locale (es. come si lavora con un gruppo di giovani, come si or-ganizza e gestisce una riunione, come ci si rapporta con le istituzioni, come si progetta, che opportunità ci sono, ecc.). Si tratta di formazione di tipo non formale, per leaders giovanili, molto esperienziale, che esercita ad una verifica e ad un autoriconoscimento delle competenze sviluppate ed acquisite.

Sempre rispetto alla formazione, è necessario prevedere dei percorsi ad hoc per l’adulto operatore/mediatore/facilitarore/referente che sta a metà tra gio-vani ed istituzione o “esce” da questa per incontrare i giovani. Non è un compi-to semplice, tanto che in più progetti questa figura è proprio un operatore pro-fessionale (un “animatore di politiche giovanili”), il cui ruolo è indispensabile, ricordiamolo, alla riuscita di qualunque percorso partecipativo. Non è un ruolo semplice perché organizzare la partecipazione effettiva è un compito che pochi sanno fare45 e le competenze richieste sono davvero molte: saper stare con i ragazzi, essere riconosciuto dalla comunità, sapersi relazione con la Scuola, con le Istituzioni locali, con l’ASL, con adulti e genitori, associazioni sportive e di volontariato, culturali e giovanili, Oratori, centri giovanili, Informagiovani. Ma poi anche saper promuovere ed organizzare un evento, elaborare progetti, im-postare ricerche, intendersi di rendicontazione e budget, coordinare riunioni, incontri e progetti, occuparsi di valutazione… Probabilmente garantire tutte queste funzioni (e magari altre) non significa occuparsi di tutte in prima perso-na, ma certo deve comunque sapersi relazionare con chi se ne occupa.. Così come si può pensare a due figure, magari maschio e femmina. Un ruolo com-plesso, che spesso identifica anche il progetto stesso, facendo da “attrattore” verso i ragazzi e da garante nei confronti delle istituzioni. Un ruolo quindi che necessita di formazione, supervisione, consulenza. Per garantire il successo e la durata del progetto nel tempo.

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45 Si provi a pensare a quante esperienze di partecipazione reale si è preso parte nelle vita, es. lavoro? Scuola? Istituzioni? Associazioni?

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TRA PARTECIPAZIONE E RISORSE GIOVANILI46

Verso una definizione di obiettiviL'interesse manifesto verso le Politiche Giovanili in Italia è piuttosto recente: basti pensare che l'assegnazione di una delega ministeriale dedicata è avvenuta decisamente più tardi rispetto a quanto accaduto negli altri Paesi europei. Di fronte a questo dato è spontaneo reagire con l'ormai consueta indignazione (“in Italia siamo sempre gli ultimi”), senza aggiungere nulla di nuovo. Oppure è lecito domandarsi, con un'ingenuità creativa: visto che per tanto tempo non c'è stato nemmeno bisogno di creare un ministero, a cosa può servire fare Politiche Giovanili? Quali obiettivi può sensatamente porsi chi decide di occuparsene?

Giovani come risorsa“E che dire di una società che non impiega il massimo della sua forza biologica, quella che i giovani esprimono da quindici a trent'anni, progettando, ideando, generando, se appena si profila loro una meta realistica, una prospettiva credibile, una speranza in grado di attivare quella forza che essi sentono dentro di loro e poi fanno implodere anticipando la delusione per non vedersela di fronte? Non è in questo prescindere dai giovani il vero segno del tramonto della nostra cultura?”.47

Queste righe di Galimberti suonano come monito e muovono a una risposta-ritornello: “giovani come risorsa”. Ma di quali risorse stiamo parlando? L'impressione è che dietro questa espressione si possa celare una rappresentazione di giovani paragonabili a risorse naturali: giacimenti di energie che possono essere estratte, canalizzate, manipolate. Se stiamo nella metafora, non è certo il giacimento a decidere come saranno utilizzate le sue risorse né a trarne apprendimento. Così il giovane potrà tutt'al più sperare, un giorno, di diventare egli stesso estrattore, canalizzatore e manipolatore di energie altrui, in un modello che si autoalimenta. Un modello in cui i giovani sono consumatori da conquistare, elettori da convincere, spettatori da affascinare, ricercatori da cervelli in fuga, manodopera precaria a basso costo.Un'altra interpretazione del ritornello “giovani come risorsa” li dipinge come possessori di qualità interiori e imperscrutabili, per definizione delicatissime: l'importante allora è che possano esprimersi, quali che siano i prodotti e i processi di tale espressione, senza che gli adulti attorno possano attivare altro che reazioni ammirate di fronte alla manifestazione delle qualità finora nascoste. Se nella prima rappresentazione l'adulto poteva estrarre le risorse dal giovane, qui se ne sta in attesa senza aiutarlo a riconoscerle, a impadronirsene, ad affinarle. Se qualsiasi azione è indiscutibile perché ha comunque valore espressivo, allora non si creano le condizioni perché il giovane stesso possa rileggerla, attribuirle valore, usarla come punto di partenza per sviluppare le proprie risorse.Proviamo allora a modificare leggermente il ritornello “giovani come risorsa”, che ora suona così: “promuovere le risorse di cui i giovani possono essere portatori”. Adottare una logica di promozione implica sopportare che i giovani non siano come li si vorrebbe, andare a cercare le loro risorse perché si pensa che ci possano essere ma non si sa quali

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46 Di Marco Martinetti e Giovanni Campagnoli

47 Galimberti U., L'ospite inquietante, Feltrinelli, Milano 2007

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e quante sono né se e come vengono o verranno utilizzate. Adottare una logica di promozione significa impegnarsi in una ricerca dagli esiti inattesi, significa trovare modalità che aiutano i giovani a scoprire e utilizzare le proprie risorse, anche quelle impreviste (da loro e dagli adulti). Significa anche pensare che non tutti hanno le stesse risorse (in termini quantitativi e qualitativi), e che alcuni non stanno usando le loro (almeno in termini socialmente accettabili). E questo è un problema, non risolvibile solo con la speranza che... adesso no, ma in futuro questi giovani scopriranno e adopereranno risorse ora nascoste.Un primo obiettivo di Politiche Giovanili efficaci consiste allora nel favorire l'emersione consapevole, l'utilizzo creativo, lo sviluppo progressivo e la valutazione continua delle molteplici risorse di cui i giovani possono essere portatori.

La questione partecipazioneQuanti assessorati si occupano di giovani? Potenzialmente tanti (forse tutti). Infatti ci sono giovani studenti, giovani precari, giovani industriali, giovani commercianti, giovani genitori, giovani sportivi, giovani artisti e spettatori, giovani in cerca di casa, giovani automobilisti e pendolari, giovani poveri, giovani malati, giovani “devianti”, giovani ecc... Visto che esistono assessorati specifici per ogni ambito, che bisogno c'è di Politiche (specificamente) Giovanili? Abbiamo formulato tre risposte al quesito, distinte tra loro ma capaci di intrattenere buoni rapporti reciproci.La prima risposta si basa su una debolezza: le Politiche Giovanili permettono di prestare una particolare attenzione alle esigenze giovanili all'interno di ambiti specifici, che altrimenti potrebbero perderle di vista. Connessa a questa ipotesi è l'idea che i giovani abbiano meno capacità e/o possibilità di farsi ascoltare a livello politico rispetto ad altre età. La seconda risposta si fonda su una difficoltà: le specifiche deleghe permettono di concentrare l'attenzione su un preciso ambito di intervento e di svilupparlo; il rischio è di perdere una visione complessiva. Le Politiche Giovanili svolgono un ruolo di coordinamento che prova a “tenere insieme”, in modo coerente, le iniziative a favore dei giovani intesi nella loro complessità.La terza risposta richiama una specificità: le Politiche Giovanili si occupano di un aspetto critico, soprattutto al giorno d'oggi: i giovani in quanto cittadini. Per approfondire questo approccio è utile operare una precisazione teorica sulla “cittadinanza”: accanto al concetto di citizenship, intesa come “garanzia dei diritti sociali, civili e politici”, viene introdotto quello di citizenry, col quale si indica “il controllo e la partecipazione in prima persona alle situazioni di vita quotidiana, elementi che hanno come effetto la produzione e la conservazione di quei beni collettivi intangibili rappresentati dalla vivibilità, dal capitale relazionale, dalla fiducia”48. Insomma, Politiche Giovanili come luogo di promozione del protagonismo giovanile visto in forte connessione con l'ambiente in cui i giovani vivono.Va notato che questa terza possibilità permette di recuperare gli spunti d'interesse presenti nelle prime due: la partecipazione reale implica infatti una “presa di potere” che permette ai giovani di inserire nell'agenda politica le questioni che li riguardano direttamente; l'utilizzo di modalità partecipative di riflessione, decisione e azione spinge a creare connessioni tra i diversi ambiti e le diverse scelte, opponendosi alle tendenze alla frammentazione e alla costruzione di iniziative slegate tra loro.

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48 Gelli B., Mannarini T. (a cura di), La partecipazione: modi e percorsi, Unicopli, Milano 2007

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Un secondo obiettivo di Politiche Giovanili efficaci consiste allora nel garantire la possibilità e favorire l'interesse dei giovani ad occuparsi attivamente della vita pubblica, sulla base dei propri bisogni, interessi, desideri.

Culture giovanili e culture localiProviamo ora ad occuparci di un'altra frase consueta e ripetuta. Tocca a: “i giovani sono figli del loro tempo”. Sappiamo chiaramente che le condizioni socioculturali sono fondamentali nel definire e determinare la condizione giovanile. Anche se non si tratta di un rapporto lineare di causa-effetto, del tipo “se la società è così, i giovani non possono che essere così”, è chiara la direzione indicata: la cultura di una società influenza la cultura dei giovani che ne fanno parte (società ! giovani). E se le Politiche Giovanili servissero (anche) a modificare la freccia? Ecco il risultato: società ⇄ giovani. Significa

pensare ai giovani come attori di cambiamento all'interno della società (senza dimenticare che la società continua a influenzarli, quindi la direzione della freccia è duplice). Trovato un bel simbolo chiediamoci se è traducibile in realtà. Possiamo vedere allora che alcune azioni di Politiche Giovanili a livello locale sono in grado di affermare un cambiamento culturale proprio nelle modalità in cui si realizzano: capacità di mettersi in rete vs. prevalenza di interessi specifici e contrapposti; partecipazione consapevole vs. delega; elaborazione culturale condivisa vs. riaffermazione di particolarismi; ricerca di senso vs. applicazione rigida di procedure; innovatività e uso di molteplici linguaggi vs. ripetitività e banalizzazione; promozione della persona vs. logica del profitto. Come si può vedere non si tratta di un cambiamento che riguarda esclusivamente il mondo giovanile. Ma è un cambiamento che può nascere e muoversi sensatamente in ambito giovanile, pensando ai giovani come attori e non come fruitori: persone ancora in fase di costruzione ma già piuttosto strutturate, non ripiegate su loro stesse; uomini e donne progressivamente aperti al mondo e non solo chiusi nel proprio gruppo di riferimento; cittadini capaci di accedere alle informazioni e di elaborarle con la propria testa; soggetti a contatto con più culture, senza la necessità di affermare la propria a scapito di altre; persone capaci di usare i molteplici linguaggi della nostra società senza esserne condizionati e travolti; soggetti attratti dal nuovo e capaci di pensare e agire creativamente; cittadini interessati a valori non quantificabili economicamente.Ecco individuato un terzo obiettivo di Politiche Giovanili efficaci: creare condizioni perché i giovani possano essere innovatori e influenzare cambiamenti all'interno della cultura in cui vivono.

Ci sembra che i tre obiettivi identificati possano essere considerati coerenti tra loro e parte di un ipotetico percorso: la promozione e lo sviluppo delle risorse dei giovani come punto di partenza per la partecipazione alla vita pubblica e attraverso questa la possibilità di elaborare cambiamenti culturali.Rappresentarsi un percorso permette di definire una gradualità anche nelle azioni, fondamentale per sviluppare progetti realistici. Dal punto vista cronologico significa identificare le premesse necessarie per raggiungere gli obiettivi più elevati e complessi, quindi lavorare prima su alcuni aspetti per poi svilupparne altri. Quest'attenzione dovrebbe permettere di evitare tanto la fretta di avere “tutto subito” quanto il ripiegamento sui risultati ottenuti, che impedisce di promuovere ulteriori slanci. Dal punto di vista della diversità del mondo giovanile significa immaginarsi sin dall'inizio differenti livelli di coinvolgimento. Per cui possiamo pensare a un certo numero di giovani di cui vengono valorizzate le risorse, a

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un numero inferiore di giovani che si occupano in qualche misura della vita pubblica, a una minoranza in grado di influenzare creativamente cambiamenti culturali.Definiti gli obiettivi, si tratta di capire come raggiungerli: urge qualche indicazione di metodo.

Primo obiettivo: le risorse giovanili

Partire dai desideriQuando pensiamo alle risorse delle persone, e in particolare dei giovani, non ne proponiamo una concezione astratta, ma ci riferiamo a situazioni concrete in cui ragazze e ragazzi hanno la possibilità di cimentarsi con qualcosa che mette alla prova le loro capacità: si scopre e si impara facendo. Per questo le risorse dei giovani restano nascoste se non c'è qualche interesse/desiderio che permette di smuoverle: qualcosa per cui vale la pena di raccogliere la sfida. Diventa essenziale, per chi vorrebbe occuparsi di Politiche Giovanili, favorire la nascita di situazioni “sfidanti” in grado di intercettare qualche interesse giovanile.Molti soggetti istituzionali sottolineano la difficoltà di sapere cosa vogliono i giovani: proviamo allora a chiederci come lavorare con quei ragazzi che non portano richieste esplicite, perché non hanno interessi già definiti attorno ai quali aggregarsi e realizzare azioni. Per capire cosa possano volere si organizzano ricerche o riunioni pubbliche, appositamente pensate come occasioni di ascolto. Si tratta solitamente di dispositivi e assetti costruiti su misura per chi li organizza ma non necessariamente per le persone che si vorrebbero contattare; si basano sull'idea che i giovani abbiano alcuni desideri pronti per essere espressi, e che la domanda diretta sia la chiave perché essi possano venire alla luce. Il meccanismo ci sembra intrinsecamente votato all'insuccesso: tratta desideri e interessi come “oggetti” che possono essere nascosti o mostrati, al di fuori di una logica processuale di nascita, scoperta, maturazione del desiderio; questa “cosificazione” di desideri e interessi impedisce inoltre di considerare la dinamica relazionale che ne facilita o ne limita espressione e realizzazione. La complessità della dinamica è sostituita da una richiesta banale: “permettimi di soddisfarti: esprimi un desiderio e io adulto lo realizzerò”. Una richiesta magnanima, che ribadisce chiaramente chi è adulto e chi no, chi ha potere e chi no; una richiesta che realizza il desiderio adulto di farsi consegnare il desiderio del giovane, dimostrando così la propria disponibilità. Manca la possibilità di un desiderio congiunto, impresa condivisa costruita assieme. Ecco perché di fronte al tentativo di catturare (benevolmente, s'intende...) il desiderio, spesso la risposta è il Vuoto (“non so...”), segno che da questa relazione fugace, fortemente asimmetrica e non ricercata non possono nascere desideri comuni; oppure è l'Irrealizzabile (una piscina, una discoteca...), un modo per restituire l'adulto alla sua impotenza, impedendogli di essere il Genio che esaudisce i desideri; o ancora il Trasgressivo (sostanze di varia natura...), che attraverso la provocazione marca la differenza e ristabilisce le distanze nei confronti di chi cercava un avvicinamento inatteso; o il Desiderio Confezionato, che non smuove passioni ma non manca di testimoniare la correttezza e la cortesia formale di chi lo formula.Visti questi esiti, proviamo ad assumere una prospettiva differente: se interesse e desiderio hanno percorsi evolutivi, dedichiamo attenzione all'inizio del percorso, alla loro nascita. Questa richiede l'incontro con qualcosa che possa essere intuito come accattivante, attraente e accessibile: può trattarsi di un'iniziativa di impatto (concerto, festa a tema) o di un nuovo spazio dove si respira aria giovanile. Gli esempi possono essere tanti e variegati, ma hanno qualcosa in comune. L'iniziativa deve incuriosire, deve valere

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la pena andare a darci un'occhiata, senza un particolare impegno. Deve essere conosciuta e per questo occorre investire nella promozione, che non serve solo a dire cosa succederà, dove e quando, ma soprattutto a dare un'idea del perché è bello esserci: la logica proposta è vicina alle modalità della pubblicità (anche per questo ci affidiamo spesso a professionisti di questo settore per promuovere le iniziative) nella capacità di suscitare interesse e nel mostrare la facilità di accesso. Non va dimenticato che la decisione di esserci o meno è molto legata a dimensioni relazionali: da un lato può essere la fiducia in chi presenta la proposta a portare a “starci”, anche se non è ancora del tutto chiaro in cosa essa consiste; dall'altro la prefigurazione di poter incontrare altri giovani (e non è indifferente di “quali giovani” si tratta...) può costituire un fattore motivante.In questa fase iniziale i giovani sono presenti come spettatori e fruitori, ma l'attenzione dell'adulto è dedicata a creare le condizioni per innalzare qualitativamente la loro partecipazione, in una fase successiva: da spettatori ad attori. In questa fase la logica non sarà più pubblicitaria, diventerà pienamente animativa: non si tratta più di “vendere un prodotto”, adoperando gli strumenti di fascinazione adatti all'obiettivo, ma di cominciare a costruire desideri condivisi, per i quali i giovani sono disposti a “mettersi alla prova”, a sperimentare le proprie risorse. L'iniziativa crea un contesto comune nel quale l'adulto può incontrare i giovani in modo informale: da qui può cominciare ad abbozzare una relazione non centrata tanto sulla costruzione di buoni rapporti reciproci, quanto sulla possibilità di occuparsi insieme di qualcosa di condiviso.Pensiamo ad alcuni ragazzi che, nel corso di una Notte Bianca, assistono a uno spettacolo di giocoleria: in quel momento sono semplici spettatori, magari non attirati tanto da quella specifica esibizione, quanto dal contenitore complessivo che coinvolge moltissimi loro coetanei. L'adulto può avvicinare il gruppo di giovani, scambiare quattro chiacchiere, magari invitare qualcuno a cimentarsi con gli attrezzi: questi giovani stanno cominciando ad assumere un ruolo diverso, più attivo, ma può durare solo pochi minuti. Se l'adulto è in grado di cogliere l'interesse e di rilanciarlo, perché è possibile vedersi ancora, perché c'è un luogo dove incontrarsi, perché c'è un piccolo corso che vuole organizzare, ecco che comincia a costruirsi una relazione basata sulla possibilità di fare qualcosa in comune. Il gruppo di ragazzi del nostro breve esempio è diventato, nel giro di poco più di un anno, un'associazione giovanile che ha ottenuto da un'organizzazione di adulti un piccolo spazio trasformato in palestra di giocoleria e che progetta e gestisce autonomamente iniziative a favore dei bambini, con la collaborazione del Comune e delle scuole. L'adulto che è entrato in contatto con questi ragazzi non aveva nessuna certezza di questo risultato, ma ha creato le condizioni perché si potesse realizzare: già al primo aggancio aveva in mente la necessità di un rilancio con questi giovani, per questo la sua partecipazione all'evento Notte Bianca era necessaria ma chiaramente secondaria rispetto alla possibilità di sviluppare un percorso più articolato.Analizziamo ancora l'esempio per trarne qualche ulteriore indicazione. A pensarci bene, siamo di fronte a un paradosso: vengono costruite le condizioni per favorire un incontro casuale, non pilotato. I giovani che partecipano non pensano in alcun modo che diventeranno un'associazione, fino al momento in cui questa diventa la scelta evolutiva naturale; ma neanche l'operatore sta cercando giovani per un'associazione. Questo non significa che manchi una prospettiva, né da una parte né dall'altra: i giovani hanno voglia di stare insieme facendo qualcosa di divertente, e l'incontro con un'opportunità inattesa è vista come possibilità di realizzare questo desiderio. Dal canto suo l'operatore costruisce l'aggancio non su di sé, sull'interesse dei ragazzi a costruire una relazione con lui, ma su un “oggetto terzo”, su un interesse che potrebbe essere condiviso: viene costruita una

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relazione funzionale a trattare meglio qualcosa che potrebbe interessare sia all'adulto che ai giovani, anche se per motivi diversi. Non è indifferente che la situazione dell'incontro costituisce di per sé un esempio, una rappresentazione concreta di ciò che potrebbe essere il desiderio comune: la nascita del desiderio è legata alla possibilità di immaginarlo, vederlo, toccarlo con mano. Questo non significa che i ragazzi dovranno ripetere qualcosa che già esiste, questa volta passando dalla platea di spettatori al ruolo di attori. Pensiamo a uno spazio giovanile: un giovane ci capita perché ne ha sentito parlare, dà un'occhiata al programma (che prevede musica, laboratori, ecc...), poi incontra un animatore e chiacchierando viene fuori che gli piacciono i giochi di ruolo: magari si può organizzare qualcosa proprio nello spazio. Non c'è il bisogno di organizzare qualcosa, ma può nascere il desiderio di organizzare qualcosa.

Giovani organizzatiNaturalmente tutto è (apparentemente) più facile se sono già presenti sul territorio giovani che hanno condiviso i loro interessi, che hanno organizzato iniziative e necessitano di un sostegno (economico, logistico, istituzionale) per proseguire e migliorare: le dinamiche attivate sono ben diverse. I desideri sono qui oggetti già condivisi che contribuiscono a costruire un'identità comune: l'adulto è chiaramente strumentale, non c'è il pericolo che possa appropriarsi dei desideri, la relazione può essere costruita ma non è indispensabile. In queste situazioni può darsi che i giovani riescano a scoprire, utilizzare e far crescere le proprie risorse, ma l'impressione è che gli adulti non abbiano un ruolo di facilitazione nel promuovere questo genere di sviluppo: assistono eventualmente ad esso come spettatori.Entriamo più nel dettaglio. Riteniamo che l'esperienza associativa possa essere, per un gruppo di giovani, una palestra importante di riconoscimento e valorizzazione delle proprie risorse. Infatti per tenere in vita e far funzionare un'associazione è necessaria una pluralità di competenze: confrontarsi e gestire i rapporti con persone diverse, lavorare insieme su oggetti condivisi, prendere decisioni, definire, assumere ed esercitare ruoli, relazionarsi a una realtà che supera l'immediata cerchia dei propri amici/conoscenti. Lo sviluppo di queste competenze non si avvale in genere di contributi professionali: le associazioni giovanili nascono sulla base della “naturalezza” dei rapporti interni, non a caso un aspetto che frena il passaggio da gruppo informale ad associazione è proprio il timore di introdurre elementi istituzionali “freddi” in un contesto relazionale “caldo”, sperimentato come positivo e arricchente. La separazione e l'incompatibilità percepite tra spontaneità dei rapporti e attenzione professionale e tecnica nella loro gestione complicano la possibilità per le associazioni di riflettere sulle loro modalità di funzionamento e di ridefinirle. Non solo: evidenziano una certa ritrosia a entrare in contatto con quelle dimensioni istituzionali che vengono vissute come minacciose (anche) perché governate da logiche diverse da quelle associative: da una parte la dimensione tecnico-professionale, fredda, dall'altra quella desiderante-relazionale, calda. La dimensione istituzionale serve allora solo a trattare con l'esterno, ma in modo separato dalla gestione delle modalità di funzionamento interne. Questa separazione piuttosto radicale costituisce a nostro avviso un limite di molte associazioni: la sua messa in discussione non ci sembra possa avvenire (se non in rari casi) con un intervento consulenziale-formativo che vada a toccare le modalità di funzionamento interne; piuttosto, è utile per i giovani membri sperimentare in prima persona contesti capaci di integrare la dimensione desiderante-relazionale con la definizione di passaggi operativi chiari che aiutano a trattare le questioni da affrontare.

Il ruolo degli adulti

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A questo punto possiamo riconnettere il percorso di chi si affaccia per la prima volta alla possibilità di “organizzare qualcosa” con quello di chi fa già parte di associazioni giovanili: per entrambi sembra indispensabile la costruzione di un contesto informale di incontro, nel quale è possibile arrivare alle idee chiacchierando. Si badi bene che informale ha un significato molto diverso da informe: in questi percorsi la cura della “buona forma” è essenziale. Naturalmente parliamo di cura della forma non in senso burocratico, ma come costruzione di contesti confortevoli, in cui i giovani (e non solo) possono essere a loro agio. La costruzione di tali contesti riguarda diversi elementi: la preparazione di uno spazio fisico adeguato, che rompe le barriere tipicamente istituzionali (palco e uditorio, ufficio e corridoio) e ricrea gli elementi propri dei luoghi dove è bello stare (seduti comodi, con la possibilità di parlarsi ma anche di muoversi e interagire, con qualcosa da bere o da assaggiare); la costruzione di modalità di lavoro che “danno parola” ai partecipanti, che favoriscono la loro interazione reciproca, anche “costringendoli” ad abbandonare la posizione per certi versi comoda dello spettatore.Un nodo essenziale è la strutturazione coerente del rapporto tra giovani e adulti. Ci sembra che gli incontri fecondi tra adulti e giovani siano quelli in cui i primi riescono davvero ad appassionarsi a ciò che i secondi vogliono fare, e per questo si assumono la responsabilità di aiutarli a realizzarlo pur sapendo che l'iniziativa è e rimane dei ragazzi. Pensiamo pertanto ad adulti in grado di esercitare, non solo nominalmente ma effettivamente, ruoli di facilitazione. Insistiamo su questo punto per rimarcare l'inefficacia dei tentativi in cui i giovani percepiscono, da parte dell'adulto, atteggiamenti ben diversi: se si sentono co-optati per raggiungere un suo obiettivo, non sono certo motivati ad attivare le loro migliori risorse; se subodorano la presenza di un manipolatore che cerca di insinuarsi tra loro, si allontanano rapidamente; se si sentono valutati da un'istituzione distante, condividono il meno possibile con essa la loro esperienza e il loro modo di affrontarla; se percepiscono solo un dispensatore di oboli più o meno generoso, non hanno motivo per confrontarsi, ma solo per chiedere; se avvertono la presenza di un adulto-tifoso, che non pone nessun limite e non fa che incitarli, si sentono in fondo abbandonati a loro stessi.Quelle descritte sono tendenze che possono emergere anche in modo inconsapevole ed essere messe in atto nel pieno rispetto della correttezza formale. Dobbiamo pertanto immaginare di incontrare, in un progetto di Politiche Giovanili, anche adulti che assumono alcuni di questi ruoli: per questo chi vuole esercitare una funzione di facilitazione deve essere in grado non solo di rapportarsi con coerenza con i giovani, ma anche di mediare con gli altri adulti. Il facilitatore esplica questa funzione di mediazione in modo differente a seconda delle istanze portate: con alcuni prova a contenere la tendenza ad appropriarsi o comunque a canalizzare le energie dei giovani; con altri cerca di alleviare gli scogli burocratici che possono soffocare queste stesse energie; con altri ancora tenta di stimolare ad affrontare criticamente le richieste, senza cedere alla tentazione di soddisfarle automaticamente. Non immaginiamo che l'esercizio di questa funzione di mediazione debba avvenire all'insaputa degli altri adulti e separatamente da loro: auspichiamo il tentativo di affrontare tra adulti il tema del rapporto con i giovani, per accrescere la consapevolezza di quanto esso sia decisivo al fine di far emergere e sviluppare le risorse delle nuove generazioni.

Approfondiamo ulteriormente il ruolo del facilitatore, non attraverso l'elenco delle competenze che gli vengono richieste, ma mettendo a fuoco una specifica intenzionalità che guida il suo agire. Per tentare di realizzare l'obiettivo complesso che abbiamo definito

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sopra – l'emersione consapevole, l'utilizzo creativo, lo sviluppo progressivo e la valutazione continua delle molteplici risorse di cui i giovani possono essere portatori – il facilitatore non può non avere una chiara intenzionalità formativa. Troppo spesso le iniziative di Politiche Giovanili proposte si preoccupano esclusivamente di garantire l'espressione dei giovani o il loro intrattenimento, ma non sviluppano attenzioni di tipo formativo: in questo modo non curano con attenzione la possibilità di sviluppare le competenze. Questa attenzione non si concretizza necessariamente nell'istituzione formale di percorsi formativi; può realizzarsi anche attraverso una riprogettazione, calibrata e finalizzata, di alcune esperienze già diffuse: se si invita a suonare un noto chitarrista, si propone un pomeriggio con i giovani musicisti sui “trucchi del mestiere”; se un gruppo alle prime armi si trova alla sala prove, il tecnico del suono può dedicare del tempo ad ascoltarlo e a dare qualche consiglio; se si organizza uno scambio a tema musicale, viene proposta la realizzazione di un'effettiva contaminazione di generi, stili, sonorità. Ci siamo limitati a qualche esempio tratto dall'ambito musicale per evidenziare la possibilità di tradurre un interesse proprio di alcuni giovani in occasioni di apprendimento. Come si può facilmente notare, la concretizzazione di questa intenzionalità formativa ruota attorno alla costruzione e realizzazione di esperienze che permettono ai giovani di utilizzare le proprie risorse ma li spingono a non adagiarsi su di esse, ma ad andare oltre. Questo “andare oltre” è stimolato in vario modo: dall'incontro con un esperto, dal confronto con altri giovani, dalla possibilità di una presentazione pubblica.Ma l'“andare oltre” riguarda anche la costruzione di spazi di pensiero fortemente connessi alle esperienze, che nascono proprio a partire da esse: si crea un rapporto di interdipendenza tra pensiero e azione, in cui l'azione richiede di essere pre-pensata (programmazione) e ri-pensata (valutazione). Conosciamo bene le difficoltà di costruire momenti di rielaborazione, legate ad una tendenza diffusa a consumare le esperienze; ci sembra che queste difficoltà siano, se non superabili, affrontabili solo creando connessioni forti e necessarie tra pensiero e azione. Per i giovani deve essere evidente che l'attivazione di una fase di pensiero aiuta a migliorare l'azione che si intende realizzare o l'esperienza fatta: tutto ciò è molto più semplice nella misura in cui le esperienze implicano i soggetti in prima persona e in un ruolo attivo. Le occasioni possono essere molteplici: un laboratorio che porta alla realizzazione di prodotti visibili, la gestione di un piccolo evento, la costruzione di un messaggio promozionale per farsi conoscere, la definizione della logistica per un viaggio, la partecipazione a un bando per finanziare un proprio progetto. In ognuno di questi esempi le fasi di pensiero possono essere fortemente connesse alle azioni, a meno che: i giovani si rappresentino come meri esecutori o spettatori; il pensiero sia avvertito come minaccioso, perché porta a confrontarsi con qualche inadeguatezza vagamente percepita; i tempi dedicati alla riflessione assorbano le energie al punto da bloccare le possibilità di realizzazione.La connessione tra pensiero e azione è più immediatamente percepibile in sede di progettazione piuttosto che di valutazione: è più probabile sperimentare come necessaria la fase di preparazione di un'iniziativa, che serve a creare le condizioni per realizzarla, piuttosto che la fase di rielaborazione, che si occupa di ciò che è già stato. Questa asimmetria nell'interesse dedicato a progettazione e valutazione diviene trattabile solo considerando appieno il valore formativo delle esperienze: se questo viene riconosciuto, non esclusivamente dagli adulti ma soprattutto dai giovani stessi, allora diventa indispensabile rileggere l'accaduto in quanto occasione nella quale è possibile vedere le proprie risorse in azione. La valutazione rappresenta il momento centrale per il riconoscimento delle risorse attivate, del loro utilizzo, dell'efficacia; ma perché ci possa

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essere riconoscimento ci deve essere uno sguardo capace di riconoscere. O meglio, una pluralità di sguardi, che appartengono al ragazzo stesso, ai coetanei che hanno lavorato con lui, ad altri che hanno fatto da spettatori, al microcosmo che ha avuto a che fare a vario titolo con quanto è stato realizzato. Il riconoscimento richiama ad una dimensione pubblica più o meno vasta, che induce a domandarsi: “Com'è andata? Come sono apparso agli occhi degli altri? Che efficacia ha avuto il mio impegno?”. La valutazione è stimolata dal tentativo di rispondere a queste domande, in misura proporzionale a quanto ciò che è stato realizzato viene effettivamente percepito come prodotto significativo delle proprie energie.

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DOVE GIOVANI, ISTITUZIONI E PARTI SOCIALI SI CON-FRONTANO: ESPERIENZE DI PROVINCIA.di Giovanni Campagnoli49

1. Le ipotesi sottese a due esperienze2. La partecipazione qui e ora

1. Le ipotesi sottese a due esperienzePartiamo dal titolo: ma si tratta di Provincia nel senso di istituzione o di provincia nel senso di territorio, magari anche periferico? Forse tutte e due le cose. Infatti in Piemonte oggi ci sono due buone prassi di incontro tra giovani ed istituzioni, entrambe coordinate da Vedo-giovane50, nei territori del novarese e di Verbania. Ma sono anche due Province, i cui Assessorati alle politiche giovanili hanno voluto istituire un Tavolo provinciale ad hoc. L’impianto metodologico di questi due Tavoli provinciali ed i principali obiettivi sono:- favorire l'incontro tra organizzazioni giovanili ed istituzioni (nel senso che ai Tavoli partecipano gli assessori dei Comuni e i rappresentanti di organizzazioni giovanili locali);- confrontarsi, programmare, verificare (metodo aperto di coordinamento così come previsto dal Libro Bianco51);- progettare insieme (sperimentando quindi il principio costituzionale di sussidiarietà oriz-zontale);- assumere la partecipazione giovanile in senso allargato (è partecipare con diverse modalità alla vita locale, per cui ad es. anche fare musica, skate, writing, nuove tecnolo-gie,ecc., così come prevede la Nuova Carta Europea di partecipazione);- promuovere un Tavolo ad assetti variabili, quindi con modalità di lavoro ben più flessibili rispetto a Forum e Consulte, oggi in crisi. Infatti oggi non possiamo certo dire che la parte-cipazione sia un bisogno chiaramente espresso dai giovani. Non solo: partecipazione oggi non coincide più con militanza, appartenenza o rappresentanza, ma gli assetti sono più user e legati al "sentirsi parte", allo "stare bene", a ricercare occasioni di espressione di sé o di protagonismo. Quindi questo dato (piaccia o no) va assunto nel pensare a creare luoghi in cui si promuove una partecipazione, nel senso di incontro tra giovani ed istituzioni (così afferma anche la Nuova Carta Europea di partecipazione);- puntare sul binomio “informazione/partecipazione”, nel senso che l’informazione può essere motore di ricerca di partecipazione, ma anche viceversa (così come è ribadito nella Nuova Carta Europea di informazione per i giovani);- garantire un coordinamento: è necessario (come già dimostrano gli organismi giovanili europei istituzionali e non) affinché via sia un percorso di confronto, che un soggetto "ter-

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49 Responsabile della coop. soc. Vedogiovane, docente di economia ed autore di diverse pubblicazioni ed articoli, si occupa di informazione, formazione e ricerca sulle politiche giovanili, anche attraverso la gestione del portale www.politichegiovanili.it .

50 Coop. sociale di animazione sociale&culturale, lavora dal 1988 nell’ambito delle politiche per minori, adolescenti, giovani, famiglie, interculturalità, anziani, nuove povertà. L’area territoriale di intervento diretto è quella delle province di Nova, Biella, Verbania e Vercelli. L’attività formativa sul lavoro sociale è invece oggi svolta a livello nazionale (maggiori informazioni su: www.vedogiovane.it).

51 In assenza di normative nazionali, i riferimenti legislativi sono quelli europei (oltre al Libro Bianco, la Nuova Carta Europea della partecipazione dei giovani alla vita locale e la Nuova Carta europea dell’Informa-zione per i giovani, vedi www.politichegiovanili.it).

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zo" rispetto ad istituzioni e giovani, assuma il coordinamento, la segreteria organizzati-va, si occupi cioè di far funzionare i contesti ed i luoghi partecipativi (così come prevede la Nuova Carta Europea di partecipazione);- sviluppare, grazie a questo lavoro di confronto e progettazione, maggiori opportunità locali per i giovani, sperimentando anche la dimensione sovracomunale per garantire la sostenibilità di alcuni servizi (es. Circuito di sale prove, Informagiovani, ecc.).I risultati di questo modo di lavorare sono lo sviluppo di una cittadinanza attiva locale, che si traduce in un maggior livello di fiducia tra giovani ed istituzioni (e quindi anche tra giovani ed adulti e quindi anche capitale sociale) ed in una maggiore progettualità locale per i giovani. Si pensi che in provincia di Novara, dopo tre anni di lavoro, sono og-gi attivi 46 progetti di politiche giovanili. Non solo: al Tavolo c’è maggior conoscenza tra i diversi attori, c’è una continuità nell’esperienza, due siti che informano sul Tavolo, una de-cina di neomate organizzazioni giovanili…

2. La partecipazione qui e oraOggi la partecipazione sembra essere in crisi, non solo a livello giovanile, ma anche nel mondo adulto. Tutti sono concordi nel ritenere che si partecipa meno, che non si insegna più a partecipare, tanto che si è coniugato il termine “partecipazione attiva”. Anni fa, par-lando di partecipazione, sia sarebbero usati anche altri tre vocaboli il cui senso oggi va ridefinito. Si tratta di appartenenza, militanza e rappresentanza. Vediamo meglio: apparte-nenza oggi significa più una ricerca di luoghi di espressione di sé, che non invece l’indos-sare una “casacca” definitiva. Militanza: oggi è legata al cogliere opportunità (di tipo “user”, dice lo Iard), dove i grandi movimenti e le grandi adunanze massmediatiche52, poi produ-cono poco sul territorio in termini di impegno concreto. Rappresentanza: non sono certo le tradizionali forme di rappresentanza ad avere oggi il favore dei giovani, a partire da sinda-cati e partiti. In particolare questi ultimi sono messi agli ultimi posti anche dagli Assessori alle politiche giovanili quando devono ricercare soggetti del territorio con cui coprogetta-re53. Così quei pochi giovani nei partiti o i movimenti giovanili dei partiti non sono risorsa progettuale nemmeno per gli Amministratori locali. E questo la dice lunga… Oggi le forme di partecipazione sono molteplici, partono da forme più vicine all’espressio-ne di sé, vanno comunque intercettare per avviare un percorso di riflessione, proprio per il fatto che la partecipazione non è certo oggi un bisogno chiaramente espresso (è difficile incontrare un giovane che dice “voglio diventare un cittadino attivo”, è più attraverso un percorso che ci si arriva). Così sono le diverse e plurime situazioni partecipative che l’individuo vive54.. E partecipare significa vivere tutte le esperienze che aiutano a ricollocarsi. È un’idea di partecipazione molto più ampia, tanto che sono individuabili alcuni “gradini” della partecipazione. Infatti:1. c’è partecipazione quando c’è relazione tra adulti e giovani, fra generazioni. Si pensi

al fare l’amore come metafora della partecipazione. Partecipazione è esserci nelle co-se che si fanno, dandogli senso…ed essere poi soddisfatti. Non c’è partecipazione

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52 Es. per i funerali del Papa, piuttosto che per il concerto del 1 maggio a Roma o le grandi manifestazioni sindacali sul lavoro, o il Global Forum a Firenze, o il giubileo dei giovani o il G8 a Genova.

53 R. Pocaterra, Iard, Conferenza nazionale degli Informagiovani, Castellammare di Stabia, 25 febbraio 2005.

54 G. Campagnoli, N. Trabucchi: “Giovani & idee, percorsi di cittadinanza attiva giovanile”, Provincia di Nova-ra, 2002 (vedi sito www.novaragiovani.it).

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quando non si è nelle cose che si stanno facendo. Partecipazione dunque è relazione intergenerazionale, in cui chi è coinvolto è presente a sé stesso. Nella relazione tra ge-nerazioni, l’adulto è la storia dell’uomo che si fa presente, qui ed ora. L’opposto della partecipazione è allora la scissione;

2. aiuta la partecipazione ogni azione che implica uscita dalla vita quotidiana. Frequen-tando mondi di significati diversi dalla quotidianità è possibile riposizionasi, trovare nuove interpretazioni di senso. Ecco che la musica, un viaggio, una festa, fare l’amore…sono azioni di partecipazione, nelle quali è possibile uscire e prendere delle distanze dalla vita quotidiana e realizzare poi una scoperta, un apprendimento. Una precondizione è che l’uscita dal quotidiano debba essere gestita bene, e perché lo sia è molto importante l’elaborazione culturale. Ma anche elaborare idee permette di ripo-sizionarsi, anche se oggi sembra non se ne elaborino più molte…;

3. c’è partecipazione quando si arriva a chiedersi cosa se ne fa dell’altro, perché realiz-zando l’altro si realizza sé stessi. La sfida è superare la scissione e questo avviene quando si ha cura dell’insieme. Così la comprensione dell’altro mette in discussione l’individualismo. E sono innumerevoli i microluoghi dove si incontra l’altro;

4. c’è partecipazione quando ci si unisce ad altri per risolvere un problema, provando a condividerlo, formando così delle gruppalità e partecipando a più gruppi; ma anche un certo modo di consumare non è fruire, ma partecipare. Per esempio in un Progetto gio-vani, si possono organizzare attività con pochi giovani e poi ne fruiscono molti altri. An-che questi “molti” partecipano, se l’iniziativa è occasione per dare senso al quotidiano;

5. va riscoperta la politica, il mettersi insieme per risolvere i problemi della comunità lo-cale.

Un’avvertenza: è importante individuare i virus, cioè tutto quello che potrebbe ostacolare la partecipazione, intesa come uscita dai vincoli e dall’isolamento. Si tratta dell’ansia ec-cessiva, dell’egocentrismo (che non è detto che sia egoismo, ma è una forte centratura su di sé), la “tribù”, del pensiero semplificato, dell’espertismo (per cui per ogni problema c’è un esperto che dà la soluzione), dell’incertezza e dell’insicurezza dell’oggi. Ed è a fronte della complessità che è possibile prendersi un virus.Da che cosa si può partire: lo indica, di nuovo, la Carta Europea55: si tratta di modalità an-cora più leggere, ma non per questo meno significative, di partecipazione attiva alla vita della città da parte dei giovani. Consistono, da parte dell’Amministrazione locale, nel saper cogliere nuove forme, a partire dal volontariato, ma anche l’associazionismo giovanile in senso stretto, le leve civiche, il partecipare ad attività sportive, il fare musica insieme agli amici, suonare in una band, frequentare i centri di aggregazione giovanile (oratori, centri sociali, Cag), fino alle forme di espressione giovanile (graffiti e stikers ad esempio), l’alle-stire piste di skate, ma anche e semplicemente il frequentare il gruppo informale di amici ed oggi, probabilmente, il creare con le nuove tecnologie siti internet, il chattare, l’uso di sms ed mms, il prendere parte ed eventi o movimenti, essere coinvolti in progetti ed azioni locali, ecc. Se queste sono le forme, bisogna corrispondere con strumenti ed interventi che favoriscano la partecipazione e l’associazionismo giovanile ed il suo rapportarsi con l’ente pubblico perché così si permette l’incontro tra giovani ed istituzioni, primo passo per cono-scersi e co-costruire insieme un “pezzo di città”. Affinché avvenga l’incontro è necessario un “mediatore”, un soggetto terzo tra amministrazione e giovani, pagato dall’amministra-

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55 Consiglio d’Europa, Congresso dei poteri locali e regionali d’Europa: “Carta Europea riveduta della parte-cipazione dei giovani alla vita locale e regionale”, Strasburgo 2003.

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zione (ma non dell’Amministrazione), nemmeno però appartenente ad un’organizzazione giovanile: un animatore di politiche giovanili.Oltre alle modalità di partecipazione allargata descritte sopra, la panoramica56 può conti-nuare segnalando alcune sperimentazioni in corso. Chi infatti si è posto il problema di educare alla “cittadinanza attiva” le generazioni più giovani, ha cominciato chiedendo chi avesse trasmesso loro i valori dell’impegno e della partecipazione. Risposte: a) docenti; b) genitori; c) adulti significativi. E poi la Scuola e l’Università che, spesso indirettamente, svolgono comunque funzione di “palestra di democrazia”, attraverso strumenti, azioni e momenti di riflessione propri di queste istituzioni. Alle quali, in primis, si richiede un au-mento di progetti legati all’Educazione civile57 (accompagnamento al primo voto, a partire da quanto a 14 anni si eleggono i rappresentanti di classe, ecc.). Se nella scuola la speri-mentazione riguarda l’Educazione civile, nell’extra scuola le altre sperimentazioni in corso riguardano 6 ambiti:• programmi di peer education e peer information, i cui peer sono i leaders naturali dei

gruppi e che sono formati alla partecipazione attiva;• percorsi di formazione per “orientatori alla cittadinanza” rivolti agli operatori che lavora-

no con i giovani (a partire da docenti ed animatori);• sostenere il potenziale delle associazioni, cooperative ed organizzazioni giovanili, dei

gruppi informali, dei Cag come “agenzie di educazione non formale alla cittadinanza”. Come? Ad esempio promovendo all’interno percorsi sulla legalità o su temi che posso-no fungere da stimolanti ed attuali motori di ricerca per i giovani (es. globalizzazione, lotta al razzismo, prevenzione, pace, aids, Nord Sud del mondo, ecc.);

• prevedere nuove forme di rappresentanza all’interno degli attuali modelli di governance territoriale, a partire dai piani di zona elaborati nei Tavoli della legge 328. Come posso-no i giovani prendere parte a questi percorsi di progettazione partecipata? Una buona prassi è stata quella delle Province campane che hanno voluto rappresentanze di gio-vani che frequentano i Centri di Aggregazione (Cag) all’interno dei Tavoli tematici sugli adolescenti. Ciò permette di avere in quelle sedi i portavoce dei bisogni e delle esigen-ze dei giovani, con richieste di maggior attenzione;

• avviare esperienze di bilancio partecipato nell’ambito delle politiche giovanili, che fini-scono per avere una forte valenza culturale per tutta l’amministrazione. Il punto di par-tenza di queste esperienze è la definizione di un Tavolo (oggi Forum e Consulte sono un po’ in crisi), spesso ad “assetto variabile” (anche in base a quanto è stato detto al primo punto sui nuovi significati di appartenenza, militanza e rappresentanza), in cui si discute l’allocazione delle risorse (che per il primo anno sono “date”). Successivamente il Tavolo può richiedere maggiori risorse (anche per progetti in partnership con altri enti) e promuovere azioni che coinvolgono anche altri assessorati, oltre a quello sulle politi-che giovanili. Dotarsi di un regolamento di funzionamento del Tavolo, accompagnando-lo con una figura di raccordo e sostegno, e trovare il giusto equilibrio tra formalizzazio-ne e spontaneità giovanile, sono le due criticità maggiori di queste esperienze, peraltro sempre molto significative (i giovani prendono da subito parte alle scelte che li riguar-dano) e generatrici (quando il clima relazionale è buono, è molto alto l’effetto moltiplica-tore).

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56 che certo non ha la presunzione di presentare tutto ciò che sta avvenendo a livello nazionale, ma racco-glie le esperienze sperimentali ed innovative che si conoscono dalle informazioni a disposizione grazie al portale politichegiovanili.it

57 Progetto nazionale Giovani Rappresentanze (Gio Rap, Il decalogo)

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Dopo tutto quanto detto, quali possono essere i nuovi tratti di un “new deal” della parteci-pazione giovanile? Per tentare una risposta bisogna porsi però altre due domande: a) quando i giovani partecipano e a quali condizioni? b) quando c’è effettiva partecipazione? Cercare queste risposte significa entrare nel vivo del rapporto tra protagonismo giovanile e politiche locali.Alcune risposte alla domanda a): nei testi europei il concetto di partecipazione ha una doppia dimensione: quella del “prendere parte” e quella del “sentirsi parte”, come se ci fosse un modo razionale legato al campo del diritto-fondamento, unito però ad uno più emotivo del “sentirsi dentro”58 a processi, alla comunità, a varie forme di appartenenze per la ricerca di un “bene comune”. Questo “sentire comune” fonda e mantiene vivi i legami, le passioni, il piacere di incontrare le persone (che quindi non è solo un diritto/dovere) e for-ma quello che viene chiamato koinè59, termine greco che significa appunto “senso di co-munità condiviso”. Il “sentirsi dentro” a questi processi di partecipazione giovanile passa per la costruzione di un “clima” buono, dove c’è anche una dimensione di svago e di pia-cere perché in questi contesti possono emergere potenzialità, idee e risorse di chi vi par-tecipa. Pensare a questi percorsi di partecipazione come a catalizzatori necessari alla produzione di capitale sociale è certo un nuovo modo di intenderne la mission ed il ruolo. Inoltre signi-fica avere in ogni Comune una “produzione” di piccoli (ma importanti) “beni pubblici”. Si tratta quindi di prodotti60 che sono anche “beni relazionali”, riconosciuti e riconoscibili dalla comunità, in grado di creare maggior capitale sociale (livelli di fiducia) in cui le soggettività coinvolte si riconoscono61. Infine, perché la partecipazione abbia un vero senso, è indi-spensabile che i giovani possano esercitare fin da ora un’influenza sulle decisioni e sulle attività, e non unicamente ad uno stadio ulteriore della loro vita62. Alcune risposte alla domanda b): come già detto, c’è effettiva partecipazione quando si produce capitale sociale, si costruiscono reti, relazioni, processi di comunità, alleanze terri-toriali sul senso del fare alcune cose, di fronte a città sempre più frammentate, in cui si la-vora “per e con” i giovani, ma favorendone anche un incontro con il mondo adulto, co-struendo così koinè. Come? Attivando quelle esperienze e quei percorsi indicati negli arti-coli della Carta di partecipazione, per scommettere sul protagonismo sociale dei ragazzi, contrastando il rischio che in futuro le città siano abitati da in-dividui. Ovvero da soggetti che “non dividono” il loro spazio sociale con altri. Atomi sul territorio, tra loro slegati, senza un’idea di società in testa perché non l’hanno sperimentata da giovani63. Come può allora la città diventare, da spazio fisico (da non-luogo), laboratorio sociale e culturale dove i gio-

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58 M. Croce, G. Ottolini: “L’orizzonte della comunità e la strategia del capitale sociale”, in “Peer Education”, Franco Angeli, Milano 2004. A questo testo si rimanda per approfondimenti sul concetto di comunità e capita-le sociale.

59 Giovanni Campagnoli, “Là dove si rigenera cittadinanza”, Animazione Sociale n°5, maggio 2005.

60 Si tratta di prodotti ottenuti grazie anche processi relazionali “caldi”.

61 F. Floris: Convegno “Tra partecipazione e prevenzione. Percorsi alla ricerca del bene comune”, Omegna, 15 dicembre ’04.

62 “Carta Europea riveduta della partecipazione dei giovani alla vita locale e regionale”, pubblicata dal Consi-glio d’Europa, Congresso dei poteri locali e regionali d’Europa, a Strasburgo il 21 maggio 2003.

63 G.Campagnoli, M. Marmo: “Animazione giovanile, l’esperienza di Vedogiovane”, Unicopli, Milano 2002.

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vani possono trovare stimoli e strumenti per inventare nuovi mondi possibili? Dunque, an-dando ad intercettare quella domanda di impegno e di voglia di sperimentare da parte dei giovani dando loro opportunità per produrre e poi proporre ad altri giovani, per coinvolgerli, comunicando orizzontalmente tra loro, entrando rapidamente in connessione, movendosi con rapidità. Lavorare con gruppi sociali di giovani in una città non è una scelta “povera”, ma “potente”. Ogni gruppo sociale infatti si attiva e diventa un organismo che conta e con la città deve fare i conti, produce, ha potere per produrre cambiamento. Infatti questi gio-vani possono intervenire nelle decisioni ora e non già ad uno stadio ulteriore della loro vi-ta, influenzandole ed impegnandosi in attività ed iniziative che possano contribuire alla co-struzione di una società migliore, dando così alla partecipazione un vero senso (Carta, Preambolo, pag. 7). Lo “start up” di questi processi è instaurare una relazione con il mon-do giovanile64. C’è anche da aggiungere che questi progetti riescono ad aggregare non giovani svantaggiati o in qualche modo targettizzati, bensì tutti quei giovani che rappre-sentano il meglio dal punto di vista della partecipazione attiva alla vita della città.Continuando nel tentativo di fornire risposte rispetto al definire quando c’è effettiva parte-cipazione, certamente aiuta la partecipazione ogni azione che implica uscita dalla vita quotidiana. Frequentando mondi di significati diversi dalla quotidianità è possibile riposi-zionasi, trovare nuove interpretazioni di senso. Ecco che la musica, un viaggio, una fe-sta,… sono azioni di partecipazione, nelle quali è possibile uscire e prendere delle distan-ze dalla vita quotidiana e realizzare poi una scoperta, un apprendimento. Una precondi-zione è che l’uscita dal quotidiano debba essere gestita bene, e perché lo sia è molto im-portante l’elaborazione culturale. Ma anche elaborare idee permette di riposizionarsi. Infi-ne c’è partecipazione quando si arriva a chiedersi cosa se ne fa dell’altro, perché realiz-zando l’altro si realizza sé stessi. Così la comprensione dell’altro mette in discussione l’in-dividualismo. E sono innumerevoli i microluoghi dove si incontra l’altro, a partire dal grup-po, ma anche la comunità stessa65.

Concludendo, l’auspicio è che si riesca a rompere il “circolo vizioso delle politiche giovani-li”, legato sia alla scarsità di risorse economiche66. Si tratta di una doppia “valenza debole” che ha influito anche sulla qualità delle proposte, consistite a volte nel semplice intratteni-mento, altre nell’offrire la partecipazione a qualche attività. Quindi vi è sempre stato nella maggioranza dei casi una sorta di “assistenzialismo” piuttosto che una proposta politica su ricerca e promozione di valori forti o temi generatrici attuali (es. globalizzazione, lotta al razzismo, prevenzione, pace, aids, Nord Sud del mondo, ecc.). Quindi temi deboli e poche risorse: è stato questo il circolo vizioso delle politiche giovanili italiane. Ma non solo: oggi gli interventi per i giovani sono spesso deboli anche perché monotematici (si concentrano cioè su una cosa sola, es. Informagiovani, Centri di Aggregazione, ecc.), mentre queste azioni devono diventare “plurime”, con l’aiuto degli altri soggetti (es. associazionismo, scuole, famiglie, ecc.). Allora è importante “la strategia delle connessioni”, in quanto au-menta l’incidenza (e l’efficacia) dei progetti. Questo perché le politiche giovanili di qualità

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64 per cui comunicare bene è importante la conoscenza di alcuni elementi di marketing e di comunicazione può essere importante, così come il saper usare le nuove tecnologie, in modo da arrivare a raggiungere masse di giovani difficilmente intercettabili e rivolgere anche a loro messaggi precisi.

65 G. Campagnoli, N. Trabucchi: “Giovani & idee, percorsi di cittadinanza attiva giovanile”, Provincia di Nova-ra, 2002 (vedi sito www.novaragiovani.it).

66 Solo lo 0,24% delle uscite dei bilanci comunali è destinato ai giovani, contro lo 1,5% della media europea.

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sono quelle che permettono a tanti soggetti della comunità di mettere in atto interventi di “qualità condivisa” e che così portano a crescere i giovani in un ambiente di qualità. “If you don’t networking, you don’t working” si usa dire. Quindi non più interventi “low cost” per i giovani e non più politiche per i giovani, ma dei giovani.Gli enti locali allora, forti dell’adozione della “Carta europea di partecipazione dei giovani”, potrebbero coraggiosamente scegliere un’opzione culturale forte, passando da un proget-to giovani ad un progetto di comunità.

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LA CITTADINANZA DEI GIOVANI NELLE COMUNITÀ MONTANE. Tra poli-tiche di “campanile” e “politiche di valle”.

Cosa possono fare amministratori locali, operatori professionali, risorse informali delle co-munità per aiutare i giovani a superare lo “spaesamento” e a diventare cittadini attivi nei loro territori? Come sostenerli nelle sfide della modernità come convivenza, cultura, giu-stizia e democrazia, ricerca di un modello alternativo di sviluppo ed economia sostenibile in una logica planetaria?di Giovanni Campagnoli

1. CENTRO E PERIFERIA

L’Italia è definita la “repubblica delle città e dei Comuni”. Ciò che connota molti di questi centri è l’essere piccoli67 e situati in collina ed in montagna68, più o meno dispersi (o con-centrati) in aree, la situazione appare simile dal Nord, al Centro ed al Sud dell’Italia. Così oggi è difficile definire cosa sia centro e cosa invece periferia. Si corre il rischio del “paradosso del cerchio” dove il “centro” è solo un piccolo punto ed il resto della superficie – la quasi totalità dello spazio - è “periferia”, la cui importanza è proporzionale alla distan-za dal centro. Vero è che gli Italiani considerano le come i luoghi dove si esprime al mas-simo livello la modernità di un Paese. Così, a volte sembra che, all’infuori di pochi kmq di spazio del centro delle città (tra l’altro molto simili dal punto di vista commerciale), tutto il resto sia davvero periferia … Presto, anche da noi, dovremo ragionare molto di più in ter-mini di città e territori davvero policentrici.

Convivere nelle mega cities. L’Italia delle «cento città» si sta trasformando nell’Italia delle mega conurbazioni urbane. Se ne possono distinguere 14: due «mega regioni», quella lombarda e quella veneta, composte da diver-se province; sei aree metropolitane (Torino, Roma, Verona, Napoli, Palermo e Cagliari); quattro sistemi lineari costieri (ligure, alto-adriatico, basso-adriatico, della Sicilia orientale); due «aste terri-toriali» (quella emiliana e quella toscana). Le grandi aree metropolitane e le mega conurbazioni urbane rappresentano il 17% della superficie del Paese, vi risiedono 36,4 milioni di abitanti (il 61% della popolazione), vi sono insediate il 63% delle attività industriali e terziarie e il 71% delle impre-se del terziario avanzato. Se nei comuni con più di 250.000 abitanti le imprese attive nell’industria e nei servizi sono cresciute del 14,1% negli ultimi sette anni, nel territorio circostante ormai inglo-bato (i comuni di prima e seconda cintura) la crescita è stata rispettivamente del 17,4% e del 19,1%. Fonte: Censis 2008

Un ragazzo che torna da Londra o da Barcellona dice: ero vicinissimo al centro, cioè a 80 km dalla città, ma in un’ora (anche di sera) ero a Trafalgar Square (o a Plaza…)!!! Si pren-de atto di come una mobilità efficiente possa “far sentire le persone”…. Da noi il pendolari-smo è una cosa incredibile (anche nella stessa città): percorrere con i mezzi pubblici una

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67 il 75% dei Comuni italiani ha meno di 5.000 abitanti.

68 Si tenga presente, ad esempio, che degli oltre 8.000 Comuni italiani, almeno 2/3 sono in zona collinare e montana.

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tratta che parte da un Comune che dista ad esempio 80 km da Milano, Roma o Torino (e non è sull’asse ferroviario diretto), per arrivare ad un luogo qualsiasi della città può richie-dere due ore e mezza/tre ore…Una riflessione specifica meritano poi le condizioni socioeconomiche dei singoli Comuni, sempre da tenere in considerazione quando si progetta un intervento. Qualche esempio: il n° di abitanti e l’evoluzione demografica, le condizioni socioeconomiche69 (compreso il reddito degli abitanti), la collocazione europea (ad es. le zone “obiettivo convergenza”), la vocazione turistica o meno, l’essere un centro di fondovalle e lungo valle, o essere il cen-tro turistico della valle.

Centro e periferia, montagne e pianuraProprio il tema di cosa sia centro e cosa periferia, ritorna in un intervento per i giovani in un Comune novare-se, Borgolavezzaro70. Nell’estate 2008, un gruppo di 18-20enni ha promosso uno scambio giovanile con la Spagna, che è stato l’occasione per un confronto sia sul folklore che sulla storia e memoria di queste realtà. Dal sito del Comune, ecco la presentazione di un evento pubblico promosso nell’ambito dello scambio gio-vanile:3 sett ’08 dibattito "Riso Amaro: giovani di zone rurali tra la voglia di restare e le ragioni per partire", “Dibattito sulle radici culturali, sulle aspettative dei giovani e sulle migrazioni giovanili nel nostro territorio” con la pre-senza di Gabrio Mambrini, Clarissa Egle Mambrini e Carlo Respighi, rispettivamente curatore ed autori del libro “In grembo alla Terra” ed alla Cena internazionale con preparazione di paniscia e paella, con il diretto coinvolgimento dei ragazzi spagnoli e italiani partecipanti allo scambio interculturale.

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69 e, se fossimo al Sud, anche la presenza o meno delle mafie…

70 Comune di 1.900 abitanti, il più a sud della prov. di Novara, a 16 km dal capoluogo (nel 1901 gli abitanti erano 3.350).

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2. L ESPERIENZE E LE PECULIARITA’

Le esperienze da cui sono tratte le riflessioni, sono quelle sviluppate nel corso di questi ultimi 10 anni nel lavoro con le Province (a noi vicine e “montuose”) di Novara, Verbania e Vercelli e quelle con gli Assessorati provinciali di Mantova, Trento, Arezzo. A queste espe-rienze, si possono aggiungere quelle relative ad incontri ed interventi in alcune altre realtà di Comunità Montane71.

PROVINCIA INTERVENTO OGGETTO RISULTATIProv. di Novara Dal 2002, percorso di

progettazione, oggi è un Tavolo, un Piano annua-le, gestione del Bando ed un web

Tavoli di progettazione par-tecipata tra EELL e org gio-vanili: significa incontri, consulenza, formazione.Prog I Segni e la memoria

Dal 2003 al 2007 sono stati finanziati 106 progetti e sono nate 21 nuove assoc giov

Prov di Verbania Tavolo, bando, web e Piano + progetti di ec-cellenza su2 priorità: comunicazione e spazi

Evoluzione nello sguardo: (Pubblico, non profit, priva-to). Eccellenza:peer education

Tra il 2006 e ’08: 35 progetti e 18 neonate ass giov. Progetta-zione di un hub culturale giova-nile

Prov di Vercelli Misura D3 Nascita di nuova imprendi-toria legata alle tradizioni del territorio

40 muove imprese avviate, convegni, format tv

Prov di Mantova Tavolo, Bando e Piano + progetti provinciali legati a musica, web, IG, tv e spazi

Tavoli di progettazione par-tecipata tra EELL e org gio-vanili: significa incontri, consulenza, formazione.

In due anni (2007 e 2008) 22 progetti e 14 nuove assoc giov. Circuito locali, sale prova, og, eurodesk, format tv

Prov di Trento Formazione e supporto alla progettazione

Percorsi formativi per l’av-vio di nuovi centri giovanili e supporto alla loro proget-tazione

In due anni (2007 e 2008), due percorsi formativi, 7 nuovi cen-tri, 6 progetti territoriali speri-mentali ed innovativi

Prov. di Arezzo Tavoli di progettazione partecipata tra EELL e org giovanili

Intervento della Prov in otti-ca di sussidiarietà che ne dà il senso e lo rende ap-propriato

In partenza, ad oggi la costitu-zione del Tavolo di Zona

Fonte: Archivio Vedogiovane

Ora, ripensando a tutte queste, e diverse, esperienze, è possibile ragionare rispetto alle metodologie di intervento ed alle peculiarità nello sviluppo di politiche giovanili nei centri di minori dimensioni e “nelle valli”, a partire dal fatto che in questi contesti gli interventi per adolescenti sono, senz’altro, progetti di comunità, perché le azioni loro rivolte, hanno in ogni caso riflessi su tutto il resto della comunità locale. Si tratta di interventi che, per una fascia di età più adolescenziale, assumono la connota-zione di essere “palestra di cittadinanza” (anche europea, ad esempio rispetto agli scambi del programma Gioventù), mentre per i giovani (21-35 anni) sono più legati al lavoro ed all’imprenditoria, all’accesso ad informazioni ed opportunità, ed anche alla nascita di asso-ciazioni giovanili. Quest’ultima scelta va nella direzione di sperimentare lo sviluppo di uno strumento storico, che oggi ha assunto un nuovo significato, molto più legato alla speri-mentazione, all’assunzione di un ruolo nella comunità locale, all’avere a disposizione uno

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71 Ceva (Cn), 4 maggio ’02, Comune di 5.800 abitanti, inserito in una Rete di Comuni nell’ambito di una Co-munità Montana. Un progetto innovativo ero l’uso degli SMS per organizzare incontri, partire, ecc, insieme all’uso degli stickers per segnalare la presenza del progetto e le relative azioni. Altra esperienza (13 Ottobre ’07) è stata con la Comunità Montane Valle Sabbia” (a Gavardo, un’unione di paesi, con 10.000 abitanti), nell’am-bito del Convegno “Politiche giovanili e mondo adulto” .

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strumento per “poter fare” delle cose (anche con una valenza personale orientativa). Sicu-ramente quindi un associazionismo più slegato da dimensioni ideologiche e di “militanza”, ma anche da appartenenze assolute e definitiva (infatti vi è un ciclo di vita delle associa-zioni giovanili, intorno ai 4-5 anni e ciò segnala proprio l’idea di una esperienza significati-va, ma a termine).

Possibili peculiarità nello sviluppo di politiche in contesti rurali/montaniAdolescenti Giovani

Piccoli comuni

Obiettivi educativi! esplorare le potenzialità individuali non

stimolate dall’ambiente circostante! garantire spazi di partecipazione attiva e

opportunità di espressione! garantire la possibilità di sperimentarsi in

contesti diversi Obiettivi formativi

! ampliare l’orizzonte di opportunità rispetto al dato territoriale

! scambi giovanili e fruizione di spettacoliObiettivi di socializzazione

! favorire l’aggregazione sulla base di un territorio più ampio

! creare opportunità di dialogo con gli an-ziani (molto presenti) su temi legati a tra-dizioni e memoria

Obiettivi educativi! stimolare l’iniziativa! garantire pari opportunità di accesso

ai progetti/serviziObiettivi formativi

! garantire l’accesso all’informazione! garantire opportunità di mobilità! sviluppare e sostenere nuova “im-

prenditoria leggera”

Fonte: Rete politichegiovanili.it

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3. L’INTERVENTO DELL’ASSESSORATO PROVINCIALE

L’originalità dell’intervento portato avanti su incarico delle Province, sta nel fatto di preve-dere la costituzione di un luogo di pensiero sugli interventi per i giovani, abitato da Asses-sori e da giovani stessi, attivi nell’ambito dell’associazionismo giovanile locale. Questo spazio (il “Tavolo”) porta all’avvio di percorsi di progettazione partecipata che producono un Piano annuale72, cioè un documento redatto dall’Assessorato, ascoltando sempre il pa-rere del territorio e della comunità, creando contesti di espressione e confronto e ricono-scendo nuovi e più efficaci stakeholders che diventano policy makers.

Le ipotesiLe ipotesi sottostanti questo modello intervento, sono quelle che guardano alla partecipazione giovanile co-me:1. La partecipazione alla vita politica/istituzionale non è oggi un bisogno chiaramente espresso (a differenza degli spazi, informazione, comunicazione) e vi è una distanza tra giovani ed istituzioni (che non è disinteres-se verso i temi della politica)2. La partecipazione è più espressione di sé, più user, meno rappresentanza, appartenenza, militanza. Con strumenti nuovi, che fanno già comunicazione e che sottolineano l’abitare i tempi. 3. Va intesa in senso allargato e su assetti variabili (esserci, ma non starci per presente), è da intercettare nelle sue nuove forme e modalità (CARTA EUROPEA), scegliendo di partire più “con chi ci sta”, piuttosto che con “chi rappresenta chi”2. È però possibile promuovere percorsi di partecipazione (anche su temi forti). E’ centrale il ruolo degli adulti che possono/devono proporre (GIO RAP: genitori, docenti/Scuola, adulti significati). Ricordando che oggi sono più gli adulti/operatori/educatori in difficoltà, che i giovani5. Ha a che fare con aspetti più relazionali (sentirsi parte, oltre che essere parte) e meno di dovere, viaggia più su dimensioni informali, avviene nei gruppi, è connessa al fare/organizzare (meno, all’inizio, al riflettere, rielaborare, anche se l’ascolto è funzionale). Si valuta con il criterio del “vantaggio” e dello scambio

Per fare questo, si costituisce una cabina di regia tra Assessorato e chi ha l’incarico si se-guire e sviluppare il percorso. Questa cabina ha la responsabilità del percorso, costituito da incontri periodici (programmati e condotti), itineranti sul territorio, pensati con momenti formali (progettazione, formazione, informazione, lavoro a gruppi, a seconda degli oggetti) ed informali (cena, aperitivo, caffè, ecc).

I riferimenti baseI riferimenti che fanno da linee guida e sono sottostanti questo tipo di intervento sono cinque e cioè:1 - la partecipazione: “percorso permanente” a cardine della democrazia (Libro Bianco…, Carta Euro-pea…);2 - perché la partecipazione abbia un vero senso, è indispensabile che i giovani possano esercitare fin da ora un’influenza sulle decisioni e sulle attività che li riguardano, e non unicamente ad uno stadio ulte-riore della loro vita (Carta…);3 - Assistenza alle strutture di partecipazione dei giovani”, (art. 67-70 della Carta di partecipazione) me-diatore/facilitatore;-4 - Metodo aperto di coordinamento, Co-decisione;5 - Sussidiarietà orizzontale (art. 118 Costituzione)

Le logiche, gli strumenti, le priorità, gli oggetti ed i prodotti di questo lavoro sono:

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72 in Piemonte (ma anche in Trentino) facilita il fatto che questo sia uno strumento che la Regione prevede e che ha istituito con legge, su una prassi di progettazione che coinvolge le Province attivata, già con la lr 16/95.

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Logiche: sovracomunali, ma partecipate da due fondamentali attori locali, cioè Comuni e le associazioni (o gruppi) giovanili. Ciò porta a fare sistema sul territorio e quindi ad incre-mentare il capitale sociale locale. Obiettivo di lungo termine è creare precondizioni favore-voli allo sviluppo di lavoro locale, evitando lo spopolamento dei territori montuosi e dei pic-coli centri agricoli da parte ei giovani, a beneficio dei centri maggiori. In altre parole, la sfi-da è dar vita ad una serie di esperienze locali che generano anche un “movimento locale” per creare alleanze educative territoriali, che si connettono con lo sviluppo del territorio.

Strumento: Tavolo (per conoscersi ed incontrarsi, condividere e confrontarsi, creare fidu-cia, fare formazione, progettare, stare in un processo73) e Piano (per condividere una pro-gettazione), web per informare (e per unire reti di persone e reti virtuali), star up e svi-luppo dell’associazionismo giovanile locale. Di fatto il Tavolo è lo strumento ammini-strativo (deliberato dalla Giunta Provinciale) per sviluppare una nuova governance delle politiche giovanili. Concretamente il Tavolo serve per:- far incontrare /mettere in rete,- monitorare/valutare,- sviluppare / rafforzare,- valorizzare / promuovere, con il territorio una progettualità comune sulle politiche giovani-li locali.

Priorità: - sviluppo del territorio e lavoro, con creazione di opportunità per i giovani di “rimanere”;- sviluppo di attenzioni educative ed identitarie, legate anche al territorio (in termini di ri-sorse e memoria);- sviluppo di competenze in adolescenti e giovani di tipo sociale (leadership giovanili74), e imprenditive legate al valore del territorio ed alla capacità (anche partendo dagli specifici attrattori) di creare opportunità anche lavorative locali75 (si parla di competenze spendibili sul mercato del la lavoro, generate da esperienze di educazione non formale76);- sviluppo anche di interesse verso le tematiche amministrative locali, in modo da formare intenzionalmente una nuova classe di giovani politici locali (in alcuni Comuni, proprio que-sto è stato uno dei fattori di sviluppo locale);- informazione/comunicazione, con l’obiettivo di ridurre la distanza ed avvicinare giovani ed istituzioni e generare legami di fiducia, capitale sociale, nuova classe di giovani ammi-nistratori locali;

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73 Unire negli incontri dimensioni formali ed informali è una scelta davvero potente, permette infatti alle per-sone di conoscersi e “stare”, genera idee, fiducia e legami che poi si trasformano in partnership.

74 Ma anche partecipare, dialogare, responsabilizzarsi, organizzare, presentarsi al territorio, promuovere, prendere decisioni, risolvere problemi, gestire gli errori, ascoltare, inventare, creare, organizzare, lavorare, rispettare…).Si tratta quindi di competenze ad alto valore, acquisite grazie a “esperienze”, che devono esse-re certificate (es. attestati, cv europeo, ecc, v. Note 14 e 15).

75 Regione Emilia Romagna: “Domani lavoro. L’educazione non formale per un lavoro che cambia. Come valorizzare le “competenze non formali” dei giovani quale fondamentale elemento di congiunzione con le “competenze trasversali” richieste dal “Sistema Lavoro”.

76 Vedi anche la “Raccomandazione U.E. n° 1437 del 2000, che tratta la tematica del ruolo e dell’importanza dell’educazione non formale (Fonte: www.politichegiovanili.it).

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- mobilità e viaggi di giovani in Europa: questo tipo di esperienze vengono incentivate per permettere agli adolescenti di conoscere il mondo e di riportare gli apprendimenti nel pro-prio Comune (si esce e si rientra in Valle).

Oggetti: concretamente questo percorso è fatto da incontri periodici del Tavolo (a cui par-tecipano un numero consistente di persone), che poi possono diversi in gruppi territoriali e/o tematici. Gli oggetti del Tavolo sono la progettazione (ad es. per l’elaborazione del Piano provinciale contente sia le priorità territoriale, che il Bando pubblico per la richiesta di con-tributi), ma anche e soprattutto la formazione. Nella fase di pubblicazione del bando, il la-voro è di sostegno alla progettazione e, successivamente, di monitoraggio dei progetti. Poi vi sono fasi più informative e di ricerca rispetto ai bisogni, piuttosto che di altra progetta-zione partecipata legata ad opportunità di bandi nazionali o regionali. Le Province poi fan-no confluire nel Tavolo anche tutti i servizi e progetti attivi sul territorio, in modo da fare networking: quindi sono sempre presenti i servizi Eurodesk e scambi giovanili, gli Informa-giovani, i progetti di provinciali legati ad esempio a musica, spazi giovanili, comunicazione. Quindi il Tavolo è da una parte lo strumento per una nuova progettualità a regia provinciale e dall’altra il modo per “tenere insieme”, radunare, condividere e promuovere tutto ciò che la Provincia ed i singoli Comuni (e Comunità Montane) già stanno facendo per i giovani… In termini di prodotti si potrebbe parlare di sei oggetti bene precisi: 1. Piano partecipato (con bando concertato su ambiti, priorità, criteri, per EELL, org. gio-vanili, neonate associazioni);2 formazione, consulenza ed informazione (per aumentare le competenze progettuali e gestionali di operatori, giovani, amministratori);3. progetti a regia provinciale (su priorità ed oggetti condivisi dal Tavolo, anche su altri bandi);4. scambio di informazioni, opportunità, idee e confronto su buone pratiche tra i vari attori locali del Tavolo;5. nuove risorse (nuove progettazioni ed effetto moltiplicatore delle azioni e volano da altri enti e per essersi messi in rete, scambiati idee, buone pratiche, ecc);6. star up e sviluppo di associazionismo giovanile locale.

L’opzione strategica locale dell’associazionismo giovanileSeppur da anni si registra una grossa difficoltà delle forme di associazionismo tradizionale e della presenza di giovani in queste organizzazioni (partiti e sindacati in primis, ma anche associazioni-smo in generale77), questa “crisi” delle tradizionali forme di partecipazione giovanili78 sembra possa essere superabile, quando tutto ciò si trasforma in una vera e propria “esperienza”. Significa quindi promuovere dei luoghi contenitori dove i ragazzi ed i giovani per la prima volta acquisiscono un ruolo pubblico ed una funzione sociale, si sperimentano e responsabilizzano all’interno ed al-l’esterno, acquisiscono quindi competenze spendibili (in termini ad es. di organizzazione, di abilità

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77 Unica eccezione è l’associazionismo sportivo (a cui è iscritto il 37% dei giovani), dove però spesso la par-tecipazione è più legata alla pratica sportiva e ad una serie di servizi, che non ad un’esperienza di cittadi-nanza attiva), seguito dai gruppi parrocchiali (32%), associazioni culturali (20%), di volontariato (19%) e reli-giose (18%). Ci sono poi le organizzazioni studentesche (18%), le tifoserie (13%), i movimenti politici (11%), gli scout (11%), ecc. (VI° Rapporto Iard sulla condizione giovanile nazionale, Milano, novembre ‘06).

78 “In particolare i partiti sono addirittura messi agli ultimi posti anche dagli Assessori alle politiche giovanili quan-do devono ricercare soggetti del territorio con cui coprogettare”, in: R. Pocaterra, Iard, Conferenza nazionale degli Informagiovani, Castellammare di Stabia, 25 febbraio ‘05.

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sociali e comunicative, di responsabilità sociale), diventano loro stessi protagonismi delle scelte che li riguardano.

Tutto ciò significa, che si lavora in termini territoriali (e non più esclusivamente “paesa-ni/campanilistici”), non andando mai, però, a sostituire le responsabilità dei singoli Comuni, i cui Assessori partecipano sempre al Tavolo. Sono infatti riconosciute le differenze e le peculiarità delle diverse realtà territoriali, per cui si lavora, con Comuni diversi, anche adot-tando approcci diversi. Comune a tutte le realtà territoriali è però la scommessa sull’asso-ciazionismo locale come spazio di sperimentazione e di produzione di cittadinanza, motore per lo sviluppo di risorse, di lavoro, di impresa79… In questi contesti, i problemi sentiti, i vissuti portati dagli attori locali e le descrizioni che ne escono, sintetizzando e generalizzando (e quindi approssimando anche un po’), sono:

Problema giovanile sentito (e presente “sullo sfondo”): alcolismo e dipendenza, suici-di, incidenti d’auto, spopolamento giovanile dei territori a favore di centri più “in pianura”, immigrazione ed inclusione.

Vissuto: esclusione, essere ai margini80, spopolamento, paura di dover andare via e vo-glia di riscattare il territorio (che viene sempre più spesso abbandonato).

Fotografia del territorio: pochi giovani (spesso si va via anche solo per fare le Superiori). Strade strette e tempi di percorrenza lunghi. Valle a V, stretta81, con tanti paesini tra strada e fiume (che si “sente”), Scuole elementari con la “classe unica”, Scuole che chiudono, il Pronto Soccorso ad un’ora, distanze dalle Istituzioni centrali enorme…

Opportunità di lavoro ed occupazione: prevalentemente cercato nel Pubblico (Poste, Comune, cantoniere Provincia, guardia venatoria), oggi con poco futuro (viste le difficoltà del Pubblico impiego). La sfida è lo sviluppo del territorio, che si gioca tra la tentazione di emigrare e l’autoimprenditività, partendo dagli attrattori locali e comunicandone il valore.Allora le Politiche giovanili sono: - per i giovani: creazione di lavoro, informazione, sviluppo dell’associazionismo, mobilità;- per adolescenti: scambi, viaggi, ritrovarsi, espressività, comunicazione,web, ma soprat-

tutto la relazione con un adulto significativo. In ogni caso, un intervento di comunità.Nell’ambito dello sviluppo dei Piani giovani, i progetti attivati afferiscono a sei grossi ambiti di interessi:1. autonomia dei giovani;2. partecipazione attiva, socialità e cultura;3. mobilità e scambi;

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79 A questo proposito si pensi alle cinque realtà di giovani del Sud conosciute nella fase di progettazione del bando Pogas con cui si è lavorato per ipotizzare una formazione ed uno start up di imprenditoria sociale e culturale in zone a forte rischio di presenza mafiosa e di povertà. Tutti questi giovani mettevano la questione lavoro in primo piano per il futuro loro e del territorio.

80 Vissuto presente anche nei Paesi delle campagne, ma anche al Sud, così come nelle periferie di Milano e di Parigi…

81 In una valle c’è un piccolo paese raggiungibile solo con la funivia (oltre che a piedi), non certo funzionante 24 ore al giorno: così i ragazzi si organizzano affittando delle camere nel fondovalle per poter dormire lì, di ritorno dalle serate del week end trascorse nei centri più grandi…

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4. comunicazione;5. espressione ed affettività6. star up e sviluppo di associazionismo giovanile locale.Secondo gli stessi attori di questi interventi (intervistati in più momenti) emerge che un punto di forza di questa modalità di lavoro del Tavolo sia proprio il riconoscimento del per-ché la Provincia faccia bene a sostenere l’associazionismo giovanile, che gli intervistati individuano nel fatto che questo strumento responsabilizza i giovani, dà loro fiducia (e questo funziona), oltre al fatto (davvero non da poco) che l’istituzione dimostra di credere nei giovani.Inoltre quelle che gli intervistati ritengano siano le parole chiave dei progetti (nonché fattori di successo) sono: spazio, giovani, espressioni artistiche, recupero spazi urbani, la strada, gioco, rete, partenza, partecipazione, coordinamento. Infine uno sguardo a cosa fanno le associazioni: si occupano di ristrutturazione sala prove, concorso fotografico, centro giovani, eventi locali di aggregazione (bancarelle, artisti di strada), musica, danza, cultura, scambi, ecc .In conclusione, si segnalano le quattro criticità di questo modello, che sono legate a:- tenuta del percorso (legata a sua volta al lavoro complesso perché coinvolge assetti va-riabili e grandi numeri, la periodicità degli incontri a discapito di una continuità e lo staff di progetto che a volte è fragile);- tempi: dimensione centrale per i giovani, molto meno per l’istituzione (per cui si allungano sempre…);- risorse: la certezza del quanto e del quando e difficoltà relative per chi è esposto a que-ste oscillazioni;- potere: il coinvolgimento e la reale partecipazione giovanile comportano prima un “potere diffuso” (e quindi una perdita di potere per l’Assessorato), ma poi una “generazione di consenso”82.

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82 Fonti: www.vedogiovane.it e www.politichegiovanili.it .

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4. DESCRIZIONE DI ALCUNI CASICasi: Nel VCO, provincia di 77 Comuni, quasi tutti montani rurali ed alcuni a forte declino indu-striale, negli anni si è sviluppato, proprio rispetto alle politiche giovanili, un intervento di eccellenza nell’ambito della peer-education, tanto che proprio quello è considerato il terri-torio culla di questa modalità di intervento ed “incubatore” di tanti altri progetti sul territorio nazionale. Non solo: proprio lì si tengono i convegni nazionali83: ciò rimanda davvero al fatto che qualunque territorio può diventare centro84 (si parla di policentrismo ed il regiona-lismo potrebbe incentivare molto questo). Un altro esempio è quello della Val D’Orcia, con il suo “miracolo economico”. Ma di queste eccellenze ce ne sono tante, diffuse a macchia di leopardo, non ancora “portate a sistema” da una politica nazionale o regionale.Alcuni piccoli altri esempi sono Rimasco (negli anni ’90, in prov di Vc85) e Riace (CZ), dove vi sono giovani che amministrano e che autoimprendono. Giovani motivati, che però han-no viaggiato e visto il mondo, che hanno passione ed impegno, con le conoscenze (anche del territorio) e le capacità, che costruiscono le possibilità (partendo dagli attrattori locali, cioè mare e roccia, lago, pietra, comunicato su stampa ad hoc, es arrampicata) e le condi-zioni di fare (turismo, artigiano che fa muretti tipici, ristorazione, botteghe del gusto), ma che significa anche autodeterminare il proprio futuro e quello del territorio, finendo per amministrare (sindaco più giovane d’Italia), portando cioè l’innovazione nel Palazzo. Ma anche (nel VCO) l’esperienza di una associazione giovanile di creativi, che poi (in un terri-torio ricco di design, ma in crisi di lavoro), rilancia un’azienda di giocattoli, ridisegnandoli (qui siamo nella Valle dei Pinocchi di legno). Anche in questo caso si valorizzano le tipicità ed il know how di un territorio. Un altro esempio: il museo didattico sul baco da seta a Cressa (No).

Proprio il tema di cosa sia centro e cosa periferia, ritorna in un intervento per i giovani in un Comune novare-se, Borgolavezzaro86. Nell’estate 2008, un gruppo di 18-20enni ha promosso uno scambio giovanile con la Spagna, che è stato l’occasione per un confronto sia sul folklore che sulla storia e memoria di queste realtà. Dal sito del Comune, ecco la presentazione di un evento pubblico promosso nell’ambito dello scambio gio-vanile:3 sett ’08 dibattito "Riso Amaro: giovani di zone rurali tra la voglia di restare e le ragioni per partire", “Dibattito sulle radici culturali, sulle aspettative dei giovani e sulle migrazioni giovanili nel nostro territorio” con la pre-senza di Gabrio Mambrini, Clarissa Egle Mambrini e Carlo Respighi, rispettivamente curatore ed autori del libro “In grembo alla Terra” ed alla Cena internazionale con preparazione di paniscia e paella, con il diretto coinvolgimento dei ragazzi spagnoli e italiani partecipanti allo scambio interculturale.

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83 Verbania - II Convegno nazionale PEER & VIDEO EDUCATION. Adolescenti, prevenzione e comunicazione multimediale. Verbania, 13-15 novembre 2008.

84 Il Monte Rosa è sceso a Milano?, per riprendere un titolo di un libro famoso e scritto da Moscatelli, co-mandate partigiano che ha contribuito non solo alla liberazione dei territori delle valli vercellesi e del vco, ma anche a quella di Milano, arrivando a piazza del Duomo con la sua brigata?

85 Dove è “bastato” l’avvio di un ristorantino, una accoglienza semplice, un campeggio, la chiodatura delle pareti per il free climbing, gli artigiani specializzati nella costruzione dei “muretti a secco” seconda un’antica tecnica, il merchandising, il bar, le guide di arrampicata, la stampa specializzata, il “saper fare accoglienza”, la pista di pattinaggio a costo zero, le cascate di ghiaccio, uno sponsor (Longoni Sport), la capacità di ar-rampicare e fare alpinismo e soccorso alpino…

86 Comune di 1.900 abitanti, il più a sud della prov. di No, a 16 km dal capoluogo (nel 1901 gli abitanti erano 3.350).

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ALLEGATO LA DOCUMENTAZIONE EUROPEA IN MATERIA DI PAR-TECIPAZIONE GIOVANILEIl Libro Bianco della partecipazione giovanile

2.3 Il coinvolgimento dei giovani nella vita pubblica In linea di massima i giovani europei vogliono promuovere la democrazia e soprattutto es-serne gli attori. Rimane però una certa diffidenza rispetto alle strutture istituzionali. I giova-ni si identificano meno che in passato nelle strutture tradizionali dell’azione politica e so-ciale (partiti, sindacati), la loro partecipazione alle consultazioni democratiche è debole. Le organizzazioni dei giovani risentono anch’esse di questa situazione e avvertono il bisogno di rinnovarsi. Ciò non significa affatto che i giovani si disinteressino alla vita politica. La maggior parte di loro dimostra una chiara volontà di partecipare e di influenzare le scelte della società, ma secondo forme d’impegno più individuali e più specifiche al di fuori delle vecchie strutture e dei vecchi meccanismi di partecipazione.Spetta alle autorità pubbliche colmare il fossato che separa la volontà di espressione dei giovani e le modalità e strutture offerte a tal fine dalle nostre società se non vogliono ali-mentare il deficit di cittadinanza o addirittura incoraggiare la contestazione.3.1 I messaggi chiave Per una partecipazione e una cittadinanza attiva dei giovani I giovani affermano il loro ruolo di cittadini responsabili. A questo titolo desiderano essere maggiormente associati alla vita della collettività e vogliono pronunciarsi sulle tematiche più svariate. Questa volontà di partecipazione deve potersi esprimere a diversi livelli (da quello locale a quello internazionale), devono comportare diversi registri (attivi e rappre-sentativi) e non devono escludere nessun tipo d’impegno, dal più specifico al più duraturo, dal più spontaneo al più organizzato. Inoltre, la partecipazione dei giovani non può essere limitata alla sola consultazione e ancor meno a sondaggi d’opinione, ma deve includere i giovani nel processo decisionale.Si deve incoraggiare la partecipazione, senza escludere nessuno, e questo significa che la si dovrà agevolare per tutti coloro che incontrano più difficoltà e aprire maggiormente le strutture attuali ai giovani non appartenenti a organizzazioni.Corollario indispensabile allo sviluppo di questa cittadinanza attiva è quello dell’informa-zione che è un ambito da cui i giovani si attendono molto: consapevoli che i campi da co-prire sono ampi (occupazione, condizioni di lavoro, alloggi, studi, salute ecc.) e che vanno al di là di un’informazione sui programmi comunitari, le loro aspettative vertono in primo luogo sul riconoscimento del fatto che c’è un bisogno da soddisfare. I giovani hanno anche molto insistito sul rispetto del principio di parità di accesso, di prossimità e di norme etiche elevate. Inoltre si è posto l’accento sull’importanza di un’informazione “dal volto umano” che associ i giovani sia nell’elaborazione dei contenuti che nella loro diffusione._ Ampliare i campi di sperimentazione e dare loro un maggiore riconoscimentoI giovani vorrebbero che i poteri pubblici riconoscessero che l’istruzione e la formazione non sono solo quelle di tipo tradizionale o formale. Dal loro punto di vista questo periodo fondamentale di apprendimento e di esperienze andrebbe trattato in modo più globale, in-cludendovi gli aspetti non formali dell’istruzione e della formazione.

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In quest’ottica, si dovrebbe porre maggiormente l’accento sulla mobilità e sul volontariato che rimangono ancora pratiche troppo limitate e troppo poco riconosciute: svilupparli arti-colandoli con le politiche condotte nel campo dell’istruzione e della formazione rappresen-ta per i giovani una priorità. Loro vogliono che queste esperienze ampliate siano ricono-sciute e sostenute finanziariamente. Per poter riuscire appieno questa articolazione tra dimensione formale e non formale dell’apprendimento deve tener conto della nozione di sviluppo individuale e fondarsi sugli strumenti e i metodi propri del campo della gioventù, strumenti e metodi che favoriscono lo scambio tra pari e la sperimentazione, in cui il “fare” è più importante che il risultato._ Sviluppare l’autonomia dei giovaniL’autonomia è una grande rivendicazione dei giovani. Questa autonomia si basa sui mezzi che si concedono loro e in primo luogo sui mezzi materiali. A questo proposito quindi la questione del reddito è centrale. Le politiche dell’occupazione, della protezione sociale, dell’aiuto all’inserimento, ma anche quelle degli alloggi o dei trasporti interessano la gio-ventù. Esse sono necessarie per permettere ai giovani di diventare autonomi prima e an-drebbero sviluppate tenendo conto del loro punto di vista e dei loro interessi e attingendo al bagaglio di esperienze specifiche nel campo delle politiche della gioventù. Siccome vo-gliono essere attivi nella società e si sentono parte in causa nelle politiche che interessano i diversi aspetti delle loro condizioni di vita, i giovani rifiutano l’idea che le politiche della gioventù vengano ristrette ad ambiti specifici.

4.1 Il metodo aperto di coordinamentoIl metodo aperto di coordinamento offre quindi, come lo indica il Libro bianco sulla gover-nance, un “modo di promuovere la cooperazione e lo scambio delle pratiche migliori e di concordare obiettivi e orientamenti comuni”. Il metodo aperto di coordinamento privilegia la definizione di tematiche prioritarie, la fissazione di obiettivi e di orientamenti comuni e l’at-tuazione di meccanismi di follow-up oltre a comprendere modalità di consultazione dei giovani.4.1.2. Campo d’intervento del metodo aperto di coordinamento nel campo della gio-ventùTra i temi che si prestano al metodo aperto di coordinamento la Commissione europea propone la partecipazione, il volontariato, l’informazione, il miglioramento delle conoscen-ze sulla gioventù da parte dei poteri pubblici, e più in generale tutto ciò che può contribuire allo sviluppo e al riconoscimento delle attività realizzate a favore dei giovani (“youth work”, lavoro nei club dei giovani, nei movimenti giovanili, “lavoro in strada”, progetti per sviluppa-re la cittadinanza, l’integrazione, la solidarietà tra i giovani ecc.) al di fuori da quanto è co-perto dalle altre politiche come quelle relative all’occupazione, all’integrazione sociale e all’istruzione. Questo corrisponde alle attività e agli strumenti che a livello nazionale sono normalmente associati alle politiche della gioventù.La partecipazioneIl rafforzamento della partecipazione contribuisce sia allo sviluppo dell’istruzione sia a quello della cittadinanza del giovane. È essenzialmente nella vita locale che la partecipa-zione deve svilupparsi, e anche nella scuola che è uno spazio privilegiato di partecipazio-ne. Occorre d’altronde allargare la partecipazione ai giovani che non sono organizzati in associazioni.Il metodo aperto di coordinamento potrebbe sfociare nell’attuazione, da parte delle autorità locali, di meccanismi partecipativi flessibili e innovatori e nella generalizzazione di consigli

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regionali e nazionali della gioventù aperti anch’essi ai giovani che non rientrano in orga-nizzazioni._ L’informazioneLa partecipazione è indissociabile dall’informazione dei giovani. Bisogna raggiungere se possibile i giovani stessi, ma in tutti i casi le persone che sono in contatto con loro a scuo-la, nei club, nelle associazioni ecc. Questa informazione di massa richiederà un approccio coordinato, importanti mezzi e il coinvolgimento dei giovani nella concezione e attuazione di questi strumenti di comunicazione._ Il volontariato dei giovaniIl volontariato, che è al contempo un modo di partecipazione sociale, un’esperienza edu-cativa, un fattore di occupabilità e di integrazione, risponde alle aspettative dei giovani e della società. È a livello europeo che occorre assicurare il riconoscimento del volontariato quale esperienza di istruzione e di apprendimento non formale._ Una migliore conoscenza del campo della gioventù

4.2. Un migliore inserimento della tematica della gioventù nelle altre politicheA seguito delle consultazioni la Commissione europea ritiene che l’istruzione, l’apprendi-mento lungo tutto l’arco della vita, la mobilità, l’occupazione e l’integrazione sociale non-ché il razzismo e la xenofobia siano tematiche nel cui ambito e prioritariamente si dovreb-be tener maggior conto della dimensione giovanile. Anche l’autonomia dei giovani richiede un esame approfondito._ L’istruzione, l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita e la mobilitàL’istruzione e la formazione vanno riconosciute, indipendentemente dal fatto che avven-gano a scuola, all’università o al di fuori di esse secondo altre modalità di apprendimento non formali. In questo contesto, le associazioni della gioventù, gli operatori sociali e i co-muni svolgono un lavoro in profondità tra i giovani. _ L’occupazioneLe politiche favorevoli all’integrazione e alla progressione in tutti i mercati del lavoro si arti-colano su quattro pilastri: migliorare la capacità d’inserimento professionale, sviluppare l’imprenditorialità e la creazione di posti di lavoro, incoraggiare l’adattabilità delle imprese e dei loro lavoratori, rafforzare le politiche di pari opportunità tra le donne e gli uomini._ L’integrazione socialeGli obiettivi sono: promuovere la partecipazione all’occupazione e l’accesso di tutti alle ri-sorse, ai diritti e ai servizi; prevenire i rischi di esclusione; agire per i più vulnerabili; mobili-tare l’insieme degli attori e favorire la partecipazione.Per quanto concerne più in particolare i giovani, sono affrontati diversi aspetti sia negli obiettivi comuni che nei piani: sviluppare un mercato del lavoro favorevole all’inclusione dei giovani; garantire risorse e redditi adeguati per far fronte al fenomeno del vagabon-daggio giovanile o per i giovani in difficoltà, soprattutto per le minoranze, le giovani donne in situazione precaria, i giovani disabili; lottare contro le diseguaglianze nell’ambito del-l’istruzione; favorire l’accesso a servizi di qualità (alloggi, sanità, cultura, diritto e giustizia); rigenerare le zone che risentono di molteplici svantaggi._ I giovani contro il razzismo e la xenofobiaLa lotta contro la discriminazione, in particolare contro il razzismo e la xenofobia, l’attac-camento al carattere multiculturale delle nostre società, trovano tra i giovani un terreno particolarmente propizio e forti potenzialità di mobilitazione._ L’autonomia dei giovani

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Si tratta di un problema complesso che richiede un’esperienza pluridisciplinare e la cui so-luzione richiede il coinvolgimento di diverse altre politiche che esulano dall’ambito della gioventù (occupazione, famiglia, protezione sociale, sanità, trasporti, giustizia e affari in-terni).

4.3. L’utilizzazione del programma GIOVENTÙIl programma GIOVENTÙ ha l’obiettivo di promuovere un contributo attivo dei giovani alla costruzione europea, sviluppare la comprensione interculturale, rafforzare i valori fonda-mentali come il rispetto dei diritti umani e la lotta contro il razzismo e la xenofobia, svilup-pare il senso della solidarietà, incoraggiare l’imprenditorialità, lo spirito di iniziativa e la creatività, stimolare il riconoscimento dell’istruzione non formale, rafforzare la cooperazio-ne di tutti coloro che sono attivi nel campo della gioventù. Il programma GIOVENTÙ deve quindi essere uno strumento al servizio della nuova cooperazione preconizzata dal Libro bianco.

I RISULTATI DELLA CONSULTAZIONENel corsodel processo di consultazione i giovani hanno identificato 5 filoni di riflessione:– la partecipazione,– l’istruzione,– l’occupazione, la formazione professionale, l’integrazione sociale,– il benessere, l’autonomia personale, la cultura,– i valori europei, la mobilità, le relazioni con il resto del mondo.

LA PARTECIPAZIONE COME PRESUPPOSTO DI DEMOCRAZIA_ Una rivendicazione chiaramente espressaIl messaggio più importante lanciato dai giovani sancisce la loro volontà di partecipare atti-vamente alla società in cui vivono. Escluderli significa non consentire alla democrazia di funzionare pienamente. I giovani considerano ingiusta e non fondata l’opinione secondo cui sarebbero poco interessati e poco impegnati.Ritengono che non vengano dati loro né i mezzi finanziari né le informazioni o la formazio-ne che consentirebbero loro di svolgere un ruolo più attivo. Anche secondo le organizza-zioni giovanili, il diritto alla partecipazione è fondamentale e deve applicarsi a tutti senza discriminazioni. Molte organizzazioni infatti si adoperano affinché i giovani possano con-cretizzarlo.Generalmente la percentuale di affluenza alle elezioni locali, nazionali ed europee tra i giovani fino ai 25 anni non è molto elevata. Molti però hanno manifestato un vivo interesse per la vita pubblica. Il divario tra aspettative e realtà, secondo i ricercatori soprattutto, spiega l’auspicio e il bisogno di rafforzare la partecipazione. Tale richiesta non suscita sor-presa né del resto viene espressa per la prima volta; quello che è cambiato piuttosto è il modo in cui viene espressa. Il grado di impegno inoltre differisce notevolmente da un gio-vane all’altro._ Un concetto globale, un diritto universale, molteplici realizzazioni praticheI giovani rivendicano il diritto di parola per tutti gli aspetti della loro vita quotidiana come la famiglia, la scuola, il lavoro, le attività di gruppo, il quartiere, ecc.; in questo modo, però guardano in modo più ampio anche alle questioni economiche, sociali e politiche.L’interesse dei giovani non si limita alle questioni locali, ma abbraccia anche la regione, il paese, l’Europa e il mondo. In altri termini, il diritto di partecipazione non può essere circo-

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scritto e deve poter essere esercitato senza restrizioni. Infatti, quando i giovani si mobilita-no per sostenere altri giovani, svantaggiati o emarginati, appartenenti a minoranze etniche o immigrati clandestini, affinché essi possano accedere ad una maggiore partecipazione, lo fanno in nome di una battaglia più ampia per una partecipazione universale senza di-scriminazioni. L’approccio evocato dalle organizzazioni della società civile è simile, sebbe-ne esse in pratica sono più portate a mettere l’accento sugli obiettivi o su gruppi più speci-fici._ La partecipazione dei giovani: un processo di apprendimentoCome presupposto alla partecipazione, i giovani devono acquisire o sviluppare delle com-petenze. Si tratta di un processo graduale di apprendimento. In genere, la prima fase nel loro ambiente di vita (scuola, quartiere, comune, centro giovanile, associazione) si rivela di capitale importanza. Consente infatti di acquisire la fiducia in se stessi e l’esperienza ne-cessaria per affrontare le fasi successive.Inoltre è proprio nell’ambiente locale che la partecipazione consente di realizzare muta-menti concreti, visibili e controllabili dai giovani stessi. Ed è ancora in tale ambito che i gio-vani hanno la possibilità non solo di esprimere il proprio parere, ma anche di essere parte integrante del processo decisionale. In una seconda fase i giovani si rendono consapevoli che tutta una serie di decisioni che hanno un impatto locale vengono intraprese a livelli decisionali più ampi, in particolare a livello europeo: è quindi necessario impegnarsi per passare da un livello all’altro, creando legami e reti. Inoltre, la partecipazione consente di acquisire competenze che occorre convalidare in diversi ambiti (economico, sociale, culturale, politico) e in diversi contesti istituzionali. In tale prospettiva è stato sottolineato che è controproducente tracciare una chiara linea di demarcazione tra istruzione formale e non formale. A tal proposito, se la scuola rimane un luogo privilegiato di apprendimento e di esercizio delle modalità di parte-cipazione, agli occhi dei giovani continua a presentare un inconveniente: non li prende in considerazione come cittadini attivi._ Partecipare? Sì, … ma come?I giovani giudicano insufficienti gli attuali meccanismi di partecipazione. Diffidano di alcune forme di democrazia rappresentativa, ma non nutrono la stessa reticenza quando vi è un impegno di prossimità, più diretto e immediato. Le opinioni sulle organizzazioni giovanili sono concordi, alcuni le ritengono le strutture di partecipazione più adeguate, altri le trova-no prive di sufficienti attrattive; in questo caso vengono privilegiati gruppi attivi a livello lo-cale più o meno istituzionalizzati, associazioni o club giovanili, parlamenti dei giovani, ecc. Sono pochi coloro che pensano che la scarsa partecipazione giovanile alla vita pubblica sia dovuta ad un rifiuto di principio o a una volontà deliberata della società.Favorendo questo tipo di partecipazione diretta dei giovani, le organizzazioni ritengono di essere un utile contrappeso alle istituzioni. Al loro interno alcuni ritengono che essere or-ganizzati sia una delle condizioni della partecipazione. Altri pensano che le organizzazioni attuali non rispondano più alle aspettative di una parte dei giovani e sono a favore di ap-procci innovativi che consentano una maggiore apertura. Come i giovani, anche le orga-nizzazioni di settore auspicano che gli aiuti pubblici alle ONG siano più cospicui e all’altez-za della funzione sociale che esse svolgono.La necessità di rivitalizzare le organizzazioni è stata sottolineata anche dai ricercatori. In-fatti tali organizzazioni rischiano di vedere ampliarsi il divario rispetto alle aspirazioni dei giovani, a causa della base sociale e della loro struttura organizzativa. Al di là dei membri tradizionali, esse devono trovare modi di coinvolgere quei giovani che di norma non desi-derano aderire a un’organizzazione. Attualmente esistono nuove opportunità grazie alle

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nuove tecnologie di comunicazione, in particolare Internet; esse infatti favoriscono l’acces-so alle informazioni e sembrano più idonee a soddisfare la richiesta di partecipazione che d’altro canto tende ad allontanarsi da un modello di partecipazione collettiva a favore di forme più individuali._ Partecipazione reale contro partecipazione simbolicaI giovani rifiutano le forme di partecipazione puramente simboliche. Per converso, la con-sultazione condotta nell’ambito del Libro bianco costituisce un buon approccio, purché siano prese in considerazione le loro opinioni e raccomandazioni. I rappresentanti stessi delle organizzazioni giovanili prevedono un ricorso più sistematico a questo tipo di consul-tazione, anche a livello europeo. Alcune forme di cogestione – come quella attuata dal Consiglio d’Europa – sono state altresì indicate come forme di partecipazione a cui ispirar-si.Dal canto loro, i ricercatori sostengono fortemente il coinvolgimento dei giovani fino al pro-cesso decisionale. Una partecipazione di facciata infatti potrebbe scalzare la fiducia nelle istituzioni e nella capacità o nella volontà di queste ultime di garantire loro un posto a pie-no titolo._ Le condizioni della partecipazioneL’istituzione di un quadro giuridico è considerata dai giovani come una delle condizioni ne-cessarie per sviluppare una partecipazione reale, che deve prevedere aiuti alle strutture e si deve reggere sul principio di educazione alla democrazia. Le organizzazioni giovanili chiedono inoltre che siano incoraggiate tutte le forme di partecipazione, già esistenti o nuove. Sono necessari più mezzi in termini di tempo e di denaro, occorre esaminare le dif-ficoltà specifiche di accesso (di carattere sociale, culturale, fisico, mentale, ecc.) e deve essere prevista per tutti un’educazione civica. Infine le organizzazioni insistono affinché le opinioni e i contributi dei giovani si concretizzino in decisioni da comunicare poi ai giovani stessi. In un tale contesto, secondo le organizzazioni, si potrebbero definire i principi, le norme e gli obblighi legati all’età in cui si usufruisce del diritto di voto e di eleggibilità (compresa la questione dell’abbassamento di tale soglia), sull’estensione del diritto (agli immigrati, ad esempio), o ancora sull’introduzione di un’educazione alla cittadinanza atti-va.Un altro presupposto sottolineato a più riprese è la necessità di disporre di informazioni adeguate. Eppure da anni vari organismi si adoperano per migliorare la qualità dell’infor-mazione destinata ai giovani senza però riuscirci. In genere i giovani non deplorano tanto la mancanza di informazioni, quanto la scarsa utilità. Essi vogliono informazioni pratiche che rispondano ai propri bisogni del momento, informazioni scevre da pregiudizi o da in-tenzionalità degradanti per i giovani stessi o per le minoranze. Internet è uno degli stru-menti di comunicazione che deve essere sviluppato, purché l’accesso sia agevole e a basso costo. Anche le organizzazioni giovanili sottolineano la necessità di un’informazione più mirata, meno centralizzata, parte integrante di una vera e propria strategia.Anche per i ricercatori, l’introduzione di un quadro giuridico, l’educazione alla cittadinanza e la ricerca di un dialogo fondato sull’esperienza dei giovani sono presupposti della parte-cipazione. Ma è necessario andare oltre, aprire nuovi spazi in cui giovani, educatori, ope-ratori del settore giovanile e amministrazioni svolgano un lavoro collettivo, che potrà as-sumere un vero significato solo se condurrà a decisioni e a realizzazioni pratiche.

Le proposte emerse dalla consultazioneLa partecipazione dei giovani alla vita pubblica

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Il tema riveste due aspetti: uno è più formale e si colloca tra i meccanismi della democra-zia rappresentativa, l’altro è più informale e mira a sviluppare nuove forme di partecipazio-ne. Solo mantenendo la sostanza di queste due dimensioni sarà possibile valorizzare il capitale sociale costituito dai giovani.Le linee d’azione proposte si basano sui seguenti principi:– l’importanza dell’ambito locale;– la necessità di estendere la partecipazione al di là dei giovani organizzati e al di là dei temi specifici della gioventù;– la scuola rimane uno dei luoghi di partecipazione che si deve privilegiare, sebbene sia riconosciuta l’importanza dell’istruzione e dell’apprendimento non istituzionali;– per far partecipare i giovani non bisogna limitarsi a sondare le loro opinioni.A livello nazionale, regionale e locale_ In tutta Europa le autorità locali devono attuare in maniera generalizzata meccanismi partecipativi di facile accesso e innovativi nei più svariati ambiti (scuole, centri sportivi, as-sociazioni, ecc.), che lascino spazio a formule ideate dai giovani stessi e che siano affidati a personale di collegamento. Potrebbero inoltre prevedere, a seconda delle modalità pro-prie dei diversi contesti locali, meccanismi di dialogo tra i vari livelli decisionali e lo svilup-po di reti di scambio di esperienze e di buone prassi._ È necessario rafforzare il ruolo essenziale degli operatori sul campo, il loro ruolo di pro-mozione e di collegamento nei processi partecipativi._ I consigli dei giovani devono essere estesi a livello regionale e nazionale; i consigli de-vono inoltre essere aperti a giovani non riuniti in organizzazioni e devono essere autonomi rispetto ai poteri politici. Le autorità regionali e nazionali dovrebbero consultare i Consigli per ogni decisione suscettibile di produrre un impatto significativo sui giovani._ Il livello nazionale costituisce un collegamento imprescindibile tra il livello locale e quello europeo:– deve passare a livello europeo le proposte e le raccomandazioni e far conoscere i casi concreti di buone prassi,– e allo stesso tempo ha la responsabilità di trasporre gli obiettivi fissati di concerto con il livello europeo, adattandoli alle specificità politiche, istituzionali e organizzative nazionali._ Gli Stati membri dovrebbero rendere pubbliche le misure che intendono attuare a favore della partecipazione giovanile; le priorità devono essere accompagnate da obiettivi corre-dati da dati (ad esempio in termini di popolazione bersaglio, tempi, ecc.) e dovrebbero prevedere modalità di monitoraggio._ Coinvolgere i giovani in tale processo, come è stato fatto per il Libro bianco, deve essere uno degli obiettivi più importanti.A livello europeo_ Il Forum europeo della gioventù deve aprirsi non solo alle organizzazioni e ai consigli giovanili nazionali (e attraverso essi ai livelli regionali e locali), ma anche ai giovani che non sono rappresentati in queste strutture. Un Forum così ampliato costituirebbe l’istanza ideale di concertazione con le istituzioni europee._ Promuovere il lavoro di rete e il dialogo diretto, soprattutto attraverso incontri periodici (ad esempio sui temi prioritari ripresi nel Libro bianco)._ Finanziare (con gli Stati membri) progetti pilota volti a sostenere gli sforzi compiuti a li-vello locale, regionale e nazionale per favorire la partecipazione giovanile a tutti i livelli e in tutte le sue forme._ In cooperazione con gli Stati membri, organizzare la partecipazione giovanile al dibattito sull’avvenire dell’Europa, avviato a seguito del Consiglio europeo di Nizza.

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_ Rafforzare la cooperazione con il Consiglio d’Europa._ Estendere la rappresentanza dei giovani al Comitato economico e sociale (chiedendo agli Stati membri di designare un maggior numero di rappresentanti del mondo dei giova-ni)._ Designare un mediatore per la gioventù (anche a livello nazionale).

Indissolubilità del binomio informazione e partecipazioneL'obiettivo dell’azione europea non deve mirare a moltiplicare le strutture, i canali e la quantità di informazioni già disponibili, deve invece fare un salto di qualità in materia di in-formazioni destinate ai giovani.La responsabilità prima di informare i giovani, anche su quanto avviene a livello europeo, spetta agli Stati membri. L’UE agisce in maniera complementare.Comunque sia, tutte le azioni di informazione devono fondarsi sui seguenti principi:– il riconoscimento esplicito di una reale necessità di informazione e quindi l’elaborazione di una strategia coordinata per l’informazione dei giovani;– le pari opportunità dinanzi all’informazione;– l'accesso gratuito a tutte le forme di informazioni pratiche;– la vicinanza, la flessibilità, una comunicazione dal volto umano;– l’ottemperanza a norme etiche elevate;– la partecipazione dei giovani alla definizione e all’attuazione degli strumenti di comuni-cazione che li riguardano, ovvero al loro sviluppo.L’azione di informazione e di comunicazione per i giovani deve fondarsi sulle tre seguenti linee direttrici:– contenuto dell’informazione diffusa: deve essere incanalato in funzione delle aspettative dei giovani;– strumenti e canali volti a diffondere le informazioni: devono essere di agevole accesso, facili da usare e raggiungere i giovani dove si trovano veramente (primariamente negli isti-tuti scolastici, ma anche nei quartieri e per le strade);– questi strumenti e canali si devono intersecare (lavoro di rete).A livello nazionale, regionale e locale_ Appoggiarsi a persone (talvolta dette persone-risorsa) che nelle organizzazioni giovanili, nei club sportivi, nelle scuole e nelle università si adoperano per fornire ai giovani informa-zioni pertinenti. Mobilitare i giovani stessi come persone-risorsa._ Incoraggiare le reti d’informazione dei giovani. E, soprattutto a livello locale, associare la diffusione generica di informazioni a un vero e proprio servizio di consulenza personalizza-to. A livello nazionale e regionale, devono essere ampliate le opportunità di formazione sulle modalità per informare i giovani._ L’informazione europea deve essere diffusa attraverso reti nazionali o regionali, tenendo conto delle specificità geografiche e culturali. Fare riferimento a gruppi di giovani in sede di elaborazione di materiali informativi deve diventare una consuetudine.A livello europeo_ Studiare la fattibilità di un forum elettronico che riunisca i responsabili politici e i giovani, ricercando le sinergie tra i servizi interattivi esistenti e il futuro forum elettronico. Questo servizio interattivo potrebbe essere utilizzato per consultazioni organizzate in sede di ela-borazione o di varo di iniziative comunitarie che riguardano i giovani 20 ._ Sulla base del lavoro già svolto dalla rete Eurodesk 21 , incoraggiare e/o istituire un solo ed unico portale elettronico che consenta l’accesso al maggior numero possibile di infor-mazioni di carattere europeo d’interesse per i giovani. Le reti d’informazione esistenti per i

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giovani e le organizzazioni giovanili che operano a livello europeo dovrebbero essere invi-tate a partecipare allo sviluppo di questo nuovo strumento di comunicazione._ Istituire / rafforzare il sistema di raccolta, di diffusione e di aggiornamento delle informa-zioni sull’Europa destinate ai giovani e a coloro che operano nel settore giovanile. Tale azione deve ispirarsi al lavoro svolto dalle reti esistenti. Le persone-risorsa che operano in stretta collaborazione con i giovani stessi devono essere maggiormente valorizzate._ La diffusione delle informazioni attraverso altri mezzi rispetto a quelli elettronici deve es-sere mantenuta, soprattutto attraverso i contatti diretti con i giovani.

COSA DICE LA CARTA EUROPEA IN TEMA DI PARTECIPAZIONE GIOVANILECarta europea riveduta della partecipazione

dei giovani alla vita locale e regionale

adottata dal Congresso dei poteri locali e regionali d’Europail 21 maggio 2003

(10a sessione – Allegato alla Raccomandazione 128)

Questo testo è una riedizione del documento originale pubblicato nel 1990 dal Consiglio d’Europa e nato dopo una serie di riflessioni che hanno preso il via con l’anno mondiale della gioventù (1985). Questa Carta di “seconda generazione” si articola in tre parti. La prima contiene dei principi guida destinati agli enti locali e regionali sulle modalità di attua-zione delle politiche riguardanti la gioventù in vari settori. La seconda parte contiene un inventario degli strumenti atti a stimolare la partecipazione dei giovani. Infine, la terza par-te fornisce dei consigli su come attuare il quadro istituzionale per favorire la partecipazione dei giovani.Analizzando la Carta, si trova il “Titolo II” (Gli strumenti per la partecipazione dei giovani) che non era presente nell’edizione del 1990 (Vedi Tab. 1).

Tab. 1: I nuovi strumenti di partecipazione contenuti nella Nuova Carta…CARTA DI PARTECIPAZIONE 2003 Titolo II

Gli strumenti per la partecipazione dei giovani (art. 42-56)

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La formazione per la partecipazione dei gio-vani (art. 42 e 43)

L’informazione dei giovani (art. 44-47)

Favorire la partecipazione dei giovani grazie alle tecnologie dell’informazione e della co-municazione (art. 48) Favorire la partecipazione dei giovani ai media (art. 49-50)

Incoraggiare i giovani a dedicarsi al volonta-riato e alla difesa delle cause a favore della collettività(art. 51) L’assistenza ai progetti e alle iniziative dei giovani(art. 52)

Incoraggiare lo sviluppo di organizzazioni giovanili(art. 53)

Partecipazione dei giovani alle organizza-zioni non governative e ai partiti politici (art. 54-56)

Vi è un’indissolubilità tra partecipazione ed informazione, tanto che questa è “elemento chiave” della partecipazione. Va garan-tito il diritto dei giovani all’accesso alle informazioni sulle possi-bilità che sono loro offerte e sui temi che li riguardano ed in ma-teria di partecipazione, fornendo loro mezzi ed assistenza per la realizzazione dei loro progetti, riconoscendo e valorizzare il loro impegno ed il volontariato.

Si invitano gli Enti locali a diffondere su tutto il territorio i centri di informazione e di consulenza destinati ai giovani, tesi a sod-disfare le esigenze espresse dai giovani. Non solo: questi centri dovrebbero localizzarsi dove i giovani sono, cioè scuole, i ser-vizi per la gioventù e le biblioteche. Tutto ciò senza dimenticare quei giovani che hanno delle difficoltà ad accedere all’informa-zione (ostacolo della lingua, assenza di accesso a Internet) e rispettando norme e principi professionali. Infine i giovani do-vrebbero avere la possibilità di partecipare alla preparazione, all’attuazione e alla valutazione delle attività e dei prodotti offerti dai Centri o dai Servizi di informazione per la gioventù ed esse-re rappresentati in seno agli organi direttivi di tali centri.La partecipazione ad attività e a progetti che li interessano e che essi stessi organizzano è spesso la prima tappa di un pro-cesso che porterà i giovani a coinvolgersi maggiormente nella vita della collettività, ivi compresa la vita politica.

Gli enti dovrebbero favorire la partecipazione dei giovani grazie alle nuove tecnologie (internet, telefonia mobile, sms) ed avvi-cinare i giovani ai media (giornali, radio, televisione, media elet-tronici), anche producendo con loro informazioni da divulgare attraverso questi canali e strumenti ad altri giovani, acquisendo così anche una maggior criticità rispetto ai media. Addirittura si auspica che gli enti locali sostengano la creazione di media gestiti da giovani e rivolti ad altri giovani

Gli enti dovrebbero sostenere e a favorire la partecipazione dei giovani a delle attività di volontariato, per esempio lanciando delle campagne di informazione e di promozione.

Gli enti dovrebbero facilitare le realizzazioni di progetti che par-tono dai giovani affiancandoli da operatori professionali e facili-tando l’accesso a dei sostegni finanziari, materiali e tecnici, per arrivare a realizzazioni locali vantaggiose per tutti e che posso-no aiutare i giovani a sviluppare il loro senso di responsabilità e la loro autonomia e a diventare dei protagonisti sociali

Gli enti dovrebbero sostenere le organizzazioni giovanili che realizzano attività, forniscono dei servizi o agiscono in quanto portavoce dei giovani all’interno della comunità e ne difendono la causa, o si occupano di cause sociali o locali

Gli enti dovrebbero promuovere la partecipazione dei giovani al sistema politico dei partiti, in generale, ed alle organizzazioni non governative.

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Anche nel Titolo III (l’ultimo, presente anche nell’edizione del 1990) inerente la partecipa-zione dei giovani alla vita locale, vi sono nuovi contenuti e paradigmi, come si vede nella Tab. 2.

Tab. 2: Le politiche si sostegno alla partecipazioneCARTA DI PARTECIPAZIONE 2003 CARTA DI PARTECIPAZIONE 1990Titolo III : La partecipazione istituzionale dei giovani alla vita locale (da art. 57 a 70)Consigli dei giovani, parlamenti dei giovani, forum dei giovaniAssistenza alle strutture di partecipazione dei giovani

Titolo III : La partecipazione istituzionale dei giovani alla vita locale e regionaleUn giovane delegato/a nelle strutture istituzionale de-gli Enti LocaliUna struttura di cogestione di progettiLa struttura di concertazione

Entrando nel dettaglio del Titolo III della Carta, si evidenzia l’importanza per gli enti locali di poter contare su strumenti istituzionali per favorire la partecipazione dei giovani (vedi tab. 3).

Tab. 3: Le politiche si sostegno alla partecipazioneCARTA DI PARTECIPAZIONE 2003 Titolo III

La partecipazione istituzionale dei giovani alla vita locale (da art. 57 a 70)

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Consigli dei giovani, parlamenti dei giovani, forum dei giovani (art. 59-66)

Assistenza alle strutture di partecipazione dei giovani (art. 67-70)

Gli enti locali dovrebbero mettere in opera strutture o dispositivi appropriati che consentano la partecipazio-ne dei giovani alle decisioni e ai dibattiti che li riguar-dano (dal quartiere alla regione), permanenti o pun-tuali su questioni specifiche (art. 57-58).

Un’effettiva partecipazione dei giovani deve basarsi sulla loro consapevolezza dei mutamenti sociali e cul-turali in corso all’interno della loro comunità, il che esige l’esistenza di una rappresentanza permanente (es. consiglio, parlamento o forum), i cui membri sia-no eletti o nominati ed il più rappresentativi possibili.Queste strutture di partecipazione attiva sono luoghi in cui i giovani possono liberamente esprimere inquie-tudini alle Amministrazioni e formulare proposte (es. sulla base del Titolo I), assumendo direttamente la responsabilità dei progetti (e la loro valutazione) e svolgere una parte attiva nelle politiche connesse. Inoltre le Amministrazioni lì possono consultare i gio-vani su questioni specifiche, concertare con le orga-nizzazioni giovanili e favorire la partecipazione dei giovani in altri organi consultivi degli enti locali e re-gionali. Infine queste strutture partecipative formano i giovani alla vita democratica e alla gestione della vita della comunità, applicando i principi di una cittadinan-za attiva, avvantaggiandosi anche dell’effetto moltipli-catore che può essere prodotto dalla partecipazione dei giovani (che potrà essere evidente anche nella partecipazione a elezioni, referendum, ecc.)

L’efficace funzionamento di queste strutture partecipa-tive dei giovani necessitano di risorse (spazi, fondi) e aiuti (assistenza tecnica), anche al fine di reperire altri mezzi finanziari da altri soggetti (sponsor, fondazioni, ecc.). A garanzia che vi sia tale assistenza, gli enti e le stesse strutture partecipative nominano un “garan-te” indipendente da entrambi. Questo dovrebbe anche fungere da intermediario tra i rappresentanti locali ed i giovani, esserne il loro “avvocato” in caso di tensioni con gli enti locali, colui che funge da tramite per le comunicazioni tra le due parti, valuta il livello di parte-cipazione e di impegno dei giovani alla vita locale e regionale, nell’ambito anche dell’attuazione di progetti o per determinarne le ripercussioni.

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GIOVANI, ASSOCIAZIONISMO E VOLONTARIATO: E’ VERA PARTECIPAZIONE? di Giovanni Campagnoli1 1. UNO SGUARDO D’INSIEME Il volontariato è senz’altro un fenomeno che mette in risalto la positività, la generosità e l’altruismo delle persone all’interno di una società. Sono molti, tra i volontari, anche i giovani. Parlando in generale di organizzazioni non aventi scopo di lucro (Tab. 1), pur con la difficoltà di effettuare stime in materia, i dati ufficiali parlano di oltre tre milioni di persone impegnate nel volontariato. Se a queste, aggiungiamo le persone che, pur senza essere iscritte ad una associazione, promuovono azioni di generosità verso gli altri, si può affermare che un italiano su dieci fa volontariato. Tab. 1: Il non profit in Italia Org. Non profit volontari Dipendenti entrate 221.412 3.292.468 531.926 37.782

Fonte: Istat 2003, pubblicata su Il Redattore Sociale, 2006 Gli ambiti di cui si occupa il No profit2 (cioè associazioni di volontariato, di promozione, coop. sociali, Fondazioni, ecc.) sono prevalentemente quelli della cultura sport e ricreazione (63,3%), poi istruzione e ricerca (5,3%), sociale (4,4%), relazioni sindacali (8,7%), rappresentanze di interessi (7,1%), altro (11,2%) (ambientalismo, filantropia, diritti, cooperazione internazionanale). Il “volontariato” inteso in senso stretto, come sotto insieme del nonprofit, previsto dalla legge 266/91 (e poi meglio inquadrato ed agevolato dalla 460/97, la c.d. legge onlus), oggi è definito come l’insieme delle organizzazioni che producono “utilità sociale”. Secondo l’Istat (2003) le associazioni di volontariato iscritte agli albi sono 21.021, attive in prevalenza nella sanità (28%) e nell’assistenza sociale (27,8%), poi (ed in aumento) nella ricreazione e cultura (14,6%), protezione civile (9,6%) ed ambientale (4,4%). Le attività offerte (i “servizi”) sono relative all’ascolto, sostegno ed assistenza morale (19,9%), donazione di sangue (17,4%), intrattenimento ed aggregazione (14,5%), inserimento sociale (13%), realizzazione di corsi tematici (12,9%). La maggior parte delle associazioni (74,5%) offre questi servizi esclusivamente agli associati (quasi raddoppiati negli ultimi 4 anni, dati Istat, 2003). Oggi il volontariato è sostenuto anche dai 77 centri servizi presenti in Italia, finanziati dalle fondazioni bancarie. Sempre secondo l’Istat (2003) i volontari (gli “iscritti”) sono 825.955, in prevalenza uomini (54,4%, contro il 45,6% di donne che però sono in aumento, erano il 40% nel 1995), la fascia d’età più presente è tra i 30 ed i 54 anni (41,1%). Per il resto i volontari sono prevalentemente occupati (52,2%) e pensionati (29,5%), il 18,3% è studente, casalinga o disoccupato. Cade quindi l’idea, un po’ squalificante, che il volontario possa essere in prevalenza un pensionato alla ricerca di occupazione del tempo… Le entrate per il due terzi di queste organizzazioni sono meno di 25mila euro/anno, mentre per il 5,4% sono superiori a 250.000 mila ed è in aumento il finanziamento dal settore privato. 1 Responsabile della coop. soc. Vedogiovane, docente di economia ed autore di diverse pubblicazioni ed articoli sulle politiche giovanili, si occupa di informazione, formazione e ricerca su questi temi. È anche presidente della rete di cooperative sociali politichegiovanili.it che promuove informazione e cultura, anche attraverso la gestione dell’omonima rete informativa in materia. 2 Fonte: Istat 2003, pubblicata su Il Redattore Sociale, 2006

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L’origine di queste associazioni avviene nel 44,5% dei casi da parte di autonomi cittadini, nel 21,2% da parte di associazioni e movimenti, nell’11,3% da parte di istituzioni ecclesiali, nel 5,9% da parte di gruppi di utenti e nel 2,1% da parte di partiti e sindacati. 1.1 Cooperazione sociale Diversa la situazione per la cooperazione sociale: si tratta di oltre 7.100 organizzazioni (59% di tipo A e 33% di tipo B) che coinvolgono 31.000 volontari e 223.000 occupati, con 267.000 soci, inserendo nel mercato del lavoro 24.000 soggetti svantaggiati e fatturando complessivamente 5 miliardi di euro (Fonte: CGM, 2004). 1.2 Cooperazione allo sviluppo internazionale e ONG L’Italia contribuisce con lo 0,16% del Pil ed occupa il penultimo posto tra i Paesi fondatori del Coordinamento dell’Ocse per l’aiuto ai PVS (gli Usa però sono allo 0,14%, l’Onu auspica una media dello 0,6%), la Francia è allo 0,34, i Paesi del Nord Europa e l’Olanda superano lo 0,7%. Negli ultimi anni c’è poi stata una burocratizzazione gestionale enorme che porta le ONG italiane (171 con 116 progetti approvati) ad attendere dai 2 ai 3 anni l’erogazione dei contributi per i loro progetti di sviluppo. Ciò comporta maggiori costi di oneri finanziari, oltre al rischio per un progetto avviato e non finanziato. Pochi i risultati ottenuti dalla campagna per la cancellazione del debito, poca la trasparenza sul tipo di aiuti che l’Italia concede ai Paesi poveri (ad es. non sono disponibili i dati sugli aiuti alimentari), mentre le quote per gli aiuti educativi di base sono dello 0,0% e dello 0,2% per gli aiuti sanitari3. 1.3 Banche del tempo: dal mutuo aiuto alla reciprocità Sono nate nel 1995 grazie ad un gruppo di donne a Sant’Arcangelo di Romagna, interessate a scambi per babysitting, lavori domestici e giardinaggio. Oggi in Italia sono più di 300 e sono vero capitale sociale per i soci, le famigli, le comunità. Il 55% oggi sono associazioni, oltre un quarto ha tra i 21 ed i 30 soci, il 17% tra i 31 ed i 40. Si scambiano saperi (23%9), cultura (17%), lavori domestici (17%) e manuali (10%) 1.4 Servizio civile Fenomeno degno di nota, che nel 2005 ha coinvolto oltre 45.000 giovani, motivati (indagine Arci 2005) dall’approfondire la propria formazione (36%), dall’aiutare gli altri (20%), piuttosto che dal fatto che possa essere una modalità di entrata nel mondo del lavoro (21%) o un modo per essere pagato (11%). Rimane una modalità per fare ciò che piace per il 9%, mentre per un 3% è un’esperienza come un'altra.

3 Il Redattore Sociale, 2006.

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2. GIOVANI E VOLONTARIATO 2.1 Una premessa Riprendendo i dati del volontariato rispetto alla sua origine (Cap. 1), si vedono chiaramente le due principali “matrici” valoriali che hanno contribuito al suo sviluppo, cioè associazioni e movimenti (oggi al 21,2%) ed istituzioni ecclesiali (oggi 11,3%). Con la fine dei partiti di massa e delle ideologie (storicamente intesi), oltre alla crisi dei grandi movimenti partecipativi, si assiste oggi, a livello generale, ad una “privatizzazione degli affetti e dei problemi”, unita ad una frammentazione ed alla fine delle sfide collettive (il termine “coscienza di classe” non è evocato da anni…). Ci si trova davanti dunque ad un diffuso “individualismo di massa” ed il futuro, per la prima volta dal Dopoguerra, appare ai giovani come una grande incertezza rispetto alla quale non è nemmeno chiaro se riusciranno a migliorare le condizioni di vita dei loro padri. Questa è una novità generazionale così grossa che, unita ad un declino dei riferimenti tradizionali (perché non in grado di spiegare la realtà) costringe i giovani a guardare a questo momento con altre lenti. Infatti se una volta le appartenenze erano chiare e caratterizzanti (oltre che connotanti ed identitarie per la persona4), oggi per quanto riguarda i giovani, si parla sempre di più di “pluriappartenenze” e “pluriidentità”. La stessa cosa vale per la rappresentanza: oggi non sono certo più partiti e sindacati a svolgere in via prevalente come in passato questo ruolo, a partire dal numero degli iscritti (ne hanno di più le associazioni dei consumatori e questo la dice lunga su cosa sta capitando…). Se ad appartenenza e a rappresentanza, anni fa conseguiva direttamente “militanza” anche questo è cambiato. Se forse oggi questo termine può essere usato per descrivere l’associazionismo (senz’altro giovanile) presente nelle tifoserie calcistiche5, per il resto le ricerche indicano che la militanza si riferisca prevalentemente al cogliere opportunità (di tipo “user”, dice lo Iard), soprattutto là dove ci sono grandi movimenti ed grandi adunanze massmediatiche (es. il calcio, le notti dei mondiali, le notti bianche6), che poi però producono poco sul territorio in termini di impegno concreto. Approfondite le dimensioni attuale della militanza, cosa significano invece oggi, per i giovani, rappresentanza ed appartenenza? Vediamo meglio: appartenenza oggi significa più una ricerca di luoghi di espressione di sé (di “protagonismo giovanile”), che non invece l’indossare una “casacca” definitiva. Rappresentanza: non sono certo le tradizionali forme di rappresentanza ad avere oggi il favore dei giovani, a partire da sindacati e partiti. In particolare i partiti sono messi agli ultimi posti anche dagli Assessori alle politiche giovanili quando devono ricercare soggetti del territorio con cui coprogettare7. Così quei pochi giovani nei partiti o i movimenti giovanili dei partiti non sono risorsa progettuale nemmeno per gli Amministratori locali, che mettono invece al primo posto i gruppi informali. E questo la dice lunga… Oggi allora, epoca in cui partecipazione non è certo un bisogno chiaramente espresso dai giovani e non è nemmeno più sinonimo di militanza, appartenenza e rappresentanza, da dove bisogna partire per promuovere l’associazionismo tra i giovani? Innanzitutto bisogna saper riconoscere ed intercettare nuove forme di partecipazione presenti nelle città8. Si tratta infatti di cogliere forme allargate di partecipazione giovanile alla vita locale, che si 4 Aiuta ripensare alle immagini dei film di don Camillo e Peppone, descritti da Guareschi. 5 Movimenti giovanili a volte molto ben organizzati e con anche mezzi di comunicazione ad hoc (es. radio), a volte anche ideologizzati, molto interessanti dal punto di vista della creatività e fantasia, deplorevoli in occasioni di violenze, tanto che da arrivare a chiederne un maggior controllo alle autorità, se non uno “scioglimento” (almeno delle frange più violente) cme ha fatto il Governo inglese nei confronti degli Hulligans. 6 Ma anche i funerali del Papa, piuttosto che per il concerto del 1 maggio a Roma o le grandi manifestazioni sindacali sul lavoro, la Giornata Mondiale della Gioventù a metà agosto, o il Global Forum a Firenze, o il giubileo dei giovani o il G8 a Genova. 7 R. Pocaterra, Iard, Conferenza nazionale degli Informagiovani, Castellammare di Stabia, 25 febbraio ‘05. 8 G. Campagnoli, “Là dove si rigenera cittadinanza”, in “Animazione Sociale” n°5, maggio 2005.

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manifestano con modalità “altre”, quali l’associazionismo giovanile in senso stretto, le leve civiche, il partecipare ad attività sportive, il fare musica insieme agli amici, suonare in una band, frequentare i centri di aggregazione giovanile (oratori, centri sociali, Cag), fino alle forme di espressione giovanile (graffiti e stikers ad esempio), o all’allestire piste di skate, (questi ultimi tutti nuovi modi di abitare la strada), ma anche e semplicemente frequentare il gruppo informale di amici ed oggi, probabilmente, il creare con le nuove tecnologie siti internet, il chattare, l’uso di sms, blog ed mms, il prendere parte ed eventi o movimenti, i “critical mass”, essere coinvolti in progetti ed azioni locali, ecc. Se queste sono le forme, bisogna corrispondere con strumenti ed interventi che favoriscano la partecipazione e l’associazionismo giovanile ed il suo rapportarsi con l’ente pubblico perché così si permette l’incontro tra giovani ed istituzioni, primo passo per conoscersi e co-costruire insieme un “pezzo di città”. 2.2 I giovani nel volontariato Le strutture pubbliche, pur con le migliori intenzioni, non riescano a coprire tutte le necessità sociali espresse dalle fasce disagiate, anziani, malati, bambini e abbandonati, largamente presenti nella nostra società. Di tutta questa gente, chi se ne fa carico? Lo Stato? Le strutture locali? Sì, ma ad affiancarlo c'è un mondo che, pur senza poter contare su grandi risorse economiche, su strutture territoriali pubbliche e mezzi adeguati, fa fronte alle mancanze degli organismi istituzionali con grande efficacia: è il volontariato capace di affrontare situazioni anche là dove l'ente pubblico non è in grado di intervenire. Un italiano su dieci fa il volontario: in totale ben 600.000 persone che dedicano con continuità ed in modo del tutto gratuito parte del loro tempo a cause solidali (altri tre milioni lo fanno in modo saltuario) assistendo 2 milioni e mezzo di persone. Si riconoscono in tredici mila organizzazioni, in aumento anno dopo anno, per le quali svolgono un’attività equivalente a quella fornita da quasi 70 mila lavoratori, pur senza ricevere particolari attenzioni dallo Stato. Curiosamente si è sempre ritenuto che il volontariato si basasse per lo più sull’impegno di persone ormai in pensione o alla ricerca di un’attività, magari non troppo costrittiva, che desse loro l’opportunità di sentirsi ancora utili9. Se quindi non sono indubbio il senso e l’utilità sociale del volontariato, è interessante verificare l’appeal che queste organizzazioni hanno nei confronti dei giovani. I dati dell’ultima rilevazione Fivol sulle organizzazioni di volontariato10 indicano una contrazione della partecipazione giovanile nella solidarietà organizzata. Le spiegazioni, molto oneste, sui fattori che frenano i giovani sono molteplici. Si riferiscono innanzitutto all’odierna condizione giovanile, ad una certa caduta dei valori della solidarietà attiva e diretta, ma anche ai problemi interni al mondo del volontariato. Problemi legati alla capacità di disseminare la cultura della solidarietà, ma anche alla capacità di saper accogliere i volontari in un contesto associativo motivante e capace di fornire stimoli formativi e rinforzi valoriali. A quanto emerge da una ricerca effettuata dal Dipartimento per gli Affari Sociali qualche tempo fa su un campione di 1600 giovani tra i 15 e i 29 anni: sono tantissimi, quelli che fanno volontariato, addirittura 1 su sette (13%, quindi più della percentuale degli adulti, vista prima, che è del 10%), ed il 60% di loro continua l’impegno oltre il primo anno. Da segnalare anche che un terzo degli intervistati dichiara che il proprio impegno di volontario è iniziato in ambito parrocchiale. Da un’altra ricerca11 emerge anche che i giovani tra 24 e i 31 anni sono il gruppo d’età meno impegnato nel volontariato (vedi Tab. 2).

9 W. La Ferla: “Giovani e volontariato”, Prodigio, n° 4, agosto 2003, pag. 9, Trento 10 Frisanco Renato, I giovani nel volontariato, in: Rivista del volontariato, n. 1 gen.2003, p. 39-40. 11 "Giovani-adulti, famiglia e volontariato. Itinerari di costruzione dell'identità personale e sociale", a cura di Lucia Boccacin ed Elena Marta, edizioni Unicopoli, 2003.

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Ma dove si impegnano? Dalla ricerca emerge che il settore socio-sanitario è quello che esercita la maggior attrazione: ben il 48% degli intervistati s'impegna nell'assistenza sociale, il 32% in quella sanitaria mentre il 18% pratica attività educative. Il volontariato rimane comunque un’esperienza praticata da meno del 13% dei giovani che in un caso su tre hanno iniziato la loro esperienza di solidarietà in parrocchia. E il 77% come giustifica il loro disimpegno? Poco tempo e "pigrizia", insieme alla limitata conoscenza delle cosiddette "associazioni no profit", tengono lontano molti giovani dall’accesso al mondo organizzato della solidarietà. Tab. 2 Giovani e volontariato: quali le risposte Attualmente svolgi attività di volontariato? Sì 12,9%. Ritieni molto, poco o per niente importante l’operato di coloro che svolgono attività di volontariato? Molto 91,6%; abbastanza 3,9%; poco 4,1%; per niente 0,4%. In quale dei seguenti settori dovrebbe operare chi svolge attività di volontariato? E poi? Assistenza sociale 54,6%; assistenza sanitaria 40,1%; ambiente 24,7%. Chi, tra i soggetti elencati, promuove maggiormente le attività di volontariato? Le associazioni 52,1%; la Chiesa 35,4%; le singole persone 26,8%; i comuni/le regioni 15,9%; i partiti 2,2%; non sa/non risponde 2,3%. Come ti sei avvicinato all’attività di volontariato? Attraverso la parrocchia 31,8%; ne hai sentito parlare da amici e conoscenti 27,3%.

Fonte: Fivol, 2005

2.3 Un nuovo volontariato dei giovani Secondo il Libro Bianco12, il volontariato, che è al contempo un modo di partecipazione sociale, un’esperienza educativa, un fattore di occupabilità e di integrazione, risponde alle aspettative dei giovani e della società. Non solo: i giovani affermano il loro ruolo di cittadini responsabili. A questo titolo desiderano essere maggiormente associati alla vita della collettività e vogliono pronunciarsi sulle tematiche più svariate. Questa volontà di partecipazione deve potersi esprimere a diversi livelli – da quello locale a quello internazionale -, devono comportare diversi registri – attivi e rappresentativi – e non devono escludere nessun tipo d’impegno – dal più specifico al più duraturo, dal più spontaneo al più organizzato. Inoltre, la partecipazione dei giovani non può essere limitata alla sola consultazione e ancor meno a sondaggi d’opinione, ma deve includere i giovani nel processo decisionale. È essenzialmente nella vita locale che la partecipazione deve svilupparsi, e anche nella scuola che è uno spazio privilegiato di partecipazione13. Occorre d’altronde allargare la partecipazione ai giovani che non sono organizzati in associazioni. Le autorità locali potrebbero attivare dei meccanismi partecipativi flessibili e innovatori e nella generalizzazione di consigli regionali e nazionali della gioventù aperti anch’essi ai giovani che non rientrano in organizzazioni. Volontariato quindi come forma di partecipazione alla vita della città: ma la partecipazione reale (che significa quindi anche cessione di potere e messa a disposizione di risorse) avviene poi realmente? O si guarda invece ai giovani come un’età a cui da una parte non si vorrebbe rinunciare (vedi i modelli di bellezza, lifting e trapianti di capelli, ma anche ricerca di prestazioni ed arrivismo senile…), ma di cui si ha paura? Tanto che prevalentemente di guarda ai giovani solo pensando di rivolgersi ad una categoria di “minus” (persone che ancora non sono o ancora non sanno) o in ottica caritatevole, se non punitiva (perché potenziali criminali, tossicodipendenti, spacciatori, ecc.)? Quanti sono 12 Commissione Europea: “Libro Bianco della Commissione Europea: un nuovo impulso per la gioventù europea”, Bruxelles 2001. 13 Gio Rap, “Giovani Rappresentanze”, Il Decalogo, CNCA.

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convinti che i giovani siano una risorsa e non un problema? E quanti invece li vedono già oggi come delle persone e non cittadini del futuro, rimandando ad un domani un confronto con loro? La sfida dell’oggi è quella di cominciare a pensare a città/comunità locali più a misura di giovani, con spazi di partecipazione e di aggregazione come qualcosa di “normale”, città dove la gente si possa incontrare, in un momento segnato da frammentazione, individualismo, intolleranza. Fare politiche per i giovani vuol dire questo: ricostruire legami sociali, creare nuova fiducia tra giovani e tra giovani ed adulti e istituzioni, rigenerare “cittadinanza”. Fare loro spazio. Questa, pur in ritardo di decenni, potrà essere una nuova sfida per amministratori locali e nazionali. Favorire in una comunità la creazione di legami sociali tra giovani e tra questi e le istituzioni ed il mondo adulto, significa promuovere una possibile modalità di partecipazione alla vita della città e del Comune. Si tratta allora di partire dalle istituzioni con dei “mediatori” che possono creare ponti tra parti oggi separate. Per fare questo gli strumenti sono molti e vanno scelti sulla base delle situazioni locali, sempre diverse tra loro. Spazi giovanili, percorsi formativi, Informagiovani, eventi, servizi, peer education, cag, percorsi nelle Scuole e Università sull’educazione civile, forum, consulte, nuovi media, ecc. Oggi i tratti di un “new deal” della partecipazione giovanile si possono cercare nella Carta di partecipazione dei giovani alla vita locale14 in cui il concetto di partecipazione ha una doppia dimensione: quella del “prendere parte” e quella del “sentirsi parte”, come se ci fosse un modo razionale legato al campo del diritto-fondamento, unito però ad uno più emotivo del “sentirsi dentro” a processi, alla comunità, a varie forme di appartenenze per la ricerca di un “bene comune”. Questo “sentire comune” fonda e mantiene vivi i legami, le passioni, il piacere di incontrare le persone (che quindi non è solo un diritto/dovere) e forma quello che viene chiamato koinè , termine greco che significa appunto “senso di comunità condiviso”. Il “sentirsi dentro” a questi processi di partecipazione giovanile passa per la costruzione di un “clima” buono, dove c’è anche una dimensione di svago e di piacere perché in questi contesti possono emergere potenzialità, idee e risorse di chi vi partecipa. Pensare a questi percorsi di partecipazione come a catalizzatori necessari alla produzione di capitale sociale è certo un nuovo modo di intenderne la mission ed il ruolo. Inoltre significa avere in ogni Comune una “produzione” di piccoli (ma importanti) “beni pubblici” che derivano da processi relazionali “caldi”. 2.4 I nuovi termini della partecipazione Già da quanto fin’ora visto si evidenziavano nuovi tratti della partecipazione giovanile.. Che, va ribadito, non è un bisogno chiaramente espresso. Ribadendoli sono: - individuare, riconoscere, intercettare e coinvolgere nuove forme di partecipazione giovanile (quelle prima viste); - unire il “prendere parte” al “sentirsi parte” e quindi privilegiare anche la dimensione della relazione oltre che quella legata al compito in senso stretto; - occuparsi di questioni che sono sentite come proprie e su cui si ha qualcosa da dire, assumendo impegni e responsabilità, ma con anche la possibilità (il diritto) allo sbaglio; - poter contare realmente all’interno delle strutture partecipative che si frequentano, facendo in modo che vi sia una cessione reale di potere, anche in ruoli di responsabilità; - essere, di conseguenza, accompagni da adulti mediatori/facilitatori in questi processi che sono poi delle “palestre” per sviluppare autonomia15 e quindi cittadinanza; 14 Consiglio d’Europa, Congresso dei poteri locali e regionali d’Europa: “Carta Europea riveduta della partecipazione dei giovani alla vita locale e regionale”, Strasburgo 2003. 15 L’autonomia è una grande rivendicazione dei giovani. Questa autonomia si basa sui mezzi che si concedono loro e in primo luogo sui mezzi materiali. A questo proposito quindi la questione del reddito è

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- utilizzare strumenti di comunicazione adeguati ai tempi16, ricordando che la “gradevolezza” dei prodotti di comunicazione17 è percepito come indicatore di attenzione dedicata a quel tipo di politiche18; - forse anche poter contare su una visibilità mediatica (si pensi al volontariato nelle olimpiadi o al partecipare a manifestazioni di protesta dove è forte l’interesse dei media, piuttosto che pubblicare sul web i risultati delle proprie azioni vandaliche). Tab. 3 Qualche dato tra il visibile ed il non visibile Forse non tutti sanno che… Ogni estate con l'Agesci partono almeno 1500 scout, dai 13 ai 20 anni, per esperienze all'estero: campi di lavoro per assistenza a orfanotrofi, profughi e rifugiati, oppure attività di gemellaggio tra gruppi scout, soprattutto nell'area dei Balcani e in Africa. Attività di formazione ed educazione alla pace vengono invece realizzate in Italia durante tutto l'anno. Fonte: Agesci.it. I campi internazionali hanno alla base un'idea di solidarietà e di cooperazione internazionale: attraverso un'attività concreta e l'incontro di giovani di tutto il mondo, i campi permettono di vivere, nella quotidianità di una esperienza concreta, i valori del dialogo, della convivenza, della pace e dell’ impegno civile. I campi nascono e si diffondono come proposta concreta per gli enti e le comunità locali;. Lunaria propone ogni anno più di 1300 progetti in circa 40 paesi di tutti i continenti grazie alla adesione all'Alliance of European Voluntary Service Organisations, network di organizzazioni che promuovono il volontariato internazionale di breve termine. Ai progetti partecipano in media ogni anno 400 giovani volontari italiani. Così come sono 400 i volontari stranieri coinvolti ogni anno nei 40 campi in Italia organizzati da Lunaria insieme a associazioni ambientali, culturali e antirazziste, enti locali, gruppi di giovani che operano nelle diverse regioni italiane (Fonte: www.lunaria.org, 14 non ’06). Sempre nel campo della cooperazione internazionale vi sono tra le 1.500 e le 2.000 posizioni per missioni di 6/12 mesi nelle ONG italiane e letteralmente decine di migliaia di posti con le ONG internazionali. Si tratta a volte anche di trampolini per vere e proprie carriere di funzionario nella cooperazione internazionale (sono circa 3.000 gli Italiani che lavorano per l'ONU in questo momento, fonte www.ilcooperante.it). Nel 2004 si è costituito il Forum nazionale dei giovani grazie ad un percorso avviato, per la prima volta, “dal basso”, orizzontalmente, e voluto dalle associazioni giovanili nazionali. Il primo risultato è stato il riconoscimento da parte del Ministero del Welfare ed un finanziamento di 500.000 euro con la finanziaria ’05 (il 75% per il Forum nazionale ed il 25% per i Forum regionali, fonte www.politichegiovanili.it). In Italia presso il Ministero della Solidarietà Sociale opera l’Agenzia nazionale preposta all’attuazione del programma comunitario “Gioventù”, che ha l’obiettivo di promuovere opportunità e formare alla cittadinanza europea. Anche questa senz’altro è un’attività molto significativa. I partecipanti agli scambi giovanili europei (nel 2005 ben 171!) sono ogni anno circa 2.200 e 350 sono i giovani che svolgono attività di volontariato all’estero. Da non dimenticare poi la rete del Commercio Equo e solidale: movimento anche questo giovanile, che conta più di 500 botteghe, situate per la maggior parte nel centro nord, a cui fanno capo oltre 250 tra associazioni e cooperative ed impegnano circa 15.000 volontari e qualche centinaio di lavoratori regolarmente assunti. La realtà di commercio equo più importante è rappresentata dal consorzio CTM Altromercato (secondo in Europa per fatturato) a cui aderiscono 130 soci tra associazioni e cooperative per un totale di oltre 360 punti vendita, 6.000 volontari e oltre duecento dipendenti. Il fatturato complessivo del commercio equo in Italia in un anno si aggira sui 80/90 milioni di euro.

Fonte : www.politichegiovanili.it

centrale. Le politiche dell’occupazione, della protezione sociale, dell’aiuto all’inserimento, ma anche quelle degli alloggi o dei trasporti interessano la gioventù. Esse sono necessarie per permettere ai giovani di diventare autonomi prima e andrebbero sviluppate tenendo conto del loro punto di vista e dei loro interessi e attingendo al bagaglio di esperienze specifiche nel campo delle politiche della gioventù. Siccome vogliono essere attivi nella società e si sentono parte in causa nelle politiche che interessano i diversi aspetti delle loro condizioni di vita, i giovani rifiutano l’idea che le politiche della gioventù vengano ristrette ad ambiti specifici. 16 Basta con l’usare fotocopie e cliché grafici che nemmeno usano più in Russia dai tempi in cui si stampava la Pravda! Basta arredare i Centri giovanili con i mobili scartati dai parenti… 17 G. Campagnoli, M. Martinetti: “Quando un parco rinasce cantiere culturale giovanile”, in “Animazione Sociale”, n° 3, Marzo 2006. 18 R. Balbo: “Progetto giovani”, Utet, Torino, 2000.

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Ma c’è di più, molto di più: ai giovani piacciono le esperienze associative che si basano su valori forti ed è evidente da più parti: si pensi sia alla cooperazione internazionale che al commercio equo, piuttosto che al Movimento per la legalità di Libera (1.000 giovani coinvolti nell’estate del 2006 nei campi di lavoro nelle terre sottratte alle mafie19) o a quello contro le mafie dei ragazzi di Locri (vedi www.eadessoammazzatecitutti.it). Ma anche alla rete di Botteghe del Commercio Equo, gestite quasi elusivamente da giovani. Questo per dire sia che non è esatta l’affermazione secondo cui “i giovani non hanno più valori”, anzi. Se poi aggiungiamo le manifestazioni ed i movimenti legati ai consumi critici, alle Banche del tempo, alle campagne contro gli OGM, al risparmio dell’acqua (tutte aggregazioni che da sempre vedono i giovani in prima fila, anche come ideatori, e che aggregano tribù giovanili che vanno, per esempio, dagli Scout ai Centri sociali20), è evidente che i valori ci sono, che i giovani ne sono portatori sani” e che davvero sono sfide che “sanno di futuro”. Con tutta la loro “potenza”. Ma forse, essendo valori diversi, non si vogliono vedere (vedi Tab. 3), per cui le notizie sui giovani devono evocare sempre più le paure del mondo adulto (droga, bullismo, incidenti d’auto, il branco, il satanismo, ecc.) che non valori o richiami ad un’etica pubblica21 Infine, ma non certo per importanza, esiste una domanda di informazione e formazione da parte dei giovani rispetto ai loro diritti ed alla partecipazione alla vita della città, al “come si fa”, al “da dove si comincia”. Unita ad un bisogno di riconoscimento. Nel Libro Bianco il messaggio più importante lanciato dai giovani sancisce proprio la loro volontà di partecipare attivamente alla società in cui vivono, considerando ingiusta e non fondata l’opinione secondo cui sarebbero poco interessati e poco impegnati. Piuttosto ritengono che non vengano dati loro né i mezzi finanziari né le informazioni o la formazione che consentirebbero loro di svolgere un ruolo più attivo. I giovani, pur riconoscendo che il livello di impegno differisce notevolmente da un giovane all’altro, rivendicano il diritto di parola per tutti gli aspetti della loro vita quotidiana come la famiglia, la scuola, il lavoro, le attività di gruppo, il quartiere, ecc.; in questo modo, però guardano in modo più ampio anche alle questioni economiche, sociali e politiche. L’interesse dei giovani non si limita alle questioni locali, ma abbraccia anche la regione, il paese, l’Europa e il mondo. In altri termini, il diritto di partecipazione non può essere circoscritto e deve poter essere esercitato senza restrizioni. Come presupposto alla partecipazione, i giovani devono acquisire o sviluppare delle competenze. Si tratta di un processo graduale di apprendimento. I giovani giudicano insufficienti gli attuali meccanismi di partecipazione. Diffidano di alcune forme di democrazia rappresentativa, ma non nutrono la stessa reticenza quando vi è un impegno di prossimità, più diretto e immediato. Le opinioni sulle organizzazioni giovanili sono concordi, alcuni le ritengono le strutture di partecipazione più adeguate, altri le trovano prive di sufficienti attrattive; in questo caso vengono privilegiati gruppi attivi a livello locale più o meno istituzionalizzati, associazioni o club giovanili, parlamenti dei giovani, ecc. Sono pochi coloro che pensano che la scarsa partecipazione giovanile alla vita pubblica sia dovuta ad un rifiuto di principio o a una volontà deliberata della società22.

19 L. Ciotti, “Primo Piano”, Rai 3, 17 novembre 2006. 20 Sottolineando la positività di questi movimenti (altamente disomogenei tra loro) quando sono portatori di idee e valori, così come il loro coinvolgimento nel percorso che ha portato all’elaborazione del disegno di legge sulle politiche giovanili presentato alla Camera dei Deputati il 13 luglio 1999,, ma condannando atti ed azioni che hanno prodotto violenza ed illegalità. 21 In una società che al il più alto indice di invecchiamento ed una spesa pubblica di 14 volte sbilanciata a favore degli anziani rispetto ai giovani. Si pensi che se all’inizio degli anni ’50 la popolazione italiana era di 47,5 milioni di abitanti, il 34,6% aveva meno di 20 anni; gli ultrasessantacinquenni erano l’8,2% della popolazione. Oggi su 57,8 milioni di abitanti, i giovani con età inferiore ai 20 anni sono il 19,6% e gli ultrasessantacinquenni il 18,2%. 22 Libro Bianco, pag. 25/26.

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Ma a tutta questa domanda di impegno e di “valori”, a partire da quelli relativi ai temi della globalizzazione, della pace e dei rapporti Nord-Sud, spesso le istituzioni e i governi latitano e la società civile si interroga se riesce a prestare maggior ascolto alle istanze dei giovani. Ciò in un contesto in cui lo Stato non ha mai assunto un compito politici/istituzionale forte, rispetto ad azioni di educazione alla democrazia ed alla scuola (a differenza degli altri Paesi europei), delegando questo ruolo, come si è visto, a famiglia, associazioni, partiti e sindacati, Chiesa. Il must per anni è stato “lo Stato istruisce, forma, ma non educa” (vedi Tab, 4), in quanto si arrivava dal periodo dei “valori” della dittatura. Tab. 4: Il circolo vizioso delle politiche giovanili italiane

Pochi enti23 e risorse (0,1% dei bilanci)

Non promozione di Interventi culturalmente partecipazione giovanile deboli e monotematici

Non promozione di temi attuali e valori forti

Fonte: politichegiovanili.it

In ultimo, ma non certo per importanza, spicca senz’altro il Servizio Civile Nazionale volontario, che a cinque anni dall'approvazione della legge istitutiva (legge 64 del 6 Marzo 2001), e mentre si continua a discutere sull'ipotesi di renderlo obbligatorio, ha visto nel 2005 ben 45.175 giovani “avviati” ed oltre tremila enti pubblici e privati che hanno fatto richiesta di accreditamento presso l'albo nazionale degli enti. L'esperienza del servizio civile, negli ultimi anni ha permesso di creare un contatto tra associazioni e numerosi ragazzi interessati. Ragazzi che in molti casi non sono “persone solo da formare”, ma spesso sono portatori di idee e contenuti nuovi e originali. Al di là della retorica, non sempre le realtà associative riescono a rispondere in modo adeguato a

23 Va ricordato infatti che gli Enti locali in Italia hanno adempiuto ad un obbligo che in altre Nazioni è delegato al governo centrale (in quanto ritenuto un compito istituzionale fondamentale dello Stato), dall’altra i Comuni hanno dimostrato una “valenza valoriale debole” (per la scarsità di risorse stanziate che ha influito sulla qualità delle proposte, come già detto nel cap. 1). Non solo: in questo “contesto debole”, ogni Amministrazione locale: - “naviga a vista” (nel non ben definito quadro normativo nazionale e regionale); - sviluppa una progettualità più su basi di sensibilità, che per riferimenti normativi certi; - agisce con logiche da separato in casa tra i diversi assessorati e con le altre istituzioni; - sviluppa politiche low-cost (sviluppando, a volte, la rischiosa percezione che se costa poco, vale poco…), che però comunque generano risorse ben superiori a quelle investite; - potenzialmente potrebbe veder realizzato il principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale (art. 118 della Costituzione), anche se fatica a coinvolgere i giovani sia nei Piani della 328/00, sia nei Patti territoriali per lo sviluppo; - di positivo c’è che oggi l’Assessorato alle politiche giovanili ha sviluppato una propria mission specifica ed identitaria, ben separata dal politiche sociali, del lavoro, cultura e tempo libero.

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questa domanda di protagonismo: quanti giovani sono inseriti nei consigli di amministrazione o tra i quadri dirigenti delle nostre ong?24 Oltre a quanto già detto nel cap. 1 rispetto alle motivazioni dei giovani, la ricerca dell’Ufficio nazionale per il servizio civile (dicembre ’05) afferma che per quasi tutti i volontari (96 per cento) la scelta di fare il servizio civile viene dalla voglia di essere utile agli altri; si parla anche di crescita personale, socializzazione e responsabile autogestione. Ma le motivazioni economiche fanno, comunque, la loro parte e per il 71 per cento determinano la decisione. E contano quasi quanto la possibilità di trovare un lavoro, che nel 67 per cento dei casi spinge i ragazzi a interessarsi al servizio civile.Non c’è certo da gridare allo scandalo, anzi. È che anche il volontariato si deve adeguare e prendere le forme della generazione stage e “co. co. pro”. E, in un certo modo, “lasciarsi contaminare”. Non che non si possa più parlare di solidarietà, sensibilità, generosità; i tantissimi giovani impegnati nel volontariato ne hanno in abbondanza. Ma sono le forme del servizio, appunto, a mutare. Anzi, per dirla meglio, sono i tempi a non essere "quelli di una volta". Ma non è in gioco la purezza del volontariato, ma la coerenza dei percorsi proposti ai giovani all’interno di queste organizzazioni: infatti l'esperienza del volontariato per i ventenni di oggi, infatti, passa spesso dalle porte delle scuole, del servizio civile o da quelle delle università (che organizzano tirocini e li valutano come crediti formativi), per poi diventare possibile occasione di lavoro25. "Venti o trenta anni non si era così ossessionati dalla ricerca del lavoro, invece i ragazzi oggi sono ossessionati dal futuro. Fanno volontariato fino alla scuola media superiore, poi all'università rallentano. E si tratta di un volontariato ambiguo, che diventa preludio al lavoro perché non ci si può permettere di avere tempo libero. L'ossessione è creare competenze e rapporti spendibili a livello professionale: l'elemento della gratuità assoluta pare un po' messo tra parentesi, all'interno di un discorso molto complesso in cui si combinano servizio e interesse personale”26. Ciò porta in luce, con forza, anche il forte bisogno di orientamento dei giovani e, di conseguenza, anche la valenza orientativa che può avere il Servizio civile e che deve essere assunta dalle organizzazioni e dei tutor che accolgono questi ragazzi. Questo poi deve condurre ad una riflessione e cioè che vanno introdotte altre categorie quando si parla di partecipazione giovanile, categorie forse da sempre presenti, ma che oggi possono finalmente essere esplicitate, a partire dalla parola “vantaggio”. Senza retorica, va assunta e trattata, perché così facendo diventa trasparente, oggetto di comunicazione, e quindi svelata e liberata da eventuali fantasmi. Arrivando così, il più delle volte, a chiamarsi “reciprocità” che ha tutto un altro sapore, anche etico. E dà senso all’esperienza, vera domanda dei giovani. Infatti è questo che i giovani chiedono: ricerca di senso autentico dalle loro esperienze, che altrimenti vedono come tante fotografie, ma non collegabili. Allora anche il volontariato deve permettere momenti di riflessioni sia sull’esperienza stessa (per mettere in luce situazioni di non tutela di diritti o di bisogni emergenti), ma anche spazio per un confronto con un adulto che sia in grado di passare dai tanti fotogrammi ad un film, unendo trame che magari ci sono, ma che sembrano spezzate. Fare dei “link” si direbbe oggi! Anche questa è senz’altro una dimensione della partecipazione attiva. Avendo tra l’altro chiaro che il sociale non dovrebbe avere come oggetto solo la “riparazione” di guasti della società attuale (tra l’altro spesso in tempi e spazi diversi da quello ordinari), ma anche un’azione diretta ad evidenziare le criticità di quella attuale, in modo che produca “meno guasti possibili”. Così il lavoro sociale deve entrare nel quotidiano, mettendolo in discussione e quindi andando controcorrente. Anche i piccoli fatti posso produrre cambiamenti. La storia insegna che anche ciò che in apparenza e nell’immediato sembra debole può essere 24 Fonte, presidenza Focsiv. 25 T. Fabiani, La Repubblica, 8 dicembre 05. 26 Vedi Nota precedente.

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invece importante, come nel teatro epico. Si ricordi ad es. l’idea delle banche del tempo (cap. 1), del micro credito alle donne dei PVS (la cui teoria ha permesso l’assegnazione di un Nobel dell’economia), la finanza etica, il commercio equo. Ci sono poi anche altri termini da introdurre, a partire da organizzazione e coordinamento. Pur in forme leggere e dinamiche e flessibile, queste dimensioni nella partecipazione e nel volontariato ci devono essere, senza limitarne la spontaneità e l’entusiasmo, la freschezza, l’energia e la passione, ma invece dirottandole sui binari corretti. Se dell’attenzione alle relazioni (alle risorse umane si direbbe in azienda), si è già detto, vale la pena di concludere accennando al fatto che gli assetti partecipativi saranno sempre più variabili e ciclici (esiste un ciclo di vita della partecipazione con tempi ed intensità diverse da parte dei volontari, visto che appartenenza e militanza non sono più quelle di un tempo…), ma che anche questi sono dimensioni da cui si può partire per progettare con i giovani. Infine che è pregante per i giovani un’esperienza legata alla dimensione del fare, dell’organizzare e che queste variabili hanno un grosso appeal sui giovani. Infatti oggi sono in crisi anche le altre forme di partecipazione, quali Forum e Consulte, dove centrale era la dimensione del confronto, dove la verbosità (volte però inconcludente) prevaleva su aspetti più dinamici e leggeri. 2.5 Volontariato, si se… Per concludere allora è necessario pensare ad un volontariato che offra esperienze orientative certificate27, di ricerca di senso e che possa anche essere l’avvio per percorsi lavorativi? Forse. Non certo tutto il volontariato, ma in particolare il Servizio civile potrebbe arrivare, in ottica di esperienza orientativa, a far intravedere percorsi idonei non tanto (o non solo) a cercare lavoro, ma addirittura a crearlo, attraverso spinte imprenditive motivate da interessi e passioni, sperimentati per un anno e ora “motore di ricerca” di una occupazione che soddisfi anche dimensioni personali di senso e di significato28. Infatti si pensi ad esempio alla dimensione più artistica: in Italia mancano dei percorsi che possono portare un giovane a fare il musicista, il dj, il fotografo, il writers. Mentre a Manhattan o Londra ad esempio esistono scuole, spazi, circuiti ad hoc, da noi il tutto è legato all’improvvisazione. Per cui se pensiamo a dei ragazzi bravi nel loro ambito specifico, che vogliono trasformare un interesse ed una passione in un lavoro motivante, il volontariato (in primis il Servizio civile) possono anche permettere questo “investimento protetto”: un anno per costruire reti, contatti e trasformare un sogno in un progetto di vita, con obiettivi chiari e possibili, trasformabili nel tempo in risultati. Bisogna usare le “e”, collegare il tempo libero a quello lavorativo, collegare scuola e formazione all’extrascuola, pensare a politiche per i giovani tra loro integrabili, non separate in casa, come è sempre avvenuto fino ad oggi. Anche per quel che riguarda la formazione della classe dirigente e politica (come si entra in politica oggi, potrebbe essere già una buona domanda!). A partire dai Comuni che sono percepiti oggi come il “pezzo di Stato più vicino ai cittadini29” e quindi i luoghi e le occasioni di un rapporto più diretto per l’elaborazione di politiche. Il politico deve imparare a fare sistema: si pensi alla musica ed all’esperienza dei club europei, luoghi ad hoc per la musica dal vivo. In Italia invece sono pochissimi, tassati come spazi commerciali, spesso legati a grandi eventi e grandi artisti. O al cinema: in Francia le sale di cinema digitale sono una realtà: piccoli spazi da cento, due cento posti per promuovere un cinema di qualità, mentre in Italia queste sale sono 27 Le università marchigiane ( Urbino e Camerino) hanno già attivato il riconoscimento dei crediti formativi, così come l’Università Statale di Milano che, nell’offerta formativa a. a. 2004/ 2005, ha inserito il riconoscimento di crediti ad alcuni Corsi di Laurea Triennali della Facoltà di Scienze Politiche. 28 Ciò, come già detto nel Cap. 1, è anche previsto dal Libro Bianco: “Il volontariato, che è al contempo un modo di partecipazione sociale, un’esperienza educativa, un fattore di occupabilità e di integrazione, risponde alle aspettative dei giovani e della società”. 29 G. Campagnoli, N. Trabucchi: “Giovani & idee”, Provincia di Novara, 2002.

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meno di dieci! Eppure sarebbe una grossa opportunità legata sia alla promozione culturale, che alla creazione di posti di lavoro. Così come agli “Equobar” (sono forse cinque in Italia), bar cioè con i prodotti del commercio equo e solidale e locali biologici: spazi di qualità, in grado di offrire lavoro “vero”. Lo stesso dicasi per i catering con questo tipo di prodotti. Ma, ancora in ambito culturale, si pensi allo scarso numero di teatri nelle nostre città ed in ambito sciale ai nuovi bisogni per le giovani coppie rispetto a servizi per l’infanzia quanto lavoro potrebbero fornire (sono previsti 7.000 nuovi nido”, ma non saranno certo tutti a gestione Pubblica…). O ai beni architettonici. O, anche, al turismo giovanile, magari proposto nelle Scuole, nei periodi di vacanza, così come avviene nel Nord Europa, dove è gestito da organizzazioni giovanili (giovani che accolgono altri giovani). Tutto ciò non significa che il volontariato o il Servizio civile debba assumere una “deriva lavorista” per essere attraente per i giovani. Deve assumere una dimensione di senso, che però può anche essere declinata in questi modi. Nella convinzione che una occupazione nata da un imprinting di volontariato ne conserverà certo una dimensione valoriale ed etica, oltre a promuoverne altro. Allora la politica delle “e”, della creatività, in un Paese che ha fatto proprio dell’arte e dell’innovazione il fattore del suo sviluppo e che però oggi vede, nel “made in Italy”, delle criticità forti.

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ALLEGATO 1 CREATIVITA’ vs DECLINO30 Le statistiche dicono che l’Italia: è la nazione con il più alto numero di beni tutelati dall’Unesco e riconosciuti patrimonio mondiale dell’umanità (40 su un totale di poco superiore a 600); custodisce oltre il 40% del patrimonio artistico-monumentale mondiale; continua a perdere posizioni nelle classifiche delle mete turistiche, passata, negli ultimi 20 anni, dal secondo posto alle spalle degli Usa, al quinto posto attuale, superati da Francia, Spagna e, nel 2004, anche da Cina. Due ricerche (di ance/Fondazione Ambrosetti e Creativy Group Center, organizzazione europea vicina a Richard Florida, il teorico delle 3T: Talento, Tecnologia, Tolleranza) riguardano la capacità creativa degli Italiani ed il peso che essa ha attualmente negli assetti sociali e nelle dinamiche produttive del Paese, secondo la doppia equazione per cui a molta creatività corrispondono società dinamiche ed elevato tasso di competitività. Da queste analisi deriva un quadro chiaro e sconsolante: la concentrazione di professioni e mestieri ad alto indice creativo coinvolge solo il 14% della popolazione (media mondiale 30%, Italia 34esima su 39 nazioni censite) e la loro qualità prospettica non lascia prevedere nulla di bello poiché inserita in un quadro di basso dinamismo e di lentissima evoluzione. Il panorama non è esaltante: bassa spesa pubblica (1% del Pil) e bassissima spesa privata (0,5% del Pil) in ricerca (medie europee, rispettivamente, 2% e 1,28%) e, di conseguenza, poca innovazione e poco tasso tecnologico a fronte di un tessuto imprenditoriale capillare, ma di dimensioni mediamente minime, tale da restare ancorato a settori e produzioni troppo tradizionali ed a basso valore aggiunto; un livello di istruzione limitato di chi pratica mestieri creativi (persone intelligenti e sorprendenti, ma ignoranti), aggravato da una “produzione” limitata di talenti, con università caotiche e chiuse, con pochi scambi e molta autoreferenzialità. Sotto questo profilo il ritardo con il resto del mondo è sconcertante: pochi studenti stranieri (a Bolzano il 10%, a Bologna poco più del 3,5%, nel resto d’Italia sotto questa percentuale, mentre alla Columbia University sono il 22%) e pochissimi docenti stranieri (alla Bocconi, il topo, sono il 4%, a Copenhagene e a Vienna il 28%, alla London Business School addirittura il 60%). In Italia il livello di integrazione è ancora basso ed il multicuturalismo poco sviluppato: un paese tollerante, ma protezionistico e tradizionalista, aspetto quest’ultimo che si riflette anche nel basso tasso di mobilità interna, nel preoccupante tasso di occupazione giovanile, nell’esiguità di posizioni di responsabilità ricoperte dai 30/40enni. Se continua così siamo condannati alla marginalizzazione. La lettura incrociata di ricerche e tabelle esalta il dato di un indebolimento costante del nostro patrimonio principale, quella capacità di sviluppare idee che si traducono in opere, prodotti, sistemi, la cui perdita di valore ci ha fatto scomparire dai settori industriali più avanzati (Informatica, tlc), ci ha fatto perdere quote di export e quote di turisti (produciamo merci vecchie e valorizziamo male il nostro patrimonio), ci ha fatto indietreggiare in modo preoccupante nei settori di fatto creati da noi (moda, design). L’unica via d’uscita percorribile risiede nel rivivificare la disponibilità creativa che storicamente ci appartiene, perseguendo due strade. La prima passa per interventi di radicali di riforma e crescita delle università e degli investimenti in ricerca ed in sperimentazione, con ricadute positive solo nel lungo periodo. La seconda è più veloce e pragmatica: attrarre qui nuovi patrimoni. Non denaro, ma cervelli. La vera risorsa del futuro è la qualità degli uomini.

30 Di Daniele Pitteri, NP, newpolitics, n°7/05 (pag. 29)

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ALLEGATO 2. Dal Libro Bianco La gioventù, nei suoi aspetti sociologici, economici e culturali, ha registrato un notevole mutamento sotto effetto dei cambiamenti demografici, ma anche delle modifiche del contesto sociale, dei comportamenti individuali e collettivi, delle relazioni familiari e delle condizioni del mercato del lavoro. Una prima constatazione: il prolungamento della gioventù. I demografi osservano che, sotto l’influsso di fattori economici (occupabilità, disoccupazione, ecc.) e di fattori socioculturali i giovani sono, mediamente, più avanti con gli anni allorché superano le diverse tappe della vita: fine degli studi, accesso al lavoro, creazione di una famiglia, ecc. Una seconda constatazione: percorsi di vita non lineari. Si assiste oggi a “un accavallamento delle sequenze della vita”: si può essere contemporaneamente studente, avere responsabilità familiari, essere lavoratore o alla ricerca di un lavoro, vivere presso i genitori e il passaggio dentro e fuori da tali condizioni è sempre più frequente. I percorsi individuali sono meno lineari proprio per il fatto che le nostre società non offrono più le stesse garanzie di un tempo (sicurezza del posto di lavoro, prestazioni sociali, ecc.). Una terza constatazione: i modelli collettivi tradizionali sono sempre meno pertinenti dinanzi a traiettorie personali sempre più individualizzate. “Il calendario familiare, matrimoniale e professionale (di ciascun individuo) non è più organizzato in modo standardizzato”. Ciò ha un impatto in particolare sulle politiche gestite dalle autorità pubbliche. Il coinvolgimento dei giovani nella vita pubblica In linea di massima i giovani europei vogliono promuovere la democrazia e soprattutto esserne gli attori. È emersa però una certa diffidenza rispetto alle strutture istituzionali. I giovani si identificano meno che in passato nelle strutture tradizionali dell’azione politica e sociale (partiti, sindacati), la loro partecipazione alle consultazioni democratiche è debole. Le organizzazioni dei giovani risentono anch’esse di questa situazione e avvertono il bisogno di rinnovarsi. Ciò non significa affatto che i giovani si disinteressino alla vita politica. La maggior parte di loro dimostra una chiara volontà di partecipare e di influenzare le scelte della società – ma secondo forme d’impegno più individuali e più specifiche al di fuori delle vecchie strutture e dei vecchi meccanismi di partecipazione. Spetta alle autorità pubbliche colmare il fossato che separa la volontà di espressione dei giovani e le modalità e strutture offerte a tal fine dalle nostre società se non vogliono alimentare il deficit di cittadinanza o addirittura incoraggiare la contestazione. Per una partecipazione e una cittadinanza attiva dei giovani I giovani affermano il loro ruolo di cittadini responsabili. A questo titolo desiderano essere maggiormente associati alla vita della collettività e vogliono pronunciarsi sulle tematiche più svariate. Questa volontà di partecipazione deve potersi esprimere a diversi livelli – da quello locale a quello internazionale -, devono comportare diversi registri – attivi e rappresentativi – e non devono escludere nessun tipo d’impegno – dal più specifico al più duraturo, dal più spontaneo al più organizzato. Inoltre, la partecipazione dei giovani non può essere limitata alla sola consultazione e ancor meno a sondaggi d’opinione, ma deve includere i giovani nel processo decisionale. È essenzialmente nella vita locale che la partecipazione deve svilupparsi, e anche nella scuola che è uno spazio privilegiato di partecipazione. Occorre d’altronde allargare la partecipazione ai giovani che non sono organizzati in associazioni. Le autorità locali potrebbero attivare dei meccanismi partecipativi flessibili e innovatori e nella generalizzazione di consigli regionali e nazionali della gioventù aperti anch’essi ai giovani che non rientrano in organizzazioni. Un migliore inserimento della tematica della gioventù nelle altre politiche I numerosi altri temi evocati in occasione della consultazione quali l’occupazione, l’istruzione e l’apprendimento formale e non formale, l’integrazione sociale, il razzismo e la xenofobia, l’immigrazione, il consumo, la salute e la prevenzione dei rischi, l’ambiente, la parità tra uomini e

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donne, l’autonomia, ecc. richiederanno uno stretto coordinamento con le autorità competenti a livello nazionale ed europeo. Tali politiche e azioni si sviluppano a livello europeo sulla base del Trattato e fanno leva sui diversi strumenti politici disponibili. La Commissione europea vigilerà affinché gli orientamenti in materia di gioventù siano meglio inseriti in queste altre politiche e azioni ogni qualvolta ciò sia appropriato e indipendentemente dagli strumenti utilizzati. Anche i ministri responsabili della gioventù dovrebbero vigilare, per parte loro, affinché si tenga conto delle preoccupazioni che interessano il settore della gioventù in queste altre politiche, a livello nazionale ma anche durante l’attuazione delle politiche europee. I messaggi chiave: -Ampliare i campi di sperimentazione e dare loro un maggiore riconoscimento I giovani vorrebbero che i poteri pubblici riconoscessero che l’istruzione e la formazione non sono solo quelle di tipo tradizionale o formale. Dal loro punto di vista questo periodo fondamentale di apprendimento e di esperienze andrebbe trattato in modo più globale, includendovi gli aspetti non formali dell’istruzione e della formazione. In quest’ottica, si dovrebbe porre maggiormente l’accento sulla mobilità e sul volontariato che rimangono ancora pratiche troppo limitate e troppo poco riconosciute: svilupparli articolandoli con le politiche condotte nel campo dell’istruzione e della formazione rappresenta per i giovani una priorità. Loro vogliono che queste esperienze ampliate siano riconosciute e sostenute finanziariamente. Per poter riuscire appieno questa articolazione tra dimensione formale e non formale dell’apprendimento deve tener conto della nozione di sviluppo individuale e fondarsi sugli strumenti e i metodi propri del campo della gioventù, strumenti e metodi che favoriscono lo scambio tra pari e la sperimentazione, in cui il “fare” è più importante che il risultato. - Sviluppare l’autonomia dei giovani L’autonomia è una grande rivendicazione dei giovani. Questa autonomia si basa sui mezzi che si concedono loro e in primo luogo sui mezzi materiali. A questo proposito quindi la questione del reddito è centrale. Le politiche dell’occupazione, della protezione sociale, dell’aiuto all’inserimento, ma anche quelle degli alloggi o dei trasporti interessano la gioventù. Esse sono necessarie per permettere ai giovani di diventare autonomi prima e andrebbero sviluppate tenendo conto del loro punto di vista e dei loro interessi e attingendo al bagaglio di esperienze specifiche nel campo delle politiche della gioventù. Siccome vogliono essere attivi nella società e si sentono parte in causa nelle politiche che interessano i diversi aspetti delle loro condizioni di vita, i giovani rifiutano l’idea che le politiche della gioventù vengano ristrette ad ambiti specifici.

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ALLEGATO 3. QUESTA ITALIA NEMICA DEI GIOVANI31

“In Italia della condizione giovanile non parla più nessuno. Era l'ossessione degli anni 60 e 70, quando i giovani avevano molte più speranze. Oggi sono disperati e non fanno notizia. Se la vitalità di un paese si misura con il ruolo delle nuove generazioni, allora l'Italia non è in declino: è in coma.

Nella nostra vita pubblica le persone fra venti e quarant'anni non contano quasi nulla. Abbiamo la classe dirigente più vecchia d'Occidente e i livelli di occupazione giovanile più bassi.

In più, quelli che lavorano sono precari, mal pagati e depressi da un livello di mobilità sociale bassissimo. Un italiano dai venti ai trent'anni guadagna in media meno di diecimila euro all'anno, la metà di un inglese e un tedesco, mille euro meno di uno spagnolo.

Non stupisce che i soldi della famiglia di origine, "la paghetta", siano la principale fonte di reddito per il 70% dei ventenni italiani, contro il 35% di tedeschi e francesi, il 15% dei britannici.

E che il 70% dei maschi italiani tra i 25 e i trent'anni vivano con i genitori, quando non si arriva al 20% fra francesi e tedeschi e al 10% fra gli inglesi.

In tutti i settori funziona in Italia una selezione alla rovescia, per cui se un giovane è creativo, critico e autonomo incontra mille difficoltà nel mondo del lavoro, mentre vengono più facilmente accolti quelli che accettano le regole precostituite. In definitiva, sono preferiti i giovani già vecchi, meglio se un po’ rincoglioniti. L'Italia esprime una società conservatrice dove si muore come si è nati: ricchi o poveri”.

31 “Questa Italia nemica dei giovani”, di Curzio Maltese La Repubblica, lunedì, 11 luglio 2005.

Page 82: 2008 Partecipazione, volontariato, protagonismo e aggregazione giovanile

ALLEGATO 4: Un quadro di contesto IMPRESA 5 milioni di imprese famigliari (90%) e solo il 15% arriva alla terza generazione I giovani imprenditori sono il 4% (molti “figli d’arte”), ed il 53% degli imprenditori ha più di 60 anni. CASA e REDDITO •Il 70% dei trentenni (25-30anni) vive con i genitori =2,2 milioni di giovani (20% in Francia e Germania, il 10% in Inghilterra) •I trentenni (26-35 anni) proprietari di casa sono solo il 35% (italiani “adulti”: 81%) •I contributi statali per alloggi sociali: 0,2% (media EU: 3,8%) ACCESSO al LAVORO •CPI: 10% •Interinale: 20% •“Cacciatori di teste”: alta qualifica (< 1%) •Reclutamento informale: 70% (che comprende sia i sistemi locali di transizione Scuola/lavoro, sia le conoscenze di tipo familiare. Infatti circa un giovane su tre lo trova grazie ad aiuti informali, il 60% dei quali consistono in segnalazioni e raccomandazioni, a cui va aggiunto il 20% di chi trova lavoro nella propria azienda familiare32). Il 36% tra 30-39 anni sono ATIPICI, ma il 30% si conclude con assunzione (15% media EU) FORMAZIONE •Solo 3a media: 22,3% (EU: 15,7%) •Diplomati: 73% (quartultimi in EU; Norvegia: 95%) •Laureati: 10% e > 70.000/anno in materie tecniche (Corea e Giappone: 40%) •Formazione continua (25-64 anni): 6,8% (EU: 10%; Danimarca: 27,6% e Svezia: 35,8%) •Università: 0,84% del PIL (EU: 1,33%)= - 40% •Investimenti educativi (2002): 4,75% (Nel 2001: 4,98%; UE: 5,25%; F: 5,81%; N:7,63%) •Spesa pubblica x ricerca 1% del PIL (EU: 2%)= - 50% •Fuga di cervelli: 4000 ricercatori all’anno con borse da 1.000 !/mese •Divari socio-economici territoriali in aumento con fughe di laureati (40% dei laureati meridionali è al nord) Uso di internet: nei gruppi di alto reddito è 3 volte superiore •Professioni e mestieri ad alto indice creativo: 14% della popolazione (media: 30%; ITA: 34° su 39) Nuove famiglie: Oltre cinque milioni di famiglie, cioè il 23% del totale, non replica il modello tradizionale, quello cioè della coppia sposata con figli. Così ci sono coppie “adulte” (tra i 35 e i 44 anni), sposate e non, che non hanno figli per scelta (DINK) e si assiste ad una diminuzione del numero delle coppie con figli (tra il 1993 e il 2003 si è passati dal 48% al 41,9%). Negli ultimi dieci anni le separazioni legali sono aumentate del 56,9% ed i divorzi del 59,4%. Non solo: oggi un matrimonio su tre si conclude con una separazione Nell’ultimo decennio sono triplicate passando dall’1,3% al 3,8 % del totale delle coppie italiane (convivenza prematrimoniale, forma di prima unione senza figli e di durata limitata scelta soprattutto dai giovani, anche se nel 44,7% si tratta di famiglie ricostituite in cui almeno uno dei partner ha alle spalle una separazione o un divorzio) PACS: 500.000 unioni in Italia nel 2005 Single: in Italia, circa tre milioni, nell’immaginario sono quelli delle sit-com quali Sex and the city, Friends, Will & Grace. In Italia però sono quasi due milioni e mezzo i “pendolari della famiglia”. Informagiovani: 1.200 IG in Italia, ovvero uno ogni 7 Comuni con 3 milioni di giovani all’anno (tot. Eu: 20 milioni/anno) 32 Rosina A. (2006), “L’Italia che invecchia e la sindrome di Dorian Gray”, Il Mulino, 2/2006.