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Porta il tuo cuore in Africa Anno VII, n. 1 – Febbraio 2007 Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 2, DCB Lecco www.amaniforafrica.org 2010, miracolo africano di Daniele Parolini pag 2 Lo Spunto I magnifici 7 di Pier Maria Mazzola pag 4 News 17 dicembre 2006 di Arnoldo Mosca Mondadori pag 6 Rachael ha imparato a pescare di Mauro Palazzi pag 7 Malati invisibili Adozioni a pag. 2 Cinquant’anni fa Sabin mise a punto il vaccino contro la poliomielite: non volle brevettarlo. Altri tempi. Oggi, malattia del sonno, filaria linfatica, cecità fluviale… sono patologie da poveri, poco interessanti per il mercato farmaceutico. Ma una campagna internazionale suona la sveglia pag 3 © Paolo Pellegrin / Magnum Photos Adozioni AMANI Milingo, ma il problema è lui? di Renato Kizito Sesana* «Milingo? Si dice che stia per torna- re a Lusaka, e i vescovi zambiani hanno pubblicato una nota chie- dendo ai fedeli cattolici di non andare ai suoi incontri», mi dice Felix, l’a- mico zambiano che è venuto a pren- dermi all’aeroporto di Lusaka. Poi ag- giunge: «Comunque non credo che ce ne fosse bisogno. L’aspettativa è mol- to montata dai media locali, ma non mi pare che proprio siano molti quel- li interessati a seguirlo nel caso vo- lesse fondare una sua chiesa». Nei giorni successivi ho sentito tante al- tre persone su questo argomento, e mi pare che la sommaria analisi di Felix rifletta comunque abbastanza bene l’opinione più comune. Tutti sono anche d’accordo nel dire che il Reverendo Moon, che ha pre- so Milingo sotto la sua protezione sin dal tempo del matrimonio a New York nel 2001, abbia mobilitato mol- te risorse per fare di questa visita un successo. Da settimane alcune deci- ne di inviati di Moon battono a tap- peto Lusaka e l’Eastern Province, di dove Milingo è originario, contat- tando comunità di base e gruppi ca- rismatici che in passato facevano ca- po all’ex arcivescovo, cercando di convincerli a invitarlo nelle loro co- munità. Vescovi, preti e missionari hanno scelto di tenere un tono pacato, ma fermo. Padre Dario Balula, missio- nario comboniano e parroco a Li- landa, periferia di Lusaka, dice: «Ben venga il signor Emmanuel Milingo. È un amico. In casa mia ricevo cri- stiani, indù e musulmani. Perché non dovrei ricevere Milingo? Deve so- lo essere molto chiaro che non ap- parteniamo più alla stessa chiesa. I nostri fedeli hanno diritto di essere chiaramente informati. Poi potran- no fare le loro scelte». Mi dice un altro missionario che non vuole essere nominato, per oltre vent’anni insegnante in seminari africani: «Il problema non è Milingo. Il problema è che un personaggio co- sì patetico faccia notizia, appro- priandosi di una causa che richiede- rebbe ben altri difensori. Milingo ha un bisogno patologico di essere al centro dell’attenzione, e sta riu- scendo a ridurre questo problema ad uno show personale, come ha fat- to con le guarigioni. La chiesa afri- cana è in una fase di stanca. Trent’an- ni fa la chiesa nell’Africa dell’Est era impegnata ad avviare le piccole co- munità cristiane e per qualche anno ci fu un grande fermento. Oggi quel- l’esperimento pastorale è largamente fallito, ma sulle ragioni del fallimento non c’è stata riflessione, e non si sta tentando altro. Si continua con la routine. Troppi preti sono diventati piccoli funzionari, senza grandi idea-

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News Porta il tuo cuore in Africa di Arnoldo Mosca Mondadori Lo Spunto Adozioni Adozioni www.amaniforafrica.org pag2 pag 6 pag 4 pag 7 di Pier Maria Mazzola di Mauro Palazzi di Daniele Parolini Spedizione in A.P. D.L.353/2003 (conv.in L.27/02/2004 n.46) Art.1 comma 2, DCB Lecco di Renato Kizito Sesana* Anno VII,n.1 – Febbraio 2007 a pag. 2 © Paolo Pellegrin / Magnum Photos

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Porta il tuo cuore in Africa

Anno VII, n. 1 – Febbraio 2007Spedizione in A.P.

D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)Art. 1 comma 2, DCB Lecco www.amaniforafrica.org

2010, miracolo africanodi Daniele Parolini

pag 2 Lo Spunto

I magnifici 7

di Pier Maria Mazzola

pag 4 News

17 dicembre 2006

di Arnoldo Mosca Mondadori

pag 6

Rachael ha imparatoa pescaredi Mauro Palazzi

pag 7

Malati invisibili

Adozioni

a pag. 2

Cinquant’anni fa Sabin mise a punto il vaccino contro la poliomielite: non volle brevettarlo. Altri tempi. Oggi, malattia del sonno, filaria linfatica, cecità fluviale…sono patologie da poveri, poco interessanti per il mercatofarmaceutico.Ma una campagna internazionale suona la sveglia pag 3

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di Renato Kizito Sesana*

«Milingo? Si dice che stia per torna-re a Lusaka, e i vescovi zambianihanno pubblicato una nota chie-dendo ai fedeli cattolici di non andareai suoi incontri», mi dice Felix, l’a-mico zambiano che è venuto a pren-dermi all’aeroporto di Lusaka. Poi ag-giunge: «Comunque non credo che cene fosse bisogno. L’aspettativa è mol-to montata dai media locali, ma nonmi pare che proprio siano molti quel-li interessati a seguirlo nel caso vo-lesse fondare una sua chiesa». Neigiorni successivi ho sentito tante al-tre persone su questo argomento, emi pare che la sommaria analisi diFelix rifletta comunque abbastanzabene l’opinione più comune. Tutti sono anche d’accordo nel direche il Reverendo Moon, che ha pre-so Milingo sotto la sua protezionesin dal tempo del matrimonio a NewYork nel 2001, abbia mobilitato mol-te risorse per fare di questa visita unsuccesso. Da settimane alcune deci-ne di inviati di Moon battono a tap-peto Lusaka e l’Eastern Province,di dove Milingo è originario, contat-tando comunità di base e gruppi ca-rismatici che in passato facevano ca-po all’ex arcivescovo, cercando diconvincerli a invitarlo nelle loro co-munità.Vescovi, preti e missionari hannoscelto di tenere un tono pacato, mafermo. Padre Dario Balula, missio-nario comboniano e parroco a Li-landa, periferia di Lusaka, dice: «Benvenga il signor Emmanuel Milingo.È un amico. In casa mia ricevo cri-stiani, indù e musulmani. Perchénon dovrei ricevere Milingo? Deve so-lo essere molto chiaro che non ap-parteniamo più alla stessa chiesa. Inostri fedeli hanno diritto di esserechiaramente informati. Poi potran-no fare le loro scelte».Mi dice un altro missionario che nonvuole essere nominato, per oltrevent’anni insegnante in seminariafricani: «Il problema non è Milingo.Il problema è che un personaggio co-sì patetico faccia notizia, appro-priandosi di una causa che richiede-rebbe ben altri difensori. Milingo haun bisogno patologico di essere alcentro dell’attenzione, e sta riu-scendo a ridurre questo problemaad uno show personale, come ha fat-to con le guarigioni. La chiesa afri-cana è in una fase di stanca. Trent’an-ni fa la chiesa nell’Africa dell’Est eraimpegnata ad avviare le piccole co-munità cristiane e per qualche annoci fu un grande fermento. Oggi quel-l’esperimento pastorale è largamentefallito, ma sulle ragioni del fallimentonon c’è stata riflessione, e non si statentando altro. Si continua con laroutine. Troppi preti sono diventatipiccoli funzionari, senza grandi idea-

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li, e troppi preti mediocri sono statichiamati ad esercitare l’episcopato.Non c’è da sorprendersi se in questocontesto un tipo come Milingo pos-sa essere scambiato per un profeta». Il nodo di una presenza più incisivadella chiesa nella società sarà af-frontato durante l’annunciato se-condo Sinodo Africano, che avrà co-me tema generale La Chiesa in Afri-ca a servizio della Riconciliazione,della Giustizia e della Pace. Il con-creto impegno sociale è una dellearee in cui la chiesa africana è più vi-va e ricca di iniziative. Opere comescuole, ospedali, programmi per levittime dell’Aids e per gli emargi-nati, ma anche programmi di edu-cazione civica, difesa dei diritti uma-ni, promozione di giustizia e pace ericonciliazione, sono numerosi e at-tivi fino ai villaggi più remoti, dovespesso le istituzioni governative nonarrivano. La chiesa ha accumulatoun’esperienza straordinaria che peròfinora non ha dimostrato di incide-re molto sul cambiamento sociale,probabilmente per mancanza di ri-flessione e di coordinamento.«Le statistiche ci dicono – ricordaun teologo africano – che ogni annoil numero dei cattolici cresce a ritmivertiginosi, che ci sono sempre piùdiocesi e più vescovi, più parrocchiee più preti, sempre più programmi diimpegno sociale… Ma l’impressioneè di una crescita solo numerica. Sulversante dell’inculturazione, dellariflessione teologica, dell’approfon-dimento delle azioni pastorali e mis-sionarie, pare non succeda niente.Continuiamo a fare ciò che si è sem-pre fatto. Sembra che la chiesa sia inuno stato di… dormizione. È unabattuta, ma hai presente quelle bel-le icone orientali della Dormizione diMaria, con Maria immersa nel son-no e gli apostoli radunati intorno alei, i volti apprensivi, quasi si stianodomandando: “Si sveglierà o no?”…A me sembra spesso di vivere mo-menti così». Anche l’autore di que-sta innocente battuta non vuole es-sere identificato. Questa “paura diesporsi” anche per cose così sempli-ci non è un bel segno per la salute del-la chiesa africana.Personalmente credo che l’icona piùadeguata per rappresentare questachiesa sia quella di Maria che guar-da il figlio crescere, vede le sue azio-ni e conserva tutto nel suo cuore.L’apparente mancanza di azione nonci deve far credere che Gesù e il SuoSpirito non stiano lavorando in si-lenzio; i frutti li vedremo in futuro.L’impegno per i poveri e gli emargi-nati che viene prodigato ogni giornoin Africa da migliaia e migliaia dicristiani in tanti differenti tipi diservizio non potrà mancare di se-gnare la vita della chiesa africanache sta crescendo.

Lo Spunto

Kivuli Center, un progetto educativo nato dall’iniziativa dei giovani della co-munità di Koinonia, che a Nairobi accoglie e sostiene i bambini di strada didue grandi baraccopoli della capitale. Il Centro Kivuli accoglie in forma residenziale 60 bambini di strada curan-done la crescita e l’educazione, copre le spese scolastiche di altri 70 bam-bini ed è aperto con vari progetti animativi a tutti i bambini del quartiere. Kivuli è diventato un punto di riferimento per i giovani e per gli adulti, conun progetto di microcredito, laboratori artigianali di avviamento profes-sionale, una biblioteca, un dispensario medico, un progetto sportivo, unlaboratorio teatrale, una sartoria, un pozzo che vende acqua a prezzi cal-mierati, una scuola di lingua, una scuola di computer e uno spazio sededi varie associazioni, aperto a momenti di dibattito e confronto per i gio-vani del quartiere.

Casa di Anita, una casa di accoglienza sorta a N’Gong (piccolo centro agri-colo a 20 km da Nairobi), curata da tre famiglie keniane, inaugurata nell’a-gosto 1999. La Casa di Anita accoglie 50 ex bambine di strada, alcune or-fane e altre figlie di famiglie poverissime, vittime di abusi sessuali, inseren-dole in una struttura familiare e protetta, permettendo una crescitaaffettivamente tranquilla e sicura.

Mthunzi Centre, un progetto educativo realizzato dalle famiglie della co-munità di Koinonia di Lusaka (Zambia) a favore dei bambini di strada. Il Centro Mthunzi, oltre ad accogliere 60 bambini di strada in formaresidenziale curandone la crescita e l’educazione, è un punto di riferimentoper la popolazione locale, con il suo dispensario medico e con i suoi labo-ratori di falegnameria e di sartoria per l’avviamento professionale.

Riruta Health Project, un programma di prevenzione e cura dell'Aids, in col-laborazione con Caritas Italiana che offre assistenza a domicilio a malati ter-minali e a pazienti sieropositivi nelle periferie di Nairobi.

Centro Educativo Koinonia Due scuole primarie sui monti Nuba che ga-rantiscono l’educazione di base (l’equivalente della formazione elementaree media in Italia) ai bambini della zona circostante, in assenza di altre strut-ture scolastiche. Attualmente ognuna delle scuole ha circa 600 alunni. Il pro-getto include anche una scuola magistrale per selezionare e formare gio-vani insegnanti nuba (circa 50 ogni anno) in modo da riattivare la rete sco-lastica autogestita dalle popolazioni della zona.

News from Africa, un’agenzia di informazione mensile prodotta da giovaniscrittori e giornalisti africani, che raccoglie notizie e articoli di approfondi-mento provenienti dai paesi dell’Africa subsahariana per poi diffonderle intutto il mondo per via telematica e cartacea. www.newsfromafrica.org

Africa Peace Point, organizzazione laica e apolitica che si prefigge la realizza-zione di iniziative popolari per la costruzione e la diffusione di una cultura dipace nelle comunità africane; la sede è a Nairobi, dove APP si è dotata di uncentro di documentazione e ha creato uno spazio in grado di ospitare forum,sessioni di formazione sulla pace e incontri tra gruppi di base.

Amani People’s Theatre, una compagnia di giovani attori che lavorano per unacultura di pace utilizzando il teatro per la mediazione di conflitti, con performancee rappresentazioni nei campi profughi del Kenya e nelle comunità di base.

Geremia School, una scuola di informatica che fornisce una formazione pro-fessionale di qualità, nell’ottica di contribuire a colmare il digital divideNord/Sud.

Ndugu Mdogo (Piccolo Fratello), un progetto dotato di tre strutture: un cen-tro che accoglie in forma residenziale 40 bambini; un centro diurno di pri-ma accoglienza con un pasto caldo, cure mediche, scuola e affetto; un isti-tuto di formazione per educatori professionali.

Il gioco del calcio, ormai diventato show-business, cioè spetta-colo e affari a braccetto, è anche la cartina di tornasole della no-stra società in ebollizione, più che in evoluzione. L'ultimo epi-sodio indicativo è accaduto in Olanda. Nell'incontro fra l'Ajaxdi Amsterdam e lo Sparta di Rotterdam, il bianco e biondiccio,forse con gli occhi azzurri, Wesley Sneijder, ha apostrofato unrivale troppo rude ma altrettanto bianco e biondo, con una fra-se che forse diventerà storica: «Sporco bianco con la rogna». La-sciamo stare i dettagli dell'episodio e cioè che Sneijder, espulsosubito dall'arbitro, rifiutava di lasciare il campo sostenendo chela sua non era una frase razzista. Probabil-mente si riferiva al fatto che sinora sui cam-pi di calcio, oltre ai beceri cori degli ancorpiù beceri tifosi, si era sentito soprattutto«sporco negro» e più raramente, ma soloper penuria di soggetti adeguati, «sporcoebreo» o «sporco arabo».Questo festival della "sportività" ci proiettaal Mondiale del 2010 che si terrà per la pri-ma volta in terra africana, la "culla dell'u-manità" ma anche la patria dei giocatori piùbersagliati dai razzisti degli stadi. A Johan-nesburg, la città sudafricana che ospiterà l'in-contro di apertura e la finale, per ora han-no altri problemi. Il conto alla rovescia è giàcominciato da un pezzo ma i conti finanziarinon tornano. Dai 250 milioni di euro previ-sti come costo totale, due anni fa, si è arri-vati a superare il miliardo e 200 milioni.Inoltre si sono accorti di avere a che fare conun'altra pesante eredità della defuntaapartheid (la segregazione razziale in vigo-re sino al 1990).Gli stadi migliori saranno infatti quelli delrugby e del cricket, cioè gli sport dei bian-chi (meno del 10% su 45 milioni di abitan-ti). Il football, lo sport più diffuso anche tra

i neri (79% della popolazione, con il 50% dei disoccupati) disponeinvece di infrastrutture assai carenti. La scelta è stata logica:invece di ammodernare gli stadi degli sport praticati soprattuttoda bianchi, si costruiranno nuovi impianti per il calcio, alla fac-cia di quel commentatore inglese che tempo fa sentenziò: «Ilrugby è uno sport per teppisti giocato da gentiluomini, mentre ilcalcio è uno sport per gentiluomini giocato da teppisti».Stadi nuovi, dunque (se si qualificheranno), per i "Bafana Ba-fana" (che vuol dire “ragazzi”) del Sudafrica, per le "Aquile diCartagine" della Tunisia, le "Stelle Nere" del Ghana, le "Aquile

Verdi" della Nigeria o i "Leoni Indomabili"del Camerun e tutti gli altri rappresentan-ti dell'euforico, festoso, spontaneo calcioafricano in cerca di riscatto dopo il Mon-diale tedesco vinto dagli Azzurri.Non chiediamo al Sudafrica di preparareun grande Mondiale, chiediamo però un al-tro miracolo. Il primo l'ha compiuto dopo laferoce repressione bianca durata decenni. IlSudafrica è riuscito infatti a voltare paginasenza spargimenti di sangue, senza ven-dette, ritorsioni o rappresaglie. Ha trasfor-mato prigioni e camere di tortura in corti digiustizia, in luoghi di memoria e di speran-za offrendo all'umanità uno dei doni più bel-li, la tolleranza: base, col perdono, dellaCommissione Verità e Riconciliazione. Sonoattesi 400mila tifosi per il 2010 e il piccolomiracolo che chiediamo alla terra di Man-dela riguarda proprio loro, o buona parte diloro: i razzisti e gli sciovinisti. Ma crediamosarà dura, molto dura.

*Daniele Parolini è stato per 28 anni giornalista del Corrieredella Sera nella redazione sportiva, in quella scientifica e infinenelle cronache italiane. Dal primo all’ultimo numero è stato di-rettore di Africanews e per molti anni collaboratore di Nigrizia.Per gli appassionati di sport va ricordato che ha disputato 130partite con la maglia della U.S. Cremonese.

da pag. 1 Milingo, ma il problema è lui?

AMANI

*Renato Kizito Sesana,giornalista e padre com-boniano, è socio fondato-re di Amani.È stato direttore del men-sile Nigrizia, titolare perquattro anni di una ru-brica sul Sunday Nation,fondatore di New Peoplee ha dato vita a News

from Africa, agenzia di stampa di “africa-ni che raccontano l’Africa”. Continua un’in-tensa attività pubblicistica con varie testateitaliane e non. Vive a Nairobi, in Kenya,presso il Centro Kivuli. È inoltre fondatoree direttore di Radio Waumini, emittentecattolica voluta dalla Conferenza episco-pale keniana. Dal 1995 si reca regolarmente tra i nubadel Sudan realizzando con loro progetti diaiuto alle popolazioni locali.

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Progetti

2010, miracolo africanodi Daniele Parolini *

Thierry Henry, di origine martinicana, è attaccante dell’Arsenal e della nazionalefrancese. Qui è testimonial di una campagnacontro il razzismo nel football

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sattamente due an-ni fa prendeva avvio la campagnaper la ricerca a favore delle malat-tie dimenticate, lanciata da un ap-pello internazionale promosso daDrugs for Neglected Diseases Ini-tiative (Dndi) insieme a organiz-zazioni come Oxfam e Medici Sen-za Frontiere, centri di ricerca sa-nitaria come l’Institut Pasteur e ilKenyan Medical Research Institu-te, e firmato da venti premi Nobel.La campagna assumeva da subitouna connotazione forte: l’immagi-ne di un parlamento vuoto e dor-miente, a illustrare l’insipienza del-la politica nei confronti delle pato-logie legate alla povertà. Ildisimpegno radicale dei governi.Al punto da insinuare che anch’essiavessero contratto una delle ma-lattie dimenticate, la malattia delsonno (www.dndi.org). Da quel messaggio – che ha raccol-to l’adesione di migliaia di scien-ziati, medici e ricercatori da tuttoil mondo – è stato possibile imbastireun percorso di pressione che ha por-tato qualche frutto. Lo dimostranole conclusioni del rapporto dell’Or-ganizzazione mondiale della sanità(Oms) su “proprietà intellettuale,innovazione e salute pubblica” (Ci-pih Report), uscito nell’aprile 2006,che elabora una diagnosi inequivo-cabile sulla necessità di nuove po-litiche sul fronte delle malattie le-gate alla povertà. L’inadeguatezzadella ricerca in campo medico è ap-pariscente nel caso delle malattie in-fettive che colpiscono i paesi pove-ri, ma il problema non è trascura-bile neppure per i pazienti chehanno potere d’acquisto. Questi sitrovano a pagare prezzi sempre piùelevati per farmaci “nuovi” com-mercializzati con la connivente per-suasione di medici e farmacisti, mararamente migliori e più efficaci.Una dinamica che ha impatti rile-vanti anche sulle spese sanitariestatali.Sulla scia del rapporto dell’Oms,frutto di un lavoro non facile e ta-lora fortemente polarizzato da grup-

pi di interesse contrapposti, Kenyae Brasile hanno presentato al boarddell’Oms una nuova risoluzione perpromuovere un nuovo quadro di ri-ferimento per la ricerca essenziale(“Global Framework on EssentialHealth R&D”); ciò ha segnato unanovità di leadership dei governi inun territorio di esclusivo appan-naggio dell’industria privata. Inol-tre, nel corso della successiva as-semblea generale dell’Oms (maggio2006) è stata approvata una nuovarisoluzione sulla falsariga delle ri-chieste di Kenya e Brasile e delle 60raccomandazioni del Rapporto Ci-pih.La risoluzione chiede agli stati mem-bri la costituzione di un Gruppo dilavoro intergovernativo in grado didefinire una strategia globale e unpiano d’azione da sottoporre al-l’Oms nel 2008, con una «partico-lare attenzione alla ricerca in gra-do di rispondere ai bisogni». Il pri-mo incontro del Gruppo si è tenutoa Ginevra nel dicembre scorso, conla partecipazione di oltre 90 gover-ni (sui 193 stati membri dell’Oms),tra spinte in avanti del Sud del mon-do e resistenze organizzate di go-verni del Nord. Con un atteggia-mento sostanzialmente attendistadell’Oms, non sempre pronta a di-fendere con la necessaria determi-nazione la salute dei cittadini con-tro gli interessi di parte di pochistati. Eppure, con tutte le debolez-ze del nuovo processo, per la primavolta i governi si sono svegliati.

Non si può certo dire che le cose sia-no migliorate per i pazienti senzanome nei villaggi assediati da ma-lattie come la malaria o la tripaso-nomiasi (malattia del sonno), qua-si debellate negli anni Settanta e og-gi in piena recrudescenza perchésfuggite al controllo preventivo deigoverni. L’appello del 2005 conta-va oltre 35.000 vite perse ogni gior-no a causa del micidiale intreccio dipovertà e malattie, e non si registraancora la minima inversione di ten-denza. Su questa contabilità inci-dono con particolare virulenza Aids,malaria e tubercolosi, patologie an-ch’esse dimenticate malgrado la li-tania dei pronunciamenti nei sum-mit dei capi di stato. Basti pensa-re che non è mai esistita nella storiadella medicina una distanza cosìabissale fra un virus e la sua pos-sibile cura, come quella che regi-striamo con la pandemia dell’Aids.Il 95% dei pazienti vive nei paesi delSud del mondo – in prevalenza nel-l’Africa subsahariana – mentre il95% dei farmaci si trova nelle far-macie dei paesi ricchi. Nel mezzo, le politiche commer-ciali che incentivano la ricerca at-traverso un sistema rigidamentemonopolistico. L’assenza di ver-sioni generiche e a buon mercatodei farmaci essenziali fa sì che lastragrande maggioranza dei pa-zienti debba fare a meno delle te-rapie che potrebbero salvare, o al-meno prolungare, la loro vita. Labattaglia per gli antiretrovirali ha

portato la questione alla ribalta,ma l’ostacolo del prezzo delle te-rapie si frappone per tutte le ma-lattie, che si tratti dei ceppi resi-stenti di tubercolosi, della polmo-nite o della malaria, oppure di nuovitrattamenti per l’epatite, il cancro,il diabete. Neppure all’epoca dellarivoluzione industriale i farmacirisultavano tanto inaccessibili.Quando furono scoperti i primi an-tibiotici, lo sforzo di renderli di-sponibili fu immediato. Lo stessoper i vaccini; quando Albert Sabin,l’inventore dell’antipoliomielitico,vide confermata la straordinariaefficacia del suo rimedio, si guardòbene dal brevettarlo, preoccupatocom’era della salute pubblica, ri-nunciando allo sfruttamento com-merciale.

Nel caso specifico dell’accesso alleterapie salvavita, urge superare lalogica del settore privato, in base al-la quale le aziende non sarebberotenute a produrre terapie accessi-bili e adeguate per chi ne ha vera-mente bisogno, se non in virtù diuna complessa macchina di incen-tivi, o eventualmente per una de-cisione di natura umanitaria. I go-verni hanno la responsabilità – at-traverso finanziamenti o ilcoinvolgimento diretto – di orien-tare le priorità della ricerca, di in-fluenzare le scelte sulla produzio-ne e la distribuzione di vaccini, far-maci e diagnostici. La salute e lamedicina devono essere considera-te settori strategici, come avvieneoggi per la difesa e la ricerca spa-ziale. Non è vero, come spesso si vo-cifera, che il settore pubblico nonsia in grado di sviluppare nuovivaccini o terapie, e che le compe-tenze scientifiche risiedano solonelle grandi aziende. Il progettosul genoma umano finanziato dalsettore pubblico attraverso l’im-pegno di diversi governi è un mo-dello in questo senso. Anche per lascelta di scienza aperta (open sour-ce) perseguita.La stessa emergenza Sars del 2003ha dimostrato che le scienze far-maceutiche possono essere mobili-tate fino a ottenere risultati in tem-pi sorprendenti, grazie anche allacooperazione internazionale, quan-do un sufficiente investimento difondi e la determinazione politicaguidano il gioco. La disponibilità dei beni comuniglobali è ingrediente essenziale del-la futura strategia per lo sviluppo.Sulla scia degli impegni solenne-mente assunti per i prossimi anni,e già in passato traditi con troppadisinvoltura, occorre che i governisi persuadano a intraprendere conconvinzione azioni di leadershipper la salute globale, se non vo-gliono che le malattie regnino neidecenni a venire senza più con-trollo, con conseguenze impreve-dibili per tutto il pianeta.

*Nicoletta Dentico, giornalista, è policyand advocacy advisor per Drugs for Ne-glected Diseases Initiative (DNDi) e mem-bro dell'Osservatorio Italiano sulla SaluteGlobale (OISG).

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Dossier

di Nicoletta Dentico*

Malattie dimenticate

Salute salata

Neppure ai tempi dellarivoluzione industriale

i farmaci risultavanotanto inaccessibili

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Rispetto ai temi dell’HIV/AIDS e delle MST (malattie sessualmente trasmissibili), Kivuli Cen-tre a Nairobi, in collaborazione con Amani, è stato sin dall’inizio attore principale nel progettoRiruta Health Project di Caritas Italiana, per il quale porta avanti l’assistenza a domicilio di cir-ca 180 pazienti sieropositivi, la formazione di “health workers” comunitari, diversi workshop diconsapevolizzazione sull’HIV/AIDS tra i giovani e guida la formazione dei gruppi di auto-aiuto. Inoltre, Riruta Health Project organizza ogni anno il Free Medical Camp, una giornata duran-te la quale Kivuli Dispensary offre servizi medici gratuiti alla comunità. Quest’anno si è svoltoil 26 agosto durante il Campo d’incontro dei volontari di Amani e ha visto la partecipazione di867 persone. I servizi offerti sono stati: vaccinazioni per bambini, pediatria, ginecologia, assi-stenza dentistica, diagnosi prenatale e medico di base. Il dispensario di Kivuli nel 2006 ha ottenuto il Codice di registrazione come Antenatal Clinic.Questo è un passo importantissimo per Kivuli Dispensary, poiché il codice riconosce la clinicacome autorizzata dal governo, questo permette al dispensario e a Riruta Health Project di ope-rare come PMTCT Facility (Prevention Mother to Child Transmission), cioè fare il test alle don-ne incinte e distribuire medicine preventive alle stesse.

Riruta Health Project e il dispensario medico di Kivuli Centre

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Algeria

Ghana

Costad’Avorio

Liberia

Sierra Leone

GuineaGuineaBissau Benin

Togo

Libia Egitto

Sudan

Rep.Centrafricana

Etiopia

Eritrea

Gibuti

RuandaBurundi

R.D.Congo

Gabon

Camerun

Nigeria

Niger

Burkina Faso

Guinea Eq. Congo

Tanzania

Uganda

Malawi

Swaziland

LesothoSudafrica

Zambia

Botswana

Namibia

AngolaMozambico

Madagascar

Comore

Seicelle

Zimbabwe

Kenya

Mauritania Mali

Marocco

Ciad

Somalia

Tunisia

SenegalGambia

Capo Verde

C'è da mangiarsi il fegato dalla rabbia. Ecco il ca-so. La Repubblica Democratica del Congo possie-de un potenziale idroelettrico che potrebbe inon-dare l'Africa di energia. Si parla di 100mila me-gawatt (MW), il 13% della capacità mondiale.Quanti ne produce? Circa 1200, di cui 700 alla di-ga di Inga che ha in funzione soltanto 6 delle sue14 turbine.Una recente riunione a Johannesburg ha progettatonuovi impianti per un totale di 17000 MW, con uncosto di oltre 9 miliardi di dollari. Per il momen-to però solo la Banca Mondiale intende sbloccarela sua quota, circa mezzo miliardo, gli altri inve-stitori esigono garanzie sui loro fondi e cioè chenon scompaiano come ai tempi del poco compiantoMobutu. Riuscirà il giovane Kabila, rieletto presi-dente nelle recenti elezioni, a creare fiducia neglistranieri e un po’ di benessere per il suo paese?

In Breve

Energia sott’acqua

Niente di nuovo sotto il sole. L'evoluzione del-la donna, da una situazione di sottomissionealla legittima parità con l'uomo, porta nella so-cietà musulmana gli stessi fenomeni registra-ti in quella cristiana. In Tunisia, ad esempio,il 50% delle domande di divorzio depositate nel2005 appartengono alle donne, nel 1960 su-peravano di poco il 5%. Secondo gli esperti leragioni principali di questa "mobilitazione"femminile sono dovute al progressivo ingres-so nel mondo del lavoro che assicura loro un'in-dipendenza finanziaria: il 40% delle donne cheesercita un'attività professionale sono infatti di-vorziate.Metà delle domande di divorzio hanno originenella violenza coniugale o nella differenza so-ciale e d'istruzione, il 23% nella sterilità di unconiuge, il 15% nell'adulterio o incompatibi-lità sessuale e il 13% nei problemi finanziari.

Divorzi rosa

Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Ilproverbio può adattarsi al caso di un'impre-sa inglese che aveva citato il governo delKenya chiedendo un risarcimento di 500 mi-lioni di dollari.La ditta aveva firmato un contratto per condurreil duty-free negli aeroporti di Nairobi e Mom-basa ma il governo keniano aveva poi annul-lato tutto. Un tribunale speciale, organismodella Banca Mondiale creato nel 1960 per di-rimere i conflitti fra investitori privati e governi,ha dato ragione al Kenya per il semplice, an-che se torbido, motivo che la World Duty FreeLtd aveva sbaragliato la concorrenza versan-do una "mancia" di 2 milioni di dollari all'al-lora presidente del Kenya, Daniel arap Moi,noto per la sua avidità. Molti ora sperano, peril bene dell'Africa, che la sentenza faccia giu-risprudenza e freni la corruzione.

La corruzione ha le gambe corte

Maurizio

Sahara Occ.

I “maestri” del Calendario 2007 / 1

AMANI

S.Tomée Principe

di Pier Maria Mazzola*

I magnifici 7Walimu/Maestri

è il titolo del Calendario Amani

2007, dedicato a dodici

grandi leader africani.

A loro dedichiamo delle

brevi schede, in due puntate,

per evidenziarne la statura.

Li facciamo precedere

da un tredicesimo personaggio,

scomparso di recente.

ra lui uno dei due o tre nomi più ambiti daAmani per la presentazione del Calendario 2007. Il piùgrande storiografo africano in assoluto, ex aequo conCheikh Anta Diop, era la persona giusta per scrivere qual-che riga intorno ai “maestri” del Novecento africano. Sa-rebbe così figurato lui stesso come tredicesimo mwalimu.Ci avevano però comunicato che «il professore», com’eraconosciuto nel suo Burkina Faso natale, ottantaquat-trenne, era «stanco». Di lì a poco Joseph Ki-Zerbo ri-nunciò infatti al suo seggio di deputato del Pdp/Ps – il ter-zo partito da lui fondato nella sua carriera politica, per-ché per lui “fare storia” non significava vivere con la testagirata indietro – e, il 4 dicembre, lasciava vedova Jacque-line Coulibaly, la donna della sua vita non solo per l’affettoe il sacramento che a lei l’univa, ma anche per l’attiva con-divisione e partecipazione alle stesse battaglie.Figlio del primo cristiano dell’Alto Volta (allora il Burkina

non si chiamava ancora co-sì), Ki-Zerbo fin dai banchidi scuola si rese conto chequalcosa non quadravaquando, interrogato, dove-va ripetere che «i nostri an-tenati sono i Galli». Fu ilprimo africano abilitato,dopo la laurea alla Sorbona, all’insegnamento superioredella storia, e dedicò la sua vita intellettuale a riscriverela storia del suo continente dalla parte degli africani, conuna metodologia capace di mettere in valore delle fonti chenon fossero unicamente quelle degli archivi coloniali. Au-tore di una fondamentale Storia dell’Africa nera (Einau-di, 1977), Ki-Zerbo è stato anche una figura chiave del co-mitato scientifico della monumentale Storia generale del-l’Africa dell’Unesco. La storia si intreccia con la cultura.

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5AMANI

Per questo il professore si dedicò all’approfondimento ditemi quali i diritti umani – al cui riguardo esiste nell’A-frica tradizionale una coscienza viva, benché espressa inmodi e accentuazioni diverse da quelle consegnate nellaDichiarazione universale dei diritti dell’uomo –; la con-dizione della donna – con luci e ombre a seconda dei luo-ghi e delle epoche –; lo sviluppo endogeno («dormire sul-la stuoia altrui è come dormire per terra»). «Se ci corichiamo, siamo morti», era il suo motto, postoin epigrafe al suo libro-intervista con René Holenstein, Aquando l’Africa? (Emi, 2005). Joseph Ki-Zerbo: ecco unuomo che è morto, ma non si è coricato.

Gennaio. «Un vecchio chemuore è una biblioteca chebrucia». Il proverbio d’Afri-ca più gettonato è in realtàun adagio di AmadouHampâté Bâ, poliedricouomo di cultura nato a Ban-diagara, nel Mali, e soprat-tutto ponte vivo tra la let-teratura orale e la letteratura scritta. Era anche un de-voto musulmano persuaso dell’intrinseca bontà e necessitàdel dialogo a tutto campo, religioni comprese. Fu in forze all’Unesco per tutti gli anni Sessanta, ma ilsuo impegno per la valorizzazione dell’oralità non cessòche con la sua morte, nel 1991. Aveva 90 anni. Numero-se le sue opere tradotte in italiano, tra le quali i due vo-lumi autobiografici Amkoullel, il bambino fulbe e Signorsì,Comandante! (Ibis, 2000 e 2006), e anche Gesù visto daun musulmano (Bollati Boringhieri, 2000).

Febbraio. Potevano essercianche Miriam Makeba o El-len Johnson-Sirleaf, oppureGraça Machel o GertrudeMongella… È comunque ve-ro che non è molto ampia larosa di nomi femminili digrande risonanza sulla ri-balta della storia africana delXX secolo. Non poteva in ogni caso mancare almeno il Nobelper la pace 2004, la keniana Wangari Muta Maathai. Bio-loga di formazione, ha fondato, esattamente trent’anni fa, ilGreen Belt Movement, costituito in gran parte da donne. Èla pioniera del movimento ecologista africano – la forma dilotta che l’ha resa celebre è quella di piantare alberi – ma siè anche esposta in prima persona nell’opposizione al regimedi Daniel arap Moi. Oggi è viceministro dell’ambiente. Il suo motto continua adessere: «Non dobbiamo stancarci, non dobbiamo cedere,dobbiamo perseverare». È appena uscita, per Sperling & Kup-fer, la sua autobiografia: Solo il vento mi piegherà.

Marzo. «Quando a Chin-guetti o a Timbuctù una bi-blioteca brucia o si disperde,è la memoria di mille vecchiche scompare». Così, sim-metricamente, glossava lacelebre massima di AmadouHampâté Bâ Léopold Sé-dar Senghor. Andatosene

ultranovantenne nel 2001, Senghor è il vate della negritudi-ne, non intesa come arroccamento nella propria identità, ri-scoperta in senso positivo, ma come l’abito con cui recarsi alplanetario «appuntamento del dare e del ricevere». Ben radicato nella sua africanità e al tempo stesso profondoconoscitore della classicità, Senghor è stato il primo membroafricano (1983) dell’Accademia di Francia. Era già stato il primo presidente del Senegal, e il primo in Afri-ca a ritirarsi spontaneamente dalla sua carica. In italiano pos-siamo leggere Canti d’ombra e altre poesie (Passigli, 2000).

Aprile. La morte di PatriceÉmery Lumumba, nelgennaio del 1961, sulla qua-le solo da pochi anni si è fat-ta piena luce, fu il culminedi una cospirazione, nel con-testo della guerra fredda,tra Cia, servizi belgi e per-sonaggi congolesi. Tra questi ultimi, Mobutu Sese Seko. Per soli sei mesi il giovane Lumumba rimase primo mini-stro di un paese immenso, ma la sua personalità, la sua proie-zione internazionale, il precipitare degli eventi, la sua fineatroce (dissolto nell’acido), anche i suoi ritratti fotografici,ne hanno fatto uno dei miti inossidabili dell’anticoloniali-smo per l’intero Terzo mondo, come si diceva allora, e nonsolo per il suo continente. «Noi abbiamo conosciuto le ironie, gli insulti, le scudiscia-teate, e dovevamo soffrire da mattina a sera perché erava-mo negri. Chi dimenticherà che al negro si dava del tu, noncome a un amico ma perché il dare del lei era riservato aibianchi?», ribadì Lumumba mentre si stava proclamando l’in-dipendenza. Alessandro Aruffo ha scritto Lumumba e il pa-nafricanismo (Massari, 1991).

Maggio. In pochi lo sanno,ma il mwalimu (insegnan-te) Julius KambarageNyerere, che guidò il Tan-ganica all’indipendenza eseppe poi unificarlo conZanzibar dando vita alla

Tanzania, è oggetto di una causa di beatificazione. La suafede cattolica non gli impedì però – anzi in essa trovavale sue motivazioni profonde – di difendere a testa alta l’in-dipendenza del suo paese, anche di fronte ai diktat del-le istituzioni finanziarie internazionali. La sua celebreDichiarazione di Arusha lanciò nel 1967 l’esperienzadel socialismo africano, radicata nella cultura africanae giocata nello spazio del non allineamento. Gli obiettivi non furono tutti raggiunti, ma furono fattidei notevoli passi avanti, specie nel campo dell’istruzio-ne e nella coscienza dell’unità nazionale. Personalmen-te Nyerere (deceduto nel 1999) ha sempre mantenuto untenore di vita di estrema sobrietà. «Vorrei accendere una candela e metterla in cima almonte Kilimanjaro affinché illumini al di là delle nostrefrontiere, dando speranza a quanti sono disperati, por-tando amore dove c’è odio e dignità dove prima c’era so-lo umiliazione».

Giugno. Il capitano ThomasSankara non fa parte dellagenerazione dei “padri del-l’Africa” – assunse il poterenel 1983 – ma rimane unadelle figure politiche più ama-te, in patria come nel restodel continente, e oltre. Inau-gurò una rivoluzione per certi versi simile a quella di Nyere-re, puntando sulla dignità del suo popolo e sulle pur scarse ri-sorse nazionali ordinate a uno sviluppo endogeno. E pretese,da sé stesso come da tutti i dirigenti, uno stile quasi sparta-no. Mutò il nome del suo paese da Alto Volta in Burkina Fa-so: “la terra delle persone integre”. Una delle battaglie che lo resero celebre fu contro il debitoestero: «Non possiamo pagare, perché sono gli altri che han-no nei nostri confronti un debito che le più grandi ricchez-ze non potrebbero mai pagare, cioè il debito di sangue». Lasua rivoluzione non andò esente da errori (ne è sintomo l’e-silio di Joseph Ki-Zerbo). Sankara venne assassinato dopoquattro anni; i sospetti gravano sull’attuale presidente, suoamico fraterno. Da leggere: L’Africa di Thomas Sankara di Carlo Batà(Achab, 2003).

*Pier Maria Mazzola, giornalista, è autore di Giorni d’Africa. Personaggi,eventi, ricorrenze (Emi, 2006).

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Due giornalisti di Radio Waumini di Nairobi, Esther Kabugi e Anthony Wafula, sono stati scelti rispetti-

vamente per il primo e per il secondo premio assegnato annualmente dall’Unesco, il “Nastro Rosso”, in oc-

casione della Giornata mondiale l’Aids, 1° dicembre. La vincitrice dell’edizione 2006 è stata premiata per

il suo contributo nell’informare l’opinione pubblica sulla situazione degli orfani dell’Aids e dei bambini af-

fetti dal virus Hiv; il suo collega è stato insignito del riconoscimento per le sue inchieste sull’incidenza del-

l’Aids nel mondo del lavoro.

Il lavoro dei due giornalisti si inserisce nel quadro della campagna informativa sull’Aids che Radio Wau-

mini – l’emittente della Conferenza episcopale del Kenya, avviata nel 2003 da padre Kizito Sesana – sta

conducendo da due anni con la collaborazione dell’agenzia cattolica britannica Cafod. Radio Waumini tra-

smette in inglese e kiswahili dalla capitale keniana; il suo segnale è captato in un raggio di 150 chilometri.

Donna e keniana è anche la terza classificata di questo Red Ribbon Media Award for Excellence, consistente

in una cifra complessiva di 2750 dollari e al quale possono candidarsi i giornalisti dell’Africa australe ed

orientale.

Si tratta di Jacqueline Okoo, giornalista a Mombasa del network radiofonico protestante Feba Radio.

A Radio Wauminipremio Unesco contro l’Aids

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I bambini seguono Boniface sulla strada che porta a NduguMdogo (“Piccolo Fratello” in kiswahili). Come un pifferaio ma-gico li accompagna, dopo averli incontrati sulle strade di Nai-robi, tra i rifiuti del Kenyatta Market, dopo averli invitati amangiare con lui per la prima volta e averli convinti con la suapresenza quotidiana e la sua dolcezza che poteva esistere unmondo di adulti in cui credere. È passato più di un anno dalloro primo incontro.Boniface li conosce uno per uno, ma è sem-pre vicino al bambino che parla meno: come un cacciatore cer-ca le ragioni del suo silenzio. Ogni bambino sa che Bonifacelo ascolterà. Sono dietro di lui, oggi, verso Ndugu Mdogo. Sono sicuri mentre camminano. Nessuno li ha obbligati a la-sciare la strada. Arrivano fieri sulla porta della nuova casa einterrompono per un istante il loro continuo movimento.Basta uno sguardo di Boniface e si mettono in fila, natural-mente, mentre padre Kizito li accoglie, davanti all’entrataprincipale, e regala a ciascuno una maglietta con la scritta Ndu-gu Mdogo. We belong to each other. “Apparteniamo l’uno al-l’altro”.E poi tutti ancora dietro a Boniface, su per le scale, saltando,incrociando l’abbraccio di Gian Marco e di altri amici. Di cor-sa, per vedere tutta la casa in un battibaleno.Si separano, si riuniscono, come un branco di pesci marini co-lorati che inseguono le correnti. Questi movimenti sono la co-sa più bella, in un giorno in cui c’è anche tutto il resto: il so-le, la campagna, le colline di Ngong, i sorrisi degli amici.Ma più di tutto la magia di questi bambini, che da più di un

anno, grazie al lavoro di Boniface, Jack, Robert, Tiberius,Benson – gli altri educatori – hanno ricominciato a studiare,a mangiare, a parlare. Ci sono anche quattro bambini piùgrandi che vengono dal Kenyatta Market: hanno ancora i se-gni della strada, lo sguardo fisso della colla, ma anche loro siuniscono al movimento magico degli altri, come se avesserocapito la musica e l’avessero scelta. I bambini sono tutti nel-la casa e l’hanno occupata naturalmente. Padre Kizito con unasemplicità infinita li divide in tre gruppi e li affida alle tre fa-miglie che li accoglieranno insieme ai propri figli.Non litigano per la scelta della famiglia, della stanza o del let-to: i bambini di Ndugu Mdogo non chiedono niente. Cercano soltanto, appena possono, di riunirsi tutti insieme,e di riprendere a ridere, a rincorrersi, a cadere e a rialzarsi.Così mi accorgo che sto assistendo a qualcosa di più di del-l’inaugurazione di una casa. Mi accorgo in un istante che stoascoltando una musica che viene da lontano e aspettava diarrivare fin qui. E allora li inseguo anch’io, mi butto nel lo-ro movimento e comprendo cose che non avevo mai capito,quasi impossibili da raccontare. E capisco fino in fondo la ra-gione del lavoro di padre Kizito, di Amani, di tutte le perso-ne coinvolte nei diversi progetti. Prendo al volo il piccoloDunkan che si arrampica sulle mie spalle, mentre Dunkanpiù grande mi sussurra nell’orecchio qualcosa che non capi-sco, ma è una frase meravigliosa. La sua voce piena di dol-cezza si unisce alla notte che sta arrivando. La musica pia-no piano diventa più lenta, Boniface saluta i bambini che orasi preparano per la cena.

Si cucina un pollo buonissimo che i bambini mi offrono subi-to, ancora prima di assaggiarlo. Guardare questa casa di se-ra, piena di vita, con le luci accese, è una delle felicità più gran-di che abbia mai provato. Fabio Ilacqua e Roberto Pelitti stan-no filmando i bambini che dormiranno qui per la prima volta.Entriamo in una delle stanze e troviamo Yo-yo, il più piccolodi tutti, che non ha mai dormito in un letto. Sorridendo ci guar-da e ci dice: «Stanotte dormirò come un bambino».

* Arnoldo Mosca Mondadori è conduttore del programma “Piccolo Fra-tello” su Mediolanum Channel (Sky 803).

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Piccoli Consiglieri di pacedi Paola Liberali*

Quante volte mi è stato detto: «Il viaggio non finisce quando tor-ni dall’Africa…». È così, torni carico di emozioni e di linfa vita-le che non puoi tenere per te: la racconti, la descrivi, la fai im-maginare a chi non l’ha vissuta. Così sono sempre felice quan-do ho la possibilità di raccontare ad altri la mia esperienza,soprattutto se sono ragazzi o bambini.Ho avuto l’occasione di farlo a una riunione del Consiglio Co-munale dei Ragazzi, organizzato dal Comune di Lacchiarella inprovincia di Milano, insieme alle scuole elementari e medie delpaese. È un’iniziativa importante: i ragazzi che vi partecipanosi riuniscono, discutono e propongono idee, in una sorta di Con-siglio Comunale allargato, al quale partecipa anche il sindaco. Il progetto che i ragazzi hanno deciso di intraprendere durantelo scorso anno scolastico si chiama Poesie per la pace. Ognunoha scritto una poesia sulla pace: quella che loro stessi possonorealizzare nella quotidianità, e la pace nel mondo, difficile da rea-lizzare ma necessaria da sognare. Poesie per la pace oggi è unvero e proprio libricino, realizzato dalle scuole insieme al Comune,che è stato distribuito dai ragazzi. Loro stessi hanno deciso cheparte del ricavato sarebbe stato devoluto ad Amani.Sono stata invitata a partecipare alla consegna dei fondi raccol-

ti e mi sono trovata davanti a una quindicina di bambini e ra-gazzi entusiasti, che mi hanno prima ascoltata con attenzionenei miei racconti sui bambini di Kivuli e le bimbe della Casa diAnita. Poi, con una curiosità e una trasparenza che solo i bam-bini riescono ancora ad avere, mi hanno letteralmente som-mersa di domande. «I bambini di Nairobi vanno a scuola?». «Maperché non vivono a casa con i loro genitori?». «Dove dormonose devono stare in strada? Non hanno freddo?». «Che lavoro fan-no i loro genitori?».Tutte domande legittime, cui è difficile rispondere pur sapendocosa dire, perché raccolti in cerchio in una grande aula di unascuola italiana, quel mondo e quei bambini sembrano lontanis-simi. Ma poi mi rendo conto che sono in un cerchio, che tutti par-lano e dicono la loro, e mi catapulto a due anni fa, quando mitrovavo insieme ai bambini di Kivuli, ai volontari italiani e aglieducatori locali, a giocare, parlare, confrontarsi. E mi sembra chein questa stessa disposizione, in questo momento, in questo con-tinente, e con questi bambini entusiasti di conoscere quei lorocoetanei che vedono al massimo solo alla televisione, si sia crea-to un bel ponte. I ragazzi del Consiglio Comunale, oltre ad averraccolto fondi importanti che andranno a finanziare l’educazio-

ne dei piccoli ospiti del Kivuli Centre, hanno scritto poesie di pa-ce, e chissà che non riescano veramente a mettere in pratica nel-la loro quotidianità quella pace tanto desiderata che inizia an-che così, con uno scambio di pensieri tra bimbi solo geografica-mente lontani.

*Paola Liberali, di Certosa di Pavia, è volontaria di Amani.

Kivuli Centre

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Casa di Anita

Dorkas Gaiti (Angel) è la bambina in assoluto più dolce dellaCasa di Anita. Da quando è stata trovata e accolta qui, ne sia-mo state tutte felici. È amata da tutte. Quando fu ritrovata (Ama-ni ha raccontato la vicenda lo scorso luglio, NdR) le sue condi-zioni di salute erano davvero pessime, e non era in grado di fa-re proprio nulla: non camminava, non parlava, non sorridevamai. Era molto ammalata, ma appena ricevute le prime cure nel-la nostra Casa di Anita, la sua salute ha cominciato a miglio-rare. È diventata un po’ alla volta anche “la cocca” dei guar-diani della casa. Ognuna di noi era davvero stupita di come An-gel fosse riuscita a farsi benvolere e coccolare da loro, che latrattavano come fosse una sorellina.Dopo pochi mesi, Angel sapeva fare cose che prima non faceva:riconoscere le persone, giocare con le bambine più piccole. E sor-

rideva spesso. Quando era più piccola, tutte le ragazze della Ca-sa volevano prenderla in braccio e spesso litigavamo per que-sto! L’amavamo tutte ed era bellissimo vedere che non era piùda sola. Anche se non era ancora guarita del tutto, Angel face-va già delle attività piene di energia e divertenti che mai avre-ste immaginato, come ballare, correre, ridere, dire piccole fra-si… Davvero una sorella dolcissima.Il mio augurio è che Angel cresca sana, possa andare a scuolae lavorare per diventare una persona responsabile e onesta. Chesia benedetto chi ha fatto in modo che in lei ci siano tanto amo-re, simpatia, gentilezza, sensibilità. Che Dio benedica il lavorodelle sue mani e del cuore.

*Doris Anyembe è una piccola ospite della Casa di Anita.

La nostra nuova, dolcissima sorellinadi Doris Anyembe*

AMANI

17 dicembre 2006di Arnoldo Mosca Mondadori*

Ndugu Mdogo

Se vuoi la pace

Se vuoi la paceDichiara guerra alla guerra Al tuo egoismoChe vuole tutto per séE non ti fa vedereIl bisogno del tuo fratello.Combatti ogni desiderio di dominioChe vuole farti comandareNel gioco, a scuola, a casa,dappertutto.

Se vuoi la paceCerca che tutti intorno a teabbiano il necessario,abbiano la possibilità di parlare,siano liberi.Come vuoi essere libero tudi parlare, di lavorare,di pregare, di amare, di vivere.La pace comincia da te.

Dalla 5a C

Padre Kizito con due bambini il giorno dell’inaugurazione della casa

Angel, la più piccola della bambine di Anita

Page 7: 2007 febbraio

hikondano è sorto su un terreno oc-cupato abusivamente da circa 500 famiglie po-verissime, che sopravvivono in capanne costrui-te con fango essiccato e tetto di paglia. Non esi-stono fogne, l’acqua potabile da qualche anno èassicurata da un unico pozzo con pompa ma-nuale, non ci sono scuole o asili, ma cinque ta-verne e una “discoteca” dove i pochi uomini ri-masti cercano di dimenticare la loro condizioneubriacandosi con il chibuku, la birra locale, e do-ve le donne trovano il modo di guadagnare qual-cosa per sfamare i tanti figli.Dove ti volti vedi bambini, cosa naturale in unpaese dove la vita media non arriva a 40 anni emetà della popolazione ha meno di quattordici an-ni, ma qui sembrano ancora di più, molti di loroportano addosso i segni della malnutrizione edelle malattie non curate.

Ogni anno accompagno i volontari di Amani, chevengono al Mthunzi Centre, a visitare Chikon-dano. Il villaggio dista una ventina di minuti apiedi, e per chi si occupa di aiutare i bambini distrada è importante vedere da dove molti di lo-ro provengono e quali condizioni li spingono adandare in strada. Camminare tra queste capanne è sempre un’e-sperienza forte, che stringe lo stomaco, ma puòaprire la mente. Chi è stato lì non dimentica facilmente certe im-magini di povertà, di rassegnazione e di dolore,ma è anche un’occasione per capire meglio e cer-care dei segnali di speranza. Lo scorso agosto, mentre camminavamo circon-dati dal solito sciame di bambini, siamo passativicino ad una capanna fuori della quale stava unagiovane donna con due bambini piccoli. Ci è ve-nuta incontro con un grande sorriso e ha rin-graziato per il supporto che le abbiamo dato. Sichiama Rachael ed è una delle trenta donne chepartecipano al “progetto agricolo per le mamme”.Questo progetto, che Amani sostiene da tre an-ni, è nato da un’idea di Oscar, capo della comu-nità di Koinonia e bravo agricoltore, durante unincontro con le donne del villaggio che chiedevanouna mano.La terra su cui sorge il Mthunzi Centre è di 100acri, poco più di 40 ettari, e dispone di abbondanteacqua per l’irrigazione. Si è pensato di proporrealle donne del villaggio di coltivarne un acro a te-sta per ricavare mais e ortaggi; in questo modosi cerca di evitare che altri bambini siano spintidalla fame sulla strada o che le loro mamme deb-bano prostituirsi. Fin da subito abbiamo credu-

to in questa idea e, attraverso Koinonia, abbia-mo sostenuto 30 donne, residenti nei villaggi vi-cini al Mthunzi, finanziando l’acquisto di ferti-lizzanti e sementi con circa 80 euro a testa.

Rachael è una di loro, vive a Chikondano con lamadre anziana e cinque figli piccoli. Quando leho chiesto come era andato il raccolto, ci ha fat-to entrare nella sua capanna e ci ha mostrato isacchi di farina che aveva prodotto con le sue ma-ni. Le ho chiesto quanti erano e per quanto tempole sarebbero bastati. Ha risposto, con un pizzico di orgoglio, che i sac-chi erano 23, e ciascuno forniva alla sua famigliapolenta per 15 giorni: una riserva di cibo, in to-tale, per 11 mesi e mezzo.

Pensare che sono bastati pochi euro a dare ciboe dignità a questa donna e alla sua famiglia, miha riempito di soddisfazione e mi ha ricordato ilcelebre detto cinese: “Se vuoi aiutare una personache ha fame, non darle del pesce, insegnale a pe-scare”.Rachael ha “imparato a pescare” e noi abbiamoavuto la conferma di quanto sia importante or-ganizzare progetti, anche piccoli come questo, fat-ti non solo “per” ma anche “con” le comunità lo-cali, ascoltando i loro bisogni e valorizzando le abi-lità e le competenze delle persone. Per la prossima stagione il numero delle donne chehanno chiesto di partecipare al progetto è salitoa 50. Inutile dire che, anche grazie a Rachael, ab-biamo deciso di continuare a sostenerle.

*Mauro Palazzi, medico, è vicepresidente di Amani.

Mthunzi Centre

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Adozioni a distanza

Perché tutti insieme L'adozione proposta da Amani non è in-dividuale, cioè di un solo bambino, maè rivolta all'intero progetto di Kivuli, del-la Casa di Anita, di Mthunzi o delle Scuo-le Nuba. In questo modo nessuno di loro cor-rerà il rischio di rimanere escluso. In-somma "adottare" il progetto di Ama-ni vuol dire adottare un gruppo di bam-bini, garantendo loro la possibilità dimangiare, studiare e fare scelte co-struttive per il futuro, sperimentandola sicurezza e l'affetto di un adulto. Esoprattutto adottare un intero proget-to vuol dire consentirci di non limita-re l’aiuto ai bambini che vivono nelcentro di Kivuli, della Casa di Anita, delMthunzi o che frequentano le scuole diKerker e Kujur Shabia, ma di estender-lo anche ad altri piccoli che chiedono aiu-to, o a famiglie in difficoltà, e di spez-zare così il percorso che porta i bambi-ni a diventare street children o, nel casodei bambini nuba, di garantire loro ilfondamentale diritto all’educazione. Anche un piccolo sostegno economi-co permette ai genitori di continuare afar crescere i piccoli nell’ambiente piùadatto, e cioè la famiglia di origine.In questo modo, inoltre, rispettiamola privacy dei bambini evitando didiffondere informazioni troppo personalisulla storia, a volte terribile, dei nostripiccoli ospiti. Pertanto, all'atto dell'a-dozione, non inviamo al sostenitoreinformazioni relative ad un solo bambi-no, ma materiale stampato o video con-cernente tutti i bambini del progetto chesi è scelto di sostenere. Una caratteristica di Amani è quella diaffidare ogni progetto ed ogni iniziati-va sul territorio africano solo ed esclu-sivamente a persone del luogo. Perquesto i responsabili dei progetti di Ama-ni in favore dei bambini di strada sonokeniani, zambiani e nuba.Con l'aiuto di chi sostiene il progettodelle Adozioni a distanza, annualmenteriusciamo a coprire le spese di gestio-ne, pagando la scuola, i vestiti, gli alimentie le cure mediche a tutti i bambini.

Info: [email protected]

Come aiutarciPuoi "adottare" i progetti realizzati daAmani con una somma di 30 euro almese (360 euro all'anno): contribui-rai al mantenimento e alla cura di tut-ti i ragazzi accolti da Kivuli, dalla Ca-sa di Anita, dal Mthunzi o dalle Scuo-le Nuba. Per effettuare un'adozione a distanzabasta versare una somma sul c/c postale n. 37799202 intestato adAmani Onlus – Ongvia Gonin 8 – 20147 Milanoo sul c/c bancario n. 503010 Banca Popolare Etica CIN G – ABI 05018 – CAB 12100EU IBAN IT93 G050 1812 1000 00000503 010

Ti ricordiamo di indicare, oltre il tuonome e indirizzo, la causale del ver-samento: "adozione a distanza". Ci consentirai così di poterti inviareil materiale informativo.

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Rachael ha imparatoa pescare

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Vicino al Mthunzi Centre c’è un villaggio che si chiama Chikondano: vuol dire, in lingua nyanja, “donato con amore”. Penso che a tutti piacerebbe vivere in un villaggio con un nome così bello, ma a volte i nomi possono trarre in inganno

di Mauro Palazzi*

Rachael mostra il suo raccolto: scorte alimentari per sfamare sette bocche durante un anno

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Chi siamoAmani, che in kiswahili vuol dire “pace”, è un’associazione laica e una Or-ganizzazione non governativa riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri. Amani si impegna particolarmente a favore delle popolazioni africane se-guendo queste due regole fondamentali:1. Garantire una struttura organizzativa snella, così da contenere i costi acarico dei donatori; 2. Privilegiare l’affidamento e la gestione di ogni progetto e di ogni inizia-tiva sul territorio africano a persone qualificate del luogo. Molti degli in-terventi di Amani, infatti, sono stati direttamente ispirati dalla comunitàdi Koinonia (www.koinoniakenya.org).

Come contattarciAmani Onlus – Ong (Organizzazione non lucrativa di utilità sociale e Or-ganizzazione non governativa)Sede legale e amministrativa:via Gonin, 8 – 20147 Milano – ItalyTel. 02 4121011 – Fax 02 48302707Sede operativa:via Tortona, 86 – 20144 Milano – ItalyTel. 02 48951149 – Fax 02 [email protected] www.amaniforafrica.org

Come aiutarciBasta versare una somma sul c/c postale n. 37799202 intestato ad AmaniOnlus-Ong – via Gonin 8 – 20147 Milano, o sul c/c bancario n. 503010 Ban-ca Popolare Etica CIN G – ABI 05018 – CAB 12100 EU IBAN IT93 G0501812 1000 0000 0503 010 - BIC/SWIFT CCRTIT2T84ANel caso dell'adozione a distanza è necessario versare 30 euro mensilmen-te almeno per un anno. Ricordiamo inoltre di scrivere sempre la causale del versamento e il vostroindirizzo completo.

Le offerte ad Amani sono deducibiliI benefici fiscali per erogazioni a favore di Amani possono essereconseguiti con le seguenti possibilità:

1. Deducibilità ai sensi della legge 80/2005 dell’importo delle donazioni (so-lo per quelle effettuate successivamente al 16.03.2005) con un massimo di70.000 euro oppure del 10% del reddito imponibile fino ad un massimo di70.000 euro sia per le imprese che per le persone fisiche.in alternativa:2. Deducibilità ai sensi del DPR 917/86 a favore di ONG per donazioni de-stinate a Paesi in via di Sviluppo. Deduzione nella misura massima del 2%del reddito imponibile sia per le imprese che per le persone fisiche.3. Detraibilità ai sensi del D.Lgs. 460/97 per erogazioni liberali a favore diONLUS, nella misura del 19% per un importo non superiore a euro 2.065,83per le persone fisiche; per le imprese per un importo massimo di euro2.065,83 o del 2% del reddito di impresa dichiarato.Ai fini della dichiarazione fiscale è necessario scrivere sempre ONLUS o ONGdopo AMANI nell'intestazione e conservare:- per i versamenti con bollettino postale: ricevuta di versamento;- per i bonifici o assegni bancari: estratto conto della banca ed eventualinote contabili.

Iscriviti ad Amaninews Amaninews è un servizio di informazione e approfondimento di Amani: tie-ne informati gli iscritti sulle nostre iniziative, diffonde i nostri comunicatistampa rende pubbliche le nostre attività. Per iscriverti ad Amaninews invia un messaggio a:[email protected]

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Iniziative

Editore: Associazione Amani Onlus–Ong, via Gonin 8, 20147 MilanoDirettore responsabile: Daniele ParoliniCoordinatore: Pier Maria MazzolaProgetto grafico e impaginazione: Ergonarte, MilanoStampato presso: Grafiche Riga srl, via Repubblica 9, 23841 Annone Brianza (LC)Registrazione presso la Cancelleria del Tribunale Civile e Penale di Milanon. 596 in data 22.10.2001

Porta il tuo cuore in AfricaAMANI

Adozioni 2007

Il nostro pianeta…Un’inchiesta sui come e i perché della slumizzazione del mondo, soprattutto il “terzo”.Ricca di dati ma che si legge come un romanzo. In un pianeta in cui, per la prima voltanella storia, la maggior parte della popolazione è ormai urbanizzata, l’Africa – bensimboleggiata da Nairobi – conosce «la situazione più estrema». Qui «gli slum stannocrescendo a una velocità doppia della deflagrazione delle città del continente». Conuna citazione (dell’indiana Gita Verma) che non si dimentica: «La causa prima delloslumming urbano sembra essere non la povertà umana ma la ricchezza urbana»…

Mike Davis Il pianeta degli slum Feltrinelli – pp. 215 – € 15,00

Cari amci,grazie per l’affetto e la vicinanza che continuate a dimostrare con l’impegno di un’adozione a distanza.Con l’inizio del 2007, per chi ne ha la possibilità, la quota passa a 30 euro mesili (360 annuali), èin pratica 1 euro al giorno, necessario per allinearsi al costo della vita che ovviamente dal 1995 è cam-biato. Vi ricordiamo che a volte ci troviamo in imbarazzo per l’impossibilità di ringraziarvi in modo adegua-to a causa di indirizzi e recapiti che le banche non ci forniscono mai o di bollettini postali incompleti. Ciraccomandiamo a voi per segnalarci, a donazione avvenuta, il modo migliore per raggiungervi, scrivendocia [email protected]

Grazie comunque a tutti voi per ciò che potrete fare e ciò che avete fatto fino ad ora.

AMANI

Fa’ la cosa giusta!Amani sarà presente anche quest’anno, con un suo stand, alla FIERA DEL CONSUMO CRITICO E DEGLI STILI DI VITA SOSTENIBILI, organizzata da Terre di mezzo e Altreconomia. Il 13 aprile (dalle 15:00 alle 23:00), il 14 (9:00-23:00) e domenica 15 (10:00-18:00) nei padiglioni di FieraMilanoCity (piazzale Carlo Magno 1 – MM Amendola).Ricco programma di convegni, incontri, intrattenimento; ristorazione biologica e solidale.Consultare http://falacosagiusta.org. Vi aspettiamo numerosi.

…ma che mondo è?Sedici interviste “sulle emergenze di inizio millennio” raccolte dal Circolo CulturalePrimomaggio di Bastia Umbra: «Il no alla guerra e al neoliberismo debbono trovareun loro pronunciamento e una loro articolazione anche a livello locale», spiega Lui-

gino Ciotti, animatore del Circolo. Contributi, tra gli altri, di Jean-Léonard Touadi,padre Kizito Sesana e padre Alex Zanotelli, Giuliana Sgrena e Riccardo Petrella.

a cura di Roberto De Romanis Ma che mondo è questo? Manifestolibri – pp. 184 – € 16,50

Dona un sms d’amore a “Piccolo Fratello”

Dal 1° al 28 febbraio inviando un sms al numero 48545, contribuirai con 2 euro alla crescita della casa Ndugu Mdogo - Piccolo Fratello.

La casa, inaugurata il 17 dicembre scorso a Nairobi

(articolo a pag.6 di Arnoldo Mosca Mondadori),

oggi ospita tre coppie keniane, ciascuna delle quali

si prende cura dei propri figli e di dodici ex bambini

di strada, assicurandogli una crescita affettivamente

tranquilla e sicura e un’istruzine adeguata.