2004-02-21 Cecenia

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LA REPUBBLICA 35 SABATO 21 FEBBRAIO 2004 D IA R IO di M algrado la cortina di si- lenzio, nessun respon- sabile occidentale igno- ra che in materia di disumanità, oggi, su quella minuscola parte di Caucaso si abbatte il peggio del peggio. L’ultima trovata di questa guerra «esemplare», pie- na zeppa di invenzioni, è il fa- gotto umano. Signi- fica, in un qualsiasi villaggio, prendere donne, bambini e vecchi, legarli insie- me e buttare in mez- zo a loro alcune gra- nate. I nostri potenti rivolgono lo sguardo altrove e non dicono niente. Perché? Per far piacere a Mosca? Ma Mosca, cosa vuole? L’enigma rimane senza rispo- sta. La volontà che spinge il Cremlino a proseguire la pro- pria guerra contro i civili ceceni, costi quel che costi, sfida ogni calcolo razionale. E’ chiaro che i centocinquanta milioni di russi sparsi nel loro immenso territo- rio non hanno il minimo interes- se ad andarsi a impantanare, a scapito dei propri figli e delle proprie finanze, in un fazzoletto di terra grande quanto la Cala- bria. Il petrolio, allo- ra? Quello serve giu- sto ad arrotondare la paga dei generali che lo prelevano. Il trac- ciato degli oleodotti? Ormai il loro percor- so aggira questa zo- na pericolosa. Il peri- colo islamico che minaccia la regione e di cui la Ce- cenia sarebbe il braccio armato? Cosa teme Mosca? Il rischio d’incoraggiare altri indipen- dentismi, l’effetto-domino? Per più di tre secoli, i ceceni sono stati gli unici al mondo a resiste- re a una tale pressione e con tale perseveranza. In Arcipelago Gu- lag Soljenitsin racconta ammi- rato: dietro il filo spinato «c’è una nazione sulla quale la psico- logia della sottomissione resta senza effetto; non individui iso- lati, non ribelli, no: la nazione in- tera. Sono i ceceni. Abbiamo già visto il loro atteggiamento nei confronti degli evasi dai campi. Abbiamo visto come, soli tra tut- ti questi reietti avevano tentato di sostenere l’insurrezione di Kenghir. I ceceni non hanno mai e da nessuna parte cercato di servire le autorità, né di essere compiacenti; il loro atteggia- mento è sempre stato fiero, a volte apertamente ostile [...]. Perché tanta ostinazione, da Caterina II a Putin, da San Pie- troburgo a Vladivostock? Perché ostinarsi a seppellire uomini, armi e ani- me in un lontano ci- mitero caucasico? La posta in gioco di que- sto bagno di sangue non è la Cecenia, la sua terra devastata, il suo popolo annien- tato. Si tratta piutto- sto delle teste dei russi, dell’ordi- ne che periodicamente viene ri- stabilito in ogni cervello russo. Da tre secoli l’autocrazia bianca, e poi rossa, reitera questa batta- glia pedagogica. Lo zar Nicola I ha portato avanti lo sterminio dei ribelli per quarant’anni. Nel 1944 Stalin li fa deportare tutti in tre giorni. Prima le donne e i bambini (gli uomini combatto- no al fronte contro i nazisti, i so- pravvissuti saranno arrestati più tardi), un terzo di loro muore du- rante il viaggio. La Russia di oggi, definita democratica, è già alla sua seconda guerra: nella prima aveva ucciso un abitante su die- ci, nella seconda raddoppia il re- cord di disumanità. Perché una tale valanga di sofferenze? Dal Settecento a oggi, le guerre cece- ne vengono citate come «esem- pio per tutta la nazione»: è lette- ralmente in questi termini che Putin ha presentato la sua spedi- zione militare. Le guerre cecene si decifrano come un breviario d’obbedienza e s’impongono come il catechismo dell’asservi- mento. Si ritiene che il martirio caucasico sia un deterrente: la crocifissione dei montanari che non si sottomettono deve servi- re da esempio per tutti. Ogni rus- so deve capire il prezzo da paga- re per resistere agli ordini che ar- rivano dall’alto. Ancora oggi, quando i ceceni si salutano, non si dicono buongiorno o buona- sera, non chiedono come stai, né invocano la benedizione di Dio. Rendono invece omaggio all’es- senziale: «Che la libertà sia con te!». Tolstoj, nel suo ultimo rac- conto Chadzi-Murat, testamen- to spirituale proibito finché era in vita, consegna l’ultima ratio di questa strategia pedagogica: sradicare il «cardo ceceno» per annientare l’idea di libertà in ogni anima russa. La guerra in Cecenia disciplina l’impero. Un simile condizionamento ha un prezzo. Sin dai tempi di Ivan il Terribile, i padroni del momento hanno ra- ramente avuto esita- zioni a far pagare il conto ai loro sudditi. La costruzione di San Pietroburgo sotto la ferula di Pietro il Grande richiese il la- voro forzato dei mujik, che perirono a centinaia di migliaia nelle palu- di. Settanta anni di comunismo hanno battuto ogni record di or- rore. In nome della mobilitazione anticecena si mette fine al «car- nevale eltsiniano», viene procla- mata la «verticale del potere», le libertà pubbliche vengono limi- tate, i mass media vengono ri- messi sotto controllo e l’opinio- ne pubblica è invitata all’auto- censura, mentre la polizia ritro- va prestigio e poteri. Lo spirito spetznaz ha ormai contaminato quel terzo d’Europa dove i corpi speciali, all’occorrenza ma- scherati, dettano legge a piaci- mento e si alleano con le varie mafie e i ricchi predatori. Per dieci anni le democrazie occidentali si sono cullate nelle illusioni, immaginando una via d’uscita dal comunismo a senso unico: tutti, antichi servi e vecchi padroni, popoli oppressi e no- menklatura sfruttatrice, incon- sapevoli bambini sperduti e ci- nici sfruttatori senza scrupoli, tutti avrebbero percorso come un sol uomo la via ma- gna del rispetto e del- la tolleranza, nel- l’ambito di un’econo- mia di mercato rego- lata dai Diritti del- l’Uomo. A sinistra co- me a destra, abbiamo deciso che il tempo delle violenze era passato, e che ormai esisteva so- lo un irresistibile e pacifico pro- gresso economico versione Da- vos o Porto Alegre. Non ce ne vogliano gli angelici estimatori di storie a lieto fine, ma i fatti sono ostinati e la storia rimane tragica. Non c’è un modo solo per uscire dal sovietismo e dalle dittature totalitarie, ma due. C’è la via di Vaclav Havel, democratica e tollerante ma lunga, penosa e disseminata d’ostacoli. Oppure la mobilita- zione alla Milosevic, con il suo carico di pulizie etniche e av- venture sanguinarie. La Russia è al bivio. La sporchissima guerra che ha scate- nato di nuovo contro il Caucaso la incan- crenisce completa- mente. Assistendo impavidi e indifferenti a questo massacro senza fine, favoriamo, nel nostro grande vicino dell’Est, la nascita di un’autocrazia postideologica senza fede né legge. Il sonno de- gli europei, della loro morale e della loro ragione, scava un buco nero nel nostro suolo, avalla una società né comunista né libera- le, ma sempre più mostruosa. Nella lotta dei ceceni per la pro- pria dignità e sopravvivenza, il destino spirituale della Russia e l’avvenire materiale dell’Europa vacillano. Il Paese della guerra infinita ANDRÉ GLUCKSMANN LE SCELTE DELLA RUSSIA E LA VERA POSTA IN GIOCO LE ILLUSIONI PERDUTE DELLE DEMOCRAZIE OCCIDENTALI PER me Cecenia è innanzitutto una pazzia del potere russo. Non tanto per la protesta da parte dei ceceni contro l’impero. Neanche per l’imperialismo dei russi. È la pazzia del potere che io conosco sin dalla mia infan- zia. Succede quando, spinto dai propri pregiudizi inte- riori, esso si sfalda nelle sue decisioni. Sicché, lo stes- so voler prendere una decisione è già per il potere rus- so uno sfacelo. La tragedia poteva anche finire dieci, sette oppure cinque anni fa. Poi il problema è diventa- to irresolubile, perché quella tragedia è frutto dello sfa- celo del potere. Ma ora la situazione è più grave perché il tempo dello sfacelo che stiamo vivendo si esprime nel- la conservazione stessa del potere. Il potere si conser- va nello sfacelo, in quanto la campagna cecena di Pu- tin - iniziata ben prima che lui diventasse presidente - non è che la conservazione del potere nel pieno della sua decomposizione. Colui che sa capirà. Per colui che non sa, sarà tanto più grande la sorpresa. Noi sappiamo e nulla dunque ci può più sorprendere. VIKTOR EROFEEV CECENIA. CECENIA CECENIA L’imam Chamil circondato dai suoi figli e da due rappresentanti russi Il 23 febbraio del 1944 i ceceni furono portati via relegati in Kazakistan e in altre zone dell’Asia Da allora furono una minoranza ostinata discriminata e malvista all’interno dell’impero sovietico STALIN 60 ANNI FA DEPORTÒ L’INTERA POPOLAZIONE

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LA REPUBBLICA 35SABATO 21 FEBBRAIO 2004

DIARIOdi

Malgrado la cortina di si-lenzio, nessun respon-sabile occidentale igno-

ra che in materia di disumanità,oggi, su quella minuscola partedi Caucaso si abbatte il peggiodel peggio. L’ultima trovata diquesta guerra «esemplare», pie-na zeppa di invenzioni, è il fa-gotto umano. Signi-fica, in un qualsiasivillaggio, prenderedonne, bambini evecchi, legarli insie-me e buttare in mez-zo a loro alcune gra-nate. I nostri potentirivolgono lo sguardoaltrove e non dicononiente. Perché? Per far piacere aMosca? Ma Mosca, cosa vuole?

L’enigma rimane senza rispo-sta. La volontà che spinge ilCremlino a proseguire la pro-pria guerra contro i civili ceceni,costi quel che costi, sfida ognicalcolo razionale. E’ chiaro che icentocinquanta milioni di russisparsi nel loro immenso territo-rio non hanno il minimo interes-se ad andarsi a impantanare, ascapito dei propri figli e delleproprie finanze, in un fazzolettodi terra grande quanto la Cala-bria. Il petrolio, allo-ra? Quello serve giu-sto ad arrotondare lapaga dei generali chelo prelevano. Il trac-ciato degli oleodotti?Ormai il loro percor-so aggira questa zo-na pericolosa. Il peri-colo islamico cheminaccia la regione e di cui la Ce-cenia sarebbe il braccio armato?

Cosa teme Mosca? Il rischiod’incoraggiare altri indipen-dentismi, l’effetto-domino? Perpiù di tre secoli, i ceceni sonostati gli unici al mondo a resiste-re a una tale pressione e con taleperseveranza. In Arcipelago Gu-lag Soljenitsin racconta ammi-rato: dietro il filo spinato «c’èuna nazione sulla quale la psico-logia della sottomissione restasenza effetto; non individui iso-lati, non ribelli, no: la nazione in-

tera. Sono i ceceni. Abbiamo giàvisto il loro atteggiamento neiconfronti degli evasi dai campi.Abbiamo visto come, soli tra tut-ti questi reietti avevano tentatodi sostenere l’insurrezione diKenghir. I ceceni non hanno maie da nessuna parte cercato diservire le autorità, né di esserecompiacenti; il loro atteggia-mento è sempre stato fiero, avolte apertamente ostile [...].

Perché tanta ostinazione, daCaterina II a Putin, da San Pie-troburgo a Vladivostock? Perché

ostinarsi a seppellireuomini, armi e ani-me in un lontano ci-mitero caucasico? Laposta in gioco di que-sto bagno di sanguenon è la Cecenia, lasua terra devastata, ilsuo popolo annien-tato. Si tratta piutto-

sto delle teste dei russi, dell’ordi-ne che periodicamente viene ri-stabilito in ogni cervello russo.Da tre secoli l’autocrazia bianca,e poi rossa, reitera questa batta-glia pedagogica. Lo zar Nicola Iha portato avanti lo sterminiodei ribelli per quarant’anni. Nel1944 Stalin li fa deportare tutti intre giorni. Prima le donne e ibambini (gli uomini combatto-no al fronte contro i nazisti, i so-pravvissuti saranno arrestati piùtardi), un terzo di loro muore du-rante il viaggio. La Russia di oggi,definita democratica, è già allasua seconda guerra: nella primaaveva ucciso un abitante su die-ci, nella seconda raddoppia il re-cord di disumanità. Perché una

tale valanga di sofferenze? DalSettecento a oggi, le guerre cece-ne vengono citate come «esem-pio per tutta la nazione»: è lette-ralmente in questi termini chePutin ha presentato la sua spedi-zione militare. Le guerre cecenesi decifrano come un breviariod’obbedienza e s’impongonocome il catechismo dell’asservi-mento. Si ritiene che il martirio

caucasico sia un deterrente: lacrocifissione dei montanari chenon si sottomettono deve servi-re da esempio per tutti. Ogni rus-so deve capire il prezzo da paga-re per resistere agli ordini che ar-rivano dall’alto. Ancora oggi,quando i ceceni si salutano, nonsi dicono buongiorno o buona-sera, non chiedono come stai, néinvocano la benedizione di Dio.

Rendono invece omaggio all’es-senziale: «Che la libertà sia conte!». Tolstoj, nel suo ultimo rac-conto Chadzi-Murat, testamen-to spirituale proibito finché erain vita, consegna l’ultima ratio diquesta strategia pedagogica:sradicare il «cardo ceceno» perannientare l’idea di libertà inogni anima russa. La guerra inCecenia disciplina l’impero.

Un simile condizionamentoha un prezzo. Sin dai tempi diIvan il Terribile, i padroni delmomento hanno ra-ramente avuto esita-zioni a far pagare ilconto ai loro sudditi.La costruzione di SanPietroburgo sotto laferula di Pietro ilGrande richiese il la-voro forzato deimujik, che perirono acentinaia di migliaia nelle palu-di. Settanta anni di comunismohanno battuto ogni record di or-rore.

In nome della mobilitazioneanticecena si mette fine al «car-nevale eltsiniano», viene procla-mata la «verticale del potere», lelibertà pubbliche vengono limi-tate, i mass media vengono ri-messi sotto controllo e l’opinio-ne pubblica è invitata all’auto-censura, mentre la polizia ritro-va prestigio e poteri. Lo spiritospetznaz ha ormai contaminatoquel terzo d’Europa dove i corpispeciali, all’occorrenza ma-scherati, dettano legge a piaci-mento e si alleano con le variemafie e i ricchi predatori.

Per dieci anni le democrazie

occidentali si sono cullate nelleillusioni, immaginando una viad’uscita dal comunismo a sensounico: tutti, antichi servi e vecchipadroni, popoli oppressi e no-menklatura sfruttatrice, incon-sapevoli bambini sperduti e ci-nici sfruttatori senza scrupoli,tutti avrebbero percorso come

un sol uomo la via ma-gna del rispetto e del-la tolleranza, nel-l’ambito di un’econo-mia di mercato rego-lata dai Diritti del-l’Uomo. A sinistra co-me a destra, abbiamodeciso che il tempodelle violenze era

passato, e che ormai esisteva so-lo un irresistibile e pacifico pro-gresso economico versione Da-vos o Porto Alegre.

Non ce ne vogliano gli angeliciestimatori di storie a lieto fine,ma i fatti sono ostinati e la storiarimane tragica. Non c’è un modosolo per uscire dal sovietismo edalle dittature totalitarie, madue. C’è la via di Vaclav Havel,democratica e tollerante malunga, penosa e disseminatad’ostacoli. Oppure la mobilita-

zione alla Milosevic,con il suo carico dipulizie etniche e av-venture sanguinarie.La Russia è al bivio.La sporchissimaguerra che ha scate-nato di nuovo controil Caucaso la incan-crenisce completa-

mente. Assistendo impavidi eindifferenti a questo massacrosenza fine, favoriamo, nel nostrogrande vicino dell’Est, la nascitadi un’autocrazia postideologicasenza fede né legge. Il sonno de-gli europei, della loro morale edella loro ragione, scava un buconero nel nostro suolo, avalla unasocietà né comunista né libera-le, ma sempre più mostruosa.Nella lotta dei ceceni per la pro-pria dignità e sopravvivenza, ildestino spirituale della Russia el’avvenire materiale dell’Europavacillano.

Il Paese della guerra infinitaANDRÉ GLUCKSMANN

LE SCELTEDELLA RUSSIA

E LA VERAPOSTA IN GIOCO

LE ILLUSIONIPERDUTE DELLEDEMOCRAZIEOCCIDENTALI

PER me Cecenia è innanzitutto unapazzia del potere russo. Non tantoper la protesta da parte dei ceceni

contro l’impero. Neanche per l’imperialismo dei russi. Èla pazzia del potere che io conosco sin dalla mia infan-zia. Succede quando, spinto dai propri pregiudizi inte-riori, esso si sfalda nelle sue decisioni. Sicché, lo stes-so voler prendere una decisione è già per il potere rus-so uno sfacelo. La tragedia poteva anche finire dieci,sette oppure cinque anni fa. Poi il problema è diventa-to irresolubile, perché quella tragedia è frutto dello sfa-celo del potere. Ma ora la situazione è più grave perchéil tempo dello sfacelo che stiamo vivendo si esprime nel-la conservazione stessa del potere. Il potere si conser-va nello sfacelo, in quanto la campagna cecena di Pu-tin - iniziata ben prima che lui diventasse presidente -non è che la conservazione del potere nel pieno dellasua decomposizione. Colui che sa capirà. Per coluiche non sa, sarà tanto più grande la sorpresa. Noisappiamo e nulla dunque ci può più sorprendere.

VIKTOR EROFEEV

CECENIA.

CECENIACECENIAL’imam Chamilcircondatodai suoi figlie da duerappresentantirussi

Il 23 febbraiodel 1944

i cecenifurono

portati viarelegati in

Kazakistane in altre

zone dell’Asia

Da allorafurono unaminoranzaostinatadiscriminatae malvistaall’internodell’imperosovietico

STALIN 60 ANNI FA DEPORTÒ L’INTERA POPOLAZIONE

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36 LA REPUBBLICA SABATO 21 FEBBRAIO 2004D I A R I O

I LIBRI

LE TAPPE

PRINCIPALI

MAURO DEBONIS EORIETTAMOSCATELLICecenia eCaucasoEditori Riuniti2004

WOJCIECHGORECKIPianetaCaucasoMondadori2003

ANNAPOLITKOVSKAIACecenia ildisonore russoFandango2003

JACQUESALLAMANCecenia,ovverol’irresistibileascesa diVladimir PutinFazi2003

SERGIOSALVIBreve storiadella CeceniaGiunti1995

COMITATOCECENIACecenia. Nellamorsadell’imperoGuerini eAssociati 2003

PIEROSINATTI(a cura di)La Russia e iconflitti delCaucasoFondazioneAgnellli2000

LEVTOLSTOJI cosacchi Mondadori1988

Il prigionieio nelCaucaso TremortiRizzoli 1995

MICHAIL J.LERMONTOVUn eroe delnostro tempo Garzanti1993

JOHNLE CARRÉLa passione delsuo tempoMondadori1995

Con l’annessione della Georgia (1801) e lesuccessive campagne militari per il con-trollo della regione, la cultura russa si ri-

trovò a contatto diretto con un mondo che finlì aveva il fascino d’un Oriente prossimo in ter-mini spaziali ma distante, e quanto, per lingue,tradizioni, costumi. E’ così nato un vero e pro-prio «mito del Caucaso», destinato a divenireun elemento stabile della letteratura russa, incui s’intrecciano elementi favolosi, grandioseimmagini montane, motivi etici, riflessionipolitico-militari e quant’altro.

L’integrazione della Cecenia nell’Imperorusso, col controllo militare da un lato e l’inse-diamento di comunità cosacche dall’altro, siscontrò con una serie di rivolte (l’ultima nel1877). L’atteggiamento assunto dai russi in

quella guerra è ben espresso dal nome della for-tezza edificata nel 1818 al centro della regione,«Gròznaja» (Minacciosa, Terribile), da cui l’at-tuale, sventurata città di Gròznyj; lo scontro mi-litare si svolse soprattutto in incursioni, imbo-scate, sicché la figura del ceceno acquisì i trattidell’eroico combattente ma anche del brigan-te «di natura», del nemico ardito ma insiemeselvaggio e infido. Così appare già nell’Epistolaal sig. Voejkov(1814) del poeta Vasilij Ëukovskij.

Con il massimo poeta russo, AleksandrPußkin, il mito del Caucaso s’inscrive a pienotitolo nell’orizzonte «orientaleggiante» dellacultura europea. E con esso, il ceceno: “tu m’af-fidasti un debol bimbo/perché io, educando-lo,/ne facessi un prode cecéno”, dice il vecchiosaggio nel poemetto incompiuto Tazit (1829-

COSÌ GLI SCRITTORI RUSSIHANNO RACCONTATO I CECENI

A VOLTE EROICI COMBATTENTI, PIÙ SPESSO BRIGANTILe stirpi cosacche sonoimparentate con i Ceceni:stesso amore per la libertà,inclinazione all’odio,alla rapina e alla guerraI Cosacchi1863

LEV TOLSTOJ

Ma c’era una nazione chenon cedette alla psicologiadella sottomissione. Nondegli individui isolati, mala nazione intera. I ceceniArcipelago Gulag1973-78

ALEKSANDR SOLGENITSYN

1859 - L’ANNESSIONE Nel 1859 l’imam Chamil, che aveva unito idaghestani e i ceceni nella lotta contro lacolonizzazione russa, si arrende. LaCecenia è dunque annessa alla Russiaimperiale.

1921 - LA SOVIETIZZAZIONEDopo una breve stagione indipendente nel1921 la Cecenia è integrata alla Russiasovietica. Alcuni ceceni resistono allasovietizzazione fino alle soglie degli anniQuaranta

1944 - STALINAccusati da Stalin di collaborazionismocon i nazisti, il 23 febbraio i ceceni sonodeportati in Asia centrale. Un terzo dellapopolazione (170 mila persone) muoredurante il trasferimento

LACOMBATTENTESopra, Anya

la ragazzacecena che ha

partecipatoalla difesa

del palazzopresidenziale

nel gennaio1995. Foto

StanleyGreen/AgenceVu/Grazia Neri

la Russia dopo il crollo dell’Urss,uno dei suoi primi atti fu di farsmantellare muraglioni, ponti eselciati di costruzioni sovieticheper estrarne le stele e le lapidi del-le antiche moschee e cimiteri ce-ceni, spiantate dai russi e seppel-lite nel cemento del regime.Quando lo visitai a Grozny, nel1995, quel giardino memoriale dipietre antiche era stato di nuovobombardato e sparacchiato rab-biosamente dagli ennesimi russioccupanti – i penultimi, allora. Gliultimi non ho potuto vederli, econtinuo a chiedermi che cosasiano città e paesi già sbriciolati,rovine di rovine.

Il riconoscimento non è venu-to abbastanza nemmeno per gliarmeni, vittime inauguratrici del-l’epoca dei genocidi (stavo perscrivere del secolo: ma il secolo,almeno lui, è finito): il genocidio

NEL MONDO DIMENTICATODOVE LA VITA SCOMPARE

DA STALIN A PUTIN, LA LUNGA STORIA DI UN GENOCIDIO

(segue dalla prima pagina)

Si nominavano gli stupri me-todici di Samashkj, nome di-venuto lugubre di un villag-

gio messo a ferro e fuoco dalla fu-ria russa nell’aprile 1995, e poi dinuovo, e le facce dei vecchi dallavoce robusta seduti sulle poltro-ne e sedie di casa, degli uominimaturi accoccolati sui tappeti,dei giovani restati in piedi accostoalle pareti – ledonne no, era-no fuori, invisi-bili nelle lorocucine, o affac-ciate legger-mente dietro leporte socchiu-se — le facce de-gli uomini si ab-bassavano, gliocchi guarda-vano in terra, e ivecchi mormo-ravano: “No, diquesto le nostrebocche nonpossono parla-re”. Ogni donnacui abbia chie-sto, di qualun-que posizionesociale e cultu-ra, mi rispon-deva che difronte a quel-l’onta non c’èche il silenzio e il suicidio. Cosìquando si ascoltavano, cento vol-te, mille volte, i racconti dei vec-chi sulla deportazione del 1944, lefermate per svuotare i vagoni gre-miti e promiscui dei cadaveri,chiazze nere sulla neve. Di che co-sa morivano? Gli occhi si abbas-savano, e la voce mormorava: “Divergogna”.

Una trista ironia ha voluto cheil 23 febbraio sia la festa dell’Ar-mata Rossa. Ma il 23 febbraio del1944, esattamente sessant’annifa, i ceceni delle città e dei villag-gi, delle montagne e della pianu-ra, per ordine di Stalin e Berja fu-rono rastrellati e ammassati, inun frenetico giro di ore, nei recin-ti degli animali, e di lì alle fermatedella ferrovia – i renitenti, o quel-li per cui non bastavano i mezzi ditrasporto, mitragliati sui due pie-di. Furono deportati nel Kazaki-stan e in altri luoghi impervii del-l’Asia Centrale. Vi morirono, nelviaggio e dopo, uno su tre, di fred-do, di fame, di epidemie. I super-stiti cominciarono a tornare dopoil 1956 del XX Congresso. Non c’èun ceceno che sia nato nella suapatria fra il 1944 e il 1957. Inguscie altri piccoli popoli del Caucaso,mirabile e disgraziato caleido-scopio di lingue costumi e nazio-ni, subirono lo stesso destino: perodio antico dei russi contro unaterra irriducibile, costato quattrosecoli di guerre, e per l’accusa fa-natica – e largamente falsa — dicollaborazionismo con l’invaso-re nazista. Dopo di allora i cecenivissero come una minoranzamalvista e discriminata dentrol’impero sovietico, la loro linguavietata. Dzokhar Dudaev era untipo di moschettiere spavaldo,che era stato già eroe dell’aviazio-ne sovietica in Afghanistan, gene-rale e governatore militare sovie-tico nelle repubbliche baltiche,rango che non gli impedì di farneissare la bandiera indipendenti-sta. Quando si proclamò presi-dente della nuova repubblica ce-cena di Ichkeria, prendendo inparola l’autorizzazione all’auto-determinazione proclamata dal-

cenia, e rischio di ripetermi. Hoscritto quello che è d’obbligo dire.Che la leggendaria unità dei cece-ni contro il nemico secolare è an-data in pezzi, e al suo posto infu-riano vendette, delazioni, intri-ghi. Che la resistenza armata del-le fazioni che fanno capo a ShamilBasaev, militarmente strenue espavalde, ha da tempo ripudiatol’ideale di un’autonomia federaledei popoli delle montagne, per fo-

mentare unaguerra islamistadedita al piùspietato dei ter-rorismi, per levittime che cini-camente sceglienei posti più ci-vili e popolari,treni, metropo-litane, concertirock, e per l’usoe l’abuso di cor-pi di donne di-sperate o ricat-tate che vadanoa farsi esplode-re. Ma il terrori-smo ceceno-islamista nonpuò far rinun-ciare alla solida-rietà attiva conla gente cecena,come vorrebbeil ricatto del go-verno russo. Il

quale rifiuta sprezzantementeogni negoziato con l’ala militare elaica della resistenza cecena, econ ogni interlocutore civile chenon sia un fantoccio nelle sue ma-ni: da questa ottusità non può chevenire l’annientamento dellagente cecena, e una corruzionesempre più immedicabile nelcuore della Russia. C’è una pro-posta di pace contro la guerra econtro il terrorismo, avanzata nelmarzo 2003 da esponenti del go-verno ceceno di Aslan Maskha-dov, l’unico presidente regolar-mente eletto, nel 1997, anche luigià alto ufficiale sovietico. Chiedeil ritiro degli occupanti e il disar-mo delle fazioni locali, e un’am-ministrazione controllata dalleNazioni Unite fino a che non ridi-venti possibile una scelta pacificae democratica del rapporto fraCecenia e Russia. Con quella ispi-

razione, e per il riconoscimentodello status di profughi ai marto-riati e misconosciuti rifugiati ce-ceni, per la riammissione delle or-ganizzazioni internazionali, delleOng e della libera stampa, perl’accoglienza in Europa di bambi-ni da curare e di giovani cui con-sentire lo studio, il deputato euro-peo radicale Olivier Dupuis di-giuna severamente dal 18 gen-naio, fino al prossimo anniversa-rio del 23. Con tanti altri, mi uni-sco a questa testimonianza fino al23. Il 26 ci sarà un importante di-battito al Parlamento europeo.L’Europa è turbata dal confrontofra la tragedia russo-cecena equella israelo-palestinese, chesembrano invertire ruoli e criteri.L’intreccio è perfino sconvolgen-te, se si pensa che fra gli immigra-ti ebrei provenienti dalla Russia earruolati nell’esercito israeliano

ceceno del 1944 dev’essere rico-nosciuto dall’Europa, e così il ge-nocidio tentato delle due guerrenell’ultimo decennio. Dire deci-mazione è un eufemismo. Sonomorti quasi due ceceni su dieci, epoco meno della metà degli altri sisono sparpagliati fuori dalla pa-tria, nei miserabili campi di pro-fughi, o nella diaspora europea eturca. Genocidio: si chiama così,tecnicamente oltre che moral-mente, e dev’essere per questoche siamo così riluttanti a usare laparola, per non sporcarci le mani.E poi: Putin, la nuova democraziarussa, i nuovi affari e le nuove al-leanze militari, e l’80 per cento deivoti almeno che già gli sono ac-creditati in elezioni senza con-correnti, e senza bisogno di farcampagna. Come al tempo dellozarismo sovietico.

Ho scritto tante volte della Ce-

ADRIANO SOFRI

CESARE G. DE MICHELIS

LE IMMAGINILE FOTO di queste pagine testimonia-no del dramma che ha travolto il popo-lo ceceno. In particolare, quella dellaprima pagina del “Diario” è una fotostorica che raffigura un celebre capo,l’imam Chamil. Qui a fianco, è di Stan-ley Green la foto di una combattentececena.

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LA REPUBBLICA 37SABATO 21 FEBBRAIO 2004 D I A R I O

Uno degli aspetti più sconcer-tanti dell’affare ceceno è lasua sfida alle leggi della sto-

ria, cui si appoggiano tutti quelliche decentemente vogliono scri-vere di un paese e dei suoi abitanti.Su New York Review of Books, nelfebbraio del 1995, a poche settima-ne dall’inizio della prima fase dellaguerra russo-cecena, il colto ame-ricano che andava descrivendocon toni cupi la situazione in loco,entrando in casadei capi della ri-volta disse cheaveva l’impres-sione di ritrovar-si in una scena diHadji Murad,l’eroe avaro-ce-ceno protagoni-sta del famosoracconto di Tol-stoi. E’ come se,passando per leCalabrie, ver-sante tirreno ojonico non im-porta, fossi an-dato a trovareuno dei capettidella Ndranghe-ta, scoprendoche nulla eracambiato daitempi del mu-gnaio Mammo-ne o di Pinco Pal-lo, i briganti san-fedisti che felicemente desinavanocon le teste recise posate sulla ta-vola, per rendere il pranzo più alle-gro, di chi era sospettato di simpa-tie per la repubblica partenopea.Eppure, anche se leggermente de-viate dalla citazione inutile, perchédiventata un luogo comune, le sueimpressioni avevano avuto una ra-gione di essere. Perché questistraordinari umani, dopo aver at-traversato più di un’apocalisse cheda sola sarebbe bastata a sconvol-gere qualsiasi altro paese – la finedell’impero zarista e la rivoluzionecomunista, i piani di collettivizza-zione di Stalin e i massacri e le de-portazioni, il ritorno a una precarianormalità con Kruscev, la fine del-l’impero comunista e i tentativi diformare uno stato separato — con-tinuano a presentarsi non moltodifferenti dai loro antenati, almenoper quanto riguardava l’apparenza

uno delle tante regioni da annette-re nella follia della irresistibile cor-sa dell’impero russo verso il Pacifi-co. La trasformazione delle guerracecena in una sorta di epica,com’era accaduto agli spagnoli perla conquista del Messico o del Perù,o agli inglesi per l’India, fa abba-stanza ridere quando paragonia-mo astrattamente i casi citati. Manella sanguinosa e crudele realtà ditutti i giorni, non c’è stato scontro

paragonabile al-le guerriglia nelCaucaso per vio-lenza, impegnomilitare ed ecosui giornali e nel-l’opinione pub-blica. Nel 1832 isoldati inviati adomare la rivoltadei montanari,iniziata pocotempo prima,erano già cin-quantamila e funecessario unrincalzo di altriventicinquemi-la, guidati dal piùreputato gene-rale russo, Yer-malov, per co-stringere l’ImamShamil, leggen-dario capo dellaresistenza, allaresa senza con-

dizioni.Per Yermalov i ceceni erano dei

tagliagole e briganti da strada e ri-peteva ai suoi soldati, qualora nonavessero capito, che “Un buon ce-ceno è un ceceno morto”, la stessaespressione con gli stessi termini diquella adoperata dal generale She-ridan per gli indiani delle pianuredel west americano (“A good in-dian is a dead indian”) L’interpre-tazione dei russi — colti, diciamol’intellighenzia, visto che la defini-zione viene di qua, è invece semprestata ondeggiante tra due momen-ti, in apparenza opposti: il cecenovisto come uomo selvaggio o pri-mordiale, un concentrato di sel-vaggerie varie, l’esatto opposto delcivilizzato europeo, l’unico mo-dello valido per i russi. E il roman-tico outlow, il guerriero nato, il ca-valiere che si batteva fino alla mor-te per l’indipendenza del suo pae-se, di cui aveva un’idea imprecisa,ma furente. Gli stessi ceceni, comei mafiosi veri che imitano i mafiosiinventati del cinema e vestono e sicomportano come loro e non si sapiù chi imita chi, sono stati in-fluenzati dai testi letterari e hannonobilitato certi atteggiamenti conuna maniera prima sconosciuta.Ma se esiste una ferocia cecena, co-me esiste il cinismo degli italiani ela flemma degli inglesi, allora vienedirettamente dai durissimi com-battimenti nelle foreste in altura,quando in un anno i guerriglieri ce-ceni conquistarono dodici fortinirussi e uccisero oltre duemilacin-quecento soldati. E i racconti deicadaveri inchiodati al posti delletravi lungo le mura dei fortini inRussia hanno un’aria familiare, ri-cordando Kolima, il lager di ster-minio durante il regime sovietico,dove si foderavano con i cadaveri imuri delle celle per combattere ilfreddo della Siberia. Come per gliafghani, questo diuturno convive-re con la guerra e la morte ha porta-to ad una tale esasperazione gli an-tichi codici d’onore, di cavalleria edi nobili propositi, che alla primastrage anche i più innocenti tiranofuori il coltello e sono pronti a com-portarsi come serial killer.

ILPRIGIONIERODELCAUCASORiambientatodurante laguerra inCecenia èuna versioneaggiornatadel raccontodi PuskinDi SergejBodrov(2002)

LA CASADEI MATTIDurante laprima guerrain Cecenia,un ospedalepsichiatrico sitrova vicino alfronte. Ipazientivivono ignaridegli eventiesterni, mauna mattina lostaff medicoscompare nelnulla. Letruppe russeportano laguerra dentrol’istitutoDi AndrejKonchalovskij (2003)

IL FRATELLOGRANDEIl protagonistaviene dallacampagna edè appenatornato dallaguerra inCecenia. Sitrasferiscea SanPietroburgodove uccide icattivi mafiosi(spesso delCaucaso)Di AlekseiBalabanov(2000)

CECENIALa storia delgiornalista diRadioRadicale,AntonioRusso, cheha perso lavita nel 2000in CeceniaDi LeonardoGiuliano(2004, inuscita nellesale)

I FILM

30). Assai più nota è l’immagine offerta dallaCanzone circassa (da Il prigiorniero del Cauca-so;1820-1): “Cosacco, non dormire: nella not-te,/passa il cecéno al di là del fiume.//Anne-gherai cosacco, come un bimbo:/passa il cecé-no al di là del fiume.//Fanciulle belle, presto acasa andate:/passa il cecéno al di là del fiume”.Oggi però, per i russi suonano forse più gratifi-canti i versi dell’Epilogo: “China la testa tua ne-vosa alfine,/o Caucaso, ti piega: è giunto Ermò-lov”. Solo che dovevano passare quasi altriquarant’anni per la composizione del proble-ma ceceno (1859).

Da allora, un intero filone letterario elaborail «mito del Caucaso» riproponendo come suacomponente essenziale la figura del ceceno: daAmmalat-Bek (1832) dell’ex-decabrista Alek-

sandr Bestuzev-Marlinskij, alle opere caucasi-che di Michail Lermontov e di Lev Tolstoj.

Quando viene ripreso nel XX secolo da BorisPasternak, al rinnovato stupore per il maestosospettacolo naturale, si assomma l’istanza meta-letteraria, specie in relazione agli aspetti piùcruenti del mito: “La guerra non è una fiaba suIvan,/e noi non vogliamo indorarla./L’aspettobestiale della conquista/fu reso da Lermontov eda Tolstoj” (Le onde, 1932; trad. A. M. Ripellino).

La tragica storia del Caucaso ha offerto poinuove occasioni per rivisitarne il mito: in tem-pi recenti, torna con il romanzo Passò la notteun’aurea nuvoletta (1987) che Anatolij Pri-stavkin ha dedicato alla deportazione in massadei ceceni ad opera di Stalin, fino alla soppres-sione della loro Repubblica Autonoma (1944).

L’IMAMChamilpronunciail suo atto diobbedienzaalla Russianella cittàdi Kalouga

Non dormire cosacco:nella notturna tenebra./ Dilà dal fiume va il ceceno…Fuggite russe cantatrici:/di là dal fiume va il cecenoIl prigioniero delCaucaso 1820-21

ALEKSANDR S. PUSKIN

Se vuoi un Nataleautentico, prova leraffinatezze di Grozny.Cani ubriachi e ragazzicon un kalashnikovLa passione del suotempo 1995

JOHN LE CARRÉ

1991-1992 -L’INDIPENDENZAEletto presidente, Djokhar Dudaev il primonovembre del’ 91 dichiara l’indipendenza.Mosca l’8 novembre impone lo statod’emergenza. Il 12 marzo i ceceniadottano una loro Costituzione

1994 - PRIMA GUERRA CECENAL’11 novembre 1994 le truppe russeentrano di nuovo in Cecenia. I morti tra leforze federali russi saranno più di 5 mila,10 mila i ceceni combattenti uccisi, 40mila le vittime tra i civili.

1999 - SECONDA GUERRA CECENAIl primo ottobre 1999 l’esercito russo entrain Cecenia. A febbraio Grozny èconquistata. Con l’assalto al teatroDubrovka del 26 ottobre 2002 (129 morti)iniziano gli attentati

ce ne sono reduci dall’Armatarussa nel Caucaso, e sono sopran-nominati, alla rovescia, “i cece-ni”. Le differenze saltano agli oc-chi, naturalmente: la Cecenia ègrande, cioè piccola, come unaregione italiana (e conta ormai sìe no 700.000 persone!) ma Israeleè a sua volta un lembo di terradentro l’enorme territorio arabo.E per odiosa che sia la contabilitàdelle vittime, quelle della guerrarusso-cecena stanno a quelleisraeliane e palestinesi in un rap-porto quasi di cento a uno. Il ter-rorismo ceceno e quello palesti-nese del suicidio-eccidio sonotuttavia sempre più simili, mani-festazioni di quell’unica conta-giosa mutazione umana segnatadal terrore “kamikaze”. L’esisten-za dello Stato di Israele è minac-ciata dalle organizzazioni di bat-taglia palestinesi, e dai desideri di

troppi cittadini arabi: la Russia inCecenia non rischia la propriaesistenza, solo la salvezza dellasua famosa anima. Incomparabi-le è l’isolamento internazionaledella Cecenia rispetto alla Palesti-na, soprattutto rispetto all’Euro-pa: né vale a spiegarlo la geogra-fia, perché il Caucaso è anchegeograficamente Europa, e anzine fu la culla. Alla Cecenia si addi-ce il nome estremo di genocidio,non alla Palestina. Temo tuttaviache né l’una né l’altra di questedue tragedie, l’una immane e pe-riferica, l’altra strategicamente esimbolicamente centrale, possa-no contare su una soluzione fuorida un intervento internazionale.Quanto all’Italia, governo e parla-mento, sarebbe già tanto che di-cessero sulla Cecenia le paroleche ha detto poco fa, in faccia agliinterlocutori russi, Colin Powell.

DAL CAUCASO AL NULLASTORIA DI UN POPOLO

CHI SONO I CECENI E PERCHÉ SI DISTINGUONO ORGOGLIOSAMENTE DAI RUSSI

STEFANO MALATESTA

Una immaginedella Ceceniaagli inizi delNovecento

o l’immagine che volevano dare disé. E se uno sta cercando un’inter-pretazione caratteriale che nonfosse sia quella troppo risaputa delmontanaro rozzo, fiero e indomito(generalmente, lo sono tutti i mon-tanari), basta che legga quello chehanno scritto, nell’epoca d’orodella letteratura russa, poeti comeLermontov, giganti della prosa co-me Toilstoi e persino, Pushkin ilpadre Pushkin.

Per una qualche ragione nasco-sta nell’insondabile anima slava laCecenia ha sempre ossessionato irussi in maniera superiore all’im-portanza reale della regione e deisuoi abitanti. Se oggi è facile capi-re, ma non giustificare la determi-nazione affannosa dei leader diMosca nel trattare la vicenda, con-siderato che la Cecenia è lo snododi gran parte del petrolio che passaper la Russia, nell’ottocento era

GLI AUTORIANDRÉ Glucksmann è un filosofo fran-cese. L’articolo che pubblichiamo è par-te della prefazione del libro Cecenia diAnna Politkovskaia (edito da Fandan-go). Viktor Erofeev è uno scrittore e in-tellettuale russo. Cesare G. De Miche-lis è slavista, insegna all’università diRoma.