2003-11-19 Vivere Divisi I Muri

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LA REPUBBLICA 41 MERCOLEDI 19 NOVEMBRE 2003 D IA R IO di INTERVISTA A DAVID GROSSMAN D avid Grossman, che cos’è secondo lei quello che stan- no costruendo? Un muro o una barriera difensiva, un simbo- lo d’oppressione o uno strumento per garantire la sicurezza? «E’ entrambe le cose. Ma temo che non offrirà una sicurezza tota- le. Riflette più di ogni altra cosa il bisogno psicologico degli israelia- ni di sentirsi in qualche modo si- curi, anche se è un’illusione. Ma più di ogni altra cosa ho la sensa- zione che creare que- sto muro, in questo momento, sia quasi una dichiarazione che adesso Israele di- spera della possibilità di arrivare ad un qual- siasi tipo di accordo con i palestinesi. Ed io non posso condivide- re questa disperazione. Penso che abbiamo ancora un’opportunità, non grande, ma ancora esistente. Per esempio abbiamo l’ “intesa di Ginevra”. La costruzione del mu- ro, come dicevo, non risolverà il problema della sicurezza, ma farà diventare più sofisticati i terroristi, li costringerà ad essere più sofisti- cati. Non si può combattere il ter- rorismo per mezzo della costru- zione del muro; si può combattere o ridurre il terrorismo riducendo le ragioni di cui il ter- rorismo si nutre, dimi- nuendo la frustrazio- ne della popolazione, l’odio, dando loro la speranza di un futuro migliore». I palestinesi dicono che il muro sia un pretesto per appropriarsi delle terre palestinesi. Il governo dice che non si tratta di un confi- ne politico e, a sostegno delle pro- prie ragioni, afferma che nessun attentatore suicida è passato dal- la zona dove il muro è già stato co- struito. Cosa ne pensa? «Prima di tutto, non è vero. La donna che si è fatta esplodere in- sieme ad altre 22 persone nel risto- rante Maxime a Haifa è passata per questo muro, e poi ci fu un aggua- to mortale sull’autostrada che at- traversa orizzontalmente Israele, nei pressi del muro, due mesi fa, in cui fu uccisa una bambina di sei anni. E ci sono stati altri casi. Così ritengo che non vi sia in questo ca- so una risposta alle esigenze della sicurezza. Temo quindi che si trat- ti di un confine temporaneo di cui sarà molto difficile liberarsi». Le sarebbe più facile accettarlo se il muro fosse costruito lungo la linea verde? «Mi sarebbe più fa- cile accettarlo se il muro venisse costrui- to in base ad un accor- do. Nella nostra regio- ne e in questo conflit- to troppi passi vengo- no fatti tramite l’im- posizione, mentre io credo che sia possibile trovare un accordo persino sulla linea di confine fra noi e la Palesti- na. Vorrei mettere in chiaro una cosa. Penso che abbiamo bisogno di una frontiera, noi israeliani e palestinesi, un confine fra i nostri due stati, quando avremo due sta- ti. Il confine è un’idea che le due parti non hanno ancora comple- tamente interiorizzato. E’ un’idea ancora molto confusa, poco chia- ra sia per gli israeliani che palesti- nesi, perciò è importante avere un confine netto, dove uno finisce e l’altro comincia, per avere un’idea chiara della propria identità». E’ d’accordo con quanto affer- ma Avraham Burg che Israele è giunto alla fine del sogno sionista, non solo a causa del muro, ma che il muro fa parte di questo declino generale? «Che ci sia un declino generale, lo percepiamo tutti noi, ogni citta- dino israeliano lo sente. Ma non è certamente la fine del Sionismo o quella d’Israele. C’era qualche co- sa di molto essenziale nell’idea sionista, qualcosa di essenziale ed importante nel tentativo di trova- re una soluzione alle persecuzio- ni, alla mancanza di patria del po- polo ebraico nel corso di tutta la sua storia. L’idea sionista non si è esaurita, si trova in una situazione distorta: questa è una delle mie motivazioni, — e non solo mia, ma di tutti quelli che cercano la pace — per arrivare alla pace, per ripor- tare nuovamente in carreggiata l’idea di uno di uno stato normale per il popolo ebraico, e comincia- re a vivere una vita normale, co- minciando a regolare i rapporti con i nostri vicini. In questo sen- so, credo che, una vol- ta risolto il conflitto fra noi ed i palestinesi, persino il mio amico Avraham Burg sarà sorpreso di constata- re che il sionismo ha ancora un essenza, ha ancora un significato». Secondo lei, che tipo di perico- lo il muro rappresenta per la so- cietà israeliana? «Credo che ci respinga di nuovo nel ghetto, nella mentalità del ghetto, ci isoli dal Medio Oriente. Che lo vogliamo o no, il Medio Oriente è il posto in cui viviamo ed in cui vivremo ed isolarci con que- sto orribile muro ci metterebbe in un angolo, ci porterebbe sempre di più a quegli elementi negativi della nostra storia di ebrei, alla sensazione di essere odiati, isolati. Non che non ci siano delle ragione concrete per tutto ciò, non che non ci sia antisemitismo in Euro- pa e nel Medio Oriente, ma co- struire un muro intorno a noi... Lo vedo come qualcosa di molto peri- coloso e non ho ancora detto nul- la del danno che reca alla società palestinese, del modo in cui esso separa i villaggi palestinesi l’uno dall’altro, senza parlare poi delle centinaia di migliaia di palestinesi — si dice che siano trecentomila — che rimarrebbero intrappolati al- l’interno di questo muro, senza es- sere, ovviamente, cittadini israe- liani: Israele non garantirebbe la cittadinanza, non ga- rantirebbe il diritto eleggere e di essere eletti; che cosa ne sarà di loro? E non pensa che essi formeranno l’infrastruttura di un’altra o dalla prossi- ma ondata di terrori- smo?». Che cosa accadrà una volta che il muro sarà finito? «Prima di tutto speriamo che non lo finiscano. Come è possibile che non lo fi- niscano? «L’America, ad esempio, po- trebbe cominciare a fare qualche pressione concreta su Israele a proposito del muro, non solo parlare e rimproverare Sharon senza fare nulla. Che cosa succederà? Ri- tengo che, da un pun- to di vista della sicu- rezza, saremo testi- moni di atti terroristi- ci ancora più violenti di quelli che ora sia- mo in grado di preve- dere. Vedremo più missili volare dalla West bank ol- tre il muro verso Tel Aviv, Kfar Sa- ba e Gerusalemme. Ma più di tut- to, darà una forma molto perico- losa alla società israeliana. Farà di Israele un paese assediato, pri- gioniero. Invece di dare agli israe- liani una qualche sperenza, una qualche sensazione di libertà, una sensazione di stare diven- tando parte integrale del Medio Oriente, interiorizzerà la perce- zione di quanto siamo estranei a questo posto. Siamo ancora degli stranieri completi, persino quan- do siamo a casa nostra». Quando gli uomini vivono divisi ALBERTO STABILE Quello di Berlino è crollato, Israele lo costruisce Come il mondo ama blindarsi “Servono ponti non muri” ha detto un paio di giorni fa il pontefice riferendosi al conflitto fra Israele e la Palestina. Ma che cosa è un muro e quante di queste costruzioni sono state erette nel tempo e nello spazio? I muri sono minacciosi, delimitano un potere, dividono un popolo, feriscono un’identità. Del confine, il muro è la parte più inquietante. Abbiamo chiesto a quattro scrittori di parlarcene, a partire dalla loro personalissima esperienza Un ragazzo palestinese scavalca con la bicicletta il muro NON RISOLVERÁ I PROBLEMI DELLA SICUREZZA È IMPORTANTE AVERE UN CONFINE NETTO FRA I DUE STATI AL PIÙ celebre muro della storia, alla Grande Muraglia, Franz Kafka ha dedicato un racconto, per spiegare come e perché fu eretto con secoli di lavoro e milioni di mor- ti. Kafka non andò mai in Cina, ma era interessato alla sua cultura. Aveva letto le opere di Confucio e quelle della tradizione taoista. Di quest’ultime te- neva una copia in tedesco nel cassetto della sua scrivania, nell’agenzia d’assicurazione, a Praga, dove lavorava sei ore al giorno. Ma il suo racconto è una creazione geniale, letteraria. Kafka fa parlare un cinese preparato fin da bambino a partecipare alla costruzione della Grande Muraglia. Il quale ri- corda: «Avevamo appena imparato a camminare e già ci facevano costruire, nel giardinetto del nostro maestro, una specie di muro con dei sassi: il mae- stro sollevava la veste, e si lanciava contro il muro che naturalmente crollava, e ci muoveva tanti rim- proveri per la fragilità della nostra costruzione da farci piangere a calde lacrime ...» Ma perché fu co- struito il grande muro? Secondo un letterato: per fare da supporto a una nuova torre di Ba- bele. BERNARDO VALLI MURI. MURI MURI

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LA REPUBBLICA 41MERCOLEDI 19 NOVEMBRE 2003

DIARIOdi

INTERVISTA A DAVID GROSSMAN

David Grossman, che cos’èsecondo lei quello che stan-no costruendo? Un muro o

una barriera difensiva, un simbo-lo d’oppressione o uno strumentoper garantire la sicurezza?

«E’ entrambe le cose. Ma temoche non offrirà una sicurezza tota-le. Riflette più di ogni altra cosa ilbisogno psicologico degli israelia-ni di sentirsi in qualche modo si-curi, anche se è un’illusione. Mapiù di ogni altra cosa ho la sensa-zione che creare que-sto muro, in questomomento, sia quasiuna dichiarazioneche adesso Israele di-spera della possibilitàdi arrivare ad un qual-siasi tipo di accordocon i palestinesi. Ed ionon posso condivide-re questa disperazione. Penso cheabbiamo ancora un’opportunità,non grande, ma ancora esistente.Per esempio abbiamo l’ “intesa diGinevra”. La costruzione del mu-ro, come dicevo, non risolverà ilproblema della sicurezza, ma faràdiventare più sofisticati i terroristi,li costringerà ad essere più sofisti-cati. Non si può combattere il ter-rorismo per mezzo della costru-zione del muro; si puòcombattere o ridurre ilterrorismo riducendole ragioni di cui il ter-rorismo si nutre, dimi-nuendo la frustrazio-ne della popolazione,l’odio, dando loro lasperanza di un futuromigliore».

I palestinesi dicono che il murosia un pretesto per appropriarsidelle terre palestinesi. Il governodice che non si tratta di un confi-ne politico e, a sostegno delle pro-prie ragioni, afferma che nessunattentatore suicida è passato dal-la zona dove il muro è già stato co-struito. Cosa ne pensa?

«Prima di tutto, non è vero. Ladonna che si è fatta esplodere in-sieme ad altre 22 persone nel risto-rante Maxime a Haifa è passata perquesto muro, e poi ci fu un aggua-to mortale sull’autostrada che at-traversa orizzontalmente Israele,

nei pressi del muro, due mesi fa, incui fu uccisa una bambina di seianni. E ci sono stati altri casi. Cosìritengo che non vi sia in questo ca-so una risposta alle esigenze dellasicurezza. Temo quindi che si trat-ti di un confine temporaneo di cuisarà molto difficile liberarsi».

Le sarebbe più facile accettarlose il muro fosse costruito lungo lalinea verde?

«Mi sarebbe più fa-cile accettarlo se ilmuro venisse costrui-to in base ad un accor-do. Nella nostra regio-ne e in questo conflit-to troppi passi vengo-no fatti tramite l’im-posizione, mentre iocredo che sia possibile

trovare un accordo persino sullalinea di confine fra noi e la Palesti-na. Vorrei mettere in chiaro unacosa. Penso che abbiamo bisognodi una frontiera, noi israeliani epalestinesi, un confine fra i nostridue stati, quando avremo due sta-ti. Il confine è un’idea che le dueparti non hanno ancora comple-tamente interiorizzato. E’ un’ideaancora molto confusa, poco chia-ra sia per gli israeliani che palesti-nesi, perciò è importante avere unconfine netto, dove uno finisce el’altro comincia, per avere un’ideachiara della propria identità».

E’ d’accordo con quanto affer-ma Avraham Burg che Israele ègiunto alla fine del sogno sionista,non solo a causa del muro, ma che

il muro fa parte di questo declinogenerale?

«Che ci sia un declino generale,lo percepiamo tutti noi, ogni citta-dino israeliano lo sente. Ma non ècertamente la fine del Sionismo o

quella d’Israele. C’era qualche co-sa di molto essenziale nell’ideasionista, qualcosa di essenziale edimportante nel tentativo di trova-re una soluzione alle persecuzio-ni, alla mancanza di patria del po-

polo ebraico nel corso di tutta lasua storia. L’idea sionista non si èesaurita, si trova in una situazionedistorta: questa è una delle miemotivazioni, — e non solo mia, madi tutti quelli che cercano la pace— per arrivare alla pace, per ripor-tare nuovamente in carreggiatal’idea di uno di uno stato normaleper il popolo ebraico, e comincia-re a vivere una vita normale, co-minciando a regolare irapporti con i nostrivicini. In questo sen-so, credo che, una vol-ta risolto il conflitto franoi ed i palestinesi,persino il mio amicoAvraham Burg saràsorpreso di constata-re che il sionismo haancora un essenza, ha ancora unsignificato».

Secondo lei, che tipo di perico-lo il muro rappresenta per la so-cietà israeliana?

«Credo che ci respinga di nuovonel ghetto, nella mentalità delghetto, ci isoli dal Medio Oriente.Che lo vogliamo o no, il MedioOriente è il posto in cui viviamo edin cui vivremo ed isolarci con que-sto orribile muro ci metterebbe inun angolo, ci porterebbe sempredi più a quegli elementi negatividella nostra storia di ebrei, allasensazione di essere odiati, isolati.Non che non ci siano delle ragioneconcrete per tutto ciò, non chenon ci sia antisemitismo in Euro-pa e nel Medio Oriente, ma co-

struire un muro intorno a noi... Lovedo come qualcosa di molto peri-coloso e non ho ancora detto nul-la del danno che reca alla societàpalestinese, del modo in cui essosepara i villaggi palestinesi l’unodall’altro, senza parlare poi dellecentinaia di migliaia di palestinesi— si dice che siano trecentomila —che rimarrebbero intrappolati al-l’interno di questo muro, senza es-sere, ovviamente, cittadini israe-liani: Israele non garantirebbe la

cittadinanza, non ga-rantirebbe il dirittoeleggere e di essereeletti; che cosa ne saràdi loro? E non pensache essi formerannol’ infrastruttura diun’altra o dalla prossi-ma ondata di terrori-smo?».

Che cosa accadrà una volta cheil muro sarà finito?

«Prima di tutto speriamo chenon lo finiscano.

Come è possibile che non lo fi-niscano?

«L’America, ad esempio, po-trebbe cominciare a fare qualchepressione concreta su Israele aproposito del muro, non soloparlare e rimproverare Sharon

senza fare nulla. Checosa succederà? Ri-tengo che, da un pun-to di vista della sicu-rezza, saremo testi-moni di atti terroristi-ci ancora più violentidi quelli che ora sia-mo in grado di preve-dere. Vedremo più

missili volare dalla West bank ol-tre il muro verso Tel Aviv, Kfar Sa-ba e Gerusalemme. Ma più di tut-to, darà una forma molto perico-losa alla società israeliana. Faràdi Israele un paese assediato, pri-gioniero. Invece di dare agli israe-liani una qualche sperenza, unaqualche sensazione di libertà,una sensazione di stare diven-tando parte integrale del MedioOriente, interiorizzerà la perce-zione di quanto siamo estranei aquesto posto. Siamo ancora deglistranieri completi, persino quan-do siamo a casa nostra».

Quando gli uomini vivono divisiALBERTO STABILE

Quello di Berlinoè crollato, Israele

lo costruisceCome il mondoama blindarsi

“Servono ponti nonmuri” ha detto un paio di

giorni fa il ponteficeriferendosi al conflitto

fra Israele e la Palestina.Ma che cosa è un muro e

quante di questecostruzioni sono state

erette nel tempo e nellospazio? I muri sono

minacciosi, delimitanoun potere, dividono un

popolo, ferisconoun’identità. Del confine,

il muro è la parte piùinquietante. Abbiamo

chiesto a quattro scrittoridi parlarcene, a partire

dalla loropersonalissima

esperienza

Un ragazzopalestinese

scavalca con labicicletta il muro

NON RISOLVERÁI PROBLEMIDELLASICUREZZA

È IMPORTANTEAVERE UNCONFINE NETTOFRA I DUE STATI

AL PIÙ celebre muro della storia,alla Grande Muraglia, Franz Kafka

ha dedicato un racconto, per spiegare come eperché fu eretto con secoli di lavoro e milioni di mor-ti. Kafka non andò mai in Cina, ma era interessatoalla sua cultura. Aveva letto le opere di Confucio equelle della tradizione taoista. Di quest’ultime te-neva una copia in tedesco nel cassetto della suascrivania, nell’agenzia d’assicurazione, a Praga,dove lavorava sei ore al giorno. Ma il suo raccontoè una creazione geniale, letteraria. Kafka fa parlareun cinese preparato fin da bambino a parteciparealla costruzione della Grande Muraglia. Il quale ri-corda: «Avevamo appena imparato a camminare egià ci facevano costruire, nel giardinetto del nostromaestro, una specie di muro con dei sassi: il mae-stro sollevava la veste, e si lanciava contro il muroche naturalmente crollava, e ci muoveva tanti rim-proveri per la fragilità della nostra costruzione dafarci piangere a calde lacrime ...» Ma perché fu co-struito il grande muro? Secondo un letterato:per fare da supporto a una nuova torre di Ba-bele.

BERNARDO VALLI

MURI.

MURIMURI

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42 LA REPUBBLICA MERCOLEDI 19 NOVEMBRE 2003D I A R I O

I LIBRI

LE TAPPE PRINCIPALI

MICHELFOUCAULTSorvegliare epunire.Nascita dellaprigione,Einaudi 1976

PIEROZANINISignificati delconfine BrunoMondadori1997

CARLSCHMITTIl nomos dellaterra, Adelphi 1991

STEFANOLEVI DELLATORRE Essere fuoriluogo,Donzelli 1995

GASTONBACHELARD La poeticadello spazio,Dedalo 1993

GIORGIOAGAMBEN Homo sacer,Einaudi 1995

NORMANGELB Il muro:quando aBerlino sigiocarono idestini delmondo,Mondadori1987

RALPHDAHRENDORF1989.Riflessionisullarivoluzione inEuropa,Laterza 1990

ROBERTDARNTON, Diarioberlinese1989-1990,Einaudi 1992

IANMCEWANLettera aBerlinoEinaudi 1990

JEAN PAULSARTRE Il muro (1939),Einaudi,ultima ed.2003

San Francisco

Il muro del privilegio “gringo” è fabbricatocon i rottami della prima Guerra del Golfo.Tra San Yisidro (Stati Uniti) e Tijuana (Mes-

sico) c’è la cortina di ferro che il paese più ric-co del mondo ha costruito nell’illusione diblindare il suo confine meridionale. Dall’o-ceano Pacifico al deserto la barriera si snoda aperdita d’occhio con filo spinato, garitte, postidi polizia, pattuglie in jeep e a cavallo. Qui pas-sa la frontiera tra il Nord e il Sud, custoditaquasi come lo era il muro di Berlino. Dal latomessicano la lunga spiaggia di sabbia fine checollega Tijuana a San Diego è sempre un bru-licare di bagnanti; poi la folla s’interrompe dicolpo dove il litorale è tagliato dall’alta barrie-ra di confine: un monumento di ferro edifica-to dalla vicina base della U.s. Navy con mate-

riale riciclato dal Desert Storm del 1991, navi,tank, autoblindo distrutte nei combattimentiin Iraq. Perché questo imponente muro me-tallico è recente. Risale all’operazione Ga-tekeeper (guardiano del cancello) che fu deci-sa da Bill Clinton nel 1994 per tentare di argi-nare l’immigrazione clandestina. Un risultatodi quell’operazione è tragicamente illustratodal lato messicano, dove il “muro dei caduti” èdiventato un luogo di pellegrinaggio. E’ unpezzo della cortina di ferro dove centinaia dicroci di legno ricordano i nomi delle vittime:alcuni clandestini uccisi dalla polizia di fron-tiera; i più, morti disidratati o assiderati per-ché per hanno tentato di aggirare il muro, sce-gliendo i valichi più pericolosi in pieno deser-to.

Non c’è cortina di ferro che tenga, quando

QUELLA CORTINA DI FERRONEL PAESE PIÙ RICCO DEL MONDO

COME GLI STATI UNITI CERCANO DI BLINDARE IL CONFINE CON IL MESSICO

Non avevo mai visitato ilMuro di notte e mentrefissavo quel corridoioampio, il filo spinato, fuicolpito dall’innocenteevidenza di tanto squallore

Cani neri(1992)

IAN MC EWAN

Forse Shih Huang Ticircondò della muraglial’impero perché sapeva chequesto era effimero edistrusse i libri perchécapiva ch’erano libri sacri

Altre inquisizioni(1960)

JORGE LUIS BORGES

IRLANDA 1921La guerra tra Inghilterra e Irlanda sirisolve nel 1921 con la spaccatura indue dell’isola: Ulster e Irlanda. Dal1948 l’Ira lotta contro il dominioinglese nell’Irlanda del Nord.

MURO DI BERLINO 1961-198913 agosto 1961. Inizia la costruzionedel Muro. Le sentinelle hanno l’ordinedi sparare su chi tenta dioltrepassarlo. Il 9 novembre 1989migliaia di berlinesi scavalcano il Muro

CIPRO 1974Dopo l’invasione turca l’isola viene divisa indue zone: turca e greca. La “Linea Verde”taglia in due la stessa capitale Nicosia: filospinato, sacchi di sabbia, blocchi dicemento presidiati dai Caschi Blu dell’Onu

a Ramallah, dove abita Suad AminTamari, con la quale non riesco amettermi in contatto.

Martedì, 28 ottobre Batya: «Il freddo di questa matti-

na preannuncia l’inverno. L’autistadel taxi che mi conduce all’ospeda-le Hadassah, a Ein Karem, è un ara-bo di Gerusalemme est. Sono le no-ve. Ascolto il notiziario dalla sua au-toradio, e mi calo nei suoi panni. Haun’aria impenetrabile. Non scam-biamo parola. L’ascensore dell’o-spedale è gremito di gente. Un uo-mo con la kippà e lo sguardo intelli-gente sta cercando chirurgia plasti-

ca. Con l’orec-chio premuto alcellulare, conti-nua a ripetere,con voce entu-siasta. “Credimi,Micha, il nostro èun paese mera-viglioso, non di-m e n t i c a r l o

mai”. Lo guardo, sono sconcertata,ma non infastidita. Le sue parole miriecheggiano in testa tutto il giorno.

«Nel pomeriggio viene a trovar-mi una giornalista del Tag Zeitung.Mi chiede se sarei capace di vivere

LE NOSTRE VITE VISSUTECOME DENTRO UN RECINTO

UNA SCRITTRICE PALESTINESE E UN’ISRAELIANA SI RACCONTANO GIORNO PER GIORNO

SUAD AMIRY E BATYA GUR

DOMENICA, 26 ottobre

Batya: «Alle 4 del mattino misveglia la voce del muezzin.Notiziario delle 7: due solda-

tesse e un soldato sono stati uccisi aNetzarim, nei pressi di Gaza. Piùtardi, sul giornale, osservo la fotodelle due giovani. Hanno 19 anni,l’età della mia figlia minore. Mettovia il giornale.

«Alle 8 mi impegno in un articolodi commento al romanzo Aracoelidi Elsa Morante, destinato al sup-plemento letterario di Haaretz.Sento passare delle ambulanze instrada. Le conto. No, non sono tre.Tre ambulanze vogliono dire atten-tato. Qualche mese fa un terroristaè stato arrestato davanti al caffè Ca-fit, qui vicino, e qualche settimanaprima un altro si era fatto saltare inaria al caffè Hillel, a nemmeno cen-to metri da qui. La sera andiamo atrovare la nipote di Ariel: abita consuo marito a Bakaa, un quartierequi vicino. I loro tre bambini si ad-dormentano al suono degli spari.Provengono da Betlemme o sonofuochi d’artificio? I pareri sono con-trari. Da un appartamento vicino ciarriva l'eco del telegiornale: sullosfondo si sente la folla minacciare losciopero generale. Sento la voce delprimo Ministro Sharon, una voceche mi è diventata insopportabiledopo la guerra del Libano del 1982».

Suad: «“Nura... vuoi uscire a fartiuna passeggiatina?”. Si precipitaverso la porta. Con gli occhi soc-chiusi mi trascino per aprirle e leiesce a razzo in giardino. Mentrepreparo due scodelle di tè al latte,sento un colpo di fuoco proveniredal posto di controllo di Surda, ameno di un chilometro di distanza.Mi rificco a letto. Salim, con gli oc-chi chiusi, ascolta il notiziario. “No,questa stronzata di muro non haniente a che vedere con la sicurezzadi Israele. Basta guardarlo! Non se-para Israele dalla Palestina. Separala Palestina dai palestinesi. Con ilpretesto di stabilire una linea diconfine tra noi e loro, si sono impa-droniti del 55 per cento delle nostreterre. Sarebbe questa la sicurezza?”Mi sono stupita di aver risposto co-sì, gridando, a Bob Simon che mistava intervistando per il program-ma della CBS 60 minutessulle riper-cussioni che il muro ha sulle nostrevite. Credo che Bob Simon si siapentito di aver scelto una donna co-me me, di mezza età e in menopau-sa, per parlare della “separazio-ne”».

Lunedì, 27 ottobre Suad: «“Nura... una passeggiati-

na”? Si precipita verso la porta. Leapro con gli occhi aperti a metà.Esce a razzo in giardino, io mi portoappresso le mie enormi scodelle ditè al latte. Sento un elicottero israe-liano ronzare nel cielo di Ramallah.Salim ascolta il notiziario: «Il gover-no americano critica la costruzioneda parte di Israele del muro di sicu-rezza all’interno dei territori pale-stinesi, muro che blocca l’accessodei palestinesi alle loro terre». An-cora prima di andare in onda, la miaintervista con Bob Simon ha già in-fluenzato il governo americano».

Batya: «Il tempo è cambiato. Do-po una settimana di canicola, ora sirespira. L’autunno è arrivato, por-tando con sé il profumo di guaiava edi clementine. Faccio fatica a con-centrarmi sul mio nuovo libro, lacui uscita è imminente. Invece di la-vorare, mi immergo nella lettura deLa porta del sogno, del finlandeseUno Kailas. Nella prefazione RamiSaari parla del conforto che quellepoesie gli hanno trasmesso. La miaunica consolazione, invece, è chequesta sera pioverà. Pioverà anche

uscita per i 45.000 abitanti diKalkilya.

«Ci hanno fatto costeggiare il gi-gantesco muro che circoscrivecompletamente Kalkilya. Così ab-biamo potuto constatare che il 45per cento dei terreni e 19 dei pozzid’acqua sono ormai irraggiungibili,ovvero “dall’altra parte del muro”.Per raggiungere i loro campi, i con-tadini devono passare attraversoquell’unico punto di accesso. An-che se siamo già alla fine di ottobre,gli abitanti del villaggio non sonoancora stati autorizzati ad effettua-re la raccolta delle olive».

Mercoledì 29 ottobre Suad: «“Sì, ci piacerebbe proprio

poter visitare lo zoo”. Anche Leilaera entusiasta come me. Certo, sa-pevamo che Kalkilya è da moltipunti di vista una città pilota (il sin-daco arabo di Kalkilya e il sindacodel partito Meretz della vicina cittàdi Kfar-Saba hanno firmato un ge-mellaggio tra le loro municipalità;gli israeliani progressisti di Kfar-Sa-ba hanno inviato al governo Sharonuna petizione, chiedendo che ilmuro sia eretto in territorio ebrai-co), ma uno zoo è davvero un pro-getto pilota. Su una pedana di ce-

mento, in una minuscola gabbia difilo spinato, l’indomita leonessache ha appena perso suo marito èaccucciata accanto al suo splendi-do rampollo Zarf. Mi guarda drittanegli occhi e mi dice: “Ora capisciche cosa vuol dire vivere in gabbia,isolata, tagliata fuori dal tuo habitatnaturale?” «Sì, capisco. Ne sonodavvero dispiaciuta, ti devo dellescuse.» «Non occorre. Sono gliisraeliani che ci devono delle scuse.A voi e a me,» conclude la leonessa.Noi ci abbracciamo piangendo».

Batya: «Parto con Ariel. Siamo di-retti a Tel-Aviv, per far visita a miamadre come ogni settimana. Ot-tantenne, sopravvissuta alla Shoah,mia madre vive da sola. La sera, albar, incontro la mia amica d’infan-zia Tami. Mi indica Marte in cielo.«Non è strabiliante? — mi chiedeTami — Quella è la stella della guer-ra.» Sorridiamo, cercando di nonformulare la domanda «Che cosasuccederà?» che ci sgorga roventesulle labbra. Sorseggiamo una mar-garita, guardiamo fuori. Sono nataa Tel-Aviv, ma preferisco Gerusa-lemme, con tutta la sua violenza e lesue difficoltà. Non so perché».

Giovedì, 30 ottobre

altrove. Alla sola idea mi sento fre-mere e le rispondo: “In nessun ca-so!” Sorpresa, lei insiste. Ribatto di-cendole che non vi è al mondo unluogo più sicuro di questo e che nonho paura per me, ma per i miei figlie i miei cari. Non sono capace dispiegarle perché non potrei viverealtrove. Non è una questione di pa-tria, ma di vincoli sentimentali conla gente, la lingua, gli odori. E’ così».

Suad: «Cercavo disperatamentedi dissimulare la mia angoscia e lamia paura mentre accompagnavoLeila fino alla cittadina di Kalkilya.Lei voleva valutare quali fossero leterribili conseguenze del “muro diseparazione”. Il solo modo di arri-vare a Kalkilya, a quanto pare, èquello di attraversare Israele “ille-galmente”. Ed è anche l’unico mo-do per sfidare il “muro di sicurezza”di Sharon! E’ grazie alla mia età cheabbiamo potuto passare il posto dicontrollo di Kalandia; è grazie all’e-leganza di Leila che abbiamo potu-to penetrare in Israele; è grazie allaperplessità dei soldati alla vista delsuo passaporto libanese e del miopassaporto giordano che abbiamopotuto valicare la porta che costi-tuisce il solo punto d’ingresso e di

A Gerusalemme ilcentro commercialebrulica di gente, mi

perquisiscono tre volte

SUAD AMIRYPalestinese,ha 51 anni, èarchitetto e

insegnaall’Università

Birzeit.“Sharone mia suocera”è pubblicato da

Feltrinelli

BATYA GURIsraeliana,55 anni, ha

scritto diversiromanzi tra

cui “Omicidionel kibbutz”,

Piemme

,,ARIEL SHARON

Questo muro non è un muro politico.Il suo percorso non

costituisce una linea di confine tra noi e i palestinesi,,

Qui sotto, un soldatoisraeliano cammina

lungo il muro incostruzione

FEDERICO RAMPINI

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LA REPUBBLICA 43MERCOLEDI 19 NOVEMBRE 2003 D I A R I O

VI RACCONTO BERLINOPRIMA E DOPO IL CROLLO

UNO SCRITTORE ANALIZZA LA CITTÀ E LA SUA RIUNIFICAZIONE

PETER SCHNEIDER

ABERLINO, così sembra, toc-ca sempre, in Germania, unruolo di primo piano. Fino

alla caduta del Muro, è stata l’unicacittà nella quale si è convissuto conla divisione della Germania. Il Mu-ro, nella Germania Occidentale,non lo si vedeva e lo si percepiva ap-pena, era quasi come se lo si fossescordato del tutto e come se ci sifosse adeguati allo status quo. OggiBerlino è l’unica città, in cui i 30 an-ni di divisione non si sentono quasipiù, mentre, vice versa, è maggiore,nella vecchia Repubblica Federalee nella vecchia Repubblica Demo-cratica, «la sofferenza per la riunifi-cazione». La riunificazione ci costa75 miliardi di euro l’anno, si lamen-tano i tedeschi occidentali, e non ri-ceviamo nemmeno un “grazie”;per voi sono spiccioli, voi ci abban-donaste, rispondono i fratelli e lesorelle dall’Ovest.

Intanto, la città di Berlino, co-munque in bancarotta, gioisce perla riconquistata unità. Il Postda-mer Platz ridisegnato da Renzo Pia-

del rave, verdi, gay, lesbiche, turchi,russi, alternativi, autonomi, graffit-tari, radicali dei vari campi, artisti.

Di recente ho visto la star di unsalotto televisivo, che con la suapettinatura a vaso e il suo modo diparlare caotico si è creata una certafama a Monaco, scendere da una li-mousine davanti al Bar Paris. Nellasperanza di essere riconosciuto eassalito, è rimasto per un po’ fermosul marciapiede. Con crescentesmarrimento continuava a guarda-re i passanti, ma questi non sem-bravano notarlo. Forse l’uno o l’al-tro lo riconosceva, ma nessuno gliha fatto l’onore di posare su di lui gliocchi. La città semplicemente in-ghiottiva lui e la sua fama.

I berlinesi si erano immaginatol’arrivo dei cittadini di Bonn comeuna farsa di Labiche: il contadinoche arriva nella grande città dallaprovincia e capisce soltanto la pa-rola “stazione”. Ai sarcastici nativisfuggiva il fatto che la loro città si ègià in passato “contadinizzata” inmaniera sostanziale. Berlino ha

vissuto due volte l’esododella sua élite intellettuale– prima, durante il terzoReich e, successivamente,dopo la costruzione delMuro. Da quel momento, ledue metà della città, ora di-ventate capitale, avevanovissuto in spazi chiusi aiquali si provvedeva dall’e-sterno. Che la forzatamen-te proletarizzata societàdella Berlino Est non fosseil non plus ultra di una cul-tura cosmopolita è, nelfrattempo, un dato cono-sciuto. Ma anche la metàoccidentale ha trascinato ilsuo vivere nel crepuscolodi uno spazio protetto esbarrato. La Berlino Ovest èstata in realtà la versionefortunata del socialismoreale, il reame di principiereditari locali e di espertitedesco-occidentali di sov-venzioni, amministrato

con i favori e con il clientelismo.L’élite, che si faceva vedere al ballodella stampa, a Parigi o a Londraoramai la si ritrovava soltanto alballo dei pompieri. Quel che man-cava di più alla città: una borghesiaaperta al mondo e consapevole delproprio valore.

Da questa perdita, durata settedecenni, Berlino comincia a ri-prendersi ora. Nell’alquanto affret-tata ricostruzione della città, si so-no passati il testimone i migliori ar-chitetti del mondo. La stupendaopera di Libeskind per il MuseoEbraico e il “ritorno a casa” dellacollezione Berggruen – uno degliebrei berlinesi cacciati a suo tempo– sono i segni di un nuovo inizio.Nel “Bar di Tutte le Responsabilità”e nel “Tippi” si possono ascoltarenuovamente le canzoni dalla satirapungente, composte per buonaparte da artisti ebrei, che avevanodato a Berlino l’aura di città cosmo-polita. Anche in fatto di moda, lacittà è finita nel vortice del cambia-mento. Fino a poco tempo fa, qui siera quasi orgogliosi della fama chevoleva che in nessuna città ci si ve-stisse tanto miseramente quanto aBerlino. Difatti, che io sappia, nes-suno stilista di fama internazionaleha mai calpestato il suolo berlinese.Poco dopo la caduta del Muro hoscoperto in uno dei miei bar abi-tuali lo zar della moda, Karl Lager-feld. Non che sia rimasto entusiastadella sua presenza, ma in quel mo-mento ho saputo che quello era l’i-nizio di una nuova era.traduzione di Guiomar Parada

FUNERALEA BERLINOAgentesegreto faattraversare ilmuro di Berlinoa un colonnellosovietico inuna bara. DiGuy Hamilton(1966)

LA SPIACHE VENNEDALFREDDOUna spiainglese fingeuna crisiesistenzialeper ingannareil capo delcontrospionaggiodellaGermaniaorientaleDi Martin Ritt(1965)

TOTÒ EPEPPINODIVISI ABERLINOScambio dispie alla portadi Brandeburgoscritto da Age eScarpelliDi GiorgioBianchi (1962)

SIPARIOSTRAPPATOScienziatoamericanofinge di voleroltrepassare lacortina di ferroper rubare unaformula, mac’è di mezzo lafidanzataimpiccionaDi AlfredHitchcock(1966)

BREADAND ROSESI messicaniche passanoillegalmente lafrontiera a LosAngelesfiniscono nelleimprese dipulizieDi Ken Loach(2000)

GOOD BYE,LENIN !Una madre diBerlino est nonvuol credereche ilcomunismosia finito. DiWolfgangBecker (2003)

I FILM

la pressione migratoria nasce da squilibri cosìforti: cento milioni di messicani hanno un red-dito pro capite che è un decimo di quello ame-ricano. Da Sud premono i popoli ancora piùpoveri dell’America centrale, e poi colombia-ni, boliviani pronti ad attraversare il Messicosognando gli Stati Uniti. Ogni anno, nono-stante la cortina di ferro, nonostante l’eca-tombe nel deserto, nonostante le morti atrocidei latinos soffocati durante la traversata nel-l’inferno nei camion piombati, 150.000 clan-destini riescono a entrare negli Stati Uniti.Molti attraversano la frontiera ai posti di vali-

co ufficiali, senza lasciarsi scoraggiare dai chi-lometri di fila a Tijuana; entrano negli StatiUniti col visto turistico; raggiungono parenti eamici che lavorano nell’economia sommersacome camerieri, giardinieri, muratori; fannoperdere le loro tracce. Nell’ultimo anno la si-tuazione è perfino peggiorata... per colpa del-la Cina. Prima, grazie al trattato di liberoscambio Usa-Messico (il Nafta), le multina-zionali delocalizzavano posti di lavoro a ridos-so della frontiera. Nei dintorni di Tijuana era-no spuntate 4.500 maquiladoras, fabbricheche fanno assemblaggio di prodotti per il mer-cato Usa. A 3,75 dollari al giorno, sfruttano ma-nodopera sottopagata, ma almeno creano po-sti di lavoro locali, alleviando il bisogno di emi-grare. Ora la corrente degli investimenti si èspostata. La Cina fa concorrenza al Messicocon salari da un dollaro al giorno. Se si inaridi-sce il fiume degli investimenti americani, con-tro la miseria non resta che sfidare il muro.

Due ragazzi scavalcano larecinzione che separa ilMessico e la California perfermare l’immigrazioneclandestina

COREA MURO 1977La Corea del nord è separata dallaCorea del sud da una linea largaquattro chilometri. La muraglia incemento è stata eretta nel 1977 e siestende per 240 chilometri

GATEKEEPER 1995È il nome dato al muro di acciaio, lungo22 chilometri, che segna il confine traTijuana (Messico) e la California. Labarriera è stata realizzata percontenere l’immigrazione clandestina

MURO ISRAELE 2002L’edificazione del muro tra Israele eCisgiordania ha preso il via a Jenin il14 giugno 2002. La costruzione di unsecondo muro si aggiungerà ai 150chilometri già realizzati

La loro Grande Muraglianon era tanto una difesaper tenere fuori gli estraneiquanto un recintoper tenere dentroi propri simili

Che ci faccio qui?(1990)

BRUCE CHATWIN

no, un tempo incolta terra di nes-suno in mezzo alla città, è diventa-to un vivace luogo di incontro perl’Ovest e per l’Est. Qui si ritrovanogli Ossis e i Wessis (gli abitanti deiprecedenti Ovest ed Est, ndt) su ter-ritorio, per così dire, neutrale e nes-suno chiede più da quale puntocardinale arrivi l’altro.

Nel quartiere bene di Charlot-tenburg (un tempo il centro dellaBerlino Occidentale) le case resta-no vuote, mentre si allunga la codadei funzionari governativi cheaspirano a diventare inquilini oproprietari a Friedrichshain (untempo il “quartiere proletario” del-la Berlino dell’Est). In sostanza, èsorprendente come Berlino abbiaassimilato il trasferimento nellacittà degli uffici governativi. Il go-verno e le sue migliaia di funziona-ri non danno più nell’occhio. L’im-pressione è che gli oriundi di Bonnsiano diventati soltanto un’altraminoranza, una in più che va ad ag-giungersi a quelle già insediatesinella città: amanti dei cani, amanti

Sopra, una bambina berlineseguarda il muro che ha diviso in duela città dal 1961 al 1989

Batya: «Dopo la lezione di ginna-stica finalmente mi arriva una te-lefonata di Suad! Conversazionepiacevole: abbiamo le stesse opi-nioni sull’impotenza della sinistra,i tormenti della scrittura, le meravi-glie dell’Italia... Mi racconta il trau-ma che ha subito al check-point diKalandia. Alla fine entrambe con-veniamo che nelle circostanze at-tuali è preferibile rifugiarsi nellacultura e, per esempio, andare a ve-dere L’incarico, tratto da un roman-zo di Philip Roth. Anche se è un mat-tone».

Suad: «Sebbene abbia delle fortifitte allo stomaco, ho portato Nou-ra a fare la sua passeggiata. Non hopreso nemmeno il tè, ho passatotutta la giornata a letto. Indisposta».

Venerdì, 31 ottobre Batya: «Dal notiziario delle 7

vengo a sapere che il monumentofunebre di Itzhak Rabin è stato pro-fanato. Questi ebrei fanatici cheammassano armi e corrono a destrae a sinistra con uno sguardo da esal-tati hanno lo stesso sorriso dell’as-sassino di Rabin.

«Il centro commerciale nella par-te sud di Gerusalemme brulica difolla, questo venerdì mattina. Mi

perquisiscono tre volte. Tutti han-no un’aria angosciata e sconvolta.Ciò nonostante a Gerusalemme ilsole brilla in questa bella mattinatad’autunno e dal fioraio si trovanogià gli anemoni».

Suad: «Non saprei dire che cosaesattamente abbia provocato i fortidolori che ho avvertito tutta la gior-nata di venerdì, se è stato l’aver vi-sto quel gran muro di cemento, oAbou Mohammad che piantava de-gli olivi a ridosso del muro, o la tri-stezza funerea dello sguardo dellaleonessa... Con l’animo turbato e ilcorpo spossato ho fatto la spola trail letto e il com-puter, per ren-dervi partecipidel mio diariodella settimanaappena trascor-sa. E’ evidenteche gli elicotteriisraeliani chehanno ronzatonel cielo di Ramallah per ore e orenon mi hanno affatto facilitato il la-voro, né hanno lenito la morsa chesento allo stomaco».Traduzione di Anna Bissanti (c)

Nouvel Observateur

Gli elicotteri nel cielodi Ramallah ronzanoper ore e mi distolgonodal mio lavoro

Sopra, aGerusalemmeun soldatoisraeliano diguardia almuro mentreun bambinopalestinesecerca diattraversarlo

…Quei ragazzi, tra i qualistranieri dall’aria esotica,che nel ruolo di cosiddettiabbattimuro o picchimuraioli praticano lademolizione

E’ una lunga storia(1998)

GÜNTER GRASS