20 · tornate piene di vita con il vinaiolo che pesta l’uva per ricavare del buon vino, il fabbro...

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Poggio Bustone diventa presepe4

Qualche ricordo...

Figura 1: Scena raffigurante “Il tosatore” Figura 2: “Il boscaiolo”

Figura 4: Il laboratorio della porchetta

Figura 3: L’officina del fabbro

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urante il periodo di Natale, passeggiando all’interno di questo piccolo paesino in-castonato tra le montagne, con

un occhio sempre puntato verso lo stu-pendo panorama offerto dalla Valle San-ta, sembra quasi di udire il picchiettare del martellino del calzolaio che ripara un malridotto paio di scarpe, i passi fretto-losi della donna che si appresta ad uscire di casa per andare a raccogliere l’acqua con la conca di rame, i sospiri dell’uomo che si riposa seduto sui sassi dopo aver riportato un fascio di legna dai boschi, il leggero fruscio della paglia inforcata dal mietitore, il suono del flauto del pifferaio che riproduce melodie antiche. Le vecchie cantine abbandonate sono tornate piene di vita con il vinaiolo che pesta l’uva per ricavare del buon vino, il fabbro che forgia nel fuoco i suoi ferri ardenti, il falegname che leviga sapiente-mente i tronchi di legno, la fornaia che impasta l’alimento più povero e nutriente di tutti: il pane. Non potevano inoltre mancare il prodot-to tipico di Poggio Bustone, la porchet-ta, con il laboratorio del porchettaio, che

taglia le prelibate carni appena sfornate, e il tosatore nell’ovile, a ricordo di una popolazione povera che si sostentava an-ticamente solo grazie al duro lavoro nei campi e alla pastorizia. Suggestiva la prima scena, proprio all’in-gresso di tutto il percorso, con la rappre-sentazione del Perdono, che sembra per-petuare la presenza del Santo in questi luoghi, in memoria di quel “Buongiorno Buona Gente” rivolto alla popolazione di Poggio Bustone dal poverello di Assisi nell’autunno del 1208. Tutto ciò fa solo da contorno alla scena centrale della Natività, costruita nella pi-azza principale del paese, riproducendo quel luogo che Francesco scelse per le sue preghiere: il Sacro Speco. Accanto ad esso, tra le asperità rocciose della mon-tagna, Giuseppe e Maria tendono le mani verso il Figlio di Dio, venuto al mondo in una grotta buia e spoglia, riscaldata dalla paglia e dal fiato del bue e dell’asinello.La presenza di elementi come la car-tapesta, il legno di scarto, le tavole us-ate, le schegge dei tronchi, le cortecce staccate dagli alberi e le stoffe sporche e strappate, forniscono l’unica chiave di lettura, quella di un presepe povero, così come Francesco voleva si festeggiasse il Natale.

oggio Bustone diventa presepe

«Sappiate che la povertà è una via particolare di salvezza. Il suo frutto è molteplice, ma solo da pochi è ben conosciuto»

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Figura 5: Il Vinaiolo Figura 6: Il falegname

Figura 7: Gli artigiani

Figura 8: San Francesco e il bambino

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Ammiro con grande piacere l’iniziativa dell’Associazione “Poggio Bustone a Colori”, che per il secondo anno porterà di nuovo in evidenza una espressione artistica lodevole e significativa per la nostra comunità.“Poggio Bustone diventa Presepe” è un evento che coin-

volge dai più giovani ai meno giovani, lavorano a realizzare una man-ifestazione religiosa che, oltre ad evocare i sentimenti più profondi del-la spiritualità umana, ne accresce la dimensione comunitaria. È loro il merito di aver saputo riproporre con forza un avvenimento che negli anni è andato sempre più crescendo ed ha permesso al Paese di garantire spazi di crescita ad ogni suo abitante rendendo sempre più piacevole lo stare insieme. L’amministrazione Comunale ha voluto dare supporto all’organizzazione proprio per la valenza intrinseca di questo appunta-mento, e per la potenzialità attrattiva che possiede.L’auspicio è che questo esempio concreto di aggregazione, partecipazi-one e condivisione sia di stimolo per la realizzazione di ulteriori e nuovi eventi nel nostro territorio.Grazie per l’impegno profuso dalle tante persone che dedicano buona parte del loro tempo ad organizzare e gestire l’evento per tutto il peri-odo natalizio, grazie ai giovani “Poiani”, alla Parrocchia, a tutte le famiglie e all’Associazione Poggio Bustone a Colori.A nome di tutta l’Amministrazione Comunale, e mio personale, giunga a tutti i cittadini l’augurio più sincero di Buon Natale, che sia la festa che ci invita alla costruzione di relazioni umane capaci di rendere più fraterna e serena la convivenza civile, ma soprattutto sia l’occasione per guardarci in fondo al cuore.BUON NATALE Deborah Vitelli

Auguri del Sindaco

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Il significato nascosto del Presepedi Mons. Domenico Pompili, Vescovo di Rieti

a secoli siamo abituati a contem-plare il Presepe nelle nostre case e nelle chiese. Per molti di noi è

un segno legato ai ricordi caldi e intimi dell’infanzia. Ci lascia intuire qualcosa di grande, che si riscontra solo nel Cristia-nesimo: l’incarnazione del Figlio di Dio.Ma Francesco come ha potuto “inven-tare” un segno così umano e così vero, di fronte al quale nessuno ha osato porre questioni o obiezioni? Eppure l’immag-ine di Dio diffusa dalla Chiesa del suo tempo non era certo sintonizzata su quanto si pensa accaduto a Betlemme. Anche tra i vari gruppi di contestazione esistenti all’epoca nessuno diffondeva tra il popolo, che pure desiderava una Chie-sa più “evangelica”, una presenza e un volto contemporaneamente così divino e così umano.Francesco ha saputo entrare nel miste-ro dell’incarnazione. Ha visto che Dio ha scelto la via della spogliazione, della nudità, e non dell’onnipotenza, per man-ifestarsi e rendersi prossimo alla nostra umanità. E in questo modo ha sorpre-so e capovolto ogni nostra attesa nei suoi riguardi. Chi avrebbe mai pensato che l’evento inaudito dell’incarnazione potesse darsi in quel modo così normale, come accade per la nascita di qualsiasi bambino? Il Figlio di Dio si incarna e nulla accade, il mondo non se ne accorge

e tutto sembra procedere come prima.È da qui, è guardando al Cristo dei Van-geli, che Francesco predica, chiede e vive prima di tutto l’umiltà; è per questo che propone la povertà ai suoi frati e chie-de loro di restare sempre dei “minori”. Nessun cristiano può ignorare la sintonia con lo “stile” dell’incarnazione.Siamo a Greccio. Francesco viene in questo sperduto paesino, abitato da gen-te povera e affamata, perché ha in mente di rappresentare la nascita di Gesù. È il Natale del 1223, tre anni prima della sua morte. Convoca il paese e organizza un “presepe vivente”, portando anche un bue e un asinello. Tutto il quadro denota pov-ertà e semplicità. Francesco ha avuto la lucidità spirituale di cogliere “il segno” in quella nascita, ha intuito quanto fosse incisivo.Da allora in poi, sarà più facile per tutti sintonizzarsi con l’umanità di Dio.Non abbiamo bisogno di andare a Betle-

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mme per scoprire quanto il nostro Dio sia “umano”, vicino alla nostra vita con-creta.È stata avviata una svolta spirituale e teo-logica semplicissima ma geniale. Al tem-po di Francesco nelle chiese si presentava un Dio che comanda e deve essere temu-to e obbedito. Non è difficile immaginare il tono delle omelie, con l’invito rivol-to ai fedeli a fare penitenza, a soffrire, a espiare i propri peccati per placare l’ira di Dio che incombe su tutti gli uomini. Lo stesso Francesco, quando compone il Cantico delle Creature, inizia usando le espressioni che erano in uso: “Altissimo”, “Onnipotente”, ma poi si sintonizza con il Vangelo della nascita e di suo aggiunge “Buon Signore”! Doveva aver colto l’im-magine deformata di un Dio assetato di vendetta, che rovescia sul Figlio il casti-go per una colpa considerata altrimenti irreparabile. Guidato dallo Spirito, avrà avvertito che nessuno può prescindere dal fatto che se Dio si è incarnato è stato per amore, che se siamo stati “redenti” è per l’amore del Cristo per noi peccatori. Perché Dio è amore, gratuità e prossimità a tutte le vittime del male. Possiamo forse dire che, come Gesù di Nazareth, più che guardare al peccato, Francesco si concen-tra sulle vittime del male. E, in verità, è così che si rende visibile il vero volto di Dio.Non è difficile cogliere il messaggio di Greccio. In una Chiesa in cui non c’era più spazio per la povertà unita alla predi-cazione del Vangelo, Francesco ha il gen-io e l’ardire di proporre Gesù che nasce a Betlemme per aprire a tutti, e in partico-

lare ai più poveri, l’accesso al volto di Dio. A Francesco era chiaro che una Chiesa ricca e potente non poteva annunciare il Vangelo, e che la Chiesa dei chierici stava annunciando solo la teologia e le verità dei teologi, svuotando l’immagine di un Dio che si fa uomo. Bisognava follemente e poeticamente aver fiducia in quell’im-magine potente, innocente e umana del Presepe, la sola in grado di parlare al cuore di tutti. Lasciando a tutti la possi-bilità di una conversione. In quell’umile presepe non c’è nulla di estetico, c’è riv-elazione del grande annuncio cristiano. È un mistero grande, che ci supera sempre. Chi poteva immaginare che Dio avrebbe assunto la condizione sociale del povero? Nessuno poteva prevedere che sarebbe stato un povero a salvare il mondo! Fran-cesco intuisce che la nostra tendenza alla ricerca di potenza e successo, così spesso alienante e ingannevole, può guarire, per trasformarsi in solidarietà, dono di sé per gli altri, senza pretese. Alla Chiesa mala-ta del suo tempo Francesco lancia l’invito di Betlemme, senza rancore, per amore. Da Greccio, Francesco dice a noi e alla Chiesa che siamo chiamati tutti a essere dei “minori”, sempre aperti ad amare il mondo.

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Poggio Bustone a colori

Ad un anno dalla costituzione, l’asso-ciazione culturale Poggio Bustone a colori, nata con lo scopo di ripristin-are la vecchia tradizione di trasformare il paese in un immenso presepe, è di nuovo determinata, con rinnovata volo-ntà, a riproporsi come fautrice del pro-getto Poggio Bustone diventa presepe.Forte di una maturata esperienza, adoperandosi in svariate iniziative e sostenendo ancor più quelle maggior-mente radicate nel territorio, è deci-sa più che mai a ripetersi con lo st-esso spirito, creatività e fantasia che fin dall’inizio ci ha contraddistinto.In questo primo anno di attività possi-amo individuare diverse esperienze es-tremamente significative. La Festa della Tosatura, alla sua prima edizione, ha rag-giunto un discreto successo di presenze da tutta la provincia, rivelandosi un even-to decisamente attraente e stimolante per ogni fascia di età. Ben curato sotto tutti i punti di vista, da quello gastronomico con la promozione e distribuzione di prodotti del luogo, alla fattoria didattica per i bambini dove, quest’ultimi, hanno potuto sperimentare e rivivere le varie tecniche della tosatura dalle più antiche e tradizionali a quelle più moderne.Non meno importanti sono state le partecipazioni ad eventi già consolidati, promossi da altri enti, che hanno trova-

to in noi un sincero e valido sostegno. Faccio riferimento all’ormai affermato “Bono Jorno Bona Gente”, rievocazione storica dell’arrivo di San Francesco a Poggio Bustone, promosso dal CAI sot-tosezione di Poggio Bustone, alla Rap-presentazione storica del Venerdì Santo organizzata e promossa dalla Pro Loco.Siamo fermamente convinti che l’es-perienza e il coinvolgimento di tanti ragazzi e adulti possa costituire e dare nuova rinascita ad una realtà come quella di Poggio Bustone che, negli ul-timi periodi, sta mostrando un evi-dente cedimento e rappresentare un ottimo volano per una economia lo-cale sempre più in affanno e disagio.Crediamo fortemente nella valorizzazi-one del nostro territorio e nell’assolu-to rispetto dell’ambiente, virtù che ci spingono a perseguire costantemente e con tenacia la strada del riutilizzo, fa-cendo ampio uso di materiale di riciclo.Ad oggi, Poggio Bustone a colori costitu-isce un faro per molti ragazzi che hanno voglia di impegnarsi e mettersi in gioco, avendo trovato in noi un ottimo strumen-to per esprimersi, rendersi utili e spende-re costruttivamente il loro tempo libero.

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Il Sacro Speco

Salendo dal piccolo borgo di Poggio Bustone, disposto in maniera defilata e protetta, scopriamo il primo dei quattro santuari della Valle Santa: il convento di San Giacomo. Ci troviamo nel piazzale delle Missioni Francescane, a quota 800 metri circa sul livello del mare, immersi nel verde più intenso.Il santuario o romitorio inferiore, insieme

al romitorio superiore, rappresentano i luoghi dove Francesco vede l’inizio del-la sua missione comunitaria, prendendo coscienza che è stato perdonato da Dio.Siamo nel 1208, quando Francesco, in-sieme ai suoi primi compagni, Bernar-do da Quintavalle, Egidio, Pietro, Saba-tino, Morico, Massei e Giovanni della Cappella entra nella porta posta a valle del paesino (oggi arco del Buongiorno), rivolgendo quel saluto estremamente conciliante “Bono jorno, bona gente!” ad una popolazione ritrosa, ma non ostile, abituata ad affrontare le asperità della vita quotidiana, che un paesino rupestre e sperduto poteva offrire in quei periodi. Un paese povero, abbarbicato sulle pen-

«Le sei edicole, lungo l’aspro viottolo che conduce all’antico luogo.»di Domenico Battisti

foto di Simone Mostarda

“Non tormentarti, o Francesco, che i tuoi peccati ti saranno perdonati come tu chiedesti a Dio”

Poggio Bustone: “Grotta delle rivelazioni o Santuario superiore”

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dici del monte Rosato, segnato da inverni rigidi, tipici dei paesini di montagna dell’appennino, dove l’unico conforto alle anime viene offerto dal magnifico panorama che domina l’intera vallata reati-na che, tuttavia, concede riparo al piccolo gruppo di pellegrini pro-venienti da Assisi.Giunto nella piazza principale del paese, affiancato dai suoi compag-ni, improvvisò una piccola pred-ica, suscitando un’ardore sacro e struggente nella popolazione di Poggio Bustone, che mai più nessuno poté di-menticare.Dopo la predica, il Santo assisiate, fra-ternamente accolto dal Monaco castel-lano del paese, chiese di potersi ritirare, assieme ai suoi frati, in qualche luogo solitario, al fine di abbandonarvisi in preghiera.Il Monaco, apprezzate le nobili intenzioni del Poverello, indicò un piccolo eremit-aggio benedettino, intitolato a S. Giaco-mo apostolo, posto a levante del piccolo borgo, rinchiuso in una gola del monte Rosato, stabilendovi il primo “locus” francescano della Valle Santa reatina. Francesco, fedele alla sua antica abitu-dine di ritirarsi, nelle ore di meditazione, in luoghi sempre più impervi ed isolati, si spinge ben presto a trovare rifugio in

una spelonca, una fenditura tra le tante rocce che la montagna offre come riparo, in quello che noi oggi conosciamo come Eremo superiore o Sacro Speco.A detta dello Joergensen è forse allora che il poverello compose la stupenda preghiera «Chi sei tu, dolcissimo Signor mio Iddio, e chi son io, vermine vilissimo e inutile servo tuo? Signor mio amatissi-mo, quanto vorrei amarti! Mio Signore e Dio, a te dono il mio cuore e il mio corpo; ma con quanta gioia vorrei far di più, per amor tuo, se sapessi come!».E’ ancora lì che riceve la visione dell’an-gelo sotto forma di fanciullo che gli an-nunzia la Remissione dei peccati: “Non tormentarti, o Francesco, che i tuoi peccati ti saranno perdonati come tu chiedesti a Dio” e gli viene predetta un’espansione prodigiosa del suo ordine, da quel luogo

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che oggi prende il nome di Piazzale delle Missioni Francescane dal quale sarebbe partita la sua missione di pace e che noi abbiamo appositamente scelto per il nos-tro breve viaggio.Appena sopra il piazzale è possibile am-mirare il Tempietto della Pace costruito dall’architetto Carpiceci all’inizio del 900, contenente una statua in marmo bi-anco di San Francesco e poco più in alto un’altra statua in bronzo, del prof. Ron-chi, che raffigura l’angelo che si china su Francesco.Nei trenta minuti di cammino, inerpi-candosi in un viottolo a spirale che con-duce al sacro speco si riscopre tutta la bellezza di quel saluto in un sentiero im-merso in un bosco di querce secolari, ac-eri e carpini che conservano gelosamente tutto l’amore e la semplicità di Francesco.Continuando lungo il sentiero è possibile scorgere sei edicole, erette nel 1650, a ri-cordo dei vari episodi accaduti al santo durante le ascese al luogo di preghiera e trasmessi dalla tradizione popolare.La prima cappella custodisce la pietra sulla quale il Santo appoggiò il brevia-rio mentre stava per sopraggiungere una tempesta: appena poggiato il libro la pi-etra si sciolse come cera. Il vuoto è anco-ra visibile.La seconda cappella fu edificata sul luo-go in cui Francesco si sedette poggiando le spalle a una pietra sulla quale rimase impressa l’impronta del suo cappuccio ancora oggi visibile. A pochi metri da questa, si indica una pietra, sulla quale sarebbe l’impronta del ginocchio, che l’umile Francesco piegò alla vista di un

Angelo; la terza cappella custodisce l’im-pronta del gomito del Santo; la quarta è dedicata all’apparizione del demonio e alle impronte che lasciò sulla pietra.La quinta conserva l’impronta del piede di Francesco, la sesta l’impronta di un Angelo, apparso al Santo in forma uma-na.Giunti sull’antico luogo, nel cuore più profondo del francescanesimo, si scorge una chiesina con un piccolo campanile, realizzata attorno al 1300 ed ampliata nel 1600, che i pellegrini sono soliti suonare con qualche rintocco che riecheggia fin dentro i vicoli del piccolo borgo, a tes-timonianza dell’agognato traguardo che offre dei panorami suggestivi su tutta la Valle Santa.Qualche gradino ancora per ammirare un Altare con una Pala del XVII secolo raffigurante la remissione dei peccati, mentre ai lati due magnifiche pitture che rappresentano San Francesco e Sant’An-tonio da Padova a destra e, a sinistra, San Bonaventura e San Bernardino. Nella parte superiore è ben visibile la grotta delle rivelazioni.L’itinerario che si percorre è in assoluto il più francescano di ogni altro poiché apre l’animo di ogni visitatore alla meditazi-one e alla contemplazione, proprio come accadeva a Francesco al tempo della sua permanenza a Poggio Bustone.Ancora oggi, il lunedì dell’Angelo (pasquetta), molti pellegrini si recano al Sacro Speco in preghiera invocando l’ ora pro nobis (prega per noi), accompagnan-do la statua del Santo in quel luogo che fu del perdono.

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SISMA CENTRO ITALIASALVIAMO IL SACRO SPECO

Il Sacro Speco di Poggio Bustone è l’eremo costruito nella grotta dove San Francesco si isolò per chiedere perdono per i propri peccati e dove secondo la fede francescana, l’Angelo di Dio gli diede il perdono. Per la popolazione di Poggio Bus-tone, prima martoriata dal sisma del Centro Italia dello scorso anno e poi dagli in-cendi di quest’estate, il santuario è il punto di aggregazione, il simbolo della loro co-munità.

Nel paese natale di Lucio Battisti, le tradizioni si tramandano dai grandi ai piccoli grazie a momenti di aggregazione come la processione del lunedì dell’Angelo, ma da quando il terremoto ha reso inagibile l’eremo e gli incendi hanno distrutto parte del sentiero, questo collante della comunità rischia di perdersi. Oltre a ciò, il monumento ha un valore storico per l’Italia, giacché è qui che ilsuo Santo Patrono, autore della prima opera letterario scritta in vernacolo, iniziò ve-ramente la sua opera.

La presente raccolta è realizzata con l’aiuto dell’ANCI e mira alla ristruttur-azione della chiesa, in modo da renderla di nuovo sicura. Con il vostro contributo aiuterete questa comunità che già ha sofferto fin troppi disagi a causa del terremoto, ed aiuterete a conservare un pezzo di patrimonio storico nazionale.

https://youtu.be/pbjt7Am__Ls

RICOMPENSE1) Euro 100,00 – opuscolo turistico di Poggio Bustone;2) Euro 500,00 – Weekend per 2 persone a Poggio Bustone;3) Euro 1000,00 - Weekend per 2 persone a Poggio Bustone più volo biposto in para-pendio oppure escursione nei sentieri dei Monti Reatini.

COMUNE DI POGGIO BUSTONEDECORATO AL VALOR MILITARE

PROVINCIA DI RIETI

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Siamo arrivati alla ventesima edizione de “Il paese diventa presepe” che, seppur cambiando denominazione in questi ul-timi due anni, ne conserva ancora intatti i valori, l’entusiasmo, la carica emotiva e l’idea originale, quella di un presepe povero inspirato alle nostre radici e tra-dizioni.Un appuntamento importante per il nostro territorio, perché descrive in un unico evento la forza e le attitudini di un piccolo paesino con il lascito più impor-tante del poverello di Assisi; un evento che concilia religiosità, storia, cultura e folclore in un unico contesto: il presepe.Un’idea ambiziosa fin dalle primissime edizioni, mai facile da realizzare, mai scontato nel risultato, un progetto de-cisamente unico per la sua tipicità, che richiede lunghi periodi e sforzi intensi, spesso in orari proibitivi e soprattutto dopo aver affrontato le fatiche del la-voro quotidiano; un impegno costante e minuzioso di tanti volontari che, gior-no dopo giorno, dedicano parte del loro

tempo al servizio della collettività per rendere migliore il proprio paese.Il Natale, per sua intima natura, è per tutti un periodo di raccoglimento, da dedicare ai propri affetti, per frugare gli angoli più reconditi del proprio animo; un momento di riconciliazione con noi e con gli altri, così il presepe a Poggio Bustone, fin dalle prime edizioni, è sta-to sempre motivo di riflessione, una ra-gione in più per stimolare la sensibilità di ognuno e per accrescere e fortificare le nostre speranze.Proprio per questo motivo, in questa edizione, abbiamo voluto dedicare parti-colare attenzione al nostro Eremo Supe-riore - il Sacro Speco - colpito nell’ultimo anno, prima dal tremendo sisma del 24 agosto e del 30 ottobre, poi, dal devastan-te incendio della scorsa estate arrivando fin dentro il cuore dell’antico luogo.Suscita sicuramente grande stupore una foto circolata nei giorni successivi il tragico evento, che ritrae la vecchia croce lignea rimasta miracolosamente illesa, circondata da un terreno completamente arso dal fuoco, come volesse richiamare alla memoria che quel “Frate Foco” si è ricordato del Fratello Francesco.

Ringraziamenti

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Siamo sicuri che la generosità di tutti possa ridare nuova vita e restituire nuo-vo splendore al primo luogo francescano della Valle Santa.Quest’anno, con il progetto la “Valle del Primo Presepe” tra Greccio e Rieti che inizia a prendere forma e consistenza, ci sentiamo ancor più in dovere di dover ri-spondere a questa “chiamata”, nel veder trasformata la nostra splendida vallata in un gigantesco presepe.Il nostro ruolo vuol essere di ausilio, raf-forzando e dando ulteriore valore a quel luogo tanto adorato dal Santo di Assisi per le sue preghiere, segnandone le scelte più importanti della sua vita: il Perdono di Poggio Bustone nel 1208; la Terza e de-finitiva Regola di Fonte Colombo, appro-vata nel 1223 - stesso anno del presepe - da Papa Onorio III; il Cantico delle Creature ispirato in parte al Santuario della Foresta e, naturalmente, il primo Presepe vivente di Greccio. Quanto bas-ta per farci capire la vastità e il valore di questo immenso tesoro.Concludendo, vogliamo rinnovare il nostro messaggio di speranza, di rinasci-ta e crescita ed augurare a tutti un sereno Natale.Un caloroso ringraziamento a tutti i vo-lontari che, anche quest’anno, hanno

collaborato al progetto con passione e te-nacia, ai nostri Frati Francescani, all’Am-ministrazione comunale, al Comune di Poggio Bustone e alle associazioni del territorio - tutte - che hanno saputo rin-novare quello spirito di collaborazione. Domenico Battisti

Si ringraziano:Romolo Mostarda, Attilio, Rossano, Tiziano, Svezio, Vincenzo, Alessio, Paolo Semenzato, Nunzio, Raffaele, Fabiano, Diana, Oriana, Diletta, Rita, Giorgia, Laura Santoprete, Miriam, Silvia Semenzato, Elisa, Chiara, Emili, Marcolina, Milena, Laura Castorina, Anna Leonardi, Aurora Santori, Carlo Alber-to, Cesare, Laura Desideri, Serena, Flavia, Paola, Serenella, Giovanna, Beatrice, Anto-nio, Maddalena, Andrea Pellecchia, Federico, Francesco, Renzo, Armando, Teo, Domenico Fasciolo, Mariano, Mirco, Padre Giuseppe, Padre Renzo e le piccole del gruppo, Maria Rita Mostarda, Ada Perazzi, Elisa Desideri e Nicolò Battisti.Ancora: Angelo Marcucci, Mara Cerroni, Monica e Giovanni Battisti, Lucia Fortunati, Guido, Ornella, Enzo, Mariantoni, MotoMa-nia, CityBar, Colorificio Larplast Srl di Pro-varoni, Romina Parrucchiera, Angelini Berar-dino, MilleVoglie, Panificio Borgo.

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Art. 1. L’Associazione Culturale Poggio Bus-tone a colori, nell’ambito delle manifestazioni natalizie della Città di Poggio Bustone, con il patrocinio dell’Amministrazione comunale – Assessorato Cultura e Spettacolo, in collabo-razione con la Parrocchia San Giovanni Bat-tista, indice il concorso denominato “Presepi poiani”.Art. 2. Oggetto del concorso è la realizzazi-one di un manufatto che rappresenti la tra-dizione del presepe interpretata attraverso una forma d’arte a scelta.Art. 3. Possono partecipare al concorso sog-getti pubblici, privati, gruppi e singoli citta-dini. È necessario il raggiungimento di un numero minimo di 6 partecipanti. Art. 4. Il presepe deve essere esposto a par-tire dal 9 Dicembre 2017 fino al 6 gennaio dell’anno successivo, a vista del pubblico, nei giorni stabiliti nel calendario del programma degli eventi natalizi.Art. 5. Le opere saranno esposte, preferibil-mente, entro i confini del centro storico delpaese a titolo gratuito per tutti coloro che ne faranno richiesta. Chi possiede spazi idonei all’allestimento per l’esposizione dei manufat-ti deve indicarne il luogo e dichiararne sotto la propria responsabilità la relativa agibilità tecnica. Gli organizzatori definiranno la con-gruità degli stessi con gli obiettivi prepostidalla manifestazione. Gli organizzatori prov-vederanno a fornire ai visitatori una mappa con indicati gli spazi espositivi.Art. 6. Per la costruzione dei presepi può essere impiegato ogni specie di materiale, tranne quelli ritenuti dichiaratamente peri-colosi per l’incolumità delle persone.Art. 7. Quanti intendono concorrere devono far pervenire agli organizzatori la domanda

di partecipazione, compilata sul modello di adesione, allegato al presente regolamento. La domanda di partecipazione deve essere recapitata via mail al seguente indirizzo: [email protected], entro e non oltre le ore 18:00 del 10 Novembre 2017. La partecipazione è gratuita.Art. 8. I presepi sono giudicati da apposita Commissione sulla base di parametri di valu-tazione meramente indicativi, di seguito ri-portati: a) Originalità o ambientazione (max punti 25); b) Lavorazione artigianale (max punti 25); c) Qualità artistica (max punti 25); d) Difficoltà tecnica di realizzazione (max punti 25). Ciascun membro della Commissi-one può assegnare un massimo di 5 punti per ogni parametro di valutazione.Il giudizio della Commissione è definitivo ed inoppugnabile.Art. 9. La Commissione è costituita da 5 membri, come di seguito indicati:1) Sindaco o suo delegato: assessore comu-nale o consigliere; 2) Esponente della Comu-nità dei Frati Francescani; 3) Dirigente di un plesso scolastico o suo delegato; 4) Esperto d’arte di comprovata esperienza; 5) Rappre-sentante studentesco di Scuole del Territorio.Il Componente eventualmente assente o im-pedito è sostituito da un altro componente designato dall’Associazione.Art. 10. La premiazione verrà effettuata il 6 Gennaio 2018.Al presepe primo classificato è assegnato un buono spesa di € 300, 00; al secondo classif-icato, uno di € 200,00; al terzo, uno di € 100, 00. A tutti i partecipanti è rilasciato un attes-tato di partecipazione.Art. 11. Per quant’altro non previsto e disci-plinato dal presente Regolamento si rinviaalle inappellabili decisioni assunte, caso per caso, dalla Commissione Giudicatrice.

Concorso“Presepi poiani”Regolamento

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La storia del presepe

Per capire come sia nato il presepe, bi-sogna fare un salto indietro di circa 800 anni, in pieno medievo, nel periodo delle crociate e dell’Italia dei comuni.Non lontano da noi, ad Assisi, nel 1181, nasce un uomo di nome Francesco che segnerà in maniera profonda la storia del luogo e quella dei territori in cui ci trovi-amo: la Valle Santa. La giovinezza di Francesco, vissuta in un ambiente benestante grazie al commer-cio di stoffe della famiglia, trascorsa tra liete brigate e divertimenti con gli amici, viene ben presto segnata da un episodio che lo sconvolse a tal punto da indurlo ad un totale ripensamento della sua vita. Il periodo di prigionia, a seguito della sconfitta degli assisani contro la rivale Perugia, segna l’inizio di un lungo peri-odo di conversione, contribuendo a ris-vegliare un assoluto amore per la natura che vedeva come opera ammirabile di Dio.

Francesco, divenne ben presto conosciu-to in tutto il mondo cristiano per la vita che conduceva; molti giovani avevano lasciato beni e professione per seguirlo nel suo ideale di povertà e parlava del Vangelo con tale entusiasmo che la gente e persino gli uccelli lo ascoltavano atten-ti. Diventa per tutti il poverello di Assisi.Deciso ad incontrare papa Onorio III per l’approvazione della regola di vita, si mette ben presto in cammino verso Roma, attraversando luoghi impervi ed isolati.E’ durante questo lungo viaggio, tro-vando rifugio in un piccolo riparo tra le rocce delle montagne di Poggio Bustone, che Francesco prende coscienza che i suoi peccati in giovinezza gli sono stati perdonati da Dio, come lui aveva chiesto,

Il Presepe di Greccio è la tredicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Fran-cesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. Fu dipinta verosimilmente tra il 1295 e il 1299 e misura 230x270 cm.

Tommaso da Celano (Celano, L’Aquila, 1190 ca., Valdevarri, 1260 ca.), abruzz-ese di nascita, divenne monaco fran-cescano, contemporaneo e testimone della predicazione di San Francesco. La sua notorietà è lagata al fatto di es-sere stato il primo biografo e di aver tr-amandato episodi indimenticabili con devozione filiale, scrupolo biografico e finezza narrativa.

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e decide di dar origine alla sua missione di pace insieme ai suoi fratelli in povertà assoluta e predicando il Vangelo nella semplicità.Qualche anno dopo, nel 1219, “arma-to” del perdono ricevuto e della paro-la di Gesù, partì crociato in oriente. Fu ricevuto dal sultano al-Malik al-Kamil e poté visitare in pace i luoghi santi della vita del Signore. Il ricordo più intenso di questo viaggio fu la visita all’umile grotta di Betlemme ove il Signore volle nascere.Tornato in Italia, incontrò un nobiluomo di nome Giovanni da Greccio, di buo-na fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Quest’ul-timo gli chiese cosa doveva fare per se-guire le vie del Signore. Francesco rispose: «Se vuoi che celebri-amo a Greccio il Natale di Gesù, preced-imi e prepara quanto ti dico: vorrei fare memoria del Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una grep-pia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello». Allora quel tale fece costruire una stalla, vi fece portare del fieno e condurre un bue e un asino, secondo il disegno del Santo. Poi arrivò dicembre…La notte di Natale del 1223 molti pasto-ri e contadini, artigiani e povera gente si avviarono verso la grotta che Giovanni aveva preparato per Francesco. Alcu-

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ni avevano portato doni per farne omaggio al Bambino e dividerli con i più poveri. Francesco disse di volere celebrare un rito nuovo, più intenso e partecipato; per questo aveva chie-sto il permesso al papa. Su un altare improvvisato, un sacerdote celebrò la Messa. Francesco, attorniato dai suoi frati, cantò il Vangelo.Stando davanti alla mangiatoia, egli aveva il viso cosparso di lacrime, traboccante di gioia. Allora fu visto «dentro la mangiatoia un bellissimo bambino addormentato che il beato Francesco, stringendo con ambe-due le braccia, sembrava destare dal sonno». Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervora-to di amore celeste lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e quel nome «Betlemme» lo pronunciava riempi-endosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. Fra i testimo-ni del miracolo molti erano person-aggi degni di fede e questo contribuì a divulgare la notizia in tutto il Lazio, l’Umbria e la Toscana fino a Genova e Napoli. Da quel miracolo molti tras-sero benefici spirituali e corporali: alcuni si convertirono e diventarono più buoni, altri guarirono da malat-tie, altri trovarono forza e pace inte-riore. Tutto il paese sapeva di questi prodigi e teneva memoria di quella notte santa, quando un Bambino era apparso a Francesco, che aveva vo-luto ricostruire l’ambiente del primo Natale in un bosco dell’Appennino affacciato sulla splendida valle reati-na, divenuta Valle Santa.

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La lingua è il principale elemen-to di identificazione e di unità di un popolo. E’ ciò che forse più di ogni altra cosa ci rende “compat-ibili”; ci permette di comprende-re chi è difronte, di interagire e costruire un rapporto con “l’altro”.In senso linguistico la lingua e i dialetti italiani hanno avuto la st-essa nobile origine, cioè il latino. Attraverso un lento e complesso processo evolutivo la lingua degli antichi Romani si è trasformata fino a divenire la nostra lingua nazionale, passando per le diverse sfumature e sfaccettature dei di-aletti o “lingue locali”.Con l’espansione dell’Impero Ro-mano il latino si è diffuso in mez-za Europa e soprattutto nel bacino del Mediterraneo, sovrapponen-dosi alle lingue parlate in prece-denza da quelle popolazioni. Dal-la commistione di questi elementi e da quelli derivanti dalle succes-sive invasioni barbariche si sono generati i vari dialetti d’Italia.L’impero romano infatti aveva imposto a tutti i popoli sottomes-si la lingua latina, ma comun-que pochi parlavano la lingua di Roma nella sua purezza ovvero il

cosiddetto latino classico.Il popolo minuto (il vulgus) quello dei mercan-ti, degli artigiani, dei contadini, che non aveva frequentato le scuole e doveva comunicare cose pratiche e di ogni giorno, parlava in modo molto più semplice eludendo e modificando le regole della grammatica latina. Parlava un latino che appunto da vulgus “popolo, gente comune” fu detto volgare. Non a caso lo stesso San Francesco, per essere più vicino al popolo ed essere compre-so da chi aveva più bisogno, scrisse “Il Cantico delle Creature” (probabilmente nel 1224), che è l’emblema e l’inno del francescanesimo, appunto in volgare, proprio perché il latino, allora lingua ufficiale, ma conosciuta solo dalle persone colte, risultava di difficile comprensione. Il dialetto era la lingua del popolo e Lui a loro voleva rivolgersi per divulgare la sua “regola” e non poteva farlo se non con le parole ed i concetti comprensibili dal volgo.Dal latino quindi si formarono i dialetti ed in questo passaggio molte parole si modificarono

LINGUA E DIALETTOLa lingua dell’anima

di Giovanni Santori

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nella grafia e nella pronuncia e, a volte, finirono per avere un signifi-cato diverso da quello originario. La loro comprensione è esclusiva e prerogativa di un ristretto nume-ro di persone che condividono lo stesso retaggio storico e lo stesso “comune sentire”.Il dialetto rappresenta quel legame profondo e forte tra componenti di uno stesso gruppo omogeneo di persone, più o meno grande, che permette di sentirsi parte di un qualcosa di esclusivo, che solo “i paesani” possono comprendere. L’esclusività che ci offre il dialetto si spinge fino alle dimensioni più piccole delle comunità; anche all’interno del nucleo base di una società, la famiglia, si sviluppa un modo di comunicare che solo i componenti di quel nucleo può comprendere creando un legame ancora più forte.Comunicare ed esprimersi in di-aletto offre una sensazione di libertà, di complicità, di cons-apevolezza che ciò che si vuole es-porre sarà sicuramente compreso ma solo da chi possiede le stesse radici. La “lingua dell’anima”, come definirei il dialetto, deve essere col-tivata e mantenuta perché perdere o dimenticare un tale patrimonio significherebbe appunto perdere l’anima di un popolo.Quindi… Tinimoceru strittu stu dialettu nostru …. E mparamoceru com’a ru patrennostru!!!

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Care sorelle e cari fratelli,per questo Natale ho deciso di far par-lare Antonio Bello, meglio conosciuto come don Tonino; vescovo originario del Salento nasce ad Alessano nel 1935. Il 10 agosto 1982 fu nominato vescovo delle diocesi di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi e Ruvo. Sin dagli esordi, il min-istero episcopale fu caratterizzato dalla rinuncia a quelli che considerava segni di potere (per questo si faceva chiamare semplicemente don Tonino) e da una costante attenzione agli ultimi: promosse la costituzione di gruppi Caritas in tutte le parrocchie della diocesi, fondò una comunità per la cura delle tossicodipen-denze, lasciò sempre aperti gli uffici dell’episcopio per chiunque volesse par-

Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo.Io, invece, vi voglio infastidire. Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario.Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati.Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli!Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte

Auguri Scomodi

di Fr. Renzo Francesco Cocchi ofm largli e spesso anche per i bisognosi che chiedevano di passarvi la notte.Sua la definizione di “Chiesa del grembi-ule” per indicare la necessità di farsi umi-li contemporaneamente agire sulle cause dell’emarginazione. Benché già operato di tumore allo stomaco, il 7 dicembre 1992 partì insieme a circa cinquecento volontari da Ancona verso la costa dal-mata dalla quale iniziò una marcia a pie-di che lo avrebbe condotto dentro la città di Sarajevo, da diversi mesi sotto assedio serbo a causa della guerra civile.Morì a Molfetta il 20 aprile 1993, e l’anno successivo gli fu conferito il Premio Na-zionale Cultura della Pace alla memoria. Il 27 novembre 2007 la Congregazione per le Cause dei Santi ne ha avviato il processo di beatificazione.

«Don Tonino Bello, il vescovo degli ultimi. Il Sognatore di Dio che anticipò Papa Francesco»

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verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio.Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra car-riera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con te-nerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospen-dere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ip-ocrita accetterà che il bidone della spazzatura, l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delu-sioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla vostra sonno-lenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna, con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfratta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano popoli allo sterminio della fame.I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere “una gran luce” dovete partire dagli ultimi.Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutiliChe le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura, ma non scaldano.Che i ritardi dell’edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da spec-ulazioni corporative.I pastori che vegliano nella notte, “facendo la guardia al gregge”, e scrutano l’aurora, vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’ab-bandono in Dio.E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che è poi l’unico modo per morire ricchi.Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.                                                                                     Tonino Bello

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Il documento storico dove per la prima volta viene citato Poggio Bustone è con-tenuto nel “Regesto Farfense” dove si cer-tifica la donazione del Castello di Poggio Bustone (Podium et Castrum Bustonis) e dei suoi possessi all’Abbazia di Farfa da parte di tale Berardus filius Rainaldi nel 1117 (900 anni fa).Dalla Tab. Reat. scopriamo invece uno strumento notarile del 1171 con il quale il Vescovo Dodone dona alcuni dei suoi poderi del Poggio ai figli di un tal Sini-baldo. Nella Bolla del 22 febbraio 1261, emanata dal papa Urbano IV, viene citato Poggio Bustone come appartenente an-cora al feudo di Farfa.E’ fondamentale conoscere queste prime informazioni perché proprio in quel periodo arrivò a Poggio Bustone un per-sonaggio che ne avrebbe segnato la sua storia.Nel 1209 infatti, deciso a trovar miglior rifugio della sua Umbria, San Frances-co d’Assisi vi entrò con pochi compagni all’alba di una notte rimasta viva nella gente come ebbe a scrivere Venanzio Va-rano nel suo libro - la Valle Santa: “Egli si recò nell’alta notte quivi, e traversan-do il paese addormentato lasciò la sua salutazione: -Buon Giorno, Buona Gente - e tutti nella notte e nel sonno udirono queste parole” (op. cit. pag 224,225).Dalle cronache, dalle legende, dai dipin-

ti, dai miracoli, si può dedurre che l’in-contro dei poiani con San Francesco fu fraterno e la permanenza del santo in questa terra fu proficua alla Sua Missi-one.Arrivò a poggio Bustone pieno di dubbi e di amarezza come cita lo scrittore danese Joergensen “Povero Francesco come cre-di tu di essere salvato? Troppo rio sei stato nella tua vita precedente! Mai, mai, mai, Francesco, per te non c’è salvezza, non c’è cielo, non c’è Paradiso! Danna-to sei, dannato, e la voce del dimonio si perdette ululando, come quella del gufo. Queste furono le notti a Poggio Bustone.Poi arrivò la grande consolazione, gli ap-parve un Angelo e gli disse: “Francesco non ti dolere: tutti i tuoi peccati sono stati cancellati dalla Midericordia di Dio come chiedesti” e lo stesso Joergensen commenta: “dopo le notti di lotta contro la potenza delle tenebre spuntò quell’al-ba radiosa, quando l’angelo del Signore ti portò la grande indulgenza.Da questo avvenimento si trasforma la vita di San Francesco poiché grazie alla rivelazione avuta in questo luogo Egli si sentì finalmente sicuro di fare la volontà di Dio e concepì la missione nel mondo in nome della povertà e dell’amore.Per capire quanto il personaggio di San Francesco sia stato incisivo nella mente dei poiani basterà ricordare che in ben 4 occasioni il popolo onora il Santo duran-te l’anno.

Podium et Castrum BustonisNovecento anni fa, il primo documen-to dove viene citato Poggio Bustone .

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Zaino in spalla…si riparte!

Zaino in spalla…si riparte! Sì, perché nella nostra scuola lo zaino in spalla si mette non solo per entrare in aula al suo-no della campanella, ma anche per uscire dall’aula ed avven-turarsi nei sentieri di montag-na, tra “le discese ardite e le ri-salite” (per citare il nostro più amato e famoso compaesano).I giovani studenti della scuo-la secondaria di primo grado di P. Bustone e Cantalice, da ormai tre anni, sono protago-nisti del Progetto MontAgnA: le A da scoprire – avventura, ambiente, amicizia, alimen-tazione, associazionismo. Esso è diventato parte integrante dell’offerta formativa dell’Isti-tuto Comprensivo “A. D’An-geli”, grazie all’idea originaria ed alla preziosa collaborazione della sottosezione C.A.I. di P. Bustone, e di tutti gli accom-pagnatori dell’associazione, che, in maniera volontaria e gratuita, mettono a dispo-sizione il proprio tempo e la propria esperienza sul campo, per guidare i piccoli energici camminatori.L’attività, che si avvale del sup-

porto degli insegnanti delle classi coinvolte, si arric-chisce ogni anno di un nuovo tassello; in particolare nel presente anno scolastico si intende accogliere, per alcune uscite, anche gli alunni della scuola pri-maria ed affiancare alla pura parte escursionisticadei percorsi di apprendimento interdisciplinari, che abbiano la montagna come fulcro.Fianco a fianco, sperimentando la fatica, immer-si nella splendida natura che caratterizza il nostro territorio, prosegue con entusiasmo il cammino da fare insieme, alla scoperta di ciò che ci è tanto vicino e spesso ignoriamo: per i ragazzi un nuovo modo di imparare, a passo lento, ascoltando, osservando ed aiutando i compagni, senza ruoli rigidi ma nel rispetto spontaneo delle regole, vivendo intensa-mente e divertendosi; per gli insegnanti la dolce illu-sione di ritornare un po’ alunni; per concludere con un’altra citazione…”tu chiamale se vuoi…emozioni!”.

di Tatiana Battisti

Il Faggio di San Francesco (Rivodutri). Studenti della scuola secondaria di primo grado di Poggio Bustone e Cantalice insieme al CAI di Poggio Bustone.

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La vera storia di Babbo Natale

Tutti i bambini lo sanno: Babbo Na-tale viene dal Polo Nord, è barbuto e sovrappeso e la notte tra il 24 e il 25 dicembre porta i regali ai piccoli di tutto il mondo viaggiando su una slitta traina-ta da renne. Ma la storia di questo amato personaggio del folklore è lunga e affasci-nante quasi come la sua leggenda. Babbo Natale nasce sulle rive del Mediterraneo, si Sevolve nell’Europa del Nord e assume la sua forma definitiva (Santa Claus) nel Nuovo Mondo, da dove poi si ridiffonde quasi in ogni parte del globo.In principio era san Nicola, un greco nato intorno al 280 d.C. che divenne vescovo di Mira, cittadina romana del sud dell’Asia Minore, l’attuale Turchia. Nicola si guadagnò la reputazione di fi-ero difensore della fede cristiana in anni di persecuzioni e trascorse molti anni in prigione finché, nel 313, Costantino emanò l’Editto di Milano che autorizza-va il culto. L’iconografia ha tramandato diverse sue immagini, ma nessuna somi-glia troppo all’omone allegro, sovrappeso e dalla barba bianca che oggi attribuiamo a Babbo Natale. Catherine Wilkinson, un’antropologa forense della University of Manchester, ha cercato di ricostruirne il vero aspetto basandosi sui resti umani conservati nella cripta della Basilica di san Nicola di Bari, dove le presunte rel-iquie del santo furono portate nel 1087 da un gruppo di marinai e sacerdoti ba-

resi che era andato fino a Myra per impa-dronirsene.Quando, negli anni Cinquanta del secolo scorso, la cripta fu restaurata, il cranio e le ossa del santo furono accuratamente misurate, fotografate e radiografate. Wilkinson ha esaminato questi dati alla luce delle moderne tecniche dell’antro-pologia forense, aiutandosi con un soft-ware di ricostruzione facciale e aggiun-gendo dettagli dedotti dalle fattezze delle popolazioni mediterranee dell’epoca. Il risultato – un uomo anziano, dalla pelle olivastra, il naso rotto forse nel corso del-le persecuzioni, e barba e capelli grigi – è stato illustrato nel documentario della BBC The Real Face of Santa.Il protettore dei bambiniDopo la morte (avvenuta il 6 di dicem-bre di un anno imprecisato alla metà del IV secolo), la figura del santo divenne popolarissima in tutta la cristianità, gra-

Figura 1. Icona con l’immagine di San Nicola

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zie anche ai tanti miracoli che gli furono attribuiti. Molte professioni (ad esempio i marinai), città e intere nazioni lo adot-tarono e ancora lo venerano come loro patrono. Ma perché diventò anche pro-tettore dei bambini e mitico dispensatore di doni?La ragione, spiega Gerry Bowler, storico e autore del libro Santa Claus: A Biogra-phy, sta soprattutto in due leggende che si diffusero in Europa intorno al 1200. La prima, e più nota, racconta del giovane vescovo Nicola che salva tre ragazze dal-la prostituzione facendo recapitare in segreto tre sacchi d’oro al padre, che così può salvarsi dai debiti e fornire una dote alle figlie. Nella seconda, Nicola entra in una locanda il cui proprietario ha ucciso tre ragazzi, li ha fatti a pezzi e li ha messi sotto sale, servendone la carne agli ignari avventori. Nicola non si limita a scoprire il delitto, ma resuscita anche le vittime: “ecco uno dei motivi che lo resero patro-no dei bambini”, commenta Bowler.Da san Nicola a Santa ClausResta da spiegare come questo santo mediterraneo si sia spostato al Polo Nord e sia stato associato al Natale. In realtà

per molti secoli il culto di san Nicola – e la tradizione di fare regali ai bambini - si continuò a celebrare il 6 dicembre, come avviene tuttora in diverse zone dell’Ita-lia del Nord e dell’arco alpino, fino in Germania. Col tempo al santo vennero attribuite alcune caratteristiche tipiche di divinità pagane preesistenti, come il romano Saturno o il nordico Odino, anch’essi spesso rappresentati come vec-chi dalla barba bianca in grado di vo-lare. San Nicola era anche incaricato di sorvegliare i bambini perché facessero i buoni e dicessero le preghiere.Ma la Riforma protestante, a partire dal Cinquecento, abolì il culto dei santi in gran parte dell’Europa del Nord. “Era un bel problema”, commenta Bowler. “A chi far portare i doni ai bambini?”. In molti casi, risponde lo studioso, il compito

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fu attribuito a Gesù Bambino, e la data spostata dal 6 dicembre a Natale. “Ma il piccolo Gesù non sembra in grado di portare troppi regali, e soprattutto non può minacciare i bambini cattivi. Così gli fu spesso affiancato un aiutante più for-zuto, in grado anche di mettere paura”.Nacquero così nel mondo germanico alcune figure a metà tra il folletto e il demone. Alcune, come i Krampus, ser-vono da aiutanti dello stesso san Nico-la; in altre il ricordo del santo soprav-vive nel nome, come Ru-klaus (Nicola il Rozzo), Aschenklas (Nicola di cenere) o Pelznickel (Nicola il Peloso). Erano loro a

garantire che i bambini facessero i buoni, minacciando punizioni come frustate o rapimenti. Per quanto possa sembrare strano, anche da questi personaggi nasce la figura dell’allegro vecchietto in slitta.San Nicola in AmericaGli immigrati nordeuropei portarono con sé queste leggende quando fondaro-no le prime colonie nel Nuovo Mondo. Quelli olandesi, rimasti affezionati a san Nicola, diffusero il suo nome, “Sin-terklaas”. Ma nell’America delle origini il Natale era molto diverso da come lo consideriamo oggi. Nel puritano New England era del tutto snobbato, mentre altrove era diventato una specie di festa pagana dedicata soprattutto al massic-cio consumo di alcol. “Era così anche in Inghilterra”, spiega Bowler. “E non c’era nessun magico dispensatore di doni”.Poi, nei primi decenni dell’Ottocento, diversi poeti e scrittori cominciarono a impegnarsi per trasformare il Natale in una festa di famiglia, recuperando anche la leggenda di san Nicola. Già in un libro del 1809, Washington Irving immaginò un Nicola che passava sui tetti con il suo

carro volante portando regali ai bambini buoni; poi fu la volta di un li-bretto anonimo in versi, The Children’s Friend, con la prima vera appa-rizione di Santa Claus, associato al Natale “ma privato di qualsiasi car-atteristica religiosa, e vestito nelle pellicce tipiche dei buffi porta-

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tori di doni germanici”, spiega Bowler. Questo Santa porta doni ma infligge anche punizioni ai bambini cattivi, e il suo carro è trainato da una sola renna.Le renne diventano otto e il carro diventa una slitta nella poesia A Visit From St. Nicholas, scritta nel 1822 da Clement Clark Moore per i suoi figli ma diventata subito “virale”. Per molti decenni Santa Claus viene rappresen-tato con varie fattezze e con vestiti di varie forme e colori. Solo verso la fine del secolo, grazie soprattutto alle illus-trazioni di Thomas Nast, grande diseg-natore e vignettista politico, si impone la versione “standard”: un adulto corpulen-to, vestito di rosso con i bordi di pelliccia bianca, che parte dal Polo Nord con la sua slitta trainata da renne e sta attento a come si comportano i bambini.Ritorno in EuropaUna volta standardizzata la figura di San-ta Claus torna in Europa in una sorta di migrazione inversa, adottando nomi come Père Noel, Father Christmas o Bab-bo Natale e sostituendo un po’ ovunque i vecchi portatori di doni. A diffonderla

sono anche i soldati americani sbarcati durante la Seconda mondiale, e l’allegro grassone finisce per simboleggiare la generosità degli USA nella ricostruzione dell’Europa occidentale. Naturalmente, c’è anche chi nel Babbo Natale di origi-ne yankee vede nient’altro che il simbolo della deriva consumista del Natale. Al-tri lo rifiutano o lo snobbano semplice-mente in nome della tradizione, come i non pochi italiani ancora affezionati a santa Lucia, alla Befana o al vecchio, originale san Nicola.

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Curiosità: Tu scendi dalle StelleNon ci sono notizie certe sulla nascita di Tu scendi dalle Stelle, ma di certo se ne conosce l’autore: Sant’Alfonso Maria de Liguori (un santo molto importante per la chiesa, infatti

è stato dichiarato Dottore della Chiesa) che la compose nel 1754 e pare che alla base di questo splendido canto natalizio ce ne sia un altro, un canto in lingua napoletana dal tito-lo Quanno nascette Ninno (attribuito sem-pre allo stesso De Liguori) e che proprio su questo canto abbia composto Tu scendi dalle stelle, con testo in italiano così da essere di più facile comprensione e divulgazione.

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A volte si inizia così...

... poi si continua ...

... e ci si ritrova ...... il 16 dicembre alle 16.00 in piazza!

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Cantico delle Creature« Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude, la gloria e ‘honore et onne benedictione.Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione.Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento.Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione.Beati quelli che ‘l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati.Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali; beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male.Laudate et benedicete mi’ Signore’ et ringratiate et serviateli cum grande humil-itate »

Composto in volgare umbro del XIII secolo