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Pietro Lorenzetti (Siena, 1280/85 circa 1348 circa) è stato un pittore italiano delTrecento, tra i maestri della scuola senese. Fu fratello maggiore di Ambrogio Lorenzetti. Rientro in Toscana[modifica | modifica wikitesto] Il Polittico della pieve di Arezzo del 1320 è la prima opera pervenutaci datata. Lorenzetti si recò successivamente a Siena, dove nel 1329 dipinse la grande Pala del Carmine, già nella chiesa del Carmine. La Madonna è assisa in trono, in una solenne plasticità che ricorda la Madonna di Ognissanti di Giotto, soprattutto nelle corpose sfumature del volto. Di quest'opera è interessante anche la tavoletta con la Fontana del profeta Elia, facente parte della predella, nella quale è un carmelitano che attinge acqua con una brocca. La sensibilità del pittore per la qualità materica degli elementi naturali e per i relativi effetti ottici è resa evidente dall'incresparsi della superficie dell'acqua della vasca per effetto degli spruzzi e dai riflessi sulle coppe di vetro appoggiate sul bordo della fontana. Sempre a Siena, insieme al fratello Ambrogio, eseguì nel 1335 gli affreschi ormai perduti della facciata dell'ospedale di Santa Maria della Scala. La Natività della Vergine[modifica | modifica wikitesto] Nelle opere più mature egli appare influenzato dal fratello Ambrogio Lorenzetti, dove il giottismo più fiorentino viene stemperato nelle ricerche naturalistiche e luministiche. Verso il 1340 dipinse la pala della beata Umiltà, per una chiesa fiorentina, mentre da Pistoiaproviene la Madonna in trono col Bambino tra otto angeli (1340). Per esempio nel trittico del 1342 per il duomo di Siena, destinato a decorare l'altare di San Savino, rappresentò la Natività della Verginesu tre pannelli trattandoli come se si trattasse di uno solo, anzi trattando le demarcazioni come se fossero dei pilastri che separano la stanza in tre ambienti, due dei quali appartenenti alla stanza principale e uno, a sinistra, dove aspetta trepidante Gioacchino, il padre di Maria. Le volte dipinte sono illusionisticamente collocate sui "pilastri" della cornice e la loro prospettiva segue un preciso sistema di piani ortogonali anche in profondità (si veda per esempio lo sfondamento su un cortile porticato sulla sinistra), che presentano angolazioni vicinissime a quelle della vera prospettiva geometrica del punto di fuga unificato approntata solo da Brunelleschi all'inizio del XV secolo. L'interno domestico però non si riduce ad una fredda struttura architettonica, anzi le figure vi si muovono a proprio agio ed i dettagli di mobilio e suppellettili sono curatissimi, dalle mattonelle del pavimento alle stelline dipinte sulle volte a crociera. Al 1342 risale uno dei rari documenti che citano l'artista, attestante l'acquisto di terreni a Bibbiano per gli orfani (Cola (Nicola) e Martino) dell'amico scultore Tino di Camaino, deceduto verso il 1337 [2] . La Natività l'ultima opera documentata di Pietro Lorenzetti, del quale non si hanno più notizie dopo il 1347: è probabile che sia morto, come il fratello, durante la peste del 1348. Biografia e vita di Lorenzetti Pietro ( Italia 1280-1348 )

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Pietro Lorenzetti (Siena, 1280/85 circa – 1348 circa) è stato un pittore italiano delTrecento, tra i maestri della scuola senese. Fu fratello maggiore di Ambrogio Lorenzetti.

Rientro in Toscana[modifica | modifica wikitesto]

Il Polittico della pieve di Arezzo del 1320 è la prima opera pervenutaci datata.

Lorenzetti si recò successivamente a Siena, dove nel 1329 dipinse la grande Pala del Carmine, già nella chiesa del Carmine. La Madonna è assisa in trono, in una solenne plasticità che ricorda la Madonna di Ognissanti di Giotto, soprattutto nelle corpose sfumature del volto. Di quest'opera è interessante anche la tavoletta con la Fontana del profeta Elia, facente parte della predella, nella quale è un carmelitano che attinge acqua con una brocca. La sensibilità del pittore per la qualità materica degli elementi naturali e per i relativi effetti ottici è resa evidente dall'incresparsi della superficie dell'acqua della vasca per effetto degli spruzzi e dai riflessi sulle coppe di vetro appoggiate sul bordo della fontana.

Sempre a Siena, insieme al fratello Ambrogio, eseguì nel 1335 gli affreschi ormai perduti della facciata dell'ospedale di Santa Maria della Scala.

La Natività della Vergine[modifica | modifica wikitesto]

Nelle opere più mature egli appare influenzato dal fratello Ambrogio Lorenzetti, dove il giottismo più fiorentino viene stemperato nelle ricerche naturalistiche e luministiche. Verso il 1340 dipinse la pala della beata Umiltà, per una chiesa fiorentina, mentre da Pistoiaproviene la Madonna in trono col Bambino tra otto angeli (1340).

Per esempio nel trittico del 1342 per il duomo di Siena, destinato a decorare l'altare di San Savino, rappresentò la Natività della Verginesu tre pannelli trattandoli come se si trattasse di uno solo, anzi trattando le demarcazioni come se fossero dei pilastri che separano la stanza in tre ambienti, due dei quali appartenenti alla stanza principale e uno, a sinistra, dove aspetta trepidante Gioacchino, il padre di Maria. Le volte dipinte sono illusionisticamente collocate sui "pilastri" della cornice e la loro prospettiva segue un preciso sistema di piani ortogonali anche in profondità (si veda per esempio lo sfondamento su un cortile porticato sulla sinistra), che presentano angolazioni vicinissime a quelle della vera prospettiva geometrica del punto di fuga unificato approntata solo da Brunelleschi all'inizio del XV secolo. L'interno domestico però non si riduce ad una fredda struttura architettonica, anzi le figure vi si muovono a proprio agio ed i dettagli di mobilio e suppellettili sono curatissimi, dalle mattonelle del pavimento alle stelline dipinte sulle volte a crociera.

Al 1342 risale uno dei rari documenti che citano l'artista, attestante l'acquisto di terreni a Bibbiano per gli orfani (Cola (Nicola) e Martino) dell'amico scultore Tino di Camaino, deceduto verso il 1337[2].

La Natività l'ultima opera documentata di Pietro Lorenzetti, del quale non si hanno più notizie dopo il 1347: è probabile che sia morto, come il fratello, durante la peste del 1348.

Biografia e vita di Lorenzetti Pietro ( Italia 1280-1348 )

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Il pittore del gotico italiano di scuola senese Pietro Lorenzetti, o Pietro Laurati, nasce a Siena intorno al 1280.

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Con il fratello Ambrogio è l'esponente principale dell' arte senese negli anni prima della peste nera e insieme hanno contribuito a introdurre il naturalismo nell' arte senese. Poco si sa della vita di Pietro Lorenzetti, spesso confusa proprio con quella del fratello Ambrogio. Il Ghiberti loda Ambrogio ed ignora Pietro, mentreVasari definisce Pietro "filosofo e letterato", oltre che "artista" tanto da dedicargli una delle sue "Vite", ignorando invece il fratello. Nei primi anni del 1300 Pietro è sicuramente ad Assisi. Dopo il 1315, si sposta verso Firenze dove dipinge un Polittico e alcune opere singole in luoghi sacri. Visita Cortona, forse solo per il tempo strettamente necessario a dipingere la Croce della chiesa di San Marco. E' probabilmente allievo di Duccio, la cui influenza si vede nella linearità graziosa e ricca di colore della pala d'altare del 1320 nella Pieve di Santa Maria ad Arezzo. Al centro dell'altare è rappresentata una

Madonna col

Bambino, le

caratteristi

che della composizione, insieme ad una ricchezza del dettaglio nella decorazione, che ricorda lo stile di Simone Martini e alla plasticità delle figure (che deriva Giovanni Pisano), conferiscono al dipinto una vivacità rara per l' arte contemporanea senese.

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Tra il 1326 e il 1329 Pietro torna ad Assisi per affrescare il braccio sinistro della Basilica Inferiore di San Francesco con numerose scene, tra le quali "Discesa al Limbo", la "Risurrezione" e "Deposizione". Le figure del Lorenzetti raggiungono corporeità grazie ad una forte miscelazione del colore. Dopo il 1329 Pietro torna a Siena dove dipinge una famosa "Natività".

Insieme al

fratello Ambrogio

dipinge un affresco

sulla facciata

dell'ospedale di Siena nel 1335 (oggi perduto). I fratelli Lorenzetti condivido

no una certa

affinità di stile,

tuttavia, la pesantezza delle loro

figure mostra

l'influenza diGiotto e dei loro più grandi contemporanei senesi, trai quali Simone Martini. Lo stile maturo di Lorenzetti si esprime nel trittico "Nascita della Vergine" del 1342, il suo ultimo lavoro importante. In questa opera è caratteristico l'uso sofisticato della prospettiva grazie ad una collocazione logica delle figure nello spazio.

La Pala della beata Umiltà è un polittico a tempera e oro su tavola(128x57 cm la tavola centrale, 45x32 le formelle laterali, 51x21 ogni cuspide e 18 cm di diametro i tondi della predella) di Pietro Lorenzetti, databile al 1341 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.

Il polittico mostra la Beata Umiltà con una monaca inginocchiata al centro della pala, circondata da storie della vita della beata, con pinnacoli di Evangelisti e

una predella con tondi di Santi e un Cristo in pietà al centro.

Le Storie, dalla vivace vena narrativa e descrittiva della vita monastica dell'epoca, vanno lette per file, da sinistra verso destra, dall'alto in basso. Esse sono:

Beata Umiltà decide di separarsi dal marito Ugolotto per vivere santamente

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Ugolotto prende la veste religiosa

Beata Umiltà riesce miracolosamente a leggere nel refettorio di Santa Perpetua (le monache stanno chiacchierando durante il pasto violando il voto

di silenzio, ma la beata appare ristabilendo l'ascolto delle Sacre Scritture)

Un monaco vallombrosano rifiuta di farsi amputare un piede malato

Beata Umiltà risana il piede del monaco vallombrosano

Beata Umiltà guada il fiume Lamone

Beata Umiltà giunge a Firenze

Beata Umiltà porta i mattoni raccolti per costruire il convento

Beata Umiltà resuscita un bambino

Beata Umiltà detta i suoi sermoni

Beata Umiltà resuscita una suora (Gemäldegalerie di Berlino)

Miracolo del ghiaccio (Gemäldegalerie di Berlino)

Funerali della beata Umiltà.

I quattro evangelisti sono rappresentati a mezza figura, affacciati su scranni retti dal loro animale simbolico. Da sinistra si riconoscono:

San Marco col leone

San Giovanni con l'aquila

San Matteo con l'angelo (perduto)

San Luca con il bue.

I tondi della predella rappresentano:

San Girolamo

San Paolo

Madonna

Cristo in pietà

San Giovanni Evangelista

San Pietro

San Giovanni Gualberto

Lo stile di Pietro in quest'opera appare influenzato da quello del fratello Ambrogio per quanto riguarda la riduzione del fondo oro in favore di una maggiore

importanza data agli sfondi architettonici, che spesso si adattano gradevolmente alla forma delle tavole. Alcune scene mostrano un tentativo di superare il

tradizionale sfondamento delle pareti degli edifici per mostrare scene ambientate all'interno con la presenza di archi e loggiati, mentre altre devono ricorrere

a tale espediente. In generale è evidente anche l'influsso della scuola giottesca, con personaggi solidi e ben collocati nello spazio, che poco hanno a che

fare con le esili figure allungate della scuola più marcatamente gotico-senese. Importante documento sono le numerosissime notazioni di costume e di vita

quotidiana.

Ambrogio Lorenzetti (Siena, 1290 circa – Siena, 1348) è stato un pittore italiano. Fu uno dei maestri della scuola senese del Trecento. Fratello minore di Pietro Lorenzetti, fu attivo dal 1319 al 1348 e si distinse soprattutto per la forte componente allegorica e complessa simbologia delle sue opere mature e per la profonda umanità dei soggetti rappresentati e dei loro rapporti.

La Madonna col Bambino proveniente dalla chiesa di Sant'Angelo di Vico l'Abate presso San Casciano Val di Pesa ed esposto oggi nel Museo di San

Casciano, è considerata la prima opera tra quelle attribuibili ad Ambrogio Lorenzetti. È firmata e datata dall'autore al 1319. La tavola è totalmente diversa

dalle precedenti Maestà o Madonne col Bambino di Duccio di Buoninsegna, a tal punto da far pensare che a differenza del fratello Pietro Lorenzetti e

di Simone Martini, Ambrogio non si sia formato nella bottega di Duccio. La presenza di quest'opera in un paese vicino Firenze, e le successive

testimonianze che vedrebbero Ambrogio a Firenze e dintorni almeno fino al 1332, fanno altresì ritenere che Ambrogio Lorenzetti, seppure senese, ebbe una

formazione più vicina a quella fiorentina di Giotto e dello scultore Arnolfo di Cambio, come è evidente nella solidità delle figure. La distanza da Giotto e dai

suoi seguaci rimane comunque notevole, ponendo l'autore distante anche dalla scuola pittorica fiorentina e contribuendo far emergere nell'arte di Ambrogio

Lorenzetti tratti davvero originali sin dagli esordi.

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In questa tavola le fisionomie di Maria e del Bambino sono poco dolci. Le figure sono di una presenza statuaria e possente, che echeggia anche le statue

di Arnolfo di Cambio. La rappresentazione dellaMadonna è frontale, alla maniera bizantina e ricorda le opere della seconda metà del Duecento (qualche

esperto ha addirittura avanzato l'ipotesi che il committente abbia chiesto esplicitamente all'autore di richiamarsi allo stile di quel tempo). Il manto

della Madonna è reso con un colore compatto e con scarsa caratterizzazione a pieghe del panneggio. I volti hanno una caratterizzazione chiaroscurale non

eccelsa e il trono è un semplice seggio di legno spigoloso che riporta decorazioni geometriche, ma un'architettura ridotta ai minimi termini. Questi erano

probabilmente i limiti di un pittore giovane che tuttavia conoscerà successivamente un'evoluzione vertiginosa.

Piuttosto una cosa è straordinaria già in questa tavola giovanile e anticipa quello che sarà uno dei maggiori contributi di Ambrogio nella storia dell'arte, cioè

il suo vivo naturalismo nella resa dei personaggi. Le mani di Maria reggono il bambino piuttosto che attorniarlo. La mano destra è inclinata rispetto

all'avambraccio a reggere la gamba destra di Gesù. Le dita di entrambe le mani non sono parallele, ma sono disposte in modo da reggere meglio l'infante.

Soprattutto spicca l'indice della mano destra che ha un naturalismo funzionale al gesto mai visto prima. Il Bambino guarda la madre. I suoi polsi e lo scorcio

del suo piede sinistro mostrano un bambino che si agita e scalcia come un vero infante.

A Firenze[modifica | modifica wikitesto]

Trittico dalla chiesa di san Procolo a Firenze (1332), Galleria degli Uffizi, Firenze

Gli anni successivi alla realizzazione della Madonna di Vico l'Abate (1319), fino almeno al1332 rappresentano gli anni più nebulosi della vita artistica del

pittore. Non esistono opere datate o documentate in quest'arco di tempo. Alcuni studiosi attribuiscono a questi anni laMadonna della Pinacoteca di Brera,

la Madonna Blumenthal del Metropolitan Museum di New York e il Crocifisso proveniente dalla chiesa del Carmine di Siena ed esposto oggi nellaPinacoteca

Nazionale della stessa città. Tuttavia il consenso sulla datazione è tutt'altro che unanime presso gli studiosi, lasciando profonde incertezze.

Quel che è certo è che Ambrogio Lorenzetti operò in questi anni prevalentemente a Firenze. Un documento dell'Archivio di Stato di Firenze, che si riferisce

a un debito contratto dall'artista nei confronti di un certo Nudo di Vermiglio, è datato 1321. Nel 1327 l'artista risulta iscritto all'Arte Maggiore fiorentina dei

Medici e degli Speziali (che a quel tempo comprendeva anche i pittori) e Lorenzo Ghiberti cita alcuni suoi affreschi di un convento agostiniano fiorentino,

dipinti probabilmente tra il 1327 e il 1332.

La testimonianza più diretta sulla residenza fiorentina del pittore in questi anni è fornita daltrittico proveniente dalla chiesa di San Procolo a Firenze, avendo

molti testimoni letto, nel corso dei secoli, la firma dell'artista e la data da lui apposta (1332) che oggi sono andate perdute. Il trittico, recentemente

ricomposto allaGalleria degli Uffizi di Firenze, riporta la Madonna col Bambino tra i santi Nicola (a sinistra) e Procolo (a destra). Sopra i tre panelli le cuspidi

riportano il Cristo Redentore (al centro) e i santi Giovanni Evangelista (a sinistra) e Giovanni Battista (a destra). Rispetto allaMadonna di Vico

l'Abate del 1319 Ambrogio Lorenzetti aveva compiuto passi da gigante nella resa volumetrica dei personaggi, nell'ingentilimento delle figure, nell'uso delle

modulazioni chiaroscurali, nella spiccata profilatura dei personaggi, nella ricca decorazione, adesso decisamente più vicini a quelli della scuola di Giotto. Le

posture dei personaggi sono ancora rigide e questi sembrano come ingessati, contraddistinguendosi dalle figure di Giotto dei primi anni trenta (per esempio

del contemporaneo Polittico di Bologna) o anche da quelle di Simone Martini o Lippo Memmi (per esempio della coeva tavola di Kansas City di Lippo

Memmi).

Tuttavia è ancora l'umanità del rapporto tra Maria e il Bambino che contraddistingue l'opera. In questo dipinto Gesù Bambino guarda sua madre con gli

occhi sgranati e la bocca semiaperta generando un'espressione tipica di un neonato. Maria ricambia lo sguardo ed offre al bambino un'espressione serena

e rassicurante e le dita della mano destra per giocare. La mano sinistra di Maria ha invece la tipica disposizione “lorenzettiana” a dita divaricate,

sottolineando l'energia della sua presa.

Sempre dalla chiesa di San Procolo di Firenze, e per questo datati intorno al 1332, provengono quattro tavolette raffiguranti Episodi della vita di San Nicola,

oggi esposte agli Uffizi. Le tavolette mettono in luce una notevole vena narrativa dell'artista ed una sua abilità nella realizzazione di complesse architetture,

evitando anche l'innaturale convenzione di sfondare le pareti per mostrare ciò che avviene nelle stanze. Per esempio, nella scena di San Nicola che

resuscita il bambino strozzato dal demonio, il bambino protagonista è raffigurato quattro volte in altrettanti momenti successivi, che si svolgono nei due piani

di un edificio: il pian terreno è aperto da un arcone, mentre il piano superiore è visibile tramite una loggia. In queste scene inoltre il fondo oro è ormai quasi

abolito, con l'architettura che occupa quasi tutto lo sfondo.

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Opere di san Nicola(Dono alle tre prostitute), dalla chiesa di San Procolo di Firenze (circa 1332), Galleria degli Uffizi, Firenze

Opere di san Nicola(Elezione a vescovo), dalla chiesa di San Procolo di Firenze (circa 1332), Galleria degli Uffizi, Firenze

Opere di san Nicola(Miracolo del bambino risuscitato), dalla chiesa di San Procolo di Firenze (circa 1332), Galleria degli Uffizi, Firenze

Opere di san Nicola(Miracolo della moltiplicazione del grano), dalla chiesa di San Procolo di Firenze (circa 1332), Galleria degli Uffizi, Firenze

Rientro nel contado di Siena[modifica | modifica wikitesto]

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Maestà dalla chiesa di San Pietro all'Orto di Massa Marittima (1335 circa), Museo di arte sacra, Massa Marittima

Intorno al 1335 Ambrogio Lorenzetti rientra nel contado di Siena. L'Ugurgeri Azzolini narra nel 1649 di aver visto le firme di Ambrogio Lorenzetti e di suo

fratello Pietro sugli affreschiallora deperiti dello Spedale di Santa Maria della Scala con tanto di data (1335). Tali affreschi oggi sono perduti. Anche Lorenzo

Ghiberti parla di affreschi di Pietro e Ambrogio Lorenzetti nel chiostro e nella sala capitolare della chiesa di San Francesco a Siena, affreschi di cui oggi

rimangono solo poche scene e che sono datati intorno al 1336. La co-presenza del fratello Pietro in questi cicli di affreschi senesi fanno pensare che

Ambrogio Lorenzetti riuscì a ricevere commissioni nella sua città natale per intercessione del fratello, che sicuramente era più accreditato di lui in questi

anni.

Ambrogio risulta negli stessi anni attivo come artista autonomo e indipendente soprattutto nel contado di Siena: dalla Badia dei Santi Giacomo e Cristoforo a

Rofeno proviene unaPala con la Vergine e il Bambino, San Michele Arcangelo e santi che è oggi conservata presso il Museo di arte sacra di Asciano, opera

datata al 1330-1335, probabilmente dopo il Trittico di San Procolo. Al 1335 circa viene datato anche il Crocifisso, della chiesa di santa Lucia a Montenero

d'Orcia presso Castel del Piano. Sempre intorno al 1335 è datata una splendida Maestà proveniente dalla chiesa agostiniana di San Pietro all'Orto di Massa

Marittima (dominio senese al tempo) ed oggi esposto nel Museo di arte sacra della stessa città. Ambrogio ha lasciato anche una Maestà ed altri affreschi

nella cappella dell'Eremo di Montesiepi, presso l'Abbazia di San Galgano, affreschi che sono databili al 1336 come risulta da un'iscrizione oggi perduta ma

letta nel1645.

In queste opere si nota come le figure acquisiscono quella postura più sciolta ed equilibrata che caratterizzava in questi anni lo stile diGiotto e del suo

allievo Taddeo Gaddi, nonché di Simone Martini e del cognato Lippo Memmi. Ma c'è di più. Le opere appaiono più articolate e sono caricate sovente di

complesse allegorie. La splendida Maestà di Massa Marittima, ad esempio, è dominata da una moltitudine di figure. Ai lati dei gradini del trono sono presenti

sei angeli (tre per parte) con strumenti musicali ed incensieri. Ai lati del trono stesso ci sono altri quattro angeli, due che reggono i cuscini del trono e altri

due che lanciano fiori. Tutti gli altri personaggi in piedi sono uno stuolo di Profeti, Santi e Patriarchi. Tale sovraffollamento carica l'evento della nascita

di Gesù Cristo di una portata epocale essendo tale evento assistito e testimoniato da tutti coloro che hanno fatto la storia della Chiesa. Ai piedi del trono

sono presenti le personificazioni delle tre Virtù Teologali. Queste sono, dal gradino più basso a quello più alto, la Fede, la Speranza e la Carità, come

indicato dalle iscrizioni sui gradini. La loro disposizione non è casuale. Secondo la definizione di Pietro Cantore la Fede costruisce le fondamenta

dell'edificio ecclesiale, e infatti siede sul gradino che forma la base del trono. La Speranza eleva la Chiesa fino al Cielo, simboleggiata dalla pesante torre

che regge, mentre la Carità concretizza l'atto della Chiesa e attraverso l'amore per Dio Padre dà amore anche al prossimo.

Ma anche in questo dipinto allegorico dal significato teologico così complesso Ambrogio Lorenzetti non rinuncia al rapporto umano e naturalistico

tra Madre e Figlio con la consueta presa energica del figlio da parte di Maria, con un contatto guancia a guancia e uno scambio di sguardi ravvicinato tra le

due figure.

Rientro definitivo a Siena: Le Allegorie del Buono e Cattivo Governo e dei loro Effetti[modifica | modifica wikitesto]

Allegoria del Buon Governo (1338-1339), Parete di fondo della Sala dei Nove, Palazzo Pubblico, Siena

Nel 1337 l'artista risulta già in pianta stabile a Siena a dipingere in maniera autonoma dal fratello Pietro Lorenzetti, complice anche la partenza

per Avignone, avvenuta nel1335-1336, dell'artista di riferimento della città fino ad allora, ovvero Simone Martini.

Al 1337-1338 risale la Maestà della Cappella Piccolomini del Convento di Sant'Agostinodi Siena, anch'essa caratterizzata da un profondo significato

allegorico. Nel 1338-1339Ambrogio dipinse quello che ancora oggi è considerato il suo capolavoro tra le opere a noi pervenute: le Allegorie del Buono e

Cattivo Governo e dei loro Effetti in Città e in Campagna, dispiegate su tre pareti per una lunghezza complessiva di circa 35 metri nella Sala dei Nove

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del Palazzo Pubblico di Siena. Sulla parete di fondo della sala si trova l'Allegoria del Buon Governo dove ogni aspetto del governo (quale la Giustizia,

il Comune di Siena, i cittadini, le forze dell'ordine, etc.) e le virtù loro ispiratrici (sapienza divina, generosità, pace, virtù cardinali e virtù teologali, etc.) sono

rappresentati da figure umane. Tutte queste figure interagiscono secondo un preciso ordine a rappresentare una scena assai complessa. Sulla parete di

destra è presente l'Allegoria degli Effetti del Buon Governo in Città e Campagna, con una rappresentazione allegorica del lavoro produttivo entro la città di

Siena e nella sua campagna. Infine, sulla parete sinistra è presente l'Allegoria del Cattivo Governo, con personificazioni degli aspetti del malgoverno e

dei vizi e dei suoi effetti in città e campagna. Il ciclo di affreschi è da sempre studiato da critici ed appassionati non solo di storia dell'arte, ma anche di storia

e del pensiero politico, di urbanistica e del costume. Di fatto fu uno dei primi messaggi di propaganda politica in un'opera medievale. Dal punto di vista

dottrinale vi è un chiaro riferimento al pensiero di San Tommaso D'Aquino. "L'assunto dottrinale è chiaramente tomistico: non solo perché riflette la

gerarchia dei princìpi e dei fatti, delle cause e degli effetti, ma perché pone come motivi fondamentali dell'ordine politico l'"autorità" (nelle allegorie) e la

"socialità" (negli effetti), specialmente insistendo sul concetto aristotelico (di Aristotele) della "naturalità" della socievolezza umana[1]

.

La Madonna di Vico l'Abate è un dipinto a tempera e oro su tavola (150x78 cm) di Ambrogio Lorenzetti, datato al 1319 e conservato nel Museo di San Casciano a San Casciano in Val di Pesa(FI).

Descrizione e stile[modifica | modifica wikitesto]

Al centro del dipinto si trova la Vergine seduta su un trono ligneo riccamente intarsiato. La figura è rigidamente frontale e fissa, di grande monumentalità,

con una presenza statuaria e possente, che echeggia anche le statue di Arnolfo di Cambio (Madonna col Bambino già sulla facciata del Duomo, oggi

nel Museo dell'Opera del Duomo) e di Nicola Pisano (il Bambino simile a quello dellaPresentazione al Tempio nel pulpito del Duomo di Siena). Il manto della

Madonna è reso con un colore compatto e con scarsa caratterizzazione a pieghe del panneggio. Il solido e spigoloso trono ligneo, riccamente intarsiato,

irrigidisce ancora maggiormente la ferma presa di Maria sul figlio, e l'unica concessione fuori schema è il vivace bambino, dalla figura quasi erculea coi

capelli ricciuti, che si agita e scalcia come un vero infante. La sua espressione conferisce un elemento dinamico in un dipinto dominato dalla figura ieratica

della Vergine.

Tali caratteristiche, così "giottesche", derivano sicuramente da un profondo contatto con l'arte fiorentina, tanto da risultare estranee nella rarefatta scena

artistica senese, dominata allora dai modi di Simone Martini. Non a caso l'artista visse a lungo nella sua fase giovanile a Firenze, dove lasciò alcune opere

via via più dolci, abbandonando la rigidità scultorea di questa prima prova.

La Madonna dagli occhi di vetro è un gruppo scultoreo in marmo (173x72 cm) di Arnolfo di Cambio e aiuti, databile all'inizio del XIV secolo, proveniente

dall'antica facciata di Santa Maria del Fiore e oggi conservato nel Museo dell'Opera del Duomo a Firenze.

Indice

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1 Storia e descrizione

2 Bibliografia

3 Voci correlate

4 Altri progetti

5 Collegamenti esterni

Storia e descrizione[modifica | modifica wikitesto] La lunetta del portale centrale di Santa Maria del Fiore ospitava la rappresentazione della Vergine in trono col Bambino benedicente, affiancata dai due santi

protettori della diocesi di Firenze: la vergine santa Reparata (142,5x47 cm) a sinistra, protettrice del giorno in cui fu vintoTotila che minacciava la città, e san

Zanobi (156x54 cm), vescovo miracoloso e riformatore del clero fiorentino. La lunetta si trovava sotto un protiro, come testimonia il disegno dell'antica

facciata di Bernardino Poccetti e lungo la cortina era simulato un drappeggio scostato da quattro angioletti in volo ad altorilievo, dei quali se ne conoscono

oggi solo tre, sempre nel museo dell'Opera; essi sono riferiti alla bottega di Arnolfo e sono alti circa 53 cm ciascuno.

La Vergine ha una posa ieratica, riferibile alla tradizione bizantina, aggiornata però da uno spiccato senso del volume, che le conferisce una presenza

corporea realistica, del tutto analoga a quella delle Madonne di Giotto. All'insegna del più spiccato realismo negli occhi di Maria vennero inserite delle paste

vitree (da cui il nome), che scintillavano verso i fedeli.

Con la demolizione della facciata (1587-1588), la statua venne trasferita dentro la cattedrale, dove accese la devozione popolare, facendo parlare di

miracoli. La diffidenza della Chiesa nel periodo dellaControriforma fece decidere che, per evitare l'alimentarsi di possibili superstizioni, la Madonna fosse

ricoverata in un deposito, dopo che si scartò l'ipotesi di collocarla in un tabernacolo in piazza del Grano.

A sinistra si trova la Santa Reparata, riconoscibile per la lampada ad olio con la fiammella, simbolo diverginità legato alla parabola delle dieci vergini, che

per vie ignote fu ritrovata in una nicchia dell'anfiteatro di Boboli (1917, da Toesca) dove era stata scambiata per opera romana: evidenti sono infatti gli

influssi classici nel ricco piegarsi incresparsi del panneggio; la testa è stata rilavorata tra Cinque e Seicento. Più modesta è la fattura del San Zanobi,

col pastorale, la mitria e l'abito vescovile, riferibile alla bottega di Arnolfo.

Il Trittico di San Procolo è un dipinto a tempera e oro su tavola (171x57 cm il pannello centrale, 141x43 quelli laterali) di Ambrogio Lorenzetti, databile al 1332 e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.

Il dipinto mostra al centro la Madonna col Bambino a mezza figura e ai lati i santi Nicola e Procolo (a sinistra e a destra rispettivamente). In alto, nelle

cuspidi, si trovano, da sinistra, San Giovanni evangelista, Cristo Redentore e San Giovanni Battista.

Stile[modifica | modifica wikitesto] Rispetto alla precedente Madonna di Vico l'Abate del 1319 Ambrogio Lorenzetti aveva compiuto passi da gigante nella resa volumetrica dei personaggi,

nell'ingentilimento delle figure, nell’uso delle modulazioni chiaroscurali, nella spiccata profilatura dei personaggi, nella ricca decorazione; stilemi adesso

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decisamente più vicini a quelli della scuola di Giotto. Notevole è anche l'attenzione ai dettagli, soprattutto nelle ricchissime vesti dei due vescovi. Le posture

dei personaggi sono ancora rigide e questi sembrano come ingessati, contraddistinguendosi dalle figure di Giotto dei primi anni trenta (per esempio del

contemporaneo Polittico di Bologna) o anche da quelle di Simone Martini o Lippo Memmi (per esempio della coeva tavola di Kansas City di Lippo Memmi).

Tuttavia, al pari di altre tavole e affreschi di quest'artista, è l'umanità del rapporto tra Maria e il Bambino che contraddistingue l'opera. In questo dipinto Gesù

guarda infatti la madre con gli occhi sgranati e la bocca semiaperta generando un'espressione tipica di un neonato. Maria, che appare elegante come una

nobildonna dell'epoca, ricambia lo sguardo ed offre al figlio un'espressione serena e rassicurante e le dita della mano destra per giocare. La mano sinistra di

Maria ha invece la tipica disposizione “lorenzettiana” a dita divaricate, sottolineando l'energia della sua presa.

Da notare anche la singolare presenza del corallo rosso al collo del Bambino: si tratta di un antichissimo talismano apotropaico per i neonati, che nel caso

dell'iconografia di Gesù aveva anche un significato legato alla prefigurazione del sangue della Passione per via del colore. Come si evince infatti dalle

parole del predicatore domenicano Giordano da Pisa, ai primi del Trecento il corallo veniva ancora appeso spesso al collo dei fanciulli per difenderli dalle

insidie, prime fra le quali le malattie.

Le Storie di san Nicola sono un gruppo di quattro pannelli raggruppati in due tavole (96x52,5 cm la prima e 92x49 cm la seconda) di Ambrogio Lorenzetti, databili al 1332circa e conservate nella Galleria degli Uffizi a Firenze.

Le quattro storie rappresentano la Resurrezione di un bambino, il Salvataggio di Mira dalla carestia con l'essiccazione e la moltiplicazione di sacchi di farina

caduti in mare, il Regalo della dote a tre vergini e la Consacrazione di san Nicola come vescovo.

Le scene sono caratterizzate da una straordinaria scioltezza narrativa, con numerosi espedienti inediti e con una graduale riduzione del fondo oro, confinato

a spazi sempre più piccoli e marginali con l'architettura che occupa quasi tutto lo sfondo. La minuzia dei dattegli dovette avere un effetto sorprendente sui

fiorentini, abituati all'essenzialità dei giotteschi.

Consacrazione di san Nicola come vescovo

Nella scena di San Nicola che resuscita il bambino strozzato dal demonio, il bambino protagonista è raffigurato quattro volte in altrettanti momenti

successivi, che si svolgono nei due piani di un edificio: il pian terreno è aperto da un arcone, mentre il piano superiore è visibile tramite una loggia. Il diavolo

si presenta in un'abitazione chiedendo come un pellegrino e un bambino gli va incontro; successivamente (a sinistra) lo strangola dietro le scale; il bambino

sta poi morto sul suo letto, ma san Nicola, apparso in un nimbo in alto a sinistra, lo resuscita facendolo rialzare.

La scena del Salvataggio di Mira dalla carestia con l'essiccazione e la moltiplicazione di sacchi di farina caduti in mare mostra la veduta del porto di una città

dove su una nave due angeli stanno rovesciando la pioggia, mentre il vescovo si trova sulla riva risolvendo la situazione. Sorprendente è l'uso di una

prospettiva "a spina di pesce" nella composizione, con l'occhio dello spettatore che viene trascinato in alto dalla linea della costa, per poi ridiscendere con le

linee delle vele delle navi.

Nel Regalo della dote a tre vergini si vede l'interno di una casa tramite un loggiato in cui stanno tre donne con l'anziano padre; per la povertà egli aveva

manifestato il proposito di avviarle alla prostituzione, ma il santo, affacciato dalla finestrella sulla sinistra, salva tirando loro tre astucci dorati.

La Consacrazione di san Nicola come vescovo infine mostra un fedele interno di chiesa, organizzato come quello della Presentazione al Tempio nella

stessa sala degli Uffizi; digrande complessità nell'orchestrazione, mostra il presbiterio rialzato della chiesa, affollato di numerosi personaggi, una pala gotica

sull'altare e un affresco con angeli che reggono un tondo del Salvatore benedicente sull'arcone.

La Maestà di Massa Marittima è un dipinto a tempera e oro su tavola (161X209 cm) diAmbrogio Lorenzetti, datato al 1335 circa e conservato nel Museo di

arte sacra di Massa Marittima. Si tratta di una delle sue prime grandi opere allegoriche.

È una delle tre grandi Maestà di quest'artista: le altre due sono dipinte a fresco nellacappella di San Galgano a Montesiepi (Chiusdino, in provincia di Siena)

e nella chiesa di Sant'Agostino di Siena.

Un'altra Maestà di Massa Marittima, anche'essa di scuola senese del Trecento, dipinta da Duccio di Buoninsegna, si trova invece nel Duomo della città.

Indice

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1 Storia

2 Descrizione

o 2.1 Le Virtù

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3 Stile

4 Note

5 Bibliografia

6 Collegamenti esterni

Storia[modifica | modifica wikitesto] La Maestà fu dipinta per la chiesa agostiniana di San Pietro all'Orto di Massa Marittima. Lo fanno pensare soprattutto la presenza nell'opera

di sant'Agostino (in piedi alla sinistra della Madonna), nonché dei tre santi Giovanni Evangelista, Pietro e Paolo, che siedono in posizione di onore alla

destra della Madonna e ai quali la chiesa era intitolata.

La Maestà potrebbe essere stata dipinta anche per la vicina e più grande chiesa di Sant'Agostino, ma quest'ultima era ancora in costruzione ai tempi della

realizzazione del dipinto ed è soprattutto il collocamento della figura di sant'Agostino in posizione non preminente che fa escludere questa ipotesi. Non si

può tuttavia escludere che l'opera abbia stazionato nell'edificio.

Della tavola, a partire dal XVII secolo, si persero le tracce e solo nel 1867 fu ritrovata divisa in cinque pezzi nella soffitta della chiesa di Sant'Agostino,

senza predella, cuspidi e cornice. Dopo il restauro fu collocata nella sede del Palazzo del Comune, quindi esposta nella pinacoteca del Palazzo del

Podestà fino ad approdare al nuovo Museo di arte sacra dove si trova ancora oggi.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto] Al centro siede la Madonna in trono col Bambino in braccio. Ai lati dei gradini del trono sono presenti sei angeli (tre per parte) con strumenti musicali

e incensieri. Ai lati del trono stesso ci sono altri quattro angeli, due che reggono i cuscini del trono e altri due che lanciano fiori. Come in altri dipinti di

Ambrogio Lorenzetti, nella Madonna con il Bambino è sottolineato il rapporto umano tra madre e figlio, con la consueta presa energica del figlio da parte di

Maria, con un contatto guancia a guancia e uno scambio di sguardi ravvicinato tra le due figure. Del trono si vedono solo i gradini, mentre è apparentemente

assente il seggio e lo schienale: il trono diventa quindi costituito dai soli cuscini sorretti dagli angeli. In primo piano infine si trovano le personificazioni

delle Virtù teologali.

Tutti gli altri personaggi in piedi sono uno stuolo di profeti, santi e patriarchi. A sinistra, dietro i tre angeli inginocchiati, troviamo una fila di quattro santi

riconoscibili come san Basilio, san Nicola di Bari, san Francesco d'Assisi e santa Caterina d'Alessandria. Ancora più dietro, troviamo san Giovanni

evangelista, san Pietro, san Paolo e due sante non identificate. In piedi, dietro agli angeli musicanti, sono presentisan Benedetto, sant'Antonio abate,

sant'Agostino e san Cerbone (santo patrono di Massa Marittima, al quale è dedicato il Duomo), riconoscibile per le oche ai suoi piedi. Dietro troviamo

gli evangelisti Matteo, Marco e Luca, con due sante non identificate. Dietro ai santi dai volti visibili si intravedono le aureole di altre figure e sotto gli archi a

sesto acuto molte altre figure, riconducibili ad apostoli, profeti e patriarchi.

Tale sovraffollamento di personaggi fa sì che tutti coloro che hanno fatto la storia della Chiesa siano presenti all'evento della nascita di Gesù Cristo.

Le Virtù[modifica | modifica wikitesto]

Ai piedi del trono sono inoltre presenti le personificazioni delle tre virtù teologali, dal gradino più basso a quello più alto, la Fede, laSperanza e la Carità,

come indicato dalle iscrizioni sui gradini.

La Fede è vestita di bianco e tiene in mano un dipinto con una rappresentazione della Trinità (la colomba dello Spirito Santo non è oggi più visibile); la

Speranza ha una veste verde e guarda in alto, verso Dio, secondo il suo gesto più tipico, reggendo in mano un alto modellino di torre che simboleggia la

Chiesa; la Carità infine si trova al centro ed è tipicamente vestita di rosso (in realtà un idilliaco rosa tenue), con in mano il fuoco dell'amore divino e una

freccia con cui sembra anche dirigere il concerto angelico.

La loro disposizione segue un preciso significato allegorico: secondo la definizione di Pietro Cantore[1]

la Fede costruisce le fondamenta dell'edificio

ecclesiale, e infatti siede sul gradino che forma la base del trono, la Speranza eleva la Chiesa fino al cielo, simboleggiata dalla pesante torre che regge,

mentre la Carità concretizza l'atto della Chiesa e attraverso l’amore per Dio Padre dà amore anche al prossimo. La veste trasparente e la bellezza con cui è

raffigurata, il cuore che regge con la mano sinistra e la freccia che regge con la mano destra sono attributi ereditati dall’arte classica, propri delle

raffigurazioni di Venere: lo stesso sant’Agostino impiega proprio l'immagine della freccia e di un cuore fiammeggiante per indicare la Carità divina, la quale,

secondo Gilberto di Hoyland, “arriva fino all’amore di Dio, lo penetra come una saetta, trafigge il suo cuore”.

Stile[modifica | modifica wikitesto] L'opera è tutt'altro che una Maestà tradizionale. Il sovraffollamento dei personaggi intorno al trono carica l'evento della nascita di Gesù Cristo di una portata

epocale, essendo tale evento assistito da tutti coloro che hanno fatto la storia della Chiesa. Inoltre la presenza, iconografia e collocamento delle tre virtù

teologali accrescono il valore allegorico dell'opera.

Proprio intorno al 1335 si registra una transizione dello stile di Ambrogio Lorenzetti. Alle figure già volumetriche ben collocate nello spazio e rese già con un

ottimo uso dei chiaroscuri, ma ancora forse un po' troppo statiche ed ingessate dei primi anni trenta del secolo (come si riscontra nel trittico di San

Procolo del 1332 che si trova alla Galleria degli Uffizi di Firenze), si passa a figure con una postura più sciolta e naturale, anche laddove le figure non sono

in movimento. Questo si riscontra per le tre virtù teologali sedute sui gradini del trono, per quelle degli angeli e per quella di san Francesco, mentre altre

figure rimangono ancora statiche e irrigidite nella loro posizione. La coesistenza di queste due caratteristiche stilistiche nell'opera, che sarà persa

definitivamente nelle opere senesi della seconda metà degli anni trenta e degli anni quaranta del secolo, indica la transizione in atto nello stile dell'artista in

questi anni.

I volti delle figure rivelano le fisionomie tipiche di Lorenzetti, contribuendo quindi, insieme al carico allegorico del dipinto, a non suscitare dubbi sulla

paternità dell'opera. Delicatissimi sono poi gli accordi cromatici, intonati a toni pastello perfettamente armonizzati nel preponderante oro dello sfondo e delle

numerose aureole.

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L'Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo è un ciclo di affreschi di Ambrogio Lorenzetti, conservato nel Palazzo Pubblico di Siena e databile al 1338-1339. Gli affreschi, che dovevano ispirare l'operato dei governatori cittadini che si riunivano in queste sale, sono composti da quattro scene disposte lungo tutto il registro superiore di tre pareti di una stanza rettangolare, detta Sala del Consiglio dei Nove, o della Pace.

Gli affreschi hanno un chiaro effetto didascalico, confrontando l'allegoria del Buon Governo (sulla parete di fondo) con quella del Cattivo Governo (sulla

parete laterale sinistra), entrambe popolate da personaggi allegorici facilmente identificabili grazie alle didascalie. A queste seguono due paesaggi di una

medesima città (Siena), con gli effetti del Buon Governo dove i cittadini vivono nell'ordine e nell'armonia (sulla parete laterale destra), e gli effetti del Cattivo

Governo dove si vede una città in rovina (sulla parete laterale sinistra). Il ciclo è una delle prime opere di carattere totalmente laico nella storia dell'arte. Gli

affreschi dovevano ispirare l'operato dei governatori cittadini, che si riunivano in queste sale.[2]

Il risultato appare infatti denso di riferimenti storici artistici e

letterari e nasce da un progetto molto ambizioso con toni polemici e perentori nei contenuti, che intende coinvolgere il pubblico in riflessioni che investono

direttamente il coevo contesto socio-politico.[3]

Allegoria del Buon Governo[modifica | modifica wikitesto]

Allegoria del Buon Governo, 1338-1339, Sala della Pace, Palazzo Pubblico, Siena

Si trova sulla parete di fondo (quella opposta alla finestra). A sinistra, in posizione elevata, si trova la Sapienza Divina, incoronata, alata e con un libro in

mano. Con la mano destra tiene una bilancia, sui cui piatti due angeli amministrano i due rami della giustizia secondo la tradizione aristotelica: "distributiva"

(a sinistra) e "commutativa" (a destra). Il primo angelo decapita un uomo e ne incorona un altro. Il secondo angelo consegna a due mercanti gli strumenti di

misura nel commercio: lo staio per misurare il grano e il sale e due strumenti di misura lineare (a Siena si usavano la "canna" e il "passetto"). La bilancia è

amministrata dalla Giustizia in trono, virtù ed istituzione cittadina che però è solo amministratrice, essendo la Sapienza Divina, l'unica a reggere il peso della

bilancia e verso cui la Giustizia stessa volge lo sguardo. Dalle vite dei due angeli partono due corde che si riuniscono per mano della Concordia, diretta

conseguenza della Giustizia e assisa anch'essa su una sedia e con in grembo una pialla, simbolo di uguaglianza e "livellatrice" dei contrasti. La corda è

tenuta in pugno da ventiquattro cittadini allineati a fianco dellaConcordia e simboleggianti la comunità di Siena. Questi sono vestiti in maniera diversa e sono

quindi di varia estrazione sociale e di varia professione.

Al termine del corteo di cittadini troviamo il simbolo di Siena, la lupa con i due gemelli, sopra il quale emana il Comune di Siena, rappresentato da un

monarca in maestà identificato con la scritta C[ommune] S[senarum] C[ivitas] V[irginis]. Il Comune è vestito in bianco e nero, ed ha numerosi ornamenti

anch'essi in bianco e nero, chiaro richiamo alla balzana, simbolo di Siena. In mano tiene uno scettro ed uno scudo con l'immagine della Vergine col

Bambino, affiancati da due angeli ed in testa ha un copricapo di pelliccia di vaio, riferimento allo stato di giudice. Al suo polso destro è legata la corda della

giustizia consegnatagli dai cittadini stessi. Il Comune è protetto e ispirato dalle tre Virtù teologali, rappresentate alate in alto, ovvero la Fede, Speranza e

Carità. Ai suoi lati siedono invece, su un ampio seggio coperto da un pregiatissimo tessuto, le quattro Virtù Cardinali, la Giustizia, Temperanza, Prudenza e

Fortezza, con alcuni degli accessori tipici dell'iconografia medievale, che sono la spada, la corona e il capo mozzo per la Giustizia, la clessidra segno di

saggio impiego del tempo per la Temperanza, uno specchio per interpretare il passato, leggere bene il presente e prevedere il futuro per laPrudenza, la

mazza e lo scudo per la Fortezza. A loro si uniscono altre due Virtù non convenzionali, ovvero la Pace, mollemente semisdraiata in una posa sinuosa su un

cumulo di armi e con il ramo di ulivo in mano, e la Magnanimità, dispensatrice di corone e denari. Più in basso troviamo l'Esercito della città, composto

dalla cavalleria e dalla fanteria, che sottomette un gruppo di uomini di cui riconosciamo una serie di prigionieri legati da una corda, due uomini armati che

consegnano il loro castello e un altro uomo che consegna le chiavi della sua città.

Nella visione d'insieme, l'affresco si articola su tre registri: quello superiore con le componenti divine (Sapienza Divina e Virtù Teologali), quello intermedio

con le Istituzioni cittadine (la Giustizia, il Comune, le Virtù non teologali), quello più basso con i costruttori, nonché fruitori, di queste istituzioni

(esercito e cittadini). La corda simboleggia l'unione tra la Giustizia e il Comune, inscindibili e inutili senza l'altro e tenuti insieme dai cittadini in stato di

armonia. L'affresco esprime anche la percezione della giustizia nella Siena del tempo, una giustizia che non è solo giudizio di giusti e colpevoli, ma anche

regolatrice di rapporti commerciali. È inoltre una giustizia che, pur ispirata da Dio, non si perita a condannare a morte e soggiogare le popolazioni vicine.

Effetti del Buon Governo in città[modifica | modifica wikitesto]

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Effetti del Buon Governo in città, 1338-1339, Sala della Pace, Palazzo Pubblico, Siena

Si trova sulla parete laterale destra (guardando l'allegoria del Buon Governo ed avendo la finestra alle spalle) e forma, insieme agli Effetti del Buon Governo

in Campagna che si trovano sulla stessa parete vicino alla finestra, un unico affresco. È la diretta emanazione degli Effetti del Buon Governo appena

descritti e doveva rappresentare con un esempio eloquente gli obiettivi dei governanti della città. La città è dominata da una moltitudine di vie, piazze,

palazzi, botteghe. Sono molti gli ornamenti, come le bifore sulle finestre, i tetti merlati, le mensole sagomate sotto i tetti, gli archi, le travi in legno, le piante e

i fiori sulle terrazze, l'altana dipinta. Un lusso che solo il Buon Governo può assicurare. In alto a sinistra spuntano il campanile e la cupola del Duomo,

simboli della città del tempo.

La città è poi popolata da abitanti laboriosi, dediti all'artigianato, al commercio, all'attività edilizia. In primo piano vediamo una bottega di scarpe dove

l'artigiano vende ad un compratore accompagnato da un mulo. In alto si vedono alcuni muratori che impegnati nella costruzione di un edificio. Non manca

neppure un riferimento allo studio, come dimostra un signore ben vestito in cattedra che insegna di fronte ad un uditorio attento.

Ci sono anche attività non lavorative, come è logico aspettarsi in una città pacifica e florida. Una fanciulla a cavallo con la corona in testa si prepara al

matrimonio, osservata da due donne che si stringono l'una nell'altra e da un altro giovane di spalle, e seguita da due giovani a cavallo e, più indietro, da altri

due giovani a piedi. Molto bello è il gruppo di danzatrici che si tengono per mano e ballano al ritmo di suonatrice di cembalo, nonché cantante.

La città è delimitata e separata dalla campagna del contado dalle mura rappresentate di scorcio. E proprio in prossimità delle mura la piazza sembra

popolata da quelle attività lavorative cittadine che più hanno legami con la campagna: in basso a destra un pastore sta lasciando la città per dirigersi in

campagna insieme al suo gregge di pecore. Più in alto due muli sono carichi di balle di lana, altri recano fascine, mentre un signore ed una signora a piedi

portano, rispettivamente, un cesto di uova ed un'anatra. Tutta merce proveniente dalla campagna per essere venduta in città.

La città rappresenta l'unione armonica delle virtù civili: Sapienza, Coraggio, Giustizia e Temperanza. In primo piano il motivo della danza allude al tema

della Concordia, virtù indispensabile per la convivenza pacifica.[4]

. Gli edifici cittadini non seguono una geometria comune, tant'è che risultano più

opprimenti, imponenti e massicci che nella realtà. [1]

L'affresco ha subito un rifacimento trecentesco nel margine sinistro, approssimativamente fino all'altezza della prima trave del soffitto.

Effetti del Buon Governo in campagna[modifica | modifica wikitesto]

Effetti del Buon Governo in campagna, 1338-1339, Sala della Pace, Palazzo Pubblico, Siena

Si trova sulla stessa parete laterale destra in cui si trovano Gli Effetti del Buon Governo in Città appena descritti, formando con quest'ultimi un unico

affresco. In campagna si vedono cittadini e contadini che viaggiano sulle strade, giovani a caccia con la balestra tra vigne ed ulivi, contadini che seminano,

zappano ed arano la terra, tenute dominate da vigne ed uliveti. Sono riconoscibili anche case coloniche, ville, borghi fortificati. In aria vola la

personificazione della Sicurezza, che regge un delinquente impiccato, simbolo di una giustizia implacabile con chi trasgredisce le leggi, [1]

e un cartiglio:

« Senza paura ogn'uom franco camini / e lavorando semini ciascuno / mentre che tal comuno / manterrà questa donna in signoria / ch'el alevata arei ogni balia »

Da notare come questa figura sia nuda, una dei primi nudi con significato positivo del medioevo (la nudità era al tempo usata solo per rappresentare le

anime dei dannati). Nel cartiglio viene ricordato che, fintanto che regnerà la Sicurezza, ognuno potrà percorrere la città e la campagna in piena libertà.

L'ideale del Lorenzetti per un Comune forte e giusto è mostrato dal contrasto tra la sensualità della figura allegorica e la cruda allusione alla pena di morte:

proteggere coloro che agiscono bene e punire chi non rispetta le leggi. [1]

Le attività contadine che si svolgono in campagna riguardano periodi diversi dell'anno, come l'aratura, la semina, la raccolta, la miet itura, la battitura del

grano. Evidentemente il pittore era più intenzionato a mostrare la condizione di floridezza e di sicurezza della campagna in tutti i suoi aspetti piuttosto che ad

offrire una fotografia realistica di un preciso momento.

A partire dalla porta delle mura della città inizia una strada lastricata in discesa, che porta alla campagna del contado. Il pendio della strada vuole riprodurre

in maniera realistica l'altitudine della città di Siena, dove alcune porte si trovano davvero ad una certa altezza e sono raggiungibili solo tramite strade in

salita. Sulla strada vediamo dei cacciatori a cavallo che si stanno recando in campagna mentre incrociano due borghesi ben vestiti, anch'essi a cavallo, che

stanno rientrando in città. Uno dei Signori a cavallo, quello sulla destra, è forse identificabile con Orlando Bonsignori, noto banchiere senese. Un contadino

rientra in città a piedi instradando un maiale selvatico (un esemplare tipico di cinta senese), un altro conduce un mulo con un sacco ed una cesta, mentre

altri ancora più in basso recano sulle some dei loro muli sacchi di farina o granaglie, tutta merce da vendere in città. Ancora più in basso due contadini

camminano e conversano, portando in città delle uova. Sul ciglio della stessa strada, all'altezza dei cacciatori a cavallo, troviamo un mendicante seduto. In

questa stratificazione sociale si vede la politica del Governo dei Nove, fedelmente riportata su affresco dal pittore: Buon Governo non significava appianare

le disuguaglianze sociali, ma fare in modo che ciascun strato sociale potesse stare ed operare al proprio posto, in sicurezza. Nella raffigurazione della

campagna non sono tenute in considerazione le regole della prospettiva, infatti si nota che gli alberi e gli edifici all'orizzonte presentano le stesse dimensioni

di quelli vicini. [1]

L'affresco ha subito un rifacimento quattrocentesco nel margine destro, su una superficie triangolare delimitata approssimativamente dal lato che va dalla

penultima trave del soffitto al margine inferiore destro. È ancora visibile l'inizio della scritta "Talamone", scritta troncata nella parte terminale dal rifacimento.

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Ambrogio Lorenzetti aveva infatti disegnato la Campagna fino al mare, che nel contado di Siena voleva dire l'avamposto di Talamone. Nel quattrocento, al

tempo del rifacimento, la zona costiera era infestata dalla malaria e si preferiva raffigurare il contado fino ad un lago anonimo, piuttosto che al mare.

Allegoria del Cattivo Governo[modifica | modifica wikitesto]

Allegoria del Cattivo Governo, 1338-1339, Sala della Pace, Palazzo Pubblico, Siena

Si trova sulla parete laterale sinistra, più precisamente nella zona destra della parete. Dipinto in maniera speculare all'Allegoria del Buon Governo, doveva

permettere il diretto confronto didascalico con quell'affresco. Al centro siede in trono la personificazione della Tirannide (Tyrannide), una mostruosità con le

zanne, le corna, una capigliatura demoniaca, lo strabismo e i piedi artigliati, in decisa contrapposizione con il Comune nell'Allegoria del Buon Governo. La

tirannide non ha alcuna corda vincolante e ai suoi piedi è accasciata una capra nera demoniaca, antitesi della lupa allattatrice dei gemelli. Sopra di lei

volano trevizi alati, sostituitesi alle tre virtù teologali dell’altro affresco. Questi sono l'Avarizia (Avaritia), con un lungo uncino per arpionare avidamente le

ricchezze e due borse le cui aperture sono strette in una morsa, la Superbia (Superbia), con la spada e un giogo, e la Vanagloria (Vanagloria), con uno

specchio per ammirare la propria bellezza materiale e una fronda secca, segno di volubilità.

Accanto alla Tirannide siedono invece le personificazioni delle varie sfaccettature del Male, opposti alle virtù cardinali, alla Pace e

allaMagnanimità dell'Allegoria del Buon Governo. A partire da sinistra troviamo la Crudeltà (Crudelitas), intenta a mostrare un serpente ad un neonato;

il Tradimento (Proditio), con un agnellino tramutato in scorpione a livello della coda, simbolo di falsità; la Frode (Fraus), con le ali e i piedi artigliati;

il Furore (Furor), con la testa di cinghiale, il torso di uomo, il corpo di cavallo e la coda di cane, simbolo di ira bestiale; La Divisione (Divisio), con il vestito a

bande bianche e nere verticali (rovesciamento della balzana senese, che invece ha le bande orizzontali) e con la sega, antitesi della pialla livellatrice di

contrasti della Concordia nell'Allegoria del Buon Governo; la Guerra(Guerra), con la spada, lo scudo e la veste nera.

Sotto la Tirannide troviamo invece la Giustizia, che era assisa in trono nell'Allegoria del Buon Governo, ma che adesso è a terra, soggiogata, spogliata del

mantello e della corona, con le mani legate, i piatti della bilancia rovesciati per terra e l’aria mesta. È tenuta con una corda da un individuo solo piuttosto che

dalla comunità intera. Accanto a lei ci sono le vittime del malgoverno, cioè i cittadini. Questa è anche la parte più lacunosa dell’affresco, per cui molte cose

risultano di difficile interpretazione. A destra della Giustizia soggiogata vediamo due individui contendersi un neonato con la violenza e, ancora più a destra,

altri individui lasciare con le mani mozze due cadaveri a terra. La scena alla sinistra della Giustizia risulta di difficile interpretazione, mentre siamo del tutto

impossibilitati a vedere la scena lacunosa sotto l’arco all’estrema destra dell’affresco.

Superbia, Avarizia e Vanagloria, che come detto fanno da contorno al tiranno, sono tre peccati capitali già presenti nella "Divina Commedia" dantesca. Nel

canto VI dell'inferno si trova il concetto dell'avarizia, dove il peccatore Ciacco chiede a Dante informazioni sull'andamento socio-politico della sua terra,

Firenze. Un altro riferimento alla massima opera dantesca, è relativo alla vanagloria, che è possibile ricercare nel XIII canto del Purgatorio, ove i condannati

sono, in buona parte, provenienti dalla città di Siena: un luogo dove prevale il clima di guerra, suscitato dalle raffigurazioni di strade e ponti percorsi

solamente da soldati. Le tre allegorie dei peccati possono simboleggiare le tre famiglie principali di Firenze, che erano in lotta per il potere. Nell'Allegoria è

possibile notare la scena di un delitto. Qui viene presentato un corpo inerte per terra, con due soldati che arrestano l'accusato, vestito di porpora. Colore che

rievoca i tratti dell'innocenza morale della persona nel Cattivo Governo. E ancora le campagne, il bene più prezioso, sono distrutte e incendiate dalla guerra

provocata dalla tirannide.[5]

L’affresco, sebbene diviso in tre registri al pari dell'Allegoria del Buon Governo, ha una complessità inferiore rispetto a quest’ultimo: i cittadini appaiono in

numero minore nel terzo registro e l’apparato della Giustizia è ridotto ad una figura spoglia, oltretutto declassata al terzo registro essendo de-

istituzionalizzata.

Effetti del Cattivo Governo in Città e in Campagna[modifica | modifica wikitesto]

Si trova sulla parete laterale sinistra, a sinistra dell'Allegoria del Cattivo Governo. La città è pericolante e piena di macerie, perché i suoi cittadini distruggono

piuttosto che costruire, vi si svolgono omicidi, innocenti vengono arrestati, le attività economiche sono miserabili. La campagna è incendiata ed eserciti

marciano verso le mura. In cielo vola il sinistro Timore. Il risultato appare infatti denso di riferimenti storici artistici e letterari; da tutto ciò nasce dunque un

progetto molto ambizioso dai toni polemici e perentori nei contenuti., che intende coinvolgere il pubblico in riflessioni che investono direttamente l'attuale

contesto socio-politico

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Stile[modifica | modifica wikitesto] Nel dipingere le scene Ambrogio ricorse a stratagemmi fini, per esempio nel Buon Governo la prospettiva e la luce sono costruite in modo da mostrare

serenamente la città fino in profondità. La composizione è paratattica, idealizzata e complessa. La prospettiva si manifesta grazie a più punti di vista,

attraverso i quali si esprime la profondità. Non c'è una fonte di luce ben definita che fornisce l'illuminazione al paesaggio. Per quanto riguarda il colore,

vengono utilizzate varie sfumature, più accese per la città rispetto a quelle utilizzate per la campagna, dove prevalgono il giallo e il verde. Il colore è steso in

modo omogeneo. La scura città del Cattivo Governo dà subito una sensazione di disarmonia, con tetri edifici che bloccano la visuale.

Influenzato dalla prima formazione avvenuta a Siena, Ambrogio tuttavia si discostò dai caratteri dominanti di tale arte tanto che è difficile ritenerlo

un'esponente tipico della pittura senese del Trecento.

Nell'affresco viene rappresentato il paesaggio rurale ed urbano che, per la prima volta nella storia della pittura gotica italiana, diventa soggetto principale; in

passato veniva ignorato a favore del fondo oro o utilizzato semplicemente come sfondo di una narrazione. Nella rappresentazione il pittore, pur prendendo

la realtà come modello, la trasforma idealizzandola con particolare cura del dettaglio. [1]

Tuttavia questa rappresentazione non era fine a se stessa (volontà di

portare una testimonianza di un paesaggio) ma fa parte di un preciso messaggio politico, veicolato dal paesaggio: la campagna qui illustra allegoricamente

un concetto (di effetto di un regime politico), non "un" paesaggio.