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2. IL CINQUECENTO 1) CARATTERI GENERALI Dal punto di vista iconografico, la necessità del cattolicesimo di riaffermare la propria identità nei confronti dello spirito riformista che scuote l’Europa, porta alla rappresentazione di soggetti e scene sacre tratte dall’antico e dal nuovo testamento: la pittura e la scultura vengono infatti concepite in questo momento, più che mai, come strumenti per istruire i fedeli e rafforzare il loro sentimento religioso. Anche l’architettura è dominata, oltre che dall’abbellimento delle corti, anche dalla realizzazione di splendidi e imponenti edifici sacri, metafora in terra della grandezza e armonia divina. All’interno dello stesso spirito culturale sviluppatosi nel Cinquecento sugli sviluppi delle tendenze rinascimentali si possono riconoscere due filoni differenti ma complementari: — il classicismo, che è il più autentico continuamento delle esperienze artistiche del secolo precedente e si ispira agli ideali di realismo, equilibrio, misura; — il manierismo, che porta agli estremi esiti artistici le esperienze rinascimentali, portando ad un’arte che, nella cura esasperata per le forme, i particolari, l’elemento decorativo, finisce col sovvertire quell’ideale di misura e di equilibrio che aveva trionfato nel secolo precedente. Il manierismo, in pratica, invece di trarre ispirazione dalla natura, tende ad imitare le opere dei grandi maestri del Quattrocento e del primo Cinquecento. 2) I MAESTRI DEL CINQUECENTO Donato Bramante. Architetto e pittore, Donato Bramante, nato a Fermignano, presso Urbino, nel 1444, lavora in Lombardia e a Roma, dove muore nel 1514. Bramante si esprime più compiutamente soprattutto nel linguaggio architettonico, di cui fu grande innovatore in senso classico, giungendo a una sintesi delle leggi della configurazione fondata sul rapporto fra la citazione storica e l’uso degli ordini classici e delle loro combinazioni all’interno di strutture attentamente calibrate dal punto di vista dei rapporti spaziali e proporzionali, come risulta evidente dalle sue opere: S. Maria presso S. Satiro a Milano (1482-86); S. Maria delle Grazie a Milano (1492-98): la struttura spaziale centrale viene dilatata, conferendole molteplici vedute prospettiche nel vivo e continuo trascorrere della scala delle grandezze; Tempietto di S. Pietro in Montorio a Roma (1502): ispirandosi al tipo classico del tempietto rotondo, il Bramante definisce una nuova tipologia di edificio sacro a pianta centrale, applicando il concetto vitruviano della composizione modulare (la colonna come elemento base). Colonnato sormontato da una trabeazione a metope e triglifi, balaustra circolare, corpo cilindrico con nicchie alternatamente

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2. IL CINQUECENTO

1) CARATTERI GENERALI Dal punto di vista iconografico, la necessità del cattolicesimo di riaffermare la propria identità nei confronti dello spirito riformista che scuote l’Europa, porta alla rappresentazione di soggetti e scene sacre tratte dall’antico e dal nuovo testamento: la pittura e la scultura vengono infatti concepite in questo momento, più che mai, come strumenti per istruire i fedeli e rafforzare il loro sentimento religioso. Anche l’architettura è dominata, oltre che dall’abbellimento delle corti, anche dalla realizzazione di splendidi e imponenti edifici sacri, metafora in terra della grandezza e armonia divina. All’interno dello stesso spirito culturale sviluppatosi nel Cinquecento sugli sviluppi delle tendenze rinascimentali si possono riconoscere due filoni differenti ma complementari: — il classicismo, che è il più autentico continuamento delle esperienze artistiche del secolo precedente e si ispira agli ideali di realismo, equilibrio, misura; — il manierismo, che porta agli estremi esiti artistici le esperienze rinascimentali, portando ad un’arte che, nella cura esasperata per le forme, i particolari, l’elemento decorativo, finisce col sovvertire quell’ideale di misura e di equilibrio che aveva trionfato nel secolo precedente. Il manierismo, in pratica, invece di trarre ispirazione dalla natura, tende ad imitare le opere dei grandi maestri del Quattrocento e del primo Cinquecento. 2) I MAESTRI DEL CINQUECENTO Donato Bramante. Architetto e pittore, Donato Bramante, nato a Fermignano, presso Urbino, nel 1444, lavora in Lombardia e a Roma, dove muore nel 1514. Bramante si esprime più compiutamente soprattutto nel linguaggio architettonico, di cui fu grande innovatore in senso classico, giungendo a una sintesi delle leggi della configurazione fondata sul rapporto fra la citazione storica e l’uso degli ordini classici e delle loro combinazioni all’interno di strutture attentamente calibrate dal punto di vista dei rapporti spaziali e proporzionali, come risulta evidente dalle sue opere: — S. Maria presso S. Satiro a Milano (1482-86); — S. Maria delle Grazie a Milano (1492-98): la struttura spaziale centrale viene dilatata, conferendole molteplici vedute prospettiche nel vivo e continuo trascorrere della scala delle grandezze; — Tempietto di S. Pietro in Montorio a Roma (1502): ispirandosi al tipo classico del tempietto rotondo, il Bramante definisce una nuova tipologia di edificio sacro a pianta centrale, applicando il concetto vitruviano della composizione modulare (la colonna come elemento base). Colonnato sormontato da una trabeazione a metope e triglifi, balaustra circolare, corpo cilindrico con nicchie alternatamente

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architravate e conchigliate, cupola emisferica; nel progetto originale, il tempietto doveva essere collocato all’interno di un colonnato circolare; — Progetto del Cortile del Belvedere (1503): collegamento a terrazze e scale fra la Villa di Innocenzo VIII e i Palazzi Vaticani, culminante in una grandiosa esedra (il Nicchione, poi terminato da Pirro Ligorio); — Progetto di San Pietro (ricostruzione iniziata nel 1506): il progetto (disegno di A. da Sangallo e medaglia del Caradosso) prevedeva una pianta centrale a croce greca, racchiusa in un quadrato con quattro torri angolari ed un’abside su ogni lato. Leonardo da Vinci. Leonardo da Vinci (1452-1519) inizia la sua attività di apprendistato nella bottega di Andrea Verrocchio, una delle più famose della città. Definire Leonardo un pittore è però riduttivo, in quanto egli incarna in senso pieno l’ideale dell’artista rinascimentale, in quanto fu pittore, scultore, architetto e ingegnere a Firenze, a Milano, a Roma e in Francia, lasciando la testimonianza del suo genio universale e della vastità dei suoi interessi in un gran numero di manoscritti e disegni relativi alle sue ricerche ed ai suoi studi di anatomia, botanica, meccanica, geometria, ingegneria etc. (l’enorme quantità di appunti, studi, osservazioni e invenzioni è raccolta in vari codici, impreziositi da numerosi disegni). Nella pittura si manifestano le maggiori innovazioni: — lo sfumato leonardesco; — la prospettiva aerea. Le principali opere pittoriche di Leonardo sono: — Battesimo di Cristo (Uffizi): dipinto del Verrocchio, nella cui bottega Leonardo resta fino al 1476. La figura dell’angelo in primo piano è stata attribuita a Leonardo. Fra le opere pittoriche giovanili a lui attribuite, citiamo l’Annunciazione (Uffizi), il Ritratto di Ginevra Benci (Washington, National Gallery), il San Gerolamo (Pinacoteca Vaticana, opera monocroma incompleta) e l’Adorazione dei Magi (Uffizi); — Vergine delle rocce (1483-86 Louvre): raffigura la Madonna col Bambino, S. Giovannino e un angelo. Di grande suggestione il fantastico ambiente roccioso che circonda la scena ed il gioco avvolgente delle luci provenienti dall’alto e dal fondo (Fig. 66); — diversi ritratti attribuiti a Leonardo nel periodo milanese, fra cui La dama con l’ermellino (Cracovia), ritenuto il ritratto dell’amante di Francesco I; — il Cenacolo (affrescato nel 1495-97 nel refettorio del convento di S. Maria delle Grazie a Milano): godette sempre di grande fama, malgrado il suo precoce deterioramento (la pittura a tempera su un doppio strato di intonaco risultava danneggiata già nella seconda metà del XVI secolo), grazie alla sua concezione compositiva e alla novità del suo schema iconografico (suddivisione degli apostoli in quattro gruppi di tre, disposti secondo precise interrelazioni) e alla complessa varietà delle posizioni e delle espressioni; — la Gioconda (1503-06 ca., Louvre): una delle opere d’arte più famose del mondo (forse Monna Lisa Gherardini, o una dama ritratta su commissione di Giuliano de’ Medici). Il naturalismo leonardesco, che si ritrova nello sfumare dei colori e dei toni e nel calibrato gioco chiaroscurale della composizione, viene esaltato nella sottile e sfuggente definizione psicologica ed espressiva della Monna Lisa, espressione forse dell’intima essenza della persona umana, specchio dell’anima. La prospettiva aerea del paesaggio roccioso, che si intravede in lontananza, si collega all’immagine in primo piano conferendo all’opera un valore di cosmica ed unitaria armonia dal tono quasi onirico; — Cartone della Battaglia di Anghiari (1504-05, andato distrutto): ne esiste una copia di Rubens al Louvre; — S. Anna, la Madonna e il Bambino con l’agnello (1510 ca., Louvre): pittura su tavola, preceduta da almeno due disegni su cartone dello stesso soggetto (alla National Gallery di Londra). Dipinto importantissimo dal punto di vista iconografico-compositivo, per la struttura piramidale dei sacri personaggi rappresentanti le tre successive generazioni volte alla Salvezza e per lo sfumare del nebbioso paesaggio sullo sfondo (Fig. 67); — Autoritratto (1512 ca. Torino, Biblioteca Reale): famosissima immagine di Leonardo, disegnata a sanguigna; — S. Giovanni Battista (1513-16 ca. Louvre): ultima opera interamente eseguita da Leonardo. Michelangelo. Nella bottega del Ghirlandaio e poi alla corte di Lorenzo il Magnifico si formò artisticamente Michelangelo Buonarroti che espresse tutto il suo genio soprattutto lavorando per i Medici e per Papa Giulio II (1505-13) alla costante ricerca di un Bello ideale, influenza della filosofia neoplatonica. La forma racchiusa, quasi imprigionata, in giganteschi blocchi di marmo lotta per venire alla luce, per far emergere il movimento e la tensione della vita dall’apparente staticità della materia. Il conflitto fra la materia inerte e la volontà creativa dell’artista che la anima dandole forma, diventa particolarmente evidente nelle sculture “non finite”. Tra le opere scultoree realizzate da Michelangelo sono da ricordare: — la Pietà in San Pietro (1497-99): composizione perfettamente rifinita e articolata in forma piramidale, mostra la Vergine (raffigurata da giovane) che sostiene il Cristo morto sulle ginocchia; — David (1501-04): grande statua marmorea collocata in Piazza della Signoria a Firenze (ora all’Accademia), orgogliosa affermazione degli ideali etici ed estetici del Rinascimento, espressi nell’energia concentrata e nella tensione interiore del giovane eroe;

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— Monumento funebre di Giulio II: inizialmente destinato ad essere collocato nella tribuna di San Pietro, per la sua realizzazione si succedono diversi progetti dal 1505 alla versione definitiva del 1542- 45, realizzata nella Chiesa di San Pietro in Vincoli in forma molto ridotta rispetto all’originale; — Statue del Mosè (completata nel 1515, Fig. 71) e dei Prigioni, possenti prove del “non finito” michelangiolesco (al Louvre e all’Accademia di Firenze); — le Tombe medicee (1520-34), nella sacrestia nuova di San Lorenzo a Firenze, dominate dalle statue del Giorno, della Notte, dell’Aurora e del Crepuscolo; — Pietà Rondanini (1552-64, Castello Sforzesco, Milano): drammatico capolavoro del “non finito” michelangiolesco; Pietà del Duomo di Firenze (1553) e quella di Palestrina (1555, Firenze, Accademia). Il “non finito” delle ultime Pietà, soprattutto della Pietà Rondanini, riflette la tensione spirituale che anima gli ultimi anni di Michelangelo, lo stemperarsi della sua visione eroica dell’uomo e la consapevolezza della presenza cosmica del dolore. In pittura ricordiamo: — Tondo Doni (Uffizi): la tavola della Sacra Famiglia esprime il concetto neo-platonico del succedersi delle generazioni nella potente energia di un moto spiraliforme all’interno di una struttura piramidale. Il disegno appare nitido e volto ad una precisa costruzione volumetrica delle figure cui conferisce un poderoso senso scultoreo, a differenza delle immagini sfumate e indefinite di Leonardo. I colori, freddi e puri, non sono fusi fra loro col chiaroscuro; il senso plastico delle masse volumetriche è determinato dal contrapporsi dei toni più chiari a quelli più scuri; — Cartone della Battaglia di Cascina (schizzi agli Uffizi e all’Albertina di Vienna): incaricato nel 1504 dell’esecuzione del cartone per la decorazione del Salone dei Cinquecento nel Palazzo della Signoria, Michelangelo ha modo di confrontarsi con Leonardo, impegnato nella realizzazione della Battaglia di Anghiari. I due cartoni furono definiti dal Cellini “la scuola del mondo” per l’influsso esercitato sugli artisti dell’epoca; — Soffitto della Cappella Sistina (1508-12): gli affreschi della Sistina, capolavoro pittorico di Michelangelo, vengono concepiti dallo stesso artista all’interno di una grandiosa scenografia architettonica dipinta con nove riquadri centrali con le Storie della Genesi, fiancheggiati da gigantesche e possenti figure di Ignudi e circondati da altri dodici riquadri in cui sono rappresentati, assisi su troni, i Profeti d’Israele alternati alle Sibille pagane. Nelle lunette e nelle vele sono raffigurati gli Antenati di Cristo (Fig. 70); — Affresco del Giudizio Universale (1536-41) sulla parete di fondo della Cappella Sistina: presenta una massa di figure accalcantisi con moto vorticoso intorno alla figura centrale del Cristo giudice, isolato e terribile nel suo possente e minaccioso gesto rotante. Il carattere drammatico e terribile della visione apocalittica sembra riflettere la crisi dei valori rinascimentali e dell’ottimismo umanistico (Fig. 72); — Affreschi della Cappella Paolina (1542-50): Conversione di S. Paolo e Crocifissione di S. Pietro. Tra le opere architettoniche ci sono: — Sacrestia Nuova di San Lorenzo (1520-34): pur rispettando l’impianto formale della Sacrestia Vecchia del Brunelleschi, Michelangelo lo modifica radicalmente. La semplicità dell’impianto brunelleschiano viene sconvolta dall’inserimento delle due monumentali strutture marmoree delle Tombe Medicee: le due coppie di figure allegoriche del Giorno e della Notte (tomba di Giuliano de’ Medici, duca di Nemours) e dell’Aurora e del Crepuscolo (tomba di Lorenzo de’ Medici, duca di Urbino), con le loro posizioni abbandonate, eppure possenti, conferiscono all’ambiente un’atmosfera intensa e raccolta che riecheggia negli atteggiamenti assorti e meditativi delle statue di Giuliano e Lorenzo de’ Medici; — Biblioteca Laurenziana (1524-33): lunga sala di lettura ritmicamente scandita da lesene e finestre; alto vestibolo con colonne incassate nelle pareti e alternate a finestre cieche. Il progetto dello Scalone, poi realizzato dall’Ammannati, è del 1559; — Sistemazione del Campidoglio: con la statua equestre di Marco Aurelio (1538) collocata al centro di un disegno pavimentale a intrecci ellittici; — Progetto di San Pietro: dopo la morte di Antonio da Sangallo il Giovane (1547), Michelangelo viene chiamato a dirigere i lavori della Fabbrica e riprende il progetto bramantesco a pianta centrale rielaborandolo con possente senso plastico (perimetro esterno dalla linea sinuosa e continua, scandito da gigantesche lesene alternate a profonde nicchie o finestroni) e coronandolo con la monumentale cupola solcata da 16 costoloni, impostata su un tamburo con finestre alternate a coppie di colonne sporgenti. Raffaello. Negli stessi anni di Leonardo e Michelangelo, Raffaello Sanzio (Urbino 1483-Roma 1520) inizia il suo apprendistato nella bottega del Perugino; per poi trasferirsi a Firenze e a Roma, dove lavora per Giulio II e Leone X. Il genio di Raffaello si esprime soprattutto in pittura, dove riesce a realizzare il suo ideale di perfezione formale, di equilibrio cromatico, di dolcezza espressiva di volti e membra. In Raffaello inoltre architettura e decorazione si fondono nell’intento di riproporre la classica bellezza dei monumenti imperiali: le strutture architettoniche vengono impreziosite da una fitta decorazione in stucco e a fresco, ispirata allo stile delle grottesche romane della Domus Aurea. Da ricordare sono in particolare: — Sposalizio della Vergine (1504, Milano, Brera): il primo dei capolavori di Raffaello, con cui culmina il suo periodo umbro; dal Perugino Raffaello ha tratto la serena luminosità del dipinto, la sua nitida composizione ed il senso descrittivo (Consegna delle chiavi a S.Pietro), insieme all’armoniosa concezione della figura umana (Fig. 68);

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— i dipinti del periodo fiorentino (1504-08): fra i vari dipinti raffiguranti la Madonna col Bambino, ricordiamo tre tavole della Madonna col Bambino e S. Giovannino realizzate in uno schema piramidale di ispirazione leonardesca, note come la Madonna del Prato (Museo di Vienna), la Madonna del Cardellino (Uffizi) e la Bella Giardiniera (Louvre). Allo stesso periodo appartengono anche La dama del liocorno (Roma, Galleria Borghese), i ritratti di Agnolo e Maddalena Doni (Uffizi), vari ritratti virili e il ritratto di donna noto come La Muta (Urbino, Galleria Nazionale); — Trasporto di Cristo morto (scena principale della Pala Baglioni del 1507; Roma, Galleria Borghese): il pathos dell’immagine non ne turba la serenità; — Dipinti del periodo romano (1508-19): diversi dipinti della Madonna col Bambino fra cui la famosa Madonna Sistina (Museo di Dresda) e la Madonna della Seggiola (Firenze, Pitti), ritratti di cardinali, di Leone X (Uffizi) e della Fornarina (Roma, Galleria Nazionale); — Stanze Vaticane (1508-17): su incarico di Giulio II, Raffaello decora la Stanza della Segnatura, evidenziando la connessione fra la tradizione classica e quella cristiana. La lunetta della Scuola d’Atene rappresenta la sintesi della filosofia antica, descrivendo un’ideale Scuola in cui sono riuniti tutti i filosofi e i sapienti dell’antichità. La Disputa del Sacramento rappresenta invece la sintesi del pensiero cristiano, descrivendo la gloria celeste di Cristo e quella terrestre dei Santi e dei Dottori della Chiesa militante. Nelle altre due lunette si confrontano l’etica (Virtù) e l’estetica (il Parnaso); nei riquadri del soffitto l’immagine della creazione dell’universo astronomico è posta di fronte a quella della creazione di Adamo ed Eva, mentre al biblico giudizio salomonico si contrappone il mitico giudizio fra Apollo e Marsia. Raffaello proseguirà la decorazione delle Stanze Vaticane con la Stanza di Eliodoro (Cacciata di Eliodoro dal Tempio, Messa di Bolsena, Liberazione di San Pietro: da ricordare, di quest’ultimo affresco, gli intensi contrasti luministici) e la Stanza dell’Incendio in Borgo, completata dai suoi allievi; — Trionfo di Galatea (1511): affresco mitologico della Sala di Galatea nella villa la Farnesina, seguito dalla decorazione della Loggia di Psiche, a opera di suoi aiuti (1517); — Progetto di San Pietro: dopo la morte del Bramante (1514), Leone X nomina Raffaello architetto di San Pietro e accetta il suo progetto che prevede la trasformazione della pianta centrale bramantesca in una pianta basilicale; nel 1515 lo nomina Conservatore delle antichità romane. L’attività di Raffaello, affiancato da una schiera di collaboratori e di aiuti, diventa sempre più intensa sia nel campo pittorico e decorativo sia in quello architettonico (Progetto di Villa Madama); — Cartoni per gli arazzi della Sistina (1515, tessuti a Bruxelles nel 1517-19); — Decorazione delle Logge Vaticane (1518-19): ciclo decorativo progettato da Raffaello ed eseguito dai suoi collaboratori; riquadri, ornati a stucco e affrescati con Storie bibliche; decorazione a stucco e a grottesche. Si veda anche la decorazione della Stufetta del Cardinal Bibbiena; — Trasfigurazione o Guarigione dell’ossesso (Pinacoteca Vaticana): l’ultima grande opera di Raffaello, in parte compiuta dai suoi allievi dopo il 1520, rilevante per l’intensità degli effetti chiaroscurali e per un inusuale senso di drammaticità. 3) ARCHITETTURA DEL CINQUECENTO Accanto agli edifici sacri si sviluppano nel ‘500 nuove tipologie edilizie: i palazzi urbani e le magnifiche ville che testimoniano il benessere e la ricchezza delle nuove classi di potenti. La crescita dei centri urbani pone nuove problematiche ai teorici del Cinquecento, che ipotizzano piante radiali (Palladio) o a reticolo (Scamozzi); si vedano le città-fortezza di Palmanova (dello Scamozzi) e Sabbioneta (a pianta esagonale). Nelle città, che diventano sempre più anguste e sovraffollate, si impone l’esigenza di interventi di ampliamento o di risanamento, come ad esempio il piano regolatore di Roma, voluto da Sisto V e progettato da Domenico Fontana. Ricordiamo, tra i principali architetti del periodo: — Baldassarre Peruzzi (1481-1536): costruisce la Villa della Farnesina e il Palazzo Massimo delle Colonne; — Giulio Romano (1499-1546): Palazzo Te a Mantova; — Antonio da Sangallo il Vecchio (1455-1534): realizza numerose opere di architettura militare e la Chiesa di San Biagio a Montepulciano (pianta a croce greca che ricorda il primo progetto di San Pietro); — Antonio da Sangallo il Giovane (1473-1546): nipote di Giuliano e di Antonio da Sangallo, aiuto del Bramante, diventa l’architetto prediletto di Paolo III Farnese. Dirige la Fabbrica di San Pietro nel 1520-46 e costruisce Palazzo Farnese (poderoso blocco murario con gli spigoli rafforzati da conci e scandito orizzontalmente da due cornicioni, su cui si succedono due ordini di finestre); — Sebastiano Serlio (1475-1555): più noto per il suo Trattato di Architettura che per le sue opere architettoniche, diffonde in Italia ed in Europa la conoscenza del linguaggio classico dell’architettura rinascimentale; — il Vignola (Giacomo Barozzi, 1507-73): diventa nella seconda metà del secolo il principale interprete del nuovo corso ideologico e delle esigenze della Controriforma. Costruisce la Villa Farnese a Caprarola (pianta pentagonale disegnata dal Sangallo) e la Chiesa del Gesù; — Giacomo della Porta (1533-1602): architetto e scultore, allievo e collaboratore del Vignola, opera a Roma, portando a compimento la Cupola di Michelangelo e rielaborando la facciata della Chiesa del Gesù;

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— Domenico Fontana (1543-1607): artefice del riassetto urbanistico di Roma, realizzato sotto Papa Sisto V, con l’apertura di grandi strade rettilinee che congiungono le Basiliche romane e creano grandi piazze di gusto monumentale, arricchite da fontane,obelischi e sontuose facciate di palazzi; — Galeazzo Alessi (1512-72): architetto perugino, formatosi a Roma nell’ambiente dei seguaci di Bramante e Raffaello, attivo a Perugia, Genova e Milano. Di questo architetto ricordiamo la Basilica di S. Maria di Carignano a Genova; — Pellegrino Tibaldi (1527-96): architetto, pittore, decoratore e scultore, subisce l’influsso di Michelangelo, di Giulio Romano e del Peruzzi sviluppando una sensibilità manieristica. Attivo soprattutto a Milano, mostra una visione austera e grandiosa che risponde adeguatamente agli intenti della Controriforma. STRUMENTI E TECNICHE LA FABBRICA DI SAN PIETRO Nella ricostruzione della Basilica di San Pietro vengono impegnati, nel corso del XVI secolo, i maggiori architetti del Rinascimento, nell’intento di dare alla prima chiesa della cristianità una veste monumentale e grandiosa, adeguata alla sua importanza ed al prestigio della Chiesa Cattolica: 1506-14 Giulio II incarica il Bramante della ricostruzione di San Pietro. Negli stessi anni anche Giuliano da Sangallo formula dei progetti ma viene preferito il progetto del Bramante che prevede una pianta a croce greca inscritta in un quadrato, con una grande cupola centrale e con quattro absidi alle estremità dei bracci e quattro cappelle angolari quadrate. Nella tribuna avrebbe dovuto essere collocato il monumento funebre di Giulio II (commissionato a Michelangelo). 1514-20 Alla morte di Bramante, Leone X nomina Raffaello architetto di San Pietro insieme a Fra Giocondo e Giuliano da Sangallo (capomastro nel 1514-15). Il progetto di Raffaello prevedeva il ritorno ad una pianta basilicale, con l’innesto di un corpo longitudinale che prolungasse la struttura progettata da Bramante. 1520-47 Antonio da Sangallo il Giovane succede a Raffaello, con cui già collaborava dal 1516, e gli viene affiancato Baldassarre Peruzzi, al quale è affidata la direzione dei lavori dal 1530 al 1536. Nel 1536 Paolo III incarica Antonio da Sangallo di realizzare un modello ligneo del suo progetto. 1547-64 Alla morte di Antonio da Sangallo, Paolo III nomina Michelangelo architetto di San Pietro. Michelangelo ritorna alla pianta centrale del Bramante, rielaborandone la struttura con potente senso plastico (il perimetro esterno, dalla linea sinuosa e continua, è scandito da gigantesche lesene in travertino alternate a profonde nicchie e finestroni) e progettando la sua grandiosa cupola (dal diametro di circa 42 metri) con una struttura a tutto sesto dalla doppia calotta rinforzata da 16 costoloni (ispirata a quella di Santa Maria del Fiore); nel 1557 realizza un modello d’argilla della cupola e, successivamente un modello ligneo (1558-61). Per erigere la cupola, Michelangelo rinforza e ingrandisce i quattro pilastri angolari della tribuna e gli arconi di sostegno su cui innalza il tamburo, caratterizzato da una successione di colonne corinzie binate sporgenti fra le quali si aprono delle finestre sormontate da timpani alternati ad archi, e sormontato da un attico decorato a festoni. 1564-88 Alla morte di Michelangelo, che ha portato a termine la costruzione del tamburo della cupola, i lavori proseguono sotto la direzione del Vignola e di Pirro Ligorio. 1588-90 Giacomo della Porta e Domenico Fontana completano la cupola modificandone la curvatura che, da emisferica, diventa a sesto lievemente rialzato. 1608-12 Paolo V torna all’idea della croce latina: Carlo Maderno prolunga il corpo longitudinale ed erige la facciata. 1626 Urbano VIII consacra la nuova Basilica di San Pietro. Nel 1656-67 Bernini realizzerà il grandioso Colonnato ed erigerà la Cattedra di San Pietro. Fra gli architetti manieristi, ricordiamo: — Bartolomeo Ammannati (1511-92): architetto e scultore, si forma a Firenze col Bandinelli, lavora a Venezia col Sansovino e a Roma col Vasari. A partire dal 1555 opera a Firenze dove diventa l’architetto dei Medici. Il suo stile mostra una raffinata sensibilità manieristica ricca di riferimenti michelangioleschi; in seguito, in nome di un rinnovato fervore religioso, criticherà la sua arte come troppo estetizzante. Fra le opere architettoniche ricordiamo l’esecuzione dei progetti michelangioleschi per la Biblioteca Laurenziana (vestibolo e scalone), la trasformazione di Palazzo Pitti, il Ponte di Santa Trinita e il Collegio dei Gesuiti (costruito a Roma in forme sobrie e solenni); — Giorgio Vasari (Arezzo 1511-Firenze 1574): architetto e pittore di gusto manieristico, oltre che storico dell’arte, si ispira soprattutto a Michelangelo per le opere architettoniche che realizza dopo il ritorno da Roma a Firenze, nel 1550. Ne è esempio il Palazzo degli Uffizi, in cui due severi prospetti scanditi da tre ordini di finestre inquadrano la lunga fuga prospettica del cortile riproponendo all’aperto lo schema della Biblioteca Laurenziana; — Bernardo Buontalenti (1536-1608): architetto e scenografo fiorentino, seguace dell’Ammannati e suo successore come architetto dei Medici, fu il tipico rappresentante del Manierismo toscano, dotato di fervida immaginazione e gusto per i materiali preziosi ed inusitati, per le decorazioni bizzarre e grottesche. Tra le sue opere ricordiamo: Villa di Pratolino, Grotta dei Giardini di Boboli, Casino Mediceo, Forte del Belvedere.

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Tra gli architetti veneti ricordiamo: — Il Sansovino (Jacopo Tatti, 1486-1570), architetto e scultore fiorentino, allievo di Andrea Sansovino, acquisisce a Roma il gusto classico della corrente di Bramante e Raffaello adattandolo alle particolari condizioni dell’ambiente e del paesaggio urbano di Venezia, dove opera a partire dal 1527. Fra le sue opere citiamo: Palazzo Corner: severa struttura di gusto rinascimentale con un alto basamento a bugnato, su cui si succedono due ordini di arcate intervallate da coppie di semicolonne; Libreria di San Marco; Loggetta e Palazzo della Zecca; — Il Palladio (Andrea di Pietro della Gondola Padova, 1508 - Maser, 1580), architetto e teorico dell’architettura, coniuga la conoscenza teorica all’attività pratica e agli ideali classici. Del Palladio ricordiamo: la Basilica di Vicenza; la Villa della Rotonda: costruita fra il 1550 e il 1553 dal Palladio, e terminata dallo Scamozzi; Palazzo Valmarana a Vicenza (1566); Ville palladiane; Villa Barbaro a Maser; Teatro Olimpico di Vicenza; — Vincenzo Scamozzi (Vicenza, 1553-Venezia, 1616), architetto, urbanista e teorico, studioso di Vitruvio, si ricordano di lui: Teatro di Sabbioneta; Progetti per la chiesa e le porte della città fortificata di Palmanova, di cui forse gli è dovuta anche la sistemazione urbanistica a pianta radiale. 4) SCULTURA DEL CINQUECENTO Benvenuto Cellini. Benvenuto Cellini (Firenze, 1500-71), scultore, orafo e scrittore, divenuto popolare per la sua autobiografia, realizza, con elegante gusto manieristico, opere di squisita raffinatezza che gli concedono prestigio e fama presso le corti dell’epoca. A Firenze crea tra il 1545 ed il 1554 la statua bronzea del Perseo (Loggia dei Lanzi, Fig. 73). Giambologna. Jean de Boulogne (1529-1608), scultore fiammingo trasferitosi a Firenze nel 1550, vi realizza le sue più importanti opere, composizioni di estrema eleganza e ricche di virtuosismi tecnici e formali. Ne ricordiamo la statua bronzea di Mercurio (Bargello) e numerosi bronzetti con figure allegoriche, soggetti mitologici o di genere; la Fontana dell’Oceano della Grotticella del Buontalenti (giardino di Boboli); gruppi marmorei del Ratto delle Sabine (Fig. 74) e di Ercole e Nesso (Loggia dei Lanzi); statue equestri di Cosimo I e di Ferdinando I. Il Sansovino. Le sue opere scultoree sono improntate ad un ideale estetico di grazia e armonia; ricordiamo: la decorazione scultorea della Loggetta del Campanile a Venezia (1537-40) con le statue bronzee della Pace, di Mercurio, di Apollo e Minerva e con il grazioso gruppo in terracotta della Madonna col Bambino che accarezza S. Giovannino. 5) PITTURA DEL CINQUECENTO I seguaci di Leonardo. Il soggiorno di Leonardo alla corte sforzesca determina a Milano la formazione di una scuola pittorica ispirata al linguaggio artistico del maestro, al suo sfumato ed alla malinconica ed ambigua bellezza delle sue immagini. Fra gli artisti maggiormente influenzati da Leonardo, citiamo Giovanni Antonio Boltraffio, Andrea Solario, Bartolomeo Suardi detto il Bramantino, Bernardino Luini, Gaudenzio Ferrari (affreschi nelle Cappelle del Sacro Monte di Varallo e in S. Cristoforo a Vercelli) e Giovan Antonio Bazzi, detto il Sodoma, attivo a Siena e a Roma. La scuola di Raffaello. Uno dei principali elementi che caratterizzano la scuola romana di Raffaello è la costante evocazione formale del mondo classico nell’invenzione di scene tratte dalla mitologia e nelle decorazione a grottesche. Fra i seguaci di Raffaello, ricordiamo: Giovanni da Udine; Giulio Romano; Perin del Vaga; Polidoro da Caravaggio; Baldassarre Peruzzi. Fra Bartolomeo della Porta. Erede della tradizione fiorentina, ma sensibile alle innovazioni del linguaggio artistico operate dai grandi maestri suoi contemporanei, utilizza le visioni chiaroscurali ed il morbido cromatismo di Leonardo e Raffaello e, insieme, il senso plastico e monumentale di Michelangelo, creando composizioni equilibrate e maestose, talvolta un po’ enfatiche e chiaramente destinate a fini devozionali. Fra le sue opere, citiamo: — Apparizione della Vergine a San Bernardo (1504, Firenze, Accademia); — Pale d’altare concepite come ampie scenografie, coi personaggi disposti a semicerchio: Madonna e Santi (Uffizi), Sposalizio di S. Caterina (Pitti e Louvre); — la Pietà (Firenze, Pitti): opera di intensa ma pacata drammaticità. Andrea del Sarto. La pittura di Andrea del Sarto (Firenze, 1486-1531) coniuga lo sfumato leonardesco con la perfezione formale della scuola romana ed il senso plastico di Michelangelo, caratteristiche che lo rendono uno dei maggiori interpreti del classicismo cinquecentesco a Firenze.

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Fra i suoi dipinti, ricordiamo: — Affreschi del Chiostrino dei Voti della SS. Annunziata di Firenze (1510-14) con Storie della Vergine; — Affreschi monocromi con Storie del Battista nel cortile della Compagnia dello Scalzo (1514-26): nel Battesimo delle genti è evidente l’ispirazione ai nudi michelangioleschi della Battaglia di Cascina. L’uso di figurazioni monocrome, che ricorre spesso nella sua arte, simula il rilievo scultoreo, conferendo alla descrizione il senso di distacco della rappresentazione, ma anche vivificando le immagini raffigurate; — Madonna delle Arpie (1517, Uffizi): la sua opera più famosa trae il nome dalle due Arpie raffigurate in monocromo come rilievi del piedistallo poligonale su cui è posta la Vergine. L’impianto michelangiolesco delle figure emerge, con le sue lievi gradazioni tonali, dalla penombra dello sfondo architettonico, illuminato da una luce naturale dalle diafane velature; — Deposizione (1523, Pitti). Il Correggio. Antonio Allegri nasce a Correggio (Reggio Emilia) verso il 1489. La vita del Correggio si svolge lontano dai principali centri artistici dell’epoca, per cui il suo linguaggio si sviluppa in modo piuttosto indipendente. Del Correggio ricordiamo: — Pittura sacra: sia nelle grandi pale d’altare sia nei dipinti di piccolo formato, propone immagini di grande gentilezza e bellezza, dall’andamento morbido e sinuoso: la Madonna di S. Francesco (1514, Museo di Dresda: prima opera sicuramente documentata), la Madonna col Bambino dormiente detta “La Zingarella” (Napoli, Museo di Capodimonte), il Riposo della Sacra Famiglia (Uffizi), la Natività e Adorazione dei Magi (Milano, Brera), la Madonna di S. Gerolamo, detta “Il Giorno” (Galleria di Parma); l’Adorazione dei Pastori, detta “La Notte”; il Riposo dalla Fuga in Egitto, noto come la Madonna della Scodella (Galleria di Parma); — Affreschi della Camera della Badessa (1518-19) nel convento di S. Paolo a Parma: la decorazione della volta simula un padiglione vegetale a tralicci, diviso in sedici spicchi con altrettanti tondi, mentre lungo la linea di imposta si aprono sedici lunette con la rappresentazione monocroma di dei pagani. Nei tondi, che simulano le aperture del pergolato, si vedono delle coppie di putti giocanti in arditi scorci prospettici dal basso in alto (derivati dal Mantegna); — Affreschi della cupola di S. Giovanni Evangelista a Parma (1520- 24: Transito di S. Giovanni) e della cupola del Duomo di Parma (1526-30: Assunzione della Vergine). In entrambe le imprese decorative il Correggio utilizza la prospettiva dal basso; nel Transito di San Giovanni Evangelista l’immagine centrale di Cristo appare sospesa in un luminosissimo spazio vuoto, circondato da una moltitudine di figure in scorcio; l’Assunzione della Vergine è descritta in un turbinoso vortice di Santi e Angeli fra cerchi concentrici di nubi; — Educazione di Amore (Londra, National Gallery) e i dipinti sugli Amori di Giove eseguiti per l’imperatore Carlo V: Danae (Galleria Borghese), Leda (Berlino), Giove e Io e Il ratto di Ganimede (Vienna) in cui il gusto della citazione classica si traduce in immagini simboliche di sottile e raffinata sensualità. Dosso Dossi. Pseudonimo di Giovanni Luteri, nato probabilmente nel Mantovano verso il 1489; vive e lavora prevalentemente a Ferrara, dove muore nel 1542. Delle sue opere citiamo: — Dipinti ispirati a temi mitologici e fantastici, fra cui La Maga Circe (Galleria Borghese): l’opera più famosa di Dosso, rappresenta la Maga come una maestosa figura femminile sontuosamente abbigliata, seduta mentre compie i suoi incantesimi. Citiamo anche la Partenza degli Argonauti (Washington), le Tre Età dell’Uomo (New York), Giove che dipinge farfalle (Vienna); — Decorazioni nel Palazzo del Buonconsiglio a Trento (Favole di Esopo) e nel Palazzo dell’Imperiale a Pesaro. Giorgione. Nato a Castelfranco Veneto verso il 1477, vive e lavora a Venezia, dove muore nel 1510, Giorgione imprime alla pittura veneziana una svolta radicale, conferendo una nuova interpretazione poetica della natura, in cui il mito, la cultura antica, il linguaggio simbolico e l’allegoria vivificano con intense suggestioni l’approccio conoscitivo al reale. Tipicamente giorgionesca è la “pittura tonale” che caratterizza le sue opere: — Pala di Castelfranco (1505 ca. Chiesa di S. Liberale) con la Madonna in trono col bambino fra i Santi Liberale e Francesco collocata davanti ad un ampio sfondo paesaggistico; — La Tempesta (Venezia, Accademia): la Natura è la vera protagonista della rappresentazione: l’enigmatica figura della donna nuda che allatta il bambino si traduce nell’immagine della misteriosa ed eterna potenza della Natura Genitrice (Fig. 64); — I Tre Filosofi (Vienna, Kunsthist Mus.): identificati come i tre Magi o i tre Matematici, o come la raffigurazione del Pensiero Medievale, Arabo e Rinascimentale o della Filosofia antica, medievale e moderna. La Natura, nella poesia del suo splendore, è l’oggetto della loro assorta contemplazione (Fig. 63); — Venere dormiente (Museo di Dresda): splendido nudo femminile immerso nella natura; — Paesaggio al tramonto (Londra, National Gallery): primo esempio di paesaggio con figure, in cui, cioè, l’elemento paesaggistico prevale sulla scena rappresentata in secondo piano (S. Giorgio e il drago).

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Tiziano. Tiziano Vecellio nasce a Pieve di Cadore verso il 1488 e si trasferisce giovanissimo a Venezia, dove muore nel 1576. L’arte di Tiziano, pur ispirandosi al Giorgione, si distingue per un più diretto approccio alla realtà vissuto nell’intensità dell’emozione visiva, che si traduce nella bellezza delle forme, nel gusto cromatico e nella capacità di analisi psicologica. Nella maturità l’uso del colore diviene più libero e sensibile ai variabili giochi della luce, mentre nelle opere più tarde giunge addirittura ad un progressivo disfacimento della forma con una pittura realizzata da rapidi tocchi di colore e dal prevalere assoluto degli effetti luministici. Tra le principali opere di Tiziano, ricordiamo: — L’Amor Sacro e l’Amor Profano (1515 ca. Roma, Galleria Borghese): composizione allegorica di discussa interpretazione, il cui significato può essere ricondotto alla doppia natura di Venere come dea dell’amore e della procreazione, ma anche della morte (Fig. 77); — Baccanale, Offerta a Venere (Madrid, Prado) e Corteo di Bacco e Arianna (Londra, National Gallery): serie di dipinti a sfondo mitologico realizzati per Alfonso d’Este; — Ritratti tizianeschi: non rappresentano delle immagini idealizzate, anzi tendono a cogliere l’intima essenza della persona nella sua particolare realtà psicologica e sociale. Fra i numerosi ritratti eseguiti da Tiziano ricordiamo: il Gentiluomo col guanto (Louvre) e “La Bella” (Firenze, Pitti). Fra i ritratti di personaggi illustri citiamo quelli di Carlo V, raffigurato in piedi con un cane al lato (Madrid, Prado) e di Carlo V a cavallo (Prado), eseguito durante il soggiorno di Tiziano ad Augusta (1548), di Filippo II (Prado), di Paolo III Farnese e di Paolo III coi nipoti Alessandro e Ottavio Farnese (Museo di Capodimonte, Napoli). Autoritratti di Tiziano da vecchio (a Berlino e al Prado datati intorno al 1562 e al 1567); — Pala dell’Assunta dei Frari (1516-19) e la Pala Pesaro (1525) in SS. Maria Gloriosa dei Frari a Venezia; — Incoronazione di spine: in cui la luce non serve più ad esaltare il dinamico intreccio dei corpi, ma domina in un’infocata atmosfera rossastra che sembra sommergere e dissolvere la forma in un continuo passaggio da bagliori di fiamma a cupe zone d’ombra bruna; — Tarquinio e Lucrezia (1570, Vienna, Akademie): la drammaticità dell’evento è esaltata dal violento gioco delle luci e dei colori, una lezione del vecchio Tiziano sarà ripresa, oltre che nella pittura seicentesca e settecentesca, dall’Impressionismo; — La Pietà (1571-76 Venezia, Accademia): ultima opera di Tiziano, terminata da Palma il Giovane. Lorenzo Lotto. Il veneziano Lorenzo Lotto (1480-1556), attivo anche nelle Marche e nel Bergamasco, fu un artista dal carattere inquieto e insofferente, che amava assumere posizioni non allineate con la cultura dominante. Poco apprezzato dai suoi contemporanei, condusse una vita raminga e stentata e le sue opere spesso furono addirittura rifiutate dai committenti o mal pagate. Citiamo le opere principali: — Ritratti: nella ritrattistica il Lotto mostra un’acuta capacità di penetrazione psicologica. Nel ritratto del Vescovo Bernardo de’ Rossi (Napoli, Museo di Capodimonte) enuncia la sua posizione di contrasto con la pittura giorgionesca, rifiutando ogni sfumatura dei colori, per definire con geometrica e luminosa chiarezza l’immagine stagliata sul fondo verde scuro di un panneggio. Nel Ritratto di giovane gentiluomo (Venezia, Accademia) l’atmosfera di malinconico abbandono è sottolineata dal valore allusivo dei particolari (il libro, i petali di rosa) e da una gelida luce; — Pala di S. Bartolomeo (1513, nell’omonima chiesa veneziana): la Madonna col Bambino all’interno di una tradizionale struttura architettonica, fra Santi descritti con vivace estro narrativo; — Pala di S. Bernardino (1521 in S. Bernardino a Bergamo): il Lotto si distacca dalla tradizionale configurazione architettonica delle pale d’altare, conferendo alla rappresentazione, ambientata sotto una specie di tenda, in campagna, un tono confidenziale e familiare, con gustose notazioni caratteriali dei personaggi; — Annunciazione di Recanati (1527-28 nella Chiesa di S. Maria sopra Mercanti): la scena si svolge nell’intima penombra di una cameretta in cui la Vergine, descritta come una fanciulla attonita e spaventata, non osa neppure volgere il capo verso l’Angelo che appare alle sue spalle in un alone di fredda luminosità, mettendo in fuga il gatto domestico; — Assunta di Celana (1528-29): una delle sue opere più notevoli per complessità compositiva e valori luminosi, ispirata nell’impianto alla tizianesca Assunta dei Frari; — Madonna del Rosario (1539 ca., in S. Domenico a Cingoli): inedita soluzione iconografica di un roseto con 15 tondi con Storie di Gesù e Maria; — Pala dell’Elemosina di S. Antonino (S. Zanipolo a Venezia): alla retorica delle Sacre Rappresentazioni contemporanee, il Lotto oppone una visione di carattere descrittivo, priva di enfasi, in cui la distribuzione delle grazie viene mostrata quasi come atto burocratico, mentre in primo piano una vociante folla di devoti e di poveri viene acutamente caratterizzata nei gesti e nelle espressioni.

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Palma il Vecchio. Jacopo Negretti (1480 ca.-1528) pittore di origine bergamasca, formatosi nell’ambiente veneziano, rappresenta opere dalle forme dilatate e definite e dai colori caldi. Tra le sue opere ricordiamo: — Sacre Conversazioni (1515-20 Lugano, Vienna, Parigi, Bergamo): dove il suo stile si avvicina a quello di Tiziano; — Tre Sorelle (Dresda): gusto per un’opulenta e placida immagine della femminilità; corposo senso plastico ottenuto con un delicato chiaroscuro entro forme ampie e dilatate. Il Pordenone. Tipico di Giovan Antonio de’ Sacchis (1484 ca.-1547), friulano, è lo stile aulico ed enfatico che arriva ad espressioni manieristiche ricche di effetti teatrali e di dinamismo. Citiamo: — Madonna della Misericordia (1511, nel Duomo di Pordenone): opera di sapore arcaico, ma anche di fantasia innovativa; — Affreschi nel Duomo di Cremona (1520-22): con Storie della Passione, fra cui vanno ricordate l’affollata e drammatica Crocifissione e la Deposizione; — Affreschi della Madonna di Campagna a Piacenza (1529-31): con lo Sposalizio di S. Caterina, in cui si rileva l’interesse per l’arte correggesca; — Pala di S. Lorenzo Giustiniani (1532-39, Venezia, Accademia) opera ricca di effetti luministici. Sebastiano del Piombo. Sebastiano Luciani (1485 ca.-1547) veneziano, subisce a Roma l’influenza di Michelangelo e di Raffaello. Nelle sue opere confluiscono le esperienze della scuola veneta e quelle del classicismo romano: dalla prima trae il gusto pittorico dello sfumato e dal secondo il senso equilibrato delle composizioni. Tra le sue opere ricordiamo: — Affreschi della Loggia di Galatea nella Villa della Farnesina a Roma (1511): con scene ispirate alle Metamorfosi di Ovidio; — Pietà di Viterbo (1517 ca. Museo di Viterbo): unisce al senso monumentale della composizione ed alla michelangiolesca struttura plastica delle figure, il raffinato gusto cromatico veneziano. Le figure, concepite con grande vigore drammatico, sono ritratte in un livido paesaggio illuminato dalla luce lunare e dagli ultimi bagliori del tramonto; — Tavola della Resurrezione di Lazzaro (1519): eseguita in gara con la Trasfigurazione di Raffaello, su commissione del cardinale Giulio de’ Medici (Londra, National Gallery); — Ritratti: nella cosiddetta Fornarina degli Uffizi si riscontra l’influsso della ritrattistica di Raffaello. 6) LA PITTURA DEL MANIERISMO Il termine “maniera” fu usato per la prima volta in senso dispregiativo nel Seicento: prima infatti la maniera era semplicemente il modo di dipingere, lo stile, di un grande artista, che dava inizio ad una scuola (es.: la maniera di Michelangelo, di Raffaello ecc.). Solo in seguito lo stesso termine venne usato per indicare la produzione degli artisti che, invece di innovare il linguaggio artistico, si limitavano a imitare i grandi modelli, portandone alle estreme conseguenze la ricercatezza formale e stilistica. Tale visione negativa, durata fino agli inizi del nostro secolo, non ha permesso, per il passato, di attribuire il giusto valore all’opera di artisti di notevole interesse. La critica moderna ha invece rivalutato il Manierismo come espressione di un’epoca in cui, di fronte al crollo delle ottimistiche visioni dell’Umanesimo, numerosi artisti si rifugiarono in ricerche estetiche spesso bizzarre o surreali, trovando nell’estro creativo una forma di libertà intellettuale ed individualistica. Il Pontormo. Jacopo Carrucci, nato a Pontormo (Empoli) nel 1494, fa parte della prima generazione di manieristi toscani assieme a Rosso Fiorentino e Beccafumi. Allievo di Andrea del Sarto, si discosta successivamente dallo stile del maestro, ispirandosi piuttosto a Michelangelo e alla pittura nordica e sconvolgendo l’equilibrio delle forme classiche con la drammaticità espressiva delle sue composizioni e con i toni lividi e puri dei suoi colori. Ricordiamo: — Affreschi con le Storie della Passione (Fig. 75) nel chiostro grande della Certosa di Galluzzo (1523-25) e tavola della Cena di Emmaus (Uffizi); — Decorazione della Cappella Capponi in S. Felicita (1525-28) con i tondi degli Evangelisti e le tavole dell’Annunciazione e della Deposizione: uno dei maggiori capolavori del Pontormo, presenta un’insolita composizione con le figure ammassate in primo piano e disposte in successione spiraliforme; — S. Girolamo penitente (1527 ca. Museo di Hannover): opera incompiuta ma di grande suggestione, anticamente attribuita a Leonardo; — Visitazione (1528 ca. Pieve di S. Michele a Carmignano): opera di grandissimo interesse, dal cromatismo livido ed irreale e dalla insolita composizione delle quattro figure femminili, i cui mossi panneggi si stagliano nella brillante gradazione tonale dei verdi e dei rossi.

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Rosso Fiorentino. Giovan Battista di Jacopo (1495-1540) diffonde in Francia il gusto del manierismo toscano. Nelle sue opere, che risentono dell’influenza di Michelangelo e di Dürer, prevale un’esasperata ricerca di soluzioni formali, dinamiche e originali, unita a un forte espressionismo. Di questo autore citiamo: — Deposizione di Volterra (1521, Pinacoteca di Volterra): visione drammatica ed allucinante, in cui la marcata caratterizzazione dei personaggi conferisce una straordinaria forza espressiva alle ardite soluzioni formali della composizione. I colori sono lividi e la luce si riflette con bagliori metallici sulle geometriche e spigolose superfici dei corpi e dei panneggi (Fig. 76); — Sposalizio della Vergine in S. Lorenzo (1523): vivace folla di figure fortemente caratterizzate intorno alla scena centrale; — Mosè e le figlie di Ietro (1523 ca. Uffizi): vigoroso e luminoso intreccio di nudi di gusto michelangiolesco, rappresenta il punto d’arrivo del periodo toscano; — Ritratti virili (Napoli, Museo di Capodimonte; Washington e Liverpool). Domenico Beccafumi. Domenico di Giacomo di Pace (1486-1551) opera perlopiù a Siena. Nella sua personalissima concezione del manierismo, gli influssi di Raffaello e di Michelangelo, ma anche del Perugino, del Sodoma, di Fra Bartolomeo e del Dürer, si fondono in un linguaggio pittorico fantasioso ed espressivo, caratterizzato da effetti luminosi e cromatici. Si citano: — Pala delle Stimmate di S. Caterina (1513 ca. Siena, Pinacoteca): ritenuta dalla critica un’opera chiave del Beccafumi, in cui si riscontrano gli influssi della pittura fiorentina ma anche del Sodoma e del Perugino; — Cartoni per i commessi marmorei del pavimento del Duomo di Siena; — S. Michele scaccia gli angeli ribelli (1526-30, Chiesa di S. Nicolò al Carmine): uno dei suoi capolavori, i cui toni fiammeggianti sembrano evocare la visione della materia in turbinosa trasformazione; — Affreschi della Sala del Concistoro del Palazzo Pubblico di Siena (1529-35): l’insieme è realizzato con sapienti scorci prospettici, che simulano illusionistiche aperture del soffitto; — Discesa di Cristo al Limbo (1530 ca. Siena, Pinacoteca): tavola di notevole interesse, per le originali soluzioni figurative e cromatiche dai vividi effetti luminosi e l’accentuato contrasto chiaroscurale; — Mosè spezza le Tavole della Legge e altri dipinti per il Duomo di Pisa (1537-46); — Natività della Vergine (1540-43, Siena, Pinacoteca): tema sacro rappresentato in un interno domestico; originalissima la successione di piani luminosi alternati a zone d’ombra, all’interno dei quali i personaggi sono evidenziati da un vibrante gioco di luci radenti. La seconda fase del Primo Manierismo. Possiamo considerare una seconda fase del Primo Manierismo a partire dal 1530, quando diviene meno febbrile l’estro innovativo dei tre primi esponenti del Manierismo, mentre si assiste alla diffusione delle loro nuove concezioni stilistiche che assumono forme meno ardite, più sistematiche, prudenti e fredde, in sintonia con le mutate situazioni politiche. Il Bronzino. Agnolo di Cosimo, detto il Bronzino (Firenze, 1503- 72), allievo e collaboratore del Pontormo è tra gli esponenti di quella che potremmo definire una seconda fase del primo manierismo, caratterizzata da forme meno ardite e una maggiore freddezza stilistica. Il Bronzino eccelle soprattutto nei ritratti, in cui tende ad evidenziare, attraverso l’atteggiamento, l’espressione e i particolari, lo status sociale della persona raffigurata. Ricordiamo i ritratti di Ugolino Martelli (Berlino), di Lucrezia Panciatichi (Uffizi) e di Cosimo I ed Eleonora di Toledo per lo Studiolo di Francesco I (Palazzo Vecchio). Il Parmigianino. Di Francesco Mazzola, detto il Parmigianino (Parma 1503-1540), ricordiamo: — Affreschi nel castello di Fontanellato e in S. Maria della Steccata a Parma; — Autoritratto allo specchio (Kunsthist. Museo di Vienna): virtuosistica visione attraverso uno specchio deformante; — Madonna della Rosa (Museo di Dresda): opera originale per il moto vorticoso dei panneggi rossi della tenda sullo sfondo che allude alla forma della rosa retta dal Bambino; — Madonna dal collo lungo (Uffizi): in cui il gusto manieristico per le forme allungate e sinuose si traduce in un’immagine di grande eleganza e raffinata bellezza, ma chiusa e avvolta in un’impenetrabile atmosfera di soffusa malinconia e di mistero e contornata da strane figure e azioni incomprensibili. Il Secondo Manierismo. Nella seconda metà del Cinquecento, a Roma e a Firenze si sviluppa la corrente definita “manierismo maturo”, ad opera di artisti della generazione successiva al Pontormo, al Rosso e al Beccafumi. Esempio di questa nuova tendenza artistica è la realizzazione dello Studiolo di Francesco I, la cui esecuzione viene affidata a diversi artisti (Bronzino, Alessandro Allori, Giambologna, Ammannati, Francesco Morandini, detto il Pioppi, Santi di Tito, il fiammingo Jan van der Straet, detto lo Stradano etc.) che rappresentano di fatto l’espressione del manierismo toscano fra il 1570 e il 1590. Del Secondo Manierismo fanno parte, fra gli altri: Francesco Salviati (Firenze, 1510-1563) e Giorgio Vasari.

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I Manieristi emiliani. Nell’ambiente artistico emiliano, già influenzato dal Correggio, il gusto manieristico viene diffuso dal Parmigianino soprattutto a Bologna. Tra i manieristi emiliani sono da ricordare: Francesco Primaticcio, Girolamo Mazzola Bedoli, Niccolò dell’Abate, Lelio Orsi, il Bertoja, Bartolomeo Passerotti. Il Tardo Manierismo. Il tardo manierismo si sviluppa a Roma nella seconda metà del secolo. In questa corrente sono classificabili: Taddeo Zuccai, il Barocci, Scipione Pulzone, Cavalier d’Arpino. Il Manierismo in veneto. Il gusto per le nuove forme espressive del Manierismo si afferma a Venezia verso la fine del quarto decennio del secolo col Tintoretto, col Veronese e col Bassano. Il Tintoretto. Jacopo Robusti, detto il Tintoretto (Venezia 1518-94), interpreta i modi del Manierismo con il vivo senso luministico desunto dalla tradizione veneziana. Un gioco di improvvise luminosità sui profondi toni scuri delle sue tele caratterizza le sue opere, oltre al dinamismo delle figure e delle forme. Fra le sue numerose opere ricordiamo: — Miracolo di San Marco (o Miracolo dello schiavo) eseguito per la Scuola Grande di San Marco nel 1548 (Venezia, Accademia): prima affermazione della rivoluzione artistica del giovane Tintoretto, suscitò un’aspra polemica col maturo Tiziano. Alla concezione tizianesca dell’arte come fonte di emozioni visive, il Tintoretto contrappone il suo forte senso di partecipazione emotiva ed etica; dal Manierismo trae il gusto teatrale della rappresentazione, l’arditezza e la libertà del disegno e degli scorci; suo è il modo rapido, sintetico ed immediato di dipingere caricando le immagini di un energico dinamismo (Fig. 78); — Scuola della Trinità (1553): cinque dipinti con Storie della Genesi; — Susanna e i vecchioni (1557 ca. Vienna, Kunsthist. Mus.): uno dei suoi capolavori per l’irreale e luminosa corposità della figura femminile che si staglia sullo sfondo in penombra; — S. Giorgio che uccide il drago (1558 ca. Londra, National Gallery): vorticosi gli effetti luminosi e il dinamismo delle figure; — Tre tele per la Scuola Grande di San Marco (1562-66): il Ritrovamento del corpo di San Marco (Milano, Brera), la sua Traslazione e il Miracolo dello schiavo saraceno (Venezia, Accademia). L’episodio del ritrovamento del corpo di San Marco in una cripta di Alessandria si svolge nello scenario prospettico di una profonda e oscura galleria, drammaticamente illuminata dal succedersi progressivo di lividi bagliori riflessi dalle arcate della volta e dai sarcofagi, che culmina nel rettangolo luminoso del fondo; — Scuola Grande di San Rocco: il maggior complesso di opere pittoriche del Tintoretto, che nel 1564 vince il concorso per la decorazione del soffitto della Sala dell’Albergo, con l’ovale della Gloria di S. Rocco. Seguono quattro quadri delle pareti (Storie della Passione): da ricordare, nel quadro di Cristo davanti a Pilato, lo straordinario contrasto fra la chiara figura di Cristo e il tenebroso insieme della scena in cui si avverte la confusa presenza della folla fra monumentali architetture; l’immagine del Cristo assume il valore di una visione sovrumana, la cui apparizione quasi spettrale, intensifica il senso tragico della scena; — Presbiterio della Chiesa: tre quadri con Storie di S. Rocco; — Sala Grande (1575-81): tela centrale del soffitto (Erezione del Serpente di Bronzo); tre tele con Storie di Mosè e scomparti minori con Storie Bibliche; sulle pareti: S. Rocco, S. Sebastiano e dieci quadri con Storie di Cristo; — Sala Inferiore (1583-87: otto tele con Storie della Vergine e della Natività): da notare i quadri di S. Maria Maddalena e di S. Maria Egiziaca, con paesaggi notturni soffusi di una fantastica luce lunare, che emergono, con chiari ed improvvisi bagliori, dagli sfondi tenebrosi; la natura viene trasfigurata e diventa, in termini romantici, l’espressione dei sentimenti; — Ultima Cena (1592-94, S. Giorgio Maggiore): buia prospettiva, affollata di figure ed illuminata dagli improvvisi bagliori delle aureole; i confini fra il reale e il fantastico cessano di esistere ed alla scena reale si sovrappone uno spettrale volo di entità larvali e fosforescenti; — Ritrattistica del Tintoretto. Nel corso della sua lunga attività, il Tintoretto esegue numerosissimi ritratti di personaggi illustri, gentiluomini e dame, conservati in vari musei e collezioni, caratterizzati per l’emergere delle figure da fondi oscuri. Ricordiamo il ritratto di Jacopo Sansovino (Firenze, Uffizi), l’Uomo con armatura ed il Vecchio dalla barba bianca (Vienna, Kunsthist. Mus.), il Cieco d’Adria (Museo di Adria), gli Autoritratti (Londra, Victoria and Albert Museum; New York, Sala Grande della Scuola di San Rocco e Louvre). Il Veronese. Paolo Caliari, detto il Veronese (1528–1588) si esprime, a differenza del Tintoretto, con colori chiari dai toni freddi e trasparenti, pur partendo da analoghe premesse manieristiche. La sua pittura presenta figure dai contorni nitidi, realizzate con audaci scorci prospettici e inquadrate fra complesse strutture architettoniche. Caratteristiche le sue tonalità fredde e chiare e i colori antinaturalistici. Delle sue opere ricordiamo: — Affreschi nella Chiesa di S. Sebastiano a Venezia (1555-65): soffitto con Storie di Ester ed Assuero, realizzate con audaci scorci prospettici dal basso in alto, inserite in scenografie architettoniche; — Scene mitologiche e allegoriche in palazzo Ducale (1553) e i tondi con figurazioni allegoriche nella Libreria Marciana (1556), decorazione del soffitto delle Sale del Collegio e del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale (1575-77 e 1585) con trionfi allegorici di Venezia: le figure allegoriche del Veronese sono chiare e piacevoli manifestazioni visive di concetti morali, filosofici o religiosi, descritti come figure femminili di grande bellezza, sfarzosamente vestite e ingioiellate (Fig. 79);

Page 12: 2. IL CINQUECENTO - Maturansia...2020/01/02  · Donato Bramante. Architetto e pittore, Donato Bramante, nato a Fermignano, presso Urbino, nel 1444, lavora in Lombardia e a Roma, dove

— Decorazione della Villa Barbaro a Maser (1561 ca.): capolavoro del Veronese, perfettamente armonizzato con la classica concezione architettonica del Palladio; soffitti decorati con scene mitologiche e pareti affrescate con paesaggi incorniciati da scenografiche architetture; — Cena in Emmaus (Parigi, Louvre), Cena in casa di Simone il Fariseo (Torino, Galleria Sabauda), Nozze di Cana (1562-63, Parigi, Louvre): nelle sontuose rappresentazioni delle “Cene” (1559- 60) si riconosce la più caratteristica espressione dell’arte del Vero- nese che, nella descrizione dei conviti, si allontana in modo evi- dente dal soggetto storico rappresentato e si compiace invece della fastosa rappresentazione di una società mondana e raffinata all’interno di sontuose scenografie architettoniche; — Convito in casa Levi (1571-73, Venezia, Accademia): dipinto come Ultima cena per i Domenicani del convento di S. Zanipolo, fu giudicata dall’Inquisizione opera indegna e irriverente; il Veronese riuscì a salvare la sua opera cambiandone il titolo; — Crocifissione (Parigi, Louvre): opera tarda in cui l’artista mostra un nuovo interesse per lo sfondo paesaggistico che interpreta con sensibilità lirica, realizzando uno straordinario sfondo immerso in una suggestiva atmosfera lunare. Jacopo Bassano. Le opere di Jacopo da Ponte (Bassano, 1518-92), esprimono la sua indole profondamente inquieta, oscillante continuamente fra l’intellettualistica ricerca di nuove possibilità formali e l’amore per la realtà colta nei suoi aspetti quotidiani. Ricordiamo: — Decollazione del Battista (1540-50, Copenhagen): il discorso manieristico è interpretato in modo personale e si orienta verso il Manierismo emiliano e d’oltralpe, piuttosto che verso le forme del monumentalismo tosco-romano; rapido disegno dai contorni sinuosi, colori aspri e contrastanti; accostamento di toni caldi e freddi; — Riposo nella Fuga in Egitto (1540-60, Milano, Ambrosiana): accanto ai sacri personaggi l’artista ha voluto rappresentare una mol- titudine di particolari, oggetti domestici ed animali, che conferiscono alla scena il senso familiare di un’immagine di vita quotidiana ambientata in un paesaggio agreste. La produzione del Bassano raggiunge in questo periodo i toni più elevati: Adorazione dei Magi (Edimburgo), Adorazione dei Pastori (Hampton Court); — Opere del 1562-70: il colorismo diventa più morbido, i contorni sono più sfumati ed inizia un incupimento dei colori accompagnato da una nuova nota patetica evidente nel Crocifisso di S. Teonisto (Treviso), nell’Adorazione dei Pastori (Roma, Galleria Corsini; Museo di Bassano) e nell’Adorazione dei Magi (Vienna); — Genere del paesaggio campestre con figure nasce col Bassano e viene poi seguito da una schiera di imitatori; in primo luogo i figli Francesco e Leandro, che dettero vita alla cosiddetta pittura “bassanesca”, con dipinti di mediocre levatura a lungo confusi con le opere del padre. 7) IL RINASCIMENTO IN EUROPA La pittura fiamminga. Nel XV nelle Fiandre e nei Paesi Bassi si sviluppa una originale fioritura artistica, soprattutto grazie all’affermazione di una vivace borghesia urbana. Proprio in queste zone nasce la pittura fiamminga, il cui principale esponente è Jan Van Eyck (1390 ca.-1441), di cui ricordiamo: il Polittico dell’Agnello (1432, chiesa di S. Bavon a Gand), La Madonna del Cancelliere Rolin (Louvre), I Coniugi Arnolfini (Londra, National Gallery). Tutte le sue opere manifestano una originale visione naturalistica e l’attenzione per i particolari. Fra i pittori fiamminghi del Quattrocento vanno ricordati anche Rogier van der Weyden (1400 ca.-1464) e Hugo van der Goes (1440 ca.-1482) il cui Trittico Portinari (Uffizi) destò grande ammirazione nell’ambiente artistico fiorentino della seconda metà del secolo; Hans Memling (1433 ca.-1494), pittore tedesco stabilitosi a Bruges, e Gérard David (1460 ca.-1523), in cui il gusto fiammingo si fonde con influssi italiani. Hieronymus Bosch (1450 ca.-1516) merita un discorso a parte per le sue opere surreali, inquietanti, grottesche, ricche di significati simbolici ed allegorici, come il Carro del Fieno, il Giardino delle Delizie (Prado, Fig. 58) il Giudizio Universale (Vienna). Fra i pittori fiamminghi del Cinquecento ricordiamo Luca di Leyda (1494-1533), Quentin Metsys (1465 ca.-1530), Joachim Patinier (ca. 1475-1524) e Pietr Bruegel il Vecchio (ca.1525-1569), autore di opere di significato allegorico e simbolico, come il Trionfo della Morte (Prado) o la Parabola dei Ciechi e il Misantropo (Napoli, Museo di Capodimonte). La pittura tedesca. Tra i più importanti pittori tedeschi del Rinascimento, ricordiamo: Albrecht Dürer (1471-1528); Lucas Cranach (1472-1553) e Hans Holbein il Giovane (Ritratto di Erasmo da Rotterdam, al Louvre).