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Lezioni di Analisi 2 Elio Cabib [email protected] 2 giugno 2013

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Lezioni di Analisi 2

Elio [email protected]

2 giugno 2013

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Indice

1 Curve e integrali curvilinei 11.1 Considerazioni generali, definizioni ed esempi . . . . . . . . . . . . . . 11.2 Lunghezza di una curva e integrali curvilinei . . . . . . . . . . . . . . . 81.3 Elementi di geometria differenziale delle curve in R3 . . . . . . . . . . 141.4 Integrazione dei campi vettoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

2 Funzioni di piu variabili 252.1 Generalita sulle funzioni di piu variabili . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

3 Calcolo differenziale 273.1 Funzioni di piu variabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273.2 Derivate direzionali e derivate parziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273.3 Funzioni differenziabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 303.4 Derivate successive e formula di Taylor . . . . . . . . . . . . . . . . . . 383.5 Massimi e minimi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 403.6 Funzioni implicite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 443.7 Diffeomorfismi e varieta differenziabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . 493.8 Punti stazionari vincolati, il metodo dei moltiplicatori di Lagrange . . 513.9 Forme differenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 543.10 Espressione delle derivate in vari sistemi di coordinate . . . . . . . . . 543.11 Funzioni omogenee . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 543.12 Funzioni convesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54

4 Integrali multipli 554.1 Alcune relazioni integrali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

5 Successioni e serie di funzioni 575.1 Convergenza puntuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 575.2 Spazi metrici completi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 625.3 Spazi di Banach e di Hilbert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 635.4 Convergenza uniforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 665.5 Passaggio al limite per la derivata e l’integrale . . . . . . . . . . . . . 705.6 Serie di funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 745.7 Gli spazi Lp . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 815.8 Serie di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 845.9 Proiezione su un sottospazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 915.10 Completezza del sistema trigonometrico in L2 . . . . . . . . . . . . . . 955.11 Convergenza puntuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97

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ii INDICE

6 Equazioni e sistemi differenziali 1016.1 Equazioni risolubili mediante integrazione indefinita . . . . . . . . . . 1016.2 Equazioni lineari del I ordine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1056.3 Che cosa sono le equazioni differenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1076.4 Equazioni e sistemi lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110

7 Forme differenziali lineari 1117.1 Questioni inroduttive e definizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1117.2 Forme esatte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1127.3 Formule di Gauss-Green . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115

Bibliografia 119

Indice analitico 119

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Capitolo 1

Curve e integrali curvilinei

1.1 Considerazioni generali, definizioni ed esempi

Immaginiamo di seguire una particella P durante il suo movimento nellospazio. Le varie posizioni che P assume al passare tempo formano una figura geo-metrica che l’esperienza quotidiana ci induce a chiamare curva. Noi chiameremoinvece traiettoria questo insieme, intendendo per curva, nel caso specifico legge delmoto o legge oraria, l’applicazione stessa, che sempre sara definita su un interval-lo, che associa ad ogni istante t la corrispondente posizione P (t). Essa verra in-dicata anche con la notazione x(t) = (x1(t), x2(t), . . . , xn(t)), oppure, facendo ri-ferimento al vettore posizione r = OP rispetto ad un’origine O, con la notazioner(t) = x1(t)e1 + x2(t)e2 + . . . + xn(t)en in termini di una base B = ei di Rn

possibilmente ortonormale.Attribuire pero al parametro t esclusivamente il significato di tempo e un po’ ri-

duttivo. Il punto potrebbe essere vincolato ad una guida che lo costringe a seguireuna traiettoria prestabilita; in questo caso conviene partire da una descrizione pa-rametrica della guida, P (q), che fornisce, al variare di q in un intervallo, le varieposizioni permesse, dette anche posizioni ammissibili. Gli infiniti modi in cui la guidapuo essere percorsa nel tempo corrispondono ad altrettante funzioni q(t), per cui lalegge oraria P (t) viene ad essere in realta la funzione composta P (q(t)). Per fare unesempio, se P = (x, y) si muove secondo la legge

x(t) = r cosωty(t) = r senωt

al variare del tempo t ∈ R, potrebbe trattarsi di un punto libero nello spazio chedeterminate cause costringono ad effettuare un moto circolare ed uniforme, come nelcaso, ad esempio, di una carica elettrica soggetta alla forza di Lorenz, v. Esercizio 1.3.Altrimenti P potrebbe essere a priori vincolato ad una guida circolare di raggio r,immagine della curva ϑ → (r cosϑ, r senϑ), con ϑ ∈ R. In questo caso il motoprecedente e dovuto alla dipendenza di ϑ dal tempo secondo la legge ϑ(t) = ωt, comeavviene nel moto per inerzia. Altri moti possibili, lungo la stessa guida circolare,potrebbero essere per esempio quelli del pendolo o di altri casi ancora, a seconda diquale funzione ϑ(t) venga considerata. Cosı tante curve differenti tra loro possonoavere come immagine la stessa circonferenza x2 + y2 = r2 o un suo arco, le variesituazioni possono differire nella legge oraria e nell’arco su cui avviene il moto.

Se nel caso speciale del tempo abbiamo usato il termine traiettoria, in ogni caso,qualunque sia il significato del parametro t, l’immagine x(t) | t ∈ I, cioe l’insiemedelle posizioni assunte, verra chiamato sostegno della curva x(t). In seguito ad uncambiamento di parametro t = ϕ(τ), con τ ∈ J , la nuova curva y(τ) = x(t(τ)), pur

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2 Curve e integrali curvilinei

distinta da quella iniziale, avra comunque lo stesso sostegno. Nel seguito ci lasceremocomunque prendere dalla tentazione di usare la parola curva per intenderne il sostegno.

Parametri diversi dal tempo intervengono anche in tutti quei casi in cui la curvanon ha a che fare col moto di un punto. Le funi di un ponte sospeso, la catenarialungo la quale si posiziona, in modo naturale, un filo in equilibrio sospeso agli estremi,le configurazioni di una corda vibrante o di una trave, la deviazione di un raggio diluce nelle vicinanze di un campo gravitazionale ecc., sono tutti casi in cui il parametrotempo non interviene, ma riguardano comunque figure che fanno parte della nostraesperienza e che vale la pena descrivere con linguaggio matematico appropriato, alpari del movimento di un punto.

Ci chiediamo adesso: quali proprieta deve possedere una funzione x : I → Rn

affinche rispecchi l’idea che ci siamo fatti di curva? Se si pensa ad essa come ad unatrasformazione topologica che deforma l’intervallo I nel sostegno, senza rimuovere oseparare delle parti mediante tagli o attaccarne di altre, come quando si piega untratto di fil di ferro, evidentemente deve essere iniettiva, dato che punti distinti nellaconfigurazione iniziale devono rimanere distinti fino a quella finale. Tuttavia esisteun esempio dovuto a Cantor, piu interessato ai paradossi dell’infinito che non allecurve, di funzione bigettiva che manda un segmento in un intero quadrato, questacertamente non puo essere accettata come curva. Costruirla non e difficile, ad ogninumero reale t dell’intervallo ]0, 1[, t = 0.t1t2 . . . th . . ., si fa corrispondere la coppia(x, y) = (0.t1t3 . . . t2h+1 . . . , 0.t2t4 . . . t2h . . .). D’altra parte per la natura stessa diuna deformazione e ragionevole aggiungere l’ipotesi di continuita, ma anche in questocaso c’e un esempio di Peano di funzione iniettiva e continua da un intervallo in unquadrato la cui immagine e un insieme che ricopre ”quasi tutto” il quadrato e hadimensione maggiore di 1, anzi, addirittura pari a 2 come il quadrato stesso.

Per evitare sorprese di questo genere dobbiamo richiedere almeno la derivabilita,condizione dalla quale ci aspettiamo l’esistenza della retta tangente. Trattandosiancora di funzioni di una sola variabile, pur a valori in Rn, la situazione non emolto diversa da quella che abbiamo gia visto, comunque per completezza, diamola definizione di derivata anche in questo contesto, facendola precedere dalla nozionedi funzione continua.

Definizione 1.1 L’applicazione x : I → R e continua in t0 ∈ I se

∀ε > 0 ∃δ > 0 : ∀t ∈ I |t− t0| < δ ⇒ |x(t)− x(t0)| < ε .

Diciamo che essa e continua su I se e continua in ogni punto di I, in questo casodiciamo che appartiene a C0(I).

Dato che ogni punto di un intervallo e anche, per esso, di accumulazione, e lecitoricorrere al concetto di limite per esprimere la continuita

limt→t0

x(t) = x(t0) oppure limt→t0|x(t)− x(t0)| = 0 .

Tenendo presente che

|xi(t)− xi(t0)| ≤ |x(t)− x(t0)| 6 √n supk|xk(t)− xk(t0)| ∀i = 1, . . . , n ,

possiamo anche dire che x(t) e continua se e solo se lo e ogni sua componente.Veniamo alla derivata. A partire da un punto fissato x(t0) del sostegno, si consi-

dera il vettore spostamento x(t)− x(t0).

Definizione 1.2 Se esiste ed e finito il limite

x′(t0) = limt→t0

x(t)− x(t0)t− t0

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1.1 Considerazioni generali, definizioni ed esempi 3

allora diciamo che la funzione t → x(t) e derivabile in t0 e che x′(t0) ne e laderivata in t0. Se cio avviene in ogni punto t ∈ I x(t) viene detta derivabile in I erimane ben definita la derivata come funzione t→ x′(t) su I. In componenti

x′(t) = (x′1(t), x′2(t), . . . , x′n(t)) .

La retta passante per il punto x(t0) e avente la direzione di un vettore v 6= 0 e ilsostegno della curva

t→ y(t) = x(t0) + v(t− t0) , t ∈ R

ed e evidente che il vettore che unisce il punto y(t) di questa retta con il punto x(t),cioe il vettore x(t) − y(t) = x(t) − x(t0) − v(t − t0), e, per ogni v, infinitesimo pert → t0 se e solo se x(t) → x(t0) che equivale alla continuita in t0. Ma per qualescelta del vettore v ∈ Rn−0 la relativa retta e, tra queste, quella che ”meglio dellealtre approssima” la curva nell’intorno del punto x(t0)? In altre parole, per quale vla differenza x(t)− y(t) e un infinitesimo di ordine superiore a t− t0? Se x′(t0) esiste

limt→t0

x(t)− y(t)t− t0

= limt→t0

x(t)− x(t0)− x′(t0)(t− t0)t− t0

= limt→t0

(x(t)− x(t0)

t− t0− x′(t0)

)= 0

allora il vettore v che soddisfa questa proprieta e x′(t0). Viceversa se v soddisfa

limt→t0

x(t)− x(t0)− v(t− t0)t− t0

= 0

si ottiene subito

v = limt→t0

x(t)− x(t0)t− t0

= x′(t0) .

Cio mostra l’equivalenza tra la derivabilita e la differenziabilita, ma mette anche inevidenza che, se x′(t0) 6= 0, e sensato chiamare retta tangente alla curva nel punto t0la retta sostegno della curva

t→ y(t) = x(t0) + x′(t0)(t− t0) .

Quale tra tutte queste rette e, se esiste, quella che meglio approssima la curva nel

v

x(t) + hv •

x(t)

x(t+ h)

••

@@@@

@@

@@I*

Figura 1.1: vettore tangente

punto x(t)? Dobbiamo imporre che l’espressione (??) sia un infinitesimo di ordinesuperiore ad h per h→ 0. Se per qualche v tale proprieta e soddisfatta allora diciamoche x(t) e differenziabile in t e il differenziale in t e l’applicazione lineare h→ v(t)h.Supponiamo dunque che per qualche v si abbia

limh→0

x(t+ h)− x(t)− hvh

= limh→0

(x(t+ h)− x(h)

h− v

)= 0 ,

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4 Curve e integrali curvilinei

allora

v(t) = limh→0

x(t+ h)− x(h)h

= x′(t) .

La differenziabilita mette forse meglio in evidenza il ruolo geometrico della tangente,ma e equivalente alla derivabilita. Nel caso non sia nullo, x′(t) e il vettore tangentementre h → x(t) + hx′(t) e l’equazione parametrica della retta tangente nel puntox(t) della curva. Se si tratta della legge del moto di un punto la derivata e proprio lavelocita e viene usualmente indicata con la notazione x(t), oltreche con v(t).

Diciamo che x(t), con t ∈ I, e di classe C1(I) se x′ esiste su I ed e continua.In condizioni di sufficiente regolarita possiamo considerare le derivate successive, adesempio la derivata seconda

x′′(t) = limh→0

x′(t+ h)− x′(t)h

,

sempre che questo limite esista finito, e poi, in modo analogo, la derivata terza e cosıvia. Derivando la velocita si ottiene l’accelerazione

a(t) = v(t) = limh→0

v(t+ h)− v(t)h

.

E facile immaginare quali proprieta delle derivate si possano generalizzare dalle funzio-ni scalari di una variabile al nostro caso dei campi vettoriali funzioni di un parametro.Ad esempio i teoremi algebrici valgono ancora, eccetto ovviamente quelli in cui nonha senso l’operazione, la formula della derivata di un prodotto di composizione valeancora, ma ne parleremo a proposito del cambiamento di parametro, i teoremi deltipo Rolle, valor medio ecc. valgono ancora, ma componente per componente. Visono d’altra parte i casi nuovi del prodotto scalare e del prodotto vettoriale, ma sonofacilmente riconducibili al caso noto del prodotto.

Esercizio 1.1 Dimostrare che se x(t) e y(t), con t ∈ I, sono derivabili alloraanche il loro prodotto scalare x(t) · y(t) e derivabile e

d

dtx(t) · y(t) = x′(t) · y(t) + x(t) · y′(t) .

Esercizio 1.2 Sotto le stesse ipotesi dell’Esercizio 1.1, ma con n = 3, dimostrareche

d

dtx(t)× y(t) = x′(t)× y(t) + x(t)× y′(t) .

Come applicazione dell’Esercizio 1.1 mostriamo che se un vettore ha modulo costanteallora la sua derivata e ad esso ortogonale, infatti

0 =d

dt|x(t)|2 =

d

dt(x · x) = 2x(t) · x′(t) ,

cio spiega perche nei moti uniformi, quelli che avvengono con velocita di modulocostante, l’accelerazione rimane sempre ortogonale alla velocita, e infatti e centripeta.Un’altra conseguenza e la formula di derivazione del modulo: per quei valori di t taliche x(t) 6= 0, essendo anche

d

dt|x(t)|2 = 2|x(t)| d

dt|x(t)| ,

per confronto con la precedente si ottiene

d

dt|x(t)| = x(t)

|x(t)| · x′(t) = versx(t) · x′(t) .

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1.1 Considerazioni generali, definizioni ed esempi 5

Esercizio 1.3 Quali sono i possibili moti di una particella carica e libera nellospazio, sede di un campo magnetico costante?

Indicati con m e q la massa e la carica del punto e con B il campo magnetico, usiamola legge fondamentale della dinamica

(1.1) ma = qv ×B ,

dove compare a secondo membro la forza di Lorenz. Rispetto ad una base col terzoversore concorde con B, per cui B = Be3 con B > 0, si ha v ×B = v2Be1 − v1Be2

e, posto ω = qB/m, l’equazione del moto si traduce nel sistema v1 = ωv2

v2 = −ωv1

v3 = 0

da cui si ricava l’equazione v1 = −ω2v1. Integrando si ottengono i moti elicoidali euniformi x1(t) = a cos(ωt− α)

x2(t) = a sen(ωt− α)x3(t) = bt+ c t ∈ R

con asse parallelo a B. Dunque le traiettorie sono eliche cilindriche di passo costantepari a 2πb/ω (v. fig. 1.2) tra le quali figurano anche le circonferenze di centro 0,giacenti sui piani ortogonali a B. I moti circolari si ottengono se b = 0, cioe se lavelocita iniziale lungo e3 e nulla.

Esercizio 1.4 Risolvere il problema del moto come nell’esercizio precedente sup-ponendo che sia presente anche un campo elettrico costante E, per cui l’equazionediventa ma = q(E + v ×B) .

B 6

Figura 1.2: Elica cilindrica

Neanche per l’integrale ci sono differenze sostanziali rispetto a quanto detto per lefunzioni a valori reali, basta che le singole componenti siano tutte integrabili sullostesso intervallo I e ci si puo ridurre all’integrazione componente per componente,per cui ∫

I

x(t)dt =(∫

I

x1(t)dt,∫I

x2(t)dt, . . . ,∫I

xn(t)dt).

Esercizio 1.5 Dimostrare il teorema fondamentale del calcolo: Se x(t) e integra-bile su I e continua in un punto t ∈ I allora la sua funzione integrale e derivabilenello stesso punto e vale la relazione

d

dt

∫ t

a

x(τ)dτ = x(t) .

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6 Curve e integrali curvilinei

Infine, riguardo al passaggio del modulo da fuori a dentro l’integrale, vale ancora ladisuguaglianza

(1.2)∣∣∣∣∫I

x(t)dt∣∣∣∣ ≤ ∫

I

|x(t)|dt .

Infatti, definito il vettore

a =∫I

x(t)dt ,

se a = 0 la (1.2) e banalmente vera e non c’e niente da dimostrare, altrimenti si ha

|a|∣∣∣∣∫I

x(t)dt∣∣∣∣ = a ·

∫I

x(t)dt =∫I

a · x(t)dt ≤∫I

|a||x(t)|dt = |a|∫I

|x(t)|dt ,

da cui segue la (1.2) dividendo per |a|.Da ora in poi conviene indicare curva e vettore tangente con le notazioni x =

ϕ(t) = (ϕ1(t), ϕ2(t), . . . , ϕn(t)) e ϕ′(t) = (ϕ′1(t), ϕ′2(t), . . . , ϕ′n(t)) rispettivamente.Riprendiamo adesso, dopo aver osservato che continuita e iniettivita sono insuf-

ficienti, la questione riguardante la regolarita che deve possedere un’applicazioneϕ : I → Rn perche possa ritenersi una curva. Se vediamo in che cosa differisceuna linea curva da una retta, e evidente che la prima rivela in generale una spiccatatendenza a discostarsi dalla sua tangente, ma e proprio questa che viene a mancare senon si assume anche la derivabilita. E ragionevole quindi ritenere che questa proprietasia essenziale. D’altra parte, ci chiediamo, l’appartenenza a C1 garantisce veramentel’esistenza della retta tangente? La curva

(1.3)

x(t) = t2

y(t) = t3 t ∈ [−1, 1]

e di classe C∞, ma presenta una cuspide in (0, 0). Il motivo sta nel fatto che si annullail vettore tangente, cioe si annullano insieme, per lo stesso valore t = 0, entrambe lederivate x′(0) e y′(0), v. Figura 1.3.

6

-x

y

Figura 1.3: Curva C∞ con cuspide

Questa situazione non si verifica per quelle curve la cui regolarita rientra nellaseguente definizione.

Definizione 1.3 Una curva ϕ : I → Rn viene detta regolare se ϕ ∈ C1(I) eϕ′(t) 6= 0 per ogni t ∈ I escluso al piu gli estremi.

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1.1 Considerazioni generali, definizioni ed esempi 7

Osservazione 1.4 E bene sottolineare che la condizione contemplata nella Defi-nizione 1.3 e solo sufficiente per l’esistenza della retta tangente, le curve ϕ(t) = (t, t2)e ψ(t) = (t3, t6), con t ∈ [−1, 1], hanno lo stesso sostegno con le stesse rette tangenti,ma ϕ e regolare mentre ψ′(0) = 0. In altre parole, puo annullarsi, o meglio, nonesistere il vettore tangente senza pregiudicare l’esistenza della retta tangente.

Un po’ piu generale e invece la seguente, nella quale si riconoscono quelle curve chepossiedono una quantita finita di punti angolosi e cuspidi. Nei punti angolosi letangenti da una parte e dall’altra sono distinte come avviene in una poligonale, unaunione finita di segmenti consecutivi.

Definizione 1.5 Una curva ϕ : [a, b] → Rn viene detta regolare a tratti seϕ ∈ C0[a, b] ed esiste una partizione finita di [a, b] con i punti t0 = a < t1 < t2 <. . . < tk = b tale che ϕ e regolare su ogni intervallo [ti−1, ti].

La (1.3) non e regolare, ma regolare a tratti. Se adesso al posto [a, b] si considera unintervallo qualunque, eventualmente illimitato, sarebbe troppo restrittivo imporre chei punti irregolari rimangano una quantita finita, cio che invece ci interessa escludere eche non si ”addensino” eccessivamente, che non abbiano punti di accumulazione. Perquesto e necessario dare anche la seguente definizione.

Definizione 1.6 Una curva ϕ : I → Rn viene detta regolare a tratti se ϕ ∈C0(I) ed e regolare a tratti su ogni intervallo [a, b] ⊂ I.

Definizione 1.7 Una curva regolare a tratti ϕ : [a, b]→ Rn viene detta semplicese

∀t1, t2 ∈ [a, b], di cui almeno uno in (a, b) , si ha ϕ(t1) 6= ϕ(t2) .

In particolare e semplice e chiusa se ϕ(a) = ϕ(b).

Esercizio 1.6 Disegnare la curvax(t) = t2 − 1y(t) = t(t2 − 1)

e stabilirne il carattere scegliendo separatamente, per il parametro t, gli intervalli[−2, 2], [−2, 1] e [−1, 1].

A partire da una curva ϕ(t), con t ∈ [a, b], mediante un cambio di parametro t(τ),con τ ∈ [α, β], se ne ottiene un’altra ψ(τ) = ϕ(t(τ)). Si deve richiedere alla funzionet(τ) di essere bigettiva in modo che ϕ e ψ non solo abbiano lo stesso sostegno, ma lopercorrano nello stesso modo: se ad esempio una lo percorre una sola volta, lo stessodeve accadere per l’altra, se una si ferma in una certa posizione e poi torna indietro,allo stesso modo si deve comportare l’altra. Inoltre dobbiamo richiedere che t(τ) sia diclasse C1 perche sia conservata anche la regolarita nel passaggio da una curva all’altra.Ma allora la bigettivita e assicurata se si suppone che t(τ) abbia derivata t′(τ) 6= 0ovunque. Chiaramente, poiche t′(τ) e continua, per il teorema degli zeri non potraassumere su [α, β] valori di segno opposto e t(τ) sara quindi strettamente monotona.Per ben noti risultati l’inversa τ(t) esiste in C1[a, b], e monotona nello stesso senso eτ ′(t) = 1/t′(τ(t)). Con queste proprieta t(τ) prende il nome di diffeomorfismo. Essen-do ψ′(τ) = ϕ′(t(τ))t′(τ), se t′ > 0, per cui ϕ(a) = ψ(α) e ϕ(b) = ψ(β), t e crescentee le due curve percorrono il loro comune sostegno nello stesso senso, altrimenti nelsenso opposto, con ϕ(a) = ψ(β) e ϕ(b) = ψ(α), nel caso decrescente. A seconda deicasi i corrispondenti vettori tangenti hanno lo stesso verso o versi opposti.

Un cambio di parametro che conserva l’orientamento e ad esempio

t(τ) = a+ τ(b− a) , τ ∈ [0, 1] ,

se a < b. Se invece vogliamo invertire il verso di percorrenza, si possiamo sceglieret(τ) = a+ b− τ , con τ ∈ [a, b], oppure t(τ) = b+ τ(a− b), con τ ∈ [0, 1].

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8 Curve e integrali curvilinei

Definizione 1.8 Diciamo che due curve ϕ : [a, b] → Rn e ψ : [α, β] → Rn sonoequivalenti, e si scrive ϕ ∼ ψ, se esiste un cambio di variabile t : [α, β] → [a, b] diclasse C1, con derivata t′(τ) 6= 0 per ogni τ ∈ [α, β], tale che ψ(τ) = ϕ(t(τ)).

Se ci interessa che venga conservato il verso di percorrenza, dobbiamo dare la seguentedefinizione piu restrittiva.

Definizione 1.9 Due curve ϕ : [a, b] → Rn e ψ : [α, β] → Rn sono equivalenticome curve orientate, e si scrive ϕ~∼ψ, se esiste un cambio di variabile t : [α, β]→[a, b] di classe C1, con derivata t′(τ) > 0 per ogni τ ∈ [α, β], tale che ψ(τ) = ϕ(t(τ)).

Esercizio 1.7 Dimostrare che le precedenti sono effettivamente relazioni di equi-valenza tra curve.

Definizione 1.10 Ogni classe di equivalenza di curve nel senso della prima defi-nizione si chiama cammino, nel senso della seconda cammino orientato.

Esercizio 1.8 Due curve, una semplice e l’altra no, anche se hanno lo stessosostegno non possono essere equivalenti.

Definire l’equivalenza tra curve e un rimedio per conciliare due esigenze diverse: daun lato siamo interessati alla curva in se nel senso concreto del termine, alla linea chesi vede, che si vuole descrivere o disegnare, dall’altro, per fare i conti che servono,bisogna usare la curva nel senso della parametrizzazione di cui essa e il sostegno. Ora,se gia disponiamo della curva come funzione possiamo disegnarne il sostegno e nonsi pone alcun problema. Ma, viceversa, di curve con lo stesso sostegno ve ne sonoinfinite, si pone allora la questione: dato il sostegno, esiste un criterio per stabilirecome va scelta la curva? quale e la piu adatta, quale e meglio delle altre? Le duecurve dell’Osservazione 1.4, entrambe semplici, hanno come sostegno lo stesso arco diparabola, ma non sono equivalenti per l’annullarsi in 0 della derivata del cambio diparametro, t(τ) = τ3, e infatti una e regolare e l’altra no. L’usuale parametrizzazionedella circonferenza da luogo a curve diverse a seconda che si definiscano su [0, 2π] osu [0, 4π], ma non sono equivalenti, una e semplice e l’altra no, entrambe pero sonoregolari.

La domanda come e stata formulata non ha molto senso, per stabilire quale curvae piu adatta di altre deve essere chiaro rispetto a quali problemi. Piu adatta a fareche? Certo, una volta che il problema e stato posto ha senso chiedersi quale tipodi rappresentazione e meglio usare. Il teorema seguente puo essere utile nei casi incui la scelta della parametrizzazione non e rilevante perche le grandezze con cui silavora sono piu direttamente legate al sostegno che non alle curve che lo descrivono.E naturale, se non ovvio, aspettarsi per esempio che la lunghezza, comunque la sidefinisca, dovra essere invariante per curve equivalenti. Il teorema ci permette diidentificare un sottoinsieme di Rn, sostegno di una curva regolare e semplice, con uncammino, precisamente con la totalita delle curve ad essa equivalenti e quindi, infine,con un suo rappresentante. Non sarebbe restrittivo, quindi, trattandosi di cammini,supporre che l’intervallo dove varia il parametro sia [0, 1].

Teorema 1.11 Due curve regolari e semplici che hanno lo stesso sostegno sonotra loro equivalenti.

Da ora in poi, a meno di avviso contrario, useremo i termini curva e cammino, comesinonimi.

1.2 Lunghezza di una curva e integrali curvilinei

Per misurare la lunghezza di una curva limitata, condizione senz’altro verifi-cata se il parametro varia in un intervallo compatto, il metodo piu intuitivo e quello

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1.2 Lunghezza di una curva e integrali curvilinei 9

di misurare una spezzata ottenuta riportando, uno di seguito all’altro, segmenti dilunghezza nota con gli estremi sulla curva. Tale misura non e certamente esatta,ma lo sara tanto di piu quanto maggiore e il numero dei segmenti, e quindi quan-to minore e la loro lunghezza. Potrebbe accadere che migliorando l’approssimazionein questo modo le lunghezze delle spezzate tendano verso un limite finito, in questocaso diciamo che la curva e rettificabile ed e ragionevole assumere questo numerocome lunghezza della curva. Altrimenti, se dovessero superare valori arbitrariamentegrandi, la curva non puo che avere lunghezza infinita. Indagare sulla natura dellacurva in questa situazione non rientra tra i nostri scopi, ma ci possiamo limitare aosservare che ad essa si addice un’opportuna nozione di misura α−dimensionale do-vuta ad Hausdorff. Potra per esempio essere α = 2 se la curva invade a tal puntouna regione superficiale da ammettere come misura piu appropriata quella dell’area,altrimenti, se l’area e nulla, deve esistere un particolare valore di α ∈ (1, 2) per ilquale la curva ha misura α−dimensionale finita e non nulla. Consideriamo un’appli-

hhhhhhh

AAAA

ϕ(ti−1)ϕ(ti)

Figura 1.4: Approssimazione con una spezzata

cazione ϕ : [a, b] → Rn e una partizione finita P di [a, b] corrispondente ai numerit0 = a < t1 < t2 < . . . < tk = b. La spezzata S che viene a formarsi lungo il sostegnodi ϕ mediante i punti ϕ(ti) ha come lunghezza

(1.4) L(S) =k∑i=1

|ϕ(ti)− ϕ(ti−1)| .

Ovviamente la partizione con il minor numero di punti e quella definita da t0 = a et1 = b, alla quale corrisponde l’approssimazione piu grossolana |ϕ(b)− ϕ(a)| che e lalunghezza del segmento con gli stessi estremi della curva, dunque, qualunque sia P,si ha

(1.5) L(S) ≥ |ϕ(b)− ϕ(a)| .

Definizione 1.12 Diciamo che ϕ e rettificabile se

L(ϕ) = supP

k∑i=1

|ϕ(ti)− ϕ(ti−1)| < +∞ ,

in tal caso L(ϕ) e la lunghezza di ϕ.

Esercizio 1.9 Verificare che se la definizione e soddisfatta su [a, b] lo sara amaggior ragione su ogni intervallo contenuto.

Per quanto non del tutto banale da dimostrare, vale anche la seguente proprieta.

Esercizio 1.10 Per ogni c ∈ [a, b] si ha

L(S[a,c]) + L(S[c,b]) = L(S[a,b]) ,

dove le spezzate sono state indicate con i relativi intervalli.

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10 Curve e integrali curvilinei

Una funzione f definita su un intervallo I che soddisfa la Definizione 1.13 viene anchedetta a variazione limitata e si scrive f ∈ BV (I) (dall’inglese bounded variation). Percapire l’idea che sta dietro a questo concetto, prendiamo il caso di una funzione avalori reali definita su [a, b]. La sua variazione totale

V ba (f) = supP

k∑i=1

|f(xi)− f(xi−1)|

e esattamente la misura complessiva di quanto f varia sommando con segno positivosia le salite che le discese. Se f e costante ha variazione totale nulla, se f(x) = senxha variazione totale pari a 4 su [0, 2π], ma pari a 6 su [0, 3π]. La variazione totale hasenso per qualunque funzione, se f e discontinua e vale x su [0, 1] e 3−x su (1, 2] la suavariazione totale e 3, vanno misurati anche i salti. Il caso di f monotona, mettiamocrescente, e particolarmente semplice e aiuta a capire anche gli altri casi: qualunquesia la partizione P risulta

k∑i=1

|f(xi)− f(xi−1)| =k∑i=1

[f(xi)− f(xi−1)] = f(b)− f(a)

come ci si aspettava. Il risultato sarebbe stato identico, cioe f(a) − f(b) perche inrealta del valore assoluto si tratta, nel caso decrescente.

Vediamo un controesempio. La funzione

f(x) = x sen1x

∀x ∈ [0, 2/π] ,

dove si puo supporre f(0) = 0, non e a variazione limitata. Consideriamo la partizionefinita di [0, 2/π] mediante i punti

xk+1 = 0 e xh =1

π

2+ hπ

se 0 ≤ h ≤ k .

Allora per 1 ≤ h ≤ k si ha

|f(xh)− f(xh−1)| =

∣∣∣∣∣∣ (−1)hπ

2+ hπ

− (−1)h−1

π

2+ (h− 1)π

∣∣∣∣∣∣ =2π

(1

2h+ 1+

12h− 1

)>

1πh

,

da cuik∑h=1

|f(xh)− f(xh−1)| > 1π

k∑h=1

1h.

Passando, a sinistra, all’estremo superiore su tutte le partizioni si ottiene

V2/π0 (f) >

k∑h=1

1h

∀k ∈ N

e passando ora al limite per k → ∞ sulla successione a destra si ottiene V 2/π0 (f) =

+∞.Se invece di f si considera la curva cartesiana ϕ(x) = (x, f(x)) sullo stesso intervallo,che ha come sostegno il grafico di f , nella sua variazione totale compaiono anche levariazioni di x

V2/π0 (ϕ) = sup

P

k∑h=1

√(xh − xh−1)2 + (f(xh)− f(xh−1))2 ≥ sup

P

k∑h=1

|f(xh)−f(xh−1)| ,

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1.2 Lunghezza di una curva e integrali curvilinei 11

quindi il grafico di f non e rettificabile a causa del fatto che f non e a variazionelimitata.

Nel seguente teorema si dimostra che ogni curva regolare a tratti e rettificabile esi da la formula per calcolarne la lunghezza.

Teorema 1.13 Ogni curva ϕ : [a, b]→ Rn regolare a tratti e rettificabile e

L(ϕ) =∫ b

a

|ϕ′(t)|dt .

Dimostrazione. La prima affermazione e immediata. Scelta infatti una partizioneP qualsiasi con le notazioni usate nella (1.4), si ha

k∑i=1

|ϕ(ti)− ϕ(ti−1)| =k∑i=1

∣∣∣∣∣∫ ti

ti−1

ϕ′(t)dt

∣∣∣∣∣ ≤k∑i=1

∫ ti

ti−1

|ϕ′(t)|dt =∫ b

a

|ϕ′(t)|dt .

Per le ipotesi fatte su ϕ l’integrale a destra e finito e non dipende dalla partizionescelta a sinistra. Dunque la curva e rettificabile e passando all’estremo superiore alprimo membro si ottiene

L(ϕ) ≤∫ b

a

|ϕ′(t)|dt .

Dimostriamo adesso l’altra disuguaglianza non solo su [a, b], ma direttamente su ogniintervallo [a, t], con t ∈ [a, b], sfruttando gli Esercizi 1.9 e 1.10. Ci fa comodo quasupporre che ϕ sia regolare anziche regolare a tratti (situazione cui possiamo semprericondurci ragionando su ogni sottointervallo dove e regolare) e indichiamo con s(t)la lunghezza della curva relativa all’intervallo [a, t], cioe s(t) = V ta (ϕ). Per t0 < t (pert < t0 si ragiona nello stesso modo), dalla (1.5) e dall’Esercizio 1.10 si ottiene

|ϕ(t)− ϕ(t0)| ≤ s(t)− s(t0) ≤∫ t

t0

|ϕ′(τ)|dτ

e quindi ∣∣∣∣ϕ(t)− ϕ(t0)t− t0

∣∣∣∣ ≤ s(t)− s(t0)t− t0

≤ 1t− t0

∫ t

t0

|ϕ′(τ)|dτ .

Ora, il primo membro converge a |ϕ′(t0)| perche ϕ e derivabile e il terzo tende allostesso limite perche ϕ′ e continua, quindi, fatte queste considerazioni per ogni valoredel parametro, esiste la derivata di s(t) e

(1.6) s′(t) = |ϕ′(t)| ,

da cui si deduce anche che t→ s(t) e di classe C1[a, b] e

(1.7) s(t) =∫ t

a

|ϕ′(τ)|dτ ,

in particolare

s(b) = L(ϕ) =∫ b

a

|ϕ′(t)|dt .

2Che si tratti di funzioni scalari o vettoriali, definite su un intervallo I, il Teore-

ma 1.13 puo essere interpretato anche cosı:

C1[a, b] ⊂ BV [a, b] e V ba (f) =∫ b

a

|f ′(x)|dx ∀f ∈ C1[a, b] .

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12 Curve e integrali curvilinei

La (1.7) puo essere interpretata come un cambio di parametro crescente, ma sa-rebbe stato decrescente se avessimo calcolato la lunghezza a partire dall’estremo b,infatti

s(t) =∫ b

t

|ϕ′(τ)|dτ ⇒ s′(t) = −|ϕ′(t)| < 0 .

Comunque non e necessario scegliere s = 0 in corrispondenza di uno degli estremi,del resto cio e inevitabile se l’intervallo e tutto R. Se nella (1.7) si sceglie a internoall’intervallo, s(t) assume valori di segno opposto, da una parte e dall’altra di a, purrimanendo strettamente monotona e con derivata di segno costante. Il parametro sintrodotto nel Teorema 1.13 si chiama ascissa curvilinea o arco.

Esercizio 1.11 Dimostrare che se ϕ : [a, b] → Rn e ψ : [a,b] → Rn sonoequivalenti, se una di esse e rettificabile allora lo e anche l’altra e∫ b

a

|ϕ′(t)|dt =∫ b

a

|ψ′(τ)|dτ .

E dunque lecito prescindere dalla particolare curva di una classe di equivalenza e fareriferimento al cammino γ ponendo

L(γ) =∫γ

ds =∫I

|γ′(t)|dt ,

dove I e un intervallo qualunque su cui e definita una curva della classe (cammino)γ.

Per meglio chiarire il significato geometrico e l’uso di s, scriviamo la relazione (1.6)nella forma

(1.8)ds

dt=

√(dx1

dt

)2

+(dx2

dt

)2

+ . . .+(dxndt

)2

.

Risulta allora che la metrica sulla curva viene generata dall’elemento infinitesimo dilunghezza

(1.9) ds =√dx2

1 + dx22 + . . .+ dx2

n ,

in accordo con la metrica euclidea di Rn. E naturale dunque che per gli integralicurvilinei si usi una notazione che contenga ds come elemento di integrazione.

Nel caso di una curva cartesiana piana, grafico di una funzione f ∈ C1[a, b], definitala curva

x = ty = f(t) , t ∈ [a, b] ,

l’ascissa curvilinea e data da

ds

dt=√

1 + f ′(t)2 ,

da cui segue la formula della lunghezza

L =∫ b

a

√1 + f ′(t)2dt .

Ovviamente ci si puo arrivare anche con la (1.9)

ds =√dx2 + dy2 =

√1 +

(dy

dx

)2

dx .

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1.2 Lunghezza di una curva e integrali curvilinei 13

Se invece la curva e data in coordinate polarix = ρ(ϑ) cosϑ

y = ρ(ϑ) senϑ , ϑ ∈ I ,si ottiene

ds

dϑ=√ρ(ϑ)2 + ρ′(ϑ)2

e quindi

(1.10) L =∫I

√ρ(ϑ)2 + ρ′(ϑ)2dϑ .

Siano Ω un aperto contenuto in Rn, f : Ω → R una funzione continua e γ uncammino regolare a tratti e rettificabile, contenuto in Ω, su cui f e limitata. Lafunzione t → f(γ(t)), che e una rappresentazione parametrica della restrizione f|γ , econtinua e quindi integrabile su I.

Definizione 1.14 Si chiama integrale di f su γ il numero∫γ

fds =∫I

f(γ(t))|γ′(t)|dt .

In particolare riconosciamo la lunghezza di γ se f e la funzione costante pari a 1.Questa definizione ha senso perche si verifica facilmente che qualunque sia la curvadella classe di γ, se inserita al posto di γ si ottiene sempre lo stesso risultato, inoltre,per le ipotesi fatte, si ha∣∣∣∣∫

I

f(γ(t))|γ′(t)|dt∣∣∣∣ ≤ L(γ) sup

t∈I|f(t)| < +∞ .

Esercizio 1.12 Trovare il tensore d’inerzia nel riferimento dei tre assi x, y e zdella spirale logaritmica di equazione ρ(ϑ) = ke−ϑ, dove ϑ ≥ 0 e k > 0 e una costanteassegnata, contenuta nel piano (x, y).

I momenti richiesti sono i seguenti integrali curvilinei

Ix =∫γ

y2ds , Iy =∫γ

x2ds , Iz = Ix+Iy , Ixy = −∫γ

xyds e Ixz = Iyz = 0 .

Usiamo adesso la relazione (1.10) tra l’elemento d’arco e la variazione d’angolo eapplichiamo la Definizione 1.14

Ix =∫ +∞

0

k2e−2ϑ sen2 ϑ√k2e−2ϑ + k2e−2ϑdϑ = k3

√2∫ +∞

0

e−3ϑ sen2 ϑdϑ

=k3

√2

∫ +∞

0

e−3ϑ(1− cos 2ϑ)dϑ .

Allo stesso modo si ricava

Iy =k3

√2

∫ +∞

0

e−3ϑ(1 + cos 2ϑ)dϑ e Ixy = − k3

√2

∫ +∞

0

e−3ϑ sen 2ϑdϑ .

Con facili calcoli si trova ∫ +∞

0

e−3ϑdϑ =13,

∫ +∞

0

e−3ϑ(cos 2ϑ+ i sen 2ϑ)dϑ =∫ +∞

0

e(−3+2i)ϑ =1

−3 + 2i

[e(−3+2i)ϑ

]+∞0

=3 + 2i

13,

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14 Curve e integrali curvilinei

e quindi si ottengono i seguenti risultati

Ix =2k3√

239

, Iy =11k3

√2

39, Ixy = −k

3√

213

, Iz = Ix + Iy =k3√

23

.

Il tensore richiesto e dunque rappresentato dalla matrice

k3√

239

11 −3 0−3 2 00 0 13

e con questa rappresentazione possiamo poi calcolare i momenti principali d’inerzia ei relativi assi principali.

La spirale di Archimede e la traiettoria, nel riferimento assoluto, di un punto chesi muove, con velocita relativa costante, dal centro verso il bordo, lungo un raggio, diun disco rotante attorno al suo centro con velocita angolare costante. Infatti, se lalegge del moto e ρ(t) = vt lungo una semiretta r solidale al disco e con origine nelcentro, rispetto ad un sistema di riferimento fisso (x, y) con la stessa origine, il versoredi r ha componenti (cosωt, senωt). Di conseguenza, in tale riferimento la legge delmoto e

x(t) = vt cosωty(t) = vt senωt .

1.3 Elementi di geometria differenziale delle curvein R3

Esprimiamo adesso un dato cammino regolare x = γ(t) in termini dell’arcos considerando la funzione composta x(s) = γ(t(s)). Ricordando la (1.6), il vettoretangente che si ottiene derivando rispeto ad s e un versore, infatti

T(s) = x′(s) = γ′(t(s))t′(s) =γ′(t)s′(t) |t=t(s)

=γ′(t)|γ′(t)| |t=t(s)

.

Naturalmente si poteva considerare l’orientamento opposto per l’arco, in tal casoavremmo ottenuto il verso opposto anche per T, questo vettore e orientato nellostesso senso di s.

Supponiamo adesso che la curva sia almeno di classe C3. Il vettore x′′(s) =T′(s) e, ricordiamo, ortogonale a T(s) stesso in quanto avente modulo costante. Nesegue che esiste una funzione χ(s) ≥ 0 e un versore N(s) ortogonale a T tale cheT′(s) = χ(s)N(s). Tra tutti i vettori ortogonali a T, formanti il piano normale,N e uno di questi e si chiama normale principale. Dobbiamo pero osservare chein corrispondenza di quei valori di s per cui χ(s) = 0 la normale principale non edeterminata in quanto tale, per essa puo essere scelto un versore normale qualsiasi.Al piano normale appartiene anche il versore B = T × N che prende il nome dibinormale.

Vediamo adesso il significato geometrico delle funzioni χ e N. Fissato un parti-colare punto della curva, per esempio P0 = x(0), poniamo T = x′(0) e supponiamoχ(0) > 0. Consideriamo la totalita dei versori n normali a T, tra cui figura ancheN, e il fascio di piani (T,n) al variare di n. Ogni cerchio tangente alla curva in P0

deve giacere in uno di questi piani e noi vogliamo determinare, tra tutti questi cerchi,quello che ha un contatto con la curva in P0 di ordine superiore agli altri. Il genericodi essi e, nel riferimento (T,n), il sostegno della curva

y(σ) = r[sen

σ

rT +

(1− cos

σ

r

)n]

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1.3 Elementi di geometria differenziale delle curve in R3 15

dove σ indica l’ascissa curvilinea e r il raggio. Derivando rispetto a σ

y′(σ) = cosσ

rT + sen

σ

rn

otteniamo cio che ci si deve aspettare y′(0) = T, la quale e vera per tutti i cerchitangenti, ma derivando ancora

y′′(σ) =1r

(− sen

σ

rT + cos

σ

rn)

si ottiene y′′(0) = n/r. Il contatto di ordine superiore con la curva data, x(s), siottiene eguagliando le derivate seconde

y′′(0) = x′′(0) ⇔ 1rn = χ(0)N .

Abbiamo cosı dimostrato che in ogni punto x(s) il cerchio ottimale, detto cerchioosculatore, e quello che giace nel piano (T,N), il piano osculatore, ed ha raggior = 1/χ(s). La funzione χ si chiama curvatura, il centro e il raggio del cerchioosculatore si chiamano rispettivamente centro e raggio di curvatura, verso questocentro e diretta la normale principale N. Il centro di curvatura e allora il puntoc(s) = x(s) + N/χ.

Una curva piana e una curva x(s) tutta contenuta in un piano fisso, in tal casoesistono h ∈ R3 e c ∈ R tali che h · x(s) = c per ogni s ∈ I. Derivando rispetto ads una volta, e poi una seconda volta, si deduce che h e ortogonale sia a T che a N,dunque e parallelo a B. Ne segue che una curva e piana se e solo se la sua binormale ecostante. Vediamo allora che cosa succede quando B varia con s. Al solito B′ ·B = 0,quindi B′ e combinazione lineare di T e N

B′(s) = a(s)T(s)− τ(s)N(s) = −τ(s)N(s)

perchea(s) = B′ ·T = −B ·T′ = −χB ·N = 0 .

La funzione τ(s), detta torsione, e strettamente legata alla variazione del versorebinormale, piu precisamente |B′| = |τ |, e va interpretata come una misura dellatendenza della curva ad allontanarsi dal suo piano osculatore, in particolare τ = 0 see solo se la curva e piana.

Rimane da calcolare N′. Posto

N′(s) = a(s)T(s) + b(s)B(s) ,

ragionando come sopra si ottiene

a(s) = N′ ·T = −N ·T′ = −χ e b(s) = N′ ·B = −N ·B′ = τ .

Riassumendo abbiamo ottenuto il sistema di Frenet-Serret

(1.11)

T′ = χNN′ = −χT + τB

B′ = −τN .

La terna destra (T,N,B) costituisce una base locale che segue il punto lungo la curvaal variare di s e prende il nome di terna intrinseca. Le equazioni (1.11) tornano utili sevogliamo ricostruire una curva, in funzione dell’ascissa curvilinea come suo parametronaturale, assegnando curvatura e torsione. Consideriamo ad esempio una curva piana,quindi con τ = 0, per la quale il sistema (1.11) si riduce a

(1.12)

T′ = χNN′ = −χT .

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16 Curve e integrali curvilinei

Qui basta assegnare la curvatura, ma questa coincide, a meno del segno, con la de-rivata dell’angolo che la tangente forma con una direzione fissa del piano. Infatti, seT = cos a(s)e1 + sen a(s)e2, si ha

χN = T′ = a′(− sen ae1 + cos ae2)

e a destra il versore in parentesi coincide con N se a′ > 0, cioe se a e crescente,altrimenti e ad esso opposto. In ogni caso |a′| = χ, da cui si ricava a(s) a meno diuna costante e quindi T(s) e integrando di nuovo si ottiene x(s) a meno di altre duecostanti. Complessivamente le costanti da determinare sono 3, in accordo col gradodi liberta di un corpo rigido nel piano: posizione di un punto e orientamento.

Esercizio 1.13 Trovare la curva piana la cui tangente forma con e1 l’angoloa(s) = arctg s.

Nel caso generale, siano date due funzioni χ(s) > 0 in C1 e τ(s) in C0. Dimostriamoche esiste un’unica curva x(s), determinata a meno di uno spostamento rigido, cheammette χ come curvatura e τ come torsione.

Cerchiamo adesso le espressioni per la curvatura e la torsione usando alcuni tipidi parametrizzazione di uso comune. Per la prima equazione del sistema (1.11) si haχ(s) = |x′′(s)|. Ora, se x = ϕ(t), si ha

x′′(s) =dx′

dt

dt

ds=

d

dt

(γ′(t)|γ′(t)|

)1

|γ′(t)| =γ′′|γ′|2 − γ′′ · γ′γ′

|γ′|4 =(γ′ × γ′′)× γ′

|γ′|4 ,

da cui, passando al modulo e tenendo presente che γ′×γ′′ e ortogonale a γ′, si ottiene

(1.13) χ(t) =|γ′ × γ′′||γ′|3 .

In particolare per una curva cartesiana γ(x) = (x, f(x)) si ottiene

(1.14) χ(x) =|f ′′(x)|

(1 + f ′(x)2)3/2.

Sono molto frequenti in teoria delle travi, dove f e la componente trasversale dellospostamento, situazioni in cui il grafico di f , la trave deformata, e quasi rettilineo, percui |f ′| 1. Allora e lecito trascurare la |f ′| al denominatore della (1.14) e assumere|f ′′| come curvatura.

Se la curva e piana ed espressa in coordinate polari, sostituendo ϕ(ϑ) = ρ(ϑ)(cosϑ, senϑ)nella (1.13), si ottiene

(1.15) χ(ϑ) =|ρ2 + 2ρ′2 − ρρ′′|

(ρ2 + ρ′2)3/2.

Riguardo alla torsione, osserviamo che

x′(s)× x′′(s) · x′′′(s) = T× χN · [χ′N + χ(−χT + τB)] = χ2τ

e se χ 6= 0 si ha

(1.16) τ(s) =x′(s)× x′′(s) · x′′′(s)

χ2.

Esercizio 1.14 Dimostrare che con un po’ di calcoli e di pazienza si pervieneall’espressione della torsione per una generica ϕ(t)

(1.17) τ(t) =γ′(t)× γ′′(t) · γ′′′(t)|γ′(t)× γ′′(t)|2 .

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1.3 Elementi di geometria differenziale delle curve in R3 17

Esempi:

1.1 Calcoliamo curvatura e torsione dell’elica cilindrica di passo costante pari a k/2π x1(ϑ) = R cosϑx2(ϑ) = R senϑ

x3(ϑ) = kϑ , ϑ ∈ R .

Dalla (1.13) si ottiene che χ(ϑ) e costante e vale

χ =R

R2 + k2,

mentre dalla (1.16) si ottiene per la torsione

τ =k

R2 + k2.

1.2 Vediamo il caso dell’elica conica x1(ϑ) = Rϑ cosϑx2(ϑ) = Rϑ senϑ

x3(ϑ) = kRϑ , ϑ ∈ R .

Questa curva e contenuta nel cono di equazione z2 = k2(x2 + y2) (k e la tangentedell’angolo che le generatrici formano col piano z = 0) passa dal vertice per ϑ = 0 esta nella falda superiore se ϑ > 0 e in quella inferiore se ϑ < 0. Sempre ricorrendoalla (1.13) si ottiene

χ(ϑ) =

√ϑ4 + (k2 + 4)ϑ2 + 4(k2 + 1)

R(ϑ2 + k2 + 1)3/2

e dalla (1.17) discende

τ(ϑ) =k(ϑ2 + 6)

R[ϑ4 + (k2 + 4)ϑ2 + 4(k2 + 1)].

Esercizio 1.15 Calcolare curvatura e torsione per l’elica x1(t) = et cos tx2(t) = et sen t

x3(t) = ke2t , t ∈ R .

Questa e contenuta nel paraboloide z = k(x2 + y2) e compie infiniti giri intorno alvertice. I risutati richiesti dovrebbero essere

χ(t) =√

1 + 4k2e2t

√2et(1 + 2k2e2t)3/2

e τ(t) =2k

1 + 4k2e2t.

Il sistema (1.11) ha notevole importanza nella dinamica del punto vincolato ad unaguida curvilinea. Esprimendo l’arco s in funzione del tempo, e possibile ricavare leespressioni intrinseche per la velocita e l’accelerazione

v = x′(s)s = sT e a = sT +s2

ρN ,

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18 Curve e integrali curvilinei

dove ρ e il raggio di curvatura, aT = s e l’accelerazione tangenziale e aN = s2/ρe l’accelerazione normale o centripeta. L’equazione fondamentale della dinamica, incomponenti intrinseche, si traduce allora nel sistema

ms = FT (s, s, t) + ΦT

ms2

ρ= FN (s, s, t) + ΦN

0 = FB(s, s, t) + ΦB

dove F = (FT , FN , FB) e la risultante delle forze attive, cioe quelle note e assegnate,e Φ = (ΦT ,ΦN ,ΦB) la reazione vincolare che e sempre incognita insieme alla s(t).Ipotesi aggiuntive sulla natura del vincolo, come l’assenza di attrito che comportaΦT = 0, permettono di risolvere completamente il problema del moto.

Nel moto dell’Esercizio 1.3 si conserva l’energia, in questo caso ridotta alla solaenergia cinetica dal momento che la forza di Lorenz non compie lavoro

m

2dv2

dt= ma · v = qv ×B · v = 0 ⇒ 1

2mv2 = costante ,

quindi si tratta di un moto uniforme. Ma anche l’accelerazione, necessariamentesolo centripeta, deve avere modulo costante in quanto prodotto vettoriale di duevettori ortogonali e di modulo costante, quindi, essendo s costante, e costante ancheil raggio di curvatura ρ. Nel piano l’unica curva con raggio di curvatura costante e lacirconferenza.

Definizione 1.15 L’evoluta di una curva data e il luogo dei suoi centri di curva-tura, essa coincide con l’inviluppo delle rette normali.

AAAAAAAAAAA

Figura 1.5: L’evoluta dell’ellisse

Le equazioni parametriche, x = k(t), dell’evoluta si ricavano subito sommando alpunto γ(t) il vettore concorde con N e di modulo pari al raggio di curvatura: k(t) =γ(t) + N(t)/χ(t). Nelle Figura 1.5 si mostra un’ellisse con la sua evoluta. Si osserviche si formano delle cuspidi nell’evoluta in corrispondenza dei punti di massima eminima curvatura.

Definizione 1.16 L’evolvente di una data curva γ e un’altra curva che ammetteγ come evoluta.

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1.4 Integrazione dei campi vettoriali 19

L’evolvente non e unica e puo essere ottenuta sperimentalmente fissando l’estremitadi un filo inestensibile ad un punto dell’evoluta, dalla parte opposta al centro dicurvatura, e lasciando libera l’altra. Durante quei movimenti in cui il filo e teso eparzialmente a contatto con l’evoluta, l’estremita libera descrive l’evolvente. Il cerchioed una sua evolvente sono illustrati nella Figura 1.6.

Figura 1.6: Il cerchio ed una sua evolvente

Esercizio 1.16 Sulla base di questa descrizione si provi a ricavare una formulaper l’evolvente.

Esercizio 1.17 Verificare che l’evoluta di una cicloide, la curva generata dal mo-vimento di un punto del bordo di un disco rotola senza strisciare, e una cicloideidentica, ma spostata, in modo che sia rispettata la corrispondenza di cui sopra tra ipunti di massima e minima curvatura e le cuspidi.

Sull’Esercizio 1.17 si basa la costruzione dell’orologio a pendolo cicloidale di C. Huy-gens (Horologium oscillatorium, Paris 1673). Facendo oscillare una fune tra due alicicloidali, il grave percorre una cicloide e le sue oscillazioni sono quindi isocrone, perquesto tale curva e detta tautocrona. La cicloide e anche la brachistocrona, cioe lacurva di minimo tempo nella caduta di un grave tra due punti dati. La scoperta diquesta proprieta, dovuta a J. Bernoulli nel 1696, e uno dei primi passi del Calcolodelle Variazioni.

1.4 Integrazione dei campi vettoriali

Talvolta viene chiamato campo vettoriale una funzione F : Ω→ Rm dove Ω eun aperto contenuto in Rn. In componenti

F (x) = (F1(x1, x2, . . . , xn), F2(x1, x2, . . . , xn), . . . , Fm(x1, x2, . . . , xn)) .

Un esempio di campo vettoriale e la legge della forza agente su una particella chein generale dipende dalla sua posizione, dalla sua velocita e dal tempo. Si tratta inquesto caso di una funzione F : R7 → R3 del tipo F (x, x, t). Un altro e il campovettoriale delle velocita dei vari punti di un corpo in movimento, solido o fluido. Sein un dato punto x di un torrente si misura la velocita della particella d’acqua cheall’istante t passa da quel punto, si trova un certo campo vettoriale v(x, t). Se nondipende da t significa che l’aspetto complessivo del torrente non varia, e allora diciamoche v e un campo stazionario, ma se il torrente ingrossa per la pioggia, o perche amonte e stata aperta una diga, almeno in una fase transitoria viene a dipendere da t.

In questo capitolo supponiamo m = n da ora in poi.

Definizione 1.17 Se F dipende solo da (x, t), si chiama linea vettoriale o lineadi corrente di un campo F una curva γ che in ogni suo punto x = γ(t) ammette Fcome vettore tangente.

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20 Curve e integrali curvilinei

Le linee vettoriali sono dunque tutte e sole le soluzioni x(t) del sistema di equazionidifferenziali, espresso in forma vettoriale da

(1.18) x′ = F (x, t) .

Nel caso di un campo piano F (x1, x2, t), ad esempio, ogni linea vettoriale risolve ilsistema

dx1

dt= F1(x1, x2, t)

dx2

dt= F2(x1, x2, t)

Ovviamente si ottengono curve equivalenti se il secondo membro della (1.18) vienemoltiplicato per uno scalare, d’altra parte e la condizione di parallelismo tra il vettoretangente x′ e il campo F quella che da luogo all’equazione differenziale. In dimensione3 per esempio la (1.18) puo essere sostituita dall’annullarsi del prodotto vettorialex′ × F (x, t), da cui, eliminando il parametro t, si ricava un’altra forma equivalenteper lo stesso problema

(1.19) F1dx2 − F2dx1 = F2dx3 − F3dx2 = F3dx1 − F1dx3 = 0 .

Comunque, senza ricorrere al prodotto vettoriale, la (1.19) puo essere scritta in di-mensione n qualsiasi, essa esprime solo il fatto che la matrice 2×n che ha come righele componenti di F e quelle di dx, se vogliamo che esse siano parallele, deve averecaratteristica pari a 1.

Supponiamo che F sia continua su Ω

∀x0 ∈ Ω ∀ε > 0 ∃δ > 0 : ∀x ∈ Ω |x− x0| < δ ⇒ |F (x)− F (x0)| < ε

e, almeno per ora, che dipenda soltanto da x. Dato un cammino orientato γ ⊂ Ω,regolare a tratti e rettificabile, la funzione composta t→ F (γ(t)), che rappresenta larestrizione F|γ , e continua e, se limitata, anche integrabile su I, ne segue in questocaso che F (γ(t)) · γ′(t) e integrabile.

Definizione 1.18 Si chiama integrale di F su γ il numero∫γ

F · Tds =∫I

F (γ(t)) · γ′(t)dt ,

dove T e il versore tangente.

Questa definizione ha senso per gli stessi motivi con cui abbiamo giustificato la cor-rettezza della Definizione 1.14, con la sola eccezione che la relazione di equivalenza daritenere significativa e quella che tiene conto dell’orientamento. Su due curve equiva-lenti ma con orientamenti opposti l’integrale cambia segno. Nel caso di un camminopiano, scelta una terna ortonormale destra e1, e2, e3 con e3 ortogonale al piano, di-ciamo che un cammino chiuso γ e positivamente orientato, e scriviamo allora γ+, se,preso un punto O della regione interna, si ha (γ(t)−O)×γ′(t) ·e3 ≥ 0. In altre parolela curva deve essere percorsa lasciando a sinistra la regione interna, a sinistra per unosservatore orientato, dai piedi alla testa, nello stesso senso di e3.

La notazione usata a primo membro nella Definizione 1.18 e particolarmente effi-cace perche e esattamente quello che si ottiene usando l’ascissa curvilinea. Tenendopresente la (1.8), possiamo ricorrere all’elemento infinitesimo vettoriale

dx = (dx1, dx2, . . . , dxn) =(dx1

ds,dx2

ds, . . . ,

dxnds

)ds = Tds

e usare quindi per l’integrale anche la notazione∫γ

F · dx =∫γ

F1dx1 + F2dx2 + . . .+ Fndxn .

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1.4 Integrazione dei campi vettoriali 21

Nella Definizione 1.18 si riconosce il concetto di lavoro di un campo vettoriale lungouna curva come somma nel continuo, cioe come integrale, dei lavori elementari relativia tratti infinitesimi di curva. Nel caso piu generale in cui F dipende anche da x e dat, il lavoro e l’integrale su un intervallo di tempo della potenza W = F (x, x, t) · x

Lγ(t1, t2) =∫ t2

t1

F (x(t), x(t), t) · x(t)dt

e dipende, oltreche da γ, anche dall’intervallo di tempo. Ma solo se F dipende esclu-sivamente da x il lavoro viene a dipendere da γ e dalle posizioni iniziale e finale, manon dal tempo, basta applicare la Definione 1.18

Lγ(t1, t2) =∫ t2

t1

F (x) · xdt =∫ x2

x1

F (x) · dx = Lγ(x1, x2) .

Vedremo piu avanti sotto quali condizioni viene a cadere anche la dipendenza da γ,rimanendo comunque funzione delle posizioni iniziale e finale.

Esercizio 1.18 Dimostrare il teorema del lavoro: la variazione di energia cineticaT (t2)− T (t1) durante un moto dinamicamente possibile tra due istanti t1 e t2 e parial lavoro della forza compiuto durante il moto tra gli stessi istanti.

Scegliendo per x(t) una soluzione dell’equazione fondamentale della dinamica, siottiene immediatamente la versione differenziale dell’enunciato

dT

dt=m

2dv2

dt= ma(t) · v(t) = F (x(t), x(t), t) · x(t) = W (t) ,

nota come teorema delle forze vive, da cui segue

T (t2)− T (t1) =∫ t2

t1

W (t)dt = Lγ(t1, t2) .

Esercizio 1.19 Verificare che l’integrale di un campo costante su una curva chiu-sa e nullo.

Infatti, se γ(a) = γ(b) si ha∫ b

a

F · γ′(t)dt = F ·∫ b

a

γ′(t)dt = F · (γ(b)− γ(a)) = 0 .

Esercizio 1.20 Verificare che la forza di Lorenz e a potenza nulla, quindi noncompie lavoro, (al pari della forza di Coriolis nel riferimento relativo durante il motodi un punto).

Infatti in questo casoW (t) = qv ×B · v = 0 .

Un teorema dovuto a Jordan, che nonostante l’apparenza non e affatto banale,afferma che il sostegno di una curva piana, semplice e chiusa divide il piano chela contiene in due parti, una limitata, la regione interna, e una non limitata, quellaesterna. Integrando un certo campo vettoriale sul cammino che essa definisce, si riescea calcolare l’area della regione limitata. Per costruire il campo vettoriale facciamodelle considerazioni intuitive, piu avanti saremo in grado di giustificare il risultato inmodo rigoroso. Abbiamo detto che se la curva e data da x = γ(t), con t ∈ I, allora

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22 Curve e integrali curvilinei

dx = γ′(t)dt e l’elemento vettoriale d’arco. L’area vettoriale del sottile triangolo cheviene a formarsi con il vettore posizione x, rispetto ad un punto O del piano, vale

12x× dx =

12

(x1dx2 − x2dx1) ,

ne segue che l’area complessiva della regione delimitata da γ e dalle posizioni inizialee finale e pari a

A =12

∫γ

x1dx2 − x2dx1 =12

∫I

γ(t)× γ′(t)dt .

Se ad esempio la curva e espressa in coordinate polari γ(ϑ) = ρ(ϑ)(cosϑ, senϑ), conϑ ∈ [a, b], si ha

(1.20) A =12

∫ b

a

ρ(ϑ)2dϑ .

Come interpretazione geometrica di questa nuova espressione per l’area possiamo direche in corrispondenza di un elemento d’angolo dϑ si forma un sottile triangolo colvertice in O, di base ρdϑ e di altezza ρ, la cui area e dunque 1

2ρ2dϑ.

Esercizio 1.21 Ricordiamo che l’area dell’ellisse di semiassi a e b vale πab.Vedere se si ottiene lo stesso risultato esprimendo l’ellisse in forma polare

ρ(ϑ) =p

1 + ε cosϑ, 0 ≤ ϑ ≤ 2π

dove p e l’eccentricita ε sono legati ai semiassi dalle relazioni

a =p

1− ε2e b =

p√1− ε2

.

Utilizzando la (1.20), si ottiene

A =p2

2

∫ π

0

(1 + ε cosϑ)2= p2

∫ +∞

0

1 + t2

((1− ε)t2 + ε+ 1)2dt ,

in seguito al cambio di variabile t = tang ϑ/2. Il lettore puo facilmente portare atermine il calcolo dell’integrale. Si rifaccia lo stesso esercizio con la forma parametricaϕ(t) = (a cos t, b sen t).

Esercizio 1.22 Calcolare l’area delimitata dalla curva di equazione x2(1− x2)−y2 = 0.

Figura 1.7: La quartica x2(1− x2)− y2 = 0

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1.4 Integrazione dei campi vettoriali 23

Una condizione necessaria per l’appartenenza di un punto P = (x, y) alla curva e|x| ≤ 1. Allora e lecito porre x = cos t e di conseguenza y2 = sen2 t cos2 t, da cuiy = ± sen t cos t. La differenza tra scegliere il segno ′′+′′ e il segno ′′−′′ sta solonel verso di percorrenza, questa curva, a forma di ∞, viene percorsa interamenteda una soltanto delle due determinazioni con t ∈ [0, 2π]. Assumiamo quindi comeparametrizzazione la curva γ(t) = (cos t, sen t cos t). Per motivi di simmetria l’area e

A = 412

∫ π/2

0

γ(t)× γ′(t)dt = 2∫ π/2

0

cos3 tdt =43.

Esercizio 1.23 Un filo rettilineo percorso da corrente elettrica di intensita i in-duce nello spazio circostante il campo magnetico

B =µi

2πe3 × r|e3 × r|2

dove µ e la permeabilita magnetica del mezzo, e3 e il versore della corrente e r e laposizione rispetto ad un punto O del filo. Calcolare l’integrale del campo B su unacirconferenza γ contenuta in un piano ortogonale al filo e col centro sul filo.

Se γ viene percorsa in senso antiorario rispetto ad e3, allora bisogna considerare lacurva regolare

ϕ(t) = R cos te1 +R sen te2 + he3 .

Si ottiene dunque

(1.21)∫γ

B · dx =µi

∫γ

x1dx2 − x2dx1

x21 + x2

2

=µi

∫ 2π

0

R2 cos2 t+R2 sen2 t

R2dt = µi .

Ovviamente se il verso di percorrenza della curva si inverte il risultato cambia segno,piu in generale si ottiene µin, n ∈ Z, se γ viene percorsa n volte, in senso antiorario sen > 0 o in senso orario se n < 0. Si ritrova cosı il Teorema di Maxwell: la circuitazionedel campo magnetico su una spira (su una curva chiusa) e proporzionale all’intensitadel flusso di corrente elettrica che la attraversa.

Vediamo adesso qual e il senso dell’integrale che compare nella (1.21). Se, comeabbiamo osservato, l’area del triangolino formato dai vettori (x, y) e (dx, dy) e datadall’espressione (xdy−ydx)/2, dividendo il doppio di quest’area per |(x, y)|2 = x2+y2

si ottiene l’elemento d’angolo dϑ corrispondente all’arco elementare

dϑ =xdy − ydxx2 + y2

.

E naturale quindi che il suo integrale lungo un arco γ di circonferenza, con rag-gio qualsiasi e centro l’origine O = (0, 0), coincida con la variazione complessivadell’angolo ∫

γ

xdy − ydxx2 + y2

=∫γ

dϑ = ϑ2 − ϑ1

da quello iniziale, ϑ1, relativo al primo estremo, a quello finale, ϑ2, relativo al secondo.Se poi γ e tutta la circonferenza il risultato e 2π. Inoltre, poiche il calcolo dell’angolosi basa sul prodotto vettoriale (x, y)× (dx, dy), e evidente che il valore dell’integralenon varia se la circonferenza viene sostituita con un qualsiasi cammino chiuso γ checompie un solo giro attorno a O. A questo punto e altrettanto evidente che se γcompie n giri, con n ∈ Z, in senso antiorario se n > 0, orario se n < 0 o lasciando

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24 Curve e integrali curvilinei

all’esterno il punto O se n = 0, debba infine risultare 2πn. Questo numero intero sichiama indice del cammino rispetto a O ed e dato da

(1.22) Iγ(O) =1

∫γ

xdy − ydxx2 + y2

.

Ora, se riflettiamo un momento sulla (1.22), ci rendiamo subito conto che in realtacio che gira insieme a γ e il vettore posizione (x, y) in quanto γ(t) = (x(t), y(t)),ma questo e un particolare campo vettoriale, l’identita su R2, che ammette O comepunto di annullamento. Cerchiamo allora di interpretare la (1.22) dal punto di vistadel campo (x, y). Scelto un cammino chiuso γ nel piano, l’indice e il numero di giriche, su di esso, il campo vettoriale (x, y) compie attorno al suo zero. Cosı, se inparticolare γ e semplice e positivamente orientato, l’indice puo essere attribuito alcampo anziche alla curva e vale 1 o 0 a seconda che lo zero del campo, che in questocontesto viene chiamato punto critico, si ritrovi, o meno, all’interno della regionedelimitata da γ. L’unico problema che adesso si pone e trovare l’espressione generaledella variazione angolare di un campo vettoriale. Certo, se per il campo (x, y) e quellache compare sotto il segno di integrale nella (1.22), ci aspettiamo che per un campogenerico F (x, y) la formula dell’indice debba essere del tipo

Iγ(F,O) =1

∫γ

F1dF2 − F2dF1

F 21 + F 2

2

che naturalmente e tutta da spiegare.

Ma questa e un’altra storia e ve la racconto un’altra volta!!

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Capitolo 2

Funzioni di piu variabili

2.1 Generalita sulle funzioni di piu variabili

Una funzione di piu variabili reali e una funzione definita su un sottoinsieme A diRn. Diciamo che f e scalare, o a valori scalari, se f : A → R, ed e vettoriale, o avalori vettoriali, se f : A→ Rm.

Nel passaggio dalle funzioni di una variabile alle funzioni di piu variabili, molteproprieta, idee e definizioni si conservano trovando, nel nuovo contesto, una naturalegeneralizzazione, altre invece non hanno piu senso o subiscono delle modifiche radicali.

fn (x) = nαx2e−nx3, n ∈ N , x ∈ R ,

studiare, al variare del parametro α ∈ R , la convergenza puntuale, la convergenzauniforme e la convergenza della successione degli integrali sull’intervallo [0,+∞).

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26 Funzioni di piu variabili

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Capitolo 3

Calcolo differenziale

3.1 Funzioni di piu variabili

Teorema 3.1 (Teorema degli zeri) - Siano A ⊂ Rn un insieme connesso perarchi e f : A → R una funzione continua tale che in due punti x, y ∈ A si abbiaf(x) < 0 e f(y) > 0. Allora esiste ξ ∈ A tale che f(ξ) = 0.

3.2 Derivate direzionali e derivate parziali

Consideriamo un aperto Ω ⊂ Rn ed una funzione f : Ω→ R. Volendo definirela derivata di f in un punto x ∈ Ω, cio che il calcolo differenziale in una variabileci suggerisce e di considerare una retta orientata di versore v ∈ Rn, passante per x,e il limite del rapporto incrementale di f in x lungo tale retta. La derivata vienecosı a dipendere non soltanto da x, ma anche da v e quindi verra chiamata derivatadirezionale.

La retta e il sostegno della curva t→ γ(t) = x+tv, con t ∈ R, mentre l’applicazionet→ f γ(t) = f(x+ tv), con |t| < δ per un certo δ > 0 sufficientemente piccolo, e larestrizione di f , in termini del parametro t, ad un segmento di centro x contenuto inΩ.

Definizione 3.2 - Diciamo che f e derivabile rispetto al vettore v nel puntox se esiste finito il limite

∂f(x)∂v

= limt→0

f(x+ tv)− f(x)t

,

il quale prende il nome di derivata di f rispetto a v in x. Se v e un versore sichiama derivata direzionale.

La derivata rispetto a v di f in x non e altro che la derivata in 0 della funzione diuna variabile t→ f(x+ tv)

Ovviamente, se f e derivabile rispetto a v in x lo e anche rispetto ad ogni vettoread esso parallelo, cioe del tipo u = λv con λ 6= 0, e

∂f(x)∂u

= λ∂f(x)∂v

,

quindi non e restrittivo fare sempre riferimento alla derivata direzionale.Le derivate rispetto ai versori degli assi ei sono casi particolari di derivate direzio-

nali e vengono dette derivate parziali. Poiche

x+ tei = (x1, x2, . . . , xi−1, xi + t, xi+1, . . . , xn) ,

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28 Calcolo differenziale

derivare rispetto a ei significa derivare la funzione di una sola variabile

xi → f(x1, x2, . . . , xi−1, xi, xi+1, . . . , xn)

considerando costanti le altre variabili, quindi al posto di ∂f/∂ei si preferisce usarele notazioni

∂f

∂xi, Dif , fxi .

Si chiama gradiente il vettore che ha come componenti le derivate parziali

∇f =(∂f

∂x1,∂f

∂x2, . . . ,

∂f

∂xn

).

Si usa per il gradiente anche la notazione Df . Se vogliamo fare riferimento piuesplicito alla base si scrive

∇f =∂f

∂x1e1 +

∂f

∂x2e2 + . . .+

∂f

∂xnen ,

specialmente nei casi in cui si pensa di dover effettuare dei cambiamenti di base. Sef ammette derivate direzionali o parziali in ogni punto x ∈ Ω allora diciamo che fammette derivate direzionali o parziali in Ω.

Esempi

3.1 Ogni funzione costante ha derivate parziali e direzionali nulle ovunque. Ognifunzione lineare f(x) = a · x, o lineare affine f(x) = a · x+ b, ha derivata direzionaleovunque e

∂f(x)∂v

= a · v .

3.2 La funzione f(x) = |x|2, x ∈ Rn, che ha per grafico un paraboloide di rotazionecol vertice in 0, e derivabile in ogni punto rispetto ad ogni direzione e

∂f(x)∂v

= 2x · v .

Basta osservare che|x+ tv|2 − |x|2

t= 2x · v + t|v|2 .

In particolare Dif(x) = 2xi e Df(x) = 2x.

3.3 La funzione f(x) = |x|, x ∈ Rn, che ha per grafico un cono col vertice in 0, ederivabile per ogni x 6= 0 rispetto ad ogni direzione e

∂f(x)∂v

=x

|x| · v ,

ma non e derivabile in 0 rispetto a nessuna direzione.

Infatti si ha anche∂|x|2∂v

= 2|x|∂|x|∂v

,

da cui, per confronto coll’esempio precedente, segue che

2|x|∂|x|∂v

= 2x · v .

In particolare Dif(x) = xi/|x| e Df(x) = versx per ogni x 6= 0.

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3.2 Derivate direzionali e derivate parziali 29

E immediato estendere alla derivata direzionale alcuni teoremi algebrici che giaconosciamo per le derivate ordinarie. Per esempio

∂(λf + µg)∂v

= λ∂f

∂v+ µ

∂g

∂v,

∂(fg)∂v

= f∂g

∂v+ g

∂f

∂v

e per le funzioni composte g f , dove g : R→ R e derivabile, si ha

(3.1)∂g(f(x))

∂v= g′(f(x))

∂f(x)∂v

,

che si ottiene dividendo per t la relazione

g(f(x+ tv)) = g(f(x)) + g′(f(x))(f(x+ tv)− f(x)) + o(f(x+ tv)− f(x))

= g(f(x)) + g′(f(x))t∂f(x)∂v

+ o(t)

e passando poi al limite per t→ 0. Usando la (3.1) si possono calcolare direttamentele derivate parziali negli Esempi 3.2 e 3.3, ad esempio

∂|x|∂xi

=∂

∂xi

√x2

1 + x22 + . . .+ x2

n =xi√

x21 + x2

2 + . . .+ x2n

=xi|x| .

Esercizio 3.1 Nel caso di un’interazione lineare elastica di costante k, agente tradue punti materiali P1 e P2 che occupano nello spazio le posizioni x = (x1, x2, x3) ey = (y1, y2, y3), le due forze, quella che P2 esercita su P1 e quella che P1 esercita suP2, sono rispettivamente

Fx(x, y) = k(y − x) e Fy(x, y) = k(x− y) .

Riconoscere il potenziale di questa sollecitazione nella funzione di sei variabili

U(x, y) = −k2|x− y|2

osservando che∇xU = Fx e ∇yU = Fy .

L’energia potenziale della sollecitazione e invece la funzione V = −U , per cuiFx = −∇xV e Fy = −∇yV .

Esercizio 3.2 Due punti materiali P1 e P2 di masse rispettive m1 e m2 occupanonello spazio le posizioni x = (x1, x2, x3) e y = (y1, y2, y3). Il potenziale della sollecita-zione gravitazionale e la funzione di sei variabili U(x, y) = Gm1m2/|x−y|. Verificareche

∇xU =Gm1m2

|x− y|3 (y − x) e ∇yU =Gm1m2

|x− y|3 (x− y)

e riconoscere che queste sono la forza che P2 esercita su P1 e quella che P1 esercitasu P2.

Piu in generale, considerazioni legate all’invarianza delle leggi fisiche in MeccanicaClassica comportano, per l’interazione tra due punti, la seguente forma

Fx(x, y) = ϕ(|x− y|)(y − x) e Fy(x, y) = ϕ(|x− y|)(x− y) .

Esercizio 3.3 Verificare che il potenziale U della sollecitazione dipende solo dalladistanza r = |x− y| ed e una qualsiasi delle primitive della funzione −rϕ(r), r > 0.

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30 Calcolo differenziale

3.3 Funzioni differenziabili

A differenza di quanto avviene per le funzioni di una variabile, l’esistenza ditutte le derivate direzionali non garantisce ne la continuita della funzione, ne l’esi-stenza del piano tangente al grafico (l’analogo della retta tangente in una variabile),ma rivela soltanto l’esistenza in tutte le direzioni delle rette tangenti alla superficieche rappresenta il grafico di f . Ad esempio la funzione

(3.2) f(x, y) =

x2y

x4 + y2se (x, y) 6= (0, 0)

0 se (x, y) = (0, 0)

e discontinua in (0, 0), infatti se si passa al limite lungo la retta y = x e lungo laparabola y = x2 si ottengono i risultati tra loro diversi

limx→0

f(x, x) = limx→0

x3

x4 + x2= 0 e lim

x→0f(x, x2) = lim

x→0

x4

x4 + x4=

12.

Tuttavia esistono in (0, 0) tutte le derivate direzionali. Per v = (v1, v2), se v2 6= 0 siha

f(tv)t

=t2v2

1v2

t4v41 + t2v2

2

=v2

1v2

t2v41 + v2

2

→ v21

v2

per t→ 0, e se v2 = 0f(t, 0)t

= 0 ∀t 6= 0 ,

quindi anche la derivata parziale in (0, 0) rispetto a x esiste ed e nulla.L’esistenza del piano tangente e invece dovuta alla differenziabilita, una condi-

zione che per le funzioni di piu variabili e piu restrittiva dell’esistenza delle derivatedirezionali.

Fissato un punto x0 ∈ Ω, ad ogni applicazione lineare L : Rn → R corrispondela funzione x→ f(x0) + L(x− x0) che ha per grafico un piano passante per il punto(x0, f(x0)). Ovviamente f e continua in x0 se e solo se la quantita

f(x)− f(x0)− L(x− x0)

e infinitesima per x→ x0.

Definizione 3.3 - Diciamo che f e differenziabile in x0 se esiste un’applica-zione lineare L : Rn → R tale che

(3.3) f(x) = f(x0) + L(x− x0) + o(x− x0) ,

dove o(x − x0) e un infinitesimo di ordine superiore a |x − x0| per x → x0. L’appli-cazione L si chiama differenziale di f in x0 e si indica con dfx0 o con df(x0).

Se f e differenziabile in x0 il piano tangente al grafico di f nel punto x0 e il graficodella funzione ϕ(x) = f(x0) + dfx0(x− x0).

In un generico punto x ∈ Ω la condizione (3.3) puo essere scritta in modo equiva-lente nella forma

(3.4) limh→0

f(x+ h)− f(x)− L(h)|h| = 0 ,

dove evidentemente L(h) = dfx(h) per ogni h ∈ Rn. Se f e differenziabile in ognipunto di Ω allora diciamo che e differenziabile in Ω.

Esempi

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3.3 Funzioni differenziabili 31

3.4 Ogni funzione costante ha come differenziale l’applicazione lineare identicamentenulla.

3.5 Ogni funzione del tipo f(x) = a · x + b e differenziabile e dfx(h) = a · h, che ecome dire che ogni applicazione lineare ha come differenziale se stessa.

3.6 La funzione f(x) = |x|2 e differenziabile e il suo differenziale e dfx(h) = 2x · h.

3.7 La funzione f(x) = |x| e differenziabile per ogni x ∈ Rn − 0 e il suo differen-ziale e dfx(h) = versx · h.

Esercizio 3.4 Dimostrare che ogni forma quadratica f(x) = Ax · x su Rn ha pergradiente ∇f(x) = 2Ax, e differenziabile e dfx(h) = 2Ax · h.

Esercizio 3.5 Dimostrare che per ogni α ∈ R la funzione f(x) = |x|α su Rn−0ha per gradiente ∇f(x) = α|x|α−2x, e differenziabile e dfx(h) = α|x|α−2x · h. In piu,f e definita e continua anche in 0 per α > 0, ma e differenziabile per α > 1.

L’osservazione che precede la Definizione 3.3 mostra che una funzione differenziabilee necessariamente continua, ne segue che la (3.2) costituisce un primo esempio difunzione con tutte le derivate direzionali ma non differenziabile (in quanto non conti-nua). Mostriamo allora un esempio di funzione continua e derivabile rispetto ad ognidirezione ma non differenziabile. La funzione

(3.5) f(x, y) =

x2y

x2 + y2se (x, y) 6= (0, 0)

0 se (x, y) = (0, 0)

e continua in (0, 0) perche |f(x, y)| ≤ |y|, inoltre ammette in (0, 0) le derivate direzio-nali

∂f(0, 0)∂v

= v21v2 ∀v ∈ Rn : |v| = 1 .

Perche non e differenziabile? Il motivo e dovuto al seguente risultato, in cui tra l’altrosi caratterizza il vettore che rappresenta il differenziale.

Teorema 3.4 - Se f : Ω→ Rn e differenziabile nel punto x ∈ Ω allora ammettein x la derivata rispetto ad ogni vettore e

∂f(x)∂v

= dfx(v) ∀v ∈ Rn ,

in particolare v → ∂f/∂v e lineare. Inoltre

dfx(v) = ∇f(x) · v ∀v ∈ Rn .

Dimostrazione. Applicando la (3.3) ai punti x e x+ tv, si ottiene

f(x+ tv) = f(x) + dfx(tv) + o(|tv|) = f(x) + tdfx(v) + o(t) ,

da cui∂f(x)∂v

= limt→0

f(x+ tv)− f(x)t

= dfx(v) .

Dunque esiste la derivata in x rispetto ad ogni vettore v e coincide col differenzialein x calcolato in v. Riguardo alla sua rappresentazione si ha

dfx(v) = dfx

(n∑i=1

viei

)=

n∑i=1

vidfx(ei) =n∑i=1

vi∂f(x)∂xi

= ∇f(x) · v .

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32 Calcolo differenziale

2Questo risultato, considerato insieme alla funzione (3.5), fa sorgere la domanda:

se l’applicazione v → ∂f(x)/∂v e lineare possiamo concludere che f e differenziabilein x? La funzione

f(x, y) =

1 se y = x2 e x 6= 0

0 altrove

ammette derivate direzionali in (0, 0) tutte nulle, quindi v → ∂f(0, 0)/∂v e l’applica-zione lineare identicamente nulla, pero f non e differenziabile in (0, 0) perche non eivi continua. E se in piu fosse continua? La risposta sarebbe ancora negativa, bastaconsiderare xf(x, y).

Il gradiente e il vettore che rappresenta il differenziale come applicazione lineare,quindi la funzione che ha per grafico il piano tangente e ϕ(x) = f(x0)+∇f(x0)·(x−x0).Il significato geometrico del gradiente e evidente: per ogni versore v si ha∣∣∣∣∂f(x)

∂v

∣∣∣∣ = |∇f(x) · v| ≤ |∇f(x)|

e se∇f(x) 6= 0 l’uguaglianza viene raggiunta solo quando v = vers∇f(x). La massimapendenza del grafico nel punto x e dunque quella indicata dal vettore gradiente e valeproprio |∇f(x)| (ovviamente nel verso opposto presenta la stessa pendenza cambiatadi segno), la pendenza nulla si ha invece nelle direzioni ad esso ortogonali. Le curvedi massima pendenza si possono pertanto ricavare risolvendo l’equazione differenzialeper le linee di un campo vettoriale

x′ = ∇f(x) , x ∈ Ω ,

scritta nel caso di un gradiente.Immaginiamo la superficie di una montagna come il grafico di una funzione di due

variabili. Nelle carte geografiche compaiono talvolta le isoipse, le cuve di livello, perdare un’idea della forma della montagna. In effetti questo modo di rappresentarla eabbastanza efficace perche dove le isoipse sono piu fitte il gradiente, ad esse ortogonale,ha modulo maggiore e maggiore e anche la pendenza della montagna.

La legge di Fourier del calore stabilisce, in ogni punto x di un conduttore ter-mico, una relazione lineare tra il flusso di calore, il vettore q(x), e il gradiente dellatemperatura ∇ϑ in tale punto, per cui

q(x) = −K(x)∇ϑ(x)

dove K(x) e la matrice definita positiva che esprime la conducibilita termica delmezzo in x. Se il conduttore e isotropo, cioe K(x) = k(x)I con k > 0 scalare, il flussoavviene lungo le linee di massima pendenza della temperatura, dalle zone piu caldeverso quelle piu fredde a causa del segno ”-”.

Esercizio 3.6 Una lamina piana omogenea (k costante) e isotropa viene tenutaa temperatura ϑ(x, y) = x2 + xy + y2. Trovare le linee di flusso del calore.

E tradizione ormai consolidata indicare il differenziale con la seguente notazione

(3.6) df(x) =n∑i=1

∂f(x)∂xi

dxi ,

dovuta al fatto che in origine, in un tempo in cui gli infinitesimi non erano ancoramolto chiari, era motivata dall’esigenza di esprimere la ”variazione infinitesima” diuna funzione in termini delle ”variazioni infinitesime” delle sue variabili. In effettila notazione esprime quest’idea in modo estremamente efficace, tanto che in Fisica e

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3.3 Funzioni differenziabili 33

utile interpretarla proprio cosı. Nel caso del lavoro di un campo vettoriale lungo uncammino, l’espressione che compare sotto il segno di integrale e del tipo

(3.7) ω(x) =n∑i=1

Fi(x)dxi = F (x) · dx

e puo essere interpretata come il ”lavoro elementare” che il campo vettoriale F compiein corrispondenza di uno ”spostamento infinitesimo”.

Se vogliamo dare invece una spiegazione rigorosa della notazione usata nella (3.6)e, piu in generale, nella (3.7), dobbiamo interpretare i dxi come i differenziali delleproiezioni canoniche πi(x) = xi che, essendo lineari, soddisfano la proprieta dπi = πi.Piu precisamente, affermare che

df(x)(v) =n∑i=1

∂f(x)∂xi

vi =n∑i=1

∂f(x)∂xi

πi(v) ∀v ∈ Rn ,

equivale ad affermare che

df(x) =n∑i=1

∂f(x)∂xi

πi =n∑i=1

∂f(x)∂xi

dπi .

Se adesso, con abuso di notazione, si confonde una funzione con i valori che essaassume, nel caso presente πi con xi, allora e altrettanto lecito scrivere dxi al postodi dπi. Si perviene cosı alla notazione (3.6). Il caso piu generale della (3.7) non ediverso, al posto del gradiente di una funzione c’e un campo vettoriale qualsiasi, sitratta in ogni caso di una forma differenziale.

Definizione 3.5 - Si chiama forma differenziale lineare (o anche forma diprimo grado o 1-forma) sull’aperto Ω ⊂ Rn un’applicazione ω : Ω → Rn∗ doveRn∗ e lo spazio duale di Rn.

In altre parole ω e una funzione che associa ad ogni punto x ∈ Ω un’applicazionelineare v → ω(x)(v) con v ∈ Rn. Poiche esiste un unico campo vettoriale a : Rn → Rn

tale cheω(x)(v) = a(x) · v ∀x ∈ Ω e ∀v ∈ Rn

e una base di Rn∗ e formata dalle n proiezioni canoniche πi, si usa per ω la notazione

ω(x) =n∑i=1

ai(x)dxi = a(x) · dx

e diciamo che ω e continua o di classe C1, Ck, C∞ su Ω se tale e la funzione vettorialea(x).

In particolare puo accadere che esista su Ω una funzione f differenziabile in ognipunto tale che ω = df , allora diremo che ω e esatta e che f e una sua primitiva.In modo equivalente possiamo dire che il campo vettoriale che definisce la forma eil gradiente di una funzione scalare, essendo in questo caso ai = Dif . Usando illinguaggio della Fisica diciamo in questo caso che il campo vettoriale e conservativoed ogni sua primitiva prende il nome di potenziale. Piu avanti riprenderemo questoargomento.

Il seguente teorema fornisce una condizione sufficiente per la differenziabilita checonsiste nel supporre la continuita delle derivate parziali. Va tenuto presente, tuttavia,che in certi casi non lo possiamo usare perche esistono funzioni differenziabili conderivate parziali discontinue. Conviene in generale calcolare a parte le derivate parzialinel punto in questione, diciamo x0, come limiti dei rapporti incrementali (che tral’altro e piu facile che calcolarle come limiti delle derivate) e poi controllare che siasoddisfatta la definizione di differenziabilita sostituendo L(x−x0) con∇f(x0)·(x−x0).

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34 Calcolo differenziale

Teorema 3.6 (del differenziale totale) - Se f : Ω → R ammette le derivateparziali in un intorno U del punto x0 ∈ Ω ed esse sono continue in x0 allora f edifferenziabile in x0.

Dimostrazione. Basta dimostrarlo per n = 2 perche il ragionamento che faremo,in cui si considera la funzione lungo rette parallele agli assi, non cambia nel passaggioa n qualsiasi, comporta solo qualche complicazione nella scrittura.

Dobbiamo dimostrare che

lim(x,y)→(x0,y0)

f(x, y)− f(x0, y0)− fx(x0, y0)(x− x0)− fy(x0, y0)(y − y0)√(x− x0)2 + (y − y0)2

= 0 .

Scritta la variazione della funzione nel seguente modo

f(x, y)− f(x0, y0) = [f(x, y)− f(x0, y)] + [f(x0, y)− f(x0, y0)] ,

applichiamo alle funzioni di una variabile f(·, y) e f(x0, ·) il teorema del valor medio

f(x, y)− f(x0, y) = fx(ξ, y)(x− x0) e f(x0, y)− f(x0, y0) = fy(x0, η)(y − y0)

per ξ ∈ [x0, x] e η ∈ [y0, y] scelti in modo opportuno (ovviamente potrebbe esserenecessario invertire l’ordine degli estremi). Tenendo presente che ξ dipende da (x, y)e η dipende da x, si ha(3.8)

|f(x, y) − f(x0, y0)− fx(x0, y0)(x− x0)− fy(x0, y0)(y − y0)|= |(fx(ξ, y)− fx(x0, y0)) (x− x0) + (fy(x0, η)− fy(x0, y0)) (y − y0)|≤ σ(x, y)

√(x− x0)2 + (y − y0)2 ,

doveσ(x, y) =

√(fx(ξ, y)− fx(x0, y0))2 + (fy(x0, η)− fy(x0, y0))2

e infinitesima con la distanza di (x, y) da (x0, y0) per la continuita delle derivateparziali. Dividendo la (3.8) per questa distanza si ottiene la tesi.

2Le funzioni differenziabili con continuita sono quelle per cui la forma differenziale

esatta x → df(x) e continua, il che significa che e continuo il campo vettoriale x →∇f(x) che la rappresenta. Introdotto allora lo spazio

C1(Ω) = f : Ω→ R | ∃df(x) ∀x ∈ Ω e x→ df(x) e continua in Ω ,

esso rimane caratterizzato come lo spazio delle funzioni che ammettono derivateparziali continue in Ω.

Sulle proprieta algebriche del differenziale non c’e molto da dire; senza entrare neidettagli si dimostrano facilmente tutti i risultati che ci aspettiamo, ad esempio

d(f + g) = df + dg , d(fg) = gdf + fdg

che in termini dei relativi gradienti si possono scrivere nella forma

∇(f + g) = ∇f +∇g , ∇(fg) = g∇f + f∇g .

Vale la pena invece spendere qualche parola in piu sul prodotto di composizione.Per l’interesse che ha nelle applicazioni, trattiamo dapprima il caso semplice dellacomposizione di una funzione con una curva.

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3.3 Funzioni differenziabili 35

Proposizione 3.7 - Siano f : Ω → R una funzione differenziabile nel puntox ∈ Ω e γ : I → Ω derivabile per un certo t ∈ I tale che γ(t) = x. Allora la f γ ederivabile in t e

(3.9)d

dt(f γ)(t) = ∇f(γ(t)) · γ′(t) .

Dimostrazione. Basta applicare la definizione di differenziabilita

f(γ(t+ τ)) − f(γ(t)) = ∇f(γ(t)) · (γ(t+ τ)− γ(t)) + o(γ(t+ τ)− γ(t))= ∇f(γ(t)) · (γ′(t)τ + o(τ)) + o(γ′(t)τ) = ∇f(γ(t)) · γ′(t)τ + o(τ) .

Dividendo per τ e passando al limite si ottiene la tesi.2

Vediamo adesso alcune interessanti applicazioni di questo risultato.

Derivata convettiva - Di una certa importanza e il caso di una funzione f :Ω × R → R. Vogliamo calcolare la derivata (totale) rispetto a t della funzionet → f(γ(t), t), detta derivata convettiva, da non confondersi con la derivata parzialerispetto a t che e la derivata rispetto all’ultima variabile. A questo scopo si usa laProposizione 3.7 applicata alla curva γ(t) = (γ(t), t) a valori in Ω×R. Si ottiene cosı

d

dtf(γ(t)) = ∇xf(γ(t), t) · γ′(t) +

∂tf(γ(t), t) .

Ad esempio la velocita di un punto x(q, t) vincolato ad una guida in movimentovale

v(t) =∂x

∂qq +

∂x

∂t

durante un particolare moto q(t). Il primo termine e la velocita relativa, dovutaal moto del punto rispetto alla guida, il secondo e la velocita di trascinamento, ilcontributo dato dal moto della guida che porta con se il punto.

Per fare un altro esempio, e ragionevole supporre che il consumo di carburantedi un veicolo, che si trova nella posizione x con velocita x, sia rappresentato da unafunzione f(x, x, t). La dipendenza dalla posizione e dovuta per esempio al fatto che ilconsumo e maggiore in salita che in discesa o in piano; comunemente si assume unadipendenza quadratica, comunque non lineare, del consumo dalla velocita; infine sispiega anche la dipendenza esplicita dal tempo: di giorno per esempio, quando fa piucaldo, si consuma piu benzina che di notte. Durante un viaggio x(t) il tasso temporaleistantaneo di consumo di benzina e dato da

d

dtf(x(t), x(t), t) =

∂f

∂xx+

∂f

∂xx+

∂f

∂t.

Ortogonalita tra il gradiente e le superfici di livello - Ad ogni c ∈ Rcorrisponde il luogo geometrico

Γc = x ∈ Ω | f(x) = c

che prende il nome di insieme di livello di f . A seconda della f , al variare di cpossiamo ottenere diversi tipi di insieme, compreso ∅ se c < inf f o se c > sup fquando f e limitata inferiormente o superiormente. Supponiamo che un certo Γc nonsia vuoto e che f sia abbastanza regolare. Come vedremo piu avanti, trattando ilteorema delle funzioni implicite, se ∇f 6= 0 su Γc tale insieme e una superficie n− 1dimensionale, una curva di livello se f dipende da due variabili. Se f e convessa le

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36 Calcolo differenziale

superfici, o le curve, di livello sono chiuse e racchiudono regioni convesse. Utilizzandoil Teorema 3.11 si verifica immediatamente che ∇f in un punto x ∈ Γc e ortogonalea Γc, nel senso che e ortogonale ad ogni curva γ ⊂ Γc e passante per x. Infatti lungoognuna di esse si ha f(γ(t)) = c per ogni t ∈ I, quindi

∇f(γ(t)) · γ′(t) =d

dtf(γ(t)) = 0 ,

dove γ′(t) e tangente a Γc. La superficie di un conduttore carico, sulla quale si sonodistribuite le cariche in eccesso in condizioni di equilibrio elettrostatico, e equipoten-ziale per il campo elettrico da esse generato, sappiamo infatti che le linee di forza (lelinee vettoriali del gradiente del potenziale) la lasciano ortogonalmente.

Funzioni con gradiente nullo - Sappiamo gia che se f e costante allora edifferenziabile e df = 0 su Ω, o, in termini del gradiente, ∇f(x) = 0 per ogni x ∈ Ω.Possiamo invertire l’implicazione? Certamente no se Ω e sconnesso, cioe compostodi piu parti, basta scegliere una funzione che assume valori costanti, ma diversi traloro, sulle varie componenti connesse. Ma che cosa significa insieme sconnesso, oconnesso cioe, intuitivamente, fatto di un unico pezzo? La definizione rigorosa e unpo’ complicata e non altrettanto efficace quanto l’idea intuitiva, d’altra parte possiamoanche farne a meno per i nostri scopi. Cio che invece ci serve e la seguente versionepiu restrittiva.

Definizione 3.8 - Un insieme A ⊂ Rn viene detto connesso per archi se perogni coppia di punti x e y in A esiste una funzione continua γ : [0, 1] → A, dettaappunto arco, tale che γ(0) = x e γ(1) = y.

La relazione tra la connessione e la connessione per archi e espresso dal seguenteteorema.

Teorema 3.9 - Se A ⊂ Rn e connesso per archi allora e connesso.

Tuttavia per gli aperti vale anche l’implicazione contraria.

Teorema 3.10 - Un aperto Ω ⊂ Rn e connesso se e solo se e connesso per archi.

Un esempio di insieme connesso ma non connesso per archi e

(x, y) ∈ R2 | y = sen 1/x , x 6= 0 ∪ (x, y) ∈ R2 | x = 0 , −1 ≤ y ≤ 1 .

Ma a noi interessano principalmente proprio gli aperti, dove tra l’altro possiamosempre scegliere come curva tra due punti, nella Definizione 3.8, un cammino regolare.Siamo adesso in grado di dimostrare il seguente risultato.

Teorema 3.11 - Se una funzione ha gradiente nullo su un aperto Ω connessoallora e costante.

Dimostrazione. Scegliamo due punti qualsiasi x, y ∈ Ω e un cammino regolareγ : [0, 1] → Ω tale che γ(0) = x e γ(1) = y. Per il teorema fondamentale del calcolointegrale, si ha

f(y)− f(x) = f(γ(1))− f(γ(0)) =∫ 1

0

d

dtf(γ(t))dt =

∫ 1

0

∇f(γ(t)) · γ′(t)dt = 0

perche per ipotesi ∇f = 0. Dunque f(x) = f(y).2

Lavoro di un campo conservativo - Abbiamo visto, a proposito del lavorodi un campo vettoriale lungo una curva, che se il campo e puramente posizionale

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3.3 Funzioni differenziabili 37

il lavoro non dipende dal tempo ma solo dalla curva. Adesso mostriamo che se ilcampo e conservativo il lavoro non dipende neanche dalla curva, ma solo dai suoiestremi. Dobbiamo dunque integrare il differenziale di una funzione lungo un camminoqualsiasi, con estremi assegnati, e verificare che il valore dell’integrale dipende solo daivalori che la funzione assume negli estremi. Se γ : [a, b] → Ω e un cammino regolaretale che γ(a) = x e γ(b) = y, si ha∫γ

df =∫ b

a

∇f(γ(t)) · γ′(t)dt =∫ b

a

d

dtf(γ(t))dt = f(γ(b))− f(γ(a)) = f(y)− f(x) .

Quanto e stato detto sulle derivate e il differenziale rimane sostanzialmente in-variato per le funzioni a valori vettoriali, a meno di qualche precisazione di naturaformale. Per una funzione f : Ω → Rm, con Ω aperto in Rn, tutte le definizio-ni (derivata direzionale, parziale, differenziale ecc.), con i risultati, le osservazioni ei commenti sulle loro proprieta, si applicano ancora, identiche a quelle relative allefunzioni scalari. C’e solo da osservare che df(x) e un’applicazione lineare da Rn inRm, quindi il gradiente di f che la rappresenta viene ad essere una matrice m×n, lamatrice jacobiana, dal matematico Carl Gustav Jacob Jacobi (1804-1851). Essa verraindicata con le stesse notazioni ∇f(x) o Df(x) e naturalmente si puo ancora scrivere

(3.10) df(x)(v) = ∇f(x)v ∀v ∈ Rn .

La matrice rappresentativa si ricava al solito modo

[∇f(x)]ij = ei · ∇f(x)ej = ei ·∂f

∂xj=∂fi∂xj

,

pertanto l’operazione a secondo membro della (3.10) puo essere interpretata comeprodotto righe per colonne

dfi(x)(v) =n∑j=1

∂fi(x)∂xj

vj

se assumiamo che le righe della matrice siano i gradienti delle componenti fi. Veniamoadesso al teorema di derivazione del prodotto di composizione nella sua forma piugenerale.

Teorema 3.12 - Siano Ω un aperto di Rk, g : Ω→ Rn una funzione differenzia-bile nel punto x ∈ Ω e f : g(Ω) → Rm differenziabile nel punto y = g(x). Allora lafunzione composta f g e differenziabile in x e

d(f g)(x) = df(g(x)) dg(x) .

Dimostrazione. Poiche la composizione tra funzioni lineari e equivalente al pro-dotto delle rispettive matrici, per dimostrare l’asserto ragioniamo in termini dellematrici rappresentative. In corrispondenza di un incremento h ∈ Rk si ha

f(g(x+ h)) − f(g(x)) = ∇f(g(x))(g(x+ h)− g(x)) + o(g(x+ h)− g(x))= ∇f(g(x))(∇g(x)h+ o(h)) + o(∇g(x)h) = ∇f(g(x))∇g(x)h+ o(h) .

Allora f g e differenziabile in x e

(3.11) d(f g)(x)(h) = ∇(f g)(x)h = ∇f(g(x))∇g(x)h = df(g(x)) dg(x)(h)

per ogni h ∈ Rk.2

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38 Calcolo differenziale

In componenti il prodotto che compare nella (3.11) va scritto nella forma

∂fi(g(x))∂xh

=n∑j=1

∂fi(g(x))∂yj

∂gj(x)∂xh

per ogni i = 1, . . . ,m e per ogni h = 1, . . . , k e si calcola come prodotto righe percolonne tra matrici jacobiane.

3.4 Derivate successive e formula di Taylor

Qualora le derivate parziali di una funzione f : Ω→ R, con Ω aperto in Rn,siano a loro volta differenziabili o derivabili nei vari sensi, diciamo che f ammettederivate seconde e ad esse ovviamente si applicano tutti i risultati finora esposti. Visono quindi n2 derivate seconde

∂xi

(∂f

∂xj

)i, j = 1, . . . , n

di cui n pure, cioe con i = j, e le restanti miste. Riguardo a queste, in generale eimportante l’odine in cui vengono calcolate, nel senso che

∂xi

(∂f

∂xj

)6= ∂

∂xj

(∂f

∂xi

)come avviene per esempio per la funzione

f(x, y) =

y2 arctgx

yse y 6= 0

0 se y = 0 .

Questa funzione e continua su tutto R2 perche

|f(x, y)| ≤ π

2y2 ∀y 6= 0 ⇒ lim

(x,y)→(x0,0)f(x, y) = 0 .

Inoltre appartiene a C1(R2) perche le derivate parziali sono nulle sulla retta y = 0 eper ogni y 6= 0 si ha

∂f(x, y)∂x

=y3

x2 + y2e

∂f(x, y)∂y

= 2y arctgx

y− xy2

x2 + y2,

da cui∣∣∣∣∂f(x, y)∂x

∣∣∣∣ = |y| y2

x2 + y2≤ |y| e

∣∣∣∣∂f(x, y)∂y

∣∣∣∣ ≤ π|y|+|y| |xy|x2 + y2≤(π +

12

)|y| ,

pertanto

lim(x,y)→(x0,0)

∂f(x, y)∂x

= 0 e lim(x,y)→(x0,0)

∂f(x, y)∂y

= 0 .

Nei punti della retta y = 0 si ha se x 6= 0

fx(x, y)− fx(x, 0)y

=y2

x2 + y2⇒ ∂

∂y

(∂f

∂x

)(x, 0) = 0

fy(x+ t, 0)− fy(x, 0)t

= 0 ⇒ ∂

∂x

(∂f

∂y

)(x, 0) = 0

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3.4 Derivate successive e formula di Taylor 39

e le due derivate miste ancora coincidono, ma in (0, 0) mentre la Dx(Dyf) e nulla,per l’altra si ha

fx(0, y)− fx(0, 0)y

= 1 ∀y 6= 0 ⇒ ∂

∂y

(∂f

∂x

)(0, 0) = 1 .

L’esistenza delle derivate seconde in un punto implica la continuita delle derivateprime. In particolare, se cio avviene in un insieme, di f possiamo solo dire che saradi classe C1.

Teorema 3.13 (Lemma di Schwarz) - Sia f ∈ C1(U) con U intorno del puntox ∈ Ω. Se f ammette le derivate seconde miste in U e queste sono continue nel puntox allora sono uguali in x.

Conseguenza immediata di questo risultato, di cui omettiamo la dimostrazione, e chese f ha derivate seconde continue la matrice D2f costruita con esse, detta matricehessiana dal matematico Otto Hesse (1811-1874), e simmetrica. In R2 ha 3 compo-nenti indipendenti, fxx, fyy e fxy, in R3 ne ha 6 indipendenti, fxx, fyy, fzz, fxy, fyze fxz, in Rn ne ha (n2 − n)/2 + n = n(n+ 1)/2. Si possono dunque usare, in un casodi sufficiente regolarita, notazioni quali

D2ijf , oppure

∂2f

∂xi∂xj

dove non ha importanza l’ordine in cui si scelgono le variabili rispetto a cui derivare.Alle derivate seconde possiamo applicare il Teorema 3.6 se le derivate prime sono

derivabili a loro volta e le loro derivate sono continue. In questo caso si deduce chele derivate prime sono differenziabili con continuita pervenendo cosı alla definizionedello spazio C2(Ω) come l’insieme delle funzioni che ammettono le derivate secondecontinue in Ω. Iterando questo ragionamento si perviene in modo simile a definiregli spazi Ck(Ω) e poi C∞(Ω), quello delle funzioni che ammettono le derivate di ogniordine (necessariamente tutte continue).

Un multiindice e un’n-upla a = (a1,a2, . . . ,an) di numeri naturali e la sua lun-ghezza e |a| = a1 + a2 + . . .+ an. Posto

xa = xa1x

a2 · · ·xa

n , a! = a1!a2! · · ·an! e Daf =∂|a|f

∂xa11 ∂xa2

2 . . . ∂xann,

con la convenzione D0f = f , dimostriamo la seguente formula di Taylor col resto diPeano.

Teorema 3.14 - Se f ∈ Ck−1(U), con U intorno di x0, e se ammette le derivateparziali di ordine k in x0, allora esiste un infinitesimo o(x), per x → x0, di ordinesuperiore a |x− x0|k tale che

(3.12) f(x) =k∑|a|=0

Daf(x0)a!

(x− x0)a + o(|x− x0|k) .

Dimostrazione. Scriviamo la formula di Taylor centrata in t = 0, nella versionegia studiata in una variabile, per la funzione ψ(t) = f(x0 + t(x− x0)) con t ∈ [0, 1]

(3.13) ψ(t) =k∑h=0

ψ(h)(0)h!

th + o(tk|x− x0|k) .

Nella (3.13) sarebbe corretto scrivere o(tk), ma, essendo fissati x e x0, possono com-parire nell’infinitesimo o come delle costanti, senza modificarne la natura. Per le

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40 Calcolo differenziale

derivate di ψ si ha

ψ′(t) =n∑i=1

Dif(x0 + t(x− x0))(xi − x0i) =∑|a|=1

Daf(x0 + t(x− x0))(x− x0)a

ψ′′(t) =n∑j=1

Dj

(n∑i=1

Dif(x0 + t(x− x0))(xi − x0i))

(xj − x0j)

=n∑

ij=1

Dijf(x0 + t(x− x0))(xi − x0i)(xj − x0j) =∑|a|=2

Daf(x0 + t(x− x0))(x− x0)a

...

ψ(h)(t) =∑|a|=h

Daf(x0 + t(x− x0))(x− x0)a

e cosı via fino ad h = k e quindi per t = 0

ψ(h)(0) =∑|a|=h

Daf(x0)(x− x0)a .

Ponendo adesso t = 1 nella (3.13) e tenendo presente che ψ(1) = f(x), si ottiene

f(x) =k∑h=0

1h!

∑|a|=h

Daf(x0)(x− x0)a + o(|x− x0|k)

=k∑h=0

∑|a|=h

Daf(x0)a!

(x− x0)a + o(|x− x0|k)

che e la tesi.2

Per k = 1 nella (3.12) si ritrova la definizione di differenziale, per k = 2 lo sviluppodi Taylor assume la forma

f(x) = f(x0) +n∑i=1

Dif(x0)(xi − x0i) +12

n∑ij=1

D2ijf(x0)(xi − x0i)(xj − x0j) + o(|x− x0|2)

= f(x0) +Df(x0) · (x− x0) +12D2f(x0)(x− x0) · (x− x0) + o(|x− x0|2)

dove la parte quadratica a secondo membro e la forma quadratica associata alla ma-trice hessiana D2f(x0). Per k = 3 si aggiunge il polinomio omogeneo di terzo gradoassociato alla matrice a 3 indici delle derivate terze, diviso per 3!, e cosı via: conl’aumentare dell’ordine di derivazione aumenta l’ordine, cioe il numero di indici, dellacorrispondente matrice delle derivate. Di un certo interesse, ai fini dello studio deimassimi e minimi, e lo sviluppo fino al secondo ordine come vedremo nel prossimoparagrafo.

3.5 Massimi e minimi

In questo paragrafo illustriamo alcuni metodi per la determinazione degliestremi di una funzione di piu variabili. Trattiamo dapprima il caso dei massimie minimi liberi, in cui il dominio e un aperto, ma terremo presenti anche alcunesituazioni interessanti in cui lo studio si estende fino al bordo, cogliendo tra l’altrol’occasione per presentare un primo esempio di equazione differenziale alle derivateparziali del secondo ordine. Piu avanti affronteremo anche il problema degli estremivincolati, che consiste nella ricerca dei massimi e minimi per funzioni definite suinsiemi chiusi, curve o superfici.

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3.5 Massimi e minimi 41

Definizione 3.15 - Un punto x0 ∈ Ω e di minimo relativo [massimo relativo]per la funzione f : Ω→ R se esiste un intorno U ∈ I (x0) tale che

f(x) ≥ f(x0) [f(x) ≤ f(x0)] ∀x ∈ U .

Se le precedenti disuguaglianze valgono in senso stretto in U per x 6= x0 allora diciamoche x0 e di massimo [minimo] relativo isolato.

Definizione 3.16 - Diciamo che un punto x0 ∈ Ω e stazionario per la funzionef : Ω→ R se f e differenziabile in x0 e df(x0) = 0.

Teorema 3.17 - Se f : Ω → R e differenziabile in x0 ∈ Ω e ammette x0 comepunto di massimo o di minimo relativo allora x0 e stazionario per f .

Dimostrazione. Basta osservare che, per le ipotesi fatte, per ogni v ∈ Rn la fun-zione di una variabile t→ ψ(t) = f(x0+tv), definita in un intorno di 0, e differenziabilein 0 e ammette t = 0 come punto stazionario, quindi

ψ′(0) = ∇f(x0) · v = 0 ∀v ∈ Rn .

Per l’arbitrarieta di v deve essere ∇f(x0) = 0.2

In realta, per ottenere la condizione di stazionarieta, dato che essa riguarda soloil gradiente, non e richiesta la differenziabilita di f , ma e sufficiente l’esistenza dellederivate parziali in x0, basta osservare che per ogni i = 1, . . . , n la funzione di unavariabile xi → f(x01, . . . , xi, . . . , x0n) ammette x0i come punto stazionario, quindiDif(x0) = 0 per ogni i = 1, . . . , n.

Il Teorema 3.17, che da una condizione solo necessaria per la determinazione degliestremi relativi, ci dice che essi vanno ricercati tra i punti stazionari, naturalmentetenendo presente che possono essere estremi relativi anche eventuali altri punti incui f non ammette derivate. Va osservato inoltre che tale teorema non fa nessunadistinzione tra massimi e minimi. A questo scopo bisogna raffinare l’indagine facendointervenire condizioni aggiuntive sulle derivate di ordine superiore mediante il ricorsoalla formula di Taylor. Il seguente teorema ci fornisce un criterio che si basa sul segno(in senso stretto) dell’hessiano, ma ci mostra anche l’esigenza di passare a derivate diordine superiore nel caso degenere.

Teorema 3.18 - Sia x0 ∈ Ω un punto stazionario per la funzione f ∈ C2(Ω). Sex0 e di minimo [massimo] relativo per f allora

(3.14) D2f(x0)v · v ≥ 0 [D2f(x0)v · v ≤ 0] ∀v ∈ Rn .

Viceversa, se

(3.15) D2f(x0)v · v > 0 [D2f(x0)v · v < 0] ∀v ∈ Rn

allora x0 e di minimo [massimo] relativo isolato per f .

Dimostrazione. Posto x = x0 + tv nella formula di Taylor al II ordine, si ha

(3.16)f(x0 + tv)− f(x0)

t2=

12D2f(x0)v · v +

o(t2)t2

.

Ora, se x0 e di minimo relativo, per |t| sufficientemente piccolo si ha

f(x0 + tv)− f(x0) ≥ 0

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42 Calcolo differenziale

e quindi, passando al limite per t→ 0, D2f(x0)v · v ≥ 0. Viceversa, se

D2f(x0)v · v > 0

il II membro nella (3.16) e anch’esso positivo per |t| sufficientemente piccolo, quindif(x0 + tv)− f(x0) > 0 e x0 e di minimo relativo isolato. In modo analogo si ragionaper il massimo.

2Che la condizione (3.14) sia necessaria ma non sufficiente lo si vede subito con

la funzione f(x, y) = x2 − y4. Ovviamente il punto stazionario O = (0, 0) non ene di massimo ne di minimo, diciamo in tal caso che si tratta di un punto di sellanel senso che x → f(x, 0) ha minimo in 0 mentre y → f(0, y) ha massimo in 0.Tuttavia la sua parte quadratica (x, y) → x2 soddisfa la (3.14). La possiamo usarecome condizione sufficiente soltanto se si presenta nella versione piu restrittiva (3.15)di essere definita in segno e non semi-definita. A questo scopo basta controllare ilsegno dei suoi autovalori, che, com’e ben noto, sono tutti reali. L’hessiano in (0, 0)della funzione f che abbiamo appena considerato ha come autovalori 2 e 0: il fattoche uno di essi sia positivo esclude che il punto stazionario sia di massimo, ma nonbasta per affermare che e di minimo perche l’altro autovalore e nullo. La funzioneg(x, y) = x2 + y4 ha lo stesso hessiano della f in (0, 0), stazionario anche per g, ma sitratta questa volta del punto di minimo in quanto g(0, 0) = 0 e altrove e positiva.

In molti casi si puo evitare di ricorrere al Teorema 3.18. Se per esempio f : Ω→ Re una funzione convessa di classe C1, con Ω aperto convesso, allora si puo dimostrareche

f(x) ≥ f(x0) +Df(x0) · (x− x0) ∀x, x0 ∈ Ω ,

quindi e evidente che se x0 e stazionario non puo che essere di minimo. L’eventualestretta convessita avra come conseguenza l’unicita del minimo. Conclusioni analoghesi ottengono per i massimi di funzioni concave.

Esercizio 3.7 Dimostrare che una funzione f ∈ C2(Ω) e convessa se e solo sel’hessiano D2f e semi-definito positivo.

Ricordiamo inoltre l’utilita, in quest’ambito di problemi, dei teoremi di Weirstraß edi Rolle, con le relative varianti, che combinati insieme sono particolarmente efficaci.

Teorema 3.19 (di Weierstraß) - Ogni funzione continua definita su un insiemecompatto ammette massimo e minimo.

Dimostrazione. Basta ricordare che ogni funzione continua trasforma compattiin compatti e che ogni insieme compatto in R ammette massimo e minimo.

2

Teorema 3.20 (di Rolle) - Siano Ω ⊂ Rn un aperto limitato (quindi Ω e com-patto) e f ∈ C0(Ω) ∩ C1(Ω) una funzione costante su ∂Ω. Allora esiste x0 ∈ Ω taleche ∇f(x0) = 0.

Dimostrazione. Siano x1, x2 ∈ Ω rispettivamente il minimo e il massimo di f suΩ. Essendo

f(x1) ≤ f(x) ≤ f(x2) ∀x ∈ Ω ,

se f(x1) = f(x2) deve essere f costante e quindi ha gradiente nullo ovunque. Se, alcontrario, uno dei due punti cade all’interno sia applica il Teorema 3.17 e la tesi edimostrata.

2Una situazione tipica e il caso di una funzione nulla sul bordo e con un segno

determinato all’interno. Mettiamo sia positiva, allora il massimo cade all’interno e i

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3.5 Massimi e minimi 43

punti del bordo sono tutti di minimo. Cio non esclude l’esistenza di minimi relativiinterni, ma solo se vi sono almeno due punti stazionari interni, altrimenti, se il puntostazionario e unico, e necessariamente di massimo.

Consideriamo ad esempio la funzione f(x, y) = (x2 − y2) log(x2 + y2) sull’apertoΩ = (x, y) ∈ R2 | x > |y| , x2 + y2 < 1. Poiche

|f(x, y)| ≤ (x2 + y2)| log(x2 + y2)| ,f ammette su Ω prolungamento continuo, indichiamolo ancora con f , nullo su ∂Ω.In Ω e negativa, quindi ha il minimo all’interno e il massimo sul bordo. Cerchiamo ipunti stazionari interni come soluzioni del sistema

∂f(x, y)∂x

= 2x[x2 − y2

x2 + y2+ log(x2 + y2)

]= 0

∂f(x, y)∂y

= 2y[x2 − y2

x2 + y2− log(x2 + y2)

]= 0 .

L’espressione in parentesi nella seconda equazione non puo mai annularsi perche som-ma delle quantita positive x2 − y2 e − log(x2 + y2), quindi deve essere y = 0 che,sostituito nella prima, implica x = 1/

√e. L’unico punto stazionario interno per f e

(1/√e, 0) ed e necessariamente di minimo.

Se si toglie l’ipotesi che Ω sia limitato il Teorema di Rolle non e piu vero. Costruireun controesempio e molto semplice, si prenda ad esempio la funzione f(x, y) = y sulsemipiano y ≥ 0. Sul bordo, l’asse x, e identicamente nulla, ma all’interno nonpresenta nessun punto stazionario.

Un caso interessante in cui sia il massimo che il minimo vengono raggiunti sulbordo e quello delle funzioni armoniche. Il problema dell’equilibrio per lo spostamentou(x, y) di una membrana posta in trazione, vincolata sul bordo e soggetta ad un caricodistribuito f(x, y) si traduce nell’equazione differenziale alle derivate parziali

∂2u

∂x2+∂2u

∂y2+ f = 0 in Ω

con la condizione al bordo sullo spostamento

u = g su ∂Ω .

Se f = 0 diciamo che u e armonica. Indichiamo con ∆ l’operatore differenziale, dettolaplaciano, dato dalla somma delle derivate seconde pure

∆ =n∑i=1

∂2

∂x2i

,

per cui ∆u coincide con la traccia dell’hessiano di u.

Definizione 3.21 - Una funzione u ∈ C2(Ω) e detta armonica se ∆u(x) = 0per ogni x ∈ Ω.

Sono armoniche ad esempio le funzioni lineari del tipo u(x) = a ·x+ b, per n = 1 nonve ne sono altre. Equazioni alle derivate parziali che coinvolgono il laplaciano sonomolto ricorrenti nella fisica dei mezzi continui. Un problema modello e proprio quelloprecedente sull’equilibrio di una membrana, lo riformuliamo in Rn.

Problema 3.22 (Problema di Dirichlet) - Dati un aperto Ω limitato (almeno neicasi piu comuni) in Rn e le funzioni continue f : Ω → R e g : ∂Ω → R, trovareu ∈ C2(Ω) ∩C0(Ω) tale che −∆u = f in Ω

u = g su ∂Ω .

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44 Calcolo differenziale

Vale il seguente risultato, del tutto naturale se si pensa a come si deforma unamembrana se il carico e rivolto verso il basso.

Teorema 3.23 (Principio di massimo) - Se u e soluzione del Problema 3.22 conΩ limitato e f ≤ 0 allora

maxΩ

u = max∂Ω

u .

Dimostrazione. In pratica dobbiamo dimostrare la tesi con l’ipotesi ∆u ≥ 0.Supponiamo dapprima ∆u > 0. Se esistesse un punto di massimo x0 ∈ Ω, l’hes-

siano in tal punto sarebbe semidefinito negativo e la sua traccia ∆u(x0) non potrebbeessere positiva, contrariamente all’ipotesi.

Adesso supponiamo ∆u ≥ 0 e consideriamo una perturbazione uε della u ottenutasommando alla u una forma quadratica definita positiva, ad esempio

uε = u+ ε|x|2 , ε > 0 ,

in modo cheu ≤ uε e ∆uε = ∆u+ 2εn > 0 .

Tenendo conto del caso restrittivo precedente, si ha

maxΩ

u ≤ maxΩ

uε = max∂Ω

uε ≤ max∂Ω

u+ εmax∂Ω|x|2 ≤ max

∂Ωu+ εR2

con R > 0 abbastanza grande in modo che Ω ⊂ BR(0). Essendo ε arbitrario, passandoal limite per ε→ 0 si ottiene

maxΩ

u ≤ max∂Ω

u .

Con la disuguaglianza contraria, che e sempre vera, si ottiene la tesi.2

In modo del tutto equivalente si puo affermare che se ∆u ≥ 0 e u ha un massimorelativo interno allora e costante. Analogamente si dimostra che il minimo di unafunzione u che soddisfa il Problema 3.22 con f ≥ 0 viene raggiunto sul bordo. Daqueste considerazioni discende immediatamente il seguente risultato.

Corollario 3.24 - Ogni funzione armonica u ∈ C2(Ω)∩C0(Ω) raggiunge il mas-simo e il minimo sul bordo.

Una conseguenza interessante del principio di massimo e l’unicita in C2(Ω) ∩ C0(Ω)della soluzione del Problema di Dirichlet. Supponiamo che u e v siano soluzioni dellostesso problema. Allora ∆(u− v) = 0 in Ω e u− v = 0 su ∂Ω. In altre parole u− v earmonica e in quanto tale

min∂Ω

(u− v) = minΩ

(u− v) ≤ maxΩ

(u− v) = max∂Ω

(u− v) ,

ma il primo e l’ultimo membro sono nulli, quindi u = v in Ω.

3.6 Funzioni implicite

Sotto quali condizioni un’equazione del tipo F (x, y) = 0 definisce una curvanel piano (x, y)? Con semplici esempi ci si rende conto facilmente che non sempresi tratta di una curva, nel senso del sostegno di una curva regolare e semplice, conuna sola tangente in ogni punto. L’equazione x2 + y2 − R2 = 0 rappresenta unacirconferenza di raggio R se R > 0, ma per R = 0 degenera in un punto; xy = k el’equazione dei due rami di un’iperbole se k 6= 0, ma per k = 0 degenera in una coppiadi rette; il luogo di zeri della funzione

F (x, y) = maxx2 + y2 − 1, 0

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3.6 Funzioni implicite 45

e addirittura una regione piana, il disco unitario, ben lungi dall’assomigliare ad unacurva.

Il risultato fondamentale a cui e dedicato questo paragrafo, noto come Teoremadelle funzioni implicite o Teorema del Dini, e di natura esclusivamente locale: essoriguarda la possibilita di riconoscere localmente un luogo di zeri come il sostegno diuna curva regolare. Piu precisamente come grafico di una funzione di una variabilerispetto all’altra, che e un risultato ancora piu particolare perche ogni grafico e ilsostegno di una curva. Comunque, trattandosi di una descrizione locale, e evidenteche non c’e nessuna differenza, dal momento che anche il sostegno di una curva regolaree localmente un grafico, infatti se una delle due componenti x(t) o y(t), ad esempiola prima, soddisfa x′(t0) 6= 0 allora, in quanto continua, x′(t) 6= 0 in un intorno(t0 − δ, t0 + δ) di t0, quindi strettamente monotona in tale intorno e con inversa t(x)di classe C1. Ne segue che in un intorno di x(t0) la curva e il grafico della funzionef(x) = y(t(x)).

Teorema 3.25 (delle funzioni implicite) - Siano Ω ⊂ R2 un aperto e F ∈ C1(Ω)tale che il suo luogo di zeri Γ = (x, y) ∈ Ω | F (x, y) = 0 sia non vuoto. Scelto unpunto (x0, y0) ∈ Γ tale che Fy(x0, y0) 6= 0, esistono un intorno U di x0, un intornoV di y0 ed una funzione f : U → V tali che

(a) F (x, f(x)) = 0 ∀x ∈ U ;

(b) f e derivabile in U e f ′(x) = −Fx(x, f(x))Fy(x, f(x))

∀x ∈ U ;

(c) f ∈ C1(U).

Dimostrazione. (a) Supponiamo Fy(x0, y0) > 0 tanto per fissare le idee. Alloraper continuita Fy(x, y) > 0 in un intorno di (x0, y0). Poiche in questo intorno lafunzione y → F (x0, y) e strettamente crescente, esistono y1 e y2, con y1 < y0 < y2,tali che F (x0, y1) < 0 < F (x0, y2). Per continuita esiste un intorno U di x0 tale cheF (x, y1) < 0 e F (x, y2) > 0 per ogni x ∈ U . Scegliamo per V un intervallo contenentey1 e y2 e osserviamo che per ogni x ∈ U la funzione y → F (x, y) e strettamentecrescente in V , pertanto, per il teorema degli zeri, esiste per ogni x ∈ U un’unicay ∈ V tale che F (x, y) = 0, cioe (x, y) ∈ Γ. Ma l’unicita di y significa che y eunivocamente determinata come funzione di x, dunque rimane definita una funzionef : U → V tale che F (x, f(x)) = 0 per ogni x ∈ U .

(b) Scelti x, x+h ∈ U , consideriamo i due punti di Γ (x, f(x)) e (x+h, f(x+h)) eil segmento che li unisce (x+th, f(x)+t(f(x+h)−f(x))), con t ∈ [0, 1]. Per il teoremadel valor medio applicato alla funzione t→ F (x+ th, f(x)+ t(f(x+h)−f(x))), esisteτ ∈ [0, 1] tale che

0 = F (x+ h, f(x+ h))− F (x, f(x)) =d

dtF (x+ th, f(x) + t(f(x+ h)− f(x)))|t=τ

=∂

∂xF (x+ τh, f(x) + τ(f(x+ h)− f(x)))h

+∂

∂yF (x+ τh, f(x) + τ(f(x+ h)− f(x)))(f(x+ h)− f(x)) ,

da cui

(3.17) f(x+ h)− f(x) = −Fx(x+ τh, f(x) + τ(f(x+ h)− f(x)))Fy(x+ τh, f(x) + τ(f(x+ h)− f(x)))

h .

Questa relazione mostra che f e lipschitziana, quindi continua, infatti, potendo sup-porre che il compatto U × V sia contenuto in Ω, si deduce da essa

|f(x+ h)− f(x)| ≤maxU×V

|Fx|

minU×V

|Fy||h| .

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46 Calcolo differenziale

Ne segue che nella (3.17), dopo averla divisa per h, il secondo membro ammette limiteper h→ 0, dunque ammette limite anche il primo e si ottiene

f ′(x) = limh→0

f(x+ h)− f(x)h

= − limh→0

Fx(x+ τh, f(x) + τ(f(x+ h)− f(x)))Fy(x+ τh, f(x) + τ(f(x+ h)− f(x)))

= −Fx(x, f(x))Fy(x, f(x))

.

(c) Basta osservare che nella formula per la derivata, ottenuta al punto (b), f ′(x)coincide con una funzione continua, quindi f ∈ C1(U).

2Questo teorema ha delle conseguenze notevoli e merita di essere commentato

estesamente. Innanzi tutto non si tratta di un teorema di esistenza, ma di regola-rita: il fatto che il luogo di zeri sia non vuoto, infatti, e assunto come ipotesi e puodiscendere da altri fattori del tutto indipendenti. La regolarita riguarda la f ed echiaro che il teorema non si limita ad affermare che F ∈ C1(Ω)⇒f ∈ C1(U), bensıF ∈ Ck(Ω)⇒f ∈ Ck(U) oppure F ∈ C∞(Ω)⇒f ∈ C∞(U), in altre parole la regola-rita di f e la stessa di quella di F . Se ad esempio sappiamo che F ∈ C2(Ω), si vedesubito che il secondo membro della formula per f ′ sta in C1, ma f ′ ∈ C1(U) vuol diref ∈ C2(U) e cosı via. In tal caso possiamo continuare a derivare fino all’ordine con-sentito ottenendo formule per le derivate successive, sempre piu complicate, a partireda(3.18)

f ′′(x) = − [Fxx(x, y) + Fxy(x, y)f ′(x)]Fy(x, y)− Fx(x, y)[Fyx(x, y) + Fyy(x, y)f ′(x)]Fy(x, y)2

,

dove y = f(x), e avanti cosı derivando ancora. In particolare, in corrispondenza di unpunto x stazionario per la f , che si riconosce dal fatto che Fx(x, f(x)) = 0, la (3.18)si riduce a

f ′′(x) = −Fxx(x, f(x))Fy(x, f(x))Fy(x, f(x))2

.

L’ipotesi che il punto (x0, y0) non sia stazionario per F e una condizione solo suffi-ciente, ma non necessaria, affinche Γ sia riconoscibile localmente come grafico di f .Infatti Γ non cambia, ovviamente, se si sostituisce F con F 2, ma questa non soddisfal’ipotesi perche essendo F (x0, y0) = 0 si ha ∇F 2

|(x0,y0) = 2F (x0, y0)∇F (x0, y0) = 0. Inpresenza di un punto critico il teorema non e piu applicabile, ma non si puo escludereche nell’intorno di quel punto il luogo di zeri sia grafico di una funzione y = f(x)oppure x = g(y).

Un’ultima osservazione riguarda l’equazione della retta tangente. Come puo scri-versi in termini di F nel punto (x0, y0) ∈ Γ? Evidentemente anche questa si presenterain forma implicita. Ricordando che l’equazione della tangente al grafico di f ha laforma

y − y0 = f ′(x0)(x− x0) ,

utilizzando la formula per f ′ data dal Teorema 5.13 si ottiene

Fx(x0, y0)(x− x0) + Fy(x0, y0)(y − y0) = 0

che conferma l’ortogonalita tra il vettore ∇F e la particolare curva di livello Γ. Adesempio la tangente all’ellisse

x2

a2+y2

b2= 1

nel punto (x0, y0) ha equazione

2x0

a2(x− x0) +

2y0

b2(y − y0) = 0 ,

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3.6 Funzioni implicite 47

da cuix0x

a2+y0y

b2= 1 .

Il seguente teorema e la versione parametrica del Teorema 5.13 e puo essere dedottoda questo come corollario, dato che ogni grafico e di fatto il sostegno di una curva,oppure puo essere dimostrato in modo autonomo.

Teorema 3.26 - Sotto le stesse ipotesi del Teorema 5.13, esiste un intorno W delpunto (x0, y0) e una curva regolare γ : I →W tale che F (γ(t)) = 0 e ∇F (γ(t))·γ′(t) =0 per ogni t ∈ I.

Vogliamo adesso generalizzare questi risultati, in modo graduale, a spazi di dimen-sione qualsiasi. Ci limitiamo ad enunciare i teoremi, senza entrare nei dettagli delladimostrazione, per la comprensione dei quali si consiglia di mantenere un costantecollegamento con i casi semplici visti adesso. Cominciamo con il luogo geometrico diuna funzione di 3 variabili che definisce localmente una superficie regolare.

Teorema 3.27 - Siano Ω ⊂ R3 un aperto e F ∈ C1(Ω) tale che il suo luogo dizeri Γ = (x, y, z) ∈ Ω | F (x, y, z) = 0 sia non vuoto. Scelto un punto (x0, y0, z0) ∈ Γtale che Fz(x0, y0, z0) 6= 0, esistono un intorno U di (x0, y0), un intorno V di z0 eduna funzione f : U → V tali che

(a) F (x, y, f(x, y)) = 0 ∀(x, y) ∈ U ;

(b) f e differenziabile in U e

∂f(x, y)∂x

= −Fx(x, y, f(x, y))Fy(x, y, f(x, y))

e∂f(x, y)∂y

= −Fx(x, y, f(x, y))Fy(x, y, f(x, y))

∀(x, y) ∈ U ;

(c) f ∈ C1(U).

Si capisce che le considerazioni fatte prima si possono ripetere in questo caso conle ovvie modifiche. In particolare per l’equazione del piano tangente a Γ nel punto(x0, y0, f(x0, y0)) si puo passare dalla forma esplicita

z = f(x0, y0) +∂f(x0, y0)

∂x(x− x0) +

∂f(x0, y0)∂y

(y − y0)

alla forma implicita, con z0 = f(x0, y0),

∂F (x0, y0, z0)∂x

(x− x0) +∂F (x0, y0, z0)

∂y(y − y0) +

∂F (x0, y0, z0)∂z

(z − z0) = 0

che conferma ancora una volta l’ortogonalita tra il vettore ∇F e la superficie Γ doveF e costantemente nulla.

Prima di dare la versione parametrica di questo teorema definiamo in modoanalogo alle curve la nozione di superficie regolare.

Definizione 3.28 - Una superficie regolare in R3 e un’applicazione ϕ : A →R3, con A aperto in R2, tale che ϕ ∈ C1(A) e

∂ϕ(u, v)∂u

× ∂ϕ(u, v)∂v

6= 0 ∀(u, v) ∈ A .

Piu in generale, per una ipersuperficie (o semplicemente una superficie) regolarein Rn si sostituisce R2 con Rn−1 per l’aperto A, in cui variano gli n − 1 parametriu = (u1, . . . , un−1), e la condizione sulle derivate della ϕ ∈ C1(A) diventa che glin− 1 vettori

∂ϕ(u)∂u1

,∂ϕ(u)∂u2

, . . . ,∂ϕ(u)∂un−1

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48 Calcolo differenziale

devono essere linearmente indipendenti per ogni u ∈ A. L’immagine di ϕ

x ∈ Rn | x = ϕ(u), u ∈ A

si chiama sostegno della superficie ϕ.

Nella Definizione 3.28 la condizione di regolarita si traduce nel fatto che la matricejacobiana ∇ϕ, a n righe e n− 1 colonne, deve avere caratteristica massima. I vettoricolonna costituiscono una base per lo spazio tangente, il piano tangente se si tratta diuna superficie in R3. Si noti che la dimensione dello spazio tangente e pari a n − 1,cioe al numero di parametri indipendenti uh che intervengono nella parametrizzazione.Diciamo allora che n − 1 e anche la dimensione della superficie. E facile a questopunto dedurre l’equazione parametrica del piano tangente alla superficie nel punto(x0, y0, z0) = ϕ(u0, v0), esso e dato da

(x, y, z) = (x0, y0, z0) + λ∂ϕ(u0, v0)

∂u+ µ

∂ϕ(u0, v0)∂v

, λ, µ ∈ R

e analogamente in Rn

x = x0 +n−1∑h=1

λh∂ϕ(u0)∂uh

, λh ∈ R .

Formuliamo adesso la versione parametrica del Teorema 3.27.

Teorema 3.29 - Sotto le stesse ipotesi del Teorema 3.27, esiste un intorno Wdel punto (x0, y0, z0) e una superficie regolare ϕ : A→W tale che F (ϕ(u, v)) = 0 perogni (u, v) ∈ A e

∂uF (ϕ(u, v)) =

∂F

∂x

∂ϕ1

∂u+∂F

∂y

∂ϕ2

∂u+∂F

∂z

∂ϕ3

∂u= 0

∂vF (ϕ(u, v)) =

∂F

∂x

∂ϕ1

∂v+∂F

∂y

∂ϕ2

∂v+∂F

∂z

∂ϕ3

∂v= 0 .

In altre parole, ∇F e su Γ ortogonale ai due vettori tangenti ϕu e ϕv. La relazionex = ϕ(u) in Rn puo essere interpretata come configurazione ammissibile di un sistemavincolato. Nel caso del Teorema 3.29 puo trattarsi ad esempio di un punto materialevincolato a stare su una superficie, la quale, essendo definita da una sola relazioneimplicita, viene interpretata come vincolo semplice. La presenza di un vincolo diquesto tipo, in quanto restrizione sulle posizioni, diminuisce il cosiddetto grado diliberta: se inizialmente, nello spazio, un punto libero ha 3 gradi di liberta, non appenaviene imposto un vincolo semplice il grado di liberta scende a 2, la somma del grado diliberta col grado di vincolo e sempre 3, pari al caso del punto libero, senza vincoli. Ilnumero di parametri indipendenti, che in Meccanica sono detti coordinate lagrangiane,coincide con il grado di liberta. In definitiva, il grado di liberta e pari alla dimensionedello spazio tangente e il grado di vincolo a quella dello spazio normale. Vediamo ilcaso di un vincolo doppio.

Teorema 3.30 - Sia Ω ⊂ R3 un aperto, F = (F1, F2) : Ω → R2 una funzionea valori vettoriali tale che F ∈ C1(Ω) e Γ = x ∈ Ω | F (x) = 0 6= ∅. Supponiamoinoltre che per un certo x0 ∈ Γ si abbia ∇F1(x0) × ∇F2(x0) 6= 0. Allora esiste unintorno W di x0 ed una curva regolare γ : I →W tale che

(3.19) F (γ(t)) = 0 ∀t ∈ I e ∇F (γ(t))γ′(t) = 0 ∀t ∈ I .

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3.7 Diffeomorfismi e varieta differenziabili 49

La regolarita della superficie nell’intorno di x0 e assicurata dalla condizione (3.19) dinon parallelismo dei gradienti di F1 e di F2 e quindi dal fatto che la matrice jacobiana∇F , a 2 righe e 3 colonne, deve avere caratteristica massima. Cosı lo spazio normaleha dimensione 2 in quanto generato dai vettori ∇F1 e ∇F2 (2 e il grado di vincolo),mentre lo spazio tangente ha dimensione 1 ed e generato dal vettore γ′(t) (1 e il gradodi liberta).

Vediamo adesso le due versioni del teorema delle funzioni implicite nel caso piugenerale.

Teorema 3.31 (delle funzioni implicite) - Siano Ω ⊂ Rn × Rm un aperto eF : Ω → Rm una funzione tale che F ∈ C1(Ω) e Γ = (x, y) ∈ Ω | F (x, y) = 0 6=∅. Supponiamo inoltre che in un punto (x0, y0) ∈ Γ lo jacobiano di F rispetto allevariabili y = (y1, . . . , ym), che denotiamo con ∇yF , sia non singolare. Allora esistonoun intorno U di x0, un intorno V di y0 ed una funzione f : U → V tali che

(a) F (x, f(x)) = 0 ∀x ∈ U ;

(b) f e differenziabile in U e ∇f(x) = −[∇yF (x, f(x))]−1∇xF (x, f(x)) ∀x ∈ U ;

(c) f ∈ C1(U).

Teorema 3.32 - Siano Ω ⊂ Rn un aperto e F : Ω → Rm, con m < n, unafunzione tale che F ∈ C1(Ω) e Γ = x ∈ Ω | F (x) = 0 6= ∅. Supponiamo inoltreche in un punto x0 ∈ Γ lo jacobiano di F , a m righe e n colonne, abbia caratteristicamassima. Allora esistono un intorno W di x0, un aperto A ⊂ Rl, con l = n−m, eduna funzione ϕ : A → W tali che F (ϕ(u)) = 0 per ogni u ∈ A, ∇ϕ(u), a n righe e lcolonne, ha caratteristica massima, ϕ ∈ C1(A) e

∇uF (ϕ(u)) = ∇xF (ϕ(u))∇uϕ(u) = 0 ∀u ∈ A .

3.7 Diffeomorfismi e varieta differenziabili

Una delle numerose applicazioni del teorema delle funzioni implicite, che,ricordiamo, fornisce un risultato di natura locale, riguarda l’esistenza e la differenzia-bilita dell’inversa di una funzione differenziabile assegnata. Naturalmente tutto cioche discende dal Teorema 3.31 non puo che essere di natura locale, cio non toglie chesia lecito chiedersi se, e quando, una proprieta valida localmente, nell’intorno di ognipunto, non possa trasformarsi in una proprieta globale.

In una variabile gia sappiamo come stanno le cose. Se U ∈ I (x0) e f ∈ C0(U),in generale non basta che sia derivabile in x0, ne che sia derivabile in tutto U , conf ′(x0) 6= 0, per dedurre l’esistenza dell’inversa f−1 : f(U) → U e tanto meno la suaderivabilita nel punto y0 = f(x0) o in tutti i punti di f(U), bensı bisogna assumeref ∈ C1(U). Con questa ipotesi, se f ′(x0) 6= 0, a meno di passare ad un intornopiu piccolo che possiamo ancora indicare con U , esiste l’inversa f−1 : f(U) → U inC1(f(U)) e (f−1)′(y) = 1/f ′(f−1(y)) per ogni y ∈ f(U). Ne segue che se f : I → J ,con I e J intervalli, sta in C1(I) e f ′(x) 6= 0, allora ogni punto x ∈ I ammette unintorno su cui vale la stessa proprieta. In altre parole esiste su I l’inversa locale, ognipunto ha un intorno su cui f−1 esiste ed e differenziabile, ma possiamo ”raccordare”tra loro, intorno per intorno, tutte le inverse in modo da formare un’unica funzioneinversa f−1 : J → I? Certamente, la risposta e affermativa nel caso fortunato di unavariabile, ma non ha niente a che fare col Teorema 3.31, infatti si puo ragionare cosı:

se f ∈ C1(I) e f ′(x) 6= 0 per ogni x ∈ I, per continuita la f ′ deve mantenere semprelo stesso segno, di conseguenza f e strettamente monotona e quindi invertibile su tuttoI, con inversa necessariamente differenziabile e soddisfacente la solita formula.

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50 Calcolo differenziale

Il fatto che sia fondamentale far intervenire la monotonia per il passaggio dall’in-vertibilta locale a quella globale, che e poi la vera invertibilita, lo si vede subito conun semplice controesempio, ancora in una variabile, ma a valori in R2. La funzionef(t) = eit, con t ∈ R, trasforma l’asse reale nella circonferenza unitaria avvolgendolosu di essa infinite volte, in quanto periodica non puo essere iniettiva. Pero e di clas-se C∞ e f ′(t) = ieit 6= 0. Possiamo solo dire che ogni t ∈ R ammette un intorno(t−δ, t+δ) che ha per immagine un arco della circonferenza con cui la corrispondenzastabilita da f e biunivoca, in definitiva che e localmente invertibile.

In piu variabili questo e proprio cio che accade in generale, come esempio se nepuo prendere uno simile. La funzione f = (f1, f2) : R2 → R2 − 0 definita da f1(x, y) = ex cos y

f2(x, y) = ex sen y ,

che vista come funzione di variabile complessa non e altro che l’esponenziale f(z) = ez,non e invertibile a causa della periodicita lungo l’asse y, pero e localmente invertibileperche f ′(z) = ez 6= 0. Ma come si traduce questa condizione se si considera la fcome funzione reale? La risposta ci viene dal caso lineare. Se f : Rn → Rn e lineare,quindi f(x) = Ax, certamente appartiene a C1(R) e∇f(x) = A e dall’Algebra Linearesappiamo che f e invertibile se e solo se detA = det∇f(x) 6= 0. Ebbene, questa ela condizione giusta anche nel caso non lineare, pero e solo sufficiente e implica solol’invertibilta locale.

Definizione 3.33 - Siano Ω1,Ω2 ⊂ Rn due aperti e f : Ω1 → Ω2 una funzionedi classe C1. Diciamo che f e un diffeomorfismo se e bigettiva e f−1 : Ω2 → Ω1 edi classe C1.

Definizione 3.34 - Diciamo che f e un diffeomorfismo locale se per ogni x ∈Ω1 esistono un intorno U ∈ I (x) ed un intorno V ∈ I (f(x)) tale che f|U : U → Ve un diffeomorfismo.

L’esempio precedente mostra un diffeomorfismo locale che non e un diffeomorfismo.Il seguente risultato da una condizione sufficiente affinche una funzione sia un diffeo-morfismo locale.

Teorema 3.35 - Siano Ω1,Ω2 ⊂ Rn due aperti e f : Ω1 → Ω2 una funzione diclasse C1 tale che det∇f(x0) 6= 0 per un certo x0 ∈ Ω1. Allora esistono un intornoU ∈ I (x0) ed un intorno V ∈ I (y0), con y0 = f(x0), tale che f|U : U → V e undiffeomorfismo e

∇f−1(y) = [∇f(f−1(y))]−1 ∀y ∈ V .

Dimostrazione. Sia F : Ω1 × Ω2 → Rn la funzione F (x, y) = y − f(x), laquale si annulla per y = f(x). Poiche ∇xF (x0, y0) = −∇f(x0) e non singolare, peril Teorema 3.31 esistono un intorno V di y0, un intorno U di x0 ed una funzioneg : V → U in C1(V ) tali che F (g(y), y) = 0 in V . Per l’unicita di g ed essendoF (x, f(x)) = 0 in U , si ha immediatamente g = f−1. Inoltre

∇g(y) = ∇f−1(y) = −[∇xF (f−1(y), y)]−1∇yF (f−1(y), y) = ∇f(x)|x=f−1(y)I = ∇f(f−1(y)) .

2Nel Teorema delle funzioni implicite si passa dalla descrizione globale di un insieme

Γ, il luogo di zeri di F , ad una sua descrizione locale. Supponiamo che le ipotesi sianoverificate in tutti i punti di Γ. In tal caso ogni punto x ∈ Γ ha un intorno W tale cheW ∩Γ e il sostegno di una parametrizzazione regolare e bigettiva che raramente, pero,e la stessa per tutti gli intorni. In generale nessuna di queste puo essere estesa fino a

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3.8 Punti stazionari vincolati, il metodo dei moltiplicatori di Lagrange 51

diventare una parametrizzazione globale, a meno che non si rinunci alla bigettivita oalla continuita dell’inversa.

Se ad esempio vogliamo rendere bigettiva la funzione ϕ(t) = eit, a valori nellacirconferenza x2

1 +x22−1 = 0, dobbiamo restringerla all’intervallo [0, 2π), ma l’inversa

di questa non e continua, lo si vede in tanti modi, se lo fosse l’immagine della cir-conferenza, che e compatta, dovrebbe essere un intervallo compatto, non semiaperto.Allora scegliamo come dominio l’intervallo aperto (0, 2π), ma in questo modo non vie-ne descritta tutta la circonferenza, viene escluso il punto (1, 0). Per descriverla tuttae necessario considerare insieme alla ϕ un’altra parametrizzazione che deve escluderealtri punti, ma includere (1, 0), per esempio ψ(t) = eit con t ∈ (−π, π). Risulta cheil cambio di paramatrizzazione ψ−1 ϕ : (0, 2π) → (−π, π), che impegna la partecomune di Γ, e un diffeomorfismo.

Una parametrizzazione della sfera unitaria x21 + x2

2 + x23 − 1 = 0 e la seguente

x1 = cosu cos v

x2 = cosu sen v

x3 = senu , −π/2 ≤ u ≤ π/2 , 0 ≤ v ≤ 2π .

E evidente che ai valori v = 0, 2π corrisponde lo stesso meridiano, inoltre si hanno idue poli u = π/2,−π/2 per tutti i valori di v, d’altra parte, lo sappiamo per esperien-za, e impossibile incartare un pallone con un solo foglio in modo che l’aderenza siaperfettamente bigettiva. Facendo variare i parametri sugli intervalli aperti si rinunciaad un meridiano e a due punti, ma se a tale parametrizzazione se ne affianca un’altraopportunamente definita e dello stesso tipo, si riesce a descrivere tutta la sfera. Unatlante geografico non e altro che un modo di descrivere localmente la superficie dellaTerra mappeggiando le varie porzioni su carte piane; alcune porzioni, gli intorni dicui si parla nel teorema intersecati con la superficie, possono avere intersezioni traloro non vuote, si tratta di quei territori, un po’ di confine, che compaiono sia in unamappa che in un’altra ad essa vicina.

Definizione 3.36 - Una varieta differenziabile in Rn di dimensione l e uninsieme Γ ⊂ Rn a cui sono associate una famiglia A = Ai di aperti in Rl, unafamiglia U = Ui di aperti in Rn la cui unione ricopre Γ e, posto Γi = Γ ∩ Ui, unafamiglia Φ = ϕi di applicazioni bigettive ϕi : Γi → Ai, con inversa differenziabile ejacobiano di rango massimo, tali che, se Ui ∩ Uj 6= ∅, ϕj|Γi∩Γj

ϕ−1i|Γi∩Γj

: Ai → Ajsono diffeomorfismi. Le ϕi si chiamano carte locali e la famiglia Φ che esse formanosi chiama atlante.

Per varieta compatte le famiglie di cui sopra possono essere ridotte a famiglie finite.Cio e dovuto ad una definizione di insieme compatto piu generale, rispetto a quellaper successioni che abbiamo sempre usato, secondo la quale un insieme K e compattose e solo se ogni famiglia di aperti che ricopre K ammette un sottoricoprimento finitodi K.

Questo argomento meriterebbe una trattazione a parte, noi ci siamo limitati adun assaggio.

3.8 Punti stazionari vincolati, il metodo dei molti-plicatori di Lagrange

Consideriamo una funzione definita su un aperto Ω ⊂ Rn e un insieme Γ ⊂ Ωsostegno di una curva regolare γ : I → Ω. Se f e differenziabile, come possiamodefinire un punto stazionario per f|Γ? La domanda nasce dall’esigenza di trattare il

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52 Calcolo differenziale

problema dei massimi e minimi di una funzione in presenza di vincoli. Se un certopunto x0 ∈ Γ e di minimo per f|Γ e x0 = γ(t0) allora t0 e di minimo per f γ e se t0e interno ad I, o se I e un intervallo aperto, deve essere nulla in t0 la derivata dellafunzione composta f γ. Ricordando che

d

dtf(γ(t)) = ∇f(γ(t)) · γ′(t) ∀t ∈ I ,

e naturale introdurre la seguente definizione.

Definizione 3.37 - Se Γ ⊂ Ω e il sostegno di una curva regolare γ : I → Ω, conI aperto, x0 ∈ Γ e un punto stazionario vincolato per f se, scelto t0 ∈ I in modoche γ(t0) = x0, si ha ∇f(x0) · γ′(t0) = 0.

In un punto stazionario vincolato deve dunque risultare il gradiente di f ortogonaleal vincolo. Nel caso piano, ad esempio, tale condizione di ortogonalita diventa

∂f(γ(t0))∂x1

γ′1(t0) +∂f(γ(t0))∂x2

γ′2(t0) = 0 ,

oppure, se la curva e data come grafico y = ϕ(x), diventa

∂f(x, ϕ(x))∂x

+∂f(x, ϕ(x))

∂yϕ′(x) = 0 .

Se infine la curva e data come luogo di zeri di una funzione g(x, y) di classe C1, talecondizione si traduce nel parallelismo tra i vettori ∇f e ∇g, il secondo dei quali esempre normale alla curva. Pertanto

(x0, y0) ∈ Γ e stazionario per f|Γ se e solo se ∇f(x0, y0)×∇g(x0, y0) = 0 .

In modo equivalente

(x0, y0) ∈ Γ e stazionario per f|Γ se e solo se ∃λ ∈ R : ∇f(x0, y0)+λ∇g(x0, y0) = 0 .

Il problema della ricerca dei punti stazionari vincolati ad una curva piana viene cosıricondotto alla risoluzione del sistema di 2 equazioni a 2 incognite ∇f(x, y)×∇g(x, y) = 0

g(x, y) = 0

o alla risoluzione del sistema di 3 equazioni a 3 incognite ∇f(x, y) + λ∇g(x, y) = 0

g(x, y) = 0

comprendente il fattore incognito λ, detto moltiplicatore di Lagrange. Si pervieneallo stesso sistema se si cercano i punti stazionari liberi della funzione di Lagrange, olagrangiana, L (x, y, λ) = f(x, y) + λg(x, y).

Se Γ e una curva nello spazio R3 la condizione di ortogonalita ∇f(γ(t)) · γ′(t) = 0impone a ∇f di appartenere al piano normale. Si tratta in questo caso di un vincolodoppio, definito dunque da due condizioni del tipo g1(x) = 0 e g2(x) = 0, quindi ilpiano normale ha dimensione 2 ed e generato dai vettori non paralleli ∇g1 e ∇g2.L’appartenenza al piano normale si traduce nel sistema di 3 equazioni a 3 incognite

∇f(x) · ∇g1(x)×∇g2(x) = 0

g1(x) = 0

g2(x) = 0

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3.8 Punti stazionari vincolati, il metodo dei moltiplicatori di Lagrange 53

o nel sistema di 5 equazioni a 5 incognite∇f(x) + λ1∇g1(x) + λ2∇g2(x) = 0

g1(x) = 0

g2(x) = 0

comprendente i due moltiplicatori di Lagrange λ1 e λ2. Come sopra, questo sistemapuo essere ottenuto cercando i punti stazionari liberi della lagrangiana L (x, λ1, λ2) =f(x) + λ1g1(x) + λ2g2(x).

Se invece di una curva abbiamo a che fare con una superficie regolare Γ in R3, casodel vincolo semplice, ugualmente ∇f deve essere ad essa normale nei punti stazionari.Per la formula di derivazione della funzione composta f(x(u)), con x = (x1, x2, x3) eu = (u1, u2), che gia conosciamo

(3.20)∂

∂uhf(x(u)) = ∇f(x(u)) · ∂x(u)

∂uh

risulta che un punto e stazionario per f sul vincolo Γ se e solo se ∇f e ortogonaleai due vettori tangenti ∂x/∂u1 e ∂x/∂u2. Pertanto deve essere parallelo al gradientedella funzione g che ammette Γ come luogo di zeri. Si perviene cosı al sistema di 3equazioni a 3 incognite ∇f(x)×∇g(x) = 0

g(x) = 0

o al sistema di 4 equazioni a 4 incognite ∇f(x) + λ∇g(x) = 0

g(x) = 0

ottenibile anche ricercando i punti stazionari liberi della lagrangiana L (x, λ) = f(x)+λg(x).

Veniamo al caso piu generale di una superficie regolare Γ l-dimensionale in Rn,data quindi come luogo di zeri di una funzione g = (g1, . . . , gm) : Rn → Rm am = n − l componenti. Considerando una sua parametrizzazione reagolare x(u) intermini degli l parametri u = (u1, . . . , ul), la condizione di stazionarieta si scrive comenella (3.20), eguagliata a 0, con h = 1, . . . , l e significa l’ortogonalita tra ∇f e tutti glil vettori tangenti ∂x/∂uh. Ne segue che ∇f appartiene allo spazio normale generatodai vettori ∇gi e il metodo dei moltiplicatori di lagrange consiste nel cercare i puntistazionari liberi della lagrangiana

L (x, λ1, . . . , λm) = f(x) +m∑i=1

λigi(x)

dipendente da n + m variabili. I valori richiesti sono le soluzioni (x, λ) ∈ Rn+m delsistema di n+m equazioni a n+m incognite

∇f(x) +m∑i=1

λi∇gi(x) = 0

gi(x) = 0 ∀i = 1, . . . ,m .

Il significato di questo metodo sta nella possibilita di eliminare i vincoli penalizzandola funzione costo. In altre parole modifichiamo la funzione da ottimizzare con un

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54 Calcolo differenziale

costo aggiuntivo che in qualche modo conserva le informazioni sui vincoli attraversole funzioni che li definiscono come luoghi di zeri. Un’interpretazione molto interessantedal punto di vista fisico e la seguente. Le configurazioni di equilibrio di un sistemavincolato con vincoli lisci e soggetto ad una sollecitazione conservativa F = −∇V sonoi punti stazionari vincolati dell’energia potenziale V . Essi si trovano anche risolvendol’equazione di equilibrio

F + φ = 0

dove φ e la sollecitazione vincolare incognita. Poiche i vincoli sono lisci φ e combi-nazione lineare, a coefficienti incogniti λi, dei vettori ∇gi, base dello spazio normale.Pertanto l’equazione di equilibrio diventa

−∇V (x) +m∑i=1

λi∇gi(x) = 0

gi(x) = 0 ∀i = 1, . . . ,m .

Risolta rispetto a (x, λ), saranno cosı determinate le configurazioni di equilibrio e lecorrispondenti sollecitazioni vincolari.

Esempi

3.8 Calcolare la distanza tra due rette sghembe.

3.9 Trovare i punti stazionari di una forma quadratica sulla sfera unitaria.

3.10 Un punto materiale P = (x, y, z) e vincolato senza attrito sulla curva Γ inter-sezione della sfera x2 + y2 + z2 = 4 con il cono z =

√x2 + (y − 1)2 ed e soggetto alla

forza elastica F = −k(P − O). Trovare le posizioni di equilibrio di P e le reazionivincolari che agiscono su P in corrispondenza di tali posizioni.

L’intersezione Γ e non vuota perche il vertice del cono e interno alla sfera. Poniamog(x, y, z) = x2 + y2 + z2 − 4 e h(x, y, z) = x2 + (y − 1)2 − z2 sul semispazio z > 0. Ilprodotto vettoriale dei gradienti di queste due funzioni, che sono di classe C1, e datoda

∇g ×∇h = 2(x, y, z)× 2(x, y − 1,−z) = 4(z − 2yz, 2xz,−x)

e si annulla per x = 0 e z = 0, cioe nei punti della forma (0, y, 0), e per x = 0 ey = 1/2 con z arbitrario, nei punti (0, 1/2, z). Nessuno di questi appartiene a Γ,quindi l’intersezione delle due superfici e una curva regolare.

3.9 Forme differenziali

3.10 Espressione delle derivate in vari sistemi dicoordinate

3.11 Funzioni omogenee

3.12 Funzioni convesse

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Capitolo 4

Integrali multipli

4.1 Alcune relazioni integrali

Indichiamo con Rp(I), p > 0, l’insieme delle funzioni u : I → C tali che |u|p eintegrabile, eventualmente in senso improprio. In particolare R1(I) e l’insieme dellefunzioni assolutamente integrabili, quindi u ∈ Rp(I) se e solo se |u|p ∈ R1(I).

Proposizione 4.1 - Se p > 1 Rp(I) e uno spazio vettoriale.

Dimostrazione.Vediamo che relazione c’e tra questi spazi

Proposizione 4.2 - Se I e limitato e p > q allora Rp(I) ⊂ Rq(I) e se u econtinua

limp→+∞

(∫I

|u|p dx)1/p

= supI|u| .

Dimostrazione. Poiche la funzione t → tp/q e convessa su [0,+∞[, possiamoapplicare la disuguaglianza di Jensen (??)(

1m(I)

∫I

|u|q)p/q

61

m(I)

∫I

(|u|q)p/q =1

m(I)

∫I

|u|p

da cui, elevando alla 1/p, si ottiene(1

m(I)

∫I

|u|q)1/q

6

(1

m(I)

∫I

|u|p)1/p

.

Questa disuguaglianza mostra che se p > q e u ∈ Rp(I) allora u ∈ Rq(I). Inoltre lafunzione p→ (m(I)−1

∫I|u|p)1/p e crescente e quindi ha limite per p→ +∞.

Supponiamo adesso che u sia continua su I e poniamo L = supI |u|. Se L < +∞,passando all’estremo superiore dentro l’integrale si ottiene banalmente(∫

I

|u|p dx)1/p

6 m(I)1/pL ∀p > 0 .

D’altra parte, per ogni ε > 0 esiste un punto x ∈ I tale che |u(x)| > L − ε e percontinuita un intero intervallo Iε di misura positiva sul quale |u(x)| > L − ε. Allorasi ha (∫

I

|u|p)1/p

>

(∫Iε

|u|p)1/p

> m(Iε)1/p(L− ε) .

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56 Integrali multipli

Passando al limite per p→ +∞ si ottiene

L− ε 6 lim infp→+∞

(∫I

|u|p)1/p

6 lim supp→+∞

(∫I

|u|p)1/p

6 L

e la tesi segue dall’arbitrarieta di ε.Se L = +∞ per ogni k ∈ R esiste, per la continuita come prima, un intervallo

Ik ⊂ I dove |u(x)| > k, per cui(∫I

|u|p)1/p

>

(∫Ik

|u|p)1/p

> km(Ik)1/p

e passando al limite rispetto a p si ottiene

lim infp→+∞

(∫I

|u|p)1/p

> k

che, per l’arbitrarieta di k, e la tesi.2

In particolare l’insieme R(I) e contenuto in ogni Rp(I) con p > 0, ma

R(I) $ ∩p>0Rp(I) ,

si veda l’Esercizio??.Due numeri reali p, q > 1 vengono detti esponenti coniugati se 1/p + 1/q = 1, si

noti che l’unico caso in cui p = q si verifica per p = q = 2.delle funzioni integrabili secondo Riemann e con R∞(I) l’insieme di quelle limitate.

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Capitolo 5

Successioni e serie di funzioni

In questo capitolo vengono illustrate alcune nozioni di convergenza per le succes-sioni e le serie di funzioni di una variabile reale, ma teniamo presente che l’estensioneal caso di piu variabili, o addirittura alle funzioni su spazi astratti, e, in molti casi,ovvia e non richiede ulteriore lavoro. Le applicazioni piu importanti riguardano leserie di potenze e le serie di Fourier trigonometriche. Avremo bisogno, ad un certomomento della trattazione, di fare riferimento al caso astratto della convergenza dellesuccessioni negli spazi metrici e negli spazi normati.

5.1 Convergenza puntuale

Sia (fn), n ∈ N, una successione di funzioni tutte definite sullo stesso dominioA ⊂ R a valori in R. La nozione di limite che viene piu spontaneo considerare equella puntuale: se in ogni punto x ∈ A esiste ed e finito il limite della successionedi numeri reali (fn(x)), tale limite dipende da x e quindi si stabilisce l’esistenza dellafunzione f : A→ R, detta limite puntuale della (fn), definita da

(5.1) f(x) = limn→∞

fn(x) ∀x ∈ A ,

oppure, in modo equivalente, dalla condizione

(5.2) limn→∞

|f(x)− fn(x)| = 0 ∀x ∈ A .

Per indicare che (fn) converge a f in ogni punto scriveremo, piu semplicemente,

fnptlm−→ f . Per maggiore chiarezza diamo anche una definizione esplicita che si ricollega

direttamente alla nozione di limite di una successione di numeri reali.

Definizione 5.1 - La successione (fn) converge puntualmente a f se

(5.3) ∀x ∈ A e ∀ε > 0 ∃ν(x, ε) ∈ N : |fn(x)− f(x)| < ε ∀n > ν .

Nella convergenza puntuale possiamo immaginare i grafici delle varie funzioni fn che siavvicinano a quello di f dal momento che la successione dei punti del piano (x, fn(x))converge al punto (x, f(x)) per ogni x ∈ A.

Esempi

5.1 La successione fn(x) = x + n, x ∈ R, non ammette limite puntuale perche inogni punto diverge a +∞, mentre la fn(x) = x + 1/n converge a f(x) = x. I graficisono rette parallele, nel primo caso a distanza costante una dall’altra, nel secondo siavvicinano alla retta y = x per n → ∞. Anche i grafici delle fn(x) = nx, x ∈ R,

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58 Successioni e serie di funzioni

sono rette, in questo caso (fn) diverge a +∞ per x > 0, diverge a −∞ per x < 0 econverge nel solo punto x = 0. Vedere per esercizio come si comporta la successionefn(x) = x/n.

5.2 La successione fn(x) = xn, con x ∈ [0, 1], converge puntualmente alla funzione

f(x) =

0 se 0 6 x < 11 se x = 1 .

0 1

1

x

y

Figura 5.1: Le funzioni xn su [0, 1].

5.3 Le funzionifn(x) =

n

n+ x2, x ∈ R ,

assumono tutte il valore 1 per x = 0 e tendono a 0 per |x| → +∞, ma formano unasuccessione che converge puntualmente alla funzione costante f(x) = 1. Si osserviche

limn→∞

limx→+∞

fn(x) = 0 mentre limx→+∞

limn→∞

fn(x) = 1 .

0

1

x

y

Figura 5.2: Le funzionin

n+ x2su R.

5.4 La funzione f(x) = 1/x, x > 0, e il limite puntuale delle sue “troncate”

fn(x) = minn, 1/x , x > 0 .

5.5 La successionefn(x) = arctg nx , x ∈ R ,

converge puntualmente alla funzione f(x) = π2 signx.

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5.1 Convergenza puntuale 59

0

!

2

!!

2

x

y

Figura 5.3: Le funzioni arctg nx su R.

5.6 La successionefn(x) =

√x2 + 1/n , x ∈ R ,

converge puntualmente alla funzione f(x) = |x|, x ∈ R.

0 x

y

Figura 5.4: Le funzioni√x2 +

1n

su R.

5.7 Le successioni di funzioni su R (sennx) e (cosnx) non convergono puntualmen-te, altro che nei punti x = kπ la prima dove vale 0 per ogni n, e nei punti 2kπ laseconda dove vale sempre 1. Si tratta di funzioni periodiche di periodo Tn = 2π/nsempre piu piccolo al crescere di n. Il numero di oscillazioni sull’intervallo [0, 2π] ela frequenza, sempre piu grande, ωn = 2π/Tn = n.

5.8 La successione

fn(x) = 2nx(1− x2)n , x ∈ [0, 1] ,

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60 Successioni e serie di funzioni

0

2!

x

y

Figura 5.5: Le funzioni sennx su [0, 2π].

0 2! x

y

Figura 5.6: Le funzioni cosnx su [0, 2π].

converge puntualmente alla funzione identicamente nulla, ma i massimi divergono.

Una serie di funzioni fn definite su un dominio A converge puntualmente seconverge puntualmente la successione delle funzioni somme parziali

sn(x) =n∑k=0

fk(x) ∀x ∈ A .

In tal caso e definita la funzione somma della serie

s(x) =∞∑n=0

fn(x) ∀x ∈ A

tale chelimn→∞

|sn(x)− s(x)| = 0 ∀x ∈ A .

Ad esempio

sn(x) =n∑k=0

akxk , ak ∈ R , x ∈ R ,

e la successione delle somme parziali di una serie di potenze in R, oppure

sn(z) =n∑k=0

ckzk , ck ∈ C , z ∈ C ,

e la successione delle somme parziali di una serie di potenze in C. Ricordiamo cheper il Teorema di Cauchy-Hadamard (v. corso di Analisi 1) il dominio di convergenzadipende dal numero

L = lim supn→∞

n√|cn| = lim sup

n→∞

|cn+1||cn|

,

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5.1 Convergenza puntuale 61

0 1 x

y

Figura 5.7: Le funzioni 2nx(1− x2)n su [0, 2π].

precisamente e tutto C se L = 0, il solo punto 0 se L = +∞ e il cerchio di centro 0 eraggio R = 1/L se 0 < L < +∞.

La domanda che ci poniamo dopo aver visto questi esempi e se determinate pro-prieta utili e interessanti delle funzioni sono stabili nei passaggi al limite. Se le fnad esempio sono continue, o derivabili, il loro eventuale limite puntuale e continuo oderivabile? La derivata del limite puntuale, qualora esista, e il limite della successionedelle derivate? Se le fn sono integrabili su un intervallo il loro limite e integrabile?L’integrale del limite e il limite degli integrali? In effetti si vede subito che non e cosıin generale, le funzioni continue degli Esempi 5.2 e 5.5 hanno come limite funzionidiscontinue, le funzioni della successione dell’Esempio 5.6 sono derivabili, ma il lorolimite non lo e. Nell’Esempio (5.8) gli integrali non vanno a 0 come il limite puntuale,ne vanno a +∞ come i massimi, precisamente si ha

∫ 1

0

fn dx = −n[

(1− x2)n+1

n+ 1

]1

0

=n

n+ 1→ 1 .

E anche possibile costruire successioni di funzioni integrabili il cui limite puntuale none integrabile. Evidentemente la convergenza puntuale presenta delle carenze nel sensoche proprieta importanti non passano al limite, non si conservano, derivate e integralinon commutano col segno di limite. D’altra parte la convergenza puntuale non si basasu una distanza tra funzioni, ma sulla distanza tra i valori che le funzioni assumononei vari punti, risultando quindi anch’essa variabile. Conviene allora considerare deglispazi opportuni i cui elementi sono funzioni e dotarli volta per volta di opportunedistanze, o norme nel caso vettoriale, in modo che il limite di una successione risultiben definito in termini della relativa metrica. Tra le tante di uso comune figurano lanorma uniforme

‖f‖∞ = supx∈A|f(x)|

e quella di tipo integrale

‖f‖1 =∫A

|f(x)| dx .

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62 Successioni e serie di funzioni

5.2 Spazi metrici completi

Ricordiamo che una successione di punti (xn) di uno spazio metrico (X, d) e dettaconvergente ad un punto x ∈ X se

limn→∞

d(xn, x) = 0 ,

cioe se∀ε > 0 ∃ν ∈ N : d(xn, x) < ε ∀n > ν .

Scriviamo in questo caso xn → x. Ricordiamo inoltre che una successione (xn) ⊂ Xe detta di Cauchy se

∀ε > 0 ∃ν ∈ N : d(xn, xm) < ε ∀n,m > ν .

Dalla disuguaglianza triangolare della distanza segue immediatamente che ogni suc-cessione convergente e di Cauchy, infatti

d(xn, xm) 6 d(xn, x) + d(x, xm) < 2ε

per n,m sufficientemente grandi. Viceversa, non e detto che le successioni di Cau-chy ammettano limite, dipende dallo spazio metrico cui appartengono. Per esempioesistono successioni di Cauchy di numeri razionali che non hanno limite in Q percheil loro limite e irrazionale. In R, invece, ogni successione di Cauchy di numeri realiammette sempre un numero reale come limite. Per questo diciamo che R e comple-to mentre Q non lo e. Questa situazione suggerisce di generalizzare la nozione dicompletezza con la seguente definizione.

Definizione 5.2 - Uno spazio metrico (X, d) viene detto completo se per ognisuccessione di Cauchy (xn) ⊂ X esiste x ∈ X tale che xn → x.

Esercizio 5.1 - Dimostrare che se X e completo e C e un sottoinsieme chiuso diX allora anche C e completo.

Possiamo generalizzare anche il passaggio da Q a R vedendolo come un’operazione dicompletamento. Senza entrare troppo nei dettagli, se uno spazio metrico (X, d) non ecompleto, per “completarlo” si definisce dapprima la relazione di equivalenza tra duesuccessioni di Cauchy (xn), (yn) ⊂ X

(xn) ∼ (yn) se d(xn, yn)→ 0 ,

sono cioe equivalenti due successioni di Cauchy che si avvicinano tra loro per n→∞.Poi si dimostra che lo spazio quoziente X = X/ ∼ e metrico completo con la distanzad tra (due classi di) successioni di Cauchy definita da

d([(xn)], [(yn)]) = limn→∞

d(xn, yn) ,

dove e evidente che il limite non dipende dalla scelta delle successioni rappresentanti(xn) e (yn) delle rispettive classi [(xn)] e [(yn)]. Lo spazio X di partenza risulteraisometrico, e quindi identificabile a tutti gli effetti, con un sottospazio X ′ denso inX, quello delle successioni costanti: ogni punto x ∈ X puo essere visto, infatti comela successione costante xn = x, mentre d sulle successioni costanti coincide con la dsu X, quindi ne e l’estensione a X. La costruzione che abbiamo ora descritto e solol’idea della dimostrazione del seguente teorema.

Teorema 5.3 (di completamento) - Sia (X, d) uno spazio metrico. Allora esi-stono uno spazio metrico completo (X, d) ed un sottoinsieme X ′ denso in X tali cheX e isometrico a X ′ e d|X′×X′ = d.

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5.3 Spazi di Banach e di Hilbert 63

Esercizio 5.2 - Verificare che il completamento di uno spazio metrico X coincidecon il completamento di qualunque sottospazio denso in X.

Trattiamo adesso un’altra questione legata agli spazi metrici completi che ci sarautile anche in altri contesti di questo corso.

Definizione 5.4 - Una contrazione su uno spazio metrico (X, d) e una funzioneϕ : X → X che soddisfa la condizione

(5.4) d(ϕ(x), ϕ(y)) 6 kd(x, y) ∀x, y ∈ X

con una costante k < 1.

La (5.4) non e altro che la condizione di Lipschitz con una restrizione sul valore dellacostante che serve ad imporre alla ϕ di ridurre strettamente le distanze tra i punti edequivale a

(5.5) supx,y∈X

d(ϕ(x), ϕ(y))d(x, y)

< 1 .

Si noti che non e la stessa cosa assumere nella (5.4) k = 1 con la disuguaglianzastretta perche cio non impedisce all’estremo superiore nella (5.5) di valere 1, comeaccade alla funzione ϕ(x) =

√1 + x2 su R.

Teorema 5.5 (delle contrazioni) - Se X e completo e ϕ e una contrazione suX allora esiste un unico punto x ∈ X tale che ϕ(x) = x. Tale punto e detto puntofisso di ϕ.

Dimostrazione. Il ragionamento che faremo e noto come metodo delle approssima-zioni successive. Precisamente si parte da un punto iniziale x0 qualsiasi e si costruisceper induzione la successione xn = ϕ(xn−1), n > 1. Poiche

d(xh, xh−1) = d(ϕ(xh−1), ϕ(xh−2)) 6 kd(xh−1, xh−2) = kd(ϕ(xh−2), ϕ(xh−3))

6 k2d(xh−2, xh−3) 6 . . . 6 kid(xh−i, xh−i−1) 6 . . . 6 kh−1d(x1, x0) ,

per la disuguaglianza triangolare della distanza si ha, con m < n,

d(xn, xm) 6n∑

h=m+1

d(xh, xh−1) 6 d(x1, x0)n∑

h=m+1

kh−1 =km+1 − kn+1

1− k ,

espressione che puo essere resa arbitrariamente piccola pur di prendere m,n abba-stanza grandi, visto che kn → 0. Dunque (xn) e di Cauchy e converge ad un certox ∈ X. Adesso e lecito passare al limite nella definizione induttiva della successione,essendo ϕ continua, e si scopre che x e un punto fisso di ϕ. Per l’unicita, se di puntifissi ve ne fossero due distinti, x e y, si otterrebbe la contraddizione

d(x, y) = d(ϕ(x), ϕ(y)) 6 kd(x, y) < d(x, y) .

2

5.3 Spazi di Banach e di Hilbert

Uno spazio vettoriale X complesso, cioe sul corpo C dei numeri complessi, vienedetto normato se e definita su X una funzione a valori reali che associa ad ognielemento x ∈ X la sua norma, ‖x‖, con le seguenti proprieta:

‖ · ‖1. ‖x‖ > 0 ∀x ∈ X e ‖x‖ = 0⇒ x = 0,

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64 Successioni e serie di funzioni

‖ · ‖2. ‖λx‖ = |λ|‖x‖ ∀x ∈ X, ∀λ ∈ C,

‖ · ‖3. ‖x+ y‖ 6 ‖x‖+ ‖y‖ ∀x, y ∈ X.

Dalla ‖ · ‖2 segue, con x qualsiasi e λ = 0, l’implicazione inversa della ‖ · ‖1, cioex = 0⇒ ‖x‖ = 0. Osserviamo inoltre che dalla ‖ · ‖3 segue anche la relazione∣∣‖x‖ − ‖y‖∣∣ 6 ‖x− y‖ ∀x, y ∈ X ,

infatti‖x‖ 6 ‖x− y‖+ ‖y‖ ,

poi si porta ‖y‖ a sinistra e infine si scambiano i ruoli di x e y.La norma induce sullo spazio la nozione naturale di distanza

d(x, y) = ‖x− y‖ ∀x, y ∈ X

che fa di X uno spazio metrico.

Definizione 5.6 - Se lo spazio normato X con la distanza indotta dalla normarisulta completo allora viene detto spazio di Banach.

Ad esempio R e Rn sono spazi di Banach con la distanza indotta dal modulo, che ela distanza euclidea. Riassumendo

- xn → x se ‖xn − x‖ → 0,

- (xn) e di Cauchy se per ogni ε > 0 ∃ν ∈ N : ‖xn − xm‖ < ε ∀n,m > ν,

- X e di Banach se ogni successione (xn) di Cauchy ammette limite x ∈ X.

Esercizio 5.3 Dimostrare che la norma e continua: ‖xn‖ → ‖x‖ se ‖xn−x‖ → 0.

Uno spazio vettoriale complesso X puo essere munito di un prodotto scalare, cioedi un’applicazione definita sul prodotto cartesiano X × X a valori complessi, cheindicheremo con 〈x, y〉, tale che

〈·, ·〉1. 〈x, x〉 > 0 ∀x ∈ X e 〈x, x〉 = 0⇔ x = 0,

〈·, ·〉2. 〈x, y〉 = 〈y, x〉 ∀x, y ∈ X,

〈·, ·〉3. 〈λx, y〉 = λ〈x, y〉 ∀λ ∈ C , ∀x, y ∈ X,

〈·, ·〉4. 〈x+ y, z〉 = 〈x, z〉+ 〈y, z〉 ∀x, y, z ∈ X.

Conseguenze degli assiomi precedenti sono

〈x, λy〉 = λ〈x, y〉 e 〈x, y + z〉 = 〈x, y〉+ 〈x, z〉 .

Usando il prodotto scalare possiamo definire

(5.6) ‖x‖ =√〈x, x〉

e dimostrare che si tratta di una norma. Le ‖ · ‖1 e ‖ · ‖2 sono banali da verificare, maper la ‖ · ‖3, meno banale, dobbiamo prima dimostrare la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz

(5.7) |〈x, y〉| 6 ‖x‖ ‖y‖ .

Per ottenerla osserviamo che per ogni t ∈ R

0 6 ‖tx+y‖2 = 〈tx+y, tx+y〉 = ‖x‖2t2+2 Re〈x, y〉t+‖y‖2 6 ‖x‖2t2+2|〈x, y〉|t+‖y‖2 ,

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5.3 Spazi di Banach e di Hilbert 65

quindi deve valere la condizione sul discriminante

|〈x, y〉|2 − ‖x‖2‖y‖2 6 0

e la (5.7) e provata. Adesso possiamo ricavare la ‖ · ‖3

‖x+ y‖2 = ‖x‖2 + 2 Re〈x, y〉+ ‖y‖2 6 ‖x‖2 + 2|〈x, y〉|+ ‖y‖2

6 ‖x‖2 + 2‖x‖ ‖y‖+ ‖y‖2 = (‖x‖+ ‖y‖)2.

Esercizio 5.4 - Dimostrare l’identita del parallelogramma

‖x+ y‖2 + ‖x− y‖2 = 2‖x‖2 + 2‖y‖2 ∀x, y ∈ X .

Ogni spazio X con prodotto scalare e quindi anche normato e di conseguenza metricocon la solita distanza della norma.

Definizione 5.7 - Se X e dotato di prodotto scalare e rispetto alla norma da essoindotta e di Banach allora viene detto spazio di Hilbert.

Dunque gli spazi di Hilbert sono casi particolari di spazi di Banach, ad esempio in R2

tra tutte le norme‖x‖p = (|x1|p + |x2|p)1/p , p > 1 ,

solo quella con p = 2 e hilbertiana. Si pone allora la domanda: come si riconoscono lenorme che provengono da un prodotto scalare? E se questo esiste come si costruisce apartire dalla norma? Si puo dimostrare che l’identita del parallelogrammo dell’Eser-cizio 5.4, oltre che necessaria, e anche sufficiente affinche una norma sia hilbertiana,quindi puo essere presa come criterio e se il prodotto scalare esiste e dato da

〈x, y〉 =14

(‖x+ y‖2 − ‖x− y‖2 + i‖x+ iy‖2 − i‖x− iy‖2)

dove a secondo membro bastano i primi due termini se X e reale.In uno spazio vettoriale X, la presenza di un’operazione additiva ci permette di

trattare la serie associata ad una successione di punti (xn) ⊂ X. Si definisce lasuccessione delle somme parziali

sn =n∑k=0

xk

e se X e anche normato ha senso studiarne la convergenza: se esiste in X il limites = lim

n→∞sn nel senso della norma

limn→∞

‖s− sn‖ = 0

allora diciamo che s e la somma della serie e si scrive

s =∞∑n=0

xn .

Il lettore puo facilmente dimostrare che una condizione necessaria affinche cio accada elimn→∞

xn = 0 o, in modo equivalente, limn→∞

‖xn‖ = 0. In questo contesto piu generale,l’analogo della convergenza assoluta, vista a proposito delle serie numeriche, e laseguente nozione di convergenza.

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66 Successioni e serie di funzioni

Definizione 5.8 - Una serie∑xn in X e detta totalmente convergente se e

convergente la serie numerica (a termini positivi) delle norme

∞∑n=0

‖xn‖ .

C’e dunque da aspettarsi che la convergenza totale implichi la convergenza nella normadello spazio, come e stato dimostrato a suo tempo in R. Ma come allora si fece usodella completezza per ottenere questa proprieta, cosı anche adesso bisogna supporreche lo spazio sia di Banach. Anzi si puo aggiungere, ma non lo dimostriamo, chevale anche l’implicazione contraria: se in X tutte le serie totalmente convergenti sonoconvergenti allora X e di Banach.

Teorema 5.9 (Criterio di convergenza totale) - In uno spazio di Banach Xse una serie

∑xn e totalmente convergente allora e convergente e

(5.8)∥∥∥∥ ∞∑n=0

xn

∥∥∥∥ 6∞∑n=0

‖xn‖ .

Dimostrazione. Consideriamo le due successioni di somme parziali

sn =n∑k=0

xk e σn =n∑k=0

‖xk‖ .

In quanto convergente, la (σn) e di Cauchy in X, quindi

∀ε > 0 ∃ν ∈ N : |σn − σm| < ε ∀m,n > ν

e se n > m > ν, per cui σn > σm, si ha

‖sn − sm‖ =∥∥∥∥ n∑k=m+1

xk

∥∥∥∥ 6n∑

k=m+1

‖xk‖ = σn − σm < ε .

Allora anche (sn) e di Cauchy e quindi converge per la completezza di X. La (5.8)segue in modo ovvio passando al limite sulla disuguaglianza ‖sn‖ 6 σn.

2

5.4 Convergenza uniforme

La convergenza di una successione di funzioni (fn) su A, a valori reali o complessi,rispetto alla norma uniforme

‖f‖∞ = supx∈A|f(x)|

si chiama convergenza uniforme.

Definizione 5.10 - Diciamo che la successione (fn) converge uniformementea f se

(5.9) ∀ε > 0 ∃ν(ε) ∈ N : |fn(x)− f(x)| < ε ∀x ∈ A e ∀n > ν(ε)

e si scrive fnunif−→ f . La f si chiama limite uniforme della successione (fn).

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5.4 Convergenza uniforme 67

Si confronti questa con la Definizione 5.1. Poiche la disuguaglianza nella (5.9) vale intutti i punti di A per lo stesso indice ν, il quale adesso dipende solo da ε, essa puoessere scritta nella forma

∀ε > 0 ∃ν(ε) ∈ N : supx∈A|fn(x)− f(x)| = ‖fn − f‖∞ < ε ∀h > ν ,

condizione che equivale a limn→∞

‖fn − f‖∞ = 0. Ovviamente, dato che

|fn(x)− f(x)| 6 ‖fn − f‖∞ ∀x ∈ A ,

la convergenza uniforme e piu forte di quella puntuale, nel senso che se fnunif−→ f

allora fnptlm−→ f .

Vediamo adesso alcuni esempi di spazi di Banach rispetto alla norma uniforme.Indichiamo con L (A) lo spazio vettoriale delle funzioni reali limitate definite su undominio A.

Teorema 5.11 - L (A) e uno spazio di Banach rispetto alla norma uniforme.

Dimostrazione. Sia (fn) ⊂ L (A) una successione di Cauchy. Prima di tuttofacciamo vedere che (fn) ammette come limite puntuale una funzione f limitata e poiche f e anche il limite uniforme.

Scelto ε > 0, sia ν = ν(ε) ∈ N tale che

(5.10) |fn(x)− fm(x)| 6 ‖fn − fm‖∞ < ε

per ogni m,n > ν e per ogni x ∈ A. La sucessione di numeri reali (fn(x)) e, fissatox ∈ A, di Cauchy in R e quindi converge ad un limite f(x). Fissato n > ν, passandoal limite per m→∞ nella (5.10) si ottiene

(5.11) |fn(x)− f(x)| = limm→∞

|fn(x)− fm(x)| 6 ε ∀x ∈ A .

Dunque f ∈ L (A) perche

fn(x)− ε 6 f(x) 6 fn(x) + ε ∀x ∈ A .

Infine, passando all’estremo superiore nella (5.11), si ottiene

‖fn − f‖∞ 6 ε ∀n > ν ,

quindi fnunif−→ f .

2Con lo stesso ragionamento, si dimostra, piu in generale, che se A ⊂ X e un insiemequalunque e (Y, dY ) e metrico completo allora lo spazio L (A, Y ) delle funzioni su Aa valori in Y e completo con la distanza d(f, g) = sup

x∈AdY (f(x), g(x)).

Se si vuole stabilire se una data successione di funzioni limitate converge uni-formemente il primo approccio consiste di solito nel riconoscerne l’eventuale limitepuntuale, non solo perche si tratta in generale di una tentazione irresistibile essendola cosa piu facile da fare, ma anche perche e effettivamente utile. Infatti, nel casoche questo esista, resta solo da stabilire l’esistenza del limite uniforme, ad esempioverificando che la successione sia di Cauchy, senza bisogno di calcolarlo, perche seesiste non puo che coincidere col limite puntuale. Al negativo, teniamo presente che ilTeorema 5.11 funziona anche come criterio di non convergenza: se una successione difunzioni limitate ha come limite puntuale una funzione non limitata, la convergenzanon puo essere uniforme, anzi il limite uniforme non esiste proprio perche se esistessecoinciderebbe, come gia detto, col limite puntuale.

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68 Successioni e serie di funzioni

Esercizio 5.5 - Rivedere gli esempi dati all’inizio del capitolo e stabilire in qualidi essi vi e, o meno, convergenza puntuale e/o uniforme. Apportare anche dellevarianti a piacimento nella definizione delle varie successioni e inventarne delle altre,scambiarle con amici e compagni e pubblicarle su Facebook.

Nel seguente teorema dimostriamo che anche lo spazio C0B(A) = C0(A) ∩L (A)

delle funzioni continue e limitate (bounded) su A e e completo. A questo propositoosserviamo che per il Teorema di Weierstraß C0

B(A) = C0(A) se A e compatto.

Teorema 5.12 - C0B(A) e uno spazio di Banach rispetto alla norma uniforme

Dimostrazione. Basta dimostrare che C0B(A) e chiuso in L (A) perche un chiuso di

uno spazio completo e necessariamente completo. Consideriamo una successione (fn)di funzioni continue e limitate su A, uniformemente convergente verso una funzione fnecessariamente limitata. Dimostriamo che f e continua. Scelto ε > 0, esiste ν ∈ Ntale che ‖fn − f‖ < ε/3 per ogni n > ν. Scriviamo adesso la condizione di continuitain un punto x0 ∈ A per una qualunque, ma fissata, di queste fn, ad esempio per laprima di esse, la fν

∃δ > 0 : |fν(x)− fν(x0)| < ε

3∀x ∈ A ∪ Iδ(x0) .

Tenendo presente che |fν(x)− f(x)| e |fν(x0)− f(x0)| sono maggiorati da ‖fν − f‖∞,si ottiene

|f(x)− f(x0)| 6 |f(x)− fν(x)|+ |fν(x)− fν(x0)|+ |fν(x0)− f(x0)| < ε

per ogni x ∈ A ∩ Iδ(x0). Essendo x0 arbitrario, f e continua su A.2

Piu in generale, si dimostra nello stesso modo che se (X, dX) e metrico e A ⊂ X alloralo spazio C0

B(A, Y ) = C0(A, Y ) ∩L (A, Y ) delle funzioni continue e limitate su A avalori in Y e completo se (Y, dY ) lo e.

La proprieta dimostrata nel Teorema 5.12, che la continuita passa al limite nellaconvergenza uniforme, ci autorizza a scambiare l’ordine dei limiti per n → ∞ e perx→ x0 se x0 ∈ A e anche di accumulazione. Infatti, sapendo che f e continua, si ha

(5.12) limx→x0

f(x) = f(x0) ,

ma f(x) si puo sostituire con il limite delle fn(x) e f(x0) con il limite delle fn(x0),per cui la (5.12) diventa

limx→x0

limn→∞

fn(x) = limn→∞

fn(x0) = limn→∞

limx→x0

fn(x) .

ciascuna delle quali, essendo continua, e anche il limite di fn(x) per x → x0. Comesi vede da alcuni esempi del § 5.1, la sola convergenza puntuale non garantisce loscambio dei due limiti.

Analogamente a prima, anche il Teorema 5.12 puo essere usato come criterio di nonconvergenza uniforme. Se il limite puntuale di una successione di funzioni continuee limitate non e continuo il limite uniforme non esiste. Viene spontaneo chiedersi, aquesto punto, se assumendo come ipotesi che il limite puntuale sia continuo questa nongarantisca la convergenza uniforme. La risposta e in generale negativa, la continuitadel limite e necessaria e va inserita tra le ipotesi, ma non basta se non si fannoulteriori ipotesi sulla successione. Le funzioni dell’Esempio 5.8, infatti, sono continuee limitate e convergono puntualmente alla funzione continua identicamente nulla, mala convergenza non e uniforme perche addirittura

‖fn‖∞ =2n√

2n+ 1

(1− 1

2n+ 1

)n→ +∞ .

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5.4 Convergenza uniforme 69

Una ulteriore condizione sufficiente per dedurre la convergenza uniforme da quellapuntuale e la monotonia della successione, come vediamo nel seguente teorema, manon basta neanche questa. Si pensi alla successione dell’Esempio 5.2 sull’intervallo[0, 1[ invece che su tutto [0, 1]. La successione e xn e (puntualmente) monotona edecrescente verso il suo limite puntuale 0 che e una funzione continua, ma la conver-genza non era uniforme prima e non lo e neanche adesso che abbiamo tolto l’estremita1 dell’intervallo, dato che sup

06x<1xn = 1 6→ 0. Bisogna assumere che il dominio sia

compatto.

Teorema 5.13 (di Dini) - Sia (fn) ⊂ C0(K) una successione monotona di fun-zioni reali reali continue su un insieme K compatto e sia f il suo limite puntuale. Sef ∈ C0(K) allora fn

unif−→ f .

Dimostrazione. L’esistenza del limite puntuale discende banalmente da quello perle successioni monotone di numeri reali (v. il corso di Analisi 1). Supponiamo che(fn) sia crescente, cioe che fn(x) 6 fn+1(x) per ogni x ∈ K e per ogni n ∈ N. Posto

gn = f − fn, si ha, per ogni n ∈ N, gn > 0 e gn ∈ C0(K), inoltre gnptlm−→ 0, per cui

basta dimostrare chelimn→∞

maxK

gn = 0 .

Per ogni n ∈ N, siano xn ∈ K un punto di massimo assoluto e Mn = gn(xn) ilmassimo di gn. La successione (Mn) e non negativa e decrescente in quanto

Mn+1 = gn+1(xn+1) 6 gn(xn+1) 6 gn(xn) = Mn ,

dunque ammette limite M > 0 e gn(xn) > M per ogni n ∈ N. Sia per assurdo M > 0.Essendo K compatto, esistono una sottosuccessione (xkn

) ed un punto x0 ∈ K taliche xkn

→ x0. Poiche (gn(x)) e decrescente in ogni punto x ∈ K, per ogni m < n,per cui anche km < kn, si ha

gkm(xkn

) ≥ gkn(xkn

) ≥M ,

d’altra parte gkme continua, quindi

limn→∞

gkm(xkn) = gkm(x0) ≥M ∀m ∈ N ,

ma questa conclusione contraddice l’ipotesi

limm→∞

gkm(x0) = 0 .

2Le funzioni su R

fn(x) =

(1 +

x

n

)nse x ≥ −n

0 se x < −nformano una successione crescente di funzioni continue che converge puntualmente suR alla funzione continua f(x) = ex. Per il Teorema 5.13 la convergenza e uniformesu ogni compatto. Non lo e su tutto R perche ne le fn, ne la f sono limitate.

L’Esempio 5.2 mostra che non basta eliminare un punto problematico, il puntox = 1 in questo caso, per ottenere la convergenza uniforme sul resto del dominio, e noncambia nulla se in quel punto la successione fn(1) converge, diverge o e indeterminata.In tutti e tre i seguenti casi

fn(x) = xn , fn(x) = nxn , fn(x) = | senn|xn

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70 Successioni e serie di funzioni

la fn tende a 0 puntualmente su [0, 1[, ma non uniformemente e nel punto x = 1 si com-portano diversamente. E sufficiente invece eliminare un intorno di quel punto, sebbenearbitrariamente piccolo, e vale subito la convergenza uniforme sul complementare chein questo caso e compatto. Basta cioe considerare un qualsiasi δ > 0 e sull’intervallo[0, 1− δ] (che non e vuoto se δ < 1) la successione converge uniformemente, dato chein tutti e tre i casi si ha

supx∈[0,1−δ]

fn(x) = fn(1− δ)→ 0 .

In altre parole, ci puo essere convergenza puntuale su tutto il dominio fino al bordo, see un insieme chiuso, oppure solo sulla sua parte interna, ma in nessun caso e garantitala convergenza uniforme, ne sul dominio, se comprende il bordo, ne all’interno. Perotale convergenza puo verificarsi su ogni compatto interno, ben contenuto, nel sensoche non deve avere punti in comune col bordo. Il seguente risultato, conseguenzaimmediata del Teorema 5.12 e che allo stesso tempo ne e una generalizzazione, mostraappunto come, localizzando la convergenza uniforme a tutti i compatti contenuti, none detto che essa valga su tutto il dominio, ma comunque garantisce la convergenzapuntuale sul dominio, escluso il bordo, e il limite puntuale e comunque una funzionecontinua. Siccome cio che succede sul bordo e del tutto imprevedibile, tanto valeassumere che il dominio sia un aperto.

Corollario 5.14 (convergenza uniforme sui compatti) - Siano A un apertodi R o di Rn, f : A → R e (fn) una successione di funzioni continue su A tali che

per ogni compatto K ⊂ A si abbia fn|Kunif−→ f|K . Allora f ∈ C0(A) e fn

ptlm−→ f su A.

La successione fn(x) = sen(x/n), x ∈ R, ammette la funzione identicamente nullacome limite puntuale, pero non converge uniformemente perche ‖fn‖∞ = 1. Tuttaviaconverge uniformemente su ogni compatto, infatti, preso un intervallo [−R,R], si ha

sup|x|6R

∣∣∣senx

n

∣∣∣ 6 sup|x|6R

∣∣∣xn

∣∣∣ =R

n→ 0 .

Se invece di un intervallo cosı particolare prendiamo un compatto K qualunque bastaracchiuderlo in un intervallo di quel tipo, con R abbastanza grande, e il ragionamentofila ugualmente.

Esercizio 5.6 - Adattare il ragionamento appena fatto per studiare il comporta-mento della successione in due variabili

fn(x, y) = senx+ y

n, (x, y) ∈ R2 .

5.5 Passaggio al limite per la derivata e l’integrale

Ci chiediamo adesso se, quando, sotto che ipotesi il segno di derivata e il segnodi integrale (sempre definito) commutano col passaggio al limite di una successione,in altre parole se, data una successione di funzioni derivabili o integrabili, anche ilsuo limite, se esiste, e derivabile o integrabile e se la derivata o l’integrale del limitecoincidono col limite della successione delle derivate o degli integrali. L’Esempio 5.6mostra che la derivata non passa al limite perche in questo caso il limite non e deri-vabile. Ma anche se lo fosse non e detto che la sua derivata sia il limite delle derivateche potrebbe non esistere. Per esempio la successione

fn(x) =1n

senn2x , x ∈ [0, 2π] ,

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5.5 Passaggio al limite per la derivata e l’integrale 71

ammette oscillazioni sempre piu fitte e la loro ampiezza si riduce a 0 per n→∞, cioe

‖fn‖∞ =1n→ 0 .

Dunque il limite uniforme esiste, e la funzione identicamente nulla, ed e anche deri-vabile. Tuttavia, la successione delle derivate

f ′n(x) = n cosn2x

non converge neanche puntualmente. Possiamo usare la stessa successione per mo-strare che le lunghezze `(Γn) dei grafici (ecco coinvolto anche l’integrale!) divergono,sebbene il grafico del limite abbia lunghezza 2π. Si ha infatti

`(Γn) =∫ 2π

0

√1 + n2 cos2 n2x dx > n

∫ 2π

0

| cosn2x| dx =1n

∫ 2πn2

0

| cos y| dy

= n

∫ 2π

0

| cos y| dy = 4n∫ π/2

0

cos y dy = 4n→ +∞ .

0 πx

y

Figura 5.8: Le funzioni 1n senn2x su [0, 2π].

Un altro esempio, questa volta con lunghezze convergenti, e dato da una successio-ne di funzioni definite sull’intervallo [0, 1], i cui grafici hanno lunghezza costante, paria√

2, ma convergente uniformemente alla funzione nulla, il cui grafico ha invece lun-ghezza 1. Per costruirle, si considera il prolungamento 1-periodico su R, indichiamolocon ϕ, della funzione ϕ0 : [0, 1]→ R definita da

ϕ0(x) =12−∣∣∣∣x− 1

2

∣∣∣∣ , x ∈ [0, 1] ,

poi si pone

fn(x) =1nϕ(nx) , x ∈ [0, 1] .

0 1 x

y

Figura 5.9: Le funzioni ϕ(nx)/n su [0, 1].

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72 Successioni e serie di funzioni

L’assenza nella convergenza uniforme di informazioni sulle derivate, o sulla de-rivabilita, ci suggerisce la costruzione di controesempi sfruttando le funzioni perio-diche rapidamente oscillanti. Per controllare proprio queste oscillazioni e impedireche le derivate raggiungano valori arbitrariamente grandi, e naturale aspettarsi chesia necessario assumere a priori che la successione delle derivate sia uniformementeconvergente, come viene spiegato nel seguente teorema.

Teorema 5.15 - Siano I ⊂ R un intervallo limitato, (fn) ⊂ C1(I) una succes-

sione di funzioni tale che f ′nunif−→ ϕ per una certa ϕ (necessariamente continua su I)

e tale che esista finito il limite ` = limn→∞

fn(x0) in un punto x0 ∈ I. Allora esiste una

funzione f ∈ C1(I) tale che f ′ = ϕ e fnunif−→ f .

Dimostrazione. Ognuna delle fn soddisfa il teorema fondamentale del calcolo

(5.13) fn(x) = fn(x0) +∫ x

x0

f ′n(t) dt ∀x ∈ I .

Poiche ϕ e continua, la funzione

(5.14) f(x) = `+∫ x

x0

ϕ(t) dt ∀x ∈ I ,

appartiene a C1(I), f ′ = ϕ su I e f(x0) = `. Resta da dimostrare che fnunif−→ f . Per

differenza delle (5.13) e (5.14) si ha

|fn(x)− f(x)| 6 |fn(x0)− f(x0)|+∣∣∣∣∫ x

x0

|f ′n(y)− ϕ(y)| dy∣∣∣∣

6 |fn(x0)− f(x0)|+ ‖f ′n − ϕ‖∞m(I) ∀x ∈ I

e passando a sinistra all’estremo superiore, si ottiene la tesi2

Vale la pena osservare che la situazione piu ricorrente e quella in cui gia si conosceil limite puntuale ovunque anziche in un solo punto. Naturalmente il teorema vale amaggior ragione, ma da questo punto di vista viene ad esprimere una nuova condizio-ne sufficiente, da considerare quindi accanto al Teorema 5.13, per il passaggio dallaconvergenza puntuale alla convergenza uniforme.

Immediata conseguenza del Teorema 5.15 e il seguente risultato. Si osservi, nel-l’enunciato, che essendo I limitato, la limitatezza della derivata di ordine piu altoimplica la lipschitzianita, e quindi l’uniforme continuita e la limitatezza, di tutte lederivate precedenti fino alla f .

Corollario 5.16 - Se I ⊂ R e un intervallo limitato lo spazio vettoriale CkB(I) =f ∈ Ck(I) | f (k) ∈ L (I) e uno spazio di Banach con la norma

‖f‖Ck(I) =k∑i=0

‖f (i)‖∞

per ogni k ≥ 1.

Dimostrazione. E sufficiente dimostrare la tesi per k = 1, poi si puo procedereper induzione. Se (fn) e una successione di Cauchy in C1

B(I) allora (fn) e (f ′n) sono

di Cauchy in C0B(I), quindi esistono f, ϕ ∈ C0

B(I) tali che fnunif−→ f e f ′n

unif−→ ϕ. DalTeorema 5.15 segue f ∈ C1(I) e f ′ = ϕ su I.

2

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5.5 Passaggio al limite per la derivata e l’integrale 73

La notazione fnCk(I)−→ f significa f (k)

nunif−→ f (k) e ogni derivata f (i)

n con i < k, convergein un punto, quindi uniformemente, alla f (i). Diciamo, per concludere, che ‖f‖∞ ela norma di C0, piu propriamente di C0

B , ‖f‖∞ + ‖f ′‖∞ quella di C1 e cosı via, datoil loro carattere naturale nei rispettivi spazi.

Possiamo ora spiegare come il funzionale lunghezza del grafico

l(Γ) =∫I

√1 + f ′(x)2 dx

che nei due esempi di poco fa non si era comportato molto bene, si comporti meglioadesso, e infatti continuo, rispetto alla convergenza in C1(I), piuttosto che rispetto

alla convergenza uniforme. Se fnC1

−→ f , per la convergenza uniforme e la limitatezzadella successione delle derivate si ha

|`(Γ)− `(Γn)| =∣∣∣∣∫I

√1 + f ′(x)2 dx−

∫I

√1 + f ′n(x)2 dx

∣∣∣∣6∫I

|f ′(x)− f ′n(x)|2√1 + f ′(x)2 +

√1 + f ′n(x)2

612

∫I

|f ′(x) + f ′n(x)||f ′(x)− f ′n(x)| dx

612

(‖f ′‖∞ + ‖f ′n‖∞)∫I

|f ′(x)− f ′n(x)| dx 6 C‖f ′ − f ′n‖∞m(I) .

Come annunciato, anche per il passaggio al limite sotto il segno di integrale cichiediamo sotto quali condizioni

fn → f ⇒∫A

fn →∫A

f ,

cioe quando l’integrale e continuo. La successione di funzioni integrabili su [0,+∞)

fn(x) =

1 se n− 1 6 x 6 n

0 altrove,

con n > 1, converge puntualmente alla funzione identicamente nulla, ma ognuna haintegrale pari a 1. Lo stesso vale per la successione puntualmente infinitesima su [0, 1],ma non limitata,

fn(x) =

nα se 1/n 6 x 6 2/n0 altrove ,

con n > 2, nel caso α = 1. Se α > 1 la successione degli integrali e addiritturadivergente, mentre va a 0 per α < 1. Nell’Esempio 5.8 si mostra una successione difunzioni con limite puntuale nullo la cui norma uniforme, come abbiamo visto, tendea +∞, mentre gli integrali tendono a 1.

Se I e un intervallo limitato, nello spazio R(I) delle funzioni Riemann-integrabilisu I, munito della norma uniforme, il passaggio al limite sotto il segno di integralee consentito dal seguente teorema di completezza. Premettiamo che una successione(fn) di funzioni integrabili e detta convergente in media a f se anche f e integrabile e

limn→∞

∫I

|fn − f | dx = 0 .

Teorema 5.17 - R(I) e uno spazio di Banach. Inoltre, se la successione (fn) ⊂R(I) converge uniformemente a f , allora converge a f anche in media e

(5.15) limn→∞

∫I

fn(x) dx =∫I

f(x) dx .

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74 Successioni e serie di funzioni

Dimostrazione. Come nel Teorema 5.12, dal momento che L (I) e completo, bastadimostrare che il suo sottoinsieme R(I) e chiuso. Sia (fn) ⊂ R(I) una successioneuniformemente convergente ad una certa f necessariamente appartenente a L (I).Per ogni ε > 0 esiste un indice ν ∈ N tale che per ogni n > ν

fn(x)− ε < f(x) < fn(x) + ε ∀x ∈ I .Poiche le fn sono integrabili e∫

I

[(fn(x) + ε)− (fn(x)− ε)] dx = 2εm(I) ,

si ha f ∈ R(I). Per la convergenza in media e quella degli integrali, basta osservareche

(5.16)∣∣∣∣∫I

fn(x) dx−∫I

f(x) dx∣∣∣∣ 6 ∫

I

|fn(x)− f(x)| dx 6 ‖fn − f‖∞m(I) .

2Ricordando la condizione di continuita per successioni, la (5.15) puo essere interpre-tata dicendo che il funzionale integrale

f →∫A

f(x) dx

e continuo da R(A) in R rispetto alla convergenza uniforme. In altre parole, la misuracon segno, l’area o il volume, a seconda della dimensione, della regione compresa trail grafico di f e il suo dominio, dipende con continuita da f .

Esercizio 5.7 - Si discuta al variare del parametro α ∈ R la convergenza pun-tuale, uniforme e in media della successione

fn(x) = nαxe−nx2

x ∈ [0, 1] .

5.6 Serie di funzioni

Tutto cio che e stato detto finora puo essere applicato alle serie di funzioni∞∑n=0

fn(x)

la cui somma s(x) e il limite della successione delle somme parziali

sn(x) =n∑k=0

fk(x) .

Evidentemente si suppone che in un qualche insieme A di convergenza da determinarela serie ammetta una somma che poi si spera di poterla calcolare. Naturalmentebisogna di volta in volta precisare in che senso va interpretata la convergenza. Nelsenso puntuale significa

limn→∞

|sn(x)− s(x)| = 0 ∀x ∈ A ,

nel senso della convergenza rispetto a qualche norma, uniforme, in L1 o in Lp ecc.,allora significa

limn→∞

‖sn − s‖ = 0 .

Adattando alla successione delle somme parziali di una serie i risultati contenuti neiTeoremi 5.15 e 5.17, nell’ipotesi di convergenza uniforme, si deduce in modo ovvio lapossibilita di derivare e integrare “per serie”, cioe termine a termine, che e come direche i segni di derivata e di integrale commutano col simbolo di somma.

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5.6 Serie di funzioni 75

Teorema 5.18 (Derivazione termine a termine) - Se la serie di funzioni

∞∑n=0

fn , (fn) ⊂ C1(I) ,

ammette per somma puntuale una funzione f su I (basta in un punto x0 ∈ I) e laserie delle derivate converge uniformemente allora f ∈ C1(I), la serie converge a funiformemente e

d

dx

∞∑n=0

fn(x) =∞∑n=0

f ′n(x) .

Teorema 5.19 (Integrazione termine a termine) - Se la serie di funzioni

∞∑n=0

fn , (fn) ⊂ R1(I) ,

converge uniformemente ad una funzione f allora f ∈ R(I), la serie converge a fanche in media e ∫

I

∞∑n=0

fn(x) dx =∞∑n=0

∫I

fn(x) dx .

Riguardo le serie negli spazi di Banach che abbiamo considerato, L (A), CkB(A),R(I), Lp(I), una condizione sufficiente per la convergenza nella relativa norma civiene fornita dal criterio di convergenza totale dimostrato nel Teorema 5.9.

Esempi

5.9 La serie∞∑n=1

x

n(1 + nx2)

converge totalmente nella norma uniforme su R. Infatti

maxR

|x|n(1 + nx2)

=1

2n√n

che al variare di n ∈ N formano i termini di una serie convergente, pertanto la seriedata converge anche uniformemente.

5.10 La serie∞∑n=1

1n(1 + nx2)

non converge totalmente su R perche

maxR

1n(1 + nx2)

=1n

che sono i termini di una serie divergente. Tuttavia converge uniformemente. Pos-siamo infatti notare che la serie delle derivate

−2∞∑n=1

x

(1 + nx2)2

converge totalmente e quindi uniformemente. Per il Teorema 5.18 converge unifor-memente anche la serie data.

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76 Successioni e serie di funzioni

Esercizio 5.8 - Studiare la convergenza totale e uniforme della serie

∞∑n=1

(−1)n+1

n+ x2.

Nell’esercizio proposto, in cui la convergenza totale non vale, si puo dimostrarela convergenza uniforme senza considerare la serie delle derivate, ma direttamente.Dobbiamo valutare la distanza tra la successione delle ridotte e la somma∣∣∣∣∣s(x)−

n∑k=1

(−1)k+1

k + x2

∣∣∣∣∣ =

∣∣∣∣∣∞∑

k=n+1

(−1)k+1

k + x2

∣∣∣∣∣ =1

n+ 1 + x2− 1n+ 2 + x2

+1

n+ 3 + x2− 1n+ 4 + x2

+ . . . 61

n+ 1 + x2→ 0 .

Un caso importante e quello delle serie di potenze con la norma uniforme, a cui ilcriterio di convergenza totale si applica in modo particolarmente semplice.

Teorema 5.20 - Sia R > 0 il raggio di convergenza di una serie di potenze

(5.17)∞∑n=0

cnzn , z ∈ C .

Allora per ogni r < R tale serie e totalmente e quindi uniformemente convergente suldisco chiuso Dr(0) = z ∈ C | |z| 6 r.

Dimostrazione. Posto

fn(z) = cnzn ∀|z| < R ,

basta osservare che per ogni r < R la norma uniforme di ogni fn sul disco di raggior e data da

‖fn‖∞ = max|z|6r

|cn||z|n = |cn|rn

e ricordare che per l’assoluta convergenza su BR(0) la serie

∞∑n=0

|cn|rn

e convergente. Per il Teorema 5.9 la nostra serie e uniformemente convergente su ognidisco chiuso, e quindi compatto, Dr(0) (e quindi anche su ogni compatto K ⊂ BR(0)).

2In altre parole, ogni serie di potenze, il cui dominio di convergenza non sia ridottoad un solo punto, converge uniformemente sui compatti contenuti nel cerchio di con-vergenza |z| < R, su ogni insieme limitato se R = +∞, e la sua somma e sempre, diconseguenza, una funzione continua. Non e detto pero, supponendo R > 0 finito, chela convergenza uniforme, tanto meno quella totale, sia estendibile a tutto il cerchioaperto o addirittura al disco chiuso |z| 6 R. Per capire cio che succede sul bordo civiene in aiuto il Teorema di Abel del quale abbiamo gia visto, nel corso di Analisi 1,una versione parziale senza dimostrazione, ma sufficiente per stabilire l’esistenza delprolungamento continuo della somma, dall’interno lungo un raggio, fino ad un puntodel bordo dove la serie converge. Adesso abbiamo gli elementi per affrontarlo nellasua versione completa che riguarda anche la convergenza uniforme della serie lungoquel raggio.

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5.6 Serie di funzioni 77

Teorema 5.21 (di Abel) - Sia∑cnz

n una serie di potenze con raggio di con-vergenza R > 0 finito e somma s(z) per |z| < R. Se la serie converge anche in unpunto z tale che |z| = R con somma s(z) la convergenza e uniforme lungo tutto ilraggio fino a z. In particolare, se z = Reit

limρ→R

s(ρeit) = s(z) .

Dimostrazione. Il cambio di variabile (dilatazione) z = Rw, |w| < 1, e la pos-sibilita di ridenominare come cn i prodotti cnRn, ci permettono di supporre R = 1senza ledere la generalita, inoltre, se z = eit, con l’ulteriore cambio di variabile (ro-tazione) z = eitw ci si riconduce al caso z = 1. Dobbiamo dunque dimostrare che laconvergenza e uniforme sul raggio dei reali da 0 a 1 compreso. Posto

sn = sn(1) =n∑k=0

ck e s = s(1) =∞∑n=0

cn ,

per 0 6 x 6 1 e m 6 n si ha

sn(x)− sm(x) =n∑

k=m+1

ckxk =

n∑k=m+1

(sk − sk−1)xk

=n∑

k=m+1

skxk −

n−1∑k=m

skxk+1 =

n−1∑k=m+1

sk(xk − xk+1) + snxn − smxm+1

e siccomen−1∑

k=m+1

s(xk − xk+1) + sxn − sxm+1 = 0 ,

la precedente relazione puo essere riscritta cosı

sn(x)− sm(x) =n−1∑

k=m+1

(sk − s)(xk − xk+1) + (sn − s)xn − (sm − s)xm+1 .

Scelto ε > 0, per ogni k > m con m abbastanza grande si ha |sk − s| < ε, quindi

|sn(x)− sm(x)| <(

n−1∑k=m+1

(xk − xk+1) + xn + xm+1

)ε = 2xm+1ε 6 2ε

per ogni x ∈ [0, 1]. Pertanto la convergenza e uniforme su tale intervallo, cioe su tuttoil raggio incluso l’estremo 1, e la somma della serie e in esso una funzione continua.

2Viene adesso spontaneo chiedersi: se in tutti i punti di un arco della circonferenzaunitaria la serie converge, vista ora la convergenza uniforme sui relativi raggi, possia-mo dedurre la convergenza uniforme sull’intero spicchio? In generale no, non bastache vi sia convergenza uniforme su ogni curva di una famiglia di curve che ricopretutto un dominio per avere convergenza uniforme su tutto il dominio. Si pensi adesempio alla successione di funzioni di due variabili sul quadrato Q = [0, 1]× [0, 1]

fn(x, y) = nx(1− x2)n

(liberamente ispirata all’Esempio 5.8). Essa converge uniformemente sui segmentix = c la cui unione e tutto Q, ma non converge uniformemente su Q. Certamente sela somma della serie di potenze non e continua sull’arco, oppure, se la convergenza none uniforme sull’arco non si puo sperare che lo sia su tutto lo spicchio frontiera inclusa.

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78 Successioni e serie di funzioni

Quali condizioni allora assicurano la convergenza uniforme sull’arco? Risponderemoa questa domanda dopo aver trattato il seguente esempio.

La serie

(5.18)∞∑n=1

(−1)n+1 sennxn

converge puntualmente in R per il criterio di Dirichlet. Per calcolarne la somma,banalmente nulla nei punti kπ, possiamo riconoscerla come la parte immaginariadella serie a termini complessi

(5.19)∞∑n=1

(−1)n+1einx

n,

ma questa e la restrizione alla circonferenza unitaria della serie di potenze

∞∑n=1

(−1)n+1zn

n

che, come sappiamo, ha raggio di convergenza R = 1 ed ha per somma log(1 + z) per|z| < 1. Ad essa e applicabile la versione che conosciamo del Teorema di Abel in tuttii punti della circonferenza unitaria eccetto in z = −1, quindi per ogni x ∈]− π, π[ lasomma e

∞∑n=1

(−1)n+1 sennxn

= Im log(1 + eix) = Arg(1 + eix) = arctgsenx

1 + cosx=x

2

pensata prolungata periodicamente al di fuori di ] − kπ, kπ[. Che la convergenzanon sia uniforme e evidente dal fatto che i termini della serie sono funzioni continue,mentre la somma e discontinua nei punti (2k + 1)π. Tuttavia in ogni compatto [a, b]contenuto nell’aperto ]− π, π[, anche se la convergenza non e totale in quanto∥∥∥ sennx

n

∥∥∥∞,[a,b]

=1n,

e comunque uniforme. Per vederlo, dimostriamo che le ridotte (sn) della serie (5.19)formano una successione di Cauchy. Infatti la successione

αn(x) =n∑k=1

(−1)k+1eikx =(−eix)n+1 − 1

eix + 1,

e limitata in modulo su [a, b] dalla funzione

ϕ(x) =2

|eix + 1| =

√2

1 + cosx,

quindi

sn(x)− sm(x) =n∑

k=m+1

(−1)k+1eikx

k=

n∑k=m+1

1k

(αk − αk−1)

=n∑

k=m+1

1kαk −

n−1∑k=m

1k + 1

αk =n−1∑

k=m+1

(1k− 1k + 1

)αk −

αmm+ 1

+αnn+ 1

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5.6 Serie di funzioni 79

e passando ai moduli, fissato ε > 0, per m e n sufficientemente grandi, tenendopresente che ϕ(x) 6 M su [a, b], si ha

|sn(x)− sm(x)| 6(

1m+ 1

− 1n

+1

m+ 1+

1n+ 1

)ϕ(x)

6

(2

m+ 1+

1n+ 1

)ϕ(x) < Mε ∀x ∈ [a, b] .

Certo, su ] − π, π[ questa stima non servirebbe a nulla perche ϕ non e limitata, maalmeno su [a, b], dove invece e limitata, e utile e garantisce la convergenza uniforme.Nel ragionamento fatto incide in maniera determinante la convergenza della serie∑

( 1n − 1

n+1 ), conseguenza del fatto che (1/n) e monotona e convergente. Se infatti(an) ⊂ R e ad esempio crescente con limite finito ` allora

n∑k=0

(ak − ak−1) = an − a0 → `− a0 ,

analogamente se decresce. Questa osservazione non e pero applicabile al caso deicoefficienti complessi per i quali la monotonia non ha senso. La condizione giusta daassumere e allora quella della seguente definizione.

Definizione 5.22 - Una successione (cn) ⊂ C e detta a variazione limitatase la serie a termini positivi

∞∑n=0

|cn+1 − cn|

e convergente.

Ogni successione reale monotona e convergente e ovviamente a variazione limitata ede immediato verificare che lo e anche la differenza di due successioni siffate, monotonenello stesso senso. Viceversa, se una successione reale e a variazione limitata non edetto che sia monotona, pero e comunque differenza di due successioni monotone nellostesso senso e convergenti. Nel caso complesso, includendo quindi anche quello reale,una successione a variazione limitata e sicuramente convergente in quanto di Cauchy,infatti se m 6 n

|cn − cm| 6n∑

k=m+1

|ck − ck−1| .

L’esempio precedente puo essere a questo punto spiegato e generalizzato con il se-guente teorema che riguarda il comportamento sul bordo del cerchio di convergenzadi una serie di potenze. Come abbiamo fatto nel Teorema di Abel possiamo supporreche il raggio di convergenza sia 1.

Teorema 5.23 - Ogni serie di potenze∑cnz

n con raggio di convergenza 1 econ (cn) ⊂ C a variazione limitata e infinitesima converge uniformemente su ogniarco chiuso della circonferenza unitaria che non contiene il punto 1 (oppure, in modoequivalente, su ogni arco che non contiene un intorno del punto 1).

Dimostrazione. La dimostrazione e quasi una ripetizione dell’esempio appenafatto. Consideriamo la successione

αn(t) =n∑k=0

eikt

che, similmente a prima, e limitata in modulo dalla funzione

ϕ(t) =2

|eit − 1| =

√2

1− cos t.

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80 Successioni e serie di funzioni

Sull’arco [a, b] della circonferenza unitaria non contenente 0 si ha ϕ(t) 6 M e

(sn(z)− sm(z))|z=eit =n∑

k=m+1

ckeikt =

n∑k=m+1

ck(αk − αk−1)

=n∑

k=m+1

ckαk −n−1∑k=m

ck+1αk =n−1∑

k=m+1

(ck − ck+1)αk + cnαn − cm+1αm

Fissato ε > 0, per m,n abbastanza grandi e per ogni t ∈ [a, b] si ha

|sn(eit)− sm(eit)| 6(

n−1∑k=m+1

|ck − ck+1|+ |cn|+ |cm+1|)ϕ(t) < 3εϕ(t) 6 3Mε ,

quindi (sn) e di Cauchy su [a, b] e converge uniformemente ad una funzione necessa-riamente continua.

2Possiamo adesso adattare il Teorema di Abel al caso dello spicchio, la dimostrazionee praticamente la stessa.

Teorema 5.24 - Ogni serie di potenze∑cnz

n con raggio di convergenza 1 e con(cn) ⊂ C a variazione limitata e infinitesima converge uniformemente su ogni spicchiochiuso della circonferenza unitaria che non contiene il punto 1.

Dimostrazione. Scelto uno spicchio che non contiene 1, l’arco corrispondente sullacirconferenza unitaria e il luogo dei punti eit al variare di t in un intervallo [a, b] ⊂]0, 2π[. Per il Teorema 5.23 la serie su quest’arco

∞∑n=0

cneint , t ∈ [a, b] ,

converge uniformemente. Siano s(t) la somma e sn(t) la successione delle sommeparziali. Dobbiamo dimostrare che la serie

s(ρeit) =∞∑n=0

cnρneint

converge uniformemente sull’insieme (ρ, t) | 0 6 ρ 6 1 , a 6 t 6 b. Ma da qui in poisi puo ripetere identico il ragionamento fatto nel Teorema di Abel, con ρ al posto di xe sn(t), s(t) al posto di sn(1), s(1). Otteniamo cosı nella parte finale che, scelto ε > 0,per ogni k > m con m abbastanza grande si ha |sk(t)− s(t)| < ε uniformemente, cioeper ogni t ∈ [a, b], quindi per ogni ρ ∈ [0, 1]

|sn(ρeit)− sm(ρeit)| <(

n−1∑k=m+1

(ρk − ρk+1) + ρn + ρm+1

)ε = 2ρm+1ε 6 2ε .

2Torniamo alla derivazione e integrazione per serie. Il seguente corollario e un’im-

mediata conseguenza del Teorema 5.18, ma l’avevamo gia dimostrato nel corso diAnalisi 1 con uno strumento assai piu povero e con molta piu fatica, avevamo adisposizione infatti la sola convergenza puntuale.

Corollario 5.25 - La somma s(z) della serie di potenze (5.17), con raggio diconvergenza R > 0, e una funzione derivabile e

(5.20) s′(z) =∞∑n=1

ncnzn−1 .

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5.7 Gli spazi Lp 81

Dimostrazione. Ricordiamo innanzitutto che anche la serie delle derivate ammet-te lo stesso R come raggio di convergenza, pertanto converge totalmente, e quindiuniformemente, su ogni disco compatto Dr(0) con r < R. Per il Teorema 5.18 lasuccessione delle somme parziali

s′n(z) =n∑k=1

kckzk−1

converge su ogni Dr(0) uniformemente a s′(z).2

Tanto per rinfrescare la memoria su cose gia dette in Analisi 1, possiamo a questopunto ricordare che allora la somma di una serie di potenze e infinitamente derivabileall’interno del cerchio di convergenza, che rimane lo stesso per tutte le derivate, inoltrela serie dei termini derivati di ordine k ha per somma la derivata k-esima della serie dipartenza. Le stesse conclusioni si possono dedurre per le primitive, vista la stabilitaanche dell’integrale rispetto alla convergenza uniforme. Dalla relazione

s(k)(z) =∞∑n=k

n(n− 1)(n− 2) . . . (n− k + 1)cnzn−k

si ricava il valore del termine noto, quello con n = k

s(k)(0) = k!ck

e siccome questa vale per ogni k ∈ N si ottiene la rappresentazione di Taylor

s(z) =∞∑n=0

s(n)(0)n!

zn .

Non stiamo qui a ripetere esempi gia visti in Analisi 1 e come sia possibile calcolarela somma di molte serie di potenze usando la derivazione e/o l’integrazione terminea termine. Si consiglia a proposito di rivedere le questioni legate alle funzioni analiti-che tenendo presente, in particolare, quale estensione possa avere un dato cerchio diconvergenza in base al tipo di funzione e come la funzione possa estendersi al di fuoridel cerchio.

5.7 Gli spazi Lp

Torniamo al Teorema 5.17 e osserviamo bene il passaggio chiave alla fine delladimostrazione. Nella (5.16) la convergenza degli integrali (a primo membro) vieneottenuta assumendo la convergenza uniforme perche questa ipotesi fa tendere a 0la norma uniforme (a terzo membro) che dei tre termini e il piu grande. Ma taletipo di convergenza non e necessaria, e evidente infatti che per la convergenza degliintegrali basta che tenda a 0 il termine di mezzo, lasciando che la norma uniforme sicomporti anche diversamente. Questa osservazione ci suggerisce di considerare unanuova norma di natura integrale (gia vista en passant), precisamente

(5.21) ‖f‖1 =∫I

|f(x)| dx ,

col vantaggio che puo essere applicata non solo alle funzioni di R(I), ma a tuttele funzioni Riemann-integrabili in senso improprio, anche definite su intervalli nonlimitati, purche assolutamente integrabili. Questo nuovo spazio, indichiamolo conRass(I), e vettoriale e normato, quindi metrico con la distanza

d(f, g) = ‖f − g‖1 ,

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82 Successioni e serie di funzioni

ma purtroppo non e completo, non e uno spazio di Banach. Ora non e il caso (enon c’e bisogno) di approfondire in questa sede l’argomento per spiegare perche non ecompleto. Piu facile e invece mostrare che lo spazio C0

B(I), che, ricordiamo, e completocon la norma uniforme, non lo e con la norma (5.21). La successione dell’Esempio 5.5ristretta all’intervallo [−1, 1]

fn(x) = arctgnx , x ∈ [−1, 1] ,

e di Cauchy perche se m < n la distanza

‖fn − fm‖1 =∫ 1

−1

| arctg nx− arctgmx| dx = 2∫ 1

0

(arctg nx− arctgmx) dx

= 2(arctg n− arctgm)−(

log(1 + n2)n

− log(1 +m2)m

)tende a 0 per n,m → ∞, ma la fn converge in media alla funzione discontinuaf(x) = π/2 signx, infatti la distanza

‖f − fn‖1 = 2∫ 1

0

(π2− arctg nx

)dx = π − 2 arctg n+

log(1 + n2)n

tende a 0 per n→∞.Conviene allora ricorrere al Teorema 5.3 e passare al completamento di C0

B(I)che indicheremo con L1(I). In virtu dell’Esercizio 5.2 questo nuovo spazio e anche ilcompletamento di Rass(I) perche vale la catena di inclusioni

C0B(I) ⊂ Rass(I) ⊂ L1(I) .

Esiste una teoria dell’integrazione piu generale di quella di Riemann, quella secondoLebesgue, in cui lo stesso spazio L1(I), delle funzioni integrabili il cui modulo ha inte-grale finito, viene costruito direttamente e non con un’operazione di completamento,approccio un po’ astratto che in effetti puo sembrare artificioso, ma non la trattiamoin questa sede perche ci porterebbe troppo lontano dai nostri scopi e in fondo non ciserve.

Che la (5.21) definisca una norma e immediato da verificare, ma bisogna fareattenzione alla prima proprieta

‖f‖1 = 0⇒ f = 0 q.o.

dove q.o. significa quasi ovunque, cioe escluso al piu su un insieme di misura (diLebesgue) nulla. Norma nulla non implica funzione rigorosamente nulla ovunque, mae facile rimediare, basta identificare due o piu funzioni che differiscono su un insiemedi punti di misura nulla mediante la relazione di equivalenza

f ∼ g ⇔ mx ∈ I | f(x) 6= g(x) = 0 .

Cosı L1(I), inteso come l’insieme delle (classi di equivalenza di) funzioni assolutamenteintegrabili (secondo Lebesgue), e di Banach.

Allo stesso modo definiamo Lp(I), p > 1, come il completamento di C0B(I) rispetto

alla norma

(5.22) ‖f‖p =(∫

I

|f(x)|p dx)1/p

con la stessa relazione di equivalenza. Si tratta, in altre parole, delle funzioni suI la cui potenza p-esima del modulo e integrabile secondo Lebesgue, cioe tali che

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5.7 Gli spazi Lp 83

|f |p ∈ L1(I). Dunque C0B(I) e, per definizione, denso in Lp(I) per ogni p > 1, nel

senso che

(5.23) ∀f ∈ Lp(I) e ∀ε > 0 ∃g ∈ C0B(I) : ‖f − g‖p < ε .

Lo spazio Lp(I) e completo per costruzione, ma resta da verificare che e uno spaziovettoriale e che la (5.22) definisce una norma. E ovvio che se λf ∈ Lp(I) se f ∈ Lp(I)e λ ∈ R, o λ ∈ C nel caso di funzioni a valori complessi; per vedere che f + g ∈ Lp(I)per ogni f, g ∈ Lp(I) basta ricorrere alla funzione t→ tp che per ogni p > 1 e convessasu ]0,+∞[, quindi ( |f |+ |g|

2

)p6|f |p + |g|p

2

da cui(|f |+ |g|)p 6 2p−1(|f |p + |g|p) ,

cosı il primo membro ha integrale finito se sono finiti gli integrali di |f |p e |g|p. Ve-niamo alla norma. Per dimostrare la disuguaglianza triangolare, le altre sono banali,dobbiamo premettere la seguente proposizione.

Proposizione 5.26 (disuguaglianza di Holder) - Per ogni coppia di numerireali p, q > 1 tali che 1/p + 1/q = 1, detti per questo esponenti coniugati, sef ∈ Lp(I) e g ∈ Lq(I) allora fg ∈ L1(I) e

(5.24) ‖fg‖1 6 ‖f‖p‖g‖q .

Dimostrazione. Se ‖f‖p = 0 oppure ‖g‖q = 0 la (5.24) e ovvia. Altrimentiponiamo

F =|f |‖f‖p

e G =|g|‖g‖q

.

Per la nota disuguaglianza di Young si ha

(5.25)|fg|

‖f‖p‖g‖q= FG 6

1pF p +

1qGq =

|f |pp‖f‖pp

+|g|qq‖g‖qq

,

quindi |fg| ∈ L1(I). Integrando membro a membro la (5.25) si ottiene

1‖f‖p‖g‖q

∫I

|f ||g| dx 61p

+1q

= 1 ,

da cui segue subito la tesi.2

Proposizione 5.27 (disuguaglianza di Minkowski) - Per ogni f, g ∈ Lp(I)si ha

(5.26) ‖f + g‖p 6 ‖f‖p + ‖g‖p .

Dimostrazione. Osserviamo intanto che

|f + g|p = |f + g| |f + g|p−1 6 (|f |+ |g|) |f + g|p−1 ,

dove a secondo membro il primo fattore sta in Lp(I) e il secondo in Lp/p−1(I) = Lq(I).Allora possiamo applicare la (5.24)∫

I

|f + g|p dx 6

[(∫I

|f |p dx)1/p

+(∫

I

|g|p dx)1/p

](∫I

|f + g|p dx)1−1/p

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84 Successioni e serie di funzioni

e dividendo a sinistra e a destra per l’ultimo fattore si ottiene la tesi.2

Se il dominio d’integrazione ha misura finita possiamo ricavare una relazione d’in-clusione interessante fra tutti questi spazi, precisamente vale il seguente risultato.

Proposizione 5.28 - Con I limitato, se 1 6 p < q allora Lq(I) ⊂ Lp(I) e perogni f ∈ Lq(I) si ha

‖f‖p 6 C‖f‖q .

Dimostrazione. La funzione costante 1 su I appartiene a tutti questi spazi percheI ha misura finita. Scelta una f ∈ Lq(I), pensiamo alla funzione |f |p come prodotto|f |p · 1 dove |f |p ∈ Lq/p(I) e 1 ∈ L(1−p/q)−1

(I) = Lq

q−p (I) in modo da applicare la(5.24) e dedurre che |f |p = |f |p · 1 ∈ L1(I). Inoltre∫

I

|f |p dx 6 ‖|f |p‖q/p‖1‖q/(q−p) = ‖f‖pqm(I)1−p/q ,

da cui, elevando alla 1/p, si ricava

‖f‖p 6 m(I)1/p−1/q‖f‖q .

2Per l’inclusione ora dimostrata, non appena una funzione sta in uno degli spazi Lp(I)per qualche p > 1 deve appartenere a tutti gli Lq(I) con 1 6 q 6 p, a condizione,ripetiamo, che il dominio abbia misura finita. Il fatto che L1(I) sia il piu grandefra tutti gli spazi Lp(I) con p > 1 non significa che ne sia l’unione. Ad esempio, lafunzione

f(x) =1

x log2 x, 0 6 x 6

12,

sta in L1[0, 1/2], ma non appartiene a nessun Lp[0, 1/2] con p > 1.

Esercizio 5.9 - A quali spazi Lp[0, 1], p > 1, appartengono le funzioni 1/xα, oin particolare la funzione 1/

√x?

L’unico caso in cui i due esponenti coniugati coincidono e quando p = q = 2, il cherende speciale lo spazio L2(I). Per la disuguaglianza di Holder, se f, g ∈ L2(I) allorafg ∈ L1 e ‖fg‖1 6 ‖f‖2‖g‖2. Pertanto ha senso in L1(I) l’integrale

〈f, g〉 =∫I

fg dx

che definisce un prodotto scalare tra f e g (il lettore lo puo verificare facilmente peresercizio). Nella disuguaglianza di Holder si riconosce quella di Cauchy-Schwarz e lanorma stessa puo essere scritta in termini del prodotto scalare

‖f‖2 =√〈f, f〉 .

Se 〈f, g〉 = 0 le due funzioni f e g si dicono ortogonali. Per concludere, L2(I) e unospazio di Hilbert.

5.8 Serie di Fourier

Un fenomeno ondulatorio, che si manifesta ad esempio come un’onda sonora cau-sata da vibrazioni meccaniche o come un’onda elettromagnetica o come un segnale diqualsiasi altra natura, puo essere identificato con una funzione periodica f : R → R

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5.8 Serie di Fourier 85

di periodo T > 0. L’analisi armonica consiste nell’indagare sotto quali condizioni ein che senso la f puo essere decomposta in una combinazione lineare, finita o infinita,di onde elementari, del tipo

(5.27) f(x) =a0

2+∞∑n=1

(an cos2πnT

x+ bn sen2πnT

x)

e, viceversa, anche in che senso una espressione di questo tipo possa riprodurre unafunzione, naturalmente T -periodica, e quale. Le funzioni trigonometriche usate nella(5.27), tutte con periodo comune T , sono dette armoniche, l’n-esima con frequenzaωn = 2πn/T , multiplo intero della frequenza fondamentale ω = 2π/T .

La nota emessa da un diapason e il LA della quarta scala, la A4 nel sistema an-glosassone, con frequenza ω0 = 440 Hz. Assunta come fondamentale, rispetto ad essai LA successivi e precedenti hanno per frequenze i suoi multipli e sottomultipli interie per calcolare le frequenze delle altre note, col sistema del temperamento equabile,basta usare la formula ωs = 2s/12ω0, dove s e il numero (con segno) di semitoni chesepara la nota dall’A4. Ad esempio la frequenza del DO immediatamente successivo,il C5, e di 23/12440 Hz ∼ 523.3 Hz e l’ottava sopra al LA fondamentale, l’A5, ha fre-quenza 880 Hz, contando s = 12 semitoni dall’A4. L’intervallo udibile va da 20 Hz a20 kHz, all’esterno del quale vi sono gli ultrasuoni, al disopra, e gli infrasuoni al di sot-to. Moltiplicare un’armonica per un fattore A reale corrisponde ad alterare l’intensitadel suono, il volume, amplificandolo se |A| > 1 o riducendolo se |A| < 1. Per emettereuna singola nota ogni strumento musicale fa “suonare” insieme una particolare sceltadi armoniche tra loro diverse e con frequenze multiple di una stessa fondamentale,ciascuna col proprio volume. Il gruppo di termini scelti, una combinazione lineare diarmoniche, determina il timbro caratteristico dello strumento. Cosı, teoricamente, an-che tutta la serie (5.27) corrisponde ad una nota con un certo timbro. In altri campi,piu in generale, tale serie sara la rappresentazione matematica di una qualche onda,come abbiamo detto prima, o di un segnale di qualche tipo da precisare a secondadelle applicazioni.

Riprendiamo dunque il problema della rappresentazione di una funzione T -periodicaf come somma di una serie trigonometrica

(5.28) f(x) =a0

2+∞∑n=1

(an cosωnx+ bn senωnx) .

I primi contributi importanti in analisi armonica furono dati da Joseph Fourier neisuoi lavori Memoire sur la propagation de la chaleur dans les corps solides del 1807 eTheorie analytique de la chaleur del 1822, in cui risolve il problema della conduzionetermica in una lastra metallica piana rappresentando la distribuzione di temperaturacome somma di una serie trigonometrica. Ma gia D’alambert, da cui prende il nomel’equazione della corda vibrante, e Daniel Bernoulli avevano congetturato la possibilitadi rappresentare in quel modo ogni funzione periodica, aprendo tra l’altro la stradaal concetto moderno di funzione. Mentre fino ad allora questo termine era riservatoa non meglio precisate relazioni aventi una forma analitica esplicita, agli albori diquesta teoria la funzione diventa una legge qualunque che associa un valore ad ognipunto di un intervallo, come qualunque puo essere appunto la forma naturale che inun istante puo assumere una corda posta in vibrazione.

Per dare significato alla (5.28) bisogna precisare in che senso una successione disomme del tipo

Pn(x) =a0

2+

n∑k=1

(ak cosωkx+ bk senωkx) ,

dette polinomi trigonometrici di grado n, puo convergere per n→∞ a qualche funzio-ne e possibilmente scoprire quale. Per determinarla, cosa possibile in casi molto rari,

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86 Successioni e serie di funzioni

un metodo puo essere quello di ricondurla al calcolo della somma di un’opportunaserie di potenze ricorrendo al Teorema di Abel, una volta riconosciuta la serie trigo-nometrica come la sua restrizione ad una circonferenza. Questo approccio in realtal’abbiamo gia applicato ad esempio alla serie (5.18) che, si scopre adesso, e propriouna serie trigonometrica. Che si possa o meno calcolarne la somma, cio che bisognafare di fronte ad una serie di questo tipo e studiarne il comportamento e le proprietaguardando ai coefficienti che la definiscono.

Il caso piu semplice e quello in cui i coefficienti formano serie numeriche assoluta-mente convergenti

∞∑n=1

|an| < +∞ ,

∞∑n=1

|bn| < +∞

perche allora, essendo

(5.29) supx∈R|an cosωnx+ bn senωnx| 6 |an|+ |bn| ,

si puo dire che la serie (5.28) e totalmente convergente nella norma uniforme ed haper somma una funzione necessariamente continua (essendo continuo ogni polinomiotrigonometrico). Possiamo spingerci oltre: facendo crescere l’ordine di infintesimo deicoefficienti, non solo aumenta la “velocita” di convergenza, ma anche la regolaritadella somma. Con riferimento al teorema di derivazione termine a termine, se nellaserie delle derivate

∞∑n=1

(−nan senωnx+ nbn cosωnx)|

i coefficienti soddisfano∞∑n=1

n|an| < +∞ ,

∞∑n=1

n|bn| < +∞

allora la somma della serie (5.28) e una funzione di classe C1(R) e la serie dellederivate ha per somma, uniforme, la sua derivata. Ripetendo il ragionamento, o se sivuole per induzione, si puo generalizzare questa osservazione passando alla derivatak-esima: se

∞∑n=1

nk|an| < +∞ ,

∞∑n=1

nk|bn| < +∞

allora la somma della serie (5.28) e di classe Ck(R) e le serie ottenute per derivazionefino all’ordine k convergono uniformemente alle corrispondenti derivate della somma.

Per garantire la continuita della somma non e necessario che la serie convergatotalmente, basta la convergenza uniforme, ma non esistono criteri generali. Nel casopero di coefficienti positivi e decrescenti vi e una caratterizzazione che riguarda seriedi soli coseni, immediata e ovvia, e una diversa, un po’ piu complicata da verificare,per serie di soli seni, precisamente:

a0

2+∞∑n=1

an cosnx converge uniformemente ⇔∞∑n=1

an < +∞ ,

∞∑n=1

bn sennx converge uniformemente ⇔ limn→∞

nbn = 0 .

Si noti che l’ultima condizione e piu generale della richiesta che sia convergente laserie

∑bn, come ben sappiamo dall’Analisi 1. Ad esempio la serie

∞∑n=1

sennxn log n

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5.8 Serie di Fourier 87

converge uniformemente perche nbn = 1/ log n → 0, ma la serie dei soli coefficienti enotoriamente divergente.

Ma se si parte da una funzione continua e la si vuole riconoscere come sommadi una serie trigonometrica, possiamo dire che questa converge ad f uniformemente?Piu in generale, quali funzioni sono somma di una serie trigonometrica? Qual e iltipo di convergenza a seconda della funzione scelta? Formalmente, come vediamo trapoco, non e difficile costruirla in termini della f ; come i coefficienti di una serie diTaylor, cosı anche quelli della serie trigonometrica si possono calcolare direttamenteconoscendo la funzione. Ma rimane il problema, tutt’altro che semplice, di stabilirepoi se converge, in che senso e perche proprio a quella funzione. Ovviamente inquesta sede ci limitiamo a dare qualche idea, tratteremo solo alcune proprieta di baserimanendo ad un livello molto elementare, ... ma non troppo.

Supponiamo che il tipo di convergenza della (5.28) permetta l’integrazione terminea termine su un intervallo limitato, operazione lecita, come sappiamo, nei casi piucomuni di convergenza in norma, uniforme, in media, ecc. Allora possiamo ricavarela relazione che intercorre tra f e i coefficienti della serie. Si calcola in primo luogol’integrale della funzione su un intervallo di ampiezza T , ad esempio [0, T ]∫ T

0

f(x) dx =∫ T

0

a0

2dx+

∞∑n=1

an

∫ T

0

cosωnx dx+∞∑n=1

bn

∫ T

0

senωnx dx

da cui si ottiene il valore di a0

(5.30) a0 =2T

∫ T

0

f(x) dx ,

visto che le funzioni cosωnx e senωnx sono a media nulla. Se invece si moltiplica laf per cosωkx e per senωkx e dopo si integra si ottiene rispettivamente∫ T

0

f(x) cosωkx dx =∫ T

0

a0

2cosωkx dx+

∞∑n=1

an

∫ T

0

cosωnx cosωkx dx

+∞∑n=1

bn

∫ T

0

senωnx cosωkx dx = ak

∫ T

0

cos2 ωkx dx = akT

2,

∫ T

0

f(x) senωkx dx =∫ T

0

a0

2senωkx dx+

∞∑n=1

an

∫ T

0

cosωnx senωkx dx

+∞∑n=1

bn

∫ T

0

senωnx senωkx dx = bk

∫ T

0

sen2 ωkx dx = bkT

2,

da cui

(5.31) an =2T

∫ T

0

f(x) cosωnx dx e bn =2T

∫ T

0

f(x) senωnx dx ∀n > 1 .

Gli an e i bn cosı trovati sono detti coefficienti di Fourier di f e la (5.28) con questicoefficienti prende il nome di serie di Fourier (trigonometrica) di f e si indica cons(f, x). Si noti che i bn sono tutti nulli se f e una funzione pari e analogamente sononulli gli an nel caso dispari. In particolare i coefficienti di Fourier della funzione nulla(l’unico caso di funzione sia pari che dispari) sono tutti nulli e quindi lo e identicamenteanche la relativa serie di Fourier.

Il procedimento con cui abbiamo ottenuto i coefficienti, e di conseguenza la serie,a partire da una funzione nota si basa sull’ipotesi fatta a priori che valesse un qual-che tipo di convergenza in modo da garantire il passaggio al limite sotto il segno di

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88 Successioni e serie di funzioni

integrale. Tuttavia precisiamo che essi possono essere definiti anche direttamente, tra-mite le (5.30) e (5.31), a prescindere da questa ipotesi, basta che f sia assolutamenteintegrabile. Hanno perfettamente senso infatti se f ∈ L1[0, T ] dato che

|an| 6 ‖f cosnx‖1 6 ‖f‖1 e |bn| 6 ‖f sennx‖1 6 ‖f‖1 ,quindi possiamo riferirci alla s(f, x) come alla serie di Fourier associata a f indipen-dentemente dalla questione della convergenza. Se poi tale serie avra per somma f omeno, e in che senso, e un altro problema. Il ragionamento fatto sopra per ottenerladimostra che se una serie trigonometrica converge a f in L1[0, T ] (o in Lp, o uniforme-mente) deve essere necessariamente la sua serie di Fourier e, a proposito, citiamo unteorema, senza dimostrarlo, che dice che possiamo anche allargarci alla convergenzapuntuale, sempre che f appartenga a L1[0, T ], ed e il seguente.

Teorema 5.29 - Una serie trigonometrica che, ad eccezione eventualmente diun insieme finito di punti, converge puntualmente ad una funzione f assolutamenteintegrabile e necessariamente la serie di Fourier di f .

Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, questo risultato, che potremmodire di unicita della rappresentazione in serie trigonometrica, non vale piu se i puntidi non convergenza formano un insieme infinito, ma di misura nulla. Menshov costruınel 1916 una serie trigonometrica convergente q.o. a 0, ma con i coefficienti non tuttinulli, i quali dunque non possono essere quelli di Fourier.

E se invece di partire dalla serie si parte dalla funzione? Si puo sostenere in gene-rale che la serie di Fourier di una certa funzione deve convergere in qualche senso aquella funzione? La risposta e negativa, nel 1926 Kolmogorov trovo una funzione diL1[0, T ] la cui serie di Fourier non converge ne rispetto alla norma di L1, ne addirit-tura in alcun punto. Se pero ci mettiamo in Lp[0, T ] con p > 1 vale la convergenza innorma e anche puntuale quasi ovunque. Comunque la convergenza puntuale in tuttii punti non vale in generale neanche se f e continua, tanto meno possiamo sperare inquella uniforme. Se la convergenza uniforme di una serie trigonometrica garantisce lacontinuita della sua somma, non per questo ogni funzione continua e periodica deveessere la somma nel senso uniforme di una serie trigonometrica, la propria serie diFourier in questo caso. Su questo problema ci limitiamo soltanto a qualche cennostorico, dato il suo livello di difficolta per noi eccessivo. Dopo che nel 1829 Dirichletaveva dimostrato il teorema di convergenza puntuale per le funzioni continue a tratti,ma con delle ipotesi aggiuntive che vedremo anche noi, nel 1876 du Bois-Reymondmostra l’esistenza di funzioni continue la cui serie di Fourier non converge in un puntoe non e stato difficile passare poi ad un insieme denso di punti di mancata convergenza.Come applicazione di un importante teorema di Analisi Funzionale del 1927 dovuto aBanach e Steinhaus, si e dimostrato che per ogni x ∈ [0, T ] esiste un insieme denso difunzioni di C0[0, T ] la cui serie di di Fourier non converge in x. Nel 1920 Luzin ponela questione generale, precisando meglio una congettura dello stesso Fourier, di sta-bilire se la serie di Fourier di una funzione continua f converge a f(x) puntualmentealmeno quasi ovunque dovendo tener conto del risultato di du Bois-Reymond. Ma lacongettura di Luzin, un vero rompicapo dell’Analisi, rimane senza risposta finche nonviene provata da Carleson nel 1966, non solo per le funzioni continue, ma per tuttele funzioni di L2[0, T ], risultato che fu poi esteso da Fefferman nel 1973 a tutti gliLp[0, T ] con p > 1. Sembra quasi che con le serie di Fourier possa succedere di tutto,vediamo se riusciamo a fare un po’ di ordine ,.

Esempi

5.11 Si vuole determinare la serie di Fourier associata al prolungamento 2-periodicodella funzione pari

f(x) = x2 , x ∈ [−1, 1] .

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5.8 Serie di Fourier 89

Dalle (5.30) e (5.31) con ω = π si ottengono i coefficienti di Fourier

a0 = 2∫ 1

0

x2 dx =23, an = 2

∫ 1

0

x2 cosnπx dx =4(−1)n

n2π2, bn = 0 ∀n > 1 ,

e quindi anche la serie di Fourier di soli coseni

s(f, x) =13

+4π2

∞∑n=1

(−1)n

n2cosnπx .

Ma e lecito affermare che s(f, x) = x2 per ogni x ∈ [−1, 1]? Certamente questa serieconverge totalmente nella norma uniforme ad una funzione continua essendo

∞∑n=1

maxx∈R|an cosnπx| = 4

∞∑n=1

1n2

< +∞ ,

ma che la somma sia proprio x2 lo possiamo far discendere dai teoremi che dimostre-remo piu avanti. Si noti in particolare che per x = π si ha

Figura 5.10: Approssimazione della funzione x2.

1 =13

+4π2

∞∑n=1

1n2

,

relazione che ci fornisce per altra via il valore gia noto della somma della serie armonicadi esponente 2.

Vediamo adesso un altro esempio, stavolta riguarda una funzione discontinua.

5.12 Vogliamo determinare la serie di Fourier associata al prolungamento 2-periodicodella funzione dispari

f(x) = x , x ∈]− 1, 1] .

Abbiamo in questo caso ω = π e an = 0 per ogni n ∈ N, mentre

bn =∫ 1

−1

x sennπx dx = 2∫ 1

0

x sennπx dx =2(−1)n+1

πn,

pertanto

s(f, x) =2π

∞∑n=1

(−1)n+1

nsennπx .

Il calcolo di questa somma l’abbiamo gia fatto nell’Esempio 5.18, s(f, x) = x per−1 < x < 1, ma agli estremi, ovviamente, s(f, 1) = s(f,−1) = 0. Per x = 1/2 siconferma il valore, gia noto per altra via, della somma

∞∑n=1

(−1)n+1

2n− 1=π

2.

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90 Successioni e serie di funzioni

Figura 5.11: Approssimazione della funzione x.

La perdita di regolarita della funzione nei due estremi e il “peggioramento” del tipo diconvergenza della serie, non piu uniforme (altro che in un intervallo [a, b] ⊂]−1, 1[), mapuntuale, sono fatti strettamente correlati. In piu, e stato osservato che in prossimitadei punti di salto la distanza tra il massimo e il minimo della successione delle ridottesi stabilizza su un valore di circa il 18% superiore al salto stesso, comportamento notocome fenomeno di Gibbs.

Col semplice cambio di variabile y = 2πx/T = ωx possiamo lavorare con le funzioni2π-periodiche e quindi con serie trigonometriche del tipo

(5.32) s(x) =a0

2+∞∑n=1

(an cosnx+ bn sennx) .

Un’ulteriore semplificazione puo essere ottenuta passando alla forma esponenziale conle formule di Eulero

cosnx =einx + e−inx

2, sennx =

einx − e−inx2i

.

Precisamente, posto per ogni n ∈ Z

cn =

a0/2 se n = 0(an − ibn)/2 se n > 0(a−n + ib−n)/2 se n < 0 ,

la (5.32) diventa

(5.33) s(x) =∑n∈Z

cneinx

che e molto piu maneggevole e allo stesso tempo ci indica che questa teoria si addicein modo naturale alle funzioni periodiche f : R→ C. La (5.33) va intesa come limiteper n→∞ della successione dei polinomi trigonometrici

Pn(x) =n∑

k=−n

ckeikx , n ∈ N ,

in un senso da specificare volta per volta, puntuale, uniforme, in qualche norma ecc.Va da se che converra tornare all’uso dei soli coseni o dei soli seni per funzioni pari odispari rispettivamente.

Per calcolare i coefficienti di Fourier di una funzione f 2π-periodica si ragionacome prima, sempre che sia lecito integrare termine a termine. Moltiplichiamo la(5.33) per e−ikx membro a membro immaginando f a primo membro e integriamo∫ 2π

0

f(x)e−ikx dx =∑n∈Z

cn

∫ 2π

0

ei(n−k)x dx = 2π∑n∈Z

cnδnk = 2πck

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5.9 Proiezione su un sottospazio 91

dove

δnk =

1 se n = k

0 se n 6= k.

Si ottengono cosı i coefficienti di Fourier

ck = f(k) =1

∫ 2π

0

f(x)e−ikx dx .

Ricordando che l’espressione

〈f, g〉 =∫ 2π

0

f(x)g(x) dx

e un prodotto scalare tra funzioni, le relazioni

12π

∫ 2π

0

ei(n−k)x dx = δnk

possono essere interpretate dicendo che il sistema trigonometrico, l’insieme cioe dellefunzioni ϕn(x) = einx/

√2π, n ∈ Z, e ortonormale, da cui segue tra l’altro che ogni

insieme finito di elementi ϕn e linearmente indipendente. I coefficienti di Fourier nonsono altro che i prodotti scalari di f con gli elementi di questo sistema

f(n) = 〈f, ϕn〉 ∀n ∈ Z

e con essi si costruiscono la successione dei polinomi di Fourier di f

Pn(x) =n∑

k=−n

f(k)ϕk(x) =1

n∑k=−n

∫ π

−πf(t)e−ikt dt eikx ∀n ∈ N

e la serie di Fourier di fs(f, x) =

∑n∈Z

f(n)einx .

Come gia spiegato, si tratta adesso di studiare che relazione intercorre tra s e f .

5.9 Proiezione su un sottospazio

Le considerazioni fatte alla fine del paragrafo precedente sembrano suggerire L2

(che da ora in poi sta per L2[−π, π]) come spazio naturale, sebbene, come gia osser-vato, si potrebbe lavorare anche in L1, ma in questo paragrafo siamo interessati adalcuni aspetti che potremmo definire “euclidei” per la presenza del prodotto scalare.

L’insieme dei polinomi trigonometrici di grado n forma un sottospazio vettorialeVn di dimensione finita (precisamente 2n+ 1) di L2.

Problema 5.30 (della proiezione) - Dato un elemento f ∈ L2, trovare il poli-nomio trigonometrico P ∗n ∈ Vn di minima distanza da f tra tutti i polinomi Pn ∈ Vn.Se P ∗n esiste si chiama proiezione ortogonale di f su Vn.

In altre parole cerchiamo P ∗n ∈ Vn tale che

‖f − P ∗n‖2 = minPn∈Vn

‖f − Pn‖2 .

Teorema 5.31 - La proiezione esiste, e unica ed e il polinomio di Fourier di f .

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92 Successioni e serie di funzioni

Dimostrazione. Consideriamo un generico polinomio trigonometrico Pn ∈ Vn

Pn(x) =n∑

k=−n

ckϕk(x)

e cerchiamo di rendere minima la sua distanza da f . Ragionando, come sempreconviene, col quadrato della norma, si ottiene

‖f − Pn‖22 = 〈f − Pn, f − Pn〉 = ‖f‖22 + ‖Pn‖22 − 〈f, Pn〉 − 〈Pn, f〉

dove

‖Pn‖22 = 〈n∑

h=−n

chϕh,

n∑k=−n

ckϕk〉 =n∑

hk=−n

chck〈ϕh, ϕk〉 =n∑

h=−n

chckδhk =n∑

k=−n

|ck|2 ,

〈f, Pn〉 = 〈f,n∑

k=−n

ckϕk〉 =n∑

k=−n

ck〈f, ϕk〉 =n∑

k=−n

f(k)ck

e quindi

‖f − Pn‖22 = ‖f‖22 +n∑

k=−n

|ck|2 −n∑

k=−n

f(k)ck −n∑

k=−n

f(k)ck

= ‖f‖22 +n∑

k=−n

|ck − f(k)|2 −n∑

k=−n

|f(k)|2 .(5.34)

Questa espressione risulta minima per ck = f(k) per ogni k ∈ Z, quindi il polinomiotrigonometrico P ∗n di minima distanza da f coincide col polinomio di Fourier associatoad f

Pn(x) =n∑

k=−n

f(k)ϕk(x) .

Inserito nella (5.34) al posto di Pn, ci permette di ottenere il valore della distanza dif da Vn

(5.35) ‖f − Pn‖22 = ‖f‖22 −n∑

k=−n

|f(k)|2 .

L’unicita e ovvia conseguenza della stretta convessita della funzione ck → |ck− f(k)|2.2

Immediata conseguenza della (5.35), dove il I membro e non negativo, e la disugua-glianza di Bessel

(5.36)n∑

k=−n

|f(k)|2 6 ‖f‖22 ∀n ∈ N .

Dunque la serie a termini positivi ∑n∈Z

|f(n)|2

e convergente ed ha somma non superiore a ‖f‖22. Ne segue che il termine generale einfinitesimo

lim|n|→∞

f(n) =1

2πlim|n|→∞

∫ π

−πf(x)e−inx dx = 0 ,

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5.9 Proiezione su un sottospazio 93

o, equivalentemente,

limn→∞

∫ π

−πf(x) cosnx dx = lim

n→∞

∫ π

−πf(x) sennx dx = 0 ,

relazioni note col nome di Teorema di Riemann-Lebesgue.Guardando alla (5.35), e chiaro che al crescere di n, aumentando la dimensione

di Vn, si fa sempre piu piccola la distanza di f da Vn. Sarebbe interessante poteraffermare che

(5.37) limn→∞

‖f − Pn‖22 = 0

perche avrebbe una rilevanza notevole. Innanzi tutto la disuguaglianza di Bessel(5.35) diventa l’identita di Parseval

(5.38)∑n∈Z

|f(n)|2 = ‖f‖22

che ci fa ricordare il Teorema di Pitagora, altre condizioni ad essa equivalenti verrannotrattate nel prossimo paragrafo. Ma vi sono vari altri modi tutti tra loro equivalentiper descriverla che ci riportano al concetto di base di uno spazio vettoriale, cosache adesso, in dimensione infinita, richiede qualche precisazione. La (5.37) equivalead affermare che il sistema trigonometrico ϕn, oltre che linearmente indipendente,e anche un insieme di generatori, quindi una base (infinita ma numerabile), di L2,nel senso che ogni elemento di L2 e combinazione lineare (infinita), o meglio limitedi combinazioni lineari, delle ϕn con le proiezioni ortogonali f(n) = 〈f, ϕn〉 comecoefficienti. Questa proprieta, che diremo di completezza, e effettivamente vera comevedremo nel prossimo paragrafo, per questo L2 appare lo spazio piu naturale per laconvergenza delle serie di Fourier trigonometriche. Il fatto che in L1 sia stato trovatoun esempio di funzione che non e limite nella norma ‖ · ‖1 della sua serie di Fouriersignifica che il sistema trigonometrico non e completo in L1.

Una conseguenza importante della disuguaglianza di Bessel riguarda la convergen-za uniforme della serie di Fourier di una funzione continua con l’ipotesi aggiuntiva diavere derivata in L2 (ricordiamo che la continuita da sola non basta). Questo risulta-to va considerato insieme alla condizione (5.29) che garantisce la convergenza totale,quindi uniforme, di una serie trigonometrica e ne e l’implicazione contraria: la serie diFourier di una funzione continua converge totalmente? La risposta e affermativa, macon un’ipotesi aggiuntiva sulla derivata. Facciamo attenzione al fatto che l’estensioneT -periodica di una funzione continua inizialmente definita su [0, T ] non e detto chesia continua, a meno che f(0) = f(T ). Per questo, nel nostro contesto, da ora in poiintendiamo per continua ogni funzione f ∈ C0[0, T ] tale che f(0) = f(T ).

Teorema 5.32 - Se f ∈ C0[0, 2π] ammette derivata f ′ ∈ L2 allora la serie diFourier di f converge ad f uniformemente.

Dimostrazione. I coefficienti di Fourier della derivata si possono calcolare intermini di quelli di f nel seguente modo

f ′(n) =1

∫ π

−πf ′(x)e−inx dx =

12π

[f(x)e−inx]π−π +in

∫ π

−πf(x)e−inx dx = inf(n) .

Per la disuguaglianza di Bessel la serie∑n∈Z

|f ′(n)|2 =∑n∈Z

n2|f(n)|2

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94 Successioni e serie di funzioni

e convergente e poiche

|f(n)| = n|f(n)| · 1n

612

(n2|f(n)|2 +

1n2

)∀n ∈ Z ,

converge anche la serie ∑n∈Z

|f(n)| ,

quindi la serie di Fourier di f e totalmente convergente nella norma uniforme.2

Questo teorema vale anche con f ′ ∈ L1, ma non possiamo approfondire ulteriormente.Una situazione frequente a cui puo essere applicato e quella delle funzioni continue eregolari a tratti secondo la seguente definizione.

Definizione 5.33 - Una funzione f : [0, T ] → C e detta continua a trattise e continua su [0, T ] eccetto, al piu, un insieme finito x1, . . . , xh di punti didiscontinuita nei quali esistano finiti i limiti

limx→x−i

f(x) = f(x−i ) e limx→x+

i

f(x) = f(x+i ) .

E detta invece regolare a tratti se e continua a tratti e al di fuori dei punti didiscontinuita e derivabile con derivata continua a tratti su [0, T ]. Una funzione f :R → R e detta continua a tratti o regolare a tratti se lo e la sua restrizione adogni intervallo limitato.

Ad esempio il prolungamento 2π-periodico della funzione continua e regolare a tratti

f(x) = |x| ∀x ∈ [−π, π]

e somma nel senso uniforme della sua serie di Fourier di soli coseni

π

2− 4π

∞∑n=1

cos(2n− 1)x(2n− 1)2

ed ha per derivata la funzione di L2

f ′(x) = sign(x) ,

la quale e somma in L2, e anche nel senso puntuale ma non uniforme, della serie dellederivate

∞∑n=1

sen(2n− 1)x2n− 1

.

Naturalmente questa puo essere ottenuta anche sviluppando la funzione sign(x) di-rettamente.

Immediata conseguenza del Teorema 5.32 e della (5.38) e il seguente, lo citiamoper l’interesse che ha di per se.

Corollario 5.34 (disuguaglianza di Poincare) - Se f ∈ C0[a, b] con f(a) =f(b) ammette derivata f ′ ∈ L2[a, b] allora

‖f‖22 6 C‖f ′‖22 .

Dimostrazione. Se per [a, b] scegliamo l’intervallo [−π, π] siamo nelle ipotesi delTeorema 5.32 e basta applicare l’identita di Parseval ad entrambe le funzioni

(5.39) ‖f‖22 =∑n∈Z

|f(n)|2 6∑n∈Z

n2|f(n)|2 = ‖f ′‖22

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5.10 Completezza del sistema trigonometrico in L2 95

e in questo caso C = 1. Per a e b qualunque ci si riconduce al caso precedente colcambio di variabile

x =a+ b

2+b− a2π

t , t ∈ [−π, π] ,

ottenendo

(5.40)∫ b

a

|f(x)|2 dx 6(b− a)2

4π2

∫ b

a

|f ′(x)|2 dx .

La costante che compare nella (5.40), detta costante di Poincare, e ottimale nel sensoche vi sono funzioni che realizzano l’uguaglianza, basta scegliere scegliere f(x) = senxnella (5.39).

2

5.10 Completezza del sistema trigonometrico in L2

La completezza in L2 del sistema trigonometrico, che ci accingiamo adesso a dimo-strare, consiste nella proprieta che ogni f ∈ L2 e la somma della sua serie di Fouriernel senso della convergenza in L2. In dimensione finita si direbbe che il sistema generatutto lo spazio. Vogliamo dunque dimostrare che per ogni f ∈ L2 e per ogni ε > 0 siha definitivamente

(5.41) ‖f − Pn‖2 < ε .

Sfruttando l’ottimalita del polinomio di Fourier ottenuta nel § 5.9, ci basta dimostrareche l’insieme dei polinomi trigonometrici e denso in L2, infatti, se per ogni ε > 0 neesiste uno, Pn per qualche n ∈ N, che dista da f meno di ε, si ha

‖f − Pn‖2 6 ‖f − Pn‖2 < ε .

D’altra parte L2, come ogni Lp del resto, e stato definito nel § 5.7 come completamentodi C0, dunque per costruzione possiamo affermare che C0 e denso in L2, cioe per ognif ∈ L2 e per ogni ε > 0 esiste g ∈ C0 tale che

‖f − g‖2 < ε .

Il problema si riduce allora a far vedere che per ogni g ∈ C0 e per ogni ε > 0 esisteun polinomio trigonometrico P tale che

‖g − P‖∞ < ε

perche in questo modo

‖f − P‖2 6 ‖f − g‖2 + ‖g − P‖2 6 ‖f − g‖2 + C‖g − P‖∞ < (1 + C)ε .

Identico ragionamento puo essere applicato ad ogni Lp per p > 1, anche in questispazi l’insieme dei polinomi trigonometrici e denso, ma non essendo ottimale quellodi Fourier per p 6= 2 non si arriva per questa via alla completezza altro che in L2.Rimane dunque da dimostrare la seguente proposizione.

Proposizione 5.35 - Per ogni funzione g ∈ C0[−π, π] esiste una successione dipolinomi trigonometrici Pn tale che

limn→∞

‖Pn − g‖∞ = 0 .

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96 Successioni e serie di funzioni

Dimostrazione. Consideriamo la successione di polinomi trigonometrici

Qn(x) = αn

(1 + cosx

2

)n, n ∈ N ,

con gli αn > 0 scelti in modo tale che

12π

∫ π

−πQn(x) dx = 1 .

Ogni Qn e una funzione positiva pari, crescente da −π dove assume valore nullo, a 0in cui raggiunge il massimo αn, poi decresce fino a 0 in π. Se dunque 0 < δ < π si ha

Qn(δ) = maxδ6|x|6π

Qn(x)

e Qn → 0 uniformemente su [−π,−δ] ∪ [δ, π] se Qn(δ)→ 0 per n→∞. Verifichiamoallora che Qn(δ)→ 0. Per come abbiamo scelto gli αn si ha

1 =αnπ

∫ π

0

(1 + cosx

2

)ndx >

αnπ2n

∫ π

0

(1 + cosx)n senx dx =2αn

π(n+ 1),

da cui αn < π(n+ 1)/2. Quindi

Qn(δ) = αn

(1 + cos δ

2

)n<π(n+ 1)

2

(1 + cos δ

2

)n→ 0 .

Ad ogni g ∈ C0[−π, π] associamo la successione di polinomi trigonometrici

Pn(x) =1

∫ π

−πg(x− t)Qn(t) dt ,

per cui

|Pn(x)− g(x)| =∣∣∣∣ 12π

∫ π

−π(g(x− t)− g(x))Qn(t) dt

∣∣∣∣6

12π

∫ π

−π|g(x− t)− g(x)|Qn(t) dt .

(5.42)

Poiche g e uniformemente continua, fissato ε > 0 esiste δ > 0 tale che

|t| = |(x− t)− x| < δ⇒|g(x− t)− g(x)| < ε .

Ne segue che

12π

∫ δ

−δ|g(x− t)− g(x)|Qn(t) dt <

ε

∫ δ

−δQn(t) dt <

ε

∫ π

−πQn(t) dt = ε ,

mentre1

∫ −δ−π

+∫ π

δ

|g(x− t)− g(x)|Qn(t) dt ≤ 2‖g‖∞Qn(δ)→ 0 .

Passando quindi all’estremo superiore nella (5.42), ‖Pn − g‖∞ → 0.2

Da qui discende l’identita di Parseval (5.38) grazie alla quale ogni funzione f ∈ L2

e somma nel senso di L2 della propria serie di Fourier. Vediamo alcune importanticondizioni ad essa equivalenti.

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5.11 Convergenza puntuale 97

1 Se f, g ∈ L2 hanno gli stessi coefficienti di Fourier allora f = g q.o., che e come direche se una funzione di L2 ha coefficienti di Fourier tutti nulli (se e ortogonale adogni elemento del sistema trigonometrico) allora e la funzione (quasi ovunque)nulla.

2 Se∑n∈Z |cn|2 < +∞ la serie

∑n∈Z cne

inx converge in L2 e, detta f ∈ L2 la suasomma, si ha cn = f(n) per ogni n ∈ Z.

3 Per ogni f, g ∈ L2 si ha 〈f, g〉 =∑n∈Z f(n)g(n).

Riguardo la 2, se viene a mancare la convergenza della serie dei quadrati dei coefficientinon si puo escludere che la serie converga, ma se converge la sua somma non sta inL2. Ad esempio

∞∑n=1

sennx√n

converge puntualmente su [−π, π] e uniformemente su ogni intervallo del tipo [−π +δ, π − δ] (perche?), ma la sua somma non sta in L2 perche

∞∑n=1

1n

= +∞ .

Possiamo pero affermare che sta in L1 perche i coefficienti hanno lo stesso andamentoasintotico di quelli di Fourier della funzione f(x) = 1/

√x, 0 < x < π, come si puo

verificare facilmente. La spiegazione la possiamo far discendere anche dal seguenteteorema che citiamo senza dimostrazione.

Teorema 5.36 - Se (an) e (bn) sono due successioni positive, decrescenti e infi-nitesime per n→∞ e le serie numeriche

∞∑n=1

ann

e∞∑n=1

bnn

sono convergenti allora la serie trigonometrica (5.32) converge assolutamente e in L1

ad una funzione f ∈ L1, della quale e necessariamente, come sappiamo, la serie diFourier.

La serie trigonometrica∞∑n=2

sennxlog n

converge puntualmente ad una funzione che certamente non appartiene a L1.

5.11 Convergenza puntuale

Il fatto che i polinomi trigonometrici siano densi anche in L1 ci permette diestendere il Teorema di Riemann-Lebesgue.

Teorema 5.37 (di Riemann-Lebesgue) - Se f ∈ L1 allora f(n)→ 0.

Dimostrazione. Osserviamo che ogni polinomio trigonometrico Pk soddisfa

〈Pk, ϕn〉 =1√2π

∫ π

−πPk(t)e−int dt = 0 ∀n ∈ Z : |n| > k .

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98 Successioni e serie di funzioni

Scelto un ε > 0 arbitrario, sia P un polinomio trigonometrico tale che ‖f − P‖1 < ε.Se k ∈ N e il grado di P , per |n| > k si ha

|f(n)| =∣∣∣∣ 12π

∫ π

−π(f(t)− P (t))e−int dt

∣∣∣∣ 6 ‖f − P‖1 < ε

che e la tesi.2

L’espressione

Dn(t) =12

n∑k=−n

eikt =12

+n∑k=1

cos kt

si chiama nucleo di Dirichlet. Moltiplicando membro a membro per 2i sen t/2 si ottiene

Dn(t)2i sen t/2 = Dn(t)(eit/2 − e−it/2

)=

12

n∑k=−n

(ei(k+ 1

2 )t − ei(k− 12 )t)

=12(ei(n+ 1

2 )t − e−i(n+ 12 )t)

= i sen(n+

12

)t ,

da cui

Dn(t) =sen(n+

12

)t

2 sent

2

.

Si osservi che

(5.43)1π

∫ 0

−πDn(t) dt =

∫ π

0

Dn(t) dt =12.

Il polinomio di Fourier di una funzione f ∈ L1 puo essere scritto in termini del nucleodi Dirichlet

Pn(x) =1

∫ π

−πf(t)

n∑k=−n

e−inteinx dt =1π

∫ π

−πf(t)Dn(x− t) dt

=1π

∫ π

−πf(t)Dn(t− x) dt =

∫ π

−πf(x+ t)Dn(t) dt ,

tenuto conto che Dn e pari.Supponiamo adesso che f sia continua a tratti su [−π, π] secondo la Definizio-

ne 5.33. Vogliamo vedere sotto quali condizioni su f la sua serie di Fourier convergepuntualmente. E naturale aspettarsi che la somma sia pari al valore di f nei puntidi continuita, ma nei punti in cui f e discontinua coincide con la media tra il limitedestro e il limite sinistro di f . Cerchiamo pertanto di stimare la differenza tra il po-linomio di Fourier in un generico punto e la media dei limiti per poi passare al limiteper n→∞. Per la (5.43) si ha

Pn(x)− f(x+) + f(x−)2

=1π

∫ π

−πf(x+ t)Dn(t) dt− f(x+)

π

∫ π

0

Dn(t) dt− f(x−)π

∫ 0

−πDn(t) dt

=1π

∫ 0

−π

f(x+ t)− f(x−)2 sen t/2

sen(n+

12

)t+

∫ π

0

f(x+ t)− f(x+)2 sen t/2

sen(n+

12

)t

=1π

∫ π

−πF (x, t) sen

(n+

12

)t dt =

∫ π

−πF (x, t)

(sen

t

2cosnt+ cos

t

2sennt

)dt

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5.11 Convergenza puntuale 99

avendo posto

F (x, t) =

f(x+ t)− f(x−)

2 sen t/2se − π 6 t < 0

0 se t = 0f(x+ t)− f(x+)

2 sen t/2se 0 < t 6 π .

Ora, il Teorema (5.37) ci permette di passare al limite

limn→∞

(Pn(x)− f(x+) + f(x−)

2

)= 0

purche nel punto x la funzione t→ F (x, t), continua a tratti con le stesse discontinuitadella f , appartenga a L1. Per garantire questa proprieta si possono immaginarediverse condizioni sufficienti, piu o meno restrittive. Ad esempio possiamo assumereche f sia regolare a tratti. In tal caso nel punto x puo essere derivabile, oppurecontinua con derivate destra e sinistra, f ′d(x) e f ′s(x), oppure discontinua con limitidestro e sinistro finiti, f(x+) e f(x−), e con derivate destra e sinistra

f ′d(x+) = lim

t→0+

f(x+ t)− f(x+)t

e f ′s(x−) = lim

t→0−

f(x+ t)− f(x−)t

(per il calcolo del limite 2 sen t/2 puo essere senz’altro sostituito con t). Con questeipotesi t → F (x, t), regolare a tratti come f , e anche limitata nell’intorno di (x, 0),quindi sta in L1 e il Teorema di Riemann-Lebesgue e applicabile. Altrimenti possiamoricordare la condizione di integrabilita per una funzione non limitata come 1/|t|α, chee integrabile in un intorno di 0 se α < 1. Si perviene cosı alla stessa conclusione, che esempre l’appartenenza a L1, assumendo una sorta di holderianita a destra e a sinistraper un certo 0 < α < 1

|f(x+ t)− f(x+)| 6 Ctα e |f(x− t)− f(x−)| 6 Ctα , 0 < t < δ .

Anche in questo caso, presentando nelle vicinanze di t = 0 un andamento del tipo1/|t|1−α, e garantita l’assoluta integrabilita di F .

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100 Successioni e serie di funzioni

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Capitolo 6

Equazioni e sistemidifferenziali

Una grande varieta di problemi geometrici, di fenomeni della natura, di invenzionie di scoperte, di leggi e di principi dalle varie Scienze, dalla Fisica, la Chimica all’In-gegneria, dall’Economia alla Sociologia, dalla Biologia alla Medicina ecc., si possonodescrivere, formulare e interpretare in termini di equazioni differenziali. Poter descri-vere la Natura in cui viviamo attraverso strumenti matematici come questo ci da lapiacevole sensazione che anche noi esseri umani, con la nostra mente limitata ma ra-zionale, siamo in qualche misura capaci di comprenderla, di dominarla, di migliorarlae di contribuire a modo nostro all’Opera della Creazione.

L’inquadramento di un fenomeno in uno schema razionale, il modello matematico,ci costringe pero ad operare delle semplificazioni che possono contrastare con la suareale complessita. Ne deriva ogni volta una descrizione imperfetta e parziale che peropuo essere migliorata e resa sempre piu fedele alla realta, ma a danno della semplicita.Nel costruire un modello matematico per una certa classe di fenomeni bisogna tenersiin equilibrio tra la possibilita di risolvere i problemi che esso pone, di capirne e saperdescrivere le soluzioni, e la sua attendibilita effettiva. Per questo servono delle lineeguida, dei criteri, che ci possano dare delle indicazioni sulla ragionevolezza del modelloscelto. per fare un esempio, se di un sistema se ne vuole prevedere l’evoluzione neltempo che viene messa in atto da certe cause e dal suo stato in un dato istante,si deve richiedere che il problema matematico sia deterministico, soddisfi cioe certirequisiti come l’esistenza di una soluzione, dato che il sistema evolve veramente inqualche modo, l’unicita, dato che evolve in un solo modo, e, per l’attendibilita, ladipendenza continua dai dati. Con l’ultima affermazione, in altre parole, si impone chela distanza, o l’errore, tra la soluzione matematica e l’evoluzione reale del fenomeno siacontrollabile dagli errori, inevitabili, che si commettono nel misurare i dati. Dobbiamoinvece rinunciare ai modelli deterministici di fronte, ad esempio, ai numerosi fenomenicaotici, imprevedibili, o con un numero eccessivo di variabili.

6.1 Equazioni risolubili mediante integrazione inde-finita

Supponiamo di assegnare in ogni punto di un intervallo il coefficiente angolaredella retta tangente al grafico di una funzione. E possibile riconoscere la funzione conquesta informazione?

Data una funzione f : I → R, dobbiamo trovare u : I → R tale che

(6.1) u′ = f(x) ∀x ∈ I .

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102 Equazioni e sistemi differenziali

La (6.1) e un primo esempio di equazione differenziale.Dalla teoria dell’integrazione sappiamo che se f e continua sono soluzioni tutte e

sole le primitive di f , cioe gli elementi u ∈ C1(I) della famiglia a un parametro∫f(x)dx , x ∈ I ,

che abbiamo chiamato integrale indefinito di f . Disegnato il grafico di una di esse,tutte le alre soluzioni sono ottenibili da questa per semplice traslazione verticale. Sepero viene imposto anche il passaggio per un dato punto (x0, u0) ∈ I × R allora sitrova come unica soluzione la funzione

u(x) = u0 +∫ x

x0

f(t)dt x ∈ I .

Nel caso sia assegnata la derivata seconda l’equazione (6.1) va sostituita con

u′′ = f(x) , ∀x ∈ I ,da cui

u′(y) = c1 +∫ y

x0

f(t)dt∀y ∈ I

e quindi

u(x) = c2 +∫ x

x0

(c1 +

∫ y

x0

f(t)dt)dy = c1(x− x0) + c2 +

[y

∫ y

x0

f(t)dt]xx0

−∫ x

x0

tf(t)dt = c1(x− x0) + c2 +∫ x

x0

(x− t)f(t)dt

= u(x0) + u′(x0)(x− x0) +∫ x

x0

(x− t)f(t)dt .

Si metta in relazione questa rappresentazione della soluzione con la formula di Taylor,col resto in forma integrale, ottenuta nel Cap. 11 delle Lezioni di Analisi 1.

Nella Statica dei continui si incontrano, tra le tante, equazioni di equilibrio comead esempio• per il filo elastico o inestensibile di lunghezza l, soggetto ad uno stato di trazione

T (x) > 0 e ad un carico p(x) trasversale (verticale per intenderci)(T (x)u′)′ + p(x) = 0 x ∈]0, l[u(0) = u(l) = 0

dove u(x) e lo spostamento (supposto verticale) del punto x ∈]0, l[,• per la trave elastica di lunghezza l, di rigidezza EJ , soggetta ad un carico p

trasversale e con la sezione x = 0 incastrata(EJ(x)u′′)′′ = p(x) x ∈]0, l[u(0) = u′(0) = u′′(l) = u′′′(l) = 0 ,

che sono risolubili come sopra mediante semplici integrazioni. Ad esempio nel casodel filo, indicata con A(x) la funzione integrale di 1/a e con P (x) la funzione integraledi p, si ottiene

u(x) =A(x)A(l)

∫ l

0

P (y)a(y)

dy −∫ x

0

P (y)a(y)

dy .

In modo simile si ottiene l’espressione dela u nel caso della trave. Vediamo altri esem-pi tratti dalla Dinamica del punto.

Esempi:

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6.1 Equazioni risolubili mediante integrazione indefinita 103

6.1 Moto di un grave - Un punto materiale P di massa m e soggetto alla forzapeso F = mg, quali sono i moti possibili?

La legge fondamentale della dinamica

ma = F(OP,v, t) ,

dove a = x e l’accelerazione del punto, v = x la velocita e t ∈ R il tempo, assumenel nostro caso la forma di un’equazione differenziale vettoriale

mx = mg ,

essendo g l’accelerazione di gravita, che, rispetto ad un sistema di riferimento O; e1, e2, e3con e3 verticale ascendente, si traduce nel sistema

x1 = 0x2 = 0x3 = −g

che ha per soluzione la legge del moto (uniforme orizzontalmente e uniformementeaccelerato verticalmente)

x1(t) = a1t+ b1

x2(t) = a2t+ b2

x3(t) = −gt2/2 + a3t+ b3 , t ∈ R .

Le costanti arbitrarie ai e bi sorte nei processi di integrazione possono essere deter-minate univocamente imponendo opportune condizioni iniziali a seconda della par-ticolare situazione fisica, e determinano in modo unico la corrispondente legge delmoto. Ad esempio nel caso della caduta libera supponiamo che all’istante t = 0 ilpunto venga lasciato cadere dalla quota h con velocita nulla. Scegliendo allora l’assex3 passante per la posizione iniziale, si ottiene

x1(t) = 0x2(t) = 0x3(t) = −gt2/2 + h , t ∈ R .

Oppure, in balistica, si richiede che un proiettile venga lanciato con velocita inizialev0 che indicheremo con v. In questo caso conviene scegliere un sistema di riferimentocon origine O nella posizione iniziale, con e3 sempre verticale ascendente e con e2 inmodo che v sia combinazione lineare di e2 ed e3, per cui v = (v cosα)e2 + (v senα)e3

dove α. Si ottiene allora il moto pianox(t) = vt cosαy(t) = −gt2/2 + vt senα , t > 0 ,

dove abbiamo tralasciato la terza componente, identicamente nulla. Evidentementesi tratta di un moto parabolico come si vede eliminando t

(6.2) y(x) = x(

tangα− gx

2v2 cos2 α

).

Si possono richiedere la gittata, cioe la distanza tra la posizione iniziale e la posizionesuccessivamente assunta a quota 0, e l’inclinazione α cui corrisponde la massimagittata

γ(α) =v2 sen 2α

g, γmax = γ(π/4) = v2/g .

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104 Equazioni e sistemi differenziali

Il luogo dei vertici della parabola al variare di α, le cui ordinate sono le quote massimeraggiunte dal proiettile, e l’ellisse di equazioni parametriche

xmax(α) =v2 sen 2α

2g

ymax(α) =v2

4g(1− cos 2α)

avente il centro in (0, v2/4g) e semiassi v2/2g e v2/4g. In balistica e importante saperequali punti del piano possono essere raggiunti dal proiettile. La risposta ci viene dalla(6.2); scritta nella forma

ax2 tang2 α− 2x tangα+ ax2 + 2y , a = g/v2 ,

se e risolubile rispetto a tangα vuol dire che esiste una direzione della velocita di lancioper cui (x, y) viene raggiunto dal proiettile. La curva che separa i punti raggiungibilida tutti gli altri viene dunque dalla condizione

∆4

= x2(1− ax2 − 2ay) = 0 ,

e quindi dalla

y =12a

(1− ax2)

che si chiama parabola di sicurezza, e l’inviluppo delle varie traiettorie parabolichepossibili.

6.2 Rimbalzo - Avviene nel gioco del ping-pong o in quello del biliardo, si trattadi un moto in cui interviene una forza impulsiva che provoca una discontinuita dellavelocita.

Supponiamo che la forza agente sulla pallina, di massa m = 1, sia nulla per t < 0 e pert > 0. Nella prima fase il moto e dunque rettilineo e uniforme, x(t) = −t, mettiamocon velocita v = −1 stabilita in un istante precedente. Improvvisamente, per t = 0,la pallina inverte il suo moto che per t > 0 avviene con la legge x(t) = t, con velocitav = 1. Che cosa e successo per t = 0? Evidentemente e intervenuta una forza per ilII Principio della Dinamica, ma in che modo? Per capirlo vediamo questo problemacome limite di una successione di problemi, in cui la forza e data da

Fn(t) =

n se |t| < 1/n0 altrove .

Come unica soluzione dell’equazione v′ = Fn, che vale −1 per t < 0, risulta la funzione

vn(t) =

−1 se t < −1/nnt se |t| < 1/n1 se t > 1/n ,

ottenuta imponendo anche la condizione che sia continua (dato che la Fn e integrabile).Basta tracciare il grafico della vn e ci si rende subito conto che per n → ∞, mentrela Fn tende a diventare la forza impulsiva che vale ∞ in 0 e 0 altrove, la vn tendealla funzione con salto v che vale −1 prima e 1 dopo l’istante t = 0. La legge delmoto, soluzione del problema x = F , non e altro che x(t) = |t| se si impone anche lacondizione x(0) = 0.

Alla luce di questo esempio ci sembra del tutto naturale poter risolvere, in unopportuno senso generalizzato, problemi in cui il dato a II membro dell’equazionepresenta dei punti singolari. Situazioni del genere possono presentarsi anche quandoil dominio si sconnette in piu intervalli a causa dell’annullarsi del coefficiente deltermine con la derivata piu alta.

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6.2 Equazioni lineari del I ordine 105

6.3 Le equazioni2√|x|u′ = 1 e xu′ = 1

sono, inizialmente, ambientate per x ∈ R, ma il procedimento risolutivo richiededi dividere membro a membro per una funzione che si annulla in 0 e il dominio sisconnette.

Nei due casi le soluzioni sono rispettivamente

u(x) =

−√−x+ c1 se x < 0√x+ c2 se x > 0

e u(x) =

log(−x) + c1 se x < 0log x+ c2 se x > 0 ,

ma presentano un diverso comportamento. Ogni soluzione della prima equazione su]−∞, 0[ e raccordabile con continuita su ]0,+∞[, operazione che porta alla condizionec1 = c2, quindi possiamo affermare che la famiglia di funzioni

u(x) =√|x| signx+ c

e, al variare di c ∈ R, l’insieme di tutte le soluzioni dell’equazione data, ognunadefinita su tutto R, pur con derivata non limitata in 0 per la singolarita del dato. Lesoluzioni dell’altra non sono raccordabili in quanto non limitate, a sinistra o a destra,nell’intorno di 0, siamo di fronte a due problemi distinti, per x < 0 e x > 0.

6.2 Equazioni lineari del I ordine

Consideriamo di nuovo il moto di un grave in caduta libera assumendo che, oltrealla forza peso, agisca anche una forza che si oppone al moto, la resistenza dell’aria,che supponiamo della forma R = −kv con k > 0. Il movimento, verticale come prima,sara soluzione del problema

my = −mg − kyy(0) = h

y(0) = 0 .

L’equazione e del II ordine, essendo questo l’ordine piu alto di derivazione dellafunzione incognita, ma puo essere ridotta al primo se scritta rispetto a v = y

(6.3) v + εv = −g , ε = k/m .

Risolto questo problema col dato iniziale v(0) = 0, con una semplice integrazione siottiene y(t). La velocita, dall’istante iniziale in poi, decresce e quindi diventa subitonegativa e man mano che si avvicina al valore v∞ = −g/ε, detta velocita limite, tendea diventare costante.

Molti altri fenomeni sono governati da equazioni simili alla (6.3). Se un corpoa temperatura ϑ0 viene introdotto in un ambiente a temperatura T , si osserva chequella del corpo comincia a variare. Un’ipotesi ragionevole e che il tasso di variazioneall’istante t della temperatura del corpo, ϑ(t), sia propozionale alla differenza traT − ϑ(t). Si perviene cosı all’equazione

ϑ = k(T − ϑ)

a cui va aggiunta la condizione iniziale ϑ(0) = ϑ0. Si vede chiaramente dall’equazioneche ϑ cresce in ogni istante in cui e minore di T e decresce altrimenti. Non varia sela temperatura iniziale e pari a T .

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106 Equazioni e sistemi differenziali

L’equazione che governa il passaggio della carica elettrica q(t) in un circuito conresistenza R e condensatore a capacita C, azionato da un generatore con voltaggioE (t) assegnato, e la seguente

Rq +q

C= E (t) .

In assenza di generatore di corrente, E = 0, q decresce finche il circuito non tende ascaricarsi per avvicinarsi alla situazione in cui non vi e passaggio di corrente.

Di una popolazione di esseri viventi, la cui numerosita nel tempo e espressa dallafunzione p(t), possiamo supporre che il tasso di crescita sia proporzionale alla stessaquantita p(t). Si perviene allora al modello di Verhulst

p = kp

dove k = n−m e la differenza tra il coefficiente di natalita e quello di mortalita. Sen = m la popolazione rimane numericamente costante, altrimenti cresce o decresce aseconda che prevalga la natalita sulla mortalita o viceversa. Rientra nel caso k < 0anche il fenomeno del decadimento radiattivo.

Tutti questi casi, e se ne potrebbero citare tanti altri, rientrano nel tipo di equa-zione

(6.4) u′ + a(t)u = f(t) , t ∈ I ,

a cui e naturale associare il dato iniziale u(t0) = u0. Per risolverla supponiamo chea e f siano continue e consideriamo una primitiva qualsiasi A(t) di a(t). Moltipli-cando l’equazione per la funzione eA(t), detta fattore integrante, si ottiene l’equazioneequivalente

(6.5)d

dt(eA(t)u) = eA(t)f(t) ,

da cui si ricava la famiglia di soluzioni in termini di integrali indefiniti

u(t) = e−A(t)

∫eA(t)f(t)dt .

Se dobbiamo imporre anche la condizione u(t0) = u0 e necessario fare una scelta dellaprimitiva A(t), cosa che equivale a fissare il valore di A in t0. Se si sceglie per A(t)proprio la funzione integrale

A(t) =∫ t

t0

a(τ)dτ

si ottiene la soluzione

u(t) = e−A(t)

[u0 +

∫ t

t0

eA(τ)f(τ)dτ].

Ci chiediamo se ne esistono altre. Supponiamo che v(t) sia un’altra soluzione dellastessa equazione con lo stesso dato iniziale. Allora

d

dt(eA(t)v(t)) = eA(t)(v′(t) + a(t)v(t)) = eA(t)f(t)

che e la stessa della (6.5), quindi con gli stessi passaggi di prima si ottiene v(t) =u(t) per ogni t ∈ I. L’importanza dell’unicita verra messa in evidenza nel prossimoparagrafo.

Esercizio 6.1 - Risolvere le equazioni degli esempi, tracciare i grafici delle solu-zioni con dati iniziali diversi e discuterne il senso fisico.

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6.3 Che cosa sono le equazioni differenziali 107

6.3 Che cosa sono le equazioni differenziali

Definizione 6.1 - Un’equazione differenziale di ordine n e una relazione deltipo

(6.6) F (x, u, u′, u′′, . . . , u(n)) = 0

tra una funzione u e le sue derivate fino all’ordine n, con F : D → R dove D e unaperto in Rn+2. Si chiama soluzione dell’equazione (6.6) ogni funzione u : I → Rderivabile fino all’ordine n tale che

F (x, u(x), u′(x), u′′(x), . . . , u(n)(x)) = 0 , ∀x ∈ I .

Diciamo che l’equazione e scritta in forma normale se e possibile esplicitare laderivata di ordine piu alto in funzione degli altri termini

(6.7) u(n) = f(x, u, u′, u′′, . . . , u(n−1))

con f : D → R dove D e un aperto in Rn+1. L’equazione viene detta autonoma seF , o f a seconda di come e scritta, non dipende esplicitamente dalla variabile x.

Noi ci occuperemo solo delle equazioni scritte in forma normale.

Definizione 6.2 - Un sistema di equazioni differenziali, o un equazionedifferenziale vettoriale, del I ordine in forma normale e una relazione del tipo

(6.8) u′ = f(x, u)

dove f(x, u) = (f1(x, u1, . . . , un), f2(x, u1, . . . , un), . . . , fn(x, u1, . . . , un)) e un campovettoriale definito su un aperto D ⊂ Rn+1 a valori in Rn.

Ogni equazione del tipo (6.7) si puo trasformare in un sistema equivalente del I ordine,basta porre u = u1, u′ = u2, ..., u(n−1) = un e si ottiene

u′1 = u2

u′2 = u3

...u′n−1 = un

u′n = f(x, u1, u2, . . . , un) .

Ovviamente esistono anche sistemi di ordine piu alto, ma questi si possono semprericondurre al I ordine con simili artifici, quindi e sufficiente trattare la teoria per isistemi del I ordine.

Abbiamo visto nei primi esempi che ad un’equazione differenziale si possono as-sociare in modo naturale delle condizioni iniziali, o ai limiti, in grado di individuareuna particolare soluzione, quella che ci interessa in una determinata situazione. Eben noto nella Meccanica Classica il principio di determinismo:

note in un certo istante t0 la configurazione x0 e lo stato cinetico v0 di un sistemameccanico, soggetto ad una sollecitazione F(t,x0,v0), l’evoluzione del sistema x(t)rimane univocamente determinata per ogni t > t0.

In questo principio si afferma che il problema ai dati iniziali

(6.9)

mx = F(t,x, x)x(t0) = x0

x(t0) = v0

ammette una ed una sola soluzione x(t).

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108 Equazioni e sistemi differenziali

Problema 6.3 (di Cauchy per un’equazione differenziale di ordine n) - Da-ti una funzione f : D → R, con D aperto in Rn+1, e n numeri reali u0, u1, . . . , un−1,trovare u : I → R derivabile fino all’ordine n tale che

(6.10)

u(n) = f(x, u, u′, u′′, . . . , u(n−1))u(x0) = u0

u′(x0) = u1

u′′(x0) = u2

...u(n−1)(x0) = un−1 .

Problema 6.4 (di Cauchy per un sistema differenziale del I ordine) - Da-ti una funzione f : D → Rn, con D aperto in Rn+1, e un vettore u0 ∈ Rn, trovareu : I → Rn derivabile tale che

(6.11)

u′ = f(x, u)u(x0) = u0 .

Proposizione 6.5 - Il Problema 6.4 e equivalente al seguente

Problema 6.6 - Trovare u ∈ C0(I) tale che

u(x) = u0 +∫ x

x0

f(t, u(t))dt .

Dato che il problema (6.10) rientra come caso particolare nel problema (6.11), neltrattare l’esistenza e l’unicita ci occupiamo solo di quest’ultimo.

Sull’esistenza di soluzioni vale il seguente risultato, di cui non diamo la dimostra-zione.

Teorema 6.7 (Peano) - Se f ∈ C0(D) il problema di Cauchy (6.11) ammettealmeno una soluzione.

Comunque non ci preoccupiamo adesso dell’esistenza, almeno finche riusciamo a ri-solvere le equazioni in modo esplicito, a questo livello e importante piuttosto tenerpresente l’unicita. Cerchiamo di illustrare la questione con un esempio di equazionenon lineare, risolubile col metodo della separazione delle variabili, da cui si vede comel’unicita possa avere un ruolo sul comportamento qualitativo delle soluzioni. Vedremopoi, con lo stesso metodo, altri esempi di non unicita.

Esempi

6.4 Per descrivere l’evoluzione nel tempo della consistenza numerica di una popo-lazione x(t), il modello di Verhulst non e molto appropriato perche non tiene contodi fattori che limitano la crescita. Possiamo ad esempio supporre che il tasso di va-riazione x′ sia proporzionale, non solo ad x, ma anche ad un termine a − x, dove arappresenta la quantita di risorse nel territorio che la popolazione ha a disposizione.Ne deriva l’equazione logistica

x′ = kx(a− x) k, a > 0, .

Osserviamo innanzitutto che le funzioni x(t) ≡ 0 e x(t) ≡ a sono le uniche due solu-zioni costanti, sono quelle che hanno origine dai dati x0 = 0 (dal nulla non si generanessuma popolazione) e x0 = a (risorse non sufficienti per crescere, ma sufficienti pernon decresere), corrispondono ad una situazione di equilibrio. Se un’altra soluzione,

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6.3 Che cosa sono le equazioni differenziali 109

con 0 < x0 < a o con x0 > a, assumesse in qualche istante t il valore 0 o a verrebbecontraddetta l’unicita a partire dall’istante t preso come iniziale. Pertanto

0 < x0 < a⇒ 0 < x(t) < a ∀t > 0 e x0 > a⇒ x(t) > a ∀t > 0 .

Nei due casi si ha rispettivamente

x′(t) = kx(t)(a− x(t)) > 0⇒ x(t) crescente

x′(t) = kx(t)(a− x(t)) < 0⇒ x(t) decrescente ,

quindi x(t) ammette limite finito per t → +∞. Ne segue che x′(t) → 0 e quindix(t)→ a.

Ma come possiamo essere certi che tali soluzioni siano effettivamente definite sututto [0,+∞[? Anche l’intervallo di definizione e un’incognita del problema. Se x(t)fosse definita su un certo intervallo limitato [0, t1[ l’esistenza del limite finito di x(t)per t→ t1, dovuta alla monotonia, implicherebbe comunque la possibilita di risolvereil nuovo problema di Cauchy con dato iniziale x(t1) e la soluzione si estenderebbeoltre, anche per t > t1, quindi non puo che essere definita su tutto [0,+∞[. Anzisu tutto R, anche nel passato, per t < 0, per quanto riguarda le soluzioni limitate,quelle che evolvono rimanendo confinate tra 0 ed a. Quelle che invece assumono valorisuperiori ad a, che tendono ad a decrescendo, non sono superiorimente limitate comevediamo tra poco.

Passiamo alla risoluzione effettiva del problema, le soluzioni che troviamo ci con-fermeranno tutte queste previsioni. Poiche cerchiamo soluzioni che non assumono maiil valore 0 ne a, possiamo dividere l’equazione membro a membro per x(t)(a − x(t))e integrare ottenendo∫ t

0

x′(τ)x(τ)(a− x(τ))

dτ =∫ x(t)

x0

dx

x(a− x)= kt .

Per 0 < x0 < a si ha∫ x(t)

x0

dx

x(a− x)=

1a

∫ x(t)

x0

(1x

+1

a− x

)dx =

1a

logx(t)

a− x(t)=

1a

logx0

a− x0+ kt ,

da cuix(t) =

ax0

x0 + (a− x0)e−akt, t ∈ R ,

che e positiva, crescente e tende ad a per t→ +∞.Per x0 > a si ha∫ x(t)

x0

dx

x(a− x)=

1a

∫ x(t)

x0

(1x− 1x− a

)dx =

1a

logx(t)

x(t)− a =1a

logx0

x0 − a+ kt ,

da cuix(t) =

ax0

x0 − (x0 − a)e−akt, t ∈ R ,

che e maggiore di a, decrescente e tende ad a per t → +∞. Queste soluzioni, adifferenza delle precedenti, non sono limitate superiormente, ma presentano asintotoverticale in corrispondenza dell’istante (negativo, nel passato) t = (log(1−a/x0))/ak.Questo comportamento e dovuto all’andamento superlineare del dato f(x) = kx(a−x)a II membro dell’equazione. Si provi a integrare l’equazione u′ = u2.

6.5 In presenza di resistenza idraulica del mezzo, con una forza del tipo −k|v|2 vers v,l’equazione del modo per la caduta del grave con velocita iniziale nulla e

v = −g + hv2

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110 Equazioni e sistemi differenziali

ed ha come unica soluzione, limitata su tutto R,

v(t) = −√g

h

1− e2√ght

1 + e2√ght

che dal valore iniziale v(0) = 0 decresce e tende alla velocita limite −√g/h. Ma se

v(0) = v0 > 0 va scritta nella forma

v = −g − hv2

ed e soddisfatta dalla funzione non limitata superiormente

v(t) =√g

htang

(arctg

√h

gv0 −

√ght

)

che ha come asintoto verticale

t =1gh

2+ arctg

√h

gv0

).

6.4 Equazioni e sistemi lineari

Un’equazione lineare di ordine n

(6.12) an(x)u(n) + an−1(x)u(n−1) + . . .+ a1(x)u′ + a0(x)u+ f(x) = 0

(6.13) u(n) + an−1(x)u(n−1) + . . .+ a1(x)u′ + a0(x)u = f(x)

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Capitolo 7

Forme differenziali lineari

7.1 Questioni inroduttive e definizioni

Supponiamo che un aperto Ω ⊂ Rn sia sede di una campo vettoriale F : Ω→Rn di componenti Fi(x). Il significato dell’espressione

(7.1) F (x) · dx =n∑i=1

Fi(x)dxi

e evidente: senza nessuna pretesa di rigore, si tratta del lavoro che il campo F compiein corrispondenza di uno spostamento infinitesimo dx, noto in Fisica come lavoroelementare. In effetti anche storicamente il concetto di forma differenziale e natoproprio in questo modo, ma ha trovato piu di recente una sistemazione rigorosa,accettabile dal punto di vista matematico, che non si basa su ”cose piccole” che nonhanno senso. Data la presenza dei dxi, e naturale aspettarsi che un’espressione comela (7.1) sia destinata ad essere integrata lungo tutto il cammino orientato γ sul qualeavviene lo spostamento, in modo da ottenere il lavoro complessivo

(7.2) Lγ(F ) =∫γ

F (x) · dx

sotto opportune ipotesi sulla regolarita di F e di γ.Come esempi di forme differenziali ne abbiamo gia considerato un paio di notevole

interesse in R2:• la variazione d’area dA = xdy−ydx

2 e l’area delimitata da un cammino chiuso

A =12

∫γ

xdy − ydx ,

• la variazione d’angolo dϑ = xdy−ydxx2+y2 e l’indice di un cammino chiuso rispetto a O

(7.3) Iγ(O) =1

∫γ

xdy − ydxx2 + y2

.

Diamo la seguente definizione, a prima vista un po’ astratta, ma seguita poi daspiegazioni e chiarimenti.

Definizione 7.1 - Una forma differenziale lineare su Ω ⊂ Rn e una funzioneche associa ad ogni punto x ∈ Ω una forma lineare ω(x) : Rn → R.

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112 Forme differenziali lineari

Per un noto teorema di rappresentazione delle forme lineari, ricordiamo che, fissatox ∈ Ω, ad ogni applicazione lineare ω(x) : Rn → R corrisponde un unico vettorea(x) ∈ Rn tale che

ω(x)(v) = a(x) · v =n∑i=1

ai(x)vi ∀v ∈ Rn .

Le n proiezioni canoniche πi : Rn → R definite da πi(v) = vi coincidono con il lorodifferenziale in quanto lineari, pertanto si puo scrivere

ω(x)(v) =n∑i=1

ai(x)vi =n∑i=1

ai(x)πi(v) =n∑i=1

ai(x)dπi(v) ∀v ∈ Rn

che significa

(7.4) ω(x) =n∑i=1

ai(x)dπi .

Ora, confondendo con un certo abuso, dπi con dπi(x) = dxi, si puo giustificare cosıl’uso della notazione

ω(x) =n∑i=1

ai(x)dxi

in luogo della (7.4) recuperando la tradizione.

Definizione 7.2 - Diciamo che la forma differenziale ω e di classe C0, C1, Ck,C∞ se, rispettivamente, tali sono i coefficienti ai su Ω.

Se γ e un cammino orientato regolare a tratti in Ω possiamo supporre che ammettaderivata γ′(t) sull’intervallo I, eccetto al piu per un numero finito di valori di t.

Definizione 7.3 - Data una forma differenziale ω continua sull’aperto Ω, concoefficienti ai, e un cammino orientato γ regolare a tratti in Ω, poniamo∫

γ

ω =∫I

n∑i=1

ai(γ(t))γ′i(t)dt .

Esercizio 7.1 - Verificare che se si inverte il verso di percorrenza di un camminoorientato γ(t), con t ∈ [a, b], considerando ad esempio il cammino −γ definito da−γ(t) = γ(a+ b− t), l’integrale di una forma ω cambia segno, cioe∫

−γω = −

∫γ

ω .

7.2 Forme esatte

Si definisce in Fisica un campo vettoriale conservativo quando esso risulta ilgradiente di una funzione scalare che prende il nome di potenziale. Tradotta questanozione nel nostro linguaggio diamo la seguente definizione.

Definizione 7.4 - Una forma differenziale continua ω sul dominio aperto Ω ⊂ Rn

si dice esatta se esiste una funzione f ∈ C1(Ω), detta primitiva di ω, tale che

(7.5) ω(x) = df(x) ∀x ∈ Ω .

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7.2 Forme esatte 113

Ricordando la definizione di differenziale, la (7.5) equivale a

ω(x)(v) = ∇f(x) · v ∀x ∈ Ω e ∀v ∈ Rn

che in altre parole significa

ai(x) =∂f(x)∂xi

∀x ∈ Ω ,

essendo gli ai i coefficienti di ω.Esempi:

7.1 - La forma differenziale in R3

ω(x, y, z) = yzdx+ xzdy + xydz

e esatta e ammette come primitiva la funzione f(x, y, z) = xyz. Oltre a questa,evidentemente sono primitive anche le funzioni xyz + c con c costante.

7.2 - La forma differenziale in R2

ω(x, y) = xdy − ydx

non e esatta. Se esistesse una funzione f : R2 → R tale che fx(x, y) = −yfy(x, y) = x ,

integrando la prima rispetto a x si otterrebbe

f(x, y) = −xy + α(y)

che sostituita nella seconda porta all’assurdo

−x+ α′(y) = x ∀(x, y) ∈ R2 .

Proposizione 7.5 - Se f ∈ C1(Ω) e una primitiva della forma continua ω alloraanche f(x) + c e una primitiva per qualunque c ∈ R. Inoltre, se Ω e connesso e f, gsono due primitive di ω allora g(x) = f(x) + c per qualche c ∈ R.

Dimostrazione. La prima affermazione e ovviamente vera in quanto

dg = d(f + c) = df = ω

essendo nullo il differenziale di c. La seconda affermazione deriva dal fatto che se unafunzione ha gradiente nullo su un connesso allora e costante, per cui

d(f − g) = df − dg = ω − ω = 0⇒ f − g = c .

2Diamo adesso una caratterizzazione delle forme esatte e delle loro primitive attra-

verso certe proprieta di invarianza dei loro integrali. Nella costruzione delle primitivee evidente l’analogia col teorema fondamentale del calcolo integrale per le funzioni diuna variabile.

Teorema 7.6 - Se ω e una forma differenziale continua in Ω le seguenti condi-zioni sono equivalenti:

(a) ω e esatta;

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114 Forme differenziali lineari

(b) se γ1 e γ2 sono due cammini orientati in Ω con gli stessi estremi allora∫γ1

ω =∫γ2

ω ;

(c) se γ e un cammino chiuso in Ω allora∫γ

ω = 0 .

Se in piu ω e di classe C1 ognuna delle precedenti implica

(7.6)∂ai(x)∂xj

=∂aj(x)∂xi

∀x ∈ Ω e ∀i, j = 1 . . . , n .

Dimostrazione. Per l’equivalenza tra (b) e (c) basta osservare che se γ1 e γ2

hanno gli stessi estremi γ1 ∪−γ2 e un cammino chiuso e, viceversa, che se γ e chiusolo possiamo dividere in due cammini, γ1 da un punto x a un punto y e γ2 da y a x, epoi confrontiamo l’integrale su γ1 con l’integrale su −γ2.

Dimostriamo adesso che (a)⇒(b). Se f e una primitiva di ω, lungo un camminoγ(t), con γ(0) = x e γ(1) = y, si ha∫

γ

ω =∫ 1

0

∇f(γ(t)) · γ′(t)dt =∫ 1

0

df(γ(t))dt

dt = f(γ(1))− f(γ(0)) = f(y)− f(x)

e, come si vede, l’integrale non dipende da γ, bensı dai suoi soli estremi.Dimostriamo l’implicazione contraria costruendo direttamente una primitiva di ω.

Per l’invarianza dell’integrale rispetto ai cammini con gli stessi estremi, fissato unpunto x0 ∈ Ω e ben definita la funzione

f(x) =∫ x

x0

ω

come funzione del punto x ∈ Ω, non dipendendo dalla scelta del cammino di estremix0 e x. Calcoliamo il rapporto incrementale di f nella direzione ei scegliendo comecammino il segmento x+ thei con 0 ≤ t ≤ 1

f(x+ hei)− f(x)h

=1h

∫ 1

0

n∑k=1

ak(x+ thei)hδikdt =∫ 1

0

ai(x+ thei)dt = ai(x+ thei)

per il teorema della media integrale. Poiche ai e continua, l’ultimo termine ammettelimite per h→ 0, quindi anche il I membro ha limite che e la derivata parziale i-esima

∂f(x)∂xi

= ai(x) .

Questa relazione dice anche che le derivate parziali di f coincidono con delle funzionicontinue, dunque f e di classe C1, differenziabile e df = ω in Ω.

Per concludere passiamo all’ultima affermazione dell’enunciato. Se ω = df econtinua allora f ∈ C2(Ω) e dal Lemma di Schwartz segue che

∂ai∂xj

=∂

∂xj

(∂f

∂xi

)=

∂xi

(∂f

∂xj

)=∂aj∂xi

.

2

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7.3 Formule di Gauss-Green 115

Per capire il significato della (7.6) come condizione solo necessaria, consideriamonuovamente l’esempio della variazione d’angolo

dϑ =xdy − ydxx2 + y2

sul dominio R− (0, 0). E evidente che

∂y

( −yx2 + y2

)=

∂x

(x

x2 + y2

),

ma sulla circonferenza unitaria di centro O e su ogni curva semplice e chiusa che lasciaO all’interno si ha ∫

γ

dϑ = 2π 6= 0 .

Perche dunque l’abbiamo indicata col simbolo dϑ che sembra indicare si tratti propriodi un differenziale? Perche in effetti l’argomento ϑ(x, y) e realmente primitiva dellanostra forma, ma non e una funzione nel senso usuale del termine, si tratta di unafunzione multivoca, cioe a piu valori, che associa ad ogni punto P = (x, y) 6= O =(0, 0) tutti gli angoli, differenti uno dall’altro per un multiplo intero di 2π, che lasemiretta OP forma con una semiretta fissa, ad esempio col semiasse positivo delleascisse. Osserviamo fin da ora che, eliminando dal dominio una semiretta uscente daO, possiamo restringere i valori dell’argomento facendone una funzione vera e propria,continua e differenziabile sul nuovo dominio piu ristretto. Ad esempio si puo scegliereper ϑ(x, y) la funzione −π < Arg(x, y) < π, l’argomento principale, sul dominioR2−(x, y) ∈ R2 | x ≤ 0 , y = 0, dove allora la nostra forma diventa esatta. Si notiche in questo modo sono state eliminate tutte le curve chiuse che girano attorno adO, proprio quelle che rendevano non nullo l’integrale.

7.3 Formule di Gauss-Green

In una variabile, quando si integra la derivata di una funzione f su un intervallosi ottiene l’incremento della f stessa agli estremi. Qualcosa di simile accade anchein piu variabili, vediamo in che modo limitandoci per il momento al caso piano. Atale scopo sia D ⊂ R2 un aperto limitato il cui bordo ∂D e un cammino orientato γregolare a tratti. Assumiamo nel seguito che ∂D sia positivamente orientato, cioe chevalga la condizione n1γ

′2 − n2γ

′1 > 0, essendo n il versore normale uscente da D. In

altre parole supponiamo che γ venga percorsa in modo da lasciare D alla sua sinistra.

Teorema 7.7 (di Gauss-Green) - Siano Ω ⊂ R2 un aperto, f ∈ C1(Ω) e D ⊂ Ωun aperto limitato con bordo regolare a tratti tale che D ⊂ Ω. Allora∫

D

∂f

∂xdxdy =

∫∂D

fdy e

∫D

∂f

∂ydxdy = −

∫∂D

fdx .

Dimostrazione. E sufficiente supporre che D sia un dominio normale, rispettoall’asse x per dimostrare la prima formula e rispetto all’asse y per la seconda. PostoD = (x, y) ∈ Ω | ϕ(x) ≤ y ≤ ψ(x) ∀x ∈ [a, b] con ϕ,ψ : [a, b] → R di classe C1 atratti tali che ϕ ≤ ψ, si ha∫

D

∂f

∂ydxdy =

∫ b

a

[f(x, ψ(x))− f(x, ϕ(x))]dx .

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116 Forme differenziali lineari

D’altra parte∫∂D

fdx =∫ b

a

f(t, ϕ(t))dt+∫ ψ(b)

ϕ(b)

f(b, t)db

dtdt+

∫ a

b

f(t, ψ(t))dt+∫ ϕ(a)

ψ(a)

f(a, t)da

dtdt

= −∫ b

a

[f(t, ψ(t))dt− f(t, ϕ(t))]dt ,

essendo nulli il secondo e il quarto integrale. Ragionando nello stesso modo si ottienel’altra formula.

Se D non e un dominio normale possiamo comunque decomporlo in una unionefinita di domini normali a due a due disgiunti e osservare che gli lungo ogni curvainterna a D che separa due domini adiacenti vengono calcolati un integrale e il suoopposto, quindi nella formula compare solo quello sul bordo di D.

2Le formule di Gauss-Green ci permettono di dare una giustificazione rigorosa al

metodo di calcolo dell’area che gia avevamo dedotto con considerazioni intuitive

mis(D) =12

∫D

(∂x

∂x+∂y

∂y

)dxdy =

12

∫∂D

xdy − ydx .

Esercizio 7.2 Verificare che∫∂D

xdy = −∫∂D

ydx = mis(D) .

Un’immediata, ma importante, conseguenza delle formule di Gauss-Green e la seguen-te

(7.7)∫D

(∂f1

∂y− ∂f2

∂x

)=∫∂D

f1dx+ f2dy

per un campo vettoriale f = (f1, f2) ∈ C1(Ω,R2). Dalla (7.7) segue che se il bordodi D ⊂ Ω e formato da un cammino chiuso γ esterno e da uno o piu cammini chiusiγ1, γ2, . . . , γk interni e inoltre

∂f1

∂y=∂f2

∂x

allora ∫γ

f1dx+ f2dy =k∑i=1

∫γi

f1dx+ f2dy .

Definizione 7.8 - Una forma differenziale

ω(x) =n∑i=1

ai(x)dxi

di classe C1 sull’aperto Ω ⊂ Rn viene detta chiusa se

∂ai∂xj

=∂aj∂xi

∀i, j = 1, . . . , n .

Per n = 3 ha senso trattare l’operatore differenziale rot = ∇× definito da

rotF = ∇× F =(∂F3

∂x2− ∂F2

∂x3,∂F1

∂x3− ∂F3

∂x1,∂F2

∂x1− ∂F1

∂x2

)

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7.3 Formule di Gauss-Green 117

che e il prodotto vettoriale formale dell’operatore gradiente col campo F e si chiamarotore. In questo caso una forma differenziale e chiusa se e solo se F ha rotore nullo,cioe irrotazionale. Come si vede dalle equazioni di Maxwell, un esempio di campoirrotazionale e il campo elettrico in condizioni stazionarie. Il campo delle velocita diun fluido in assenza di moti vorticosi e un altro esempio di campo irrotazionale.

Una versione tridimensionale della (7.7) e enunciata nel seguente teorema di cuiomettiamo la dimostrazione.

Teorema 7.9 (di Stokes) - Siano Ω ⊂ R3 un aperto, F ∈ C1(Ω,R3) e Γ ⊂ Ω unasuperficie orientata con versore normale n, regolare a tratti e con bordo ∂Γ unione dicammini regolari a tratti e positivamente orientati (rispetto a Γ). Allora si ha

(7.8)∫

Γ

rotF · ndS =∫∂Γ

F · dx .

In altre parole il flusso del rotore di un campo vettoriale attraverso una superficie epari al lavoro del campo lungo il bordo. Se in particolare la superficie e chiusa, cioesenza bordo, o ∂Γ = ∅, il flusso di un rotore e sempre nullo.

Conseguenza immediata delle (7.7) e (7.8), ma comunque vera in ogni dimensione,e il seguente teorema, nel quale si mostra che se il dominio di una forma differenzialee semplicemente connesso, che in dimensione 2 significa privo di fori, la condizione ne-cessaria (7.6) del Teorema 7.6 diventa sufficiente. Premettiamo la seguente definizione.

Definizione 7.10 - Un aperto Ω ⊂ R3 viene detto semplicemente connessose ogni cammino chiuso e il bordo di una superficie interamente contenuta in Ω.

Si puo interpetare questa proprieta dicendo che ogni cammino chiuso puo esseredeformato con continuita fino a diventare un punto di Ω.

Teorema 7.11 - Se Ω ⊂ R3 e semplicemente connesso ogni forma differenzialeω chiusa e esatta.

Dimostrazione. Basta osservare che nella (7.7) e (7.8), a seconda della dimensione,se γ1 e γ2 sono due cammini chiusi qualunque si ha∫

γ1

ω =∫γ2

ω .

Prendiamo allora un cammino chiuso γ in Ω e un cammino costante, cioe un puntoP ∈ Ω. Dalla relazione precedente si ottiene∫

γ

ω =∫P

ω = 0 ,

quindi per il Teorema 7.6 ω e esatta.2

Un’altra versione della (7.7) e la seguente

(7.9)∫D

(∂f1

∂x+∂f2

∂y

)=∫∂D

f2dx− f1dy .

Osserviamo che se t e n sono rispettivamente il versore tangente a ∂D e il versorenormale uscente da D, si ha

t =(dx

ds,dy

ds

)e n =

(dy

ds,−dx

ds

)

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118 Forme differenziali lineari

e la (7.9) assume la forma

(7.10)∫D

(∂f1

∂x+∂f2

∂y

)=∫∂D

(f1n1 + f2n2)ds .

Per un campo vettoriale F ∈ C1(Ω,Rn) definiamo l’operatore differenziale ÷ = ∇·

÷F = ∇ · F =n∑i=1

∂Fi∂xi

che prende il nome di divergenza di F . L’estensione della (7.10) al caso n-dimensionalee l’enunciato del seguente teorema che diamo senza dimostrazione.

Teorema 7.12 (della divergenza) - Per ogni aperto D ⊂ Ω tale che D ⊂ Ω e conbordo ∂D sostegno di una superficie (n− 1)-dimensionale regolare a tratti si ha∫

D

÷Fdx =∫∂D

F · ndS .

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Bibliografia

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