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2. Breve storia dello spettacolo A “storia dello spettacolo” si è aggiunto l’aggettivo “breve”: forse si poteva anche dire “parziale” o “mirata”! Questa storia ha oltre 2500 anni, ma solo nell’ultimo secolo si è arricchi- ta di forme e discipline diverse, quasi tutte sottoponibili a un processo di serializzazione (il cinema, la televisione, la musica riprodotta ecc.) rispetto alle originarie forme dal vivo, quindi irriproducibili (il teatro e la festa). La “parzialità” discende da una scelta precisa: non si ritiene che l’opera- tore professionale del turismo debba avere conoscenze di questa storia così approfondite come quelle di un classico operatore dello spettacolo; si è insistito pertanto, nell’approfondimento delle fasi storiche, su quelle che naturalmente, e per personale esperienza e convinzione di chi scrive, mani- festano possibilità d’uso più vivaci nelle strategie di marketing turistico- territoriale (indicando peraltro in bibliografia amplissime possibilità di ap- profondimento di questa materia). Per esempio: si ritiene che il fenomeno della Commedia dell’Arte pre- senti opportunità d’incontro con l’attività di animazione turistica e territoria- le assai più ricche rispetto al teatro psicologico dell’Ottocento!

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2. Breve storia dello spettacolo

A “storia dello spettacolo” si è aggiunto l’aggettivo “breve”: forse si potevaanche dire “parziale” o “mirata”!

Questa storia ha oltre 2500 anni, ma solo nell’ultimo secolo si è arricchi-ta di forme e discipline diverse, quasi tutte sottoponibili a un processo diserializzazione (il cinema, la televisione, la musica riprodotta ecc.) rispettoalle originarie forme dal vivo, quindi irriproducibili (il teatro e la festa).

La “parzialità” discende da una scelta precisa: non si ritiene che l’opera-tore professionale del turismo debba avere conoscenze di questa storia cosìapprofondite come quelle di un classico operatore dello spettacolo; si èinsistito pertanto, nell’approfondimento delle fasi storiche, su quelle chenaturalmente, e per personale esperienza e convinzione di chi scrive, mani-festano possibilità d’uso più vivaci nelle strategie di marketing turistico-territoriale (indicando peraltro in bibliografia amplissime possibilità di ap-profondimento di questa materia).

Per esempio: si ritiene che il fenomeno della Commedia dell’Arte pre-senti opportunità d’incontro con l’attività di animazione turistica e territoria-le assai più ricche rispetto al teatro psicologico dell’Ottocento!

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Sinché lo spettacolo è “atto di culto” o rito, ne esiste un solo genere e lasua storia corrisponde alla storia del teatro.Nei millenni esso elabora forme tra loro diversissime, fino a quelle con-

temporanee che adoperano strumenti meccanici per riprodurre e interpretare larealtà, come il cinema o la televisione. Rimane comunque sottesa all’attività dichi fa professionalmente teatro una forte aspirazione all’unità e dal suo ritornoalle origini esso trae costantemente vita ed energia.

Il teatro conosce, nel suo evolversi, si è detto, forme diverse: se ne accenne-rà al maggior numero possibile, ma per una più completa conoscenza dellastoria di questo fenomeno si invita a far riferimento a pubblicazioni già esistenti;tra queste si indicano A. Attisani, 1989 oppure L. Chancerel, 1967 (vedi biblio-grafia).

Alcune fasi della storia del teatro risultano particolarmente coerenti col tipodi sapere che è richiesto da una specializzazione universitaria come questa. Sesi indagherà sugli elementi comuni a queste varie fasi, si scoprirà che avrannoper noi particolare rilevanza quelle forme teatrali (e quindi quelle fasi dellastoria del teatro) che coniugheranno la natura popolare della disciplina, la suanatura festiva e la sua gratuità (o quantomeno il fatto che la produzione deglieventi fosse a carico della collettività, almeno quando essa socialmente si mani-festa) e infine il fatto che la scena fosse posta in un luogo di autoriconoscimen-to del gruppo sociale, quindi in un luogo pubblico e accessibile a tutti; nonultimo elemento, il suo legame con la condizione delle origini, ovvero la suanatura di culto. Su questi argomenti ci si soffermerà comunque di volta in volta,per ritornarvi allorché si affronteranno argomenti come la festa, il tempo e illuogo dello spettacolo, gli aspetti economici e giuridici eccetera.

Le fasi della storia del teatro che rispondono a queste caratteristiche e chepertanto ci interessano particolarmente riguardano l’esperienza ellenica, quelladell’Europa medioevale, il Rinascimento, quella principesca del ’500 e del ’600,la Commedia dell’Arte (che ci conduce sino alla metà del ’700) e infine il coa-cervo di esperienze e “recuperi” del ’900. Si cercherà di creare situazioni dicollegamento tra le diverse fasi, ma, si ripete, per una più organica indaginesugli sviluppi storici della disciplina, sarà opportuno documentarsi sui testimenzionati sopra (o su altri indicati in bibliografia).

Queste forme e fasi storiche sono da privilegiare perché, se si vorrannoutilizzare con finalità turistiche e territoriali le discipline dello spettacolo, saràad esse che converrà fare riferimento, sia in termini produttivi che linguistici: sesarà infatti possibile costruire o promuovere eventi spettacolari nell’ambito dell’in-coming, si scoprirà che necessariamente l’offerta territoriale si arricchirà, inmaniera fortemente caratterizzata, grazie a queste particolari forme di attivitàspettacolare. Più brevemente: molto difficilmente si potrà definire il rapportotra un territorio e la sua storia (quindi le sue peculiarità) prescindendo dalteatro. Alla fine del nostro percorso capiremo perché.

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La nascita del teatro nella civiltà grecaPrima di cominciare a parlare di quanto e quando accadde, conviene sgombra-re il campo da alcuni equivoci diffusi: il teatro greco è un fenomeno di talerilevanza e di conoscenza così diffusa talché tutti ne parlano liberamente dicen-do talora anche qualche imprecisione. L’immagine più diffusa, quasi infantile,che se ne offre è quella di descrivere Eschilo che compone le proprie tragedie,poi le mette in scena, recitandole lui stesso, in grandi teatri di pietra (comequelli che ci ha restituito l’archeologia in tutto il Mediterraneo), illuminati dagrandi torce e fuochi, calzando alti coturni, di fronte a un pubblico pensoso e“impegnato”, come quello che frequenta oggi i teatri, in qualsiasi stagione,purché non piovesse, ripetendo lo spettacolo ogni sera.

In realtà tra Eschilo e i grandi teatri di pietra (e anche tutto il resto, daicoturni alle repliche) passano almeno due secoli e mezzo! I grandi teatri nonsono altro che il segno della decadenza di questa disciplina in Grecia, il sintomodello spostamento dell’attenzione di un popolo e dei suoi governanti da quantoaccadeva sulla scena (il drama, il vero teatro) a dove la scena era posta (l’edi-ficio teatrale): è in qualche modo l’allarmante fenomeno che si manifesta, adesempio in Italia, da cinquanta anni a questa parte.

Dunque: tra l’VIII e il VII secolo prima di Cristo finisce di compiersi inGrecia quel lunghissimo processo di trasformazione del rito in spettacolo di cuisi è parlato in precedenza in termini generali. La teatralità perde progressiva-mente la sua matrice religiosa per secolarizzarsi e rendersi coerente con lasocietà politica e civile che la esprimeva. La Grecia, e in particolare Atene,realizza processi assolutamente originali da questo punto di vista: in essa nasceuna nuova forma di gestione del potere, della cosa pubblica, la democrazia,pur se diversa da come la concepiamo noi oggi; si trattava infatti di una demo-crazia aristocratica, fondata su una sorta di religio (ossia su di un legame cultu-rale della collettività), che presupponeva l’esistenza di una libera adesione adessa da parte dei cittadini (il consenso): non vigeva più soltanto e semplicemen-te “la legge del più forte”, com’era stato ovunque sino ad allora, ma iniziava amanifestarsi “la legge del più giusto”, come disse lo stesso Platone.

L’esistenza di un regime democratico presupponeva, si è detto, l’esistenzadel consenso politico da parte dei cittadini: il teatro, il cui presupposto storico emitico era proprio quello di una religio collettiva, diventa il massimo veicolo dicontrollo di questo consenso, un po’ come sono oggi l’editoria e la televisione.Esso diventa luogo di trasmissione del sapere (e quindi del potere), attraversol’esplicitazione di questa religio, ossia di una comune visione del mondo espressaed enfatizzata proprio dalle opere teatrali.

Non bisogna pensare però al teatro greco come a una disciplina espressivavenduta o assoggettata al potere tout court: i valori che esso celebrava (appuntoquesta religio) erano reali valori comuni della collettività e non principi surret-tiziamente introdotti dai potenti o da essi commissionati agli artisti perché liintroducessero nella società attraverso il grimaldello dell’arte.

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Di fatto il teatro, e il contesto festivo e logistico nel quale si realizzava,impegnava ingenti risorse economiche pubbliche e private, generava corpora-zioni professionali assai potenti, disegnava l’opportunità di nuove professioni(l’attore, il tecnico, l’artigiano, l’autore, il regista, il coreuta, il musicista eccete-ra), sino ad allora assenti non solo nelle società arcaiche ma anche nella stessasocietà greca.

Vediamo, comunque, come si realizzava in Grecia il teatro, individuando lacollocazione temporale delle sue forme all’apogeo della civiltà ellenica, cioènell’Atene di Pericle, nel V secolo a.C., dopo la cacciata degli invasori Persiani ela distruzione e ricostruzione della città.

Esso non era, come oggi, una disciplina espressiva completamente autono-ma: la sua effettuazione era connessa al tempo della festa. Ma quale festa? Molteerano nella Grecia di allora le feste dedicate a culti diversi, a dei, a eroi; adesempio le Olimpiadi, che si celebravano ogni quattro anni a Olimpia, le festePitiche celebrate a Delfo, quelle Istmiche a Corinto, quelle Nemee a Fliunte; maancora maggiore importanza ebbero, per la nascita del teatro, le feste orfiche(dedicate al culto di Orfeo, basato sul principio del progressivo raggiungimentodell’indipendenza dell’anima dal corpo) e quelle dionisiache (dedicate al cultodi Dioniso, dio dell’estasi, della fertilità e del vino, Bacco nella cultura latina).

In occasione di queste festività, che vedevano un concorso impressionanteed entusiasta di popolo in forma assolutamente interclassista, venivano allestiterappresentazioni che evocavano il dio celebrato: protagonisti di queste rappre-sentazioni erano il coro (guidato da un corifeo) e quella sorta di sacerdote-narratore di cui si è parlato anche in precedenza. L’argomento delle rappresen-tazioni era mitologico: vi si parlava delle gesta del dio, della sua nascita, dellasua morte, dei suoi amori, del suo valore in battaglia.

Queste feste vennero arricchite, pare per iniziativa del tiranno ateniese Pisi-strato, verso la fine del VI secolo (qualcuno dice che il primo si sia tenuto nel535 a.C.), dell’agone drammatico, una vera e propria gara teatrale, dotata dipremi anche ricchi, che vedeva impegnati dei poeti (gli autori dei testi rappre-sentati), che inizialmente, oltre alla stesura del testo, curavano la regia dellospettacolo e vi interpretavano anche dei personaggi. Nella festa la componenteteatrale assunse col tempo sempre maggiore rilevanza, tanto da marginalizzarequalunque altra componente.

La struttura della festa era più o meno questa: il pubblico si recava all’albanel luogo della rappresentazione (meglio, delle rappresentazioni) in manieraspontanea e indistinta, recando con sé cibo e bevande, visto che la prospettivaera quella di trascorrere lì l’intera giornata. Il luogo delle rappresentazioni erauna rozza arena, dotata di scena in legno e, nel migliore dei casi, di tribune peril pubblico, sempre in legno; spesso, specialmente in occasione delle festedionisiache ad Atene, in prossimità o all’interno di essa era collocato l’altare deldio evocato; il luogo era assai grande, se riusciva a contenere, come vieneriferito, fino a quindicimila persone.

I primi fatti del mattino erano la messa in scena delle tragedie, in numero di

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una al giorno (in totale erano tre e ognuna aveva una durata rigidamente defi-nita dall’organizzazione e uguale per tutti, tale da impegnare non più dell’interomattino); poi veniva lasciato spazio al cibo: durante il pasto, che veniva consu-mato comunitariamente, gli spettatori commentavano e discutevano di quantoavevano visto (ricordate ...spectare..., cioè guardare, vedere!); nel pomeriggio,quando l’attenzione del pubblico scemava, si rappresentavano le commedie egli altri tipi più leggeri di spettacolo. Al tramonto dell’ultimo giorno, dopo laproclamazione del vincitore dell’agone drammatico a opera di una giuria fattadi esperti e anche di pubblico normale, tutti rientravano nelle loro case.

Sarà bene tenere presente - in particolare ci serve per spiegare la nascita delteatro cosiddetto moderno in quell’epoca - che queste feste (ricordiamolo, assaicostose; più avanti si vedrà come venivano pagate) si tenevano solo nelle prin-cipali città, non a caso le più ricche: ciò non toglie che anche nei paesi, nellecampagne e nelle città minori esse venissero celebrate. Certamente, in questiluoghi, era più difficile procurarsi (cioè pagare) gli artisti in grado di mettere inscena le rappresentazioni teatrali. Per questo nacquero delle formazioni itine-ranti di piccoli professionisti del teatro che, senza particolari pretese, mettevanoin scena, in forme ridotte e per un pubblico più semplice, le gesta del diocelebrato, spesso attingendo dal loro ricchissimo repertorio di situazioni e bat-tute. Queste micro compagnie teatrali giravano su carretti che, in occasionedelle rappresentazioni, diventavano palcoscenici sopraelevati, così da consenti-re a tutti di vedere. Queste rappresentazioni si tenevano sulle aie o nelle piazzedei paesi, in luoghi cioè privi di tribune, talché il pubblico doveva assistervistando in piedi o seduto per terra.

L’animatore di una di queste compagnie fu Tespi, un poeta e attore chevisse appunto nel VI secolo a.C.: a lui viene attribuita una riforma del processospettacolare che rivoluziona realmente la materia (qualcuno parla del carro diTespi come del fenomeno che origina il teatro; questo è stato, ad esempio, neisecoli, il nome più utilizzato da compagnie teatrali di qualsiasi nazionalità).

Tespi, in quanto personaggio scenico, si stacca dal coro e parla con esso,interpretando il dio Dioniso (del cui culto egli era un adepto) nelle diversecircostanze rappresentate: nasce così il dialogo teatrale e con esso un nuovomodo di scrivere e fare teatro; gli autori non si preoccupano più soltanto dellacanzone, dell’ode, della poesia del coro ditirambico, ma immaginano un’azio-ne, uno sviluppo del pensiero e della storia espresso appunto dal dialogo. Nellosviluppo drammatico successivo (che vedrà la presenza di un numero sempremaggiore di personaggi) l’interprete principale sarà il protagonista, il suo avver-sario l’antagonista, il personaggio di supporto al protagonista sarà il deuterago-nista: si veda come il concetto di agone, cioè di gara, sia insito fortementenell’attività teatrale dei greci!

Qui vale la pena di aprire una breve parentesi che speriamo esplicativa, purservendoci di un paragone paradossale: bisogna pensare l’attività teatrale del-l’antichità greca come qualcosa dotato di una valenza assai simile a quella dellapartita di calcio contemporanea. Si vedano le similitudini: è in atto una gara non

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cruenta, che si conclude con la vittoria o la sconfitta, ma senza la morte fisica, diuno dei contendenti; la segue un pubblico enorme, che è unito da un fonda-mentale elemento comune: la competenza, ossia la conoscenza delle regole; lacollettività contemporanea si identifica nel suo campione (o nel suo gruppo dicampioni) tanto quanto quella ateniese si identificava nel coro che parlava conil dio. Si sottolinea questo, perché sia ben chiaro che in ogni società vive ilsenso e il bisogno della gara e dell’identificazione col protagonista o l’antagoni-sta: ciò è tipico oggi del teatro e anche dei mezzi di comunicazione più diffusi,come il cinema e la televisione ... ma torniamo ad Atene!

Gli specialisti discettano se questa rivoluzionaria trasformazione dell’azionescenica sia stata solo e soltanto opera di Tespi o se sia stata perfezionata dal suosuccessore Frinico, il massimo poeta drammatico della generazione successivaa Tespi. Sta di fatto che, chiunque sia stato il grande riformatore, Frinico vive acavallo tra il VI e il V secolo a.C. ed è parte della generazione precedente aquella di Eschilo, il primo grande autore drammatico dell’antica Grecia e unodei più grandi tragici della storia mondiale del teatro. Ciò che preme sottoline-are è il risultato di questa trasformazione: il rito, succedaneo dell’atto di cultooriginario, tende a perdere il suo senso puramente religioso per secolarizzarsi etrasformarsi in “spettacolo di argomento religioso”, in una rilettura laica del mitodell’origine degli dei (o del dio) e dell’uomo; la dimensione magica della teatra-lità delle origini perde progressivamente questa sua peculiarità: essa verrà tra-sformandosi, negli anni, in una narrazione nella quale gli dei somiglierannosempre di più agli uomini; con Euripide, addirittura, le vicende degli dei sicoloreranno di connotati psicologici assolutamente umani, tanto da far scompa-rire la distinzione narrativa tra umano e divino e riportare tutto, simbolicamen-te, sulla terra, facendo dell’uomo la vera divinità.

Prima di parlare di Eschilo, e di Sofocle, Euripide, Aristofane, nonché deglialtri grandi autori teatrali di quei secoli, vale forse la pena di soffermarsi breve-mente su quelle che erano le modalità organizzative delle feste e degli agoniteatrali, perché questo ci fa comprendere quali fossero i legami (fortissimi, inverità) tra la pratica del teatro e l’organizzazione socio-politica della polis, lacittà-stato degli ateniesi ma anche di tutti gli altri greci. Sull’argomento, comun-que, si tornerà in maniera più approfondita.

Responsabile organizzativo ed economico della festa e dell’agone teatrale èl’arconte, il capo annuale della polis: a lui devono rivolgersi i drammaturghi cheintendono partecipare alla gara. Essi vengono da lui selezionati in numero ditre; alle spese provvede lo stato in collaborazione con un cittadino particolar-mente facoltoso (uno per ogni drammaturgo selezionato): quello che oggi sidirebbe una specie di sponsor! La divisione delle spese avviene più o menocosì: lo stato mette a disposizione di ogni drammaturgo una cifra minima fissataper legge; il coro (in numero di componenti variabile – si passa dai 12/15componenti originari a oltre 50) con il suo istruttore, i musicanti, la scenografiasono invece a carico dello sponsor, che può investire la cifra che meglio crede;il drammaturgo, quantomeno inizialmente, svolge funzioni di autore, regista e

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interprete, oltre che, spesso, di compositore, realizzando in pratica un coordi-namento generale della produzione.

Questa parentesi non è aperta a caso: il concorso economico pubblico-privato che, a seconda delle diverse fasi, è prevalente ora in un senso oranell’altro, rimanda a una distinzione fondamentale; quanto più il teatro tende aessere veicolo della trasmissione dei valori della religio, quel patrimonio cultu-rale comune a tutti i cittadini, tanto più l’intervento dello stato sarà importante edecisivo; quanto più lo spettacolo si laicizzerà, divenendo via via sempre piùsimile a quello che noi oggi chiamiamo intrattenimento, tanto più l’interventodei privati sarà decisivo e importante.

Grosso modo la prima fase dell’esperienza teatrale dei greci (quella che noiindividuiamo nel periodo che va dal VI al IV secolo a.C.) è segnata da unaprevalenza dell’intervento pubblico, cioè dello stato; la fase successiva, quellache si incentra fondamentalmente sul periodo dell’ellenismo (III e II secoloa.C.), vede la prevalenza dell’intervento privato: questo fenomeno ha straordi-narie attinenze con l’attualità, che vede la tendenza a caricare su soggetti privatiil peso economico del teatro e delle attività culturali in generale. Ma anche suquesto si ritornerà!

Il V secolo a.C. è quello che si può definire il secolo d’oro della drammatur-gia e del teatro greco: è il secolo, appunto, della grande tragedia, di Eschilo, diSofocle e di Euripide.

Pronunciare questi tre nomi equivarrebbe oggi, in ambito letterario, a direDante, Shakespeare e Goethe: solo che i primi vedono la loro esperienza con-centrata all’interno di un secolo, mentre i secondi manifestano lo sviluppo dellaloro azione artistica in ben sei secoli; inoltre i secondi vengono da differentipaesi d’Europa, i primi tutti dalla stessa città! Questo dice che la grandezzadell’esperienza teatrale ateniese, che si è tentati talvolta di pensare sviluppatasul lungo periodo, risulta invece, storicamente, estremamente concentrata, perdi più con evidenti caratteri effimeri, come è poi connaturato alla teatralità.

Eschilo nacque a Eleusi, non si sa se il 525 o il 524 a.C.; fondamentale, nellasua esperienza di vita e anche nella formazione del suo sistema di pensiero,risulta la sua diretta partecipazione alle guerre persiane, ossia a quelle guerredalle quali la Grecia (o quantomeno le sue città) esce come paese libero, fortee dotato di un bagaglio culturale e di una visione dello stato destinati a determi-nare gli assetti della cultura dell’Occidente per interi millenni e comunque,certamente, sino a oggi. Egli combatté le due più celebri e decisive battaglie diquell’epopea: a Maratona, che vide la sconfitta dell’invasore Dario, e a Salami-na, la battaglia navale nella quale i Greci riscattarono la sconfitta delle Termopilie il devastante incendio di Atene, all’epoca costruita per la massima parte daedifici di legno.

Egli è il classico autore che provvede a tutti gli aspetti della produzioneteatrale: scrive il testo, lo recita, cura la regia, segue minuziosamente ancheaspetti che parrebbero marginali, ma che risultano invece enormi passi avantinel processo di riforma della pratica teatrale. Nelle sue opere, oltre al coro, a

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volte costituito da un numero imponente di coreuti (fino a 50), appaiono sem-pre almeno due attori, il che prevede una mobilità dell’azione drammatica allaquale, sino ad allora, non si era abituati; inoltre cura con particolarissima atten-zione la maschera, che risulterà un elemento di fondamentale importanza nelpercorso di modifica del teatro. Eschilo non recita le sue tragedie nei granditeatri di pietra che si è abituati a vedere diffusi in tutta l’area mediterranea:quelli arriveranno circa due secoli dopo; recita ad Atene, in quello che si disseil teatro di Dioniso, struttura in cui tutte le componenti architettoniche eranofatte in legno, ma che già comprendeva uno spazio riservato all’orchestra, col-locato tra la scena e gli spettatori; non recitava ancora sollevato sui coturni,quelle grandi calzature che in qualche modo somigliano ai trampoli contempo-ranei: anch’essi appariranno nella fase manieristica dell’ellenismo. Il suo lavorosulla maschera ha particolare rilevanza: essa era uno strumento di scena essen-zialmente destinato a distinguere i personaggi femminili da quelli maschili, vi-sto che in realtà solo gli uomini potevano dedicarsi all’attività teatrale e quindiinterpretavano anche i ruoli femminili. La maschera femminile era chiara men-tre quella maschile era scura; prima della sua introduzione gli attori (comeTespi) si dipingevano il volto di bianco o usavano rudimentali maschere disughero. Essa è certamente un portato della fase di culto e rituale del teatro,quando l’apparizione della divinità evocata avveniva a opera di un attore (odirettamente del sacerdote) con il volto coperto da una maschera immobile:ciò, anche nella fase della tragedia eschilea, non comportava problemi espres-sivi, in quanto la recitazione non tendeva a sottolineare gli aspetti psicologicidel comportamento di un personaggio ma solo la sua presenza epica in scena.Eschilo ne cura con grande attenzione la realizzazione, affidandosi ad artigianiche si specializzano nella sua costruzione, costituendo una sorta di industriaparallela a quella dell’attività di produzione teatrale. La maschera consentivainoltre a un attore di cambiare personaggio nel corso della recita: la sua realiz-zazione comportava quindi, da parte dell’artigiano su suggerimento dell’autore,la caratterizzazione del soggetto evocato o rappresentato in senso comico otragico, maschile o femminile, giovane o vecchio, ricco o povero, umile o po-tente.

Le principali tragedie di Eschilo che ci sono giunte, meno del 10% della suaproduzione complessiva, sono l’Orestea (una trilogia comprendente Agamen-none, Coefore ed Eumenidi), Supplici, Persiani, Sette contro Tebe e Prometeoincatenato. Le sue opere parlano spesso di eventi a lui coevi; in esse il rappor-to tra l’uomo e la divinità è ancora presente come rapporto fisico e determini-stico e non ancora come rapporto ideologico o culturale: ne è un esempiolampante l’intervento della divinità a modificare una decisione dell’Areopago(il tribunale ateniese) nelle Eumenidi. Di particolare rilevanza e originalitàrisultano i Persiani: in essa si narra la vicenda delle guerre di conquista dellaGrecia, come si sa fallite, dal punto di vista degli sconfitti; se questo puòapparire oggi assolutamente normale, si qualificava invece per l’epoca comegrande segno di originalità e di indipendenza dai valori della retorica naziona-

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le dopo la grande vittoria; ciò pare gli inimicasse, ancor prima della sua salitaal potere, la figura di Pericle.

Partecipò a molti agoni drammatici, sembra a partire dal 498 a.C., ma vinseil suo primo premio solo una quindicina di anni dopo. Il suo più grande succes-so fu l’Orestea, che rappresentò in occasione delle feste dionisiache del 458a.C.: gli dette fama mondiale (che ai tempi significava mediterranea) e lo fecechiamare in diverse corti e città a rappresentare le sue opere. In occasione di unsuo soggiorno in Sicilia, dove forse ebbe l’intenzione di trasferirsi per evitare laconcomitanza della sua attività con il dominio di Pericle, morì, pare a Gela, nel456 o 455 a.C.

Malgrado la straordinaria grandezza della sua opera, il suo successo pressoi contemporanei non fu pari a quello che in seguito la storia gli ha attribuito.Sofocle, ad esempio, lo sconfisse più volte in occasione degli agoni drammaticiai quali presero parte insieme; egli venne riconosciuto come autore sommo,forse il più grande, solo in epoca ellenistica, quando il suo repertorio vennerappresentato stabilmente non solo in Grecia ma in tutto il Mediterraneo. Seb-bene siano trascorsi duemilacinquecento anni, è uno degli autori più e megliorappresentati della scena contemporanea.

Sofocle nasce ad Atene da famiglia abbiente circa 30 anni dopo Eschilo (497a.C.): quando questi partecipa al suo primo agone drammatico, Sofocle non èancora nato, ma i due si scontreranno spesso sulla scena, dove quest’ultimoprevarrà, riportando per ben 18 volte il primo premio.

Egli visse l’epoca più felice, dal punto di vista sociale ed economico, dellademocrazia ateniese, quella di Pericle, di cui fu amico e fiduciario; strinse ami-cizia anche con i maggiori artisti e intellettuali dell’epoca, dallo scultore Fidiaallo storico Erodoto.

Anche di lui ci giunge una minima parte dell’imponente produzione dram-matica, solo sette tragedie su oltre novanta scritte. Sono: Aiace, Antigone, LeTrachinie, Edipo re, Filottete, Elettra ed Edipo a Colono.

Sofocle procede nella riforma del teatro in atto a partire da Tespi e daEschilo: riveste per la prima volta esclusivamente il ruolo di autore, astenendosidalla recitazione, quindi avvicinandosi alla funzione moderna del drammatur-go; utilizza più attori oltre al coro, immettendo il terzo e, non recitando lui,comincia a costituire un organico “artistico” cospicuo; privilegia il dialogo tra ipersonaggi principali, marginalizzando lentamente il coro; annette particolaris-sima rilevanza alla scenografia, limitata allora a quello che oggi chiamiamo ilfondale. Ma, con spericolato sperimentalismo, rompe definitivamente l’unità diluogo, ambientando le azioni, all’interno della stessa opera, in posti diversi:questi sono segnalati agli spettatori dal ruotare di due prismi triangolari specu-lari posti ai lati della scena, sulle facce dei quali sono rappresentati simbolica-mente i luoghi interessati dall’azione, ad esempio l’interno di un palazzo o diuna casa, la foresta, la spiaggia, la piazza della città, il porto, il mercato eccetera.

Utilizza la parte finale delle sue opere in modo sorprendente per il pubbli-co: la narrazione della vicenda che si snoda non suggerisce assolutamente come

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questa andrà a finire; inventa in pratica il colpo di scena finale, al termine di unprocesso narrativo che nel cinema e in letteratura si definisce la suspence; risul-ta chiaro che con lui il teatro si avvia alla conquista di una specificità spettaco-lare ed espressiva autonoma dalla narrazione del mito e dal contesto religioso epseudo-religioso nel quale era immerso sino a quel momento: questo prevedeun nuovo professionismo della scena e Sofocle ne è il primo, rinnovato e rivolu-zionario interprete; questo professionismo parte dalla funzione di autore, quin-di da quella della scrittura, per giungere alle più specifiche attività di messa inscena ed espressive.

La sua ultima opera è Edipo a Colono, che scrive all’età di novant’anni; èun’opera dolorosa e potremmo dire terminale, non solo della sua singola esi-stenza ma anche di un secolo (il V a.C.) in cui Atene e la Grecia si costituisconoa modello di funzionamento delle società coeve e a venire: un vero e propriotestamento spirituale e culturale contraddistinto dalla modernità del dolore ge-nerato dalla ricerca. È il problema del rapporto tra anima e corpo quello chevi emerge, il conflitto tra realtà materiale e aspirazione spirituale: Sofocle tentadi risolverlo in chiave di armonia tra le due componenti, ma in realtà questonon è un patrimonio della cultura occidentale, di cui l’Atene di allora è la culla,quanto piuttosto un traguardo raggiunto dalle filosofie e religioni d’Oriente. Ilproblema è però drammaticamente avvertito dall’autore, che comprende l’im-potenza dell’uomo (e quindi in qualche modo il parziale fallimento dell’espe-rienza ellenica) di fronte a questo bivio: non a caso il coro, nel corso dellarappresentazione, ripete più volte che l’uomo non dovrebbe nascere o dovreb-be morire subito dopo la giovinezza, così da non assistere alla corruzione delcorpo.

Sofocle manifesta infine un’intuizione assolutamente moderna, riguardantela necessità per l’artista di coltivare buoni rapporti con il potere politico: tra i tregrandi tragici è colui che, attraverso il rapporto con Pericle, lo fa meglio.

Euripide è cronologicamente l’ultimo dei tre: nasce presumibilmente nel485 a.C. ad Atene da un proprietario terriero. Con lui la tragedia consuma ildefinitivo distacco dal mondo del mito e degli dei: in sintesi il teatro si stacca informa definitiva dalla sua fase rituale per diventare a tutti gli effetti sofisticata eraffinata forma di spettacolo.

Il coro, questa sorta di voce dell’altra dimensione, degli dei e del tempo, delpassato e della memoria, vede ridotta ulteriormente la propria funzione a favoredell’intreccio dell’azione tra i singoli personaggi, che aumentano di numero,dando definitivo spazio alla creazione teatrale come arte autonoma: ed è pro-prio nell’apogeo della teatralità e della floridezza della civiltà ateniese che simanifestano i primi segni della corruzione di una idea di stato, di cultura, divita, di un sistema di rapporto col divino che aveva segnato in maniera assolu-tamente originale e immortale l’esperienza ellenica.

Euripide, più degli altri, è interprete di questa crisi: sulla scena allarga lafunzione dei valori scenografici e d’effetto, introduce la macchina teatrale,un marchingegno mosso dagli uomini (talora dal suo interno) tendente a

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rappresentare l’irrappresentabile, attingendo quindi a vertici assoluti in ter-mini di cattura dell’attenzione del pubblico, di fascinazione e di stupore;allarga ulteriormente e solidifica definitivamente la scelta dell’intreccio psi-cologico: i protagonisti della vicenda narrata ormai sono solo uomini, per dipiù attanagliati dalla sofferenza, dalla difficoltà di rispondere alle domande,dalla furia dell’impotenza.

Le sue opere più importanti giunteci, molto poche rispetto a quelle scritte,sono Medea, Le Troiane, Elettra e Le Baccanti. I suoi personaggi non sonouomini e donne consolati dalla presenza della fede, dalla certezza del mito:sono figure sole, insidiate dalla vita, che costituiscono una straordinaria antici-pazione, un vero e proprio annuncio della modernità in concomitanza con lacrisi definitiva del sistema ateniese.

Lo stato comincia a manifestare qualche disinteresse nei confronti dell’ago-ne drammatico e riduce il suo impegno economico; il suo posto viene preso daiprivati, che lo usano per finalità personali, per lo più di autopromozione politi-ca e come segno distintivo dal punto di vista sociale ed economico (oggi direm-mo come status symbol): l’esperienza della grande tragedia greca va a chiudersi,lasciandoci un uso teatrale completamente trasformato, una abitudine del po-polo a goderne sempre più in chiave di intrattenimento piuttosto che in chiavedi momento di autoriconoscimento sociale e culturale della collettività. Dallapiccola tribù delle origini, che si riuniva intorno al fuoco per pregare i propridei e narrare le proprie storie e memorie, si è giunti a una grande collettività cheutilizza il teatro come divertimento, non nel senso convenzionale e moderno di“comicità” (anche se vedremo di qui a poco quale importanza verrà a rivestirela commedia) ma nel senso etimologico di divertere, ossia indirizzare altri-menti il corso della propria giornata o addirittura della propria vita, spesso perdimenticare quanto non si ama ricordare: e questo è fatto ben noto al potere eagli uomini di ieri e di oggi!

Il grande secolo della tragedia, pertanto, si compie e lascia al mondo unateatralità strutturata che vivrà gloriosamente per millenni, togliendo quello stes-so mondo da una sorta di condizione delle origini che non tornerà più e che siripresenterà solo talvolta, qua e là, nella storia del teatro e dell’uomo: finisce iltempo dell’uomo-bambino, che vive a tu per tu con gli dei, e nasce quello di unuomo che progressivamente conquista una condizione di coscienza sociale eindividuale moderna, che vive immerso nella materialità, che ormai molto benee molto in fretta ha compreso le regole della storia.

Nel teatro greco dopo Euripide il solo grande autore sarà Aristofane e dopodi lui vivrà solo la commedia.

Aristofane nacque vicino ad Atene nel 445 a.C. e in città visse la fase crucia-le del crollo della democrazia periclea. Realizza per primo il genere comico inteatro. Partecipa sì alle feste dionisiache e ai relativi agoni drammatici e lavorapertanto nel grande teatro di Dioniso, quello che contiene fino a quindicimilapersone; ma lavora anche per allestimenti che si realizzano in un teatro piùpiccolo, il Leneo (vedi figura 2.1), che ne contiene solo duemila, un po’ come

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Figura 2.1 Ricostruzione in pianta del teatro Leneo di Atene (circa V secolo a.C.).Vi lavorò molto Aristofane nei periodi nei quali il teatro di Dionisonon veniva utilizzato. Nella parte in alto a destra è ricostruita un’altraarea teatrale sacralizzata, dedicata al culto di Dioniso, che veniva indicataconvenzionalmente come “teatro di Dioniso nella palude”.

Platea

Resti della scena

Resti della scena

Altare di Dioniso

“Teatro di Dionisonella palude”

Teatro Leneo

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un grande teatro contemporaneo, e che funziona però tutto l’anno, non solo inoccasione della grande festa dionisiaca della fine di marzo.

Egli è un conservatore aristocratico che assiste impotente al declino dellagrandezza della sua città: è animato da un robusto rimpianto dei tempi passatie protesta un convinto pacifismo (siamo alla vigilia della guerra fratricida delPeloponneso), che non risparmia critiche a nessuno, fosse pure a un potentedella città. Assiste con dolore alle guerre del Peloponneso e al drammaticoconflitto con Sparta, ma non rinuncia mai alla sua sfrenata goliardia e al suospirito carnevalesco.

Scrive una quarantina di commedie, di cui ce ne sono giunte meno di unadozzina; alcune sono veri gioielli di sarcasmo, peraltro dotati di virtù lirichedegne della più alta poesia letteraria: parla ai cittadini della contemporaneità e,come detto, non risparmia nessuno; divide la sua produzione nei grandi eventicomici da rappresentare al teatro di Dioniso alla fine di marzo e in una serie diallestimenti invernali da rappresentare nel piccolo teatro Leneo: ciò significache per tutto l’anno gli ateniesi possono assistere alla rappresentazione dellesue commedie.

Queste sono sì opere comiche, ma gli argomenti affrontati sono profondi eriguardano la pace, la condizione femminile, l’onestà politica, il rapporto trabene e male: alla base della comicità si trovano come sempre gli istinti bassi (ilbisogno di cibo e di sesso, per esempio) che risultano però emblematici dicondizioni e riflessioni più alte. Egli fu quello che i latini dissero che ...ridendocastigat mores...!

Le sue più importanti opere giunteci sono Gli uccelli, Le rane, I cavalieri, Lenuvole, Pluto, Le donne a Parlamento e Lisistrata.

I cavalieri, ad esempio, è una feroce satira contro il demagogo Cleone(personaggio storico realmente esistito), adombrato dietro la figura dell’intri-gante e astuto servo Paflagone: nella conquista dei favori di Popolo a lui sioppone il salsicciaio Agoracrito, che ne avrà ragione; ma il destino di Popolo(un personaggio vero e proprio, il signor Popolo!) non cambia perché il salsic-ciaio non è certo migliore di Paflagone. È un classico esempio di satira sullacontemporaneità politica, di fronte alla quale gli spettatori ridono senza peròmodificare il proprio atteggiamento passivo nei confronti della gestione dellacosa pubblica in Atene.

Le rane, invece, è un vero caso di polemica culturale, anzi addirittura tea-trale: Dioniso, dio del teatro, è un grande ammiratore di Euripide e decide diriportarlo sulla terra dopo morto; per questo si consulta con Eracle (per i latiniErcole), esperto di viaggi nell’aldilà, e decide di partire con il suo servo Xantiaalla ricerca del grande drammaturgo scomparso; alla fine lo trova nell’Ade,dopo aver attraversato il fiume infernale sulla barca di Caronte, accompagnatoda un coro di rane (da cui il titolo), ma con lui vi è anche Eschilo; Dioniso limette allora alla prova e pesa con una speciale bilancia i loro lavori, perconvincersi infine, malgrado l’ammirazione iniziale per Euripide, della supe-riorità artistica di Eschilo.

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Il mondo che circonda Aristofane è comunque un mondo in progressivodisfacimento: dopo di lui (morto nel 385 a.C.) esisterà solo la commedia, checonoscerà momenti diversi nella successiva epoca ellenistica: malgrado il teatroconosca con queste fasi (Aristofane è il padre della commedia antica, cui segui-rà la commedia di mezzo, di cui restano poche tracce, e poi la commedianuova, nel III e II secolo a.C., i cui massimi esponenti sono Filemone e Menan-dro) una notevole involuzione e una crisi quasi irreversibile, è proprio allorache nascono i grandi teatri di pietra che ancor oggi possiamo ammirare nellepiù grandi città mediterranee (vedi figure 2.2 e 2.3); è proprio allora che iprofessionisti del teatro attingono a piene mani dal repertorio dei grandi tragicie di Aristofane, forti del fatto che l’assenza dell’autore dona ad essi una libertàdi interpretazione di quei testi (ma più spesso una libertà di stravolgimento) maiavuta in precedenza.

Qui si annida il paradosso del teatro greco, ma forse quello di ogni grandefase teatrale della storia: proprio nel momento di massima crisi si cerca di resu-scitarne lo splendore attraverso la costruzione di grandiosi teatri, attraversoinvestimenti economici (per lo più però ormai privati) che mai si erano manife-stati nell’epoca d’oro.

Il professionismo teatrale dilaga: attori, tecnici e autori si riuniscono in po-tentissime corporazioni tese a garantire la continuità di privilegi sociali maturatidai loro predecessori in epoche culturalmente più felici; i ricchi e i principi

Figura 2.2 Il teatro di Epidauro, costruito in epoca ellenistica (III-I secolo a.C.circa). Si noti come venissero sfruttate le pendenze naturali per lacostruzione delle tribune.

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Figura 2.3 La ricostruzione “virtuale” del teatro di Efeso rende molto realisticamentel’idea di come era organizzata la scena.

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commissionano loro opere di intrattenimento per le proprie feste private: ilteatro non è più il momento di autocoscienza e di autoriconoscimento dellacollettività, ma solo una occasione di divertimento convenzionale, meglio sefacile e privo di interrogativi sull’esistenza e sulla società.

Anche la struttura di festa lentamente si ripiega su se stessa, rifugiandosi nelmanierismo della tradizione: ed è questa la situazione che trovano i conquista-tori romani al loro arrivo nella culla della nostra civiltà.

Se in sintesi si deve dire cosa fu il teatro per la Grecia antica, piuttosto checome fu, bisognerà ricordare proprio l’immagine del corpo sociale che all’albasi reca al teatro di Dioniso: il teatro greco fu un grandioso rito laico, sempre piùsvincolato dalla componente magica e religiosa, ma che seppe sostituire aivalori di fede, che i nuovi tempi andavano scalzando, nuovi valori sociali collet-tivi e caratterizzanti. Non fu, in altre parole, un teatro aristocratico che morìdella propria intelligenza, ma una grande e popolare esperienza politica e cul-turale, uno strumento fondamentale e moderno dello sviluppo di una idea comequella di democrazia. Lo stato era piccolo, addirittura cittadino; l’individuo nonera protetto da una grande entità pubblica di cui non conosceva, come accadespesso oggi, neppure la natura, da grandiosi eserciti che tenevano la guerralontano dalla porta di casa; lo stato perciò doveva essere consapevole di sestesso, attraverso la consapevolezza individuale di ogni cittadino e collettivadella comunità: questa fu la funzione svolta da quella teatralità, che si valse delsoffio dell’arte di sommi poeti, quanti mai più nessuna terra o civiltà produrrà inun periodo così breve.

Dalla Grecia classica all’Europa medioevale cristiana,attraverso Roma repubblicana e imperialeTanti sono i rapporti tra teatro greco e teatro romano quanti sono i rapporti tra ledue civiltà: che, è noto, furono intensissimi per la vicinanza e per la possibilità diutilizzo della più veloce e straordinaria via di comunicazione dell’epoca, il mare.

Abbiamo visto che il teatro greco, ma soprattutto la civiltà che lo esprime,muore della sua stessa grandezza, della complessità e dell’altezza in qualchemodo utopica del suo progetto politico: la polis libera e autonoma, fiera dellasua specificità anche di fronte a un’altra polis sorella collocata a pochi chilome-tri di distanza, genera un progresso continuo ma un parallelo conflitto logoran-te, anche se spesso solo piccolo e locale. Di questo logorio morì Atene e con leila grande civiltà dell’Attica.

Roma capisce la lezione: dieci secoli di storia testimoniano di una civiltàpragmatica, aristocratica, impegnata solo in grandi e redditizi conflitti, dominatadal valore del denaro e del successo, dove le distinzioni sociali sono forti, dovericchezza e povertà convivono ma spesso di malavoglia, in cui nasce il proble-ma di tener quiete delle ingenti plebi urbane strappate alle campagne: si pensiche la Roma imperiale ebbe oltre tre milioni di abitanti; era perciò più grande diqualsiasi città esistente oggi in Italia!

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