2 b lsa e 2 c lsa Anno scolastico 2016 2017 - sobrero.edu.it · Recitano i versi molto celebri di...

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1 IS SOBRERO 2 b lsa e 2 c lsa Anno scolastico 2016 2017 Storie casalesi Foto scattata a un calco delle vittime conservatasi dopo l’eruzione durante il viaggio di istruzione della 2 ALS a Napoli e Pompei.

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IS SOBRERO

2 b lsa e 2 c lsa

Anno scolastico 2016 – 2017

Storie casalesi

Foto scattata a un calco delle vittime conservatasi dopo l’eruzione durante il viaggio di istruzione della 2 ALS a Napoli e Pompei.

2

Mi chiedi di scriverti della morte di mio zio

(Plinio il Vecchio, uno tra i primi naturalisti della storia occidentale),

affinché tu possa tramandarla ai posteri più adeguatamente. […].

Era a Miseno e teneva direttamente il comando della flotta.

Il 24 agosto, verso l’una del pomeriggio, mia madre

lo informa che spuntava una nube fuori dall’ordinario

sia per grandezza che per aspetto […].

Quando riapparve la luce del sole (era il terzo giorno

da quello che aveva visto per ultimo) il suo cadavere fu trovato intatto,

illeso e rivestito degli stessi abiti che aveva indossati:

la maniera con cui il suo corpo si presentava faceva più pensare

ad uno che dormisse che ad un morto.

Plinio il Giovane, Liber VI, Epistula 16.

3

Sommario

SOMMARIO 3

UN PICCOLO AVANT PROPOS 6

AN ABSTRACT 8

I TEMPLARI NEL MONFERRATO 9

In generale 10

I Templari a Casale Monferrato 11

Mosaici templari nella cattedrale di Sant’ Evasio, Casale 14

I Marchesi e il Duomo 15

Esempio delle attività dei Templari a Casale: il culto di San Varo 17

Templari e Casale uniti contro Alessandria 18

Bibliografia templari 19

Sitografia 20

UBERTINO DA CASALE 21

Chi era Ubertino da Casale? 21

Sitografia e bibliografia: 25

I FRANCESCANI A CASALE MONFERRATO 26

Cenni storici sull’ordine 26

I Francescani a Casale e l’inizio della loro attività 27

Ubertino da Casale, uno Spirituale casalese 28

4

Padre Antonio da Morano, un esempio dell’Osservanza casalese 30

I problemi del XVI secolo: peste, fame, guerra e la distruzione del convento di S. M. degli Angeli 31

La chiesa e il convento di S. Antonio Abate 31

Bibliografia e sitografia 33

GLI ALERAMI 34

Alberi genealogici: 34

Aleramo 34

Oddone 36

Riprando 37

Ranieri I/ Guglielmo I 37

Guglielmo II detto “Il Rinforzato” 37

Guglielmo “Lungaspada” 37

Bonifacio I 38

Guglielmo “Il Vecchio” 38

Guglielmo VII 38

Giovanni I 40

Dagli Aleramici ai Paleologi 41

Bibliografia e sitografia 41

I PALEOLOGI 42

I Paleologi nel Monferrato 43

La Vita e le origini 43

Palazzo Paleologi di Lu 44

Castello di Casale Monferrato 45

5

Chiesa di San Domenico 46

Sitografia 48

Vita dei Paleologi 48

Castello di Casale 48

Palazzo Paleologi di Lu 48

Bibliografia 48

Vita dei Paleologi 48

Castello di Casale 49

Palazzo paleologo di Lu 49

SAN DOMENICO E I DOMENICANI A CASALE MONFERRATO 50

Introduzione 50

Interno e esterno della chiesa 50

La costruzione 51

Storia della chiesa 52

L’organo di San Domenico 53

Bibliografia e sitografia 54

6

Un piccolo avant propos

Questo lavoro nasce in seno ad un progetto proposto dalla biblioteca civica “Canna” di

Casale Monferrato, che prende il nome di “Per toponomastica di Casale”. Le scelte dei soggetti

storici, di cui i ragazzi si sono occupati, nasce da necessità di contenuti: si è preferito concentrarsi

su argomenti e personaggi medievali, come richiedono i contenuti ministeriali per le classi seconde

dei licei italiani. Ma qualcosa mancava.

Vedevamo sfilare le immagini di sofferenza nei telegiornali italiani, su notiziari internet o

sulla carta stampata, mentre ci occupavamo della microstoria casalese e alla fine abbiamo deciso di

riunire i saggi delle due classi partecipanti, le 2 B e C LSA, per farne una piccola pubblicazione dal

titolo Storie casalesi. E mentre lo compilavamo, con qualche difficoltà di gestione, con alcune

perplessità, ma con la speranza di creare una raccolta di saggi efficaci, ci sentivamo più sereni e più

leggeri d’animo.

Unendoci ad alcune altre classi della IS Sobrero, che già si occupavano del terremoto nel

contesto delle competenze di cittadinanza e costituzione, abbiamo piegato il progetto proposto dalla

biblioteca e la circolare ministeriale del 9 settembre 2016, che portava come titolo – vessillo

l’augurio di ogni docente, per altro come chi scrive: Ripartiamo dalla scuola. Per una volta il MIUR

ci è sembrato meno fumoso e burocratico, ma più concreto e dal volto umano: non più un castello

kafkiano irraggiungibile e cavilloso, ma un ente attento e sensibile al disastro del 24 agosto scorso.

Un docente di storia sa, come dimostra la citazione iniziale di Plinio il Giovane circa la

morte di Plinio il Vecchio, che l’eruzione del Vesuvio e il seguente terremoto sono avvenuti proprio

il 24 agosto del 79 d.C.: corsi e ricorsi della storia! Il 24 agosto è proprio la data della prima scossa

di terremoto ad Amatrice!

Questa raccolta di saggi, oltre che allenamento delle competenze storiche proposte dal

ministero, oltre che esercizio di stile e tentativo di far “amare” la ricerca storica, si propone come

fine quello di non dimenticare il dolore e la sofferenza, ma anche di sensibilizzare alla fortuna di

vivere in posti più “sismicamente pacifici”. Il vivere a pochi chilometri e in sicurezza dal sisma, non

deve, quindi, condurre a un menefreghismo nei confronti di coloro che così fortunati non sono.

Ricordo quei magnifici versi de La ginestra di Leopardi, così carichi di quella socialità vera e reale,

che sentiamo (almeno credo) così lontana rispetto alla superflua “società liquida” denunciata da

Bauman, quella del piatto che si sta per mangiare postato su facebook, quella del sito internet e

degli “internettologi e dei soci onorari dei selfisti anomini” a tutti i costi, come affermano alcuni

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versi di una ormai celebre canzone. Già tristemente e prematuramente annunciata nelle pagine di La

struttura Assente, Umberto Eco denunciava questo vuoto (in quel caso delle strutture letterarie nel

romanzo moderno), ma lo presentava come una possibilità, un momento in cui l’umanità potesse

riempire questa assenza con elementi concreti come un gesto tangibile e come un gesto di aiuto.

Così noi si è cercato di fare, accontentando il defunto semiologo italiano con i nostri piccoli sforzi.

Non è facile sentirsi dire dal collega di italiano e latino del liceo scientifico di Amatrice, allora in

forza all’unità di crisi del ministero, a seguito di una mia personale chiamata, che non c’era più

bisogno di libri, quaderni e grembiuli “forse troppi per i bimbi rimasti”, ma di buoni pasto per quelli

rimanenti della scuola materna. Si è deciso, qualora fosse possibile, di utilizzare questa raccolta di

saggi per raccogliere del denaro, che sarà gestito da una ONLUS, al fine di comprare quanto i

bambini del centro Italia abbiano bisogno.

Un ringraziamento speciale va ai ragazzi e alla collega di italiano Patrizia Rosso che ha

condiviso con me il peso di questo lavoro, ma anche al Direttore della Biblioteca Civica Roberto

Botta. Recitano i versi molto celebri di una poesia di Maurizio Cucchi: “Ciao, dico adesso senza più

tremare. / Io ti ho salvato, ascoltami./ Ti lascio il meglio del mio cuore/ e con il bacio della

gratitudine,/ questa serenità commossa”. Grazie miei piccoli compagni di viaggio, ora ripartite dalla

scuola.

Francesco Patrucco

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An Abstract

This work is the result of a project called “una toponomastica per Casale” proposed by the

public library “G.Canna” in Casale Monferrato. First of all the students of the second classes of the

liceo scienze applicate found information about the most important historical personalities of our

town, then they tried to produce a historical outcome based on medieval sources in order to write a

scientific essay.

This is the beginning, but all this will have a follow-up in the future. In fact when my

students heard about the liceo sportivo’s project concerning the events in Amatrice they aked me to

help the people hit by the earthquake in the same way as their friends and their schoolmates did. So

“una toponomastica per Casale” became Storie casalesi, a short book with six essays on medieval

subjects, whose titles are: The presence of the Templar Knights in Casale, A biography of the

Franciscan Ubertino da Casale, The Franciscan order in the Church of Saint Cross, The Alerami’s

noble family, The Paleologi’s noble family and eventually The presence of Dominican Order in

Saint Dominican Church.

As our project started to develop History became local history as well as the opportunity to

conduct some historical research and improve some of the most important historical skills, but most

of all it became the love for this wonderful school subject. My students also tried to be better

citizens, fully aware of their lucky fate to live in Casale, not so far away from the earthquake.

I’d like to thank Roberto Botta who gave us the opportunity to use the material and the texts

for his project with this specific aim. As Saba wrote, “The pain has a voice and it doesn’t change”

and Primo Levi said “Everyone’s woe is our”, we hope we pursued a good purpose not to forget the

sufferance of other people.

9

I templari nel Monferrato

Quello dei Pauperes commilitones Christi templique

Salomonis ("Poveri compagni d'armi di Cristo e del tempio di

Salomone"), meglio noti come cavalieri templari o

semplicemente templari, fu uno dei primi e più noti ordini religiosi

cavallereschi cristiani medievali. La nascita dell'ordine si colloca

in Terrasanta, dove le guerre tra forze cristiane

e islamiche, scoppiate dopo la prima crociata indetta nel 1096. In

quell'epoca le strade della Terrasanta erano percorse

da pellegrini provenienti da tutta Europa, che venivano spesso

assaliti e depredati. Per difendere i luoghi santi e i pellegrini,

nacquero diversi ordini religiosi. Intorno al 1118-1119 un pugno di

cavalieri decise di fondare il nucleo originario dell'ordine templare, dandosi il compito di assicurare

l'incolumità dei numerosi pellegrini europei che continuavano a visitare Gerusalemme. L'ordine

venne ufficializzato nel 1129, assumendo una regola monastica, con l'appoggio di Bernardo di

Chiaravalle. Il doppio ruolo di monaci e combattenti, che contraddistinse l'Ordine templare negli

anni della sua maturità, fu sempre fonte di perplessità in ambito cristiano. L'ordine templare si

dedicò nel corso del tempo anche ad attività agricole, creando un grande sistema produttivo, e ad

attività finanziarie, gestendo i beni dei pellegrini e arrivando a costituire il più avanzato e capillare

sistema bancario dell'epoca. Cresciuto nei secoli in potere e ricchezza, l'ordine si inimicò il re di

Francia Filippo il Bello e andò incontro, attraverso un drammatico processo, alla dissoluzione

definitiva tra il 1312 e il 1314, a seguito della bolla di papa Clemente V, che soppresse l'ordine in

modo perenne e irrevocabile. Nell'immaginario popolare la figura dei templari rimane controversa,

sia riguardo al valore etico dell'ordine stesso, sia a causa delle leggende moderne circa una presunta

prosecuzione segreta dell'ordine, non comprovata da fonti storiche. I Templari erano presenti anche

nel territorio italiano in regioni come: Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli

Venezia Giulia, Lazio, Liguria ecc… Erano presenti anche in Piemonte, soprattutto nella capitale e

questo ci fa pensare: Erano davvero arrivati a Casale Monferrato? E se si, cos’hanno fatto e

com’erano organizzati?

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In generale

I Cavalieri Templari (Pauperes commilitones Christi templique salomonis – Poveri

Compagni d’ armi di Cristo o del Tempio di Salomone) o più comunemente Templari, fu un ordine

religioso che nacque tra il 1118 e il 1120 e che adoperava voti di obbedienza, povertà e castità.

Molti studiosi affermano che la fondazione dell’Ordine fu una conseguenza del massacro dei

pellegrini cristiani diretti in Terrasanta, avvenuta nel giorno di Pasqua del 1119. Altri affermano che

nacquero per compiere ricerche nel Tempio di

Salomone e a Gerusalemme, per recuperare

manoscritti e reliquie appartenenti alle

tradizioni segrete giudaiche e dell’antico

Egitto. L’immagine del fondatore viene

identificata in Ugo de Payns, cavaliere di

Champagne, che con nove compagni diede vita

all’ Ordine.

“Nel 1118, alcuni cavalieri, pieni di

devozione per Dio, religiosi e timorati di Dio,

rimettendosi nelle mani del signore patriarca per servire Cristo, professarono di voler vivere

perpetuamente secondo le consuetudini delle regole dei canonici, osservando la castità e

l’obbedienza e rifiutando ogni proprietà. Tra loro, i primi e i principali furono questi due uomini

venerabili, Ugo de Payns e Goffredo de Saint-Omer”1

Nel gennaio 1129, il concilio di Troyes2 voluto da Papa Onorio II, consacrò i Templari in

ordine della Chiesa e successivamente l’organizzazione fu resa indipendente da ogni possibile

interferenza del potere temporale ed ecclesiastico. L’Ordine poteva essere giudicato esclusivamente

dal Papa in carica.

Le regole a loro imposte sono raccolte nella Regola del 11283, che disciplinava il

comportamento in pace e in guerra.

Questi uomini dovevano rispettare in primis, quattro regole fondamentali:

a) contribuire a sanare fisicamente le zone in cui si trovavano ad operare;

b) proteggere quelle zone con fortezze e fortificazioni;

c) sviluppare arti e mestieri;

d) liberare i servi della gleba;

1 AA.VV., Historia rerum in partibus transmarinis gestarum di Guglielmo di Tiro, 1a ed. italiana 1562. 2 nome con cui sono noti diversi concili provinciali della Chiesa cattolica tenuti nella città francese di Troyes. 3 regola che concilia la vita monastica con la cultura della guerra in nome di Dio http://www.medievale.it/articoli/la-

regola-dellordine-del-tempio/

11

Inizialmente i componenti dell’Ordine avevano il dovere di vivere in povertà, vivendo della

carità altrui. Con il passare degli anni e lo sviluppo della causa, i Templari si colmarono di beni.

Essi infatti divennero grandi proprietari terrieri, proprietari di miniere di oro e d’argento e

abili commercianti; questo allontanò i componenti della causa al valore iniziale di quest’ ultima.

Infatti l’Ordine occupò una posizione privilegiata all’interno degli stati e divennero la

“banca dei pellegrini”.4

L’ accrescere del potere materiale e lo sminuirsi dei valori spirituali furono le principali

accuse che iniziarono a sgretolare il “mito” della causa dei Templari; conseguentemente queste

motivazioni tesero a diminuirne il potere.

Nel 1308 vennero definite ufficialmente le accuse contro i Cavalieri del Tempio con la bolla

“Faciens misericordiam”, indetta da papa Clemente V.

Il 22 marzo 1312 con la bolla Vox in excelso venne soppresso l’Ordine ritenuto irrilevante e

inutile per la Terrasanta.

I Templari a Casale Monferrato

I templari arrivarono fino nel Monferrato dove sono situate abbastanza fonti storiche da farci

capire che sono stati anche lì. Le principali fonti sono delle chiese come il Duomo di Casale e la

chiesa di Santa Maria del Tempio.

La seconda non si sa con certezza quando sia stata costruita, ma è fuori di dubbio, vista la

tipologia architettonica, che si collochi tra gli edifici religiosi edificati nel XII secolo.

Un tempo era immersa nel fitto di una boscaglia millenaria ed era la chiesa di pertinenza

della locale mansione templare e risale al primo periodo di espansione in Piemonte.

E’ costituita da una piccola aula orientata con abside ora

quadrata, misura m. 7,80 di larghezza compresi i contrafforti e m.

12,80 di lunghezza a partire dalla lesena di facciata compreso il

contrafforte del campanile, più 3.80 metri dell’abside originaria ora

incorporata nel fabbricato aggiuntivo.

L’architettura, come già detto sopra, risente dell’influsso

romanico del Monferrato e quando parliamo di influsso romanico

del Monferrato facciamo riferimento a una corporazione e che ha

edificato diverse chiese tra il 1160 e il 1180 tra cui santa Fede a

Cavagnolo, autentico gioiello romanico che, purtroppo, versa in

4 offrivano servizi di custodia ai beni dei re e dei principi, si occupavano dell’ esenzione delle tasse e a fare prestiti su

pegno

12

condizioni di grande degrado.

Conficcata nel terreno una pietra sacra, testimonianza che prima della costruzione della

chiesa di Santa Maria all'interno della cascina di Isana, questo era un luogo di culto pagano.

La pietra esiste ancora oggi in prossimità della cascina, è un menhir triangolare, dotato di

poteri taumaturgici, capaci di guarire i reumatismi e il mal di schiena se ci si appoggia sopra la parte

dolorante. Ancora una volta abbiamo la presenza di una chiesa cristiana edificata in prossimità di un

intenso luogo di culto pagano, in cui si incrociano correnti telluriche e cosmiche dai benefici

influssi e dispensatrici di fecondità. La pietra ha la punta rivolta ad est. Inoltre abbiamo la presenza

di una fonte di acqua sorgiva, altro simbolo esoterico fondamentale.

I Templari si insediarono in Italia non prima degli anni 1130-40. Il legame ormai radicato

nell’immagine storiografica tra architettura dei Templari, pianta centrale e modello del Santo

Sepolcro di Gerusalemme, si fissa già a partire dal secolo scorso. Le chiese riconducibili ad uno

schema costruttivo a pianta centrale, effettivamente documentate come possesso dell’Ordine,

risultano essere poche, e nessuna di queste è presente in Italia. Qui le ricerche sulla storia

dell’Ordine sono rimaste finora abbastanza frammentarie e, in rapporto alle manifestazioni

artistiche ha costituito un’occasione importante il seminario perugino del 1984 sulla chiesa di San

Bevignate, fondazione templare che conserva buona parte dell’apparato decorativo originario.

Alcune delle ultime ricerche hanno contribuito a mettere in luce la distinzione tra gli edifici di

maggiore impegno architettonico, costruiti nelle città più importanti nel quadro dell’organizzazione

templare, e strutture più modeste, realizzate in possessi dell’Ordine. Soltanto nei grandi priorati

urbani diretti dai Templari esistevano evidentemente i collegamenti culturali necessari per

l’introduzione del modello gerosolimitano e insieme l’impegno di una committenza dotata di grandi

disponibilità finanziarie. Queste costruzioni appartengono al XIII secolo, il periodo di maggior

forza e diffusione dell’Ordine. In Italia sono diverse le costruzioni dei secoli XI-XI, oltre ai casi

accertati delle chiese dedicate al Santo Sepolcro di Bologna, Barletta e Pisa, sono stati proposti

edifici come il Duomo Vecchio di Brescia, il cosiddetto Sepolcro dei Monaci presso la Sagra di San

Michele, il battistero della cattedrale pisana. In Piemonte si conserva un esempio accertato di questo

genere di costruzioni nella chiesa di San Pietro ad Asti. L’edificio è nato come chiesa del Santo

Sepolcro concessa dal vescovo Anselmo ai cavalieri di San Giovanni. La struttura a pianta centrale,

con otto colonne che costituiscono l’ambulacro e un involucro a ventiquattro angoli reso circolare

all’interno, è stata da tempo riferita all’immagine del modello gerosolimitano. La chiesa nasce come

pertinenza vescovile e soltanto in un secondo tempo entra tra i possedimenti dei Gerosolimitani, il

secondo ordine cavalleresco creato in Palestina al termine della prima crociata.

13

Considerando in modo diretto gli edifici effettivamente attribuibili ai Templari in Piemonte,

si riscontrano nuovi problemi nella ricerca. In seguito al 1312 la quasi totalità delle fondazioni

ecclesiastiche controllate dall’Ordine di Malta, non comportò per queste chiese, in buona parte

inserite all’interno di complessi agricoli, una trasformazione funzionale, restando elemento

integrante della struttura di cascine a corte chiusa. Un esempio di edificio a corte è ben

rappresentato dal complesso di San Giovanni della Motta a Cavallermaggiore nel cuneese,

realizzato su una pianta trapezoidale, con i fabbricati agricoli disposti lungo i lati interni del cortile,

mentre sul lato est è annessa la residenza qualificata, con un secondo cortile minore e la cappella.

L’impianto più antico della torre d’ingresso può essere attribuita al tardo medioevo per la presenza

di una decorazione a mensole scalari caratteristica del XIV-XV secolo. La cappella è ancora

sopravvissuta all’interno dell’attuale fabbricato agricolo, con una decorazione quattrocentesca in

buono stato di conservazione che esibisce al centro delle volte le croci dell’Ordine di Malta. La

struttura architettonica è costituita da un’aula rettangolare coperta da due volte a crociera a tutto

sesto. La presenza di un altare barocco sulla parete ovest lascia credere che l’edificio abbia subito

un’inversione d’orientamento, trasformando l’antica facciata in muro di presenza dei quattro

evangelisti dipinti nell’intradosso della crociera orientale e la facciata odierna risolta in termini

classicheggiati, con timpano superiore, lesene scanalate e nicchie. Nell’area cuneese, radicali

trasformazioni ha subito la commenda di San Giovanni Battista a Murello: un restauro del 1932 ha

alterato in corrispondenza della facciata e del campanile la struttura quattrocentesca. Un impianto di

indubbia ascendenza medievale è riconoscibile invece nei rilievi relativi all’importante precettoria

di San Giacomo a Vercelli, interamente demolita dal governo napoleonico. Sebbene nelle immagini

settecentesche l’edificio compaia ad aula unica con due cappelle laterali, la terminazione orientale

triabsidata doveva essere in origine connessa ad un impianto di tre navate, in seguito demolite,

come denuncia l’altezza del corpo di fabbrica corrispondente alla navata centrale. L’aspetto delle

chiese di Sant’Apollinare presso Casalvolvone nel Novarese e di San Giacomo di Ruspaglia in

diocesi d’Ivrea, non offre possibilità di riconoscere strutture ascrivibili con certezza al periodo

medievale. Gli edifici odierni sono il frutto di radicali restauri intervenuti in epoca successiva. Nella

città d’Ivrea i Templari risultano insediati a partire dal 1179 in una chiesa molto antica dedicata a

San Nazzaro situata fuori dalle mura nell’area della Porta Vercellese. L’edificio venne demolito

durante l’occupazione spagnola del 1544 e, dopo una ricostruzione seicentesca, definitivamente

distrutto nell’assedio del 1704, per impedire un appostamento avanzato dei francesi. Il caso d’Ivrea

è interessante perché dimostra che i Templari potevano anche entrare in possesso di edifici più

antichi. L’unico edificio piemontese costruito senza dubbio nel XII secolo e appartenuto all’Ordine

dei Templari sembra essere la chiesa di Santa Maria presente nella località di Isana, presso Livorno

14

Ferraris, nella diocesi di Vercelli. L’azienda agricola viene ricordata per la prima volta come

“mansio templi” in un documento del 1208 in rapporto al monastero di Rocca delle Donne. La

presenza dell’edificio di culto ancora conservato nel cortile dell’odierna azienda agricola di Isana

costituisce dunque un fatto eccezionale, sia per la sua appartenenza al periodo di primitiva

espansione dell’Ordine, sia per la sua unicità nel territorio piemontese. La chiesa è costituita da

un’aula unica orientata, con una sola abside quadranolare che ha subito però un completo

rifacimento. Della struttura originaria rimangono ben conservati il lato sud e la facciata, mentre in

corrispondenza del lato nord venne addossato un fabbricato agricolo, che nasconde la quasi totalità

del parametro murario. Sul prospetto meridionale si conserva una cornice continua ad archetti

pensili, suddivisa da due lesene in tre campi regolari, presumibilmente occupati in origine da sette

archetti liberi. L’apertura di due finestre quadrangolari ha interrotto la pianura originaria in

corrispondenza di questo lato. Gli archetti sono realizzati in laterizio seguendo una disposizione

curata e regolare. La chiesa d’Isana va ad arricchire il numero di edifici costruiti seguendo la

tecnica a conci alterni di pietre e di mattoni collegandosi all’architettura romanica del Monferrato.

In ambito vercellese è possibile riscontrare analogie costruttive interessanti con la chiesa di San

Bernardo, attribuita con sicurezza al 1164. L’edificio di Vercelli presenta al centro della facciata

una bifora analoga a quella d’Isana, con un capitello a gruccia e archivolto realizzato impiegando

l’alternanza dei conci. Il San Bernardo mostra d’altronde una diversa maturità costruttiva nella

curata disposizione dell’apparato murario, e questo contribuisce a giustificare la sua cronologia più

avanzata.

La sacra di San Michele, all’imbocco della Val di Susa, in Piemonte, un eccezionale punto

strategico cui si collegano fatti e leggende attinenti anche ai Templari. Il dato certo è che in

Piemonte l’Ordine aveva un cospicuo numero di insediamenti, disposti, come in questo caso, sulle

strade di transito dei mercanti e dei pellegrini provenienti dalla Francia, o collocati in aree di

interesse agricolo. Ma anche l’attività di protezione e ricezione dei mercanti e dei pellegrini aveva

un concreto tornaconto, perché la collaborazione con autorità civili o abati di altri Ordini a questo

scopo era ripagata con la concessione di sfruttare le risorse locali, per esempio (come sappiamo che

accadeva nel Modenese) il legname delle foreste o i minerali del sottosuolo.

Mosaici templari nella cattedrale di

Sant’ Evasio, Casale

Nel corridoio dietro l’abside del Duomo di

Casale, sulla parete sinistra in direzione dell’ingresso alla

15

chiesa, si trova un mosaico raffigurante due giovani guerrieri armati di spada e di scudo in

atteggiamento di lotta. Il mosaico, cui era stato imposto da Comello e Ottolenghi (1917) il nome di

Duello, si trovava, prima del recente restauro, all’inizio del corridoio vicino all’ingresso di Via

Liutprando. Il restauro, ottimamente eseguito, permette una lettura del pezzo migliore di prima.

L’ interpretazione rimane sì quella tradizionale, ma è sorto qualche dubbio: “Non è noto se i

due personaggi siano raffigurati nell’atto di affrontarsi in battaglia oppure nel corso di una

esercitazione militare o di un torneo. Un duello, infatti, è raffigurato sicuramente in un mosaico di

Vercelli, che viene di solito citato a confronto, dove si affrontano due nemici: un guerriero bianco

munito di spada e di uno scudo verticale umbonato e uno strano guerriero tutto nero, munito di

spada e di uno scudo rotondo. L’uno dà del FOL (FOL= “pazzo,insensato”) all’altro e l’altro dà del

FEL all’uno (FEL= “fellone, carogna”) mentre nel mosaico di Casale abbiamo una raffigurazione

assai differente. Sono raffigurati due giovani vestiti dello stesso tipo di tunica e armati dello stesso

tipo di armi. Il duellante di sinistra, un po’ più anziano ed è in posizione di attacco, quello di destra

in atteggiamento di difesa. Tutto fa pensare che siamo in presenza di un’esercitazione, non di un

vero duello. E non è strano, posto che Liutprando, così legato alla chiesa casalese, aveva espresso

dei dubbi sulla legittimità del duello come iudicium Dei: “Quia incerti sumus de iudicio dei, et

multos audivimus per pugnam sine iustitia causam suam perdere1“. Bisogna notare, allo scopo di

identificarli, due cose: il colore abbronzato della pelle del viso e i capelli ispidi. I due particolari,

trovano giustificazione nell’opera De laude novae militiae, attribuita a S. Bernardo. I soldati

templari, si dice: “Si radono i capelli, convinti del detto dell’Apostolo che è una vergogna per

l’uomo curarsi la chioma. Mai leziosi, di rado lavati, si presentano piuttosto con i capelli trasandati

o ispidi, sporchi di polvere, la pelle scura dall’uso della corazza e dai raggi del sole”. Siamo dunque

in presenza di due templari che si stanno esercitando nelle armi: una rappresentazione unica, e

quindi preziosa. S. Bernardo, poi, nel capitolo dell’opuscolo elogiativo della Milizia del Tempio,

scrive, copiandole dal Nuovo Testamento, le seguenti parole: "Il soldato di Cristo uccide

tranquillamente e muore con maggiore tranquillità. Non è, infatti, senza ragione se egli cinge la

spada: egli è ministro di Dio per la vendetta dei cattivi e per la lode dei buoni. Si spiegherebbe così

il motivo per cui un tale soggetto guerresco è stato messo nel Duomo: il cristiano deve esercitarsi

continuamente per sconfiggere il Nemico e i templari sono il simbolo di questa lotta senza

quartiere."

I Marchesi e il Duomo

Il marchesato di Monferrato si costituì alla fine del X secolo a seguito dello smembramento

della marca d’Aleramo. In gran parte le terre che lo formavano erano feudi imperiali, in assai minor

16

misura possedimenti dei vescovi di Asti, Torino, Ivrea, Vercelli; entrambi concessi agli Aleramici

nel corso di diversi periodi storici. Questi ultimi restarono a capo del marchesato fino al 1305. Con

Teodoro ha inizio la dinastia dei Paleologi, che durerà sino al 1533. L'unità del marchesato fu

garantita nei secoli dal principio dell'indivisibilità e della primogenitura. Il potere deliberativo era

esercitato dal marchese, con l'assistenza di un consiglio personale. Organi centrali di governo erano

la curia e la camera. La curia fu poi sostituita, nella seconda metà del XV secolo, da un senato. Sede

del governo fu Chivasso fino al 1435 e, successivamente, Casale Monferrato, comune che si era

affidato ai marchesi nel 1278 e nel 1316, ma che rimase in loro saldo e stabile possesso soltanto

dopo il 1404. La maggior parte delle terre e delle comunità rurali dipendevano direttamente dal

marchese, che le governava per mezzo di castellani, o vicari, o rettori, o podestà. Numerosi altri

territori erano tenuti in feudo da nobili o da consortili di famiglie nobili uscenti da uno stesso ceppo;

questi ultimi si davano un ordinamento simile a quello delle comunità. Infine, altre terre del

Monferrato costituivano i possessi personali dei marchesi ed erano amministrate per mezzo di

gastaldi. L'ordinamento finanziario, giudiziario e militare del Monferrato non presenta caratteri

particolari che lo differenzino da quello proprio di ogni regime feudale. E' risaputo che il Marchese

Bonifacio II di Monferrato (Aleramico) nutriva un odio viscerale verso Alessandria. Il 19 aprile

1227 strinse un alleanza con Asti e con i Marchesi di Saluzzo contro gli alessandrini. In sostegno di

Alessandria, si attivarono a più riprese gli eserciti della Lega Lombarda e di Milano. Casale, che

pochi anni dopo divenne possedimento di Bonifacio, era sede di una Precettoria Templare,

denominata di Santa Maria del Tempio con diverse proprietà sparse ed edifici. Tra questi la

Precettoria, che all'epoca era un'area densamente popolata e con intensi movimenti di merci e

persone e scambi commerciali. Nella sede urbana possedevano probabilmente diverse strutture in

una certa "via Templi", che dovrebbe corrispondere all'attuale Vicolo dei Templari. Vi sono dubbi

interpretativi tra gli studiosi se il principale insediamento Templare fosse collocato in città o

nell'attuale frazione portante ancor oggi la stessa denominazione medievale attribuibile ai Templari.

La presenza templare in Casale doveva essere piuttosto importante ed "ingerente" sulle attività

comunitarie, considerando che molto probabilmente furono loro a far ricostruire il Duomo. I

Templari non corrispondevano affatto al ritratto fornito dall'iconografia e storiografia ufficiale

(guerrieri rozzi e coraggiosi). Soprattutto a livello di leadership svolgevano attività complesse e

diversificate. Quindi se nella nostra regione, che all'epoca di Bonifacio II era ancora ben lungi

dall'essere identificata col Piemonte, si pervenne ad un'alleanza come questa, tra i Savoia, i Saluzzo,

il potente comune di Asti ed il Marchesato di Monferrato, in un'ottica antialessandrina e contro i

suoi alleati, la Lega e Milano, significa che forse stava prendendo forma quello che poi diverrà il

Piemonte.

17

Esempio delle attività dei Templari a Casale: il culto di San Varo

Un ulteriore esempio dell’attività svolta dai Cavalieri dell’Ordine del Tempio è riguardante

il culto di San Varo, attorno cui è presente una storia particolare: egli fu un soldato romano,

martirizzato in Egitto nel IV secolo D.C. Secondo Olimpio Musso, egli aveva il compito di portare

del cibo ad un gruppo di eremiti tenuti prigionieri, dalle autorità romane, per non aver sacrificato

agli dei.(In quel periodo, l’imperatore Diocleziano, stava attuando un’ “epurazione” verso i soldati

dell’ esercito convertiti, oltre che verso i Cristiani) San Varo però li esortava a mangiare. Si convertì

al Cristianesimo, divenendone molto devoto. Successivamente confessò la sua vera fede, mentre il

settimo eremita morì, forse al momento del suo arresto o durante la prigionia e Varo decise di

sostituirlo, vedendo la passiva resistenza degli altri. Le autorità tentarono più volte di dissuaderlo,

chiedendo se non fosse soddisfatto della sua condizione di soldato, ma lui continuò per la sua

strada: questa fede gli costò la vita, poiché venne flagellato e, inseguito, squartato, come capitò

dopo agli eremiti. Il suo corpo venne salvato da una donna, Cleopatra, che lo nascose in casa sua e

che in seguito portò con sé, al suo ritorno in Palestina, propria terra d’ origine, le reliquie del santo,

mettendole in una Chiesa costruita sul monte Talbhor, e non venendo più spostate in seguito, fino

all’ arrivo dei Cavallieri. Nel XIII secolo, la reliquia venne trasportata in Europa, siccome la presa

di Costantinopoli, consentì ai cavalieri di portare un’enorme quantità di reliquie di santi soldati in

Europa, che produsse altrettanti culti nei confronti di quest’ ultimi, nella fattispecie, portarono il

culto di San Varo a Casale Monferrato, intrattenendo anche degli ottimi rapporti con gli Alerami. I

cavalieri costruirono un complesso di mosaici, con un tema guerriero riconducibile ai cavalieri

Templari, in cui se ne trova una legato al tema di San Varo,: sono presenti tre scene che avvalorano

tale tesi, e oltretutto, l’architettura del luogo, come il nartece della Chiesa mostra il passaggio

templare.

La prima parte, conservata nell’ ambulacro del Duomo di Casale, raffigura un giovane, con

un cesto, che sta portando del cibo sulle spalle, con l’ausilio di un bastone, tenendo anche un grosso

pesce, importante simbolo cristiano. Oltretutto, è presente un’ iscrizione : <<QUALE LARCA DE

SAN VAR>>, che significa:<<Qual’ è l’ arca di San Var>>, che è in volgare e, anche se l’ ultima

lettera non è leggibile del tutto, si riesce a desumere che si tratti di una R e non una S, attribuendo

quindi tale mosaico alla figura di San Varo e non Sant’ Evasio, santo patrono della città e per molto

tempo persona a cui era stato attribuito. Questa iscrizione sembra che alluda all’ alternativa tra cibo

terreno e cibo donato da Cristo, collegandosi quindi alla storia del Santo.

La terza parte, all’ interno di una cornice, rappresenta la testa di Nicanore, nel momento

della sua uccisone, riprende il tema guerriero: quest’ uomo aveva osato minacciare il tempio di

Gerusalemme, che si vede sullo sfondo del mosaico poiché sono presenti dei panneggi che

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ricordano l’iconografia della città. Venne però sconfitto e decapitato e la sua testa con il braccio

destro vennero esposti davanti al tempio. Si possono anche vedere dei soldati, con elmo, corazza e

scudo, che guardano i resti di Nicanore sanguinare.

Templari e Casale uniti contro Alessandria

Nell’antico quartiere di cantone Vaccaro, che insieme al Brignano, al Montarone ed al Lago,

costituiva il nucleo più antico della Casale medievale, quello che veniva definito “il borgo”. Qui vi

era, e vi è, la “casa grande” che dipendeva dalla Commenda di Santa Maria del Tempio e nei suoi

pressi si trovava, e si trova, un altro edificio, denominato “la casa piccola”, con una parte superiore

destinata ad abitazione ed una parte inferiore che, da una visita priorale del 1646, risultava utilizzata

ancora a bottega, anzi, al piano terra si trovavano due “botteghe grandi” ed al primo piano tre stanze

con “tre stibbi di mattoni”. Solo da un resoconto del 1787, la casa perde la sua funzione principale

di laboratorio per diventare un edificio cittadino come gli altri. La presenza di queste due case

definite ha sempre rappresentato un interrogativo: che funzione avevano e quale era il senso di due

presenze cittadine dell’Ordine situate non ad un capo e all’altro del paese, ma l’una nei pressi

dell’altra? O meglio…la “grande” era il posto di controllo sul territorio cittadino, ma la “piccola”?

Una risposta ai nostri quesiti la troviamo in un libro di Louis Charpentier ed. per i tipi dell’ L’Età

dell’Acquario “I misteri della cattedrale di Chartres”. In tale testo, nel capitolo “I Confratelli”,

l’autore cita la “casa grande” e la “casa piccola” specificando che la grande era l’edificio in cui

risiedevano i cavalieri ed a cui avevano accesso solo gli “invitati”, costituiva il convento

propriamente definito ed era così chiamata in contrapposizione alla “casa piccola” che, in lingua

gallica, è la cayenne, e tradizionalmente la cayenne è il luogo riservato alla confraternita dei

costruttori. In quei tempi erano attive tre confraternite: i Figli di Padre Soubise, i Figli di Mastro

Jacques ed i Figli di Salomone. Noi riteniamo che una di queste confraternite alloggiasse nella “casa

piccola” e fosse in stretta correlazione con l’Ordine del Tempio, non solo, la correlazione tra

l’ordine dei costruttori e l’Ordine del Tempio è rappresentata proprio dall’atrio del duomo,

quell’atrio che ha fatto versare fiumi di inchiostro, in quanto avulso dal resto della costruzione e in

uno stile particolarissimo. L’atrio, o nartece, è unico esempio di architettura romanica dove

“l'ambiente centrale è coperto da quattro arconi a tutto sesto, due trasversali e due longitudinali, che

individuano nove campate coperte a crociera”. Gli incroci arditi in conci di arenaria e mattoni di

argilla articolano lo spazio in modo complesso e si intrecciano a coppie parallele dando vita ad un

ambiente originale e unico nel panorama del romanico europeo e lo si fa derivare da esempi Armeni

o Islamici. Alcuni elementi decorativi presentano interessanti parallelismi con il portale della Gloria

di Santiago di Compostela e sono precisamente il fregio della cerva ed il rosone della facciata

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primitiva. Questi parallelismi ci riportano molto semplicemente alla confraternita dei Figli di

Mastro Jacques (Giacomo) che hanno lasciato la loro firma ed il loro stile nel nartece. Ma chi

erano? Purtroppo se ne sa molto poco e quel poco, a volte, sconfina nella leggenda, ma le leggende

devono essere interpretate in modo allegorico perché ci parlano per simboli, simboli che si perdono

nella notte dei tempi. Ad ogni modo pare che, tra le altre cose, si incaricarono dell’organizzazione

religiosa ed ospedaliera del cammino verso Santiago de Compostela e quindi si aprono nuovi ed

interessanti interrogativi…che cosa univa questi confratelli ai Cavalieri del Tempio? E che rapporto

esiste tra il duomo di Casale Monferrato ed il cammino verso Santiago? Sono domande a cui dare

risposte è tutt’altro che semplice. Prendiamo per esempio la cerva: viene normalmente interpretata

come un mito lunare, paragonata ad Artemide o a Diana cacciatrice e si dice che rappresenti la

“caccia” alla Sapienza ed alla Saggezza. Il cristianesimo si sovrappone al mito

“impossessandosene”: “Come la cerva anela ai rivi d’acqua, così l’anima mia a Te anela, o mio

Dio”. Questo è l’inizio del salmo n. 42 ed il cristianesimo afferma che la cerva rappresenta l’anima

che anela a congiungersi al Signore, a Dio. Ma lo Charpentier nel suo libro “Il mistero di

Compostela”, propone un’altra interpretazione che ci trova in sintonia: “allo stesso modo, per

quanto concerne i cervi, gli unici rappresentati fra i tanti animali possibili, non credo che si tratti di

una sorta di simbolo lunare com’è stato ipotizzato, ma di un totem, segni totemici concernenti non

una tribù, ma una confraternita iniziatica”. Dunque abbiamo un simbolo che “parla” il linguaggio

degli uccelli, linguaggio comprensibile solo a chi sarà in grado di leggerlo, pur mantenendo, a

nostro avviso, anche la valenza simbolica lunare, l’una non esclude l’altra, sono due letture diverse

ma, sempre a nostro avviso, complementari. Certo è alquanto sorprendente ritrovare nel nartece di

Casale Monferrato le tracce di una Confraternita Iniziatica di costruttori, dei compagni confratelli

che si recavano, anzi “passavano” di posto in posto lasciando messaggi precisi del loro “passaggio”.

O meglio, non ci sorprende, perché nel Monferrato la presenza templare è stata decisamente

importante ed ancora poco nota grazie ad un preciso lavoro di occultamento, oltre che ai disastri del

tempo e delle guerre.

Bibliografia templari

Fausta Vaghi, “I Templari: la storia e la leggenda”, Firenze; Milano, Giunti, 2005.

Massimo Centini, “I Templari: i luoghi, i personaggi e le vicende dei Cavalieri del Tempio

in terra subalpina”, Torino, Accademia Vis Vitalis, 2011.

Regione Piemonte, Assessorato alla Cultura, Atti del convegno I templari in Piemonte: dalla

storia al mito, Torino, 1994.

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Olimpio Musso, Francesco Santi, Un nuovo documento di San Varo e i templari a Casale

Monferrato, Parigi, Brepols, 1995.

Sitografia

http://templariinmonferrato.blogspot.it/2009/04/antichi-misteri-nel-duomo-di-casale.html

http://www.olimpiomusso.eu/files/I%20DUELLANTI%20IN%20UN%20MOSAICO%20D

EL%20DUOMO%20versione%20lunga.pdf

http://www.olimpiomusso.eu/files/I%20DIABOLICI%20MOSAICI%20DEL%20DUOMO%20DI

%20CASALE.pdf

http://templariinmonferrato.blogspot.it/2011/06/alla-scoperta-del-duomo-di-casale.html

http://templariinmonferrato.blogspot.it/2008/07/i-templari-in-monferrato-la-prima.html

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UBERTINO DA CASALE

Chi era Ubertino da Casale?

Ubertino da Casale (Casale Monferrato,1259-1330)

fu un teologo italiano dell’ordine francescano (ordine dei

Frati Minori nel suo complesso, il cosiddetto "Primo ordine"

fondato da san Francesco d'Assisi nel 1209), tra gli esponenti

di maggior spicco del ramo spirituale, tanto da influenzare

con la sua visione filo-gioachimita, derivante da Gioachino

da Fiore, abate teologo e scrittore italiano. Ubertino viene

citato in due grandi opere letterarie italiane: Il nome della

rosa e La divina commedia.

Ubertino fece tenace difesa delle teorie dell’Olivi,

contro le relazioni di maestri di teologia che avevano esaminato e inquisito sugli scritti del frate

francese. Ma non si ebbe una definizione, tanto che il Papa, ancora due anni dopo, nel Concilio

Ecumenico di Vienna, nonostante la nuova difesa presentata da Ubertino da Casale e da Alessandro

da Alessandria, condannò talune interpretazioni dei seguaci dell’Olivi.

Il nome della rosa, scritto da Umberto Eco e pubblicato nel 1980, parla, sotto forma di un

manoscritto stilato dal protagonista Adso da Melk, dei fatti enigmatici e degli omicidi avvenuti in

un abbazia in cui egli è stato quand’era novizio, insieme al suo maestro Guglielmo da Baskerville,

ma anche dell’indagine da loro svolta, al fine di risolvere il mistero. Ubertino viene citato diverse

volte, come aiutante del protagonista, insieme al vetraio Nicola, l’erborista Severino e il vegliardo

Alinardo.

La Divina Commedia, invece, viene scritta da Dante Alighieri durante l’esilio, tra il 1308 e il

1320. Divisa in tre cantiche principali, corrispondenti alle tre dimensioni ultraterrene, dà spazio a

Ubertino di Casale nel Paradiso, quando Dante scrive:

“Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio

Nostro volume, ancor troveria carta

u’ leggerebbe “I’ mi son quel ch’i’soglio”

ma non fia da Casal né d’Acquasparta,

là onde vengon tali a la scrittura,

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ch’uno la fugge e altro coarta.5”

Ubertino viene menzionato nell’opera del sommo poeta sicuramente per la sua opera più

famosa: L’albero della Vita. Composto alla Verna, tra il 9 marzo e il 28 settembre 1305, l'Arbor

vitae è un voluminoso trattato che, in cinque libri, espone sostanzialmente la vita e la passione di

Cristo. L’idea-madre dell’opera è da ricercarsi nel Lignum vitae di S. Bonaventura, da cui è ricavata

la stessa immagine dell’albero della storia, le cui radici affondano nelle origini del mondo e

arrivano fino all’incarnazione di Cristo. Egli crede, infatti, che i rami di quest’albero, nato sulla

croce di nostro signore, siano le opere di Gesù e i fiori e i frutti siano le gesta degli eletti. Dà inoltre

spazio all’idea che, alla guida della chiesa, ci debba essere un “papa angelico”, ovvero una guida

puramente spirituale e umile, per evitare ovviamente comportamenti scorretti da parte dei papi,

comportamenti già ampiamente registrati nella storia pontificia medievale. Per questo venne

scomunicato, ma la sua opera, rimane un simbolo del suo profondo attaccamento alla chiesa.

Ubertino entrò nell'ordine francescano nel 1273 in un convento di Genova. Fece i suoi studi

di teologia presso il convento di Santa Croce a Firenze, dove fu allievo di Pietro di Giovanni Olivi.

Qui si interessò principalmente al pensiero, alla filosofia di questo importante teologo francese.

Olivi è antiaristotelico, sotto un triplice punto di vista: per le sue dottrine, per il suo temperamento,

per la sua educazione rigidamente cristiana e spiritualistica. Tuttavia il suo anti-aristotelismo non è

assoluto. L'opposizione all'aristotelismo in Olivi è ispirata da ragioni molteplici e diverse, ma

soprattutto scaturisce da tre considerazioni fondamentali:

- dalla concezione diversa che il paganesimo offre della realtà del mondo, rispetto alla rivelazione

cristiana

- dall'autorità eccessiva che secondo Olivi era attribuita ad Aristotele nelle università del tempo.

- dai gravi errori che Olivi crede essere contenuti nella speculazione filosofica dello Stagirita.

Olivi è antiaristotelico in quanto il termine "aristotelismo" significava assenza della

rivelazione cristiana nella visione del mondo, un mondo privo dell'apporto vivo di una verità, che

trascenda le forze naturali dell'intelletto umano. L'aristotelismo era così la cifra della scienza

mondana in opposizione alla sapienza cristiana, della natura in opposizione alla grazia. Olivi non

rifiuta aprioristicamente ogni speculazione elaborata dai filosofi pagani, ma ove presuma che i

filosofi insegnino l'errore, egli denuncia apertamente e combatte quell'errore e quella dottrina,

affinché discepoli poco avveduti non ne rimangano vittime. Questa posizione guardinga e sfiduciata

5 “Affermo comunque che, se qualcuno sfogliasse foglio per foglio tutto il nostro volume, troverebbe ancora delle

pagine in cui si legge: “Io sono quello che devo essere”; ma non sarà il caso d’Ubertino da Casale né di Matteo

d’Acquasparta, da dove provengono frati tali che uno fugge dalla regola Francescana, l’altro la irrigidisce”

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nei confronti delle possibilità umane costituisce il primo aspetto dell'anti aristotelismo oliviano.

Secondo lui l'aristotelismo non soddisfa il minimo di fondatezza e di concordanza con la rivelazione

e con lo spirito della filosofia cristiana.

Un altro aspetto di anti aristotelismo in Olivi è quello contro il culto eccessivo della persona

e dell'autorità di Aristotele. Affidarsi ciecamente ad Aristotele, per Olivi, significa incamminarsi in

errori funesti. Soltanto la Sacra Scrittura è fonte di autorità nei confronti di ogni altra verità, la sola

che vale. Divenne così un predicatore e fu il riferimento in Toscana dei Francescani spirituali (una

delle due correnti in cui si era diviso l'Ordine, in contrapposizione alla Comunità dei frati più

lassisti in materia di povertà). Conobbe la beata Angela da Foligno (Nata a Foligno nel 1248, è stata

una mistica e terziaria francescana italiana, beatificata nel 1693 da papa Innocenzo XII e

canonizzata da papa Francesco il 9 ottobre 2013. Morì a Foligno il 4 gennaio 1309) e i circoli di

uomini e di donne devote che a lei si ispiravano.

Nel 1285 Ubertino visitò, nel suo eremitaggio di Greccio, l'ex-ministro generale francescano

Giovanni da Parma, il quale, probabilmente, gli comunicò le sue speranze di rinnovamento

ecclesiale che attingeva dalle dottrine di Gioacchino da Fiore.

Dal papa Giovanni XXII, successore di Clemente, Ubertino ottenne nel 1311 di entrare

nell’Ordine dei Benedettini presso l’abbazia di Gambloux. Frate Ubertino al papa Clemente V

aveva già rifiutato di ritornare nell’Ordine, per non subire umiliazioni da parte dei suoi superiori. La

speciale concessione gli venne poi accordata con un ≪breve≫ del nuovo Papa, ma il frate casalese,

invece di ritirarsi presso l ’abbazia benedettina, rimase col cardinale Napoleone Orsini in Avignone.

Allorché l’inquisizione si scagliò contro il dotto Berengario Talon, che asseriva l’assoluta povertà di

Cristo e degli Apostoli, risorsero nel 1321 le discordie nelle quali si trovò pure impigliato Ubertino.

Il frate casalese fu condannato, ma fuggì da Avignone a Parigi. Qui fu scomunicato per aver

sostenuto contro la Chiesa i diritti dell’Impero; fuggì ancora una volta, ritirandosi presso Ludovico

di Baviera, allora in aperta lotta col Papato. Dante Alighieri [Paradiso XII, 124-126], ricorda e

biasima Ubertino da Casale per essersi, nel Capitolo dell’Ordine Francescano tenuto a Genova nel

1310, fatto capo degli «spirituali≫ o ≪zelanti≫, che sostenevano la rigida osservanza della povertà

francescana, dando luogo ad una specie di scisma.

Proprio per il suo chiaro riferimento alle dottrine gioachimite, Ubertino fu convocato da

papa Benedetto XI (1303-1304), che peraltro non gradiva neanche le critiche mosse da Ubertino ai

Papi suoi predecessori. Benedetto XI ordinò a Ubertino di ritirarsi presso il convento della Verna

(oggi in provincia di Arezzo) e gli proibì di predicare. Nel 1305, sebbene confinato in convento e

ridotto al silenzio, Ubertino scrisse la sua opera principale, Arbor vitae crucifixae Jesu Christi

(L'albero della vita crocifissa di Gesù Cristo), nella quale presentava una lettura apocalittica della

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storia della Chiesa, ispirata alle visioni di Gioacchino e alla spiritualità dell'Olivi. Ubertino dava

voce all'attesa, diffusa al suo tempo tra gli Spirituali ma non solo, di un'era di pace in cui la Chiesa

sarebbe stata guidata dal "papa angelico", un pastore povero e umile che avrebbe restituito al

ministero papale quella autorevolezza che la cattiva condotta dei papi del tempo aveva ormai

offuscato. L'opera non fu bene accolta e Ubertino venne scomunicato. In quegli anni Ubertino fu

anche inquisitore e in questa veste, nel 1307, condannò per eresia frate Bentivenga da Gubbio,

capofila della corrente italiana dei Fratelli del Libero Spirito.

Nel 1309-1310, su proposta del medico-teologo catalano Arnaldo da Villanova, Ubertino

venne convocato ad Avignone da Papa Clemente V (1305-1314), nel tentativo di giungere ad una

riappacificazione tra le due fazioni francescane, la minoranza degli Spirituali e la maggioranza dei

Conventuali. Nell'ambito di questo incontro, Ubertino ribadì con forza la propria posizione sul

dovere di un'assoluta povertà dei Francescani: per tale opinione, giudicata come un nuovo affronto

al Papa, fu affidato alla custodia del cardinale Giacomo Colonna.

Papa Giovanni XXII (1316-1334) nel 1317 convocò nuovamente Ubertino per un incontro:

al frate fu ordinato di ritirarsi in un convento belga vicino a Liegi. In seguito gli fu imposto di

lasciare l'Ordine Francescano e di assumere l'abito benedettino.

Nel 1322, nel contesto della disputa tra Domenicani e Francescani circa la povertà di Cristo

e degli apostoli, Giovanni XXII convocò nuovamente Ubertino ad Avignone perché illustrasse il

proprio punto di vista in merito. Ubertino affermò che Gesù e gli apostoli erano sì poveri in termini

di proprietà personali, ma facevano liberamente uso di ciò che necessitava loro. Questo

compromesso non fu gradito dal capitolo generale dei Francescani convocato da Michele da

Cesena: il capitolo abbandonò le precedenti posizioni moderate e dichiarò l'assoluta povertà di Gesù

Cristo e degli apostoli. Nel 1323 papa Giovanni XXII reagì duramente a questa dichiarazione,

scomunicando chi l'avesse sostenuta pubblicamente. Anche se l'ultima dichiarazione di Ubertino era

risultata gradita all'autorità papale, nel 1325 egli fu nuovamente scomunicato per aver difeso il

pensiero di Olivi. Ubertino intuì anticipatamente la mal parata e fuggì da Avignone, aggregandosi

alla corte dell'imperatore Ludovico il Bavaro, accompagnandolo in seguito assieme a Giovanni di

Jandun, Michele da Cesena, Guglielmo di Ockham e Marsilio da Padova, nel suo viaggio a Roma

nel 1328.

Rimasto in Italia, dove animava circoli di Spirituali dissidenti (Fratres de ministro),

Ubertino morì assassinato nel 1330, almeno secondo la versione dei Fraticelli, eredi degli Spirituali.

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Sitografia e bibliografia:

http://www.treccani.it/enciclopedia/ubertino-da-casale_(Enciclopedia-Dantesca)/

https://it.wikipedia.org/wiki/Ubertino_da_Casale;

AA. VV. Arbor vitae crucifixae Jesu Christi; Milano, A. Saita, 1930 (presso biblioteca

civica di Casale Monferrato);

http://online.scuola.zanichelli.it/letterautori-files/divina-commedia/pdf-online/006-

online_paradiso.pdf;

https://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_di_Giovanni_Olivi

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I Francescani a Casale Monferrato

Cenni storici sull’ordine

Il termine Ordine Francescano si riferisce al vero e

proprio Primo Ordine fondato da San Francesco d’Assisi

nel 1209, oggi diviso in tre famiglie differenti: quella dei

Frati Minori, quella dei Frati Minori Conventuali e quella

dei Frati Minori Cappuccini.

Questo scisma interno si fa presagire già a partire dalla

morte di San Francesco, se non addirittura prima, quando i monaci iniziano a seguire due diverse

correnti di pensiero: da una parte si schierano coloro i quali propendono per una vita ascetica e

povera, basata sull’attività dell’elemosina, dall’altra invece chi preferisce la vita conventuale,

dedicata unicamente alla cosiddetta cura pastorale, la stessa esercitata dai parroci, che prevedeva un

grande dovere verso i fedeli locali. A partire da questa scissione di ideologie nacquero quindi, nel

corso dei secoli, le varie forme alternative del monachesimo francescano.

Nella seconda metà del XIII secolo, per esempio, si ricorda al gruppo degli Spirituali, a cui

appartenevano i frati più rigoristi: basato sul rispetto quasi maniacale dell’usus pauper6 previsto

dalla Regola originaria, il movimento muove una forte critica verso l’autorità della Chiesa, sempre

più materialmente ricca. Sarà proprio questa forma di ribellione a causare agli Spirituali la

condanna per eresia7 da parte di papa Giovanni XXII, subito seguita da una violenta persecuzione

che si concluderà con la sua quasi totale scomparsa del movimento: le uniche a scampare sono le

piccole comunità dell’Italia centrale e meridionale, dove assumeranno il nome di Fraticelli,

recidendo definitivamente il legame con l’Ordine originario.

Un altro esempio risale al XIV secolo, quando nasce un nuovo movimento collaterale

predicante povertà assoluta: i frati che aderiscono a questa ideologia vengono chiamati Osservanti e

assumono nel tempo posizioni molto simili a quelle degli Spirituali, ma decisamente più moderate

nei confronti della congrega ecclesiastica, riuscendo addirittura, nel 1415, a ottenere comunque

l’autonomia parziale, che li separerà, come accennato in precedenza, dal gruppo dei conventuali.

Nel corso dei successivi secoli si tenta moltissime volte di ripristinare lo status quo

dell’Ordine (famosa la riforma dei Cappuccini), ma nonostante tutto il gruppo resterà ampiamente

frazionato e addirittura, come vedremo, si assisterà al ripetersi di problemi interni e con la Chiesa.

6 Uso povero 7 Bolla papale Sancta romana del 30 dicembre 1317

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I Francescani a Casale e l’inizio della loro attività

I Francescani vissero per molti secoli a Casale Monferrato, questo è certo, come anche è

certo che il loro operato fu sempre ben visto e apprezzato dall’intera popolazione casalese. Ciò che

però tutt’oggi rimane nell’ombra è l’origine dell’attività francescana in città: sono molto poche e

discordanti le fonti sull’arrivo dei Frati Minori, e ciò rende impossibile stabilire con precisione una

data. Analizzando però alcuni documenti come necrologi e atti notarili, possiamo risalire ad un

periodo indicativo.

Innanzitutto bisogna tener presente che i casalesi, pur nutrendo una grandissima devozione

per San Francesco, mai poterono vantarsi di averlo ospitato: nel 1214 infatti il santo visita il

Monferrato, ma si reca ad Asti8, suscitando l’invidia dei cittadini di Casale. Ad ogni modo è quindi

improbabile, se non impossibile, che il santo stesso abbia fondato un convento in città.

Un’altra fonte, gli annali del francescano Waddingo, elenca nel 1399 un convento francescano a

Casale, mentre risale al 1295 la prima testimonianza della sua avvenuta costruzione: esso viene

descritto come un grande complesso sito tra via Lanza, via Salandri e via Palestro, che si affacciava

su piazza Coppa con una chiesa dalla facciata maestosa. Tornando indietro nel tempo scopriamo un

atto notarile del 1266, con cui la famiglia Pagano cede dei terreni all’interno delle mura cittadine in

cambio di beni dei Minori situati in contrada Porta Nuova (qui verrà costruito il convento stesso), e

ancor prima un atto del 1259 proveniente da una domus francescana sorta proprio su quei terreni,

concessi dal Comune di Casale. Procedendo così, indietro nel tempo, troviamo numerosi documenti

che citano frati francescani stabiliti nel territorio (principalmente necrologi), fino ad arrivare al

primo, datato al 12 agosto 1233, un atto in cui un certo frater Gulielmus de ordine Minorum viene

citato in qualità di testimone: risale quindi a pochi anni dopo la morte del santo fondatore lo

stanziamento del primo nucleo di attività francescana a Casale.

A partire da questa data inizia quindi il vero e proprio sviluppo del monachesimo

francescano casalese, che viene accolto con grande onore ed entusiasmo dai cittadini: i frati

vengono visti come veri e propri pacieri, portatori del messaggio del vero Vangelo, un messaggio di

carità, unione, fratellanza e pace, che subito attecchisce nei cuori della gente, complice anche la

grandissima devozione verso il santo fondatore. In un periodo turbolento e difficile, la prima casa

francescana, della cui attività si hanno pochissime informazioni, diventa una sorta di isola di pace,

ed è probabilmente anche per questo motivo che l’ordine riceve ben presto i finanziamenti dei

8 Vincenzo De Conti su analisi di fonti in: Notizie storiche della cittá di Casale del Monferrato, Casale Monferrato,

Tipografia Martelli, 1838. (consultato digitalmente su https://archive.org/details/notiziestoriche04contgoog)

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patrizi casalesi, con i quali la chiesa di San Francesco, piccola e ad una sola navata, costruita nel

1272, viene rimessa a nuovo già entro il 1290 , in occasione della firma di una pacificazione,

proposta dai frati stessi, fra Casale e il marchese Giovanni di Monferrato. Questa popolarità e

benevolenza generale, crescendo esponenzialmente, porterà nel 1345 al rifacimento totale della

chiesetta, che viene riconsacrata il 22 settembre 1347: l’opera, finanziata interamente dal

devotissimo principe Giovanni II Paleologo, comprende non solo la nuova chiesa, ma anche un

bellissimo convento, in cui venne inserito un porticato detto Piazzetta, riservato alle passeggiate

della nobiltà Casalese che peraltro, mossa dalla bontà del principe, contribuì alla decorazione della

neonata chiesa facendo costruire meravigliose cappelle.

Durante tutto il XIV secolo questa attività di pacificazione è documentata da vari atti firmati

all’interno di edifici francescani cittadini, e si protrae anche nel secolo XV; in questo periodo i frati

sono però coinvolti nel già menzionato scisma degli Osservanti, di cui i francescani casalesi fanno

parte: la loro rustica vita nel piccolo monastero diventa simbolo del rigore del neonato ordine, ben

accolto dal popolo casalese, infiammato fra l’altro dall’arrivo in città di San Bernardino. Egli, figura

carismatica, infiamma i cuori di coloro che ascoltano la sua predica tenuta in Piazza Carlo Alberto,

oggi Piazza Mazzini, al punto da riuscire a far mettere da parte l’odio verso i nemici della città. Alla

sua morte, Casale è la prima città piemontese a dedicargli un tempio (sulla cui origine rimane un

velo di mistero, a causa della mancanza di fonti), che verrà costruito al di fuori delle mura.

Ubertino da Casale, uno Spirituale casalese

Ubertino fu un frate appartenente all’Ordine dei Francescani,

nato nel 1259 in un luogo tutt’oggi incerto: benché esista anche una

bolla papale a lui indirizzata recante l'indirizzo di “Casale, città della

Diocesi Vercellese”9. Il fatto che egli non abbia in realtà mai operato

nella sua presunta diocesi originaria ha portato ad ipotizzare che il

“da Casale”, affiancato al suo nome, si riferisca ad una città

omonima; prevale però l’idea che egli sia nato nella Casale di

Sant’Evasio, proprio grazie alla bolla suddetta.

Vivace, scaltro e intelligente, il piccolo Ubertino, il quale aveva almeno un fratello, anch’egli

divenuto frate, entra nell’Ordine francescano nel 1273, all’età di quattordici anni, dopo essersi

innamorato del francescanesimo e lasciatosi ispirare dalle opere di San Bonaventura, che nello

stesso anno abbandona il generalato dell’Ordine per diventare cardinale e vescovo di Albano.

9 Bolla papale di Giovanni XXII del 1 ottobre 1317

29

Dopo il noviziato si trasferisce a Parigi, dove studia per ben nove anni, per poi tornare in

Italia come insegnante presso scuole in Toscana e, forse, a Genova; questi anni vengono descritti

dal frate stesso come anni di dissipazione, in cui l’amore per il Signore diventa superficiale e poco

sentito, come intralciato da pensieri filosofici che distolgono dai segnali inviati dal Cielo. Si rivela

cruciale sotto questo aspetto l’incontro avvenuto nel 1284 fra Ubertino e la beata Angela da

Foligno, seguito da quello con il beato Giovanni da Parma, predecessore di san Bonaventura nel

generalato dell’Ordine: sono gli insegnamenti di questi due maestri, insieme all’ Indulgenza della

Porziuncola ricevuta nello stesso anno ad Assisi, a riportare il frate, con ancor più convinzione,

sulla strada del Signore.

Dal 1289 al 1304 Ubertino da Casale si dedica alla predicazione in Toscana, Umbria e

Marche, per diffondere il più possibile non solo il suo ideale di povertà assoluta, nel rispetto

ortodosso della dottrina francescana originaria, ma anche la dottrina di Gioacchino de Flore, la

quale insegnava l’esistenza di tre periodi detti “stati”: il primo rappresentato dal Vecchio

Testamento e dalla figura del Padre, il secondo dal periodo compreso fra il Nuovo Testamento e il

1260 (data calcolata dallo stesso Gioacchino sulla base di alcuni versi dell’Apocalisse), epoca del

Figlio, e il terzo, dal 1260 in poi, governato dallo Spirito Santo. È probabilmente proprio questo

accostamento, questo far sembrare l’ideologia della povertà una sorta di maschera per argomenti

ben più estremisti quali le teorie gioachimite a causare la decadenza della figura di Ubertino quale

paladino della purezza e ortodossia francescana: secondo molti, se Ubertino fosse rimasto un umile

frate, senza pretese, e non avesse toccato argomenti di così grande importanza, non sarebbe passato

alla storia come un personaggio strambo, un “mezzo eretico”, quanto piuttosto come un eroe e

portavoce del vero messaggio francescano.

Per questa sua predicazione, Ubertino da Casale viene relegato presso il convento montano

della Verna da papa Benedetto XI; è qui che fra il 1304 e 1305 elabora la sua opera principale,

l’Arbor vitae Crucifixae Iesu, nella quale il frate non si limita ad applicare la dottrina gioachimita

alla storia della Chiesa, ma lancia pesanti accuse verso svariati pontefici romani. Sono quindi questi

gli elementi che forniscono ai suoi oppositori valide tesi a loro favore: l’operato di Ubertino

comincia ad essere mal visto, la sua compassione fin troppo spinta comincia ad essere considerata

un pretesto, e la sua mescolanza con idee eterodosse e anticlericali non fanno altro che aggravare la

situazione del frate, che verrà scomunicato.

I suoi atteggiamenti scismatici, le sue pesanti accuse e in generale il suo spirito

fiammeggiante, più adatto ad un combattente che ad un martire, lo costringono a soccombere: dopo

un breve periodo in cui opera come inquisitore, Ubertino da Casale viene richiamato ad Avignone

da papa Clemente V, in occasione del tentativo di riappacificazione fra le due fazioni scisse dei

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francescani; anche in quest’occasione il religioso viene duramente accusato per le sue osservazioni

irriverenti, tanto da essere prima costretto ad una sorta di esilio presso il convento di Liegi in Belgio

e poi a prendere l’abito benedettino. Tra scandali e voltafaccia, Ubertino da Casale vivrà i suoi

ultimi anni nell’ombra, predicando in segreto e ricevendo un’altra scomunica, prima di morire nel

1330, probabilmente assassinato.

Padre Antonio da Morano, un esempio dell’Osservanza casalese

La corrente di pensiero maggiormente seguita a Casale e nel suo circondario era comunque,

nonostante l’esempio di Ubertino e la presenza al di fuori della città di conventi appartenenti

all’ordine dei Conventuali, quella degli Osservanti.

Un esempio di queste presenze contrastanti sul territorio è Morano sul Po, paese che,

nonostante la presenza di un gruppo di Conventuali, darà i natali a un grande Osservante casalese,

che nel XVI secolo opererà attivamente sul territorio cittadino, diventando una figura chiave nella

storia del monachesimo casalese.

La data di nascita di questo individuo si perde, come buona parte della storia francescana

finora trattata, nella nebbia del tempo; analizzando però la carriera ecclesiastica di padre Antonio,

che viene autorizzato alla predicazione già nel 1527, si può supporre che, essendo l’età media dei

predicatori compresa fra 25 e 28 anni, egli fosse nato a cavallo fra la fine del ‘400 e l’inizio del

‘500. Cresciuto sotto l’influenza conventuale, padre Antonio preferirà però, maniaco della

perfezione, il rigore Osservante: egli vedeva nella predicazione popolare e nella povertà assoluta la

vera purezza dell’Ordine stesso, osservando come punti di riferimento i monaci di Trino e quelli del

convento di Santa Maria degli Angeli a Casale.

Antonio entra quindi in convento e lì si dedica al noviziato fino al 1527, quando inizia

appunto la sua opera di predicazione; dal 1530 è Guardiano di diversi conventi del territorio, fino a

quando nel 1541 non ottiene la nomina di Guardiano del convento casalese di S. Maria degli

Angeli, che manterrà fino al 1560 e poi, dopo una breve pausa, dal 1579 al 1583.

Fu insomma principalmente proprio la città di Casale il suo campo di maggior azione, poiché lì

trascorse ben quarant’anni della sua lunga vita, affrontando, come vedremo poco più avanti, dure

prove, come ad esempio la peste e la distruzione, nel 1555, del convento, a cui erano legati ricordi

preziosi dell’uomo. Nonostante tutto, padre Antonio resta simbolo integerrimo della forza e del

rigore del suo ordine, compiendo moltissime buone opere che, pur non avendo lasciato tracce

concrete nella Storia, hanno creato attorno alla figura del frate un’aura di gloria che si intuisce

dall’enorme rispetto portato da coloro i quali scrissero di lui. Si suppone egli avesse delle valide

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amicizie all’interno della nobiltà casalese dell’epoca, che garantirono la sopravvivenza dei

Francescani dopo la devastazione.

In un periodo buio, il venerabilis pater (come viene definito dallo storico Gonzaga) Antonio

da Morano fu un lume di speranza per molti, che si spense nel 1587.

I problemi del XVI secolo: peste, fame, guerra e la distruzione del

convento di S. M. degli Angeli

Il XVI secolo è per Casale ed il Monferrato in generale un periodo tenebroso, caratterizzato

da miseria e violenza: con la morte dell’ultimo dei Paleologi, Gian Giorgio, la dinastia dei signori

amati del popolo, che si sentivano fin dal profondo del cuore Monferrini, è scalzata da quella dei

Gonzaga, che considereranno il marchesato un vero e proprio territorio di conquista, curandosene

ben poco e allontanando per questo i favori del popolo, in quel periodo oppresso da un periodo di

carestia e miseria: la guerra mette in ginocchio la città, afflitta peraltro da una violentissima

epidemia di peste. I caduti a causa del morbo sono ben quindicimila e i cittadini vivono nella

disperazione.

E’ in situazioni come questa, quando la realtà supera le fantasie più oscure, che la gente

sente forte più che mai un bisogno di pace e serenità e, non trovando aiuti da parte dei poteri terreni,

decide di affidarsi a quelli celesti. Il ‘500 diventa quindi un periodo di attività frenetica per i monaci

casalesi, tra processioni, preghiere collettive e bocche da sfamare. Il convento di S. Maurizio e

quello di S. M. Degli Angeli partecipano attivamente alla gestione della situazione di emergenza,

con i frati che tentano di recare sollievo al maggior numero di persone possibile: è proprio per

questo motivo che nel corso di un secolo le morti di religiosi sono numerosissime, e i vari ordini

soffrono un periodo di grave crisi.

In particolare i Francescani furono sconvolti dalla distruzione del convento di S. Maria degli

Angeli: esso, bellissimo ed enorme, era stato fatto costruire dal pio Marchese Guglielmo VIII nei

pressi di salita S. Anna, con l’approvazione di Papa Sisto IV, per poi donarlo agli Osservanti nel

1476. Il convento fu raso al suolo nel 1555, e per questo gli Osservanti di Casale si riunirono tutti

nel convento interno alle mura, dedicato a S. Antonio Abate.

La chiesa e il convento di S. Antonio Abate

Senza più una casa, come abbiamo visto gli Osservanti che abitavano il convento di S. M.

Degli Angeli nel 1555 si trasferirono nel convento di S. Antonio abate, sito dentro le mura e donato

alla congregazione come risarcimento per il danno subito. Il convento, gestito tra il 1200 e 1500 dai

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Canonici Regolari Antoniani di Vienna in Francia, era annesso ad una chiesetta che dopo il

passaggio di proprietà da piccola e funzionale solo strettamente ad alcuni riti divenne un tempio

ampio, con l’aggiunta di un presbiterio e di un coro. In stile cinquecentesco, essa presenta anche

influssi del ‘600; i lati sono abbelliti da 10 altari a loro volta riccamente decorati con stucchi che

raffigurano gli stemmi delle antiche famiglie più importanti. Tuttavia, solamente quello dei

Montiglio, posto sull’altare maggiore, rimane intatto, probabilmente grazie a dei ritocchi che subì

nell’anno 1697 in occasione degli accordi tra la famiglia stessa e quella dei Torre: ciò è

probabilmente dovuto al fatto che il contributo dei Montiglio fu molto importante per la costruzione

della chiesa e per il suo sostentamento, poiché essi furono i maggiori benefattori e per questo

nominati proprietari dell’altare maggiore, del presbiterio e dell’organo dagli stessi Frati di S.

Antonio. La nuova chiesa del convento, fatta costruire dallo stesso padre Antonio da Morano e dai

suoi religiosi, era quindi costruita con cura, assai bella con le sue linee semplici e pulite, ma

presentava anche dei difetti architettonici notevoli, come ad esempio la sua altezza sproporzionata,

ridimensionata successivamente tramite due gallerie, che la percorrono lungo entrambi i lati.

Esclusa la sacrestia, probabilmente aggiunta posteriormente, la chiesa è lunga 36 m, larga 9 m e alta

16 m; anche la rifinitura della facciata è posteriore: risale infatti al 1785 il suo completamento, con

l’aggiunta dello stemma della città. Questa piccola meraviglia sarà l’unica costruzione francescana,

insieme al convento, a resistere nel tempo, fino ad oggi.

Dal 1620 circa, i Francescani di sant’Antonio cominciano ad essere chiamati anche Frati

della Madonna degli Angeli, e ciò causa non pochi equivoci, la cui causa è da attribuirsi al fatto che

l’altare della chiesa in questione, prima di essere dedicato a

Sant’Antonio, era appunto dedicato a S. Maria dei Fiori e

che l’iscrizione posta ai suoi piedi proveniva dall’altare

Maggiore; dalla piccola chiesa vennero trasportati in quella

nuova numerosi oggetti, come appunto l’altare principale in

legno e l’immagine della Madre di Dio.

Allo scoppio della rivoluzione francese il convento

raggiunge il massimo della sua capienza: una statistica del

1700 conta ben 27 sacerdoti, 5 studenti, 3 fratelli convertiti e addirittura 7 inservienti. Nel 1802 il

convento di S. Antonio, come tutti gli altri conventi in città, viene soppresso. A mandare avanti la

chiesa rimangono solamente 2 religiosi, Luigi Varvelli es Eraclio Avezzano, mentre il convento

rimane a servizio del governo e delle sette: esso diviene infatti, successivamente, la sede della

Loggia dei Franchi Muratori.

In seguito il convento viene adoperato anche per ospitare le scuole elementari, per opera di padre

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Evasio Natta Somasco: queste scuole vengono duramente osteggiate dall'Accademia di Genova,

l'università imperiale, che vigila sull'ordinamento didattico e disciplinare delle scuole di Casale, ma

alla fine riescono comunque ad ottenere l'autorizzazione.

Nulla viene abbattuto e non viene trasportato nessun quadro, le uniche perdite vengono

subite dalla biblioteca: oltre a molti mobili e arredi sacri, vengono sottratte anche due immagini

lavorate in arazzo, una rappresentante il Redentore adirato e l'altra Maria

Santissima pietosa in atto di intercedere. Vengono sottratti anche i sette

gonfaloni pendenti dalla volta, con Santi dell'Ordine dipinti su drappi.

Il danno morale alla chiesa resta comunque quello più grave: con i frati

dispersi e i noviziati chiusi, la Provincia muore completamente.

Durante la soppressione molti dei frati vengono uccisi e tra quelli rimasti in

vita alcuni si incorporano nella Provincia di S. Tommaso di Torino, mentre

altri preferiscono ritirarsi a vita privata. Per questo motivo il convento di

Casale, uno dei più importanti dell'antica Provincia di S. Diego, viene

aggregato a quella di Torino, a cui apparterrà per moltissimi anni e in cui

spiccherà come uno dei più importanti conventi del territorio.

Bibliografia e sitografia

P. Francesco Maccono, I francescani a Casale Monferrato, Casale Monferrato, Stab.

tipografico Miglietta, Milano e C., 1929.

Vincenzo De Conti, Notizie storiche della cittá di Casale del Monferrato, Casale

Monferrato, Tipografia Martelli, 1838 (consultato digitalmente su

https://archive.org/details/notiziestoriche04contgoog).

https://it.wikipedia.org/wiki/Ordine_francescano

http://www.ilmonferrato.it/news.php?NEWUUID=75376BC3-2FD0-4105-ACFD-

88719E19D540

https://it.wikipedia.org/wiki/Ubertino_da_Casale

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Gli Alerami

Gli Alerami furono una delle famiglie più potenti e influenti in Monferrato dal X al XIII

secolo. Nonostante ci siano varie opinioni discordanti sulla genealogia aleramica, tutti gli storici

sono d’accordo nell’affermare che il capostipite della famiglia fu il Marchese Aleramo.

Alberi genealogici:

Questo albero genealogico è stato creato mediante una collazione delle fonti in modo da

rendere più chiare le vicende dei diversi nobili Alerami.

Aleramo

Egli è considerato un personaggio “mitico”, siccome il periodo in

cui è vissuto, il secolo X, è stato tempo di svariate saghe cavalleresche.

Non sono certi i suoi natali e nemmeno lo è il modo con il quale divenne

Marchese di Monferrato. Furono molti a scrivere di lui, tre gli storici più

famosi ricordiamo: Galvano Fiamma (1340), Tommaso III di Saluzzo

(1395), l’abate Giuseppe Malaspina, Fra Giacomo d’Acqui e lo

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storiografo Ludovico Usseglio.10 Poiché ciascun autore ha sostenuto varie ipotesi sulle origini di

Aleramo, è opportuno partire dalla leggenda di Aleramo come è derivata dal racconto di Fra

Giacomo d’Acqui.

Così racconta frate Giacomo nel XIV secolo, incominciando: -Anno Ieus Christi

DCCCCXXXIIII, Imperante in Imperio Romano Ottone VI…-11 commettendo un errore nella data

siccome molto probabilmente era l’anno 913 e si trattava sicuramente di Ottone I di Savoia.

Secondo il frate, l’imperatore si era recato in pellegrinaggio a Roma, si fermarono però a Sezzadio

dove, la moglie gravida dell’imperatore, partorì un figlio maschio, che venne battezzato dai nobili

del posto. Aleramo deriverebbe da “aler” allegro e, per questo, il piccolo venne lasciato con una

nutrice tedesca a Sezzadio, di modo che i genitori potessero continuare il pellegrinaggio. I genitori

non tornarono più però e nel frattempo Aleramo crebbe e divenne un buon soldato e quando la città

di Brescia venne attaccata e l’imperatore richiamò i soldati forniti dai feudatari, Aleramo venne

mandato. Quando Ottone lo vide ne rimase ammaliato, Aleramo allora raccontò di essere tedesco,

ma nato e cresciuto in Lombardia, l’imperatore allora prese a ben volere Aleramo che venne subito

nominato Coppiere alla mensa imperiale. Presso la corte di Ottone, Aleramo conobbe Alasia (o

Adelasia), la figlia dell’imperatore: i due si innamorarono a tal punto che decisero di fuggire dalla

corte imperiale. Così una sera con un cavallo bianco e uno bruno scapparono fra le montagne e le

colline fino ad arrivare nel Comitato di Albenga, dove Aleramo pensò che avrebbe trovato un

rifugio sicuro per vivere con la sua amata.

Costruirono un rifugio nei boschi, si sposarono ed ebbero il primo figlio Ottone, al quale si

aggiunsero poi Bonifacio, Guglielmo e Tete. Quando Ottone compì 12 anni, venne mandato a fare

lo scudiero nella curia del Vescovo. Durante questo lasso di tempo, Brescia continuava ad essere

sotto assedio, l’imperatore allora chiese aiuto anche ai Vescovi che fornirono soldati e così fece

anche il vescovo di Albenga. Il cuoco del vescovo propose ad Aleramo di andare con lui per

aiutarlo nella cucina, Aleramo, anche per vegliare sul figlio, accettò. Una volta arrivati, l’esercito

dell’imperatore subì un durissimo colpo e Aleramo, quasi provando un senso di vergogna per quei

poveri soldati, decise di partire all’attacco con degli strumenti da cucina, seguito dal figlio

sedicenne, entrambi infervorarono gli altri soldati ormai scoraggiati che li seguirono nell’impresa.

Questo gesto accrebbe la fama dello sconosciuto cavaliere, che incuriosì anche l’imperatore il quale

chiamò al cospetto il cuoco e il suo sguattero Aleramo, domandandogli chi fosse, Aleramo rispose:

-Io sono quell’Aleramo che tempo addietro sottrasse Alasia, figlia dell’imperatore, e dalla quale

10 AA.VV, Aleramo e la sua stirpe di Idro Grignolino, presentazione del Dr. Gabriele Serrafredo; edizione Ordine

Maestri Coppieri di Aleramo. 11 Idem, pag. 10.

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ebbi quattro figli di cui Ottone, che è qui con me vestito da scudiero, è il primo, mentre altri tre

sono nella foresta di Petra Ardena, con la loro madre! 12 Il vescovo andò a riferire quanto detto

all’Imperatore e gli raccontò tutta la sua storia, dicendo che era stato lui a sconfiggere l’esercito

nemico. L’imperatore, all’inizio scosso, perdonò Aleramo e chiese di convocare Alasia con i tre

figli, i quali si presentarono tutti con sontuosi abiti. L’imperatore e la consorte si commossero,

Aleramo e i figli vennero poi nominati cavalieri da Ottone, che fece fare gran festa per diversi

giorni. Un giorno Ottone, il figlio, decise di attaccare i nemici dall’altro capo della città; Aleramo

invece era andato dalla parte opposta per controllare i Bresciani, ad un certo punto i due si

incontrarono e, convinti di star combattendo contro milizie nemiche, siccome non si riconobbero,

finirono per terminare lo scontro in modo tragico: Aleramo uccise per errore Ottone. La notizia

dell’evento addolorò molto l’imperatore che rimase triste per molto tempo.

Dopo un po’ Aleramo venne fatto Marchese del Monferrato con diritto di trasferimento del

titolo agli eredi. Qui termina il racconto di Fra Giacomo d’Acqui che venne però arricchito da

scrittori successivi, i quali scrissero ad esempio dell’origine del nome “Monferrato”, attribuendola

al fatto che Aleramo durante la sua fuga con Alasia si fermò a battere un ferro del suo cavallo con

un mattone (“mun” mattone e “ffrà” ferrato).

Il mistero attorno alla figura di Aleramo non è mai svanito, lasciando scrittori e storici

fantasticare sulle sue origini, alcuni addirittura sostengono che sia discendente di Liutprando o di

Carlo Magno; l’ipotesi più accreditata è però quella di Ludovico Usseglio, il quale sostenne che

Aleramo era di nazionalità salica, figlio di un conte Guglielmo, ancora vivo nel 961.Bisogna però

tenere conto che non ci sono fonti certe sullo svolgimento della vita di Aleramo, ma sono tutte

opere letterarie, che spesso distorcono la realtà dei fatti. Molti studi storiografici, infatti, sostengono

che ad essere stato ucciso per errore da Aleramo fu il figlio secondogenito Guglielmo II, mentre

Oddone rimase vivo e si stabilì in Monferrato.

Oddone

Si stabilì in Monferrato e creò un marchesato a se stante. Secondo molti storici, nel 969

venne affiancato al Governo dal padre, non poté però regnare a lungo, siccome morì

improvvisamente per cause non certe. Spartì il governo tra i suoi figli, il primogenito Riprando e il

secondogenito Ranieri (anche conosciuto come Guglielmo I).

12 Idem, pag. 12.

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Riprando

La sua reggenza non fu segnata da eventi importanti se non la fondazione dei casati di

Occimiano, Viaragi e Montechiaro. Durante il suo periodo di governo venne investito della carica

religiosa di Vescovo di Novara.

Ranieri I/ Guglielmo I

E’ citato in un “privilegio “del’ Imperatore Arrigo II del 1014 per la donazione all’Abbazia

di San Benigno di varie terre e molti beni. L’Irico, “scrittore trinese”, riporta anche un altro atto,

con cui lo stesso marchese Guglielmo I, nell’anno 1027, donava la Chiesa di San Maria alle

monache della Rocca. Fondò poi l’Abbazia di Lucedio, che viene considerata “una delle più

importanti località Aleramiche”13, siccome veniva scelta come luogo di sepoltura da tutta la

famiglia Alerami. Si pensa che l’origine del nome “Lucedio” derivi dal latino Locus Dei (il bosco di

Dio). In prime nozze sposò la Marchesa Waza o Uvaza, dalla quale però non ebbe figli, mentre in

seconde nozze sposò con Elena di Gloucester dalla quale ebbe un unico figlio, Guglielmo II o III.

Guglielmo II detto “Il Rinforzato”

Non vi è certezza sull’esistenza del “Rinforzato”, in quanto potrebbe essere un personaggio

frutto della fantasia degli scrittori cavallereschi. Alcuni storici però, avvalendosi dello studio di

documenti aventi come oggetto la donazione alla chiesa di Vercelli di territori in Cornale e

Matasco, sostengono l’esistenza di un Guglielmo “Il Rinforzato” che viene considerato padre o

fratello di Guglielmo III (di Ravenna).

Guglielmo “Lungaspada”

Fratello di Guglielmo III, si recò in Palestina per partecipare alle crociate, accompagnato da

una fama di buon combattente, che l’aiutò a conquistare la mano di Sibilla, sorella del Balduino di

Gerusalemme, che vedendo tramontare il proprio impero senza eredi, decise di maritare la sorella.

Guglielmo e Sibilla ebbero due figli: Corrado di Tiro, che divenne poi Re di Gerusalemme ed una

figlia di (Alasia) che si sposò con un noto scrittore italiano, Alberto Malaspina, il quale compose

insieme a Dante Alighieri alcuni versi della Divina Commedia, dedicandoli alla famiglia Alerami.

Guglielmo “Lungaspada” è un personaggio circondato dal mistero, che viene spesso scambiato

nelle genealogie con Bonifacio, un altro membro della famiglia Alerami che visse all’incirca un

secolo dopo il “Lungaspada”. Questo perché gli storici Benvenuto di S.Giorgio e Galeotto del

13 Idem, pag. 40.

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Carretto commisero un errore di trascrizione dei nomi di alcuni atti legati alla guerra di Tiberiade. A

causa di codesto errore non vi è certezza dell’anno in cui morì il “Lungaspada”: secondo alcuni

documenti, durante la guerra di Tiberiade, Guglielmo venne fatto prigioniero di Saladino nel 1187,

anno in cui si recò in Palestina, venendo poi liberato un anno dopo. Alcuni storici sostengono però

che l’anno della sua morte sia il 1187, mentre altri ancora sostengono che sia il 1183, opzione più

accreditata.14

Bonifacio I

Figlio di Guglielmo III, partecipò alla seconda e terza crociata fondando il regno di

Tessalonica, del quale fu il governatore. Alla sua morte, gli successe il fratello illegittimo Demetrio

che, sentendosi minacciato dalla pressione delle popolazioni barbare, decise di rifugiarsi alla corte

di Federico II, che gli concesse i poteri governativi a Bisanzio. Gli Alerami divennero così parte

delle dinastie regnanti dell’Impero orientale.

Guglielmo “Il Vecchio”

Portò molto potere ai marchesi del Monferrato grazie agli ingenti bottini ricavati dalle

crociate e ai legami familiari con personaggi influenti dell’epoca. Sposò Giulitta figlia di Leopoldo

III e Agnese di Franconia, inoltre si dice fosse fratello di Amedeo III di Savoia, cognato di Luigi VI

Re di Francia e zio di Federico Barbarossa.

Guglielmo VII

Fu detto “il Grande” ed infatti grandiose furono le sue imprese

militari nell’Italia settentrionale, anche se le sue scorrerie, gli assedi alle

città avverse, gli incendi, le uccisioni (seppur uniti agli onori attribuiti dai

sottomessi al vincitore) possono spesso far dare un ben altro appellativo a

personaggi storici che Guglielmo VII di Monferrato, si sono fatti temere,

adulare, odiare, combattere e poi abbattere.15 Visse nella seconda metà del

XIII secolo, periodo in cui la popolazione, stanca delle lotte interne fra

14 AA.VV, Guglielmo VII il grande Marchese di Monferrato (1254-1292), Prof. Dr. Salvatore Tricerri. 15 Aleramo e la sua stirpe di Idro Grignolino, presentazione del Dr. Gabriele Serrafredo, pag.64.

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signori per il potere, si appoggiò ad una figura in grado di garantire serenità e pace. Tenuto sotto la

tutela della madre fino al 1257, poi sposò Isabella (o Elisabetta) di Gloucester ed Herenford,

ottenendo in dote 4000 marche di argento più il castello di Chivasso.

Guglielmo VII, con il suo carisma ispirò fiducia al popolo. Nel 1260 la città di Alessandria

nomina Guglielmo capitano e signore. Nel 1264 stipulò un’alleanza con Carlo d’Angiò ad Alba. In

pratica Guglielmo ghibellino e fautore dell’Impero per atavica tradizione si schierava dalla parte del

guelfo angioino. Dopo la trionfale campagna di conquista del sud Italia, conclusasi con l’annessione

di Benevento al regno, Carlo d’Angiò risaliva la penisola cercando l’alleanza di altri grandi comuni.

Molte città si unirono a lui come Cremona, Parma, Modena, Reggio, Ferrara, Piacenza, mentre

Milano, Como, Vercelli, Novara, Alessandria, Tortona, Torino, Pavia, Bergamo e Bologna erano

contrarie. Guglielmo, spaventato dal potere che Carlo stava acquisendo, gli si oppose,

riavvicinandosi all’Impero.

Nel 1271, mentre Carlo d’Angiò tornava da una campagna militare in Africa, nonostante il

suo esercito fosse ridotto agli stremi, decise di proseguire le conquiste in Italia, ottenendo anche

l’alleanza di Alessandria, Milano, Torino e molte terre della Lombardia. Guglielmo allora,

sentendosi sempre più minacciato, si alleò con i comuni di Asti, Pavia e Genova. Inoltre strinse

un’alleanza con Alfonso di Castiglia, il quale gli aveva offerto in moglie la figlia Beatrice, dopo la

morte della prima consorte di Guglielmo, Isabella. Da questa nuova alleanza ricevette delle truppe

provenienti dalla Spagna. Quando nel 1274 Papa Gregorio X elesse imperatore Rodolfo d’Asburgo,

ignorando gli accordi presi con Alfonso di Castiglia, Guglielmo ricevette altre truppe con le quali

riuscì a sconfiggere gli angioini.

Ebbe due figli: Giovanni I, che si sposò con Margherita di Savoia, e Violante che nel 1284

sposò Andronico Paleologo, figlio di Michele VIII Paleologo Imperatore d’Oriente. Per il

matrimonio della figlia, Guglielmo le diede in dote il regno di Tessalonica, siccome per lui non

aveva valore. Il marchese Guglielmo VII non riceveva alcuna utilità dal detto regno, per cui non gli

costò certo fatica il darlo in dote alla figlia. In cambio, ricevette dal genero una somma di “multa

milia byzantinorum“16e per tutto il tempo della sua vita, a spese del medesimo Andronico, 500

“stipendios milites ad faciendumguerram”17. Infatti, con tali ed altri aiuti, Guglielmo prese Tortona,

anche se venne favorito dal tradimento. Molti furono i prigionieri, fra cui anche il Vescovo

Melchiorre Borsetto, della cui uccisione il marchese venne accusato. Pare che il Vescovo sia stato

ucciso nel castello di Sorli da Negro Montemerlo, suo nemico personale, e da due capitani (qualche

16 Idem, pag. 67. 17 Ibidem.

40

cronista dice” per sbaglio”), ma molti sostennero che l’uccisione sia avvenuta per previso mandato

del marchese. E così la penso anche Papa Onorio IV, il quale comminava la scomunica al marchese

e gli imponeva la penitenza di quel misfatto di recarsi a piedi nudi ed in camicia dal luogo ove fu

ucciso il Vescovo fino alla cattedrale di Tortona e di fare la stessa cosa dalle porte di Vercelli, Ivrea,

Alba e le rispettive cattedrali di quelle città. Alcuni cronisti, però, riportavano il dolore provato dal

marchese alla notizia dell’uccisione del Vescovo, la sua pronta reazione e punizione per i

responsabili ed i solenni funerali che egli volle per il prelato, a prova dell’insussistenza delle accuse

mosse al marchese stesso18.

Guglielmo aveva acquisito molto potere perché aveva stretto alleanze con Amedeo V di

Savoia, Milano, Pavia, Brescia, Cremona, Piacenza, Genova, Asti. Si creò quindi nel 1288 una lega

contro di lui con la quale ebbe forti scontri. I suoi nemici riuscirono finalmente ad architettare un

piano per sconfiggerlo: Guglielmo venne avvisato di una “turbolenza” all’interno della città di

Alessandria, si recò quindi nella città per verificare la situazione, ma, venne catturato con l’inganno

dai suoi nemici, I Pozzi. Morì il 10 febbraio 1292 –Gli alessandrini per avere la certezza della sua

morte gli fecero sette ferite in varie parti del corpo e gli versarono in bocca piombo e lardo fuso. Le

spoglie vennero rese ai nobili di Trino i quali, per tre giorni consecutivi fecero nel Tempio Massimo

(S. Bartolomeo) solenni funerali prima della tumulazione nell’Abbazia di Lucedio.19

Giovanni I

Dopo la morte del padre Giovanni rimase l’ultimo della famiglia Alerami a governare in

Monferrato, sposò Margherita di Savoia e fu molto amato dal popolo perché riuscì a scacciare gli

avversari politici del padre da Milano e ricostruì il regno del Monferrato. Il suo regno non ebbe

lunga vita, in quanto lo stesso morì alla giovane età di 28 anni a causa di una polmonite, senza

eredi.

Il 18 gennaio 1305 sentendosi vicino alla morte, poiché non aveva avuto figli dalla consorte

Margherita di Savoia, dettava al notaio il suo testamento, lasciando eredi gli eventuali figli di

Margherita, in loro mancanza i figli della sorella Violante che, avendo sposato Andronico

Paleologo, era allora imperatrice a Costantinopoli, oppure il figlio di una terza sorella, Margherita,

sposa dell’infante di Spagna e Castiglia, ed infine, se tutti costoro rifiutavano, il dominio di

Monferrato sarebbe toccato a Manfredo IV marchese di Saluzzo anch’egli di antica discendenza

18 Ibidem. 19 Idem, pag. 69.

41

aleramica20. Con la morte del marchese Giovanni, si spegneva quel nobile casato aleramico che

aveva dominato il Monferrato per 338 anni.21

Dagli Aleramici ai Paleologi

Il 9 marzo 1305 sotto il porticato del palazzo marchionale a Trino, veniva convocato un

parlamento generale dei nobili monferrini e delle diverse comunità. Riconosciuta la necessità di

procedere alle volontà testamentarie dell’ultimo marchese aleramico, i convenuti, con formale atto

del notaio Giacomo Labra di Parma, costituivano una delegazione che andasse a Costantinopoli

dall’imperatrice Violante.

E vennero nominati a far parte della delegazione: Nicolino Bastardo di Monferrato (fratello

naturale del defunto marchese) Uguccione Pelucco, giudice; Ameotti di Prato, notaio; M. Albertino

di S. Giorgio conte di Biandrate; frate filippino di Pinerolo.

Così con l’adesione dell’imperatrice a mandare il suo secondogenito Teodoro in Monferrato,

ha inizio la seconda dinastia dei marchesi di Monferrato, quella dei Paleologi, che reggerà le sorti

delle nostre terre per altri 228 anni, prima di venir sostituita nel 1533 dai Gonzaga di Mantova, per

passare poi ai Savoia.

Bibliografia e sitografia

Questo testo è stato creato mediante l’utilizzo di fonti scritte reperite nella Biblioteca Civica

di Casale Monferrato:

A cura di Idro Grignolio, Aleramo e la sua stirpe, presentazione del Dr. Gabriele Serrafredo;

Casale Monferrato, Edizione: Ordine Maestri Coppieri di Aleramo, anno di edizione non riportato

AA.VV., La leggenda di Aleramo ne “le Chevalier Errant” di Tommaso III di Saluzzo,

editore: Araba fenice, anno di edizione non riportato

Prof. Salvatore Tricerri, Guglielmo VII il Grande marchese di Monferrato (1254-1292),

anno 1908 – fascicolo 1 – pp. 24/57 I parte/inizio, anno 1908 – fascicolo 2 – pp. 154/182 II

parte/fine.

20 Idem, pag. 71. 21 Ibidem.

42

I Paleologi

43

I Paleologi nel Monferrato

Di famiglia bizantina appartenenti alla grande nobiltà, i Paleologi cominciarono ad

affermarsi verso la fine del XI secolo, diventando grandi proprietari terrieri e grandi capi militari.

La dinastia dei Paleologi entrò nella storia del Casalese nel 130522, sostituendosi alla dinastia degli

Aleramici, a quell’epoca al comando del Monferrato23. Ma chi erano i Paleologi e perchè sono così

importanti per il Monferrato?

La Vita e le origini

Una sorella del defunto marchese Giovanni I24, Violante, consorte dell'imperatore

Andronico Paleologo, chiamata alla successione, mandò in Italia il secondogenito Teodoro I (1305-

38), il quale dovette difendere con le armi il suo stato dalle pretese dell'Aleramico Manfredo IV di

Saluzzo. Il riconoscimento e l'investitura che Teodoro ottenne da Enrico VII (1310) pose termine

alla questione. Giovanni II (1338-1372), ardito e ambizioso, prese parte attiva alle lotte locali,

combattendo a volta a volta contro gli Acaia, gli Angiò, i Savoia, i Visconti, assicurando Asti alla

sua casa, togliendola proprio agli ultimi. Il figlio Secondotto (1372-78) si lasciò riprendere la

preziosa conquista da Gian Galeazzo Visconti, compromise, con la sua politica inetta, le sorti dello

stato, si alienò l'animo dei sudditi per i suoi istinti violenti e sanguinari, e finì assassinato. Il suo

fratello minore Giovanni III (1378-81) cadde combattendo a fianco del tutore Ottone di Brunswick,

marito di Giovanna I d'Angiò, contro Carlo di Durazzo a Napoli, lasciando il marchesato al terzo

fratello, Teodoro II (1381-1418), che guerreggiò a lungo per difendersi dalle insidie dei Savoia,

tenendosi quasi sempre stretto ai Visconti ed ebbe per qualche anno (1409-13) la signoria di

Genova, nonché il vicariato imperiale della Lombardia (1414). Sotto il governo del fiacco e

malaccorto Gian Giacomo (1418-45), una buona parte del Monferrato cadde per i raggiri di

Amedeo VIII nelle mani dei Savoia. Neppure i successori, cioè il timido Giovanni IV (1445-64), il

fiero e valoroso Guglielmo VIII (1464-83) e Bonifacio III (1483-94), vecchio e stanco, riuscirono

mai a liberarsi dalla stretta sabauda, ma poterono evitare il peggio soltanto cercando protezione e

difesa nei duchi di Milano, infidi amici, nell'impero e nella Francia. La debolezza del marchesato e

22 Un ramo dei Paleologi tenne Mistra, Morea, dal 1386 al 1460. Un altro ramo, per il matrimonio di Violante, Irene,

figlia di Guglielmo di Monferrato, con l'imperatore Andronico II, ebbe il marchesato di Monferrato dal 1305 al 1533. 23 Cfr. AA.VV., Ai marchesi del Monferrato di stirpe paleologa, a cura di Sr. Maffei, Casale Monferrato ,30 marzo

1835. 24 Ultimo erede della dinastia degli Alerami

44

la temuta prossima estinzione dei Paleologi suscitarono alla fine del sec. XV le cupidigie degli stati

vicini25. Ma Bonifacio III ebbe in tarda età due maschi: Guglielmo IX (1494-1518), a cui successe il

figlio Bonifacio IV (1518-30), e Gian Giorgio (1530-33), che assunse il potere, quando il nipote

perse la vita a causa di una caduta da cavallo. Con Gian Giorgio terminò la dinastia e il marchesato

passò a Federico II Gonzaga di Mantova, che aveva sposato Margherita, sorella di Gian Giorgio26.

Quella dei Paleologi fu l'ultima dinastia imperiale bizantina. L'età paleologa fu quella del

tramonto e della caduta dell'Impero bizantino, sempre più isolato dall'Occidente ed esposto alla

progressiva conquista dei Turchi ottomani.

Gian Giorgio Paleologo è l’ultimo imperatore maschio della dinastia Paleologi del

Monferrato. Alla sua morte, avvenuta nel 1533, si è ufficialmente concluso il periodo Paleologo del

Monferrato. Inizialmente il Monferratdi feo fu affidato a Carlo V, solo 3 anni dopo è passato in

mano, come di diritto, alla sorella, Margherita Paleologi e dunque al marito Federigo II Gonzaga,

primo della dinastia che ne prenderà il controllo fino al 1708.27

Tra le opere più importanti costruite dai Paleologi ricordiamo il Palazzo di Lu, il castello di

Casale Monferrato e la chiesa di San Domenico

Palazzo Paleologi di Lu

Del palazzo dei Paleologi di Lu si

sa solo che fu realizzato nel 1350 perché i

Paleologi dominarono per un piccolissimo

lasso di tempo Lu, dopo l’estinzione della

dinastia aleramica28 e solo in seguito Lu

fu sottoposta al dominio dei Visconti e

successivamente dei Bobba29. Nonostante

l’estinzione del dominio paleologo, il

palazzo da loro costruito rimase centro

politico e le sue mura vennero utilizzate da altre dinastie per decidere le sorti del Monferrato. Nel

palazzo di Lu, secondo una leggenda, vi è un pozzo nel centro del cortile coperto da una pietra in

cui venivano precipitate le persone non accette al governatore30.

25 Savoia, Milano e Saluzzo. 26 Cfr. AA.VV., La morte di Gian Giorgio Paleologo, a cura di Dott. Flavio Valerani, Alessandria, Società poligrafica

1909-1910, p. 17. 27 Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Paleologi 28 Cfr. http://palazzopaleologi.com/monferrato/lu-monferrato 29 Dinastia locale che favorì la rinascita culturale ed economica del paese 30 Cfr. AA.VV., Lu attraverso i secoli, a cura di Pietro M. Rinaldi, Torino, Bottega d’Erasmo, 1983.

45

Castello di Casale Monferrato

La costruzione del Castello dei

Paleologi fu iniziata da Giovanni II Paleologo

nel 1352 che scelse di edificarlo in una

posizione strategica. Infatti, girato verso

ponente, il castello era protetto dal Po e

inoltre, non troppo distante, c’era la Porta

Acquarola31. Quasi sicuramente, inizialmente

il castello era composto da una sola torre con

spessi muri circondata da un fossato, in seguito, Giovanni Paleologo lo ampliò aggiungendo altre tre

torri circolari e un muro di difesa, con all’esterno un fossato. 32 Nonostante la disapprovazione dei

casalesi, il castello fu terminato nel 1357 e fu costruito anche un ganglio33 fortificato, chiamato

Rocchetta vicino alla porta Vaccaro (attuale Piazza Statuto). Originariamente il castello si

presentava come una costruzione quadrangolare con torri d’angolo e una torre grande, merlata, che

pare sia composta dai resti dell’antica porta Aquarolio, inglobata nella struttura, esternamente il

complesso era difeso da un fossato con una

siepe e da un rivellino34 a forma di torre.

Successivamente venne ristrutturato e abbellito

da Guglielmo VIII Paleologo nel 1469 circa,

poco dopo, il fratello Bonifacio V aggiunse i

ghibellini35. Quando il castello passò nelle

mani dei Gonzaga di Mantova, alla morte

dell’ultimo Paleologo, venne ulteriormente

rinforzato infatti perse la sua funzione di

dimora, per diventare una fortezza: vennero infatti potenziati i fianchi, le torri e furono aggiunti i

rivellini. Oggigiorno non è possibile vedere la struttura edificata dai Gonzaga perché alcune parti,

come i rivellini, sono state demolite a causa della necessità di spazio.

L’edificio ha pianta esagonale asimmetrica con quattro torrioni angolari, circondato da un

ampio fossato. Sul portone principale è presente uno stemma marmoreo rappresentante le tre

31 Porta posta vicino al castello che conduceva alle colline 32 Cfr. http://www.casale-monferrato.al.it/castello” 33 Costruzione finalizzata al miglior controllo del territorio 34 Fortificazione indipendente posta a protezione di una porta di un edificio maggiore 35 Merli del castello con la sommità a cosa di rondine, cfr. http://www.comune.casale-monferrato.al.it/castello

46

famiglie più importanti del Monferrato, cioè gli Alerami, i Paleologi e i Gonzaga. Sul davanti si

notano i resti di una porta con ponte levatoio e di una “tenaglia”, poi abbattuta36.

Chiesa di San Domenico

La chiesa di San

Domenico fu costruita da

Guglielmo VIII Paleologo, che

aveva scelto Casale come

capitale del suo Stato per far

risaltare la città e per renderla

degna del suo rango. Essa fu

costruita per onorare il santo,

infatti Guglielmo, rimasto

vedovo di Maria di Foix, senza

eredi, sposò Elisabetta Sforza e,

preoccupato per la sua

discendenza, fece voto «ad

obtinendam prolem37» di costruire una grande chiesa. La costruzione della chiesa iniziò dopo la

nascita della figlia Bianca nel 1472, ma ne restano sconosciuti gli architetti. Non si sa ancora di

preciso se la chiesa fu eretta dal Bramantino38, o fu opera di G. Battista de Paris. Nel 1483, dopo il

terzo matrimonio con Bernarda di Brosse, egli moriva senza gli sperati eredi, mentre i lavori della

costruzione andavano a rilento. A succedergli fu Bonifacio V che, in seconde nozze, sposò Maria di

Serbia e finalmente, nel 1486, nasceva il sospirato erede Guglielmo IX, seguito poi dal

secondogenito Gian Giorgio. Quando Bonifacio morì, la chiesa non era ancora terminata e due anni

dopo morì anche sua moglie di tisi. La chiesa fu terminata con Guglielmo IX nel 1506 e fu

consacrata nel 1513 da Mons. De Schelini39, Vescovo di Acqui. Adiacente alla chiesa, fu edificato

negli stessi anni anche il convento che però in epoca napoleonica fu diviso e venduto a privati.

Oggi, nella lunetta marmorea posta sul portale sono rappresentati Guglielmo VIII, Bonifacio

V e Maria di Serbia che ringraziano la madonna presentando Guglielmo IX. Sempre nella parete

frontale, è presente un rosone che rappresenta i segni dello zodiaco.

36 Come citato in “Casale com’era nelle cartoline d’epoca”, p. 96. 37 Cioè “con il fine di ottenere una prole”. 38 Bartolomeo Suardi discepolo del Bramante 39 Cfr. AA.VV., Casale com’era nella cartoline d’epoca, a cura di Bazzani, Caire, Cattaneo, Villanova Grignolio, 1980,

pp.61 - 64.

47

Mentre veniva costruita, il progetto inziale subì delle modifiche, tra cui il grande portale di

arenaria40, che è stato sovrapposto alla facciata. L’interno è ricco di opere d’arte, in modo

particolare si notano gli altari, il marmoreo mausoleo con statua di Benvenuto San Giorgio e le tele

rappresentanti scene religiose e belliche. Inizialmente la chiesa era suddivisa in quattro navate, ma

una venne eliminata dai dominicani per rendere la chiesa più simmetrica41.

In conclusione si può affermare che la

dinastia Paleologi è stata molto importante e

influente nella storia di Casale, tanto da

dedicarle una via, per l’appunto Via Paleologi.

Via Paleologi, una delle più antiche vie, è situata

nel centro storico della città, vicino alla

cattedrale del Duomo. Nel Medioevo, la via

costituiva un ampio tratto del «cammeo», cioè la

forma ovale urbana caratteristica della città

medioevale.

40 Ad opera del Sammichele 41 Cfr. AA.VV., Casale com’era nella cartoline d’epoca, a cura di Bazzani, Caire, Cattaneo, Villanova Grignolio, 1980.

48

Sitografia

Vita dei Paleologi

http://www.sapere.it

www.tuttostoria.net

https://it.wikipedia.org/wiki/Paleologi

Castello di Casale

https://web.infinito.it/utenti/a/amici.natura/ogm-free.htm

https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_dei_Paleologi_(Casale_Monferrato)

http://www.comune.casale-monferrato.al.it/castello

www.tuttostoria.net/medio-evo.aspx?code=252

http://www.alboscuole.it/Articoli.aspx?cod=r0c2rw0803f1c4jw1414h2c4wp2524k3w7te303

7r4u7in4641-12699

Palazzo Paleologi di Lu

http://www.palazzopaleologi.com/monferrato/lu-monferrato

http://www.palazzopaleologi.com/la-corte-dei-paleologi

www.comune.lu.al.it/_old/pages/storia.php

Bibliografia

Vita dei Paleologi

AA.VV., Guida di Casale, a cura della Proloco di Casale Monf.to, Casale Monferrato,

Stabilimento grafico Marietti, 1973.

AA.VV., Ai marchesi del Monferrato di stirpe paleologa, a cura di Sr. Maffei, Casale

Monferrato ,30 marzo 1835.

AA.VV., La morte di Gian Giorgio Paleologo, a cura di Dott. Flavio Valerani, Alessandria,

Società poligrafica 1909-1910.

AA.VV., La famiglia paleologo, a cura di Charles A. Gaugi, Peter Mallat, Mestre, 1985.

49

Castello di Casale

AA.VV., Casale com’era nella cartoline d’epoca, a cura di Bazzani, Caire, Cattaneo,

Villanova Grignolio, 1980.

Palazzo paleologo di Lu

AA.VV., Monferrato, a cura di Giuseppe Colli, Torino, Stige editore, anno non specificato

AA.VV., Lu attraverso i secoli, a cura di Pietro M. Rinaldi, Torino, Bottega d’Erasmo,

1983.

50

San Domenico e i domenicani a Casale Monferrato

Introduzione

Casale Monferrato è un comune situato nel cuore del Monferrato (coordinate:45°08’03’’ N

8°27’30’’ E) e, per la sua importanza economica e sociale, ne è da sempre considerato la capitale

simbolica. Nei pressi di via Paleologi sorge la Chiesa di San Domenico e risulta essere la più

importante chiesa cittadina, dopo il

Duomo di Sant’Evasio. La maggior

parte delle fonti concorda sul fatto che

la fondazione della chiesa avvenne ad

opera di Guglielmo VIII Paleologo, con

la posa della prima pietra nel 1472,

dove vi è iscritta la seguente frase in

latino: MCDLXXII “FONDATA FUIT

HAEC ECCLESIA DI VI PRIS N.RE

DOMINICI ET PRAEFATUS PIISSIMUS MARC. PRIMAM LAPIDEM POSUIT IN

DEVOTIONIS TESTIMONIUM”. Secondo il saggio Chiesa di San Domenico in Casale

Monferrato, fu il marchese Guglielmo I Paleologo a posare la prima pietra il 9 luglio del 1469,

anche se non si trovano molte fonti circa questa figura. I lavori vennero ultimati da Bonifacio III nel

1506.

L’edificio apparteneva al Marchese Guglielmo VIII Paleologo ed era anticamente chiamato

l’ospedale, venne donato per la costruzione di una chiesa, voluta dal Papa, che però non poteva

essere attuata a causa della presenza di un oratorio. Così il marchese si impegnò pubblicamente il

16 giugno 1469 a migliorare la situazione entro tre anni. Dal 1473 ospita il convento e dal 1510 fu

sede del tribunale dell’Inquisizione di Casale gestita dai Domenicani. Oggi la struttura è sede

parrocchiale.

Interno e esterno della chiesa

Il portale marmoreo (1500) è rinascimentale ed è ad opera di maestranze lombarde. L'interno

è diviso da pilastri in tre navate, che reggono volte a crociera. La quarta navata, che rendeva la

chiesa asimmetrica e conteneva alcuni altari, venne murata e trasformata in un corridoio dai

Domenicani nel 1675, l’edificio acquistò così l’aspetto attuale.

51

Lavori molto più consistenti vennero invece attuati tra il 1748 ed il 1753, poiché resi

necessari per riparare i danni provocati all’edificio dalla guerra di successione austriaca.

L’architetto e Conte Francesco Ottavio Magnocavallo curò il restauro dell'antica cappella

marchionale, dandole un'impronta barocca. Abbatté tutte le strutture interne originarie del coro e

incorporò la Cappella Marchionale, portandola all’altezza della chiesa.

Rinnovò anche le pareti interne, arricchendole con stucchi e con nuove decorazioni.

All'entrata (lato destro), si trova il monumento funebre di Benvenuto Sangiorgio (storico, morto a

Casale M.to nel 1527), opera di Matteo Sanmicheli (XVI secolo). A destra della chiesa, un altare è

dedicato alla Madonna delle Grazie, dipinto quattrocentesco di scuola fiamminga, giunto a Casale al

seguito della principessa francese Anna d'Alençon. Sul portale è collocata una lunetta del '500,

raffigurante una Madonna con Bambino e i committenti dell’opera, mentre a sinistra dell'altare

maggiore, si trova la tela l’Incoronazione della Vergine, realizzata da Guglielmo Caccia, detto il

Moncalvo (sec. XVII). Sul lato sinistro della chiesa, verso l'altare maggiore, si può ammirare la tela

de La battaglia di Lepanto di G. Crosio (sec. XVII).

Sulla facciata, alle linee gotiche di contrafforti e archetti, si affianca un portale riccamente

decorato in stile rinascimentale definito “il principale monumento scultoreo realizzato a Casale in

quegli anni”. Esternamente l’intero edificio è in mattoni a vista con tetto in coppi e manifesta la sua

origine gotica attraverso i contrafforti e gli archetti intrecciati. La facciata in cotto risulta scandita

da contrafforti sporgenti, che la suddividono in tre campiture corrispondenti alle tre navate interne

della chiesa. Un imponente campanile a impianto quadrato alto circa 40 m è suddiviso in quattro

registri scanditi da lesene, bifore e cornici con archetti pensili ed emerge dal complesso monastico.

Curioso è il fatto che il rosone della chiesa presenti 16 segni zodiacali anziché 12.

La costruzione

La lunga durata della costruzione (venne infatti consacrata nel 1513) ed il fatto che tali

lavori si svolsero proprio a cavallo del passaggio stilistico tra gotico e rinascimento fanno sì che San

Domenico non abbia una struttura architettonica unitaria. Basta osservare la facciata dove, alle linee

gotiche di contrafforti e archetti, si affianca un portale decorato in stile rinascimentale. La

progettazione è attribuita al Bramantino. Questi, nato a Milano nel 1456, figlio di Alberto Suardi e

di Petrina da Sulbiate, resta orfano di padre l'8 dicembre 1480, vivendo in grande povertà a Milano.

Da quell'anno è apprendista, senza diritto di paga, dell'orafo Francesco De Caseris. Sposò nel 1504

Elisabetta della Chiesa, dalla quale avrà la figlia Giulia. Muore a Milano nel 1530. A lui si deve

probabilmente il disegno originale della chiesa.

52

Storia della chiesa

La chiesa venne affidata, come detto precedentemente, alla cura dei Padri Predicatori,

ovvero ai Domenicani, i quali la mantennero fino al 1802. L'Ordine dei frati predicatori (Ordo

fratrum praedicatorum) è un istituto religioso maschile di diritto pontificio: i frati di questo ordine

mendicante sono detti comunemente domenicani. L'ordine sorse agli inizi del XIII

secolo in Linguadoca, a opera dello spagnolo Domenico di Guzmán (nato nella vecchia Castiglia

nel 1173) che, a 35 anni, lascia il suo incarico di canonico ed intraprende la lotta contro l’eresia

albigese nella Francia del Sud. Domenico e i suoi compagni scelsero di contrastare le dottrine

eretiche sia attraverso la predicazione che attraverso l'esempio di una severa ascesi personale,

vivendo in povertà e mendicità.

Poiché per confutare le dottrine eterodosse era necessario che i predicatori, oltre a essere

esemplarmente poveri, avessero anche una solida preparazione culturale, i conventi domenicani

divennero importanti centri di studi teologici e biblici: appartennero all'ordine alcuni dei più

importanti teologi medievali, come Tommaso d'Aquino e Alberto Magno. La forma di vita di

Domenico e dei suoi compagni venne approvata solennemente da papa Onorio III con le bolle del

22 dicembre 1216 e del 21 gennaio 1217. I frati domenicani sostituirono al lavoro manuale il lavoro

dello spirito, la predicazione e l’insegnamento. L’apostolato della cultura, del sapere, non era

considerato isolatamente, ma come strumento di difesa e di propagazione della fede. Lo studio della

dottrina era fatto, non già per scopi puramente scientifici e umanistici, ma piuttosto religiosi e

sociali.

Secondo alcune fonti ‘Guglielmo II Paleologo, marchese di Monferrato, nel 1510 fondò il

tribunale del S. Uffizio (Inquisizione), la cui giurisdizione era esercitata dai Padri Domenicani e si

estendeva a tutto il Monferrato e alla provincia di Alba. Il tribunale funzionava in detto convento.

Questo ruolo fece sì che ‘Questi frati Domenicani, a mezzo di molte concessioni avute dai

Marchese Duchi di Monferrato, venivano grado a grado ad essere assenti da ogni tassa e gabella,

acquistavano pensioni e benefizi, che sarebbe troppo lungo enumerare; ed il loro convento alla fine

del secolo scorso fu uno dei più ricchi che mai esistesse”.

La chiesa è ovviamente dedicata alla figura di San Domenico. Nasce nel 1170 fu educato in

famiglia dallo zio materno, successivamente, all’ età di quattordici anni, fu mandato a Palencia,

dove frequentò corsi liberali e teologia per dieci anni. Durante le guerre, venne a contatto con le

continue miserie e carestie, infatti Domenico è molto celebre ed è venerato per aver avuto

sentimenti di compassione nei confronti delle persone più sofferenti.All’età di 24 anni seguì la sua

vocazione ed entrò tra i canonici regolari della cattedrale di Osma, dove venne consacrato sacerdote

53

dal vescovo Martino di Bazan, con l’aiuto di Diego Acevedo, il quale successivamente fu eletto

vescovo nel 1201 e nominò sotto superiore Domenico.

Il contatto vivo coi fedeli della Francia meridionale e l'entusiasmo delle cristianità nordiche

per le imprese missionarie verso l'Est, costituirono per Diego e Domenico una rivelazione. Di

ritorno da un secondo viaggio in Danimarca, scesero a Roma (1206) e chiesero al papa di potersi

dedicare all'evangelizzazione dei pagani; ma egli li orientò verso la predicazione nella Francia

meridionale. I due accettarono e, nel 1206, furono inviati missionari in Linguadoca, e Domenico

continuò anche quando si dissolse la legazione pontificia e pure dopo l'improvvisa morte di Diego

nel 1207.

San Domenico rimase in Linguadoca, come missionario, per oltre dieci anni, collaborando

con vari vescovi. Inoltre si convinse immediatamente che fosse anche necessario proporre un

esempio alternativo di esistenza, vivendo in umiltà e povertà e pian piano maturò anche l'idea di un

ordine religioso.

Nel 1212, durante la sua permanenza a Tolosa, ebbe una visione della Vergine Maria e la

consegna del rosario, come richiesta a una sua preghiera, per combattere senza violenza. Da allora il

rosario divenne la preghiera più diffusa per combattere le eresie e, col tempo, una delle più

tradizionali preghiere cattoliche. Secondo le fonti, mentre predicava in Spagna con il suo confratello

Bernardo, venne rapito dai pirati e, durante la notte, una tempesta stava facendo naufragare la nave

su cui si trovava Fra Bernardo e i pirati. Quando la Madonna offrì a Domenico una soluzione:

l'unica salvezza dalla morte certa per l'equipaggio era dire sì alla sua Confraternita del Rosario. Egli

accettò e il mare si calmò: secondo questa tradizione furono dunque i pirati i primi membri della

Casa di Maria che è la Confraternita.

Nel 1216 papa Onorio III conferì l'approvazione ufficiale all'ordine fondato da Domenico.

L'ordine crebbe e già l'anno dopo, nel 1217, fu in condizione di inviare monaci in molte parti

d'Europa, incontrando opposizioni da parte dei vescovi locali, che furono superate dalla bolla

papale, che ordinava a tutti i prelati di dare assistenza ai domenicani.

Sfinito dal lavoro apostolico (stava preparando una missione in Cumania e per questo

studiava la lingua di quel popolo) ed estenuato dalle grandi penitenze, Domenico morì nel 1221, nel

suo convento di Bologna (Basilica di San Domenico).

L’organo di San Domenico

Oltre alle funzioni religiose, la chiesa oggi ospita numerosi concerti ed esibizioni,

soprattutto a causa della presenza di un organo, considerato uno dei più importanti nella nostra

provincia (dopo quello del Duomo di Casale e Alessandria). Nel 1878, Giovanni Mentasti, fratello

54

di Paolo Mentasti, organaro che visse in Casale Monferrato, amplia lo strumento. Aggiunge un

secondo organo espressivo con relative tastiera e meccaniche, sistemato sopra il grand’organo,

aggiunge anche un registro di basso di ottava alla pedaliera.

Nel 1898 Giuseppe Gandini riaccorda lo strumento, sostituisce la vecchia pedaliera a leggio con una

rettilinea di tipo moderno e di 24 pedali, sostituisce i registri ad ancia del grand’Organo con altri

(due violini soprani e l’oboe), più conformi alla riforma ceciliana e trasforma il registro di trombone

(ottavi bassi) alla pedaliera in bombarda (sedicesimi bassi).

Nel 1931 Giuseppe Gandini ritorna in San Domenico, riaccorda l’organo, aggiunge i freni

armonici alle canne di prospetto e a molte canne interne, aggiunge un registro di viola (bassi) e due

registri di bordone, nonché l’Unda Maris al primo Organo. Nel 1960 la ditta Krengli di Novara fa

una pulitura generale dello strumento ormai in condizioni precarie. Non è stato riscontrato nessun

intervento di merito a seguito di questa riparazione, ma nel 2010 vi è una restaurazione da parte di

Fabio Stocco. La sua azienda rimette in sesto l’organo, ripristinandolo e riportandolo al suo

massimo splendore, dopo anni di restauri mancati e anche anni di inattività. Sempre nel 2010 ci sarà

poi un concerto inaugurale per festeggiare il momento tanto atteso da tutti gli appassionati di

musica organistica. Oggi è considerato uno dei maggiori esempi dell’arte organistica del

Monferrato.

In conclusione, la chiesa di San Domenico, nonostante le manomissioni, le trasformazioni, i

rifacimenti e i danni subiti durante la Seconda Guerra Mondiale (l’edificio venne infatti trasformato

in ospedale durante il conflitto) rimane, dopo il Duomo, il luogo di culto più importante ancora

esistente a Casale Monferrato.

Bibliografia e sitografia

AA.VV., 5° centenario di fondazione della chiesa di San Domenico, Tipografia operaia artigiana,

Casale.

Carlo Caramellino, La Chiesa di San Domenico, Alfa Editrice 1887.

Giovanni Minoglio, Brevi cenni storici sulla chiesa di San Domenico, Tipografia Reale 1896,

Torino.

www.arteorganisticanelmonferrato.it

www.comune.casale-monferrato.al.it

www.domenicani.it

www.santiebeati.it

www.treccani.it

www.wikipedia.it