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Progetto: Showroom Bertazzoni

Guastalla (RE), 2013-2014. Progetto di Carlo Malerba

Newsletterdi aggiornamentoprofessionale– GIUGNO 2017

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Ordine Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori - Torino – Giugno 2017 – N. 5

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Giugno 2017 – N. 5

Sommario

NEWS

Ambiente, Appalti e Lavori Pubblici, Edilizia e Urbanistica, Fisco, Professione, Sicurezza

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RASSEGNA DI NORMATIVA Ambiente, Appalti, Economia e Fisco, Immobili, Edilizia, Urbanistica e Demanio, Professione, Pubblica Amministrazione, Sicurezza

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RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA Condominio e Immobili, Edilizia e Urbanistica, Professione

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Approfondimenti LA RESPONSABILITÀ PER GRAVI DIFETTI TRA COSTRUZIONI EX NOVO E FABBRICATI ESISTENTI La Corte di Cassazione, Sez. Unite, con sent. n. 7756 del 27 marzo 2017, ha stabilito che l’art. 1669 cod. civ. è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo. Risolvono così la questione inerente l’operatività della garanzia decennale ex art. 1669 cod. civ. le Sezioni Unite, chiamate a pronunciarsi nell’ambito di una controversia che origina dall’azione risarcitoria promossa da tutti i condomini di un complesso contro la società venditrice e contro la società che, su incarico della prima, aveva realizzato sul medesimo immobile degli interventi di ristrutturazione edilizia. (Marta Jerovante, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Urbanistica24”, 19 giugno 2017)

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L’ESPERTO RISPONDE Gare, Appalti e Lavori Pubblici, Professione, Edilizia e Urbanistica

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Chiuso in redazione il 21 giugno 2017

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AMBIENTE

Terre da scavo, il decreto incassa l'ok del Quirinale e viaggia verso la Gazzetta

Riorganizzate in un unico "pacchetto" tutte le norme e le semplificazioni per il riuso dei materiali. Il Quirinale dà via libera al decreto sulle terre e rocce da scavo. Dopo averlo stoppato nella prima versione, il capo dello Stato ha appena firmato il Dpr approvato dall'esecutivo in Consiglio dei ministri a fine maggio che adesso si avvia finalmente verso la Gazzetta ufficiale. A conti fatti, è servito praticamente un anno per chiudere questa partita così attesa dal settore: la versione originale del provvedimento, infatti, era stata approvata a luglio scorso. Adesso, tutte le norme sulle terre da scavo saranno riorganizzate in un unico pacchetto: ci saranno regole semplificate per i cantieri sotto i 6mila metri cubi, tempi certi di risposta per le amministrazioni che hanno il compito di fare le analisi, deregolamentazioni per la fase di trasporto dei materiali, aggiustamenti per gli inerti, chiarimenti di tutte le definizioni. Con una correzione da segnalare. Rispetto alla prima versione del testo, infatti, è stata cancellata una norma della fase transitoria che, secondo il Quirinale, portava il rischio di una vera e propria sanatoria per i cantieri abbandonati. Le novità più importanti arrivano sul fronte delle procedure. Viene chiarita la regolamentazione dei depositi intermedi dei materiali. Viene eliminato l'obbligo di comunicazione preventiva all'autorità competente di ogni trasporto che riguardi terre e rocce da scavo, anche nei cantieri di grandi dimensioni. E viene introdotta una modalità più rapida per attestare che le terre e rocce da scavo dei grandi cantieri soddisfino i requisiti stabiliti per essere classificate come sottoprodotti e, quindi, essere reimpiegate. Il meccanismo è simile alla Scia: il proponente deposita il piano di utilizzo delle terre all'autorità competente e, poi, dopo 90 giorni, può avviare la gestione dello smarino, senza attendere un'approvazione preventiva. Il piano di utilizzo delle terre, poi, potrà essere sottoposto a modifiche in maniera più veloce rispetto al passato e potrà essere prorogato. Le Arpa, poi, dovranno effettuare le loro verifiche in tempi certi. Senza dimenticare le aree sottoposte a bonifica: anche per loro vengono riviste le procedure. Sul fronte dei piccoli cantieri, invece, ci saranno regole semplificate che, nei fatti, confermano quello che già oggi viene previsto dall'articolo 41 bis del Dl n. 69/2013: sarà sufficiente una dichiarazione sostitutiva per avviare l'apertura dei cantieri, "almeno quindici giorni prima dell'inizio dei lavori di scavo". In questo caso la novità più importante sta nelle definizioni: sono considerati di piccole dimensioni, in maniera chiara, tutti i cantieri che non superano i 6mila metri cubi totali. Viene, così, creata anche una classe intermedia: quella dei cantieri di grandi dimensioni (sopra i 6mila metri cubi) non sottoposti a Via e Aia. Anche per loro sarà sufficiente predisporre una dichiarazione sostitutiva. (Il Sole 24 ORE – Estratto da Quotidiano Edilizia e Territorio”, 19 giugno 2017)

Valutazione di impatto ambientale, al via la riforma

Il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva, lo scorso 9 giugno 2017, un decreto legislativo che, in attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo del 16/04/2014, modifica l’attuale disciplina della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) e della procedura di “Verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (VIA)”.

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Scopo del provvedimento è rendere le procedure più efficienti, innalzare i livelli di tutela ambientale, contribuire a sbloccare il potenziale derivante dagli investimenti in opere, infrastrutture e impianti per rilanciare la crescita sostenibile, attraverso la correzione delle criticità riscontrate da amministrazioni e imprese. Sul punto - per avere un’idea della necessità di strutturare un quadro normativo e regolamentare modulato su criteri di speditezza ed efficienza dell’azione amministrativa – nella relazione illustrativa al provvedimento si evidenzia che il valore complessivo degli investimenti in opere statali oggetto di procedimenti di valutazione ambientale pendenti ammonta a circa 21 miliardi di euro. Viene inoltre riportato che, nonostante la normativa vigente preveda termini più ridotti (da un minimo di 150 a un massimo di 390 giorni), le attuali tempistiche minime per lo svolgimento di una valutazione di impatto ambientale sono di circa 300 giorni fino ad un massimo di 6 anni; per la verifica di assoggettabilità a VIA, invece, si va da un minimo di 2 mesi fino ad un massimo di 2,6 anni. Sulla scorta di tali dati, il legislatore ha inteso imprimere una forte accelerazione ai procedimenti valutativi, strutturando una riforma che, innanzitutto, metta ordine all’attuale frammentazione delle competenze normative, regolamentari e amministrative tra Stato e Regioni e alla duplicazione di ruoli tra questi enti che spesso comporta un notevole rallentamento, se non in taluni casi una vera e propria paralisi, dell’iter valutativo dei progetti. In tale prospettiva, il legislatore ha reso possibile, su istanza del proponente, che la valutazione di impatto ambientale nei procedimenti di competenza statale assuma i caratteri di procedimento “assorbente” rispetto al rilascio di tutti quei titoli abilitativi e autorizzativi comunque riconducibili ai fattori ambientali analiticamente individuati dalla direttiva europea in tema di VIA, e ciò al precipuo fine di far fronte a quelle situazioni di frammentarietà di cui si è fatto sopra cenno. Occorre evidenziare al riguardo che la coerenza, la speditezza e la puntualità delle valutazioni riguardanti gli impatti ambientali di un progetto possono senz’altro rappresentare l’elemento cardine per salvaguardare efficacemente l’ambiente, consentendo, al contempo, la realizzazione degli investimenti necessari per assicurale lo sviluppo economico e la crescita sostenibile, scongiurando gli attuali fenomeni di delocalizzazione dei progetti verso aree geografiche a basso livello di regolazione ambientale. Tra gli elementi maggiormente significativi della riforma, si segnalano i seguenti: -la nuova definizione di “impatti ambientali”, modulata in perfetta aderenza alle prescrizioni della direttiva e comprendente gli effetti significativi, diretti e indiretti, di un progetto esclusivamente sui fattori elencati nella direttiva, ivi compresi quelli afferenti alla popolazione e alla salute umana, al patrimonio culturale e al paesaggio; -l’introduzione, per i progetti assoggettati a VIA statale, della facoltà per il proponente di richiedere, in alternativa al provvedimento di VIA ordinario (comprensivo della sola valutazione d’incidenza - c.d. VINCA, laddove necessaria), il rilascio di un provvedimento unico ambientale, che coordina e sostituisce tutti i titoli abilitativi o autorizzativi comunque riconducibili ai fattori “ambientali” da prendere in considerazione ai fini delia VIA; -l’eliminazione, per la verifica di assoggettabilità a VIA, dell’obbligo, per il proponente, di presentare gli elaborati progettuali (progetto preliminare o studio di fattibilità). Per l’effettuazione del c.d. “screening” sarà sufficiente, per il proponente, presentare esclusivamente lo studio preliminare ambientale, secondo quanto previsto dalla normativa europea; -la possibilità, ai fini dei procedimenti di VIA, di presentare elaborati progettuali con un livello informativo e di dettaglio equivalente a quello del “progetto di fattibilità” (come definito dall’articolo 23, comma 6, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50) o comunque con un livello tale da consentire la compiuta valutazione degli impatti ambientali; a ciò si è aggiunta l’introduzione della

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facoltà per il proponente di aprire, in qualsiasi momento, una fase di confronto con l’autorità competente finalizzata a condividere la definizione del livello di dettaglio degli elaborati progettuali necessari allo svolgimento della procedura; -l’introduzione di una facoltà per il proponente, per le modifiche o le estensioni di determinati progetti, di richiedere all’autorità competente una valutazione preliminare del progetto al fine di individuare l’eventuale procedura da avviare (c.d. “pre-screening”); -l’abrogazione dei d.P.C.M. 27 dicembre 1988, recante le norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale (SIA), e la sua sostituzione con il nuovo Allegato VII alla parte seconda del D.Lgs. n. 152/2006, perfettamente allineato ai contenuti dell’allegato IV della direttiva, al fine di eliminare qualunque fenomeno di gold-plating; -la riorganizzazione delle modalità di funzionamento della Commissione VIA, per migliorare le performances di tale organismo e per assicurare l’integrale copertura dei relativi costi di funzionamento a valere esclusivamente sui proventi tariffari versati dai proponenti. La nuova normativa prevede anche la costituzione di un Comitato tecnico a supporto della Commissione per l’accelerazione e l’efficientamento delle istruttorie; -l’eliminazione della fase di consultazione formale del pubblico della procedura di verifica di assoggettabilità a VIA, non richiesta dalla normativa europea; -la riduzione complessiva dei tempi per la conclusione dei procedimenti, abbinata alla qualificazione di tutti i termini come “perentori” ai sensi e per gli effetti della disciplina generale sulla responsabilità disciplinare e amministrativo- contabile dei dirigenti, nonché sulla sostituzione amministrativa in caso di inadempienza; -l’introduzione di regole omogenee per il procedimento di VIA su tutto il territorio nazionale, e la conseguente rimodulazione delle competenze normative delle Regioni, alle quali viene attribuito esclusivamente il potere di disciplinare l’organizzazione e le modalità di esercizio delle proprie funzioni amministrative, con la facoltà di delegarle agli enti territoriali sub regionali e di prevedere forme e modalità ulteriori di semplificazione e coordinamento; -la razionalizzazione del riparto delle competenze amministrative tra Stato e Regioni, con attrazione al livello statale delle procedure di VIA per i progetti relativi alle infrastrutture e agli impiantì energetici, considerata la loro rilevanza per l’economia nazionale, salvo limitate e puntuali eccezioni concernenti i progetti di interesse esclusivamente locale; -la completa digitalizzazione degli oneri informativi a carico dei proponenti (eliminazione integrale degli obblighi di pubblicazione sui mezzi di stampa); -la previsione di una speciale norma transitoria che, in ragione delle numerose agevolazioni e semplificazioni procedimentali introdotte dal decreto e ferma restando la regola generale sull’applicazione della normativa previgente per la conclusione dei procedimenti in corso, consente al proponente di richiedere all’autorità competente l’applicazione della nuova disciplina anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del decreto. -l’ampliamento della partecipazione del pubblico e, in particolare, dei residenti nei territori potenzialmente interessati da un progetto sottoposto a procedura di VIA, mediante il potenziamento dell’istituto dell’inchiesta pubblica e tenendo conto delle disposizioni in tema di dibattito pubblico di cui all’articolo 22 del d.lgs. n. 50/2016. -l’introduzione di un nuovo apposito articolo dedicato al procedimento autorizzatorio unico di competenza regionale che disciplina compiutamente le procedure di competenza delle Amministrazioni territoriali e che risulta integralmente autosufficiente, esaustivo e confermativo delle scelte già operate con la riforma della Legge n. 241/1990 di cui al D.lgs. n. 127/2016. (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Ambiente24”, 13 giugno 2017)

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APPALTI e LAVORI PUBBLICI

Bim. Le reazioni degli operatori: dai professionisti la richiesta di rivedere al rialzo i compensi

Le imprese criticano il mancato riferimento alle norme Uni. Per gli ingegneri servirà la redazione di un capitolato tipo per i bandi. Semaforo verde per il decreto del Mit, che in queste prime ore incassa quasi solo pareri positivi da parte degli operatori. Anche se qualche dubbio non manca: su diversi aspetti collaterali bisognerà tenere alta la guardia. A partire dalla necessità di adeguare i compensi dei professionisti. O dall’importanza che potrebbe avere la redazione di un capitolato tipo da utilizzare per i bandi. Per gli architetti, la perplessità decisiva riguarda qualcosa che nel decreto in realtà non c’è. «Dal momento che il Bim diventa obbligatorio - dice Marco Aimetti, consigliere Cnapcc con delega a lavoro e innovazione - devono essere adeguati anche i parametri con cui si calcolano i compensi. Il Bim presuppone investimenti da parte degli studi e il rilascio di un prodotto molto più complesso. Tutto questo deve essere valutato ai fini di un aumento, significativo, degli onorari». Altri punti deboli riguardano la definizione «troppo generica» dei lavori complessi cui si applicherà il Bim e la possibilità per le stazioni appaltanti di chiedere da subito la progettazione con procedure digitali delle varianti relative ai vecchi interventi. «Il Bim presuppone un processo che parta dall’inizio», conclude Aimetti. Solo apprezzamenti, almeno per ora, da parte delle società di ingegneria, che faranno il punto sul settore domani a Roma in occasione del secondo Forum Bim-Oice. Al forum verrà presentata un’analisi condotta sulle 37 gare con richiesta di progettazione in Bim emesse nell'ultimo anno e mezzo. «È un punto di partenza fondamentale - dice Antonio Vettese, responsabile del progetto Bim dell'Oice -. Giusta anche la scelta di non azzardare nel testo prassi operative che andranno trovate dal mercato. Bisogna definire un corpo delle conoscenze univoco attraverso casi pilota e sperimentazioni e a questo corpo riferire formazione, linee guida, procedure ed altre iniziative (ad esempio certificazione)». Avrebbero preferito invece qualche indicazione di merito in più le imprese di costruzioni che, per bocca del vicepresidente Ance Gianluigi Coghi, lamentano la mancata indicazione degli standard Uni nel testo. Per Giovanni Cardinale, vicepresidente del Consiglio nazionale degli ingegneri, «il testo è equilibrato e cerca una graduazione dell’obbligo sostenibile, evitando di disegnare un percorso che sia soltanto teorico». In prospettiva, però, ci sono delle questioni da monitorare: «Sarà importante redigere un capitolato digitale tipo, nel quale spero che saremo coinvolti. Poi, penso che l’attivazione di processi come questo possano far riemergere l’appalto integrato». Stefano Della Torre, presidente di Building Smart Italia, associazione che promuove pratiche innovative nel comparto edilizio, parla di «svolta significativa» e commenta positivamente l’assetto trovato sul tema dell’interoperabilità e dei software: qui il provvedimento dà solo indicazioni generali. «Si tratta di una scelta obbligata, per evitare di mettere in crisi la par condicio tra gli operatori». (Il Sole 24 ORE – Estratto da “Quotidiano Edilizia e Territorio”, 21 giugno 2017)

Bim obbligatorio dal 2019 per le opere oltre cento milioni: in consultazione il decreto Osservazioni fino al 3 luglio sulla bozza di provvedimento pubblicata dalle Infrastrutture. Toccherà alle amministrazioni formare il personale e dotarsi degli strumenti digitali. Scatterà tra poco più di un anno l'obbligo di progettare le grandi opere pubbliche con le procedure digitali del Building information modeling (Bim). Dal 2019 le stazioni appaltanti dovranno prevedere l'utilizzo del Bim per tutti i «lavori complessi» di importo superiore a cento milioni di euro. Negli anni successivi l'obbligo verrà via via esteso alle costruzioni di importo minore, fino a riguardare tutte le opere pubbliche (comprese quelle di costo inferiore al milione di euro) nel 2025. Il cronoprogramma

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di introduzione delle tecnologie di modellazione digitale per la progettazione delle opere pubbliche è al centro della bozza di decreto sul Bim che il ministero delle Infrastrutture ha messo ieri in consultazione pubblica sul sito del Formez. Il provvedimento, composto da 9 articoli, è accompagnato da una relazione illustrativa ed è aperto alle osservazioni degli operatori fino al 3 luglio. Subito dopo il ministero raccoglierà le segnalazioni, di cui terrà conto nella stesura definitiva del decreto previsto dal nuovo codice degli appalti (in attuazione dell'articolo 23, comma 13). Cosa è il Bim Il Bim è lo strumento cui è affidato il compito di rivoluzionare la gestione dei processi costruttivi. Perché permette a tutti i soggetti impegnati nel progetto (architetti, strutturisti, impiantisti, costruttori) di collaborare senza diaframmi e in tempo reale. La novità di maggiore impatto deriva però dal fatto che a ciascun singolo "oggetto edilizio" (un impianto, una parete, un infisso ecc.) vengono associate una serie di informazioni (tipologia, performance, durata attesa, costo ecc.) che tutti possono condividere e implementare. Si possono così prevenire errori, scovare nuove soluzioni, dettagliare in anticipo le fasi di manutenzione post-cantiere: insomma, mettere in piedi un processo condiviso che promette di far risparmiare su tempi e costi di realizzazione e gestione delle opere. Lavori complessi Il decreto messo in consultazione ieri precisa che l'uso delle metodologie Bim riguarderà innanzitutto i «lavori complessi». Tra questi il decreto individua quelli «caratterizzati da elevato contenuto tecnologico o da una significativa interconnessione degli aspetti architettonici, strutturali e tecnologici». Sono considerati complessi anche i lavori caratterizzati da «rilevanti difficoltà realizzative» o che richiedano «un elevato livello di conoscenza» mirato a evitare sforamenti di costi e tempi. Cronoprogramma Per questo tipo di lavori il Bim diventerà obbligatorio a partire dal primo gennaio 2019 in base a un dettagliato cronoprogramma (articolo 6 della bozza di decreto). Si comincerà con le opere di importo superiore a cento milioni. Si passerà poi - dal primo gennaio 2020 - alle opere di importo superiore a 50 milioni. Dal primo gennaio 2021 l'obbligo riguarderà anche le opere oltre 15 milioni. Un anno dopo saranno coinvolte anche le opere superiori a 5,22 milioni (attuale soglia Ue per i lavori). Mentre dal 2023 si scenderà alle opere di importo superiore al milione e dal primo gennaio 2025 anche alle opere sotto al milione. Gli obblighi per la Pa Per poter chiedere a progettisti e imprese di utilizzare metodologie Bim le stazioni appaltanti dovranno investire in formazione (articolo 3), varando un piano di aggiornamento del personale. Sarà poi necessario rispettare altre due condizioni. La prima è quella di varare un piano di acquisto e manutenzione strumenti hardware e software di gestione digitale dei processi decisionali e informativi, adeguati alla natura dell'opera». La seconda è quella di organizzare una struttura «di controllo e gestione» delle procedure. Tutte queste condizioni dovranno essere rispettate prima che scadano le date previste dal cronoprogramma in base alle varie tipologie di opere. Dopo l'entrata in vigore del decreto, le stazioni appaltanti in regola potranno richiedere l'uso del Bim anche prima delle scadenze per l'utilizzo obbligatorio. Entrata in vigore Il decreto entrerà in vigore quindici giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta e si applicherà ai bandi pubblicati dopo. Ma sarà facoltà delle amministrazioni ricorrere al Bim per le «varianti riguardanti progetti di opere relativi a bandi di gara pubblicati prima». Commissione di monitoraggio Per tenere sotto controllo gli effetti innescati dal decreto il provvedimento prevede l'istituzione di una apposita commissione di monitoraggio. La commissione, da nominare tramite un nuovo decreto del Mit, «senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica», avrà il «compito di monitorare gli esiti, le difficoltà incontrate dalle stazioni appaltanti in fase di applicazione del presente decreto, nonché di individuare misure correttive per il loro superamento».

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Formazione e investimenti Il decreto attribuisce alle stazioni appaltanti il compito di formare il personale e dotarsi degli strumenti necessari a gestire la progettazione Bim. Non ci sono però accenni a un piano nazionale di formazione per funzionari e dirigenti pubblici né risorse o incentivi per le amministrazioni che imboccheranno questa strada, se si esclude il fatto che la capacità di gestione degli appalti in Bim, ai sensi del codice, costituisce un elemento premiante ai fini della qualificazione delle stazioni appaltanti che sarà gestita dall'Anac. (Mauro Salerno, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Quotidiano Edilizia e Territorio”, 20 giugno 2017)

Appalti, il mercato rialza la testa: il boom di maggio porta i primi cinque mesi in crescita del 2,3% (6,9 miliardi)

Dati Cresme: nel confronto con lo scorso anno pesa lo stop degli enti causato dall'entrata in vigore del nuovo codice appalti ad aprile 2016. In rialzo comuni, ferrovie ed edilizia sanitaria Torna il "bel tempo" sul mercato dei lavori pubblici. Lo scossone provocato dal nuovo codice appalti nell'ultimo anno ha portato il settore a lunghi periodi di calo ai quali è seguito un lento recupero. Ora il dato di maggio fornito dall'osservatorio Cresme Europa Servizi mostra un boom di gare e importi ma la chiave sta proprio nel mese di maggio 2016, ovvero il primo mese "pieno" dopo l'entrata in vigore del codice appalti, quando le stazioni appaltanti si ritrovarono in forte difficoltà nel recepire le nuove regole e le attività di pubblicazione di gare furono pressoché azzerate. Il mercato dei bandi, quindi, dopo aver pagato dazio, ora passa alla "cassa": il mese scorso sono state promosse 1.597 gare per un importo di 1,644 miliardi. Nel confronto con maggio dello scorso anno, quando i bandi erano stati solamente 965 per appena 262 milioni, il numero di avvisi cresce del 65,5% e il valore del 526 per cento. Con questo risultato, i primi cinque mesi del 2017 tornano in positivo: +5,2% per i bandi (7.249) e +2,3% per i valori (6,996 miliardi). Stazioni appaltanti Indici in rialzo per le amministrazioni comunali che hanno promosso da gennaio a maggio 4.507 appalti (+9,8%) per 2,07 miliardi (+1,6%). Spingono sull'acceleratore anche le Ferrovie (soprattutto con Cociv) che hanno indetto 117 gare (+72%) per 1,094 miliardi (+225%). Seguono le aziende speciali con 555 avvisi (+5,3%) per 942 milioni (-44,4%), la sanità pubblica con 292 procedure (+10,6%), per 784 milioni (+83,9%), l'Anas con 129 bandi (-25%) per 329 milioni (-11%) e le amministrazioni provinciali con 351 gare (-23,2%) per 329 milioni (+3,6%). Classi d'importo Tranne i maxibandi oltre i 50 milioni, in calo del 13% (1,7 miliardi) rispetto ai primi cinque mesi dello scorso anno, tutte le altre classi mettono a segno incrementi più o meno consistenti. Tra 15 e 50 milioni il Cresme ha rilevato 38 procedure (lo stesso numero del 2015) per 1,152 miliardi (+11%), tra 5 e 15 milioni sono stati pubblicati 169 appalti (23,4%) per 1,295 miliardi (+10,9%), tra uno e cinque milioni 718 avvisi (+0,6%) per 1,625 miliardi (+1,5%), tra 500mila e un milione 687 gare (+21,6%) per 500 milioni (+22,4) e fino a 500mila euro 1.756 appalti (+9,7%) per 508 milioni (+12,5%). Il bando più grande di maggio Il Cociv ha promosso l'appalto più rilevante per i lavori di realizzazione delle opere civili e di linea e le relative opere connesse dalla pk 12+673,50 a pk 16+275,50 della tratta Av/Av Terzo Valico dei Giovi — lotto Castagnola. L'importo complessivo a base di gara è di 216.267.327 euro, di cui 212.103.714 euro per lavori a misura e di 4.163.612 euro per oneri della sicurezza non soggetti a ribasso, suddivisi in una parte fissa relativa all'esecuzione dei lavori ricadenti in parte nel secondo, terzo e quarto lotto costruttivo, per un importo complessivo di 65.965.921 euro, e in una parte

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opzionale relativa all'esecuzione dei lavori ricadenti nel quinto e sesto lotto costruttivo, per un importo di 150.301.405 euro. La gara rimane aperta fino al 5 luglio. (Alessandro Lerbini, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Quotidiano Edilizia e Territorio”, 9 giugno 2017)

Gare, verifiche più ampie sui vertici dei concorrenti

Le stazioni appaltanti devono adeguare i documenti di gara e i contratti alle nuove disposizioni introdotte dal decreto correttivo del Codice dei contratti, in vigore dal 20 maggio, nella disciplina delle procedure di gara e nelle regole sull’esecuzione degli appalti. Le amministrazioni aggiudicatrici sono tenute anzitutto a intervenire sui bandi e sui disciplinari di gara, oltre che sulla modulistica utilizzata per le istanze e per le dichiarazioni, al fine di recepire le importanti novità definite dal Dlgs 56/2017. Gli elementi esplicativi riguardanti i requisiti di ordine generale degli operatori economici devono tener conto delle nuove fattispecie riportate nell’articolo 80 del Codice dei contratti pubblici (falso in bilancio tra le condanne per reati gravi, false dichiarazioni rese in gara e iscrizione al casellario Anac per questa ipotesi) e dell’estensione del possesso dei requisiti anche agli institori, ossia a quelle figure che, operando nelle imprese con un ruolo operativo importante, non sono tuttavia immediatamente individuabili tra i soggetti con poteri di rappresentanza esterna. Nelle dinamiche di gara assume rilievo ora anche la possibilità riconosciuta ai consorzi stabili di cumulare ai propri requisiti di capacità (tecnico-professionale e economico-finanziaria) quelli delle imprese consorziate indicate come esecutrici o di poter ricorrere all’avvalimento presso imprese consorziate non esecutrici. In caso di dichiarazioni o documenti mancanti, incompleti o con irregolarità formali, l’esperimento del soccorso istruttorio da parte della stazione appaltante è realizzabile senza più l’obbligo di applicazione della sanzione all’operatore economico disattento. Per evitare situazioni delicate in relazione all’utilizzo dell’avvalimento per i requisiti di capacità, è opportuno che le amministrazioni evidenzino nei documenti di gara l’obbligo di specificazione dei requisiti prestati, in quanto eventuali formulazioni generiche di questo aspetto nel contratto tra il concorrente e l’impresa ausiliaria ne determinerebbero la nullità, con conseguente esclusione dalla procedura. I bandi e i disciplinari di gara devono ora prevedere anche le clausole sociali, in forza della modifica dell’articolo 50 che le rende obbligatorie (ma solo soprasoglia, mentre in base all’articolo 36 sottosoglia sono ancora facoltative): la loro impostazione deve peraltro essere rispettosa dei principi dell’ordinamento comunitario in materia (quindi dovendo tener conto dell’autonomia organizzativa delle imprese). Le stazioni appaltanti devono fare particolare attenzione alle novità relative ai criteri di valutazione delle offerte. Nella predisposizione dei sistemi criteriali per le procedure con l’offerta economicamente più vantaggiosa la distribuzione dei pesi ponderali tra la parte tecnico-qualitativa e quella economica deve ora rispettare il limite massimo di punteggio attribuibile al prezzo, che non può essere superiore a 30 punti rispetto ai cento complessivi. Nelle gare con il minor prezzo, invece, è opportuno che le amministrazioni evidenzino le varie novità relative al sistema di rilevazione delle offerte anormalmente basse, tra le quali spicca la previsione per cui tale rilevazione non avviene qualora vi siano meno di cinque offerte. Nei bandi e nei disciplinari di gara, e nei modelli per la presentazione delle offerte economiche, le stazioni appaltanti devono rendere in modo chiaro l’obbligo degli operatori economici di dichiarare i propri oneri della sicurezza aziendali e i propri costi della manodopera, specificando che la mancata indicazione di questi elementi essenziali dell’offerta comporta l’esclusione dalla gara. (Alberto Barbiero, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Norme e Tributi”, 29 maggio 2017)

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EDILIZIA e URBANISTICA

Prodotti da costruzione, la guida del Consiglio superiore dei lavori pubblici al decreto che ci allinea all'Europa

Nel provvedimento approvato dal governo lo scorso 9 giugno sanzioni amministrative e penali per tutti i soggetti coinvolti nella filiera legata ai materiali. Arrivano sanzioni amministrative e penali per tutti i soggetti coinvolti nella filiera legata ai materiali. Con un'attenzione particolare per i casi più delicati, come i prodotti ad uso strutturale o antincendio. È questa la novità più importante del decreto legislativo sulla commercializzazione dei prodotti da costruzione, approvato dal Consiglio dei ministri dello scorso 9 giugno. Il testo adegua la normativa nazionale alle disposizioni del europee contenute nel Regolamento Ue n. 305/2011 e fissa le regole che vanno rispettate in questo mercato. Il Consiglio superiore dei Lavori pubblici ha appena pubblicato una nota nella quale fa il punto su tutte le novità in arrivo. Il decreto, in sostanza, rivede l'intero settore nazionale dei prodotti da costruzione. L'obiettivo è adeguare la nostra legislazione: tutte le vecchie norme sono abrogate ed integralmente sostituite dal provvedimento. Il nuovo testo punta a una semplificazione e al riordino del quadro normativo nazionale e degli adempimenti per le imprese, soprattutto piccole e medie. E cerca di introdurre un maggiore coordinamento delle amministrazioni competenti e delle procedure da esse adottate nel settore, «al fine di incrementare l'efficacia dell'azione amministrativa e ridurre gli oneri per le imprese». Dal punto di vista organizzativo, viene istituito il Comitato nazionale di coordinamento per i prodotti da costruzione presieduto dal presidente del Consiglio superiore. Viene istituito l'Organismo nazionale per la valutazione tecnica europea, Itab, che ottimizza, raccogliendo in unico soggetto, le attività finora indipendentemente svolte da tre diverse amministrazioni, nel campo della valutazione europea dei prodotti da costruzione innovativi o non già coperti da norme. Allo stesso tempo, vengono aggiornate le procedure per l'autorizzazione e notifica degli Organismi di parte terza per la verifica dei prodotti da costruzione. Ma la vera innovazione del decreto è l'introduzione di un sistema di sanzioni, controlli e vigilanza sul mercato, «essenziale al fine di garantire la necessaria credibilità al settore»: si tratta di sanzioni amministrative e penali che, per i casi più gravi inerenti prodotti da costruzione ad uso strutturale o antincendio prevedono anche significative pene detentive, estese a tutti i soggetti coinvolti nella filiera (fabbricante, importatore, distributore, costruttore, direttore dei lavori o dell'esecuzione, collaudatore, organismi e laboratori di parte terza). Per informare gli operatori sui contenuti del testo, "il Consiglio superiore dei lavori pubblici ha già avviato la predisposizione delle necessarie iniziative di informazione e formazione dei professionisti, degli operatori economici e delle imprese coinvolte, al fine di garantire la massima efficacia nel raggiungimento degli obiettivi proposti, volti, come detto, al bene comune della sicurezza e qualità delle opere". (Il Sole 24 ORE – Estratto da “Quotidiano Edilizia e Territorio, 20 giugno 2017)

Costruzioni: -4,1% produzione ad aprile, -4,6% su anno

Ad aprile 2017 l'indice destagionalizzato della produzione nelle costruzioni registra una diminuzione del 4,1% rispetto a marzo. Lo comunica l'Istat. Nello stesso mese, gli indici di costo del settore aumentano dello 0,2% per il fabbricato residenziale, dello 0,1% per il tronco stradale senza tratto in galleria, mentre si registra una variazione nulla per il tronco stradale con tratto in galleria. Nella media del trimestre febbraio-aprile l'indice destagionalizzato della produzione nelle costruzioni è aumentato dello 0,9% rispetto al trimestre precedente. Su base annua, ad aprile 2017 si registra un calo del 4,6% per l'indice della produzione nelle

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costruzioni corretto per gli effetti di calendario e dell'11,0% per quello grezzo (i giorni lavorativi sono stati 18 contro i 20 di aprile 2016). Sempre su base annua, gli indici del costo di costruzione aumentano dello 0,7% per il fabbricato residenziale, dello 0,8% per il tronco stradale con tratto in galleria e dell'1,0% per quello senza tratto in galleria. Ad aprile 2017, il contributo maggiore all'aumento tendenziale del costo di costruzione del fabbricato residenziale è da attribuire all'incremento dei costi dei materiali (+0,9 punti percentuali). Il contributo maggiore all'aumento tendenziale degli indici del costo di costruzione dei tronchi stradali deriva dall'incremento dei costi dei materiali sia per quello con tratto in galleria (+0,9 punti percentuali) sia per quello senza tratto in galleria (+1,1 punti percentuali). (Il Sole 24 ORE – Estratto da “Tecnici24”, 19 giugno 2017)

Edifici storici, in vigore la norma UNI EN per migliorare la prestazione energetica

E’ entrata in vigore ieri, 15 giugno, la UNI EN 16883:2017 “Conservazione dei beni culturali - Linee guida per migliorare la prestazione energetica degli edifici storici”. La norma – che non si limita agli edifici ufficialmente designati come bene culturale, ma si applica agli edifici storici di ogni tipo ed età – fornisce le linee guida per il miglioramento sostenibile della prestazione energetica degli edifici storici, come edifici notevoli dal punto di vista storico, architettonico o culturale, nel rispetto del loro significato di bene culturale. Il documento contiene una procedura normativa di lavoro per la scelta degli interventi migliorativi della prestazione energetica, basata sulla investigazione, sull’analisi e sulla documentazione dell’edificio, compreso il suo significato di bene culturale. La procedura valuta l’impatto di questi interventi in relazione alla conservazione degli elementi caratterizzanti l’edificio. (Il Sole 24 ORE – Estratto da “Tecnici24”, 16 giugno 2017)

Manovra: dagli ecobonus agli stadi, tutte le novità per le costruzioni L'iter ha completato il suo percorso con l'approvazione definitiva, arrivata in Senato con 144 voti favorevoli, 104 contrari e un astenuto Dalle modalità di attestazione della regolarità fiscale con il Durc negli appalti per chi utilizza la rottamazione delle cartelle esattoriali, fino alle novità sugli stadi, con una limitata apertura alla realizzazione di edifici residenziali. Passando per i cambiamenti su ecobonus e sismabonus, sul trasporto pubblico locale, sull'edilizia scolastica, gli studi di settore, il bonus alberghi e l'Anac. Sono molte le novità che, con il passare dei giorni, sono entrate nella manovrina di primavera, che ha appena completato il suo percorso con l'approvazione definitiva, arrivata ieri in Senato con 144 voti favorevoli, 104 contrari e un astenuto. In attesa della Gazzetta ufficiale, facciamo allora il punto sui contenuti del testo. Durc (articolo 1 quater) I certificati di regolarità fiscale, incluso il Durc, in caso di definizione agevolata dei debiti tributari tramite rottamazione delle cartelle, «sono rilasciati a seguito della presentazione da parte del debitore della dichiarazione di volersene avvalere». In questo modo si elimina l'anomalia che impediva a chi avesse chiesto la definizione agevolata di partecipare ad appalti pubblici. Questa regolarità fiscale, però, viene meno nel caso in cui la domanda di definizione agevolata dei debiti venga meno, «anche a seguito del mancato, insufficiente o tardivo versamento» di una delle rate. Ecobonus incapienti con cessione dei crediti alle banche (articolo 4 bis) In base alla nuova norma gli incapienti a basso reddito potranno cedere il credito fiscale del 65% direttamente alle banche, incassando subito il denaro (o almeno gran parte). Si potranno così sbloccare le grandi operazioni di adeguamento dei condomini. Il nuovo meccanismo, quindi,

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riguarderà i contribuenti con reddito lordo annuo sino a 8mila euro, che anzi (come era stato previsto in un altro emendamento alla legge di Stabilità 2016, poi "tagliato"), saranno avvantaggiati perché le banche saranno probabilmente più interessate di imprese e privati ad acquisire i crediti fiscali e con aggi più ragionevoli per la spendibilità dei crediti nell'ambito della loro economia fiscale. La facoltà è limitata alle operazioni sulle parti comuni dei condomini. Il testo, però, non considera il sismabonus che, di fatto, risulta escluso dalla cessione. Stop agli studi di settore (articolo 9 bis) Dal periodo di imposta 2017, arrivano gli indici sintetici di affidabilità fiscale: riguarderanno imprese e professionisti. Gli indici "rappresentano la sintesi di indicatori elementari tesi a verificare la normalità e la coerenza della gestione aziendale o professionale, anche con riferimento a diverse basi imponibili, ed esprimono su una scala da 1 a 10 il grado di affidabilità fiscale riconosciuto a ciascun contribuente, anche al fine di consentire a quest'ultimo, sulla base dei dati dichiarati entro i termini ordinariamente previsti, l'accesso" a un apposito regime premiale. Sarà un decreto del ministero dell'Economia a regolarli entro il 31 dicembre di quest'anno. Bonus alberghi (articolo 12 bis) Il bonus alberghi del 65%, con tetto massimo a 200mila euro, allarga ulteriormente il suo raggio d'azione, dopo che già l'ultima legge di Bilancio lo aveva potenziato in maniera notevole. Sarà riconosciuto anche per le spese per l'acquisto di mobili e componenti d'arredo, "a condizione che il beneficiario non ceda a terzi né destini a finalità estranee all'esercizio di impresa i beni oggetto degli investimenti prima dell'ottavo periodo d'imposta successivo". Acquisto di immobili pubblici (articolo 14 bis) Le limitazioni della spending review che impediscono ai Comuni di acquistare immobili, salvo che ci siano esigenze particolari di indifferibilità dell'investimento, non si applicano agli enti locali che procedano alle operazioni di acquisto di immobili "a valere su risorse stanziate con apposita delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica o cofinanziate dall'Unione europea ovvero dallo Stato o dalle regioni e finalizzate all'acquisto degli immobili stessi". Sono, di fatto, consentite deroghe mirate. Edilizia scolastica (articolo 25) Per il finanziamento degli interventi in materia di edilizia scolastica è autorizzata la spesa di 15 milioni di euro per l'anno 2017 in favore delle province e delle città metropolitane. Trasporto pubblico locale (articolo 27) Molte le novità in materia di trasporto pubblico locale: il decreto ha, di fatto, incamerato la riforma Madia stoppata dalla Corte costituzionale. I costi standard saranno utilizzati per definire la parte economica dei contratti di servizio, a partire del 2018. E serviranno anche come criterio per distribuire il fondo destinato alle Regioni a statuto ordinario. Un decreto del Mit potrà rideterminare la percentuale in base alla quale il 35% dei costi operativi delle società di Tpl deve essere coperto con ricavi da traffico: andrà riconsiderata anche guardando il livello effettivo di domanda di trasporto. Regioni e Comuni potranno modificare i sistemi tariffari, anche guardando all'applicazione dell'indicatore Isee: quindi, chi guadagna di più pagherà di più. Ancora, i nuovi contratti di servizio non potranno prevedere la circolazione di veicoli a motore Euro 0 od Euro 1. Infine, nel decreto arriva anche la norma sul trasporto su gomma interregionale che esclude Flixbus. Sismabonus (articolo 46 quater) La norma votata da Montecitorio mette una toppa su una delle mancanze fondamentali della legge di Bilancio, denunciata più volte proprio dalle imprese del settore: lo scarso impatto del sismabonus sulle operazioni più rilevanti. L'emendamento, però, prevede una limitazione: si applica solo alle zone ad elevato rischio sismico (zone 1). In questi casi, le imprese potranno effettuare la messa in sicurezza degli edifici mediante demolizione e ricostruzione, "allo scopo di ridurne il rischio sismico". Questi interventi potranno essere anche combinati con i piani casa regionali, laddove questi prevedano la possibilità di variazione volumetrica rispetto alla sagoma preesistente. Questi investimenti potranno essere impacchettati e rivenduti, con lo sconto fiscale incorporato.

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Entro diciotto mesi dalla data di conclusione dei lavori, infatti, i costruttori potranno vendere gli immobili e cedere le relative detrazioni di imposta agli acquirenti. E qui arriva un'altra novità molto importante: gli sconti avranno delle aliquota speciali, riprese di peso dagli sconti per le parti comuni degli edifici condominiali. In caso di salto di una sola classe lo sconto sarà del 75 per cento, mentre per il doppio salto si sale all'85 per cento "del prezzo della singola unità immobiliare, risultante nell'atto pubblico di compravendita". Il tetto massimo di spesa è di 96mila euro. Altri interventi sul trasporto (articolo 48) Per il trasporto su gomma, quando un servizio subisce una cancellazione o un ritardo superiore a trenta minuti per i servizi urbani e a sessanta minuti per i servizi di ambito regionale i passeggeri avranno diritto al rimborso del prezzo del biglietto da parte del vettore o della quota giornaliera in caso di abbonamento. Poteri e organizzazione Anac (articoli 52 ter e quater) Viene parzialmente ripristinato il potere dell'Anac cancellato dal correttivo al Codice. L'Autorità non potrà più sanzionare le amministrazioni, ma sarà legittimata ad agire in giudizio per impugnare i bandi emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici. Per segnalare problemi alle Pa, potrà emanare un parere motivato nel quale indicare specificamente i vizi di legittimità riscontrati. L'Autorità potrà anche definire, con un apposito regolamento, la propria organizzazione interna e l'ordinamento giuridico del suo personale. Sicurezza antisismica A 24 e A 25 (articolo 52 quinquies) Tenuto conto della necessità di mettere in sicurezza le due autostrade A24 e A25, l'obbligo del concessionario di versare le rate del corrispettivo della concessione per il 2015 e il 2016 viene sospeso, previa presentazione di un piano di convalida degli interventi urgenti da effettuare. La dilazione vale 55,8 milioni di euro ogni dodici mesi. Norma stadi (articolo 62) Arriva lo stop ai complessi residenziali. E il via libera soltanto agli alloggi strumentali alle esigenze di atleti e dipendenti della società, entro il 20% della superficie utile totale. Finisce così la polemica sulla nuova legge stadi, inserita nella manovrina di primavera. La legge di conversione del decreto corregge così la prima versione del testo (che dava il via libera al residenziale), dopo le richieste che erano arrivate da più parti. Ma non solo. Il progetto definitivo dovrà contenere alcuni documenti nuovi, per blindare la sostenibilità dell'operazione: la bozza di convenzione urbanistica con gli interventi di urbanizzazione e il piano economico finanziario, con i nomi delle banche che appoggiano l'investimento. (Giuseppe Latour, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Quotidiano Edilizia e Territorio”, 16 giugno 2017)

Regolamento edilizio: solo Lazio, Liguria e Puglia hanno rispettato la scadenza e recepito lo schema-tipo

Tutte e tre le Regioni hanno varato l’allegato con l’elenco delle norme statali alle quali attenersi nello svolgimento dell’attività edilizia, aggiungendo la lista delle rispettive delibere, regolamenti e leggi regionali Le Regioni non sembrano avere fretta di recepire il regolamento edilizio tipo. Per essere in regola con la tabella di marcia, stabilita dall’intesa raggiunta nella riunione della Conferenza unificata del 20 ottobre 2016, avrebbero dovuto farlo entro lo scorso 18 aprile. Quella scadenza è stata rispettata solo dalla Puglia e dalla Liguria; anche il Lazio ha approvato la delibera di recepimento (ma formalmente dopo quella data). In ogni caso la giunta regionale, già da novembre 2016, aveva approvato una delibera per avviare una consultazione con le Province e la Città metropolitana di Roma Capitale. Tutte e tre le Regioni hanno varato l’allegato con l’elenco delle norme statali alle quali attenersi nello svolgimento dell’attività edilizia, aggiungendo la lista delle rispettive delibere, regolamenti e leggi

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regionali. Una preoccupazione comune è stata di rendere il più agevole possibile l’attività dei Comuni per adeguare i loro regolamenti. Ad esempio, nel Lazio i 180 giorni concessi ai Comuni per rivedere i propri regolamenti non valgono per le aree terremotate: qui i sei mesi scatteranno solo quando verrà decretata la fine dell’emergenza. Le Province e la Città metropolitana di Roma potranno proporre modifiche e osservazioni alle proposte di regolamento adottate dai Comuni e sottoposte al loro vaglio; non è ben dettagliato, nella delibera, come i Comuni debbano comportarsi in caso di contenzioso. La regione Liguria è intervenuta sulla tabella contenente le definizioni dei 42 parametri edilizi, per orientare i Comuni nell’individuazione di quelle immediatamente applicabili (soppalco, sottotetto, pertinenza, balcone) e di quelle la cui applicazione è demandata all’adeguamento dei piani regolatori (quasi tutte quelle che riguardano la superficie e il volume). Le competenze dei Comuni sono state specificate in Puglia con una legge regionale, dopo che la materia era già stata trattata con due delibere della giunta. Le amministrazioni comunali devono adeguare, con delibera del Consiglio, i loro regolamenti entro 150 giorni dall’entrata in vigore della legge regionale (cioè dal19 maggio scorso). Se, però, questo non avviene, la palla passa al responsabile della struttura comunale che si occupa di edilizia. Decisioni che hanno una forte componente politica, vengono demandate a un tecnico non eletto e le cui scelte non sono sottoposte al giudizio dei cittadini. Deve assumerle anche in fretta: la legge gli concede solo 30 giorni. Ma che succede se il tecnico non lo fa? Passati i 180 giorni complessivi (150+ 30 per il tecnico), senza vedere traccia del nuovo regolamento, scatta una clausola di automatica disapplicazione di tutte le disposizioni del regolamento edilizio vigente incompatibili con lo schema regionale. Non è facile ipotizzare quali potranno essere gli effetti di questa tagliola. Il regolamento tipo è sostanzialmente un libro che di scritto ha solo l’indice e le 42 definizioni dei parametri edilizi; il resto delle pagine devono essere riempite dai singoli Comuni. Escluse le definizioni, per le altre disposizioni sembra problematico individuare i punti di contrasto. In ogni caso, gli adeguamenti dei regolamenti vigenti non possono variare le previsioni quantitative previste dai piani regolatori vigenti. Le pratiche edilizie i cui procedimenti sono avviati prima dell’approvazione del nuovo regolamento seguono le vecchie regole. (Raffaele Lungarella, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Quotidiano Edilizia e Territorio”, 12 giugno 2017)

Regolamento edilizio/2. Senza bussola regionale comuni liberi da vincoli

In 17 regioni su 20 il mancato recepimento dell’intesa nazionale rende i comuni liberi di adeguarsi o meno alle indicazioni unitarie Tanti regolamenti edilizi, quanti i Comuni italiani: questo il labirinto cui si è tentato di ovviare con il regolamento edilizio tipo. Ma anche se il primo dei due termini per l’adeguamento sul territorio è già scaduto, l’obiettivo di avvicinare tra di loro le norme locali sull’edilizia è ancora lontano. In 17 Regioni su 20, infatti, il mancato recepimento dell’intesa nazionale, rende anche i Comuni liberi di adeguarsi o meno alle indicazioni unitarie. L’intesa del 20 ottobre 2016 con lo schema di regolamento edilizio tipo, prevede espressamente che l’accordo raggiunto in Conferenza unificata costituisce «livello essenziale delle prestazioni» ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lett. e) e m) della Costituzione. I termini (teorici) L’ intesa ha assegnato un termine di 180 giorni (scaduto il 18 aprile scorso) alle Regioni per provvedere al recepimento dello schema di regolamento edilizio tipo e delle definizioni uniformi, integrando e modificando la raccolta di disposizioni sovraordinate di cui alla parte prima del regolamento edilizio tipo.

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All’atto del recepimento le Regioni dovevano stabilire metodi, procedure e tempi - a loro volta comunque non superiori a 180 giorni, che scadranno il 15 ottobre 2017 - per l’adeguamento a cascata da parte dei Comuni. Dunque, in teoria, se gli adempimenti regionali e locali fossero stati portati a termine secondo la scansione temporale “fisiologica” prevista dall’intesa, tutti i Comuni si sarebbero dovuti adeguare al regolamento edilizio tipo (al massimo) entro il 15 ottobre 2017. Una data che peraltro è un limite ultimo: le Regioni infatti avrebbero potuto recepire il regolamento tipo prima dei 180 giorni assegnati dall’intesa, oppure imporre una scadenza più ravvicinata ai Comuni (rispetto ai successivi 180 giorni) per l’adeguamento. Ma dato l’esiguo numero di sole tre Regioni ottemperanti rispetto alla prima scadenza di aprile (si veda l’articolo a lato), le disposizioni dell’intesa che disciplinano l’ipotesi patologica dell’inadempimento (regionale e/o comunale) risultano di primario interesse. L’inadempimento Ora, la conseguenza dell’inadempimento comunale quando il recepimento regionale è avvenuto è chiara: l’articolo 2, comma 3 dell’intesa stabilisce espressamente che, se i Comuni non adempiono nei tempi previsti dalle Regioni nel loro atto di recepimento (e comunque entro 180 giorni), «le definizioni uniformi e le disposizioni sovraordinate in materia edilizia trovano diretta applicazione, prevalendo sulle disposizioni comunali con esse incompatibili». Si avrà pertanto una disapplicazione della norma locale, che risulta cedevole rispetto a quella del regolamento edilizio tipo. Diverso è il caso del mancato recepimento, in prima istanza, da parte della Regione: l’articolo 2 dell’intesa si limita a stabilire che: «I Comuni possono comunque provvedere all’adozione dello schema di regolamento edilizio tipo e relativi allegati». In sostanza, dall’intesa emerge un quadro per cui, una volta che la Regione ha recepito il regolamento tipo, la sua applicazione diviene certa al semplice scadere dei termini assegnati, a prescindere dall’adeguamento comunale. All’opposto, in assenza di recepimento regionale, l’adozione del regolamento tipo rimane una mera facoltà per il Comune, che potrà liberamente determinarsi in fatto di disciplina edilizia (non dissimilmente da quanto avvenuto finora). Verso la standardizzazione Una sola disposizione pare garantire la non completa frustrazione delle finalità perseguite dall’intesa (soprattutto in considerazione della qualificazione del regolamento edilizio tipo in termini di «livelli essenziali delle prestazioni») anche in caso di mancato recepimento regionale: rimane fermo, infatti, l’impegno assunto da Governo, Regioni ordinarie ed enti locali a «utilizzare definizioni uniformi nei propri provvedimenti legislativi e regolamentari, che saranno adottati dopo la data di sottoscrizione della presente intesa». Ebbene, la spinta alla standardizzazione su scala nazionale dovrebbe trovare (solo) in quest’ultima disposizione una risposta in grado di resistere - quanto meno per l’avvenire - ai mancati adempimenti subnazionali. (Guido Inzaghi, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Quotidiano Edilizia e Territorio”, 12 giugno 2017)

Distanze legali tra edifici derogabili solo per i piani

Le distanze legali tra edifici sono ancora inderogabili. Almeno quando il titolo abilitativo è riferito a edifici singoli. Dopo l’ultima sentenza della Corte costituzionale (la n. 41 del 24 febbraio 2017) alle Regioni restano pochi margini di autonomia in questo senso, nonostante il dettato letterale del decreto del Fare (Dl 69/2013) sembrasse aver ampliato i loro poteri. La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge del Veneto 4/2015 nella parte in cui consentiva che lo strumento urbanistico generale derogasse ai limiti di distanza tra edifici di cui al Dm1444/1968 anche

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nell’ambito di interventi «disciplinati puntualmente». La pronuncia è in linea, appunto, con una serie di precedenti sorti in relazione all’attuazione da parte delle Regioni delle previsioni di cui all’articolo 2-bis del Tu edilizia, introdotto con il Dl 69/2013. Il legislatore, con questo decreto sembrava aver introdotto una significativa innovazione al regime delle distanze in edilizia. Attraverso l’inserimento dell’articolo 2-bis è infatti stato previsto che, ferma la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà, le Regioni e le Province autonome avrebbero potuto prevedere, con proprie leggi e regolamenti, «disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444». In attuazione di questa norma, alcune Regioni hanno emanato norme di portata ampia che, in concreto, consentivano deroghe alle regole in materia di distanze, sia nell’ambito di interventi assoggettati a pianificazione attuativa, sia nel caso di interventi soggetti ad attuazione diretta, ossia al solo conseguimento del titolo edilizio. Ma il Governo ha impugnato dinanzi alla Consulta molte di queste norme regionali, contestando la violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e rilevando come le Regioni avessero illegittimamente esteso al caso di interventi su singoli edifici, non oggetto di una più ampia trasformazione urbanistica, la possibilità di derogare alle distanze. I vincoli della Consulta A fronte di queste contestazioni, la Corte costituzionale, con la sentenza 41/2017, in linea con i principi già espressi con precedenti pronunce (178/2016; 231/2016), ha ritenuto che anche la legge veneta 4/2015 fosse costituzionalmente illegittima nella parte in cui consentiva che i Comuni, attraverso il proprio strumento urbanistico, introducessero deroghe alle disciplina statale in materia di distanze anche in caso di interventi puntuali e diretti, non inclusi in un piano di attuazione riferito ad un ampio contesto territoriale. La Corte ha sottolineato che, poiché la disciplina delle distanze attiene in via primaria ai rapporti tra proprietari di fondi finitimi, non si può dubitare che la stessa rientri nella materia dell’ordinamento civile, di competenza esclusiva dello Stato. Gli spazi di deroga residui Nondimeno, la Corte ha rilevato che, quando i fabbricati insistono su un territorio ampio con specifiche caratteristiche, la disciplina che li riguarda – e in particolare quella dei loro rapporti nel territorio stesso – esorbita dai limiti dei rapporti interprivati e tocca anche interessi pubblici, la cui cura è affidata anche alle Regioni perché attratta all’ambito di competenza concorrente del governo del territorio. Alle Regioni è pertanto consentito fissare deroghe alle distanze stabilite nelle normative statali, solo a condizione che la deroga sia giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio e, dunque, sempre che la stessa sia riferita ad una pluralità di fabbricati oggetto di una unitaria previsione planovolumetrica, non invece in caso di interventi su un singolo edificio. Ebbene, alla luce di tale lettura, la portata innovativa dell’articolo 2-bis in materia di distanze viene sensibilmente “svuotata”, in quanto la derogabilità del Dm 1444/1968 torna ad essere, o quantomeno è molto simile a, quella già in origine prevista dal decreto stesso: l’ultimo periodo dell’articolo 9 del Dm 1444/1968 difatti stabilisce che «sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche». Se l’originario intento del legislatore era quello di consentire deroghe alle distanze anche in caso di interventi diretti su singoli edifici, subordinati al solo titolo abilitativo edilizio, l’obiettivo per ora è stato quindi mancato. Tenendo conto delle indicazioni della Consulta, il raggiungimento richiederebbe una norma nazionale e che, per garantire equilibrio tra gli interessi in gioco, indichi anche le condizioni che rendono ammissibile la deroga. L'automatismo Le disposizioni di cui al Dm 1444/1968, essendo rivolte alla salvaguardia di imprescindibili esigenze igienico - sanitarie, sono inderogabili e vincolano i Comuni in sede di formazione o revisione degli strumenti urbanistici. Ogni previsione regolamentare in contrasto con i limiti minimi è illegittima e va annullata se è oggetto di impugnazione, o comunque disapplicata. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 4 agosto 2016, n. 3522

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Le finestre L’articolo 9 del Dm 2 aprile 1968, n. 1444, in materia di distanze fra fabbricati va interpretata nel senso che la distanza minima di dieci metri è richiesta anche nel caso che una sola delle pareti fronteggiantisi sia finestrata e che è indifferente se tale parete sia quella del nuovo edificio o quella dell’edificio preesistente. Cassazione civile, sezione II, sentenza 28 settembre 2007, n. 20574 La sopraelevazione In materia edilizia, la disciplina delle distanze tra costruzioni su fondi finitimi (Dm 1444/1968) è applicabile anche alle sopraelevazioni di edifici preesistenti, le quali rappresentano a tutti gli effetti delle nuove costruzioni, considerato che ogni intervento destinato a creare nuovi volumi deve essere ricondotto al concetto di nuovo edificio. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 27 ottobre 2011, n. 5759 La discrezionalità Le distanze tra costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di modo che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell’applicare la disciplina in materia di equo contemperamento degli opposti interessi. Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 18 dicembre 2012, n. 6489 (Guido Alberto Inzaghi, Simone Pisani, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Norme e Tributi, 29 maggio 2017)

FISCO

Incentivi all'edilizia, l'Agenzia delle Entrate aggiorna la guida sugli sconti per la casa

Inserito un ampio capitolo che fa il punto su tutte le novità in materia di cessione del credito. Il documento però non considera ancora le correzioni della manovrina appena approvata Chi può chiedere la cessione del credito. A partire da quando sarà possibile farlo. Quali sono le modalità per utilizzare il credito ceduto ed eventualmente ritrasferirlo. Quali controlli si dovranno affrontare. L'Agenzia delle Entrate ha appena aggiornato la sua guida sugli sconti fiscali per la casa, inserendo un ampio capitolo che fa il punto su tutte le novità in materia di cessione del credito. Attenzione, però: il documento non considera ancora le correzioni portate dalla manovrina, appena approvata. Dal primo gennaio 2017, in luogo della detrazione del 75 o dell'85 per cento, tutti i beneficiari (soggetti Irpef e Ires) possono scegliere di cedere il corrispondente credito ai fornitori che hanno effettuato gli interventi o ad altri soggetti privati. La possibilità di cedere il credito riguarda tutti i potenziali beneficiari della detrazione, compresi coloro che, in concreto, non potrebbero fruirne in quanto non sono tenuti al versamento dell'imposta perché incapienti, nonché i cessionari del credito che possono, a loro volta, effettuare ulteriori cessioni. Il condomino può cedere l'intera detrazione, calcolata o sulla base della spesa approvata dalla delibera assembleare per l'esecuzione dei lavori, per la quota a lui imputabile, o sulla base delle spese sostenute nel periodo d'imposta dal condominio, anche sotto forma di cessione del credito d'imposta ai fornitori, per la quota a lui imputabile. Chi riceve il credito può cedere, in tutto o in parte, il credito d'imposta acquisito solo dopo che tale credito è divenuto disponibile. Il credito d'imposta diventa disponibile dal 10 marzo del periodo d'imposta successivo a quello in cui il condominio ha sostenuto la spesa. Il condomino che cede il credito deve comunicare all'amministratore del condominio, entro il 31 dicembre del periodo d'imposta di riferimento, l'avvenuta cessione del credito e la relativa

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accettazione da parte del cessionario, indicando, oltre ai propri dati, la denominazione e il codice fiscale di quest'ultimo. L'amministratore del condominio, a sua volta, comunica annualmente all'Agenzia delle Entrate i dati del cessionario, l'accettazione da parte di quest'ultimo del credito ceduto e l'importo dello stesso, spettante sulla base delle spese sostenute dal condominio entro il 31 dicembre dell'anno precedente. E consegna al condomino la certificazione delle spese a lui imputabili. In mancanza di questa comunicazione la cessione del credito è inefficace. Il credito d'imposta attribuito al cessionario, che non sia oggetto di successiva cessione, va ripartito in cinque quote annuali di pari importo. Infine, i controlli. Se viene accertata la mancanza, anche parziale, dei requisiti oggettivi che danno diritto alla detrazione in capo al condomino, l'amministrazione fiscale recupera il credito corrispondente nei suoi confronti, maggiorato di interessi e sanzioni. Se, invece, viene accertata l'indebita fruizione del credito, anche parziale, da parte del cessionario, il relativo importo, maggiorato di interessi e sanzioni, è recuperato nei suoi confronti. (Giuseppe Latour, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Quotidiano Edilizia e Territorio” 17 maggio 2017)

PROFESSIONE: Lavoro e Previdenza

Le professioni provano l’anticipo

Le professioni provano ad accorciare i tempi per accedere agli albi. Per contrastare la fuga dei giovani - il Miur ha certificato in dieci anni un calo di quasi un terzo dei candidati agli esami - da un lato le casse privatizzate rafforzano le misure di welfare (si veda Il Sole 24 Ore del 3 aprile), dall’altro gli ordini “accelerano” sui tirocini. In che modo? Sfruttando le possibilità introdotte dai decreti «salva-Italia» e «cresci-Italia» che, a partire dal 2011, hanno fissato un tetto massimo di 18 mesi al tirocinio professionale e hanno aperto alla chance di svolgimento abbreviato. L’obbligo resta quindi di 18 mesi, ma la pratica si potrà cominciare per sei mesi durante l’ultimo anno del corso di laurea. Un modo per rendere più veloce uno dei passaggi obbligati (l’altro è l’esame di Stato) che i laureati devono compiere per entrare nel mercato delle libere professioni. Il primo step è la stipula di una convenzione quadro tra Consiglio nazionale e ministero dell’Istruzione. Nell’accordo sono fissate le regole generali (durata minima del tirocinio, corsi di laurea abilitati e così via). Il secondo passaggio sono gli accordi siglati sul territorio dagli ordini locali con le università. A questo livello si registra qualche “intoppo”, visto che per la maggior parte delle professioni la possibilità reale per uno studente di abbreviare il tirocinio è legata non solo all’esistenza di una convenzione con l’università in cui sta studiando, ma anche al numero chiuso di tirocinanti ammissibili ogni anno, fissato negli accordi. Quindi se i posti sono pochi, si rischia di restare fuori. Per gli aspiranti consulenti del lavoro, ad esempio, sono circa 30 le convenzioni attive, anche se mancano quelle con le università principali: Milano è assente, Roma invece è presente solo con Roma Tre e Link Campus university. «In effetti la copertura è ancora a macchia di leopardo - riconosce Enzo Silvestri, vicepresidente Cncl -: forse non tutti gli atenei hanno compreso l’importanza di attivare questo canale di alternanza scuola-lavoro». Intanto i consulenti registrano molte richieste dagli studenti. «Insieme alla nostra Cassa di previdenza Enpacl stiamo studiando anche incentivi economici - aggiunge Silvestri - per attrarre sempre più giovani». L’ipotesi è quella di sostenere la formazione o di assegnare crediti formativi anche a chi ospita i tirocinanti, ma le novità devono ancora essere tradotte in un regolamento interno.

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Copertura molto più ampia, invece, per commercialisti ed esperti contabili. Dopo la convenzione quadro del 2014, sono 84 gli accordi siglati sul territorio con gli atenei, che permettono di anticipare all’ultimo anno di corso - magistrale per i dottori commercialisti e triennale per gli esperti contabili - sei mesi dei 18 totali necessari per arrivare all’esame di Stato. L’anticipo del tirocinio piace molto agli aspiranti notai, che lo possono fare dal 2006: secondo gli ultimi dati del Consiglio del notariato, circa il 50% degli attuali praticanti lo ha scelto durante l’ultimo anno di giurisprudenza (a condizione che si sia in regola con gli esami). Se dovesse mancare l’accordo su base locale, l’ultima convenzione quadro del Notariato con il Miur, datata dicembre 2016, contiene una norma che la rende applicabile in automatico ovunque. Avverte però Michele Labriola, consigliere con delega all’accesso, «ogni studente deve ponderare questa scelta che è impegnativa, perché arriva all’ultimo anno e in prossimità della tesi». Per accorciare i tempi di accesso, il Notariato punta anche sulla possibilità di eliminare l’attuale filtro ai concorsi (al massimo si può consegnare l’elaborato per tre volte). «Un limite pensato per i tempi in cui c’erano moltissimi partecipanti - commenta Labriola -, ma ora i candidati sono in calo». Gli ultimi a imboccare la strada dell’anticipo sono stati gli avvocati: il Consiglio nazionale forense ha firmato la convenzione quadro con la Conferenza nazionale dei rettori di giurisprudenza e scienze giuridiche il 24 febbraio scorso, traducendo in pratica la possibilità di svolgere sei mesi di tirocinio professionale, prima del conseguimento della laurea, prevista dalla legge sulla riforma forense (la 247/2012) e dal decreto del ministero della Giustizia 70/2016. Per seguire questa via bisogna essere in regola con gli esami di profitto dei primi quattro anni e aver ottenuto crediti in sette discipline (diritto privato, diritto processuale civile, diritto penale, diritto processuale penale, diritto amministrativo, diritto costituzionale e diritto dell’Unione europea). L’operatività effettiva dipende però dalla sigla di convenzioni locali. «Un primo screening lo faremo dopo l’estate - afferma Davide Calabrò, consigliere del Cnf -, perché bisogna dare il tempo a ordini e università di lavorarci». Senza aspettare l’intesa nazionale e basandosi solo sulla legge, l’Ordine forense di Milano ha però firmato due convenzioni già nel 2016: una con la Cattolica ad aprile e la seconda con la Statale a novembre. Entrambi gli accordi prevedono tra i requisiti degli studenti che vogliono anticipare il tirocinio la media del 27. «Ci è stata chiesta dagli atenei- spiega il presidente dell’ordine di Milano, Remo Danovi - e stiamo inoltre lavorando ad altre due convenzioni con Bocconi e Bicocca». L’accordo quadro nazionale è stato invece “recepito” dall’intesa siglata a inizio maggio tra l’Alma Mater di Bologna e gli ordini di Bologna, Forlì-Cesena e Ravenna. I primi tirocini sono già iniziati. In fase di discussione le convenzioni quadro di agrotecnici e periti industriali. Per i primi sono stati però stipulati accordi - in base all’articolo 6 del Dpr 328/2001, n. 328 - con 33 università, per un totale di 211 corsi di laurea, e con 97 istituti agrari. «Il tirocinio è obbligatorio nella misura di sei mesi per i laureati triennali - spiega Roberto Orlandi, presidente del Collegio nazionale - e di 18 mesi per i diplomati, mentre i laureati magistrali possono accedere direttamente all’esame di abilitazione. È possibile anticipare il tirocinio, svolgendolo durante gli studi, anche nella sua totalità». Per diventare perito industriale laureato il tirocinio è di sei mesi, compreso nel corso di studi. Invece per i diplomati lo stage è di 18 mesi: possibile svolgere sei mesi con la frequenza di un corso di 200 ore organizzato dall’ordine territoriale, «una chance ancora sulla carta - sottolinea Giampiero Giovannetti, presidente Cnpi -, perché manca la convenzione con Miur e Giustizia». Dal 2016, comunque, è stato sancito che per l’iscrizione all’albo è richiesta la laurea: requisito che scatterà dal 2021, alla fine del periodo transitorio. Diversa, infine, la strada seguita dagli architetti: per iscriversi all’albo non è necessario aver svolto il tirocinio, però per “accelerare” l’iscrizione gli ordini provinciali di Toscana e Veneto hanno siglato convenzioni con le università per consentire di svolgere stage regolamentati durante gli studi - massimo un anno - finalizzati all’esonero dalla prova pratica all’esame di Stato. «Nelle altre regioni - conclude Paolo Malara, consigliere Cnappc e coordinatore del dipartimento università, tirocinio, esami di stato - i tavoli sono ancora aperti».

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(Francesca Barbieri, Bianca Lucia Mazzei e Valeria Uva, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Quotidiano Lavoro” 19 giugno 2017)

Accordo ICE/CNAPPC per promuovere la presenza degli architetti italiani nei mercati esteri

L’ICE - Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane e il Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori hanno siglato un accordo per la realizzazione di azioni comuni con l’obiettivo di orientare e promuovere la presenza degli architetti italiani nei mercati esteri. L’iniziativa parte dalla consapevolezza che la qualità della progettazione architettonica rappresenti, da un lato, una componente essenziale del Sistema Italia, dall’altro, un qualificato volano per l'internazionalizzazione dell’attività professionale degli architetti italiani. In base all’accordo l’Agenzia ICE fornirà attività formative a favore dei professionisti attraverso l’organizzazione di incontri di carattere specialistico su tematiche inerenti l’internazionalizzazione e sui mercati su cui ci si intende presentare, svolgendo, tra le altre, attività di supporto con la fornitura, a tariffe agevolate, di servizi o pacchetti di servizi ai professionisti iscritti all’Albo interessati ad internazionalizzarsi. Da parte sua il Consiglio Nazionale degli Architetti - attraverso il Dipartimento Esteri coordinato da Livio Sacchi - si impegna a segnalare all’ICE i professionisti iscritti all’Albo interessati ai processi di internazionalizzazione e a diffondere i termini dell’accordo presso gli Ordini territoriali al fine di promuovere lo sviluppo dei processi di internazionalizzazione. L’accordo prevede anche che vengano organizzati su tutto il territorio nazionale iniziative, presso i singoli Ordini territoriali, nel corso delle quali saranno presentati i servizi e le attività che l’Agenzia ICE offre a sostegno dell’internazionalizzazione della professione. L’Agenzia ICE e il Consiglio Nazionale degli Architetti sono anche pronti a sviluppare ulteriori forme di collaborazione funzionali una volta raggiunti i rispettivi obiettivi in tema di internazionalizzazione. Tra le altre, quella che prevede la partecipazione di professionisti testimonial delle opere e della qualità del Made in Italy ad eventi quali convegni, seminari, missioni in Italia e all’estero, eventi promozionali programmati dall’Agenzia per i settori arredamento, artigianato, contract, restauro ed edilizia. (Il Sole 24 ORE – Estratto da “Tecnici24” 16 giugno 2017)

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Professioni, studi con «vista Ue»

I professionisti italiani sempre più scelgono di esercitare la professione in altri Paesi Ue. Tra il 2013 e il 2015 il numero di quanti hanno scelto di svolgere l’attività in uno dei Paesi europei è aumentato quasi del 35 per cento. È vero che i numeri assoluti continuano a essere contenuti in poco più di 5.300 unità (procedure con esito positivo) e che oltre il 21% di quanti scelgono un Paese Ue svolge la professione di medico, una qualifica “facilitata” nella libera circolazione dalla formazione omogenea. Con una vocazione a uscire fuori dalla mura nazionali di medici e architetti, mentre gli avvocati italiani stabiliti in altri Stati Ue superano di poco le dita delle mani (sono 12). I numeri, pur contenuti, testimoniano però un processo di europeizzazione delle professioni italiane. Una cartina di tornasole è rappresentata anche dalle azioni intraprese nell’ambito delle istituzioni professionali: per esempio, l’Ordine dei commercialisti di Milano sta aprendo uno sportello per i tirocini all’estero e Confprofessioni, confederazione di associazioni professionali, promuove l’Erasmus per i professionisti in collaborazione con dieci centri di contatto (atenei, consorzi e Cdc). «Abbiamo seguito passo dopo passo l’evoluzione normativa comunitaria. La direttiva del 2005 sul riconoscimento delle qualifiche - spiega Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni - è risultata non idonea al raggiungimento degli obiettivi di libera circolazione a causa dei differenti modelli di regolamentazione delle professioni nei diversi Paesi e delle barriere che alcuni Stati hanno eretto a protezione di talune attività professionali. Solo con la direttiva 2013/55/Ue, recepita in Italia nel 2016, il Parlamento europeo è riuscito a imprimere un’accelerazione sul riconoscimento delle qualifiche professionali, utilizzando la piattaforma del sistema Imi e soprattutto l’introduzione della tessera professionale europea». Il sistema Imi è lo strumento obbligatorio per lo scambio di informazioni tra autorità competenti relative al mercato interno, sviluppato dalla Commissione europea in collaborazione con gli Stati in relazione alla cooperazione amministrativa e all’assistenza reciproca: insomma, è una piattaforma su cui viaggiano le informazioni relative, tra l’altro, a libera circolazione dei professionisti e qualifiche. Sempre nel segno della semplificazione, dal 2016 per cinque professioni regolamentate (nel “linguaggio Ue” si tratta delle attività il cui esercizio è sottoposto a regole ad hoc) è stata prevista (si veda la tabella) la tessera professionale europea (Epc), che “registra” formazione e competenze. Si tratta di una procedura elettronica, utile anche per il riconoscimento delle qualifiche professionali, in cui è possibile seguire l’iter online. Secondi i dati elaborati dal Desk europeo di Confprofessini «i Paesi più gettonati - spiega Stella -sono Regno Unito e Svizzera, in quanto il mercato dei servizi professionali è più vivace rispetto all’Italia». Proprio il destino di lavoratori e professionisti Ue stabiliti in Gran Bretagna sarà uno dei capitoli della trattativa per Brexit. (Il Sole 24 ORE – Estratto da “Norme e Tributi” 15 giugno 2017)

SICUREZZA

Antincendio, dal primo luglio obbligo di usare solo cavi elettrici con marcatura Ce

A ogni cavo è attribuita una delle euroclassi di reazione al fuoco, contraddistinta da una lettera (A, B1, B2, C, D, E ed F). Le sette lettere indicano prestazioni decrescenti su rilascio calore e propagazione della fiamma Si avvicina la data del 1° luglio, a partire dalla quale tutti i cavi immessi sul mercato devono avere marcatura Ce e dichiarazione di performance, che attestino la rispondenza del cavo al regolamento Prodotti da costruzione (Regolamento Cpr), ossia al Regolamento Ue 305 del 2011. Si tratta di un'importante evoluzione perché al cavo sono associate informazioni sul suo comportamento al fuoco, comprese quelle che riguardano i fumi e le gocce incandescenti prodotti in caso di incendio.

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Ad essere interessati sono i cavi per il trasporto dell'energia e dei dati, qualsiasi siano i loro conduttori (metallici o in fibra ottica), installati in modo permanente nelle costruzioni e nelle opere di ingegneria, compresi gli edifici industriali e commerciali, le abitazioni, le scuole, gli ospedali e gli uffici. Dagli obblighi connessi al Regolamento Cpr derivano cavi che, rispetto al comportamento al fuoco, risultano «di maggiore qualità e di maggiore prestazione» ci spiega Carlo Scarlata, neopresidente dell'Aice, l'Associazione italiana industrie cavi e conduttori elettrici, federata Anie (Federazione nazionale imprese elettrotecniche ed elettroniche). Bisognerà, dunque, attendersi un aumento dei prezzi dei cavi? «Per i prezzi non posso rispondere, ci vorrebbe la sfera di cristallo, ma posso parlare dei costi» afferma Scarlata. «I costi dei prodotti sicuramente aumentano rispetto a quelli relativi ai corrispondenti prodotti ante Cpr, e questo per un motivo molto semplice: dal Regolamento Cpr derivano prodotti di maggiore qualità, che garantiscono prestazioni maggiori». «C'è– continua Scarlata - un incremento di costi per i cavi, però bisogna anche puntare sul buon senso e ragionare sugli ordini di grandezza. Da un lato, i cavi per costruzione per un 75-80 per cento sono costituiti da rame, che è un materiale molto caro. Le fluttuazioni (del prezzo del rame n.d.r.) che incidono sul costo e conseguentemente sul prezzo dei prodotti, mese dopo mese, sono sicuramente più importanti rispetto all'incremento dei costi derivante dalla Cpr. Dall'altro lato parliamo di un ordine di grandezza che è assolutamente impercettibile sul costo delle costruzioni». Dal 1° luglio i cavi devono avere marcatura CE e dichiarazione di prestazione Per i diversi gruppi di prodotti da costruzione il Regolamento 305 del 2011 è in vigore dal 2013. Diverso è invece il caso dei cavi. Per essi, infatti, il Regolamento Cpr ha iniziato ad avere efficacia solo dopo la pubblicazione della norma En 50575 nell'elenco delle norme armonizzate. Così, solo dal 10 giugno 2016 il Regolamento Cpr è applicabile ai cavi. Da allora è iniziato un periodo di transizione, che ha consentito l'immissione sul mercato di cavi sia conformi che non conformi al Regolamento 305 del 2011. Tale periodo termina il 1° luglio 2017, data a partire dalla quale tutti i cavi immessi sul mercato devono avere, oltre alla marcatura CE, anche una dichiarazione di prestazione (Dop) redatta dal fabbricante e che deve contenere, tra l'altro, informazioni sulle prestazioni essenziali del cavo. Il lungo periodo di transizione ha dato la possibilità ai produttori prepararsi al cambiamento. «I produttori stanno da tempo smettendo di realizzare cavi non Cpr» ci dice ancora il presidente Scarlata, in riferimento alle associate Aice. Le classi dalla «A» alla «F» Al cavo viene attribuita una delle euroclassi di reazione al fuoco, contraddistinta da una lettera (A, B1, B2, C, D, E ed F) accompagnata dal pedice "ca" che sta per "cable". Le sette lettere indicano prestazioni decrescenti in riferimento al rilascio del calore e alla propagazione della fiamma. L'appartenenza di un cavo ad una determinata classe è controllata e certificata da organismi notificati indipendenti, con una procedura di controllo che è tanto più complessa quanto più i cavi sono performanti sotto il profilo della reazione al fuoco. La classe «F» è frutto, invece, di un'autodichiarazione da parte del costruttore. Le lettere dalla «A» alla «F» sono accompagnate da tre lettere minuscole (s, d, a) che stanno ad indicare la produzione di fumi opachi, il gocciolamento di particelle incandescenti e l'acidità dei fumi. Dalla combinazione di tali lettere nascono numerose classi di reazione al fuoco (euroclassi). Di queste «in Italia ne sono state recepite quattro. E queste sono le quattro classi per le quali le nostre associate si sono e si stanno preparando con certificazioni di prodotti, attraverso enti terzi. Poi si sa che ci saranno evoluzioni: la Cpr non finisce il 30 di giugno. Il 30 giugno avviene un cambiamento epocale, ma ci saranno altre evoluzioni, che ad esempio riguarderanno i cavi resistenti al fuoco» ci dice ancora Carlo Scarlata. Le quattro classi italiane sono quelle indicate nella norma Cei Unel 35016, che non contempla la classe «F», derivante da una semplice autocertificazione. «La "F" di fatto vuol dire che il cavo non risponde al Regolamento Cpr. È come dire: Mi dichiaro colpevole» afferma Scarlata.

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La Cei 64-8; V4 lascia operativa le versione 2012 fino al 31 dicembre 2017 Nel frattempo, a guidare progettisti e installatori è intervenuta la versione 4 della Cei 64-8 che si sofferma sulla scelta dei cavi elettrici, aggiornando la precedente norma Cei 64-8 alle disposizioni del Regolamento Cpr. La versione 4 aggiorna la norma del 2012, ma le due versioni coesisteranno in parallelo fino al 31 dicembre 2017. Bisognerà far, dunque, riferimento alla nota indicata nella variante 4, che recita: «Secondo il principio giuridico per il quale si applica la norma tecnica vigente al momento della presentazione delle istanze dei titoli autorizzativi e/o dei progetti redatti o di inizio dei lavori di cui in ogni caso si possa avere data certa, antecedente al 1° luglio 2017, i relativi impianti possono essere realizzati e/o completati in conformità alle norme tecniche vigenti prima della data di validità della presente Variante». Nel caso di progetti redatti prima del 30 giugno e di lavori iniziati prima di tale data (che deve essere certa) si dà agli installatori la possibilità di utilizzare eventuali cavi acquistati prima del 30 giugno 2017. (Mariagrazia Barletta, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Quotidiano Edilizia e Territorio”, 20 giugno 2017)

Amianto: l’acquirente di un immobile subentra nell’obbligo di controllo, sorveglianza e manutenzione

Una recente pronuncia del Tar Lombardia ha ribadito che la gestione dell’amianto è un’attività imputabile al proprietario perché dipende dallo stato dell’immobile e non dall’attività economica svolta in esso

Il recente incendio che ha distrutto un capannone alle porte di Roma ha portato drammaticamente alla ribalta il tema della bonifica dell’amianto e, con esso, la disciplina degli immobili con amianto e l’individuazione delle responsabilità in capo ai proprietari.

La presenza di amianto impone l’esecuzione di attività di bonifica? E se il proprietario è diverso da colui che ha utilizzato l’immobile in passato è tenuto comunque a gestire l’amianto ivi presente? Una recente pronuncia del Tar Lombardia (sezione Milano, sentenza 572/2017) ha ribadito che la gestione dell’amianto è un’attività imputabile al proprietario perché dipende dallo stato dell’immobile e non dall’attività economica svolta in esso.

L’uso dell’amianto è stato molto frequente nell’edilizia fino al 1992, anno in cui il suo impiego è stato vietato dalla legge 257. Il divieto ha portato con sé il problema di individuare le sorti di quello già presente nel patrimonio immobiliare.

Per una definizione completa degli obblighi dei proprietari di immobili con amianto, occorre una diagnosi dello stato del bene, proprio per comprendere anzitutto se sia presente o meno amianto nella struttura e in quali condizioni esso versi.

Ma attenzione: il censimento degli edifici in cui è presente amianto è obbligatorio per gli edifici pubblici, per i locali aperti al pubblico e di utilizzazione collettiva e per i blocchi di appartamenti, mentre è facoltativo per i proprietari delle singole unità, ferma la possibilità per Asl e Comuni di chiedere informazioni e documenti e ferme le specifiche norme regionali.

L’esito della valutazione di qualità determina il tipo di obbligazioni in capo al proprietario o al detentore. Se l’amianto è in buone condizioni, non occorre rimuoverlo, ma è obbligatorio condurre compagne di controllo e manutenzione del bene. Viceversa, in caso di danneggiamento (o deterioramento), occorre procedere con la bonifica.

Il controllo e manutenzione dello stato dell’amianto include un ampio novero di attività: dalla predisposizione di un programma di controllo e manutenzione, alla designazione di una figura

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responsabile con compiti di controllo e coordinamento di tutte le attività manutentive che interessano i materiali di amianto. È poi necessario documentare l’ubicazione dell’amianto e vanno predisposte adeguate misure di sicurezza e fornite le necessarie informazioni agli occupanti dell’edificio sulla presenza di amianto nello stabile, sui rischi potenziali e sui comportamenti da adottare (questa attività si pone al confine con gli obblighi gravanti sul datore di lavoro).

In caso di danneggiamento, deterioramento o comunque quando la diagnosi abbia evidenziato amianto in cattive condizioni occorre procedere con la bonifica del manufatto.

I metodi di bonifica sono tre:

• la rimozione;

• l’incapsulamento;

• il confinamento.

Lo stato dell’amianto è di per sé mutevole: l’occupazione di uno stabile da parte di un numero di persone, le eventuali oscillazioni della struttura o, in genere, il semplice decorso del tempo possono determinare un peggioramento dello stato di questo materiale.

L’acquirente di un immobile con amianto subentra nell’obbligo di controllo, sorveglianza e manutenzione.

Se poi, le evidenze del monitoraggio impongono l’esecuzione di interventi di bonifica colui che risulta proprietario in quel momento è tenuto ad eseguire gli interventi.

In materia di rimozione dell’amianto deve essere esclusa ogni rilevanza al dolo o alla colpa del proprietario dell’immobile interessato dalla presenza di amianto: su di lui gli oneri della rimozione ricadono per una sorta di collegamento oggettivo con il possesso dell’immobile stesso (Tar Toscana, sezione II, 6 dicembre 2012, n. 1973). Nello stesso senso (oltre al Tar Lombardia citato) anche il Tar Marche che, con sentenza 571 del 19 ottobre 2016, ha riconosciuto il passaggio di responsabilità tra cedente e cessionario di beni immobili in cui è presente amianto, con la conseguenza che è il soggetto che detiene l’immobile nel momento in cui si verificano le condizioni che impongono la bonifica che dovrà attivarsi per l’esecuzione.

L'uso dell'amianto in edilizia è stato vietato dalla L. 257/1992.

Il DM 6 settembre 1994 ha indicato le attività da compiere per controllarlo, mantenerlo e, se del caso, bonificarlo.

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(Carmen Chierchia e Guido Inzaghi, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Quotidiano Edilizia e Territorio”, 19 giugno 2017)

Amianto/2. Leasing o affitto: le responsabilità passano di mano

Quando in un immobile gli utilizzatori sono diversi dai proprietari la responsabilità per la gestione dell’amianto segue regole diverse da quelle ordinarie Quando in un immobile gli utilizzatori sono diversi dai proprietari la responsabilità per la gestione dell’amianto segue regole diverse da quelle ordinarie. Si pensi, per esempio, alle unità locate,

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concesse in usufrutto o in leasing (tra i tanti strumenti contrattuali). E questioni simili si pongono anche nel caso di immobili sottoposti a curatela fallimentare. L’argomento fa molto discutere, essendo frequenti i contenziosi sul punto. Di recente, il Tar Lombardia (Milano sentenza 9 marzo 2017 n. 572) ha analizzato il caso di una società di leasing che ha stipulato un contratto di locazione finanziaria (poi risolto), di un immobile. A seguito della scoperta - da parte di Arpa - di materiali contenenti amianto nell’area oggetto del contratto, il Comune ha ordinato alla società di leasing la messa in sicurezza e lo smaltimento dell’amianto. L’ordinanza del Comune è stata impugnata e dal contenzioso che ne è derivato il Tar ha affermato due principi: -se l’utilizzatore ha doveri di ordinaria e straordinaria amministrazione risponderà della presenza di amianto; -se il contratto con l’utilizzatore si risolve, il proprietario rientra nei propri poteri e, quindi, torna a essere il soggetto responsabile della corretta bonifica dei rifiuti di amianto. Non rileva, quindi, la circostanza che il proprietario non abbia esercitato alcuna attività produttiva (o comunque di utilizzazione) all’interno dell’immobile, in quanto l’attività di bonifica non dipende dall’attività svolta all’interno ma dallo stato di conservazione dell’immobile. Il caso della curatela fallimentare, poi, è di frequente sotto la lente dei giudici amministrativi: gli immobili e le aree oggetto di una procedura fallimentare infatti presentano spesso problemi di bonifiche (rifiuti o contaminazioni) o di amianto. La giurisprudenza non è unanime nel delineare le responsabilità del curatore. Un primo orientamento esclude che il curatore sia tenuto ad obblighi di gestione e bonifica dell’amianto sostenendo che «il curatore non può essere reputato un successore dell’impresa fallita essendone soltanto un amministratore. L’amministrazione avviene a fini conservativi per la liquidazione dell’attivo e la soddisfazione dei creditori e questo non comporta che sul curatore incomba l’adempimento di obblighi facenti carico originariamente all’imprenditore» (Consiglio di stato, sentenza 3274 del 30 giugno 2014). Con la conseguenza che «il potere del curatore di disporre dei beni fallimentari non comporta necessariamente il dovere di adottare particolari comportamenti finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili» (Consiglio di stato, sezione V, sentenza 3885/2009). Un secondo orientamento (finora proposto dai giudici di prime cure, Tar Lombardia, Brescia, sentenza 38/2017, Tar Friuli Venezia Giulia, sentenza 441/2015) apre uno spiraglio su una responsabilità più estesa del curatore fallimentare, che risponderebbe della presenza di amianto sia quando il curatore sia autorizzato dal giudice fallimentare anche all’esercizio provvisorio sia nelle ipotesi di univoca, autonoma e chiara responsabilità del curatore nell’abbandono dei rifiuti. (Carmen Chierchia e Guido Inzaghi, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Quotidiano Edilizia e Territorio”, 19 giugno 2017)

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(G.U. 20 giugno 2017, n. 141)

Ambiente PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI - IL COMMISSARIO DEL GOVERNO PER LA RICOSTRUZIONE NEI TERRITORI INTERESSATI DAL SISMA DEL 24 AGOSTO 2016 ORDINANZA 12 maggio 2017 Assegnazione dei finanziamenti per gli studi di microzonazione sismica di III livello ai Comuni interessati dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016 e proroga di termini di cui all'ordinanza n. 13 del 9 gennaio 2017. (Ordinanza n. 24). (G.U. 24 maggio 2017, n. 119) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE DECRETO 9 marzo 2017, n. 68 Regolamento concernente le modalità di prestazione delle garanzie finanziarie da parte dei produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche ai sensi dell'articolo 25, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2014, n. 49. (G.U. 27 maggio 2017, n. 122) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE ORDINANZA 22 maggio 2017 Ulteriori interventi urgenti di protezione civile conseguenti agli eventi sismici che hanno colpito il territorio delle Regioni Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo, a partire dal giorno 24 agosto 2016. (Ordinanza n. 454). (G.U. 29 maggio 2017, n. 123) DELIBERA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 24 maggio 2017 Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza degli eccezionali eventi meteorologici verificatisi nei giorni dal 24 al 26 novembre 2016 nel territorio delle Province di Crotone e Reggio Calabria e nei giorni dal 22 al 25 gennaio 2017 nel territorio delle Province di Catanzaro, Crotone, Reggio Calabria e dei Comuni di Longobucco, Oriolo e Trebisacce in Provincia di Cosenza e di Vazzano in Provincia di Vibo Valentia. (G.U. 3 giugno 2017, n. 127) DELIBERA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 24 maggio 2017 Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza delle eccezionali avversità atmosferiche verificatesi nei giorni dall'8 al 30 giugno 2016 nel territorio delle Province di Bergamo e di Sondrio. (G.U. 3 giugno 2017, n. 127) DIRETTIVA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 17 febbraio 2017 Istituzione del Sistema d'Allertamento nazionale per i Maremoti generati da sisma - SiAM. (G.U. 5 giugno 2017, n. 128) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI - IL COMMISSARIO DEL GOVERNO PER LA RICOSTRUZIONE NEI TERRITORI INTERESSATI DAL SISMA DEL 24 AGOSTO 2016, ORDINANZA 23 maggio 2017 Criteri per la perimetrazione dei centri e nuclei di particolare interesse che risultano maggiormente colpiti dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016. (Ordinanza n. 25). (G.U. 5 giugno 2017, n. 128) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE ORDINANZA 27 maggio 2017 Ulteriori interventi urgenti di protezione civile conseguenti agli eventi sismici che hanno colpito il territorio delle Regioni Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo, a partire dal giorno 24 agosto 2016. (Ordinanza n. 455). (G.U. 7 giugno 2017, n. 130) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE, ORDINANZA 29 maggio 2017

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Superamento della situazione di criticità derivante dagli eccezionali eventi meteorologici verificatisi nei giorni dal 9 al 13 ottobre 2014 nel territorio della Provincia di Genova e dei Comuni di Borghetto di Vara, Riccò del Golfo di Spezia, Varese Ligure di Maissana, Pignone e Sesta Godano nella Val di Vara in Provincia di La Spezia. Proroga della vigenza della contabilità speciale n. 5863. (Ordinanza n. 456). (G.U. 8 giugno 2017, n. 131) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 6 aprile 2017 Recepimento della direttiva n. 2015/719 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2015, che modifica la direttiva n. 96/53/CE, che stabilisce, per taluni veicoli stradali che circolano nella Comunità, le dimensioni massime autorizzate nel traffico nazionale ed internazionale e i pesi massimi autorizzati nel traffico internazionale. (G.U. 9 giugno 2017, n. 132) MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI DECRETO 31 maggio 2017 Dichiarazione dell'esistenza del carattere di eccezionalità degli eventi calamitosi verificatisi nella Provincia di Cuneo. (G.U. 13 giugno 2017, n. 135) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI - IL COMMISSARIO DEL GOVERNO PER LA RICOSTRUZIONE NEI TERRITORI INTERESSATI DAL SISMA DEL 24 AGOSTO 2016 ORDINANZA 29 maggio 2017 Linee direttive per la ripartizione e l'assegnazione delle risorse per la costituzione e il funzionamento degli Uffici speciali per la ricostruzione e modifiche all'ordinanza n. 1 del 10 novembre 2016, recante: «Schema tipo di convenzione per l'istituzione dell'Ufficio comune denominato "Ufficio speciale per la ricostruzione post sisma 2016"». (Ordinanza n. 26). (G.U. 13 giugno 2017, n. 135) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE ORDINANZA 1 giugno 2017 Ordinanza di protezione civile per favorire e regolare il subentro della Regione Veneto nelle iniziative finalizzate al superamento della situazione di criticità determinatasi in conseguenza degli eccezionali eventi atmosferici che il giorno 14 settembre 2015 hanno colpito il territorio delle Province di Belluno e di Padova. (Ordinanza n. 457). (G.U. 13 giugno 2017, n. 135) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE ORDINANZA 1 giugno 2017 Primi interventi urgenti di protezione civile conseguenti agli eccezionali eventi meteorologici verificatisi il giorno 19 novembre 2016 nel territorio del Comune di Licata in Provincia di Agrigento e nei giorni 24 e 25 novembre 2016 nel territorio delle Province di Agrigento e Messina. (Ordinanza n. 458). (G.U. 14 giugno 2017, n. 136) CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO PROVVEDIMENTO 4 maggio 2017 Accordo-quadro tra il Governo e le Regioni in materia di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi. (Repertorio n. 62/CSR). (G.U. 14 giugno 2017, n. 136) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE ORDINANZA 1 giugno 2017 Ordinanza di protezione civile per favorire e regolare il subentro della Regione Siciliana nelle iniziative finalizzate al superamento della situazione di criticità determinata dagli eccezionali eventi meteorologici che nel periodo dall'8 settembre al 3 novembre 2015 hanno colpito il territorio delle Province di Catania, di Enna e di Messina. (Ordinanza n. 459). (17A03929) (G.U. 15 giugno 2017, n. 137) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI COMUNICATO Attività antincendio boschivo per la stagione estiva 2017. Individuazione dei tempi di svolgimento e raccomandazioni per un più efficace contrasto agli incendi boschivi, di interfaccia ed ai rischi conseguenti. (G.U. 15 giugno 2017, n. 137) MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONAL COMUNICATO Entrata in vigore del Protocollo che modifica la Convenzione relativa all'Organizzazione idrografica internazionale (G.U. 20 giugno 2017, n. 141)

Appalti MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 29 maggio 2017 Servizio integrato rigassificazione e stoccaggio - Terza asta. (G.U. 17 giugno 2017, n. 139)

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Economia e Fisco DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 22 maggio 2017 Differimento, per l'anno 2017, del termine di trasmissione delle comunicazioni dei dati delle liquidazioni periodiche IVA relativi al primo semestre 2017. (G.U. 30 maggio 2017, n. 124) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 16 maggio 2017 Soppressione delle gestioni operanti su contabilità speciali afferenti ad eventi calamitosi. (G.U. 7 giugno 2017, n. 130)

Immobili/Edilizia/Urbanistica/Demanio MINISTERO DELLA DIFESA COMUNICATO Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato dell'aliquota di sedime pertinenziale del complesso alloggiativo denominato «Ex caserma Reatto», in Bressanone. (G.U. 3 giugno 2017, n. 127) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI CONFERENZA UNIFICATA ACCORDO 4 maggio 2017 Accordo tra il Governo, le Regioni e gli Enti locali concernente l'adozione di moduli unificati e standardizzati per la presentazione delle segnalazioni, comunicazioni e istanze. Accordo, ai sensi dell'articolo 9, comma 2, lettera c) del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. (Repertorio atti n. 46/CU). (G.U. 5 giugno 2017, n. 128, S.O., n. 26) MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI COMUNICATO Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un fosso, in Forlì (G.U. 6 giugno 2017, n. 129) ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE COMUNICATO Determinazione dei tassi di interesse per l'erogazione dei mutui ipotecari agli iscritti alla Gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali. (G.U. 12 giugno 2017, n. 134)

Professione e lavoro LEGGE 22 maggio 2017, n. 81 Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato. (G.U. 13 giugno 2017, n. 135)

Pubblica Amministrazione DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 10 marzo 2017 Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 1, comma 439, della legge 11 dicembre 2016, n. 232. (Legge di bilancio 2017). (G.U. 29 maggio 2017, n. 123, S.O., n. 25) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 19 maggio 2017 Differimento dei termini per la presentazione delle domande relative al bando del 20 marzo 2017 sulle infrastrutture elettriche per la realizzazione di reti intelligenti di distribuzione dell'energia (Smart Grid) nei territori delle regioni meno sviluppate - Programma operativo nazionale «Imprese e Competitività» 2014-2020 FESR, Asse IV, Azione 4.3.1. (G.U. 30 maggio 2017, n. 124) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO INFORMAZIONI PER LA SICUREZZA, COMUNICATO Adozione del Piano nazionale per la protezione cibernetica e la sicurezza informatica. (17A03705) (G.U. 31 maggio 2017, n. 125) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 18 maggio 2017 Aggiornamento degli allegati del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi. (G.U. 1 giugno 2017, n. 126)

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MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 5 giugno 2017 Individuazione delle strutture regionali deputate a ricevere i reclami a seguito di presunte infrazioni accertate in relazione ai servizi di trasporto via mare e per vie navigabili interne di competenza regionale e locale. (G.U. 13 giugno 2017, n. 135) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 19 maggio 2017 Recepimento della direttiva 2014/45/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014 relativa ai controlli tecnici periodici dei veicoli a motore e dei loro rimorchi e recante abrogazione della direttiva 2009/40/CE. (G.U. 17 giugno 2017, n. 139) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 19 maggio 2017 Recepimento della direttiva 2014/47/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, relativa ai controlli tecnici su strada dei veicoli commerciali circolanti nell'Unione e che abroga la direttiva 2000/30/CE. (G.U. 17 giugno 2017, n. 139) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 27 aprile 2017 Modifiche al DM 13 dicembre 2016, recante Direttive e Calendario per le limitazioni alla circolazione stradale fuori dai centri abitati per l'anno 2017 nei giorni festivi e particolari, per i veicoli di massa superiore a 7,5 tonnellate. (G.U. 19 giugno 2017, n. 140) DECRETO LEGISLATIVO 25 maggio 2017, n. 90 Attuazione della direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo e recante modifica delle direttive 2005/60/CE e 2006/70/CE e attuazione del regolamento (UE) n. 2015/847 riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi e che abroga il regolamento (CE) n. 1781/2006. (G.U. 19 giugno 2017, n. 140, S.O., n. 28) DECRETO-LEGGE 20 giugno 2017, n. 91 Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno. (G.U. 20 giugno 2017, n. 141) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 21 aprile 2017, n. 93 Regolamento recante la disciplina attuativa della normativa sui controlli degli strumenti di misura in servizio e sulla vigilanza sugli strumenti di misura conformi alla normativa nazionale e europea. (G.U. 20 giugno 2017, n. 141) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 27 aprile 2017 Modifiche al decreto 13 dicembre 2016, recante direttive e calendario per le limitazioni alla circolazione stradale fuori dai centri abitati per l'anno 2017, nei giorni festivi e particolari, per i veicoli di massa superiore a 7,5 tonnellate. (G.U. 20 giugno 2017, n. 141)

Sicurezza MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Riconoscimento e classificazione di un prodotto esplosivo (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Riconoscimento e classificazione di un prodotto esplosivo (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Riconoscimento e classificazione di un prodotto esplosivo (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Riconoscimento e classificazione di un prodotto esplosivo (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO

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COMUNICATO Riconoscimento e classificazione di un prodotto esplosivo (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Riconoscimento e classificazione di un prodotto esplosivo (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Riconoscimento e classificazione di un prodotto esplosivo (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Riconoscimento e classificazione di un prodotto esplosivo (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Riconoscimento e classificazione di alcuni prodotti esplosivi (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Riconoscimento e classificazione di alcuni prodotti esplosivi (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Riconoscimento e classificazione di alcuni prodotti esplosivi (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Riconoscimento e classificazione di un prodotto esplosivo (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Riconoscimento e classificazione di un prodotto esplosivo (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Riconoscimento e classificazione di un prodotto esplosivo (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Riconoscimento e classificazione di un prodotto esplosivo (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Riconoscimento e classificazione di un prodotto esplosivo (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Classificazione di un prodotto esplosivo (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Classificazione di un prodotto esplosivo (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO

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Classificazione di alcuni prodotti esplosivi (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELL'INTERNO COMUNICATO Classificazione di alcuni prodotti esplosivi (G.U. 26 maggio 2017, n. 121) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI COMUNICATO Aggiornamento dei programmi del corso di formazione per il conseguimento delle competenze di livello direttivo per gli ufficiali di coperta e di macchina di cui al decreto 4 dicembre 2013. (G.U. 1 giugno 2017, n. 126) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 1 giugno 2017 Integrazioni e modifiche al decreto 17 marzo 2017 recante l'approvazione dell'elenco degli esplosivi, degli accessori detonanti e dei mezzi di accensione riconosciuti idonei all'impiego nelle attività estrattive, per l'anno 2017. (G.U. 16 giugno 2017, n. 138) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 12 maggio 2017 Recepimento della direttiva 2016/2309 della Commissione del 16 dicembre 2016 che adegua per la quarta volta al progresso scientifico e tecnico gli allegati della direttiva 2008/68/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al trasporto interno di merci pericolose. (G.U. 17 giugno 2017, n. 139))

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CONDOMINO e IMMOBILI

Corte di Cassazione – Sentenza 26 maggio 2017, n. 13368 NOTA Risarcito il danno da opera pubblica Spetta un risarcimento dalla pubblica amministrazione se un'opera pubblica diminuisce il valore dell'immobile. La Cassazione, con la sentenza numero 13368 del 26 maggio 2017, sottolinea un importante principio in materia di diritto civile. Un condominio aveva convenuto in giudizio il Comune di Messina lamentando come la costruzione di una strada pubblica adiacente al palazzo avesse comportato una diminuzione del suo valore. La domanda risarcitoria era fondata sull’articolo 46 della legge 2359 del 1865 che stabilisce che «è dovuta una indennità ai proprietari dei fondi, i quali dall’esecuzione dell'opera di pubblica utilità vengano gravati di servitù, o vengano a soffrire un danno permanente derivante dalla perdita o dalla diminuzione di un diritto». Le ragioni del condominio venivano accolte dai giudici di merito e anche dalla Cassazione che confermava la condanna della pubblica amministrazione a risarcire il condominio. Secondo il Comune la strada era stata costruita seguendo tutte le disposizioni in materia e come tale non poteva cagionare un danno passibile di risarcimento. Ma per la Cassazione la liceità del comportamento del Comune non rileva nella concessione del risarcimento, perché la legge 2359 prevede una responsabilità per attività lecita mossa da una «finalità solidaristica che consiste nel ristorare il pregiudizio subito dal singolo cittadino per effetto della realizzazione di un’opera di pubblica utilità, addossandolo alla collettività». Va rilevato, peraltro, che non è previsto l’opposto: il vantaggio derivante da un’attività della «Pa» non corrisponde un aumento della tassazione che riequilibri gli effetti di questa “esternalità positiva”, proprio in ragione della funzione di asservimento della pubblica amministrazione ai cittadini. (Edoardo Valentino, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Quotidiano del Condominio”, 13 giugno 2017)

EDILIZIA e URBANISTICA

Tribunale Amministrativo Regionale Sardegna – Sezione II – Sentenza 8 giugno 2017, n. 394

NOTA Autorizzazione paesaggistica, se il Sovrintendente non risponde in tempo il Comune è obbligato a dire di sì Tar Sardegna: sulla richiesta si forma un silenzio-assenso che risulta vincolante per l'ente.

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Il Sovrintendente che non rilascia i tempo il parere necessario all'autorizzazione paesaggistica costringe il Comune a dare l'ok all'intervento. Non ci sono altre strade. Sulla richiesta si forma infatti un silenzio-assenso che risulta vincolante per l'ente locale, che, se anche avesse da ridire, non può più entrare nel merito della questione. Con una pronuncia che boccia ancora una volta il gioco di melina delle Sovrintendenze il Tar Sardegna (sentenza n.394 dell'8 giugno 2017) chiarisce le conseguenze del mancato arrivo dl parere degli enti di tutela nei termini previsti dalle procedure di autorizzazione paesaggistica. A offrire l'occasione per il chiarimento arrivato con la sentenza è la richiesta di concessione edilizia per la realizzazione di una dependance e un piscina a servizio di una residenza già esistente a Palau, in Sardegna. In un prima occasione l'intervento si ferma per il parere negativo della Sovrintendenza. Scatta il ricorso «per difetto di motivazione», accolto dal Tar. L'iter di autorizzazione paesaggistica ricomincia da capo. Si riparte con una relazione tecnica favorevole inviata alla Sovrintendenza che chiede un'integrazione documentale, ma poi non risponde nei termini previsti. Il Comune a questo punto comunica ai richiedenti che, nonostante la Sovrintendenza non abbia risposto, l'intervento non risulta comunque ammissibile. Qui scatta il secondo ricorso, di nuovo accolto dai giudici amministrativi. In prima battuta il Tar rileva innanzitutto «la natura vincolante del parere riservato alla Soprintendenza». Il parere deve arrivare «entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti, ossia dalla ricezione della relazione tecnica istruttoria predisposta dalla regione, all'interno della quale è formulata anche una proposta di provvedimento» Su tale proposta, la relazione tecnica che nella seconda occasione si era anche espressa in senso «favorevole al provvedimento favorevole al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica richiesta dai ricorrenti», si legge nella sentenza, «si è cristallizzato (a seguito dell'inerzia della Soprintendenza protrattasi oltre i quarantacinque giorni previsti dall'art. 146, comma 8, cit.) il silenzio assenso». Conseguenza? «La Regione, per la natura vincolante del parere favorevole della Soprintendenza (art. 146, comma 5, cit.), era tenuta al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, non potendo rimettere in discussione il risultato procedimentale cui si era pervenuti». (Mauro Salerno, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Quotidiano Edilizia e Territorio”, 13 giugno 2017)

Tribunale Amministrativo Regionale Campania - Sezione III - Sentenza 24 maggio 2017 n. 2748

NOTA Abusi edilizi, valido l'ordine di demolizione che non specifica l'area acquisibile dal comune «L'acquisizione gratuita al patrimonio comunale degli immobili abusivi e della relativa area di sedime è un effetto automatico della mancata ottemperanza all'ordine di demolizione. Pertanto la specificazione dell'area di sedime non può essere considerata come elemento essenziale dell'ordine di demolizione ai fini della legittimità dell'atto». Lo ha stabilito il Tar Campania, sentenza 24 maggio 2017 n. 2748, così interpretando il combinato disposto dei commi 2 e 3 dell'articolo 31 del Testo unico edilizia (Dpr 380/2001), e chiarendo che l'individuazione dell'area è «piuttosto richiesta in vista dell'acquisizione». Il ricorrente aveva impugnato l'ordinanza - contenente la riserva di acquisizione al patrimonio comunale - con cui gli era stata ingiunta la demolizione di «un piano terraneo, realizzato senza alcun titolo abilitativo, costituito da murature perimetrali e copertura a falda con lamiere coibentate, completo e tenuto in uso», per una volumetria di circa 350 metri cubi, sostenendo che la sanzione applicabile sarebbe stata tutt'al più quella pecuniaria e che comunque mancava l'individuazione dell'area soggetta ad acquisizione gratuita in caso di inottemperanza. Inoltre, essendo stata

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presentata istanza di accertamento di conformità «l'ordinanza sarebbe improduttiva di effetti». Il Tar ricorda che il permesso di costruire è necessario per gli interventi di «trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nella manutenzione ordinaria o straordinaria, nel restauro e risanamento conservativo, o nella ristrutturazione edilizia». E che le opere realizzate senza titolo abilitativo dalla ricorrente, concretizzano appunto «una trasformazione del territorio», per cui «è da escludere che la sanzione applicabile possa consistere in una mera pena pecuniaria». Il testo unico sull’edilizia, all'articolo 31, comma 2, prevede che il dirigente ordina la demolizione del manufatto costruito in assenza di permesso «indicando nel provvedimento l'area che viene acquisita di diritto». Per il Tar, però, tale l'indicazione «è piuttosto richiesta in vista dell'acquisizione, in ampliamento all'area strettamente di sedime del manufatto abusivo, dell'ulteriore (eventuale) area “necessaria ... alla realizzazione di opere analoghe...”», secondo le indicazioni del comma 3. In base al quale, qualora il responsabile dell'abuso non provveda alla demolizione, il bene e l'area di sedime necessari alla realizzazione di «opere analoghe» a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune, specificando che l'area acquisita può arrivare fino a dieci volte la superficie costruita. L'istituto dell'acquisizione gratuita, prosegue il Tar, «assume carattere tipicamente sanzionatorio e non espropriativo», non avendo per obiettivo quello di «acquisire la disponibilità di un bene per motivi di pubblica utilità quanto quello di porsi come misura di contrasto efficace e proporzionato alle specifiche ipotesi nelle quali, una volta compiuti interventi edilizi senza titolo o in difformità dallo stesso, il proprietario non abbia eseguito l'ordine di demolizione e di messa in pristino». La presentazione dell'istanza di accertamento di conformità, invece, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, «non incide sulla legittimità dell'ordinanza di demolizione impugnata (che va valutata sulla base dei presupposti di fatto e di diritto esistenti al momento dell'emanazione dell'atto impugnato) e neppure ne determina la definitiva inefficacia, limitandosi unicamente a sospenderne temporaneamente gli effetti fino alla definizione, espressa o tacita, dell'istanza». Infine, conclude il Tribunale, gli atti di repressione degli abusi edilizi sono atti dovuti «per cui è da escludere la necessità di una specifica valutazione delle ragioni d'interesse pubblico concreto ed attuale o di una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, in quanto non è configurabile alcun affidamento giuridicamente tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente che non può di norma essere sanata dal mero trascorrere del tempo». (Francesco Machina Grifeo, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Quotidiano del Diritto”, 8 giugno 2017)

Tribunale Amministrativo Regionale Molise - Sentenza 24 maggio 2017 n. 192

NOTA Abusi edilizi, valido l'ordine di demolizione che non specifica l'area acquisibile dal comune Il manufatto totalmente irregolare viene assimilato a quello che lo è solo parzialmente se per la sua commistione con altri immobili realizzati a norma di legge la sua demolizione comporterebbe danno anche all'intero complesso edilizio in cui è inserito. Così il Tar Molise con la sentenza n. 192/2017 fa il punto su quali siano i presupposti per comminare la sanzione pecuniaria sostitutiva della demolizione. La norma coinvolta nella vicenda - In effetti, ai fini dell'applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva della demolizione, occorre che le opere oggetto di contestazione siano solo parzialmente difformi dal titolo abilitativo mentre, in caso di difformità totale la norma del testo unico dell'edilizia prevede al comma 1 dell'articolo 34 la demolizione totale. Ma lo stesso articolo 34 prevede che ai fini della rimozione dei manufatti si debba tener conto del complesso edilizio risultante dalle opere via via realizzate e, nel caso in cui la demolizione non possa avvenire senza pregiudicare la parte

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eseguita in conformità è ammesso il pagamento della sanzione pecuniaria sostitutiva anche al caso di opere del tutto prive di abilitazione urbanistica, cioè totalmente difformi. Il calcolo della sanzione è pari al doppio del costo di produzione. Il Tar contesta l'interpretazione della norma sostenuta dai ricorrenti secondo cui oltre il 2% per cento di difformità del manufatto questo sia inevitabilmente da demolire. Al contrario, infatti, la disposizione non prevede che tutte le opere di entità superiore al 2% rispetto a quelle assentite andrebbero demolite in quanto «tollerate». A tale 2 per cento di difformità non è quindi applicabile alcuna sanzione pecuniaria, esulando così dall'ambito applicativo dell'articolo 34. Il comma 2-ter introduce un vero e proprio margine di flessibilità consentendo di escludere - anche dalla previsione sanzionatoria pecuniaria - le discrepanze dal titolo abilitativo contenute entro la ridotta misura del 2 per cento. Le conclusioni sul caso fatte dal Tar - Nel caso di specie è pure vero che le opere oggetto di considerazione sono del tutto prive di abilitazione urbanistica (e quindi la difformità sarebbe totale), ma è altresì vero che esse sono compenetrate rispetto ad altri manufatti preesistenti i quali, invece, sono stati realizzati in base a regolare titolo abilitativo. Questa è la situazione che si verifica quando a fianco di interventi più risalenti e assentiti, vengono realizzate successivamente opere prive di titolo urbanistico, ma che, secondo quanto rilevato dall'Amministrazione, a causa dell'evidente compenetrazione con quelle preesistenti, non possono essere demolite senza pregiudicare la stabilità dell'intera struttura con la quale formano di fatto un corpo unico. Quindi nel caso specifico i manufatti irregolari pur se superano il 2% per certo dell'intera opera edilizia non sono sanzionati con la demolizione, ma con la sanzione pecuniaria sostitutiva proprio per non compromettere l'opera intera in cui sono compenetrati. (Paola Rossi, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Quotidiano del Diritto”, 31 maggio 2017)

PROFESSIONE

Corte di cassazione – Sentenza 30 maggio 2017, n. 13540

NOTA Incarichi frazionati: credito privilegiato limitato a due anni In caso di fallimento della società il professionista, che ha svolto più incarichi frazionati, ha diritto al privilegio del credito solo per il “lavoro” concluso prima del biennio precedente la cessazione del rapporto complessivo. La Corte di cassazione, con la sentenza 13540 depositata ieri, respinge il ricorso di un architetto contro l’ordinanza del Tribunale che gli riduceva in maniera drastica gli onorari richiesti. I giudici di merito avevano, infatti, applicato la “tagliola” prevista dall’articolo 2751 bis n.2 del Codice civile. La norma prevede il privilegio generale per i crediti relativi alle retribuzioni dei professionisti e di ogni altro prestatore d’opera intellettuale dovute (solo) per gli ultimi due anni di prestazione. Un privilegio che non decorre dal momento della dichiarazione di fallimento del debitore, ma dalla data in cui l’incarico è stato portato a termine o è cessato: e dunque dal momento in cui il credito è diventato liquido ed esigibile. Per il ricorrente però il Tribunale aveva sbagliato nel considerare la dead line in cui i pagamenti erano divenuti esigibili, limitando così il diritto a quelli scaduti nei 24 mesi. Alla base dell’errore, precisa la difesa del professionista, c’era l’omessa considerazione della natura unitaria degli incarichi. Secondo il ricorrente, infatti, l’accordo raggiunto tra le parti per pagare il corrispettivo con diverse scadenze aveva il solo scopo di dilazionare l’importo totale, ma non definiva in alcun modo la natura della prestazione che era unitaria. Il momento al quale fare riferimento non era, secondo la tesi sostenuta nel ricorso, la scadenza delle rate ma la data in cui la società cooperativa non era più stata in grado di pagare la prestazione professionale. Nel respingere il ricorso la Suprema corte cita sé stessa. Con la sentenza 20755 del 2015 la Cassazione ha chiarito che, pur riconoscendo l’autonomia dei vari incarichi, non si può considerare ciascuno di questi staccato dal contesto. Ed è dunque in relazione al rapporto nel suo complesso che

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scatta il limite del biennio previsto dal codice civile. Nel caso esaminato, sottolineano i giudici della prima sezione civile, le specifiche previsioni contrattuali stabilivano quando sarebbero divenuti esigibili i crediti attinenti alle singole prestazioni, come affermato dal Tribunale che ha richiamato le specifiche clausole. «Né può essere considerato - si legge nella sentenza - il riferimento al disposto contrattuale che il ricorrente opera per provare “l’inscindibilità dell’obbligazione” solo in sede di memoria, che svolge, come è noto, solo una funzione illustrativa del ricorso ma non può integrarne il contenuto». (Patrizia Maciocchi, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Cantieri24”, 31 maggio 2017)

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La responsabilità per gravi difetti tra costruzioni ex novo e fabbricati esistenti (Marta Jerovante, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Urbanistica24”, 19 giugno 2017) La Corte di Cassazione, Sez. Unite, con sent. n. 7756 del 27 marzo 2017, ha stabilito che l’art. 1669 cod. civ. è applicabile, ricorrendone tutte le altre condizioni, anche alle opere di ristrutturazione edilizia e, in genere, agli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata su immobili preesistenti, che (rovinino o) presentino (evidente pericolo di rovina o) gravi difetti incidenti sul godimento e sulla normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo. Risolvono così la questione inerente l’operatività della garanzia decennale ex art. 1669 cod. civ. le Sezioni Unite, chiamate a pronunciarsi nell’ambito di una controversia che origina dall’azione risarcitoria promossa da tutti i condomini di un complesso contro la società venditrice e contro la società che, su incarico della prima, aveva realizzato sul medesimo immobile degli interventi di ristrutturazione edilizia. L’ordinanza di rimessione della Cassazione Le due società, convenute per i «danni conseguenti alla presenza di un esteso quadro fessurativo – esterno ed interno – sulle pareti del fabbricato», risultavano soccombenti in solido in primo grado, ma vedevano poi riformare la sentenza a loro vantaggio in sede d’appello: il giudice di seconde cure aveva infatti ritenuto che, trattandosi di mera ristrutturazione e non di costruzione di un immobile, non potesse trovare applicazione la previsione di cui all’art. 1669 cod. civ. In particolare, la Corte d’appello aveva escluso la possibilità di affermare la responsabilità extracontrattuale prevista dall’art. 1669 cod. civ. in un’ipotesi in cui l’appaltatore non aveva proceduto ad una nuova costruzione, ma aveva eseguito soltanto interventi di ristrutturazione edilizia (con cambiamento della destinazione d’uso da ufficio ad abitazione), ancorché caratterizzati dalla realizzazione di nuovi balconi ai piani primo e secondo, di una scala in cemento armato e di nuovi solai nei sottotetti: l’applicabilità della norma in questione andrebbe limitata alla sola ipotesi di nuove costruzioni – aveva affermato il giudice di seconde cure – mantenendosi fuori «le modificazioni o riparazioni apportate ad un edificio preesistente o ad altre preesistenti cose immobili, anche se destinate per loro natura a lunga durata», poiché ciò che rileva è la rovina (o il pericolo di rovina) o il grave difetto conseguente a vizio di tale costruzione (o a vizio del suolo su cui essa è stata realizzata) (Cass. civ., Sez. II, sent. 20 novembre 2007, n. 24143. Conf. Cass., sent. n. 10658/2015). Il Collegio della Suprema Corte investito del ricorso promosso dai condomini ha al contrario ritenuto che l’art. 1669 cod. civ. «concerne anche gli interventi edilizi compiuti su un edificio già esistente, laddove si determini – comunque – una situazione di rovina (o pericolo di rovina) o si manifestino gravi difetti»: ad assumere rilievo sarebbe, secondo tale opzione interpretativa, «l’idoneità delle opere compiute sull’immobile ad incidere su elementi essenziali dello stesso (o anche su elementi secondari, ma rilevanti sulla funzionalità globale), a prescindere dalla circostanza che si sia trattato di costruzione ex novo o di intervento di ristrutturazione» (Cass. civ., Sez. II, sent. 4 novembre 2015, n. 22553). Al fine di comporre la “disomogeneità” di principi di diritto affermati nell’ambito della medesima Sez. II, la Sez. III ha dunque rimesso la controversia alle Sezioni Unite (ord. 10 giugno 2016, n. 12041). Il contrasto giurisprudenziale nella ricostruzione delle Sezioni Unite La Corte ha in primo luogo rammentato che i giudici di legittimità hanno affrontato la questione dell’applicabilità dell’art. 1669 cod. civ. in tre sole circostanze: 1. in Cass. civ., Sez. II, sent. 20 novembre 2007, n. 24143 – richiamata in motivazione dalla sentenza d’appello impugnata –, la quale aveva affermato che «la costruzione di un edificio o di altra cosa immobile, destinata per sua natura a lunga durata, costituisce presupposto e limite di

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applicazione della responsabilità prevista [dall’art. 1669 cod. civ.] in capo all’appaltatore. Ove, dunque, non ricorra la costruzione di un edificio o di altre cose immobili, destinate per loro natura a lunga durata, ma un’opera di mera riparazione o modificazione di preesistenti edifici o di altre preesistenti cose immobili, destinate per loro natura a lunga durata, la norma dell’art. 1669 cod. civ. non è applicabile, potendo invece trovare applicazione, se ne ricorrono le condizioni, la disciplina sulla responsabilità dell’appaltatore, per difformità e vizi dell’opera, di cui all’art. 1667 cod. civ.». La Suprema Corte aveva altresì ribadito che le fattispecie di cui agli artt. 1667 e 1669 cod. civ. sono diverse tra loro, configurando la prima una responsabilità contrattuale, la seconda, pure presupponendo un rapporto contrattuale, «una responsabilità extracontrattuale di ordine pubblico, al fine di promuovere la stabilità e la solidità degli edifici e delle altre cose immobili, destinate per loro natura a lunga durata, così tutelando l'incolumità e la sicurezza dei cittadini». (Nel caso di specie, la Corte d’appello aveva al contrario ricondotto un’opera di rifacimento della impermeabilizzazione e pavimentazione del terrazzo condominiale di un preesistente edificio all’ambito applicativo dell’art. 1669 cod. civ., ritenendo che detta norma riguardasse non solo gli edifici, ma anche le altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, ed in queste includendosi, appunto, anche singoli elementi strutturali di un edificio); 2. in Cass., sent. n. 10658/2015, che, nel decidere su una pretesa risarcitoria rivolta nei confronti dell’appaltatore di alcuni lavori di consolidamento di una villetta preesistente (che avevano provocato gravi fessurazioni su di un corpo di fabbrica aggiuntovi), ha ritenuto, in senso assolutamente conforme alla precedente, che la responsabilità ex art. 1669 cod. civ. trovi applicazione esclusivamente quando siano riscontrabili vizi riguardanti la costruzione dell’edificio o di una parte di esso, ma non anche in caso di modificazioni o riparazioni apportate ad un immobile preesistente, anche se destinate per loro natura a lunga durata. (La Corte d’appello, negando la sussistenza della responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 cod. civ., aveva specificamente escluso sia il nesso causale tra le opere dell’appaltatore e i danni lamentati, sia una sua colpa in relazione ai danni verificatisi: i fenomeni fessurativi non erano casualmente riferibili alle opere da questi eseguite, ma alla precedente difettosa realizzazione del corpo di fabbrica sul quale aveva successivamente operato l’appaltatore, il quale andava considerato esente da colpa perché non vi era prova né che egli avesse indicato i lavori da eseguire né che fosse stato messo a conoscenza dei difetti strutturali che avevano determinato le lesioni riscontrate); 3. infine, in Cass. civ., Sez. II, sent. 4 novembre 2015, n. 22553, di segno opposto, secondo cui «La responsabilità ex art. 1669 cod. civ. ben può essere invocata con riguardo al compimento di opere (rectius di interventi di modificazione o riparazione) afferenti ad un preesistente edificio o ad altra preesistente cosa immobile destinata per sua natura a lunga durata, le quali, in ragione di vizi del suolo (su cui la nuova opera si radica) o di difetti della costruzione (dell’opera), rovinino, in tutto o in parte, o presentino evidente pericolo di rovina ovvero gravi difetti (anche essi riferiti all’opera innovativa, non già all’edificio pregresso). Con la conseguenza che anche gli autori di tali interventi di modificazione o riparazione […] possono rispondere ai sensi dell’art. 1669 cod. civ. allorché le opere realizzate abbiano una incidenza sensibile o sugli elementi essenziali delle strutture dell’edificio ovvero su elementi secondari od accessori, tali da compromettere la funzionalità globale dell'immobile stesso». (Nella fattispecie, la Corte d’appello aveva sancito la responsabilità ex art. 1669 cod. civ. dell’appaltatore che aveva effettuato lavori di straordinaria manutenzione presso uno stabile condominiale: in particolare, aveva rilevato che, in sede di CTU esperita nel corso del giudizio di primo grado, erano stati accertati una serie di vizi, nonché di conseguenze sulla struttura e sul godimento dell’immobile in ragione della natura dei difetti riscontrati (posizionamento completamente errato delle persiane in alluminio di tutte le finestre del fabbricato, presenza di molteplici fessurazioni nella tinta e nell’intonaco nelle pareti esterne lato nord e nord-ovest dello stabile, crepe nell’intonaco delle pareti e del soffitto dei locali scale nei vari piani, erronea fissazione ed allocazione delle finestre di areazione dei locali scale); e aveva ricondotto i vizi lamentati alle parti in comune alle modalità costruttive utilizzate dalla società appaltatrice. La società convenuta aveva di contro lamentato di non aver restaurato l’edificio, non avendolo consolidato, ripristinato e rinnovato negli elementi costitutivi di esso, ma di aver semplicemente rinnovato e sostituito parti, anche strutturali, di un edificio già interamente edificato da terzi, avente ben precise caratteristiche costruttive, non modificate dagli interventi della ricorrente; di conseguenza, non le si sarebbe potuta attribuire la qualifica di costruttore. La società ricorrente aveva altresì sottolineato che «le cause

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della rovina, dell’evidente pericolo di rovina o dei gravi difetti dovrebbero essere riconducibili direttamente a difetti del suolo o a vizi della costruzione pertinenti all’edificio (o alla diversa cosa immobile destinata per sua natura a lunga durata)», fondando detta interpretazione sull’«esegesi letterale della norma, la quale, quando usa la locuzione “opera”, alluderebbe agli edifici o alle altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, che il legislatore richiama nell’incipit della disposizione di cui all’art. 1669 cod. civ. (“Quando si tratti di...”)». La Suprema Corte ha ritenuto non accoglibile detta ricostruzione, poiché il termine “opera” non andrebbe identificato necessariamente «con l’edificio o con la cosa immobile destinata a lunga durata, ma ben può estendersi a qualsiasi intervento, modificativo o riparativo, eseguito successivamente all’originaria costruzione dell’edificio»; ne discende che «anche il termine “compimento”, ai fini della delimitazione temporale decennale della responsabilità, ha ad oggetto non già l’edificio in sé considerato, bensì l’opera, eventualmente realizzata successivamente alla costruzione dell’edificio»). L’attenzione ai “gravi difetti” Nella sent. n. 22553/20015, i giudici avevano altresì affermato che, anche relativamente ai difetti della costruzione, l’etimologia del termine “costruzione” non dovesse necessariamente ricondursi alla realizzazione iniziale del fabbricato, ben potendo riferirsi a lavori realizzati in un secondo momento sull’edificio preesistente, e che abbiano i requisiti dell’intervento costruttivo; e avevano confermato l’opzione interpretativa della Corte d’appello, la quale aveva, a sua volta, richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale «l’estremo del grave difetto di costruzione, a differenza di quelli che determinano rovina totale o parziale dell’edificio, può anche consistere in una menomazione che, pur riguardando una parte soltanto dell’opera, incida sulla funzionalità della stessa, impedendole di fornire l’utilità cui è destinata per lungo lasso di tempo». Nella sentenza in commento, le Sezioni Unite aderiscono all’indirizzo meno restrittivo e rimarcano dunque che «anche opere più limitate, aventi ad oggetto riparazioni straordinarie, ristrutturazioni, restauri o altri interventi di natura immobiliare, possono rovinare o presentare evidente pericolo di rovina del manufatto, tanto nella porzione riparata o modificata, quanto in quella diversa e preesistente che ne risulti altrimenti coinvolta per ragioni di statica». Ma è sulla nozione di «gravi difetti» che va concentrata l’attenzione, osservano i giudici. Al riguardo, preme rapidamente ricordare come la giurisprudenza di legittimità avesse inizialmente considerato quali gravi difetti solo quelli riguardanti le parti essenziali, tenendo fuori da detto novero, di conseguenza, quei vizi che, pur di notevole entità, limitino il normale uso dell’immobile senza tuttavia intaccare quegli elementi essenziali che ne garantiscano stabilità e conservazione. A conferma di detta impostazione si è altresì affermato che «La norma dell’art. 1669 cod. civ. tende essenzialmente a disciplinare le conseguenze dannose dei vizi costruttivi che incidono negativamente, in maniera profonda, sugli elementi essenziali di struttura e funzionalità dell’opera, influendo sulla sua solidità, efficienza e durata, mentre la disposizione dell’art. 1667 cod. civ., la quale prevede l’azione di garanzia per i vizi e le difformità, riguarda l’ipotesi delle costruzioni che non corrispondono alle caratteristiche del progetto e del contratto d’appalto o che siano state eseguite senza osservare le regole della tecnica» (Cass. civ.,, sent. 21 aprile 1994, n. 3794). Il riferito indirizzo, particolarmente restrittivo, è stato tuttavia superato dai più recenti arresti della giurisprudenza, la quale ritiene che debbano considerarsi gravi difetti quelli che incidano, oltre che sugli elementi essenziali della struttura dell’immobile, anche su parti secondarie ed accessorie, quando tali carenze siano idonee a compromettere la funzionalità complessiva dell’opera medesima: «Configurano gravi difetti dell’edificio a norma dell’art. 1669 cod. civ. anche le carenze costruttive dell’opera – da intendere anche come singola unità abitativa – che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o la funzionalità e/o l’abitabilità della medesima, come allorché la realizzazione è avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d’arte ed anche se incidenti su elementi secondari ed accessori dell’opera (quali impermeabilizzazione, rivestimenti, infissi, pavimentazione, impianti, ecc.), purché tali da compromettere la sua funzionalità e l’abitabilità ed eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorché ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici o mediante opere che integrano o mantengono in efficienza gli impianti tecnologici installati» (Cass. civ., sent. 28 aprile 2004, n. 8140. Nella fattispecie, gli acquirenti avevano agito per responsabilità extracontrattuale nei confronti del

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costruttore perché le mattonelle del pavimento dei singoli appartamenti si erano scollate e rotte in misura percentuale notevole rispetto alla superficie rivestita). Come rammentano le stesse Sezioni unite, la giurisprudenza ha così specificato una serie di fattispecie di “gravi difetti”, ritenendo operante la garanzia prevista dall’art. 1669 cod. civ., per esempio, in presenza: di una pavimentazione interna ed esterna di una rampa di scale e di un muro di recinzione (sent. n. 2238/2012); di opere di pavimentazione ed impiantistica (sent. n. 1608/2000); delle infiltrazioni d’acqua determinate da carenze dell’impermeabilizzazione (Cass. civ.,, sent. 8 gennaio 2000, n. 117; sent. 23 marzo 1995, n. 3366 e sent. 29 novembre 1994, n. 10218); dell’umidità, dipendente da difetto di adeguata coibentazione termica (Cass. civ.,, sent. 25 marzo 1998, n. 3146). Sono stati altresì ritenuti gravi difetti: un ascensore panoramico esterno ad un edificio (sent. n. 20307/2011); il distacco di una notevole parte dell’intonaco esterno del fabbricato (Cass. civ.,, sent. 29 novembre 1996, n. 10624); o, ancora, sono state considerate carenze idonee ad integrare la fattispecie di cui all’art. 1669 cod. civ.: l’inefficienza di un impianto idrico (sent. n. 3752/2007); l’inadeguatezza recettiva delle fosse biologiche (Cass. civ., sent. 27 dicembre 1995, n. 13106) e della rete fognaria (Cass. civ., sent. 28 marzo 1997, n. 2775); gli scarichi delle acque bianche e le caditoie pluviali che erano stati collegati direttamente alla condotta fognaria (Cass. civ., sent. 12 giugno 1987, n. 5147); l’infiltrazione di acque luride (sent. n. 2070/1978). Alla luce di tale impianto, «è del tutto irrilevante che i gravi difetti riguardino una costruzione interamente nuova», affermano le Sezioni Unite, poiché «la circostanza che le singole fattispecie siano derivate o non dall’edificazione primigenia di un fabbricato non muta i termini logico-giuridici dell’operazione ermeneutica compiuta in ormai quasi mezzo secolo di giurisprudenza». Il riferito quadro mostra infatti come la giurisprudenza, focalizzandosi «sulle componenti non strutturali e sull’incidenza che queste possono avere sul complessivo godimento del bene», abbia finito per scegliere come proprio angolo visuale quello degli elementi secondari ed accessori: «[…] essendo ben possibile che l’opus dell’appalto consista e si esaurisca in quegli stessi e soli elementi […], a fortiori deve ritenersi che ove l’opera appaltata consista in un intervento di più ampio respiro edilizio (come appunto una ristrutturazione), quantunque non in una nuova costruzione, l’art. 1669 sia ugualmente applicabile» (Cass., Sez. Unite, sent. n. 7756/2017). Puntando la propria attenzione sugli elementi secondari, la giurisprudenza ha, in altri termini, distolto il focus delle argomentazioni inerenti l’applicabilità dell’art. 1669 cod. civ. dal momento “fondativo” dell’opera ai “gravi difetti” della medesima. Se l’opera non è costruzione Le Sezioni Unite respingono poi – come la già richiamata Cass. sent. n. 2253/2015 – l’argomento letterale quale fondamento dell’interpretazione dell’art. 1669 cod. civ. che ne limita l’operatività alle sole costruzioni ex novo: «costruire, nel suo significato corrente (oltre che etimologico) implica non l’edificare per la prima volta e dalle fondamenta, ma l’assemblare tra loro parti convenientemente disposte (cum struere, cioè ammassare insieme)»; pertanto l’affermazione di un trattamento diversificato tra fabbricazione iniziale e ristrutturazione edilizia, sulla base della considerazione che l’opera debba essere riferita alla “costruzione” e questa a un nuovo fabbricato, quale presupposto e limite della responsabilità aggravata dell’appaltatore, non può trovare alcuna base nel dato testuale. Il termine “costruzione” di cui al testo normativo va inteso, secondo le Sezioni Unite, quale “attività costruttiva”: al contrario, «se esso valesse […] quale specificazione riduttiva del soggetto (l’opera) della (terza, nel testo vigente) proposizione subordinata, si avrebbe una duplicazione di concetti ad un tempo inutile e fuorviarne. Inoltre, il supposto impiego sinonimico di “costruzione” quale nuovo edificio, porterebbe a intendere la norma come se affermasse che l’opera può rovinare per difetto suo proprio», lettura, quest’ultima, tutt’altro che chiarificatrice, poiché lascerebbe irrisolta la questione di cosa sia «il vizio proprio di un’opera». La Corte di legittimità precisa ulteriormente che, da un lato, l’identificazione dell’opera quale costruzione di un nuovo fabbricato si sarebbe potuta ipotizzare al più con un diverso inizio della norma – ossia «“Quando si tratta [della costruzione] di edifici”»; dall’altro, che l’interpretazione del termine “costruzione”, di cui alla tesi non condivisa ed enunciata in Cass., sent. n. 24143/2007, escluderebbe gli «altri immobili di lunga durata», indicati all’art. 1669 c.c., per i quali, «paradossalmente, questa sarebbe applicabile solo se rovina, evidente

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pericolo di rovina o gravi difetti dipendessero da vizio del suolo, cioè da una soltanto delle due cause ivi indicate». L’irrilevanza della specialità della norma Le Sezioni Unite giudicano altrettanto confutabile l’ulteriore argomentazione – avanzata dai fautori della tesi restrittiva – che sulla specialità o eccezionalità dell’art. 1669 cod. civ. fonda l’impossibilità di dare della norma medesima un’interpretazione analogica, e quindi estensiva. I giudici di legittimità precisano al riguardo che: • può parlarsi di specialità – e non certo di eccezionalità – nel senso che la responsabilità aggravata di cui all’art. 1669 cod. civ. è speciale rispetto alla normale disciplina in tema di responsabilità per inadempimento colpevole di cui all’art. 1668, comma 1, cod. civ.; • la giurisprudenza di legittimità ammette ormai che il committente di un immobile che presenti “gravi difetti” possa invocare, oltre al rimedio del risarcimento del danno (l’unico contemplato dall’art. 1669), anche quelli previsti dall’art. 1668 cod. civ. (eliminazione dei vizi, riduzione del prezzo, risoluzione del contratto) con riguardo ai vizi di cui all’art. 1667, e che costituiscono il contenuto della garanzia ordinaria cui è tenuto l’appaltatore; da detti arresti giurisprudenziali la specialità di cui all’art. 1669 esce pertanto piuttosto ridimensionata; • si ricorre al criterio ermeneutico dell’analogia per regolamentare una materia priva di una disciplina positiva, non per «riposizionare i termini di una regolamentazione data». Ad ogni modo – affermano le Sezioni Unite – la pure indiscussa specialità della garanzia decennale di cui all’art. 1669 cod. civ. non può essere comunque considerato quale argomento rilevante ai fini della questione in oggetto; l’esegesi testuale e la ricostruzione logico-giuridica fin qui esposte inducono invece a riportare «a pieno titolo» nell’ambito applicativo della norma «gli interventi manutentivi o modificativi di lunga durata, la cui potenziale incidenza tanto sulla rovina o sul pericolo di rovina quanto sul normale godimento del bene non opera in modo dissimile dalle ipotesi di edificazione ex novo». Il superamento della teoria della responsabilità extracontrattuale Cosa hanno in definitiva prodotto l’ampliamento della casistica dei danni rilevanti ex art. 1669 cod. civ. e l’aggiunta dei “gravi difetti”? Da un lato, l’attrazione nell’ambito di operatività della norma di «qualsiasi opera immobiliare che (per traslato) sia di lunga durata e risulti viziata in grado severo per l’inadeguatezza del suolo o della costruzione»; dall’altro – ed è questo il profilo che acquista maggiore rilevanza – il superamento dell’«originaria visione dell’art. 1669 come norma di protezione dell’incolumità pubblica, valorizzando la non meno avvertita esigenza che l’immobile possa essere goduto ed utilizzato in maniera conforme alla sua destinazione»: «la categoria dei gravi difetti tende a spostare il baricentro dell’art. 1669 dall’incolumità dei terzi alla compromissione del godimento normale del bene, e dunque da un’ottica pubblicistica ed aquiliana ad una privatistica e contrattuale» (Cass., Sez. Unite, sent. n. 7756/2017). In proposito, si rammenta come, in materia di natura della responsabilità per l’appalto immobiliare, si sia registrata una spiccata disomogeneità tra le posizioni dottrinali (e all’interno della dottrina medesima) e gli orientamenti della giurisprudenza: secondo la giurisprudenza nettamente dominante «la particolare responsabilità dell’appaltatore sancita dall’art. 1669 cod. civ., pur ricollegandosi necessariamente al contratto d’appalto, risponde tuttavia ad un principio che trascende i limiti del contratto stesso e che si concreta nell’esigenza di garantire, con la solidità e la durata dell’immobile, la pubblica incolumità» (App. Firenze 5 aprile 1961). La natura aquiliana o extracontrattuale della responsabilità derivante dall’art. 1669 cod. civ. si fonderebbe sul carattere pubblico e generale dell’interesse tutelato dalla norma, consistente nell’incolumità e nella sicurezza dei cittadini, mentre la dottrina ha rilevato che l’incolumità pubblica trovi una tutela solo riflessa e involontaria nella disposizione in questione. Invero, osservano le Sezioni Unite, il tema della natura extracontrattuale della responsabilità di cui all’art. 1669 cod. civ. deve considerarsi superato, e non più centrale, anche alla luce di ulteriori

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circostanze, quali la maggior attenzione accordata alla tutela dei terzi sulla base dell’esperienza dell’ appalto pubblico; il riconoscimento dell’azione anche agli aventi causa del committente – i quali possono agire anche contro il costruttore-venditore; le più recenti ricostruzioni dottrinali in materia di efficacia ultra partes del contratto; la possibilità che detta efficacia operi a favore dei terzi nei casi previsti dalla legge (art. 1372 cpv cod. civ.). «Tutto ciò rende ormai meno attuale il tema della natura extracontrattuale della responsabilità di cui all’art. 1669 c cod. civ., che se non ha esaurito la propria funzione storica […], di sicuro ha perso l’originaria centralità che aveva nell’interpretazione della norma», concludono i giudici.

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GARE, APPALTI e LAVORI PUBBLICI

SÌ AL FONDO COMMISURATO ALL'AVANZAMENTO LAVORI D. All'ordine del giorno della prossima assemblea di condominio, un punto riguarda la proposta di tinteggiatura dell'androne e dei vani scala. L'edificio raggiunge un'altezza di 70 metri, con due corpi scala. Vorrei sapere se, qualora fosse approvata la proposta in questione, è obbligatoria la costituzione del fondo di accantonamento per dare inizio ai lavori. ----- R. Secondo l’originaria, rinnovata, stesura dell’articolo 1135 del Codice civile, al primo comma, n. 4, «l’assemblea dei condòmini provvede alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, costituendo obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori». Quest'obbligo è stato introdotto con la legge di riforma 220/2012, per garantire la realizzazione di opere di grande entità, per le quali, in molti casi, risultava e risulta complicato trovare i fondi necessari. Tuttavia, a causa dell'oggettiva difficoltà nel reperire l'importo pari all'ammontare dei lavori, vi era il rischio che si verificasse la circostanza di non poter procedere con i lavori straordinari, in attesa che tutti i condòmini versassero la loro quota. A tal riguardo, dunque, il legislatore è intervenuto con la legge 9/2014, apportando un correttivo - a integrazione della prescrizione contenuta nel citato n. 4 del primo comma dell’articolo 1135 – stabilendo ulteriormente che, «se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti». Tale ultima previsione, pertanto, sta a significare che non occorre accantonare subito tutto l'importo relativo ai lavori straordinari, ma è sufficiente accantonare le somme necessarie per pagare quanto dovuto in base agli stati di avanzamento dei lavori, sempre che il contratto di appalto preveda pagamenti graduali. Sicché, per l’esecuzione delle opere di manutenzione straordinaria, dovrà essere costituito un fondo speciale, in misura integrale o parametrato allo stato di avanzamento lavori. (Paola Pontanari, Il Sole 24 ORE – Estratto da “L’Esperto Risponde”, 12 giugno 2017)

RESPONSABILE UNICO DEL PROCEDIMENTO D. Nell'ambito di un servizio o di un lavoro, è possibile prevedere un R.U.P. per la fase di progettazione ed affidamento fino alla stipula del contratto d'appalto ed un altro per quella di esecuzione fino al collaudo? ----- R. In linea generale l'articolo 31, comma 1 del D.lgs. 50/2016 prevede che vi sia un solo responsabile

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del procedimento per ogni singola procedura di affidamento di un appalto o concessione, che deve coprire tutte le fasi della stessa, e cioè la programmazione, la progettazione, l'affidamento e l'esecuzione. Questa regola generale subisce una deroga per le stazioni appaltanti che non sono pubbliche amministrazioni o enti pubblici, le quali sono legittimate a indicare, secondo i propri ordinamenti, uno o più soggetti cui affidare i compiti propri del responsabile del procedimento, consentendo quindi che tali compiti siano suddivisi tra più soggetti in relazione alle singole fase della complessiva procedura (Paola Conio, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Edilizia e Territorio risponde”, 7 giugno 2017)

INCARICHI DI PROGETTAZIONE: GARANZIE D. Dovendo procedere alla selezione di un professionista esterno per l'affidamento di un incarico di progettazione di importo inferiore a 40000 euro, tramite indagine di mercato, ai sensi di quale norma si dovrà richiedere la cauzione provvisoria e quella definitiva? E di quale importo? ----- R. Il codice dei contratti pubblici, all’art. 24 comma 4, precisa che i soggetti affidatari dell’attività di progettazione e di coordinamento per la sicurezza sono tenuti a farsi carico delle polizze assicurative per la copertura dei rischi di natura professionale. Di contro, l’art. 93 comma 10 in materia di garanzie per la partecipazione alla procedura, precisa espressamente che il medesimo articolo non si applica agli appalti di servizi aventi a oggetto la redazione della progettazione e del piano di sicurezza e coordinamento e ai compiti di supporto alle attività del responsabile unico del procedimento. Le Linee Guida di ANAC sui servizi di ingegneria e architettura hanno precisato, sulla base del quadro normativo ora ricostruito, che gli affidatari del servizi di progettazione e di coordinamento per la sicurezza in fase di progettazione non sono tenuti all’accensione della cauzione provvisoria. Di contro, poiché l’art. 103 del codice contratti, dedicato alla garanzia definitiva, non riproduce una disposizione analoga a quella del citato comma 10, ANAC sottolinea nelle linee guida citate, che i progettisti non sono esentati dall’obbligo di costituzione della garanzia per l’esecuzione. In ogni caso il medesimo art. 103 dà facoltà alle stazioni, motivandolo e alle condizioni precisate nel comma stesso, di non richiedere la cauzione definitiva in casi specifici per gli appalti di cui all’art. 36 comma 2 lett. a). (Roberto Mangani, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Edilizia e Territorio risponde”, 23 maggio 2017)

PROFESSIONE e PREVIDENZA

ORDINI PROFESSIONALI, QUOTE E PROROGA DEI TERMINI D. Sono iscritto all'Ordine degli architetti della provincia di Milano. Mi è capitato di aver versato la tassa di iscrizione all'Ordine professionale il 2 maggio, mentre la data ultima per assolvere al pagamento, riportata nel bollettino Mav, è il 30 aprile. Poiché alle scadenze per i pagamenti alle Pa che coincidono con le festività si applica l'estensione al primo giorno lavorativo, e considerando che quest'anno il 30 aprile è caduto di domenica (con lunedì primo maggio anch'esso festivo), chiedo se sia giuridicamente legittimo da parte dell'Ordine di Milano (anche a fronte dell'avviso al link http://www.ordinearchitetti.mi.it/it/notizie/dettaglio/8995-quota-2017) pretendere di applicare la mora di 30 euro a me e ad altri "sprovveduti ritardatari". ----- R. Nella pagina web di cui al link indicato, viene precisato che «la scadenza per il pagamento della quota è stata fissata al 30 aprile 2017. Attenzione: I pagamenti non pervenuti entro il 30 Aprile 2017 subiranno l'applicazione del contributo di mora, pari ad € 30,00, che sarà applicata a partire dal 1 Maggio 2017». Sebbene si ritenga che il contribuente sia stato adeguatamente informato di quanto

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è poi accaduto, il comportamento dell'Ordine degli architetti appare non conforme al principio - di carattere generale - della proroga della scadenza di un termine che cade in un giorno festivo al successivo giorno non festivo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 13 marzo 2014). In particolare, l'articolo 1187 del Codice civile (in tema di computo del termine delle obbligazioni), dopo aver rimandato a quanto stabilito per la prescrizione nell'articolo 2963 c.c., sancisce, al secondo comma, che «la disposizione relativa alla proroga del termine che scade in giorno festivo si osserva se non vi sono usi diversi». Spiegando poi, al terzo comma, che «è salva in ogni caso una diversa pattuizione». In questo caso, poiché non vi sono né usi diversi né c'è stata una diversa pattuizione, ma soltanto una decisione unilaterale dell'Ordine, si ritiene lecita una richiesta di spiegazione da parte gli iscritti. (Aldo Pacchioni, Il Sole 24 ORE – Estratto da “L’Esperto Risponde”, 29 maggio 2017)

EDILIZIA e URBANISTICA

SILENZIO-ASSENSO AMMESSO SE I PAGAMENTI SONO OK D. Qualche giorno fa a mia madre è arrivata una raccomandata da parte del Comune di residenza, che la invita a integrare la domanda di condono edilizio presentata nel lontano 1986, con un computo metrico estimativo delle opere realizzate abusivamente, utilizzando i valori attuali. Preciso che per l'immobile, all'epoca del condono, è stata fornita tutta la documentazione richiesta dall'articolo 35 della legge 47/1985 (che non prevede un computo metrico). Il Comune dichiara che questo gli serve per il calcolo e il pagamento degli oneri concessori. Può l'ente locale chiedere, a distanza di 30 anni, la documentazione che definisce mancante? ----- R. Né la legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) né la normativa successiva emanata in materia di sanatoria degli abusi edilizi prevedono un termine perentorio entro cui il Comune sia obbligato a decidere in relazione alla domanda di sanatoria presentata, a parte l’ipotesi del silenzio-assenso di cui all’articolo 35, comma 18, della legge 47/1985 citata. Ai sensi di tale disposizione normativa, infatti, la domanda si intende accolta ove siano decorsi 24 mesi dalla presentazione della stessa. Tuttavia, tale accoglimento “tacito” è possibile ed efficace solo ove siano stati effettuati tutti i pagamenti dovuti e nel caso in cui sia stata presentata tutta la documentazione necessaria a completare l’istruttoria. Nel caso di specie, invece, sembrerebbe che la documentazione al tempo inoltrata non fosse completa e che, conseguentemente, non siano stati versati gli oneri concessori previsti dall’articolo 37, comma 1, della legge citata, che la giurisprudenza amministrativa ritiene rilevanti per la sussistenza dei requisiti indicati per il silenzio-assenso (si veda Consiglio di Stato, sezione VI, 1° febbraio 2013, sentenza 612). Sarà quindi necessario fornire al Comune la documentazione richiesta, diversamente non potrà concludersi positivamente il procedimento per il rilascio della sanatoria. (Massimo Sanguini, Il Sole 24 ORE – Estratto da “L’Esperto risponde”, 12 giugno 2017)

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Proprietario ed Editore: Il Sole 24 Ore S.p.A. Sede legale e amministrazione: Via Monte Rosa 91- 20149 Milano Redazione: Redazioni Editoriali Professionisti e Aziende - Direzione Publishing - Roma © 2017 Il Sole 24 ORE S.p.a. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi strumento. I testi e l’elaborazione dei testi, anche se curati con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità per involontari errori e inesattezze.